141 Recenti Prog Med 2014; 105: 141-143 La pubblicazione del DSM-5: una rivoluzione a metà Alberto Siracusano1, Michele Ribolsi1, Cinzia Niolu1 E-mail: [email protected] The 5th revised edition of the DSM: a revolution half-accomplished. Summary. To date, the diagnosis of mental disorders has been based on clinical observation and the 5th revised edition of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), published in May 2013, has confirmed this approach placing disorders in discrete statistical categories like the preceding editions. This has disappointed the expectations of those who hypothesized the revolution of a “neuroscience based DSM”, where the psychiatric diagnoses are based on the identification of sensitive biological markers. Another controversial point is that, according to several authors, the DSM-5 does not provide a clear definition of the boundaries between mental disorders and the range of normality. However, in the new edition of the DSM, there are several interesting changes, such as the introduction of the “dimensions” that are aimed to bridge the gap between the historical categorical approach and the new research data and the reclassification and the redefinition of most categories. Purpose of this editorial is to provide a brief overview of these changes and critical aspects. Introduzione Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - DSM) è fin dalla sua prima edizione del 1952 uno dei sistemi di classificazione internazionale delle malattie mentali tra i più utilizzati dai professionisti del settore e senza dubbio il principale strumento su cui si basa la letteratura scientifica psichiatrica mondiale. Nato inizialmente come strumento ateoretico e puramente statistico descrittivo, la sua quinta edizione (il DSM-5)1, pubblicata nel maggio 2013, è stata preceduta da innumerevoli progressi nel campo delle neuroscienze tali da creare l’aspettativa di una rivoluzione della diagnosi in psichiatria, non più basata sulla osservazione clinica di una serie di sintomi e segni, ma sulla presenza di specifici biomarker di laboratorio2,3. A oggi, il DSM-5 non ha raggiunto tale obiettivo4,5 e questo è stato interpretato come un insuccesso della scientificità della psichiatria6. Il DSM-5 ha anche sollevato numerosi dubbi nella comunità scientifica e nell’opinione pubblica attraverso articoli apparsi su riviste e sulla stampa laica a grande diffusione, sul rischio di una inflazione di diagnosi e di una medicalizzazione di aspetti o reazioni emotive fisiologiche7,8. Sulla scia di queste difficoltà, il National Institute of Mental Health ha dato recen- temente avvio allo sviluppo di un nuovo sistema di classificazione dei disturbi mentali (Research Domain Criteria project - RDoC) basato sulla ricerca di dimensioni neurobiologiche e comportamenti osservabili in modo transcategoriale e trasversalmente attraverso vari disturbi di natura eterogenea9. Tuttavia, il DSM-5 ha apportato importanti cambiamenti rispetto al sistema diagnostico precedente (DSM-IV-TR)10 e vale la pena approfondirli. Da un approccio categoriale a un approccio misto categoriale-dimensionale In primis, il DSM-5 ha abolito la valutazione multiassiale, ritenuta obsoleta, poco utilizzata di fatto nella pratica clinica quotidiana e non in linea con le indicazioni della World Health Organization (WHO) e dell’International Classification of Diseases (ICD) sull’opportunità di una separazione tra lo status diagnostico e sintomatologico da quello sociale e funzionale1. Inoltre, il DSM-5 ha recepito l’evidenza proveniente dalla ricerca attuale circa il fatto che i confini tra le entità nosografiche non possano essere così categoriali come suggerito originariamente da Kraepelin nel 191911, e come le possibili comorbilità di vari disturbi possano riflettere alterazioni “dimensionali” dovute alla variabilità genetica, del comportamento umano e delle funzioni neurobiologiche12. Per cui pur ritenendo prematuro l’abbandono tout court delle categorie1, il DSM-5 ha provveduto all’inserimento di una valutazione dimensionale. A questo riguardo, per esempio, la task force del DSM-5 sui Disturbi dello Spettro Psicotico ha provveduto a eliminare dalla classificazione nosografica i sottotipi di schizofrenia, ritenendoli di scarsa utilità clinica nel mostrare l’eterogeneità sintomatologica della schizofrenia13. Infatti, i sottotipi della schizofrenia hanno mostrato una debole stabilità diagnostica nel tempo e un limitato valore prognostico14,15. Al posto della classificazione in sottotipi, il DSM5 ha introdotto una valutazione psicopatologica dimensionale, utile per caratterizzare meglio la schizofrenia e descrivere in una modalità clinicamente più fruibile la grande eterogeneità di questa sindrome. Le dimensioni introdotte sono 8: le prime 5 riprendono sostanzialmente il criterio A (allucinazioni, deliri, eloquio disorganizzato, abnorme comportamento psicomotorio, sintomi negativi) e le restanti 3 indagano altri aspetti quali depressione, mania, impairment cognitivo. Un altro esempio molto rilevante è quello dell’autismo. Il DSM-5 ha abolito le singole diagnosi categoriali di Disturbo Autistico, Disturbo di Rett, Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, Disturbo di Asperger, Disturbo dello Sviluppo NAS, diagnosi ritenute poco stabili nel tempo e dai confini incerti e le ha sostituite con la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico1. 1Dipartimento di Medicina dei Sistemi, UOC di Psichiatria e Psicologia Clinica, Università di Roma Tor Vergata. Pervenuto il 17 marzo 2014. 142 Recenti Progressi in Medicina, 105 (4), aprile 2014 L’introduzione di una nota che enfatizza il ruolo del giudizio clinico nella diagnosi differenziale tra depressione e una normale risposta a una perdita significativa è un modo per mitigare le conseguenze dell’eliminazione del criterio di esclusione del lutto. Maj M. Clinical judgment and the DSM-5 diagnosis of major depression. World Psychiatry 2013; 12: 89-91. Il confine tra normalità e patologia Uno dei problemi più controversi della psichiatria è il confine tra normalità e patologia. I confini sono fisiologicamente incerti, basti pensare come il 4,2% della popolazione generale abbia nella propria vita un’esperienza allucinatoria o delirante accertata clinicamente da uno specialista psichiatra senza che questo configuri una diagnosi di disturbo dello spettro psicotico16. In realtà andrebbe specificato come negli ultimi decenni il target attuale della professione psichiatrica sia di fatto cambiato in maniera radicale spostando la propria attenzione dalla “follia” alla “salute mentale”, concetto che include numerose condizioni che si collocano lungo un continuum di normalità17. A questo riguardo, uno degli ambiti su cui maggiormente si è dibattuto sollevando sospetti di un’influenza delle case farmaceutiche sui componenti della task force del DSM-5 è il lutto e il confine tra la diagnosi di depressione maggiore e la fisiologica tristezza dopo la perdita di una persona cara. Nel DSM-5 scompare il criterio temporale di 2 mesi dopo un lutto, necessari perché si possa far diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore. Molti detrattori di questo cambiamento sostengono che eliminando questo criterio sarà possibile fare diagnosi di depressione anche a persone che presentano una “fisiologica tristezza” dopo poche settimane di distanza da un lutto, con il risultato di medicalizzare la normale emotività umana e favorire così le industrie farmaceutiche18. A questa contestazione, Kendler (membro della task force del DSM-5 sui “mood disorders”) ha obiettato che fare una diagnosi non implica necessariamente impostare una terapia e che questa spetta comunque al giudizio del clinico19. Inoltre, il DSM-5 specifica che, in presenza di un lutto, il manifestarsi di sentimenti come perdita di speranza, idee suicidarie, rallentamento psicomotorio e grave disfunzione globale rappresenta un elemento tale da determinare la diagnosi di Episodio Depressivo. Complessivamente, va tuttavia detto che il DSM-5 ha sicuramente contribuito ad ampliare il numero di diagnosi o i confini diagnostici (basti pensare alla diagnosi di ADHD o di Disturbo Cognitivo Minore), ma ci sono delle eccezioni. Una è la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, per la quale si è provveduto a una maggiore ristrettezza del campo diagnostico tale per cui sono in molti a concordare che le stime di prevalenza diminuiranno dopo l’introduzione del DSM-520. Un altro esempio è la cosiddetta Sindrome Psicotica Attenuata, nata inizialmente con l’intento di intercettare e trattare le fasi prodromiche dei disturbi psicotici, ma poi, dopo numerosi dibattiti e controversie circa il potenziale numero elevato di diagnosi di falsi positivi, relegata nella sezione appendice del DSM-5, con lo scopo di promuovere studi sull’argomento ed eventualmente trasformarla in una categoria diagnostica definitiva nelle future edizioni del manuale21. Conclusioni Numerose sono le criticità dell’attuale DSM e si potrebbero sollevare diverse obiezioni circa questo sistema diagnostico. Non vi è dubbio che l’inflazione diagnostica rappresenta un rischio potenzialmente grave per l’intera psichiatria e la sua credibilità, come pure l’assenza di sicuri marker biologici diagnostici come per il diabete o l’ipertensione. In questo senso, lo sforzo della ricerca di individuare dei domini sintomatologici con un preciso meccanismo neurobiologico in grado di superare le ristrettezze categoriali non può che essere apprezzabile e necessario. Resta tuttavia un obiettivo non ancora immediatamente raggiungibile (ma evidentemente la misurazione del comportamento umano è molto più difficile della misurazione del tasso ematico di una sostanza); al momento, in assenza di alternative, il DSM, pur con i suoi limiti, cerca di muoversi in questa direzione e resta perciò uno strumento diagnostico tanto fondamentale quanto criticabile. Take home messages • L’obiettivo di una rivoluzione della diagnosi in psichiatria, non più basata sull’osservazione clinica di una serie di sintomi e segni ma sulla presenza di specifici biomarker di laboratorio, non è stato raggiunto dal DSM-5. • Sono stati sollevati numerosi dubbi sul rischio di una inflazione di diagnosi e di una patologizzazione di aspetti o reazioni emotive fisiologiche. • Il DSM-5 ha apportato importanti cambiamenti rispetto al sistema diagnostico precedente, tra cui l’introduzione delle dimensioni accanto alle categorie diagnostiche tradizionali. • Sono stati riclassificati o riaggiornati numerosi disturbi, tra cui il Disturbo dello Spettro Autistico, i Disturbi di Personalità, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, la Schizofrenia, la Depressione e il Disturbo Bipolare. A. Siracusano, M. Ribolsi, C. Niolu: La pubblicazione del DSM-5: una rivoluzione a metà Bibliografia 1. American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing, 2013. 2. Hyman SE. Can neuroscience be integrated into the DSM-5? Nat Rev Neurosci 2007; 8: 725-32. 3. Miller G. Psychiatry. Beyond DSM: seeking a brainbased classification of mental illness. Science 2010; 327: 1437. 4. Casey BJ, Craddock N, Cuthbert BN, Hyman SE, Lee FS, Ressler KJ. DSM-5 and RDoC: progress in psychiatry research? Nat Rev Neurosci 2013; 14: 810-4. 5. Carroll BJ. Biomarkers in DSM-5: lost in translation. Aust N Z J Psychiatry 2013; 47: 676-8. 6. Maj M. Adherence to psychiatric treatments and the public image of psychiatry. World Psychiatry 2013; 12: 185-6. 7. Nonino F, Magrini N. DSM-5: una diagnosi e un farmaco non si negano a nessuno. Recenti Prog Med 2014; 105: 51-5. 8. Batstra L, Frances A. Diagnostic inflation: causes and a suggested cure. J Nerv Ment Dis 2012; 200: 474-9. 9. Cuthbert BN, Insel TR. 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