abraham m. nussbaum - l`esame diagnostico con il dsm-5

Dal catalogo
American Psychiatric Association
DSM-5. MANUALE DIAGNOSTICO E STATISTICO
DEI DISTURBI MENTALI
Quinta edizione
American Psychiatric Association
CRITERI DIAGNOSTICI - MINI DSM-5
John W. Burnhill (a cura di)
DSM-5. CASI CLINICI
PDM Task Force
PDM. MANUALE DIAGNOSTICO PSICODINAMICO
J. Shedler, D. Westen, V. Lingiardi
LA VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ
CON LA SWAP-200
Nuova edizione
A. Frances
LA DIAGNOSI IN PSICHIATRIA
Ripensare il DSM
J.W. Barron (a cura di)
DARE UN SENSO ALLA DIAGNOSI
ABRAHAM M. NUSSBAUM
L’ESAME
DIAGNOSTICO
CON IL
DSM - 5
®
www.raffaellocortina.it
Titolo originale
The Pocket Guide to DSM-5 Diagnostic Exam
© 2013 Abraham M. Nussbaum
First published in the United States by American Psychiatric
Publishing, A Division of American Psychiatric Association,
Arlington, VA. Copyright © 2013. All rights reserved.
First Published in Italy by Raffaello Cortina Editore in Italian.
Raffaello Cortina Editore is the exclusive publisher of The Pocket
Guide to DSM-5 Diagnostic Exam, first edition, © 2013 by Abraham
M. Nussbaum, M.D. in Italian for distribution Worldwide.
Permission for use of any material in the translated work must be
authorized in writing by Raffaello Cortina Editore.
The American Psychiatric Association played no role in the
translation of this publication from English to the Italian language
and is not responsible for any errors, omissions, or other possible
defects in the translation of the publication.
Traduzione
Maria Paola Nazzaro
ISBN 978-88-6030-663-0
© 2014 Raffaello Cortina Editore
Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 2014
Stampato da
L.E.G.O. Stabilimento di Lavis (Trento)
per conto di Raffaello Cortina Editore
Ristampe
0 1 2 3 4 5
2014 2015 2016 2017 2017
Indice
Nota introduttiva all’edizione italiana
(Franco Del Corno, Vittorio Lingiardi)
VII
Prefazione
XV
SEZIONE I
1 Introduzione al colloquio diagnostico
3
2Costruzione dell’alleanza terapeutica durante
il colloquio diagnostico
15
3 Il colloquio diagnostico di 30 minuti
25
4 Avventure tra le dimensioni
37
5 Cambiamenti principali del DSM-5
45
SEZIONE II
6 Il colloquio diagnostico con il DSM-5
63
SEZIONE III
7 Una versione breve del DSM-5
205
8 Un approccio graduale alla diagnosi differenziale
211
9 L’esame dello stato mentale: un glossario psichiatrico
215
10Il consiglio americano di valutazione delle competenze
cliniche di psichiatria e di neurologia
219
11 Strumenti scelti di valutazione del DSM-5
221
12 Diagnosi dimensionale dei disturbi di personalità
229
13Sistemi diagnostici e scale di valutazione alternativi
255
Bibliografia
259
Indice analitico
00
Nota introduttiva
all’edizione italiana
Franco Del Corno e Vittorio Lingiardi
Una mappa, così l’autore definisce questo volume, non ha
bisogno di preamboli e introduzioni. Va aperta e usata per
trovare la strada. A maggior ragione se la strada è quella che
conduce all’intervista clinico-diagnostica, ancor più se basata
su un manuale dettagliato fino all’ossessività come è il DSM‑5.
Tuttavia, avendo negli ultimi anni speso non poco tempo a studiare luci e ombre del DSM-5, riteniamo utile mettere in evidenza alcune caratteristiche di questo pragmatic­ companion­,
altra definizione dell’autore, e condividerle con il lettore
italiano.
Nella sua organizzazione pratica questa pocket guide segue
la struttura del DSM-5, ma il suo obiettivo non è certo quello di rappresentare un mini DSM-5. Piuttosto, di fornire al
clinico un modo rapido ed efficiente di utilizzare il Manuale
diagnostico all’interno di un’intervista diagnostica completa
della durata di 30 minuti.
Come sappiamo, la storia delle edizioni del DSM (APA,
1952, 1968, 1980, 1987, 1994, 2000, 2013) è caratterizzata
dal riproporsi di critiche che ne hanno messo in discussione diversi aspetti, dalle scelte metodologiche ai fondamenti clinici stessi. Dentro questa mole di critiche e commenti,
è possibile leggere in filigrana alcune contrapposizioni storiche mai destinate a comporsi, tanto che si sono presentate puntualmente anche dopo la pubblicazione dell’ultimo
prodotto di questa longeva tradizione manualistica. Innanzitutto il dibattito tra fautori e oppositori dell’assessment
diagnostico in psichiatria e in psicologia clinica: ogni denominazione diagnostica è accusata di tradire la peculiarità
del funzionamento del soggetto, in nome di esigenze tassonomiche che penalizzano la possibilità di un’autentica comprensione della sua sofferenza. In secondo luogo, anche tra
coloro che avvertono l’esigenza di mettere ordine, attraverso la proposta di una nomenclatura diagnostica, nella congerie cospicua e complessa dei disturbi mentali, l’incessante
discussione tra fautori dei modelli diagnostici nosograficodescrittivi (symptom-­behavior oriented e, almeno nelle inten-
VIII
L’esame diagnostico con il DSM-5
zioni, ateorici) e modelli interpretativo-esplicativi, che prendono in considerazione l’eziopatogenesi dei singoli disturbi
e la leggono alla luce di un modello teorico dello sviluppo.
In particolare, dopo la pubblicazione del DSM-III (il primo
ad avere diffusione internazionale e ad affermarsi come standard con il quale comunque confrontarsi, per aderirvi o per
rifiutarlo), furono particolarmente vivaci le critiche relative
al fatto che nel Manuale fosse sostanzialmente scomparsa la
dimensione psicologica del disturbo psichiatrico. Sono numerose, nella letteratura degli anni Ottanta, le affermazioni
che vanno in questa direzione. Per esempio, Lorna Benjamin
(1986, p. 600) scrive che il DSM-III “trascura i principali fattori intrapsichici, tradizionalmente di grande importanza per
gli psicoterapeuti”. Ma già nel 1982, al Congresso nazionale
dell’American Psychiatric Association a Toronto (Klerman
et al., 1984), Robert Michaels sottolineava come dal DSM-III
fossero stati esclusi i concetti di conflitto e di mentalism,
e George Vaillant, provocatoriamente, auspicava che nella
Task Force del DSM-IV venissero inclusi Sigmund Freud,
Eugen Bleuer e Adolf Meyer, per riequilibrare una situazione che gli appariva colpevolmente sbilanciata.
Può sembrare paradossale che in parziale difesa del DSM‑III
si pronunciassero due psicoanalisti (Rubin e Gertrude Blanck,
1986, p. 129), scrivendo che “lo scopo per cui il DSM-III è
stato introdotto era quello di migliorare il DSM‑II, che non
forniva attendibilità fra valutatori diversi…”. Effettivamente, la scelta del paradigma sintomatologico‑comportamentale
e dei criteri diagnostici operazionalizzati aveva appunto lo
scopo di incrementare l’attendibilità e la validità diagnostica.
Accanto a questa preoccupazione, tuttavia, non era stata trascurata anche quella di mettere a punto un manuale che fosse
utilizzabile nell’attività clinica degli operatori che, per esempio, si riconoscevano nel paradigma psicodinamico. Non a
caso, Robert Spitzer, capo della Task Force del DSM-III, nel
già citato Congresso rimprovera a Vaillant e Michaels di non
avere fatto le loro osservazioni prima del 1980 e di non aver
collaborato con lui alla costruzione del Manuale. In realtà,
l’idea di un sesto asse orientato al trattamento (che avrebbe
implicato una riflessione sulle dimensioni non esclusivamente fenomeniche della psicopatologia e avrebbe introdotto il
tema dell’eziopatogenesi) si era più volte presentata, ma non
aveva avuto alcun seguito concreto: lo stesso Peter Giovacchini (1981), che ne sosteneva l’importanza, aveva tuttavia
giudicato il progetto impraticabile.
Nota introduttiva all’edizione italiana
IX
Non è difficile individuare il motivo sotteso a queste difficoltà: contemperare e integrare due modelli diagnostici
che, probabilmente, non possono trovare spazio in un unico contenitore.
Tuttavia, poiché la storia dei DSM è tutt’altro che lineare
e la caratterizzano corsi e ricorsi (ai quali forse va anche attribuita l’indubbia vivacità del Manuale), il tentativo non
viene completamente abbandonato. La pubblicazione del
DSM-IV vede infatti la comparsa di tre Assi raccomandati
“per ulteriori studi”, che indirizzano l’attenzione a quella
dimensione intrapsichica e relazionale di cui, nelle edizioni
precedenti, era stata ripetutamente lamentata l’assenza. La
Scala del Funzionamento Difensivo prevede sette funzionamenti difensivi specifici, nonché un glossario sui meccanismi
di difesa, in cui compaiono termini come “conflitto emotivo” e concetti quale quello di “stressor interno”. La Scala
di Valutazione Globale del Funzionamento Relazionale valuta il livello al quale la famiglia o un’altra unità sociale soddisfano i bisogni affettivi o strumentali dei suoi membri. È
degno di nota il fatto che compaiano termini come “qualità
dell’attaccamento-affidamento”, “tono e gamma dei sentimenti”… La Scala di Valutazione del Funzionamento Sociale e Lavorativo tiene in considerazione questi temi, indipendentemente dalla sintomatologia del paziente. In quegli
anni, questi nuovi Assi accesero le speranze dei molti che
auspicavano un’apertura del più cospicuo rappresentante
dei sistemi nosografico-descrittivi all’esplorazione di aree
del funzionamento psichico che erano sembrate espunte per
sempre, nella prospettiva di una rigida adesione al modello
symptom-behavior oriented e ateorico.
Di fatto, l’edizione successiva, il DSM-IV-TR, non darà voce a queste speranze. In un modo o nell’altro, saranno le successive agendas (letteralmente, “le cose da fare”) per il DSM-5
(anzi, allora, DSM-V; Kupfer et al., 2002; Phillips et al., 2003),
che riproporranno alcuni di questi temi. Il DSM-5, ricordiamo, è stato concepito dai vertici dell’American Psychiatric
Association circa una decina di anni fa e realizzato da una
Task Force costituita da diversi work-group composti da ricercatori, clinici, e anche avvocati. Man mano che trovavano
una definizione, i criteri venivano posti su di un apposito sito
online per verificare l’effetto che sortivano sul pubblico dei
professionisti della salute mentale.
Se da un lato Nussbaum sottolinea di non poter sostenere
che il “DSM-5 sia senza difetti”, dall’altro afferma che esso
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L’esame diagnostico con il DSM-5
“migliora l’accuratezza delle diagnosi psichiatriche misurando la gravità di un disturbo, allineando le diagnosi con l’International Classification of Diseases (ICD) e introducendo i
recenti avanzamenti delle neuroscienze” (p. 3).
Oggi, il DSM-5 testimonia quanti e quali cambiamenti sono stati fatti in questa direzione. Rispetto alle agendas, è stato accettato il suggerimento dell’abolizione degli Assi, è stato introdotto uno strumento per l’inquadramento culturale
della sofferenza del soggetto, la prospettiva dimensionale ha
acquistato più spazio che mai in passato. Prospettiva, quella
dimensionale, che è stata introdotta per ridurre le comorbilità tra i vari disturbi, misurare l’importanza di un sintomo
e, come dice Nussbaum (p. 5), “iniziare a muoversi verso un
sistema diagnostico basato su quei segni che indicano una
disfunzione dei circuiti neuronali, piuttosto che un sistema
diagnostico basato sui sintomi”. Rispetto alle precedenti versioni del DSM, un punto di svolta. Tuttavia, un nuovo approccio ai disturbi di personalità, caldeggiato fin dai tempi
del DSM‑IV‑TR, è relegato nella Sezione III (e c’è chi sostiene che la sezione finale del manuale, quella tradizionalmente dedicata a ulteriori studi e approfondimenti, ha sempre
svolto la funzione di una sorta di “binario morto”) e non crediamo che i fautori della dimensione psicologica dei disturbi
mentali possano dirsi completamente soddisfatti dell’organizzazione del Manuale. Non sembra però completamente
perduto l’intento di contemperare il tradizionale descrittivismo fenomenico con un approccio alla diagnosi psichiatrica e – soprattutto – a un rapporto fra diagnosta e paziente
che non si limiti all’osservazione più o meno oggettivante,
ma individui nella buona qualità dell’interazione la precondizione per una comprensione valida, attendibile e clinicamente utilizzabile.
La pocket guide, parte organica del “progetto DSM-5” (così come lo sono gli altri companion books, nonché gli strumenti di valutazione diagnostica online), cerca di tradurre
concretamente alcune delle aspettative di coloro che avevano
ritenuto irrinunciabile la presenza, in uno strumento per la
diagnosi psichiatrica, di un “sapere di sfondo” (per dirla con
Karl Popper), che trova nei concetti di relazione, alleanza, dimensione i suoi cardini ed elementi qualificanti. In particolare, all’alleanza terapeutica viene dedicato un intero capitolo
del volume, il capitolo 2 (“Costruzione dell’alleanza terapeutica durante il colloquio diagnostico”), dove si afferma che
essa è il “nucleo del colloquio diagnostico”, il cui scopo non è
Nota introduttiva all’edizione italiana
XI
tanto “la valutazione dei sintomi psichiatrici” quanto piuttosto la formazione di un’alleanza che implica “imparare a pensare con il proprio paziente” (p. 23). La funzione essenziale
della diagnosi, “dare un nome condivisibile alla sofferenza di
un individuo”, è senz’altro un obiettivo fondamentale della
relazione clinica, ma una diagnosi veramente accurata è formulabile solo se si stabilisce una relazione­tra il clinico e il paziente. Con le parole di Nussbaum: “nel suo insieme questo
libro aiuta a fare diagnosi precise alle persone che hanno un
disturbo mentale mentre si stabilisce un’alleanza terapeutica,
che rimane l’obiettivo principale di ogni incontro psichiatrico, anche se di breve durata” (p. 17).
Di questo parla il libro di Abraham Nussbaum, assistant
professor presso il dipartimento di Psichiatria dell’Università
del Colorado e direttore del servizio psichiatrico per adulti.
Al tradizionale approccio sintomatologico-comportamentale egli giustappone un elenco di warnings, che indicano il
modo ottimale di raccogliere gli elementi informativi necessari alla diagnosi secondo il DSM-5 con, in più, una specifica attenzione all’utilizzabilità della diagnosi nel lavoro clinico con il paziente, che non termina con l’attribuzione di un
nome al disturbo, ma prosegue con una “restituzione” e la
programmazione di un trattamento. Infatti, come osserva
l’autore, in un mondo in cui il numero e la capacità dei servizi di salute mentale sono purtroppo limitati, è fondamentale
focalizzare risorse e attenzione su diagnosi e prognosi, cioè
su un trattamento “a misura” di paziente. “Siate sicuri”, scrive Nussbaum (p. 34), “di comprendere nella vostra esposizione i fattori predisponenti biologici, sociali e psicologici,
gli attuali stressor psicosociali e le difese tipiche. Infine preparatevi a fornire un elaborato integrato, pianificazione del
trattamento e prognosi. Un modo per farlo è seguire una piramide invertita, in cui le preoccupazioni più pressanti vengono rivolte alla base”.
A proposito di difese, non è stato possibile, e forse non lo
sarà mai, costruire un Asse VI (e, a maggior ragione, ora che
gli Assi non esistono più!) per la cura e/o per la valutazione
delle dimensioni intrapsichiche e relazionali sottese ai sintomi, per esempio i meccanismi di difesa. Ma forse è possibile
utilizzare il DSM-5 tenendo nella mente le specifiche avvertenze che il volume propone, perché all’ordine concettuale
garantito dalla nosografia organizzata nel Manuale si affianchi la possibilità di una conoscenza acquisita nel rispetto delle condizioni ottimali di ogni lavoro clinico: la costruzione di
XII
L’esame diagnostico con il DSM-5
una relazione con il paziente, rispettosa del bisogno comune
di alleanza per conseguire i risultati attesi.
È interessante ricordare che, nei molti commenti (spesso
sfavorevoli) che hanno preceduto e seguito la pubblicazione del DSM-5 negli Stati Uniti e anche nel nostro Paese, non
si è pressoché mai fatta menzione dell’esistenza di questo
volume, benché sia stato pubblicato contemporaneamente
al Manuale. Certamente questa guida da sola non rappresenta la realizzazione di quel modello integrato di diagnosi
nosografico-descrittiva e interpretativo-esplicativa che inseguivamo nei primi anni Ottanta. Con la mole delle sue 1152
pagine (nell’edizione italiana) e le sue più di 300 etichette
diagnostiche, il DSM-5 testimonia che sintomi e comportamenti continuano ad avere un ruolo privilegiato nel Manuale­,
non solo come “strumento di servizio” ma anche come “modello” diagnostico che viene proposto. Tuttavia, chi ama cogliere e soppesare i segnali di cambiamento non potrà non
leggere in questa direzione alcuni approcci del DSM-5 che
Nussbaum recupera e sostiene nel suo volume: l’Intervista
per l’inquadramento culturale, il WHODAS 2.0, che sostituisce il riduzionismo del Global Assessment of Functioning,
il tema dell’alleanza diagnostica/terapeutica, l’elenco dei sistemi diagnostici alternativi (p. 255). A proposito di questi ultimi, se il riferimento all’International Classification of
Diseases (ICD, la cui undicesima edizione è prevista per il
2017) era più che prevedibile, quello al Manuale diagnostico psicodinamico (PDM), che “si focalizza sulla salute e il disagio psicologico di una persona in particolare” (p. 256) è
una piacevole sorpresa. Si tratta forse di piccole innovazioni, nell’impianto e nella filosofia generale del DSM-5 ma, a
nostro parere, vanno nella direzione giusta.
Bibliografia
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Nota introduttiva all’edizione italiana
XIII
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Blanck, R. e G. (1986), Beyond Ego psychology. Developmental
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Klerman, G.L. et al. (1984), “A debate on DSM-III”. Am. J. Psychiat.,
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Kupfer, D.J. et al. (2002), A research agenda for DSM-5. American
Psychiatric Association, Washington, DC.
Phillips, K.A. et al. (2003), Advancing DSM. American Psychiatric
Association, Washington, DC.