Studio retrospettivo su 154 casi di PDA Silvia Maria Repetto DMV [email protected] Claudia Vinci DMV [email protected] Roberto Bussadori DMV [email protected] Oggetto Valutare la procedura, le complicazioni, la mortalità e la risoluzione a lungo termine in un gruppo di pazienti con dotto arterioso persistente, trattati esclusivamente con tecniche chirurgiche. Considerazioni sulla chirurgia tradizionale alla luce dell’introduzione delle procedure interventistiche mininvasive. Introduzione Il Dotto di Botallo è un vaso sanguigno che durante la vita fetale mette in comunicazione l’arteria polmonare con l’aorta discendente. Al momento della nascita normalmente si occlude, ma quando ciò non accade si parla di Dotto Arterioso Persistente (PDA). La sintomatologia varia in base alle dimensioni del dotto: i pazienti possono presentarsi da asintomatici a gravemente dispnoici, qualora insorga edema polmonare. All’auscultazione si riscontra la presenza di un soffio cardiaco continuo (soffio di Gibson). Le radiografie del torace rilevano dilatazione delle arterie e delle vene polmonari; l’atrio e il ventricolo sinistri possono risultare ingranditi con dilatazione dell’arteria polmonare principale e dell’aorta discendente. L’elettrocardiografia può evidenziare alterazioni quali un aumento dell’ampiezza dell’onda P e dell’onda R. L’esame ecocardiografico permette di effettuare diagnosi di certezza, misurare le dimensioni del dotto, identificare altre patologie cardiache associate al PDA, eseguire una valutazione preoperatoria e monitorare il recupero postoperatorio. Materiali e metodi Sono stati rivalutati i dati clinici di pazienti trattati per PDA esclusivamente con tecniche chirurgiche. Abbiamo incluso nello studio sia i pazienti che sono stati indirizzati alla chirurgia tradizionale come prima scelta, sia quelli in cui non è stato possibile effettuare una tecnica mininvasiva transcatetere. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visita clinica, esami emocromocitometrici e biochimici, RX, ECG ed ecocardiogafia preoperatori. Risultati Lo studio è stato condotto su 154 casi di PDA (152 cani e 2 gatti). Fra i cani, 102 soggetti (67,1%) erano di sesso femminile e 52 (32,9%) di sesso maschile, con un rapporto, quindi, quasi di 3:1. Si è riscontrato che la razza canina maggiormente predisposta è il pastore tedesco (42 casi su 152). Gli altri due gruppi prevalenti sono rappresentati da razze non solitamente predisposte (33/152) e dai meticci (22/152). Non si segnalano razze brachicefaliche. L’età di presentazione dei pazienti evidenzia due picchi di distribuzione, uno in corrispondenza dei 4 mesi di età e l’altro fra 1 e 2 anni di età. Dal punto di vista clinico, in tutti i casi era presente, all’auscultazione, un soffio continuo mentre in 80 casi su 154 (52%) si riscontravano tachipnea, dispnea ed intolleranza all’esercizio. Radiograficamente, 13 pazienti (8,4%) avevano dimensioni cardiache normali, 114 (74%) presentavano una cardiomegalia moderata mentre per 27 pazienti (17,6%) la cardiomegalia era grave. L’esame ecocardiografico ha rilevato un aumento delle dimensioni del ventricolo sinistro in 141 casi (91,5%), un’insufficienza mitralica in 30 casi (19,5%) ed una dilatazione di vario grado dell’arteria polmonare principale in 151 casi (98%). Sono state eseguite 4 differenti tecniche di legatura chirurgica del dotto. In particolare: in 31 pazienti (20,1%) si è utilizzata la tecnica con filo ad ansa, in 10 pazienti (6,5%) la tecnica del nodo, in 111 pazienti (72,1%) la tecnica con pinza di De Bakey, messa a punto nel nostro Centro, mentre solo in 2 pazienti (1,3%) la tecnica di Jackson. I materiali utilizzati nella legatura chirurgica sono stati, nel 6,5% dei casi (10 su 154) il nylon 1 USP e nel 93% dei casi (143 su 154) la seta 1 USP. In un solo caso su 154 (0,5%), in un gatto, si è utilizzato un prolene 4-0 per risuturare il dotto che era andato incontro a rottura intraoperatoria. Le complicazioni che si sono presentate in corso di chirurgia sono state: fibrillazione ventricolare (2 casi su 154, di cui uno defibrillato ed uno deceduto), rottura intraoperatoria del dotto (3 casi su 154; in tutti è stato possibile effettuare la riparazione del dotto e la sua chiusura senza altre conseguenze per i pazienti), ipertensione polmonare acuta (1 caso su 154, ad esito fatale) e pervietà residua (1 caso su 154, non emodinamicamente rilevante). Conclusioni Nella nostra esperienza l’approccio chirurgico rappresenta una scelta obbligata quando le condizioni sono tali da non poter sottoporre il paziente alla tecnica interventistica: animale di dimensioni estremamente ridotte e dotto di diametro superiore ai 9 mm. Questa condizione ha influito sulla difficoltà degli ultimi interventi aumentando il rischio di rottura del dotto. L’introduzione della tecnica di monitoraggio TEE ha permesso di ovviare completamente alla complicanza conosciuta come still patent ductus (pervietà residua) tramite la visualizzazione diretta dell’interruzione del flusso attraverso il dotto sul versante polmonare durante la legatura chirurgica. Bibliografia 1. Buchanan JW. “Patent ductus arteriosus: morphology, pathogenesis, types and treatment.” J Vet Cardiol 2001; 3:7-1; 2. Bussadori R, Longo A, Domenech O, Bussadori C “Estudio retrospectivo de 60 casos de conductos arterioso persistente (CAP) tratados quirurgicamente” Atti del 36°Congreso Nacional de A.V.E.P.A., Barcelona 2-4 Novembre 2001; 3. Goodrich KR, Kyles AE, Kass PH, Campbell F “Retrospective comparison of surgical ligation and transarterial catheter occlusion for treatment of patent ductus arteriosus in two hundred and four dogs (1993-2003) Vet Surg 36:43-49, 2007. Ovariectomia e ovario isterectomia laparo assistita nel cane e nelgatto esperienze personali in 86 casi Buzzigoli D [email protected] Introduzione Le tecniche chirurgiche mini invasive sono ampiamente utilizzate in chirurgia veterinaria. Il vantaggio di queste metodiche risiede nel minor danno ai tessuti e in una maggiore precisione della tecnica chirurgica. Lo svantaggio risiede nella necessità di strumentario dedicato e costoso e di un training complesso dello staff chirurgico ed anestesiologico. Le procedure laparo assistite mantengono gli stessi vantaggi delle tecniche mini invasive, riservando le manovre più complesse a tecniche extracorporee più rapide e meno tecnicamente impegnative. Il presente lavoro riporta le esperienze personali in ottantasei casi di ovariectomia e ovario isterectomia laparo assistite nel cane e nel gatto. Descrizione Tutti i pazienti sono stati pre-medicati , intubati e mantenuti con anestesia gassosa con isofluorano, la maggior parte non ha necessitato di respirazione assistita. ( la tecnica anestesiologica non rientra tra gli obbiettivi di questo lavoro). Il paziente viene posizionato sul dorso e preparato con una tricotomia ampia. L’utilizzo di un supporto a V permette una più agevole rotazione sul fianco del paziente, non sono stati utilizzati posizionamenti a test in giù o Trendelenburg. La vescica và svuotata. Il pneumo peritoneo è stato creato insufflando CO2 a una pressione 10-15 mm Hg nel cane 8-10 mm Hg nel gatto, direttamente nella prima cannula di servizio. Nella tecnica di ovariectomia, viene utilizzata una sola porta sulla linea mediana, circa un cm sotto l’ombelico, per l’introduzione di una cannula di servizio con tecnica aperta, che permette la creazione del pneumo peritoneo e l’introduzione dell’ottica. Una volta inserita l’ottica, il paziente viene posto su di un fianco. Con una pinza da presa da 3 mm, introdotta tramite una minibreccia sulla parte laterale dell’addome, l’ovaio viene preso, esteriorizzato ed asportato con la relativa borsa in tecnica extracorporea. Asportato l’ovaio, il corno uterino viene reinserito nell’addome, la fascia viene suturata e il paziente viene ruotato sull’altro fianco, dove la procedura viene ripetuta sull’ovaio contro laterale. Al termine della procedura, il pneumo peritoneo viene eliminato e la fascia, sottocute e cute suturate. Nella tecnica per l’ovario isterectomia, una seconda porta viene creata sempre con tecnica aperta, circa un cm cranialmente alle ultime mammelle inguinali sulla linea mediana e servirà’ come porta per gli strumenti (pinza da presa, pinza bipolare, forbici da laparoscopia). Una volta creato il pneumo peritoneo ed inserita l’ottica nella porta ombelicale, l’ovaio viene preso con una pinza laparoscopica da 3 mm introdotta tramite la parete addominale e il peduncolo ovarico viene disteso in modo da potere evidenziare i vasi da cauterizzare e tagliare. E’ possibile ottenere lo stesso risultato, portando l’ovaio, con una pinza inserita nella seconda porta, verso la parte addominale e suturandolo alla parete stessa, tramite un punto passante inserito dall’esterno. La fase successiva della chirurgia, prevede la cauterizzazione del peduncolo ovarico tramite coagulazione bipolare e il suo taglio tramite forbice laparoscopica. La stessa procedura sarà poi eseguita sul peduncolo ovarico contro laterale, dopo avere ruotato il paziente sull’altro fianco. L’ovaio e l’utero vengono quindi presi con una pinza inserita nella cannula caudale, esteriorizzati ed asportati dopo legatura extracorporea. Le brecce chirurgiche vengono chiuse per strati . Discussione Ad oggi ho praticato 86 sterilizzazioni laparo assistite: 40 ovariectomie nel gatto, 17 ovario isterectomie nel gatto, 19 ovariectomie nel cane e 10 ovario isterectomie nel cane. Le complicanze incontrate si sono verificate soprattutto nella prima fase della curva d’apprendimento della tecnica. In particolare si sono verificate tre lacerazioni di milza in tre cani, durante l’inserimento della cannula a livello peri ombelicale, che hanno richiesto una sutura della capsula splenica in chirurgia aperta.In un cane di grossa taglia, una lesione di un vaso maggiore della parete addominale a livello di fossa del fianco, ha richiesto la legatura del vaso. Altre complicanze minori sono state tre ernie ombelicali di piccole dimensioni, dovute a deiscenza dei punti sulla fascia. Nella mia casistica non si sono mai avute emorragie a livello di peduncolo dopo coagulazione bipolare, che deve essere comunque praticata in modo scrupoloso, specie in animali obesi. Particolare attenzione deve essere riservata ai tessuti adiacenti (reni o anse intestinali). Conclusioni La legatura dell’utero o del peduncolo ovarico in tecnica esterna laparo assistita, permette di ridurre i tempi della procedura ed i rischi sia chirurgici sia anestesiologici. Questo rende le tecniche laparo assistite una valida alternativa per il chirurgo pratico. Bibliografia 1. Devitt CM , Cox RE, Hailey JJ: Duration, complications, stress and pain of open ovariohysterectomy versus a simple method of laparoscopic-assisted ovariohysterectomy in dogs J Am Vet Med Assoc 227:921-927, 2005 2. Davidson EB, Moll HD, Payton ME: Comparison of laparoscopic ovaryohysterectomy and ovariohysterectomy in dogs. Vet Surg 33: 62-69, 2004 3. Van Goethem B, Rosenvelt KW, Kirpensteijn J: Monopolar versus bipolar electrocoagulation in canine laparoscopic ovariectomy: a non randomized, pospective clinical trial. Vet Surg 32: 464470, 2003 Fallimento monolaterale di un flap assiale epigastrico superficiale bilaterale simmetrico: stessa tecnica e stesso chirurgo per 2 risultati diversi Barbara Carobbi DMV MRCVS [email protected] Richard A. S. White PhD, Dipl ACVS, DSAS(soft tissue), MRCVS 2 Introduzione. L’asportazione chirurgica dei sacchi anali presenta nell’immediato postoperatorio una bassa incidenza di complicanze. Esse sono dovute ad errori nella gestione chirurgica del paziente e sono rappresentate da incontinenza fecale, fistole e infezioni della ferita. Fistole ed infezioni sono dovute nella maggior parte dei casi a contaminazione fecale nell’intra o nell’immediato post-operatorio. La gestione di una ferita infetta prevede la chiusura per prima intenzione o, se questa non è possibile, la ricostruzione con un flap di avanzamento e scorrimento, oppure con un flap cutaneo peduncolato e non, oppure con un innesto cutaneo libero. In generale la tecnica più semplice è sempre da preferire, e in particolare è dimostrato che il flap assiale peduncolato garantisce il risultato migliore in caso di difetti cutanei estesi. Il flap assiale epigastrico superficiale caudale, introdotto da Pavletic nel 1999, permette di correggere difetti cutanei estesi a carico di addome, fianco, perineo, prepuzio e arto posteriore. Le complicanze più frequenti di tale tecnica sono infezioni, deiscenza della ferita e necrosi del flap, sebbene la loro incidenza dipenda più dalle capacità del chirurgo che dalla tecnica in se stessa. Qui di seguito viene riportato un caso di necrosi parziale unilaterale dopo chirurgia ricostruttiva con flap epigastrico superficiale bilaterale non simultaneo per il trattamento di una ferita infetta conseguente a rimozione chirurgica dei sacchi anali. Case clinico. Un cane bassotto, maschio intero, di 6 anni di età, viene riferito perché in seguito alla rimozione dei sacchi anali ha sviluppato necrosi estesa dei tessuti perianali. All’esame clinico vengono riscontrate numerose soluzioni di continuo della cute con tessuto infetto e necrotico a carico delle regioni perineale, inguinale e delle ali dell’ileo. Dopo aver prelevato un campione per l’esame batteriologico, viene eseguita una pulizia chirurgica delle ferite, che richiede anche la rimozione del tessuto scrotale necrotico e la castrazione. Le ferite vengono trattate con un bendaggio quotidiano “wet-to-dry” per eliminare il rimanente tessuto necrotico ed infetto, stimolare la crescita del tessuto di granulazione e ottenere delle condizioni tissutali ideali per l’esecuzione di una chirurgia ricostruttiva. In attesa dei risultati dell’antibiogramma viene istituita una terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico (8,75 mg kg-1 TID IV) e metronidazolo (10 mg kg-1 BID IV nell’arco di 20 minuti) in associazione. Cinque giorni più tardi l’associazione viene sostituita con la cefalessina (15 mg kg-1 BID per os, per 12 giorni), sulla base dell’esame colturale che indica la presenza di coliformi e staffilococchi coagulasi-negativi sensibili a tale antibiotico. A distanzia di 7 giorni dal ricovero il difetto cutaneo destro viene chiuso con un flap assiale epigastrico superficiale caudale ruotato di 180°, che non da luogo a complicazioni nel postoperatorio. Il difetto cutaneo sinistro invece non presenta ancora le condizioni ideali per la chirurgia e quindi viene chiuso con la medesima tecnica chirurgica dopo altri quattro giorni di terapia con bendaggi “wet-to-dry” quotidiani. A distanza di 24 ore il flap si presenta con una porzione distale con segni di necrosi ed una porzione prossimale congesta tra loro nettamente demarcate. Malgrado non siano evidenti segni esterni di tensione si decide ugualmente di rimuovere alcuni punti di sutura per favorire la microcircolazione. A 7 giorni dall’intervento il flap si presenta ancora scarsamente vitale e viene pertanto asportato. La porzione craniale della ferita viene suturata, mentre nella porzione caudale vengono applicate delle suture di avvicinamento e la ferita viene fatta guarire per seconda intenzione. Il paziente viene dimesso 23 giorni dopo il ricovero, quando le ferite presentano tessuto di granulazione maturo e retrazione cicatriziale e riepitelizzazione in fase avanzata. Non viene prescritta alcuna terapia domiciliare, se non la pulizia delle ferite con soluzione fisiologica secondo necessità. Al follow-up di 1 mese è presente solamente un’area di 0,5 cm di diametro, in corrispondenza della ferita perineale guarita per seconda intenzione, che si presenta non ancora completamente riepitelizzata. Al controllo successivo, un mese dopo, le ferite sono completamente guarite. Conclusioni. E’ stato suggerito in bibliografia che l’abilità del chirurgo influenzi la percentuale di sopravvivenza dei flap cutanei. Nel nostro caso l’esecuzione di due flap bilaterali simmetrici da parte dello stesso chirurgo, esperto di chirurgia ricostruttiva, ha portato a due risultati opposti. L’utilizzo di flap cutanei permette di ridurre i tempi di guarigione ed evita l’eccessiva cicatrizzazione tipica della guarigione per seconda intenzione. Viene così ridotto il rischio di problemi funzionali dell’ano e degli arti posteriori, come riportato in letteratura. Il paziente oggetto del presente caso clinico avrebbe beneficiato dell’esecuzione contemporanea dei due flap, ma ciò non è stato possibile a causa della diversa evoluzione delle ferite primarie. Sebbene la percentuale di sopravvivenza dei flap assiali possa raggiungere il 100%, la necrosi della punta del flap è una possibile complicanza della tecnica. Se da un lato i meccanismi eziopatogenetici sono molti, ma tutti riconducibili ad alterazioni della microcircolazione, dall’altro la terapia prevede l’utilizzo di ossigeno iperbarico o la somministrazione di farmaci trombolitici. Mentre la terapia con ossigeno iperbarico si è dimostrata utile, ma nel nostro caso non era disponibile, l’efficacia della terapia trombolitica è ancora controversa e per questo non è stata utilizzata. Nel caso descritto le due chirurgie sono state effettuate dallo stesso chirurgo e dimensioni del flap ed estensione della copertura erano esattamente gli stessi. L’ipotesi è che il fallimento del secondo flap sia stato causato da una compressione dei vasi dovuta ad una linea di tensione perpendicolare alla lunghezza del flap. Questa linea si sarebbe creata in un punto dove la ferita era un po’ più larga del flap. La rapidità con cui i fenomeni si sono manifestati supporta l’ipotesi di un danno vascolare, che di solito si manifesta nelle prime 12-24 ore. Criptorchidectomia laparoscopico assistita in un bulldog Barilli M. DVM, Rossi F.DVM DECVD, SRV Introduzione Il criptorchidismo è un difetto congenito di uno o entrambi i testicoli che non discendono entro i tempi dovuti nello scroto. La posizione del testicolo ectopico può essere prescrotale, inguinale o addominale e quindi in condizioni anomale che possono predisporre a conseguenze come neoplasie e/o torsioni. Essendo anche un’anomalia legata a gene autosomico recessivo e quindi ereditaria è consigliabile l’orchiectomia. Caso clinico Il cane del nostro caso è un Bulldog inglese, maschio di 9 mesi che è stato sottoposto alla nostra attenzione proprio perché presentava un solo testicolo nello scroto. La visita clinica evidenziava la mancanza nello scroto del testicolo sinistro che peraltro non era palpabile nemmeno a livello inguinale. Un’ecografia addominale successiva ha individuato il testicolo sinistro in addome vicino alla vescica. Al proprietario è stata proposta l’orchectomia bilaterale ma egli ha accettato l’asportazione del solo testicolo criptico. Dopo gli accertamenti pre-operatori (radiografie torace e profilo emato-chimico completo) il cane è stato sottoposto a criptorchiectomia laparoscopico assistita. Dopo preparazione del campo operatorio e posizionato il cane in Trandellburg positivo, tramite ago di Veress abbiamo creato il pneumoperitoneo con anidride carbonica ad una pressione di 10 mm/mg; il portale ottico è stato creato ad un centimetro caudalmente l’ombelico con una cannula da 5 mm. Individuato il testicolo ritenuto è stata posizionata la seconda cannula da 5 mm in modo da afferrarlo poi con una pinza laparoscopica ed esteriorizzarlo dopo ampliamento dell’incisione precedente. Con una sutura quindi extracorporea abbiamo eseguito l’orchiectomia e riposizionato il funicolo in addome. Abbiamo poi suturato fascia addominale, sottocute e cute delle due piccole incisioni. Discussione La letteratura riguardante la criptorchidectomia laparoscopica nel cane1,2,3 non è molto estesa però comprende sia una tecnica laparoscopica propriamente detta con sutura del funicolo intracorporea mediante clip o endoloop oppure una tecnica laparoscopico assistita con sutura extracorporea. La nostra scelta si è orientata verso la seconda opzione per motivi di minor invasività e maggiore rapidità di esecuzione. Per ciò che riguarda la scelta della tecnica mini-invasiva versus la tecnica open, ci convince il rapido recupero post-operatorio, il minor dolore dovuto a piccole incisioni cutanee e la comunque rapida esecuzione della procedura. Conclusione Dopo questa esperienza ci sentiamo di consigliare come alternativa alle tacniche open o a quella laparoscopica questa criptorchidectomia laparoscopico assistita. Bibliografia 1. Laparoscopic cryptorchidectomy in dogs --report of 15 cases. Lew M, Jałyński M, Kasprowicz A, Brzeski W. Pol J Vet Sci. 2005;8(3):251-4. 2. Use of laparoscopic-assisted cryptorchidectomy in dogs and cats. Miller NA, Van Lue SJ, Rawlings CA. J Am Vet Med Assoc. 2004 Mar 15;224(6):875-8, 865. 3. A new, less invasive, laparoscopic-laparotomic technique for the cryptorchidectomy in the dog. Gimbo A, Catone G, Cristarella S, Scirpo A. Arch Ital Urol Androl. 1993 Jun;65(3):277-81. Cistotomia laparoscopica in un cane per la rimozione di un calcolo Andrea Pievaroli, DMV [email protected] Introduzione La cistotomia dopo celiotomia, è l’intervento chirurgico di elezione per la rimozione dei calcoli vescicali nei piccoli animali. Negli ultimi anni, sulla scia di quanto avviene in medicina umana e con l’introduzione delle procedure endoscopiche anche in medicina veterinaria, sono state proposte delle tecniche mini-invasive per ridurre al minimo la morbidità dell’intervento e favorire un rapido recupero post-operatorio. In presenza di un numero limitato di uroliti di piccole dimensioni è possibile, attraverso un esame cistoscopico, eseguire la rimozione in maniera non invasiva dei calcoli attraverso l’uretra utilizzando una specifica pinza flessibile con cestello (stone basket). In presenza invece di uroliti di maggiori dimensioni che superano il diametro dell’uretra, sono state proposte alcune tecniche chirurgiche abbinate a procedure endoscopiche per eseguire la cistotomia1,2. Rawlings et al. nel 2003 hanno descritto una tecnica mista (Laparoscopic-assisted cystoscopy) che consiste nell’individuare la vescica dopo un accesso laparoscopico, esteriorizzarla dalla cavità addominale per poi eseguire una mini-cistotomia al fine di introdurre un cistoscopio per l’esplorazione e la rimozione degli uroliti o di polipi infiammatori2,3. Nel presente caso clinico viene descritta una tecnica di cistotomia per via laparoscopica in un cane, senza esteriorizzazione della vescica per la rimozione di un calcolo di grandi dimensioni. In letteratura veterinaria sono poche le pubblicazioni scientifiche sull’argomento, e riguardano prevalentemente tecniche di chirurgia mini-invasiva eseguite in medicina umana su modelli animali per la sperimentazione. Descrizione del caso Un cane maschio di razza dalmata di 11 anni e peso Kg. 34, è sottoposto a visita clinica per la presenza di stranguria ed ematuria da una settimana. Il soggetto, già nostro paziente, ha subito all’età di 9 anni ad intervento chirurgico di cistotomia e urestrostomia scrotale per la rimozione di numerosi calcoli di ac. urico presenti in vescica che determinavano cistiti ricorrenti. Sulla base dell’anamnesi remota e dei sintomi attuali, sono stati eseguiti gli esami del sangue (che non hanno presentato alterazioni di rilievo) ed un’ecografia addominale che ha messo in evidenza nel lume vescicale un singolo calcolo tondeggiante di mm 25 x13. Per ridurre al minimo il trauma chirurgico e favorire un rapido recupero post-operatorio, è stato proposto al proprietario un intervento mini-invasivo in laparoscopia per la rimozione del calcolo. Il soggetto premedicato con morfina (morfina molteni® 0,1 mg/Kg i.m.) è stato sottoposto ad anestesia generale (induzione con propofol Rapinovet® 4mg/Kg e.v. e mantenuto con isofluorane-vet®), è stato posto in decubito dorsale e dopo l’introduzione di un catetere, la vescica è stata svuotata e irrigata ripetutamente con soluzione fisiologica contenente 0,1% di polivinilpirrolidone. Preparato il campo operatorio, con tecnica di Hassen è stato inserito il primo trocar (5 mm) per l’ottica sulla linea mediana caudalmente all’ombelico per determinare il pneumoperitoneo. Successivamente sono stati inseriti i due trocar caudali per gli strumenti operativi in posizione simmetrica paramediana. La vescica è stata recisa dal polo apicale per circa 2 cm lungo la superficie ventrale. L’introduzione dell’ottica nell’organo ha messo in evidenza il calcolo che è stato afferrato con delle pinze dentate e trasferito in cavità addominale. La parete vescicale è stata suturata con monofilamento a rapido assorbimento (Monocryl®) con sutura continua introflettente di Cushing. Attraverso il catetere urinario è stata riempita la vescica con soluzione fisiologica per valutare la tenuta della sutura. Successivamente è stato rimosso dalla cavità addominale il calcolo attraverso la porta di accesso di un trocar, drenata la CO2 ancora presente in addome e suturata la cute con punti staccati in nylon in corrispondenza dei trocar. Il paziente è stato dimesso dopo 8 ore dall’intervento, dopo aver rimosso il catetere urinario e prescritto una terapia antibiotica (cefalessina 20mg/Kg ogni 12ore per 8 giorni - Ceporex®) ed antidolorifica (Carprofene 2mg/Kg ogni 24h per 10 giorni Rimadyl®). Risultati Il tempo chirurgico complessivo per eseguire questo intervento in laparoscopia è stato di circa 90 minuti. Non c’e stata nessuna complicazione in sede intraoperatoria e nel periodo successivo all’intervento. Al momento della dimissione il paziente era completamente sveglio, manifestava una lieve algia addominale ed era autonomo nella deambulazione. Dal giorno successivo all’intervento il soggetto non presentava più ematuria, ma una minzione con elevata frequenza di piccole quantità di urina (pollachiuria) che si è risolta nel giorni successivi. Dopo 24 ore dalla chirurgia le funzioni generali del cane erano nella norma. Il calcolo è stato sottoposto ad analisi chimica ed è risultato essere costituito da ossalato di calcio (80%), urato di ammonio (15%), fosfato di ammonio magnesiaco (5%). Discussione L’età del paziente e la riluttanza del proprietario a dover sottoporre il cane ad un ulteriore intervento chirurgico di celiotomia per l’asportazione del calcolo vescicale, sono stati i fattori principali che ci hanno spinto ad eseguire l’intervento in laparoscopia. Il proprietario si è dimostrato pienamente entusiasta ed ha accettato volentieri questa opportunità terapeutica, preferendo i vantaggi della laparoscopia rispetto alla chirurgia convenzionale in termini di miniinvasività, ridotto dolore post-operatorio e minor tempo di convalescenza. Il passaggio più impegnativo di questo intervento riguarda la sutura della parete vescicale. Alcuni autori hanno proposto l’utilizzo di clips riassorbili4 che però in alcuni casi hanno indotto la formazione di uroliti nel punto di applicazione. La sutura intracorporea ha richiesto gran parte del tempo chirurgico ed è stata eseguita endoscopicamente con tecnica tradizionale (sutura continua introflettente di Cushing). Conclusioni La cistotomia per via laparoscopica è una valida alternativa alla chirurgia tradizionale in celiotomia per la rimozione di calcoli vescicali, specialmente se di grandi dimensioni e in numero limitato. Bibliografia 1) Rudd G.R., Hendrickson D.A. Minimally invasive surgery of the urinary system. In: Freeman L.J., (Ed) Veterinary Endosurgery. Mosby, St. Louis, 1999. p.226-236 2) Rawlings C.A., Mahaffey M.B., Barsanti J.A. et al. Use of laparoscopic-assisted cystoscopy for removal of urinary calculi in dogs. J. Am. Vet. Med Assoc., 2003, v.222 p.759-761 3) Rawlings C.A. Resection of inflammatory polyps in dogs using laparoscopic-assisted cystoscopy. J. Am. Vet. Med Assoc., 2007, 43 p.342-346. 4) Kerbl K. et al. Laparoscopic stapled bladder closure: laboratory and clinical experience. J urol. 149:1437-1440, 1993.