Immanuel Kant La Critica della ragion pratica Prof. Marco Lombardi Liceo Scientifico Statale “Emilio Segrè” La ragion pura pratica • La ragione non serve solo a dirigere la conoscenza, ma anche l’azione; • Accanto alla ragione teoretica abbiamo quindi una ragione pratica; • Kant distingue (di questo tratta La critica della ragion pratica) tra: – Ragion pura pratica (che opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità ed è quindi morale); – Ragion empirica pratica (che opera sulla base dell’esperienza e della sensibilità); 04/04/2012 Critica della ragion pratica 2 Questa seconda Critica «non sarà, però, una “critica della ragion pura pratica”, come la prima Critica era una “critica della ragione pura teoretica”, perché, mentre la ragione teoretica ha bisogno di essere criticata, cioé sottoposta ad esame, anche nella sua parte pura, in quanto tende a comportarsi in modo illegittimo (valicando i limiti dell’esperienza), la ragione pratica non ha bisogno di essere criticata nella sua parte pura, perché in questa essa si comporta in modo perfettamente legittimo, obbedendo ad una legge appunto universale. Invece nella sua parte non pura, cioé legata all’esperienza, la ragione pratica può darsi delle massime, cioé delle forme di azione, dipendenti appunto dall’esperienza, e perciò non legittime dal punto di vista morale. Perciò deve essere sottoposta a critica». (E.Berti) «La situazione della Critica della Ragion pratica si presenta esattamente capovolta rispetto alla Critica della Ragion pura: nella “ragion pratica” le pretese di andare oltre i propri limiti legittimi sono quelle della ragion pratica empirica (legata all’esperienza), che vorrebbe essa sola determinare la volontà; invece, nella “ragione teoretica” le pretese della ragione, al contrario, erano di far a meno dell’esperienza, e di raggiungere da sola (senza l’esperienza) l’oggetto. Insomma: mentre nella Critica della Ragion pura Kant ha criticato le pretese della ragione teoretica (che rappresentano un eccesso) di trascendere l’esperienza, nella Critica della Ragion pratica egli ha criticato invece le pretese opposte della ragion pratica (che rappresentano un difetto) di restar legata sempre e solo all’esperienza. Perciò il titolo è: “Critica della Ragion pratica”, e non “Critica della Ragion pura pratica”». (Reale - Antiseri) Le due parti della Ragion pratica • La Critica della ragion pratica può essere divisa in due parti: • L’Analitica (in cui Kant studia il dovere); • La Dialettica (in cui prende in considerazione l’assoluto morale o sommo bene); 04/04/2012 Critica della ragion pratica 5 Analitica della Ragion pratica L’esigenza di una legge morale a priori • Il motivo che sta alla base della Critica della ragion pratica è la persuasione che esista scolpita nell’uomo, una legge morale a priori valida per tutti e per sempre; • Come nella Critica della ragion pura Kant muoveva dall’idea dell’esistenza di conoscenze scientifiche universali e necessarie, nella Critica della ragion pratica muove dall’analogo convincimento dell’esistenza di una legge etica assoluta, legge che il filosofo non ha il compito di “dedurre”, e tanto meno di “inventare”, ma unicamente di “constatare”, a titolo di «un fatto della ragion pura, di cui abbiamo consapevolezza a priori e di cui siamo apoditticamente certi»; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 7 Incondizionatezza, libertà e valore unversale-necessario della legge morale • O la morale è una chimera, in quanto l’uomo agisce in virtù delle sole inclinazioni naturali, oppure, se esiste, risulta per forza incondizionata, presupponendo una ragion pratica “pura”, cioè capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta in modo stabile; • La tesi dell’assolutezza o incondizionatezza della morale implica, per Kant, due concetti di fondo strettamente legati fra loro: – la libertà dell’agire; – la validità universale e necessaria della legge; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 8 Incondizionatezza, libertà e valore unversale-necessario della legge morale • Infatti, essendo incondizionata, la morale implica la capacità umana di autodeterminarsi aldilà delle sollecitazioni isitntuali, facendo sì che la libertà si configuri come il primo presupposto (o “postulato”) della vita etica: «La libertà e la legge pratica incondizionata risultano dunque reciprocamente connesse»; • Essendo indipendente dagli impulsi del momento e da ogni condizione particolare, la legge risulterà anche, per definizione, universale e necessaria, ossia immutabilmente uguale a se stessa in ogni tempo e luogo; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 9 Moralità = incondizionatezza = universalità e necessità • Questa equazione rappresenta il fulcro dell’analisi etica di Kant e la chiave di volta per cogliere in modo logicamente concatenato gli attributi essenziali che il filosofo riferisce alla legge morale: – – – – categoricità; formalità; disinteresse; autonomia; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 10 Una precisazione: ragione e sensibilità • Per Kant la moralità è absoluta, cioè sciolta dai condizionamenti istintuali, non nel senso che possa prescinderne, ma perché è in grado di de-condizionarsi rispetto ad essi (es. pena di morte); • La morale si gioca infatti all’interno di una tensione bipolare fra ragione e sensibilità: – Se l’uomo fosse esclusivamente sensibilità, ossia animalità e impulso, è ovvio che essa non esisterebbe, perché l’individuo agirebbe sempre per istinto; – Viceversa se l’uomo fosse pura ragione, la morale perderebbe ugualmente di senso, in quanto l’individuo sarebbe sempre in quella che Kant chiama “santità” etica, ovvero in una situazione di perfetta adeguazione alla legge; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 11 La polemica contro il fanatismo morale e l’illusione della santità • Invece la bidimensionalità dell’essere umano fa sì che per Kant l’agire morale prenda la forma severa del “dovere” e si concretizzi in una lotta permanente fra la ragione e gli impulsi egoistici; • Da ciò la natura finita, ossia limitata ed imperfetta, dell’uomo, che può agire secondo la legge, ma anche contro la legge; • Pertanto, come nella Ragion pura domina la polemica contro l’arroganza della ragione (che pretende di oltrepassare i limiti della conoscenza umana), nella Ragion pratica circola come tema dominante la polemica contro il fanatismo morale, che è la velleità di trasgredire i limiti della condotta umana, sostituendo alla virtù, che è l’intenzione morale in lotta, la santità di un creduto possesso della perfezione etica; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 12 La «categoricità» dell’imperativo morale Massime e imperativi • Kant distingue i “princìpi pratici” che regolano la nostra volontà in “massime” e “imperativi”; – La massima è una prescrizione di valore puramente soggettivo, cioè valida esclusivamente per l’individuo che la fa propria (es. vendicarsi di ogni offesa subita o alzarsi presto al mattino per fare ginnastica); – L’imperativo è una prescrizione di valore oggettivo, ossia che vale per chiunque; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 14 Imperativi ipotetici e imperativo categorico • Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativi ipotetici e in imperativo categorico: • Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini e hanno la forma del “se… devi” (es. se vuoi essere promosso, devi studiare); • L’imperativo categorico ordina invece il dovere in modo incondizionato, ossia a prescindere da qualsiasi scopo, ed ha la forma del “devi” puro e semplice; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 15 Incodizionatezza della morale ed imperativo categorico • Essendo la morale strutturalmente incondizionata, cioè indipendente dagli impulsi sensibili e dalle mutevoli circostanze, risulta evidente che essa non potrà risiedere negli imperativi ipotetici, che sono, per definizione, condizionati e variabili; • Solo l’imperativo categorico, in quanto in-condizionato, ha i connotati della legge, ovvero di un comando che vale in modo perentorio per tutte le persone e per tutte le circostanze; • Solo l’imperativo categorico, che ordina un “devi” assoluto, e quindi universale e necessario, ha in se stesso i contrassegno della moralità; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 17 Il comando dell’imperativo categorico • Posto che la legge etica assuma la forma di un “imperativo categorico”, che cosa comanda quest’ultimo? • Kant risponde che esso, in quanto incodizionato, consiste nell’elevare a legge l’esigenza stessa di una legge, e poiché dire legge è dire universalità, esso si concretizza nella prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 18 La prima formula dell’imperativo categorico • Da ciò la formula-base dell’imperativo categorico: «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale»; • L’imperativo categorico è quel comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e che ci ricorda che un comportamento risulta morale solo se, e nella misura in cui, supera il “test della generalizzabilità”, ovvero se la sua massima appare universalizzabile (es. Chi mente compie un atto immorale, poichè si tratta di una massima non universalizzabile); • Questa è l’unica formula che Kant presenta nella Critica della ragion pratica; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 19 La seconda formula dell’imperativo categorico • Nella Fondazione della metafisica dei costumi troviamo altre due formule: • La seconda afferma: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»; • In altri termini, rispetta la dignità umana che è in te e negli altri, evitando di ridurre il prossimo o te medesimo a semplice mezzo del tuo egoismo e delle tue passioni; • La parola “fine” indica quella caratteristica fondamentale della persona umana che risiede nell’essere “scopo a se stessa”, facendo si che ad essa venga riconosciuta la prerogativa di essere soggetto e non oggetto, tant’è vero che Kant sostiene che la morale istituisce un regno dei fini, ossia una comunità ideale di libere persone, che vivono secondo le leggi della morale e si riconoscono dignità a vicenda; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 20 La terza formula dell’imperativo categorico • La terza formula prescrive di agire in modo tale che «la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice»; • Questa formula ripete, in parte, la prima, ma a differenza di essa, che puntualizza soprattutto la legge, sottolinea in modo particolare l’autonomia della volontà, chiarendo come il comando morale non sia un imperativo esterno e schiavizzante, ma il frutto spontaneo della volontà razionale, la quale, essendo legge a se medesima, fa sì che noi, sottomettendoci ad essa, non facciamo che obbedire a noi stessi, tan’è vero che nel “regno dei fini” ognuno è suddito e legislatore al tempo stesso: «La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da dover essere considerata autolegislatrice, e solo a questo patto sottostà alla legge»; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 21 La «formalità» della legge e il dovere Il carattere formale della legge etica • Un’altra caratteristica strutturale dell’etica kantiana è la formalità, in quanto la legge non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo; • Anche ciò deriva dall’incondizionatezza e libertà della norma etica: se quest’ultima non fosse formale, bensì “materiale” e prescrivesse quindi dei contenuti concreti, sarebbe “vincolata” ad essi, perdendo inevitabilmente in termini di libertà da un lato e di universalità dall’altro (es. un principio del tipo “ama la patria”, che pure discende dalla legge morale, non può venir confuso con la legge stessa, poiché in taluni casi può essere morale non amare la patria); 04/04/2012 Critica della ragion pratica 23 • L’imperativo etico non può risiedere in una casistica o manualistica concreta di precetti, ma soltanto in una legge formale-universale, la quale afferma semplicemente: quando agisci tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel prossimo; • Sta poi ad ognuno di noi “tradurre” in concreto, nell’ambito delle varie situazioni esistenziali, sociali e storiche, la parola della legge; • L’importante è non dimenticare che le norme etiche concrete in cui si incarna di volta in volta l’imperativo categorico risultano sempre fondate e mai fondanti nei suoi confronti, esistendo solo in funzione di esso, che è ciò che le suscita e le giustifica: «il vero siginificato del formalismo kantiano non sta (come pure è stato detto) nell’affermazione di una forma vuotata di ogni contenuto, ma nella scoperta della fonte perenne della moralità, che alimenta i costumi morali dei popoli nel loro divenire storico, restando essa stessa immune da ogni mutamento» (De Ruggiero); 04/04/2012 Critica della ragion pratica 24 Il cuore della moralità kantiana: il dovere-per-il-dovere • Il carattere formale e incondizionato della legge morale fa tutt’uno con il carattere anti-utilitaristico dell’imperativo etico; • Infatti, se la legge ordinasse di agire in vista di un fine o di un utile, si ridurrebbe ad un insieme di imperativi ipotetici e comprometterebbe: – In primo luogo, la propria libertà, in quanto non sarebbe più la volontà a dare la legge a se medesima, ma gli oggetti a dare la legge alla volontà; – In secondo luogo, essa metterebbe in forse la propria universalità, poiché l’area degli scopi e degli interessi coincide con il campo della soggettività e della particolarità; • Il cuore della moralità kantiana risiede invece nel dovere-per-ildovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della ragione solo per ossequio ad essa, e non sotto la spinta di personali inclinazioni o in vista di risultati che possono scaturirne; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 25 Il “rigorismo” • Noi non dobbiamo agire per la felicità, ma solo per il dovere: «Dovere! Nome sublime e grande, che non porti con te nulla di piacevole che importi lusinga; ma esigi la sottomissione; che tuttavia non minacci nulla […] ma presenti semplicemente una legge che penetra da sé sola nell’animo e si procura venerazione»; • Da ciò il cosiddetto “rigorismo” kantiano, che esclude, dal recinto dell’etica, emozioni e sentimenti, che sviano la morale, oppure ne inquinano la severa purezza; • Nell’etica kantiana si riconosce il diritto di cittadinanza ad un unico sentimento: il rispetto per la legge (sentimento a priori e dotato di una forza tale da far tacere tutti gli altri sentimenti egoistici e da disporre l’individuo all’accoglimento della legge); • Il rispetto implica la condizione propria dell’uomo come essere razionale finito: «siccome il rispetto è un’azione sul sentimento e perciò sulla sensibilità di un essere razionale, esso suppone questa sensibilità, quindi anche la finitezza di quegli esseri a cui la legge morale impone il rispetto»; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 26 Moralità e legalità • Il dovere per il dovere nel rispetto della legge, ecco le uniche condizioni affinché vi siano moralità e virtù e non si passi dalla moralità alla semplice “legalità”; • Non basta che un’azione sia fatta esteriormente secondo la legge, ovvero in modo conforme ad essa; la morale implica una partecipazione interiore, altrimenti rischia di scadere in atti di legalità ipocrita oppure in forme più o meno mascherate di autocompiacimento (es. quando ci si comporta bene per il plauso degli altri); • Non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa (= morale dell’intenzione), essendo la “volontà buona”, ovvero la convinta adesione della volontà alla legge, l’unica cosa incondizionatamente buona al mondo (tutti gli altri beni, come l’intelligenza o il coraggio, possono essere usati male); 04/04/2012 Critica della ragion pratica 27 Carattere noumenico e sopra-sensibile della morale • Il dovere e la volontà buona, secondo Kant, innalzano l’uomo al di sopra del mondo sensibile (= fenomenico), dove vige il meccanismo delle leggi naturali, e lo fanno partecipare al mondo intellegibile (= noumenico), dove vige la libertà; • La vita morale è la costituzione di una natura soprasensibile nella quale la legislazione morale prende il sopravvento sulla legislazione naturale; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 28 «Quale origine è degna di te? E dove si trova la radice della tua nobile stirpe, che rifiuta fieramente ogni parentela con le inclinazioni, quella radice in cui ha origine la condizione indispensabile dell’unico valore che gli uomini possono darsi da se stessi? Non può essere niente di meno di ciò che eleva l’uomo al di sopra di sé ( come parte del mondo sensibile), di ciò che lo lega a un ordine di cose che il solo intelletto è in grado di pensare e che nello stesso tempo subordina a sé il mondo sensibile [...] Non è altro che la personalità, cioé la libertà e l’indipendenza nei confronti del meccanismo dell’intera natura, considerata tuttavia contemporaneamente come facoltà di un essere sottostante a leggi speciali, cioé a leggi pure pratiche, che la sua stessa ragione gli fornisce; pertanto, la persona, in quanto appartenente al mondo sensibile, è sottoposta alla propria personalità perché appartiene nello stesso tempo al mondo intelligibile. Non bisogna dunque meravigliarsi se l’uomo, appartenendo a due mondi, debba considerare il proprio essere, rispetto alla sua seconda e suprema determinazione, con venerazione e le leggi di essa col massimo rispetto». Noumenicità e fenomenicità nell’uomo • Questa noumenicità del soggetto morale non significa tuttavia l’abbandono della sensibilità e l’eliminazione di ogni legame con il mondo sensibile; • Difatti, proprio perché l’uomo partecipa strutturalmente dei due mondi, egli non può affermare il secondo (quello intelligibile o noumenico) se non nel primo e in virtù del primo (quello sensibile o fenomenico); • Anzi, la noumenicità dell’uomo esiste solo in relazione alla sua fenomenicità, in quanto il mondo soprasensibile, per lui, esiste solo come forma nel mondo sensibile; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 30 L’«autonomia» della legge e la rivoluzione copernicana morale La rivoluzione copernicana morale • Le varie determinazioni della legge etica che abbiamo esaminato convergono in quella dell’autonomia, che tutte le implica e le riassume; • Il senso profondo dell’etica kantiana, e della sua sorta di “rivoluzione copernicana morale”, consiste infatti nell’aver posto nell’uomo e nella sua ragione il fondamento dell’etica, al fine di salvaguardare la piena libertà e purezza; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 32 La critica delle morali eteronome • Se la libertà, presa in senso negativo, risiede nell’indipendenza della volontà dalle inclinazioni, in senso positivo si identifica con la sua capacità di autodeterminarsi, ossia nella prerogativa autolegislatrice della volontà, la quale fa si che l’uomo sia norma a se stesso; • Di conseguenza Kant polemizza aspramente contro tutte le morali eteronome, cioè contro tutti quei sistemi che pongono il fondamento del dovere in forze esterne all’uomo o alla sua ragionre, facendo scaturire la morale, anziché dalla pura “forma” dell’imperativo categorico, da principi “materiali”; • Il tema dell’autonomia morale scioglie anche quell’apparente “paradosso” della ragion pratica, secondo cui non sono i concetti di bene e di male a fondare la legge etica bensì, al contrario, la legge etica a fondare e a dare un senso alle nozioni di bene e di male; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 33 Dialettica della Ragion pratica Il sommo bene • La felicità non può mai erigersi a motivo del dovere, perché in tal caso metterebbe in forse l’incondizionatezza della legge etica (e quindi la sua categoricità, formalità, purezza e autonomia), tuttavia la virtù, pur essendo il “bene supremo”, non è ancora, secondo Kant, quel “sommo bene” cui tende irresistibilmente la nostra natura, che consiste nell’addizione di virtù e felicità; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 35 L’antinomia della ragion pratica • Kant non fa della felicità il motivo dell’azione, ma asserisce unicamente che in noi c’è il bisogno di pensare che l’uomo, pur agendo per il dovere, possa anche essere degno di felicità; • Ma in questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, anzi spesso sono addirittura opposte; • Di conseguenza, virtù e felicità costituiscono l’antinomia etica per eccellenza; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 36 I postulati etici • I filosofi greci hanno vanamente cercato di scioglierla, per quanto riguarda questa vita, – o risolvendo la felicità in virtù (stoici) – o la virtù nella felicità (epicurei); • In realtà l’unico modo per uscire da tale antinomia ( che rischia di ridurre la morale che prescrive il sommo bene ad un’impresa senza senso) è di “postulare” un mondo dell’aldilà in cui possa realizzarsi ciò che nell’aldiquà risulta impossibile: ovvero l’equazione virtù = felicità; • In questo Kant si situa nella tradizione di pensiero che va da Platone al cristianesimo; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 37 I postulati etici • Kant trae il termine “postulato” dal linguaggio della matematica classica dove, mentre si dicono assiomi le verità fornite di auto-evidenza, si chiamano postulati quei princìpi che, pur essendo indimostrabili, vengono accolti per rendere possibili determinate entità o verità geometriche; • Analogamente i postulati di Kant sono quelle proposizioni teoretiche non dimostrabili che ineriscono alla legge morale come condizione della sua stessa esistenza e pensabilità, ovvero quelle esigenze interne della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa, ma che di per se stesse non possono venir dimostrate; • I postulati tipici di Kant sono l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 38 L’immortalità dell’anima • Kant afferma che: a) poiché solo la santità, cioè la conformità completa della volontà alla legge, rende degni del sommo bene e b) poiché la santità non è mai realizzabile nel nostro mondo, c) si deve per forza ammettere che l’uomo, oltre il tempo finito dell’esistenza, possa disporre, in un’altra zona del reale, di un tempo infinito grazie a cui progredire all’infinito verso la santità; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 39 L’esistenza di Dio • La realizzazione della felicità proporzionata alla virtù, comporta il postulato dell’esistenza di Dio, ossia la credenza in una “volontà santa ed onnipotente”, che faccia corrispondere la felicità al merito; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 40 La libertà • Accanto ai due postulati “religiosi” Kant pone un altro postulato: la libertà; • Essa è la condizione stessa dell’etica, che nel momento stesso in cui prescrive il dovere presuppone anche che si possa agire o meno in conformità ad esso e che quindi si sia sostanzialmente liberi; • «Devi, dunque puoi», afferma Kant: se c’è la morale deve, per forza, esserci la libertà; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 41 Il “primato” della ragion pratica • La teoria dei postulati mette capo a ciò che Kant definisce “primato della ragion pratica”, consistente – nella prevalenza dell’interesse pratico su quello teoretico e – nel fatto che la ragione ammette, in quanto è pratica, proposizioni che non potrebbe ammettere nel suo uso teoretico; • Tuttavia i postulati kantiani non possono affatto valere come conoscenze; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 42 Il primato della ragion pratica rispetto alla ragione speculativa «non significa che essa ci può dare ciò che questa ci nega, ma semplicemente che le sue condizioni di validità comportano la ragionevole speranza dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima: ma se questa ragionevole speranza fosse intesa come certezza razionale, non solo il mondo morale non ne uscirebbe rafforzato ma totalmente distrutto». (P.Chiodi) Non-teoreticità dei postulati • Kant era ben conscio del fatto che un’eventuale ammissione della validità conoscitiva dei postulati non solo avrebbe violato apertamente le conclusioni della Ragion pura, ma avrebbe minato il suo stesso modo di intendere la morale come libertà e autonomia, poiché «Dio e l’eternità, nella loro maestà tremenda, ci starebbero continuamente dinanzi agli occhi […] La trasgressione della legge sarebbe senz’altro impedita, ciò che è comandato sarebbe compiuto […] La condatta dell’uomo, finché la sua natura restasse qual è ora, si trasformerebbe in un semplice meccanismo, in cui, come in un teatro di marionette, tutto gesticolerebbe bene, ma nelle cui figure non ci sarebbe più vita»; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 44 Il rovesciamento del rapporto tradizionale fra morale e religione • Se i postulati fossero delle verità dimostrate o delle certezze comunque intese, la morale scivolerebbe immediatamente verso l’eteronomia e sarebbe nuovamente la religione (o la metafisica) a fondare la morale, con tutti gli inconvenienti già esaminati; • Rovesciando il modo tradizionale di intendere il rapporto tra morale e religione, Kant sostiene invece che non sono le verità religiose a fondare la morale, bensì la morale, sia pur sotto forma di “postulati”, a fondare le verità religiose; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 45 Il rovesciamento del rapporto tradizionale fra morale e religione • Dio, per Kant, non sta all’inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo possibile completamento; • L’uomo di Kant è colui che agisce seguendo solo il dovere-per-il-dovere, con, in più, la “ragionevole speranza” nell’immortalità dell’anima e nell’esistenza di Dio; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 46 Da un lato Kant scrive che «la morale, essendo fondata sul concetto dell’uomo come essere libero, il quale, appunto perché tale, sottopone se stesso, mediante la propria ragione, a leggi incondizionate, non ha bisogno né dell’idea di un altro essere superiore all’uomo per conoscere il proprio dovere, né di un altro movente oltre la legge stessa per adempierla […] non ha quindi bisogno (sia oggettivamente, per ciò che concerne il volere, sia soggettivamente, per ciò che concerne il potere) del sostegno della religione, ma è autosufficiente grazie alla ragion pratica pura» (La religione nei limiti della semplice ragione); Ma dall’altro lato sostiene che «La morale conduce […] inevitabilmente alla religione [perchè] soltanto da una volontà moralmente perfetta (santa e buona) e nello stesso tempo onnipotente possiamo sperare quel sommo bene che la legge morale ci fa un dovere di proporci come oggetto dei nostri sforzi» (Critica della Ragione Pratica); Un dualismo platonizzante • Di conseguenza, con la teoria dei postulati Kant non ha eliminato l’autonomia dell’etica, perché l’ha solo “integrata” con una sorta di “fede razionale”; • Queste considerazioni non escludono che la Ragion pratica finisca per delineare una sorta di dualismo platonizzante che spezza la realtà e l’uomo in due: – da un lato il mondo fenomenico della scienza, dall’altra il mondo noumenico dell’etica; – da un lato l’uomo fenomenico delle inclinazioni, dall’altro l’uomo noumenico della libertà e del dovere; • E’ proprio dalla consapevolezza di questo dualismo che muove, in parte, la Critica del Giudizio; 04/04/2012 Critica della ragion pratica 48