viral marketing, guerrilla marketing, e tutte le "nuove terre della pubblicità"
Oggi incontriamo Gabriella Ambrosio,
già docente di Teoria e Tecniche del Linguaggio Pubblicitario
presso l'università di Roma,
nonché Strategic Planner della sua agenzia di comunicazione.
Ultima sua "fatica" editoriale
"Le nuove terre della pubblicità" per la Meltemi Editori.
Benvenuta tra noi e la ringrazio per la sua disponibilità. Partiamo dal titolo del suo libro:
quali le nuove terre della pubblicità?
Sono terre limitrofe a quelle dell'advertising classico e del modo classico di fare ricerca. Terre anche
pantanose, in cui dobbiamo addentrarci a volte senza l'aiuto di una bussola, ma fertili più delle terre
conosciute. Terre in cui ci andiamo a cercare il consumatore di persona, uno ad uno. In cui collaudiamo e
sfruttiamo tutti i nuovi percorsi della mente connettiva. In cui diamo vita a mezzi inediti che nascono insieme
al messaggio. In cui maneggiamo senza pudore termini come "tasto del buy", "pulsanti genetici" della
pubblicità e intrusione di virus mentali. Ma cerchiamo di non dimenticare mai la dignità etica e intellettuale
della pubblicità.
Cosa è allora la "guerrilla" urbana?
Il guerrilla advertising è pubblicità che esce dal recinto dei media tradizionali per penetrare nel cuore delle
città e incontrare la gente in modo diretto, provocatorio, spiazzante. La guerrilla la trovi nelle strade, sui
muri, sulle panchine, sui fondi di bicchieri, in finte conversazioni, sui soldi, sulla frutta, sulla carta igienica,
perfino sul corpo umano.
Marketing, advertising, tutto si trasforma in guerrilla. Cosa produce in effetti?
La guerrilla raggiunge il consumatore nei momenti e nei luoghi in cui non è attiva la sua "advertising
consciousness" (come accade invece davanti alla TV o ascoltando la radio), quando cioè le sue difese nei
confronti dei messaggi pubblicitari sono abbassate. Incuriosire, intrigare e coinvolgere sono gli effetti che la
guerrilla
produce
sulle
sue
"vittime".
Ma
anche
far
riflettere.
La guerrilla non colpisce la massa ma il singolo, invertendo il meccanismo di generazione di notorietà. Gli
attacchi di guerrilla infatti generano spiazzamento, lo spiazzamento produce passaparola, il passaparola si
diffonde in maniera "virale" nella popolazione. E la diffusione virale garantisce notorietà al prodotto.
La guerrilla marketing si fonda sulla molecolarizzazione della società post-moderna, sulla
disgregazione di Vattimo; Ma questa società disgregata la combattiamo un po' tutti e chi
prima chi dopo, inizia a prevedere una nuova tribalizzazione, che è un po' come ricominciare
da capo per ridare alle comunità e alle società il loro valore iniziale. Quindi la pubblicità e la
comunicazione dovrà rifondarsi nuovamente?
Ancor più che sulla molecolarizzazione sociale la guerrilla si fonda su un¹altra tendenza del postmoderno:
l¹enorme massa di informazioni che quotidianamente i media riversano sui consumatori/cittadini, che porta
questi ultimi ad alzare così tanto le loro difese, da azzerare o quasi la loro ricettività verso i messaggi
pubblicitari.
Prima
che
Vattimo
insomma,
Baudrillard.
Quanto a una rifondazione, non è con le sue forze autoctone che può rifondarsi la pubblicità, che va sempre
comunque a ruota della società e di tutti i fermenti che riesce a cogliere in essa.
Giustamente i pubblicitari prendono coscienza e fanno i conti con nuovi consumatori, sempre
più consapevoli e acquirenti decisi e informati. La guerrilla invece tenta di confonderli e
disorientarli. Personalmente credo invece che il consumatore debba essere sempre più
consapevole e il prodotto debba guadagnarsi il rispetto del consumatore. Insomma... non
sono da guerrilla?
Per fortuna è difficile oggi prendere in giro il consumatore con i soli mezzi della pubblicità, per quanto
potenti o spiazzanti essi siano. Una buona guerrilla non tende a confondere e a disorientare, tende a divertire
e a coinvolgere, offrendo uno spettacolo e portando a pensare. Se poi vogliamo essere ideologicamente
contrari alla pubblicità, questo è un altro paio di maniche, e se vuoi posso anche sottoscrivere: ma poi
dovremmo essere ideologicamente contrari anche al commercio e all¹abbellimento di qualsiasi immagine,
compresa
la
propria.
Quanto al rispetto, torniamo al discorso della dignità intellettuale della pubblicità. Che è il tema che è sempre
stato al centro di tutti i miei ragionamenti e pubblicazioni. Il rispetto non dipende dalle forme che
assumi: è questione di contenuti, è questione di qualità del pensiero che vai a veicolare.
La pubblicità secondo me è l'arte di rendere pubblica la vita di un prodotto. Per farlo, il
pubblicitario è prima di tutto un sociologo che analizza la società e le tendenze, scopre lo
spirito del tempo del proprio pubblico e solo allora decide il come, il quando e il dove
comunicare il prodotto...
Sono assolutamente d'accordo. E il fatto di cogliere lo spirito del tempo, è da sempre il diaframma che
mantiene in osmosi il mondo della pubblicità e quello dell'arte.
Il filoso francese Mafesoli parla di neotribalizzazione, dopo hanno iniziato a parlarne un po'
tutti. In effetti il futuro della società sembra una nuova tribalizzazione che dovrebbe
(potrebbe)
portare
ad
una
rifondazione
sociale.
Oggi si vive in una sorta di conflitto, che in Italia viene accentuato dalla "spaccatura del
paese" decantata dai media; quasi come se spingessero e volessero il conflitto sociale (nel
senso marxiano). Le nuove terre della pubblicità, con la guerrilla cosa faranno,
accentueranno questo scontro e ne approfitteranno?
La rappresentazione dei media è forte e persuasiva, ma non sempre rispecchia in modo fedele la realtà. Forse
è così anche per il tema della ³spaccatura del paese², che sembra una specie di ³residuato bellico² del
conflitto elettorale. Più un fatto mediatico che un fatto reale insomma. Se vuoi anche in questo caso la
guerrilla può divertirsi ad assecondare ironicamente, a demolire, a smontare e rimontare il fatto mediatico.
Guerrilla è la parola che domina questo nuovo scenario. Levinas, come giustamente lei fa
notare nel libro, è l'autore di riferimento principale per questo movimento. Ma la pubblicità
di oggi è davvero poi così diversa dalla buona pubblicità di sempre?
A cambiare, anche in pubblicità, sono le forme e le tecniche. Ma la sostanza di quella che tu chiami "la buona
pubblicità di sempre" non cambia mai. Si tratta di offrire, come ripeto sempre, un "pensiero di qualità": idee
che abbiano il coraggio di essere realmente creative, dunque in grado di costruire nuovo senso, ma anche
rispettose dei loro interlocutori. E, naturalmente, efficaci rispetto agli obiettivi.
La ringrazio per il confronto che ha voluto aprire anche con noi.