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Teatro Manzoni Pistoia - stagione di prosa 2016/17
PRIMA NAZIONALE
da martedì 20 settembre a giovedì 13 ottobre
(feriali ore 20.30 – festivi ore 16; lunedì riposo)
Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale
LA TRAGEDIA DI RICCARDO III
da William Shakespeare
adattamento e regia Renata Palminiello
movimento Elisa Cuppini
con (in ordine di apparizione) Rosanna Sfragara, Sena Lippi, Mariano Nieddu, Costantino Buttitta,
Gabriele Reboni, Massimo Grigò, Sofia Busia, Daniela D'Argenio, Carolina Cangini, Jacopo Trebbi
e con Irene Berni, Letizia Bugiani, Riccardo Ciafro, Zeno Cocchi, Nicola Maraviglia, Elena Meoni,
Alessandro Nannini, Emma Novelli, Olga Novelli, Franco Paluzzi, Lucrezia Pallotti Degli Esposti,
Federico Pelliccioni, Tiziano Pratesi, Moreno Scoscini, Eugenio Ulivagnoli, Silvia Venturi, Matteo Vitale
musicisti in scena Virginia Belvedere, flauto – Giulio Soldati, tromba
luci Emiliano Pona - consulenza musicale Massimo Caselli – maestro di canto Marco Mustaro
assistente alla regia Matteo Tortora
armature ideate e realizzate da Francesco Silei
oggetti di scena ideati e realizzati da Liceo Artistico “P. Petrocchi” Pistoia
elementi di scena realizzati da Laboratorio Scena & Tecnica Associazione Teatrale Pistoiese
una creazione che si è avvalsa della collaborazione artistica di Bruno Stori
in collaborazione con Armunia Centro di Residenza Artistica Castiglioncello
e Scuola di Musica e Danza “T. Mabellini” Pistoia
Un percorso artistico per la città di Pistoia ideato dall’Associazione Teatrale Pistoiese
assieme a Renata Palminiello: un'esperienza di creazione radicata nel territorio. La tragedia di
Riccardo III, che inaugura la stagione 2016/2017 del Teatro Manzoni, è il frutto di un lavoro iniziato a
settembre 2015 e che ha coinvolto in varia misura gli spazi ed i giovani della città di Pistoia. Accanto
ad un gruppo di dieci attori professionisti, saranno infatti in scena gli undici studenti che hanno
partecipato al Laboratorio di formazione teatrale «Progetto Riccardo», organizzato da febbraio a
maggio 2016 dall’Associazione Teatrale Pistoiese, quattro adulti non professionisti e due allievi della
Scuola di Musica e Danza “Mabellini” di Pistoia. Gli oggetti di scena sono stati ideati e realizzati dagli
studenti del Liceo Artistico “P. Petrocchi” di Pistoia, sotto la supervisione dei loro insegnanti.
Lo spettacolo, presentato per circa un centinaio di spettatori a sera in un Teatro Manzoni dall'inedita
prospettiva, sarà proposto per questa occasione unica e speciale.
PROGETTO RICCARDO
WILLIAM SHAKESPEARE: IL TEATRO COME SPECCHIO DEL MONDO
di Rodolfo Sacchettini
Presidente Associazione Teatrale Pistoiese
Shakespeare nostro contemporaneo
“Ora è l’inverno del nostro scontento / gloriosa estate col sole di York, / e ogni nube
incombente sulla stirpe / in seno dell’oceano seppellita”. Così inizia la tragedia, un’opera
magnetica che nei secoli, e soprattutto nel Novecento, ha attirato molti grandi attori,
affascinati dalla diabolica crudeltà di Riccardo III.
Teatro e cinema hanno fatto a gara per rievocare gli atroci misfatti dell’originario Duca di
Gloucester, il fascino seducente e irresistibile del Potere, l’angoscia generata dal Grande
Meccanismo della Storia, che pare procedere solo per distruzioni e morte. Si dice addirittura
che sia l’opera di Shakespeare più rappresentata al mondo, perfino più di Amleto. Le
interpretazioni non si contano: da attori mitici come Laurence Olivier (1955), che lo
rappresenta gobbo, sciancato e terribile, secondo tradizione, a Ian McKellen, che lo trasforma
in un dittatore feroce, ambientando l’intera vicenda in una ipotetica Inghilterra degli anni
Trenta, governata da una dittatura fascista (1995), fino ad Al Pacino che in Riccardo III. Un
uomo, un re (1996), seguendo le regole dell’Actor’s Studio, realizza una vera e propria
docufiction.
In Italia è stato interpretato da Vittorio Gassman in una lontana regia di Luca Ronconi (1968),
che valorizzava, per la prima volta, la dimensione più corale della tragedia, avvalendosi delle
sculture lignee di Mario Ceroli e di possenti armature. Ne veniva fuori un Riccardo III non più
genio del male, ma catalizzatore di istinti malvagi diffusi in tutti i personaggi. Dieci anni dopo
Carmelo Bene (1977) ne dà una nuova memorabile versione, incentrando la tragedia nel
rapporto ambiguo e viscerale con le tante donne presenti nel racconto, in un vero e proprio
agone tra maschile e femminile, disegnando un personaggio pieno di protesi, escrescenze,
difformità. Più di recente si ricorda il tragitto pluriennale di Claudio Morganti, culminato nel
2002 in uno spettacolo di gruppo, dove la superiorità di Riccardo sugli altri personaggi si
esprimeva nella sua maggiore intelligenza, non in una più sviluppata cattiveria. Infine pochi
anni fa Alessandro Gassmann ha dato vita a un Riccardo III gigante, in piedi su alte zeppe,
truccatissimo, come in un film di Tim Burton e ammiccando a un immaginario più gotico, che
espressionista.
400 anni dopo: La tragedia di Riccardo III al Teatro Manzoni
In occasione del quarto centenario dalla morte di William Shakespeare, l’Associazione
Teatrale Pistoiese ha deciso di aprire la sua stagione – la stagione che ci porterà nell’anno di
Pistoia Capitale della Cultura – con una produzione che è il frutto di un anno di lavoro, un vero
e proprio “progetto speciale”, dedicato appunto a La tragedia di Riccardo III e ideato con noi
da Renata Palminiello, regista anche di Maledetto nei secoli dei secoli l’amore di Carlo D’Amicis.
L’Italia è un paese che a volte esagera con gli anniversari e le ricorrenze. Tra decennali,
ventennali, cinquantenari, centenari sembra che l’ordine del giorno delle attività culturali sia
determinato più dal voler celebrare, che non dall’interrogare, studiare, approfondire la
tradizione. Però Shakespeare è Shakespeare. E i quattrocento anni dalla sua morte offrono
una nuova occasione per provare a confrontarsi con indimenticabili personaggi e insuperati
testi di poesia drammatica. Immergersi nelle parole del “Bardo” è scoprire, ancora una volta,
che Shakespeare, colui che apre criticamente l’età moderna, è “un nostro contemporaneo”, in
grado di raccontare le passioni più profonde, e spesso più torbide, dell’animo umano.
Dal 20 settembre al 13 ottobre va dunque in scena La tragedia di Riccardo III in un Teatro
Manzoni a capienza limitata, arricchito di inedite prospettive. Ammiccando alla circolarità del
Globe Theatre shakesperiano, il Manzoni apparirà inaspettatamente vuoto, e libero di lasciarsi
attraversare da nuove traiettorie, mostrando le potenzialità inespresse delle splendide sale
“all’italiana”. Questa scelta, maturata nei mesi, è frutto di un lavoro produttivo costante e
capillare che ha caratterizzato il “Progetto Riccardo”, pensato appositamente per la città di
Pistoia da Renata Palminiello. Simbolica porta d’ingresso è il manifesto, disegnato da Marco
Smacchia, che rappresenta un cinghiale, l’animale per eccellenza associato a Riccardo III,
perché bestia pericolosa e feroce, da fuggire e da cacciare, selvaggia ma allo stesso tempo
prossima – ancora oggi, da come si racconta quotidianamente sui giornali – alla vita cittadina:
“Fuggire il cinghiale che non ci insegue / sarebbe aizzare il cinghiale a rincorrerci / e a dare
caccia quando non l’ha in mente.”
Una produzione speciale
Molti sono i modi per produrre uno spettacolo, in questo caso il processo è stato volutamente
pensato, perché contemplasse anche un coinvolgimento ampio e mirato di molte realtà
cittadine, in particolare delle scuole superiori. Produrre uno spettacolo può diventare
l’occasione per creare connessioni, porsi domande nuove, riflettere sulle esigenze di una città.
Come Riccardo III è una tragedia ricca di personaggi, dove si raccontano le sorti di una
famiglia, di una città, di un regno, così anche lo spettacolo è il frutto di una “comunità” giovane
di attori che si allarga, quasi a cerchi concentrici. Renata Palminiello, regista assai abile nel
tessere relazioni umane e nel curare tutti gli aspetti della recitazione – mettendo al centro
l’amore e il rispetto per il valore della parola e per l’arte degli attori – ha innescato numerose
collaborazioni e acceso tante passioni: a fianco a un gruppo di dieci attori professionisti sono
in scena undici adolescenti, che da febbraio a maggio hanno partecipato al Laboratorio di
formazione teatrale (inserito nel nostro Progetto “A Scuola di Teatro”), quattro adulti non
professionisti e due allievi della Scuola di Musica e Danza Mabellini di Pistoia. A questi ultimi
sono affidati gli interventi musicali nello spettacolo, con la consulenza del direttore Massimo
Caselli, integrati da momenti corali messi a punto dal docente della classe di canto, Marco
Mustaro, con la cura complessiva dei movimenti di Elisa Cuppini. Sin dall’inizio è stato
coinvolto attivamente anche il Liceo Artistico “P. Petrocchi” per l’ideazione e la realizzazione
degli oggetti di scena necessari allo spettacolo. La corona e i gioielli, il costume di Riccardo, i
tarocchi e una testa mozzata sono infatti opera degli studenti, che li hanno realizzati sotto la
supervisione dei loro professori. Per questo in occasione delle rappresentazioni in teatro
viene realizzata una piccola mostra con una selezione dei bozzetti.
Ecco che così si vuole restituire al teatro la sua natura plurale, cioè essere “la più sociale tra le
arti”, capace di creare e di alimentare relazioni tra gli attori e gli spettatori, ma anche tra il
numeroso nucleo artistico e le tante realtà di provenienza. Il teatro è da sempre il luogo dove
una comunità temporanea di spettatori si riunisce nello stesso momento a osservare, e così
condividere, quelle che sono le grandi domande dell’essere umano, provando emozioni e
allenando il proprio spirito critico. Ed è nel teatro di Shakespeare che le parole, con la loro
profondità, sanno scavare dentro il cuore umano.
RICCARDO III di William Shakespeare
La trama
La vicenda si svolge durante la Guerra delle due Rose (1455-1485) che vide lottare per il
trono d’Inghilterra la casata di York (la rosa bianca) e quella dei Lancaster (la rosa rossa).
Dopo aver ucciso il reggente, Enrico VI di Lancaster e suo figlio Edoardo e aver condannato
all’esilio la regina Margerita d’Angiò, gli York salgono al trono. Il nuovo re, Edoardo IV di York,
sposato a Elisabetta Woodeville, si ammala ben presto ed è così destinato a morire dopo poco
di morte naturale. Riccardo Duca di York, fratello minore del re, fomenta gli odi e le
controversie intestine alla casata, cospirando affinché muoiano tutti coloro che si
interpongono fra lui e il trono. Innesca una diabolica macchina di inganni che lo fanno
sembrare sempre estraneo ai fatti e solidale con tutti: fa imprigionare e uccidere il fratello
Giorgio Duca di Clarence che lo precede nella linea di successione al trono; seduce e sposa
Lady Anna, vedova di Edoardo di Lancaster; alla morte del re, diventato egli stesso Protettore
del nipote Edoardo, erede al trono, provvede a rinchiuderlo col fratellino nella Torre di
Londra; fa uccidere tutti i parenti di sua cognata Elisabetta e i pari del regno che intravede
come ostacoli ai suoi piani. Ordina infine la morte dei due giovani principi e diventa così re
Riccardo III. Non arresta però la sua scia di sangue e condanna a morte anche sua moglie
Anna e il fedelissimo cugino Buckingham. Risparmia solo sua madre, la Duchessa di York,
Margherita d’Angiò ed Elisabetta di Woodeville, che sembrano destinate a sopravvivere per
veder morire tutti i propri cari. Quando il conte di Richmond muove le sue truppe contro di
lui, Riccardo è ormai un uomo solo circondato dai suoi fantasmi e viene sconfitto sul campo
di battaglia. Richmond proclama allora la definitiva risoluzione del conflitto fra le casate,
restaura la pace sposando Elisabetta, la giovane figlia di Edoardo IV e diventa il nuovo re
d’Inghilterra, Enrico VII.
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LA TRAGEDIA DI RICCARDO III - lo spettacolo
CONVERSAZIONE CON RENATA PALMINIELLO
a cura di Giulia Bravi
Come sei passata dalla formazione alla creazione dello spettacolo?
Gli adolescenti hanno partecipato da febbraio a marzo 2016 a un percorso di formazione
strutturato utilizzando solo il materiale drammaturgico di Riccardo III. Sono stati dunque
messi in una condizione di indagine, studio e creazione, per la costruzione dei personaggi che
avrebbero interpretato e, come gli attori professionisti, hanno cercato gli strumenti più adatti
a rappresentare sulla scena quest’opera. L’obiettivo di questa formazione era il
raggiungimento dell’autonomia e la consapevolezza necessarie per potersi muovere dentro le
scene. Anche gli attori professionisti e non, durante brevi residenze di lavoro, hanno lavorato
sui personaggi e sull’analisi drammaturgica prima dell’inizio delle prove. Da gennaio 2016,
dopo che la preside del Liceo Artistico Petrocchi ha accolto il progetto, sono iniziati gli
incontri con le classi del liceo per la realizzazione degli oggetti di scena. Un lavoro diverso da
una semplice commissione, perché i ragazzi non si sono trovati nella condizione di realizzare
progetti altrui, ma li hanno ideati dando forma agli stimoli che progressivamente maturavano
durante gli incontri. Le loro creazioni hanno determinato delle scelte nella genesi dello
spettacolo vero e proprio; una collaborazione di competenze, che era tra gli obiettivi originali
del progetto.
Dopo aver individuato le linee drammaturgiche delle scene, il lavoro degli attori procede con
un alto grado di autonomia; sono autonomi nella proposta delle azioni drammatiche e nei
modi della qualità del movimento che danno ai loro personaggi.
I livelli su cui lavorare sono molti: da una parte c’è il racconto della storia, mantenere
chiarezza è un obiettivo prioritario, poi c’è quello di ciascun personaggio, delle sue relazioni
con gli altri personaggi e con ciò che accade durante la storia; ancora il livello della specificità
del linguaggio drammaturgico, la sua particolarità, la sua qualità. Perché lavorare su
Shakespeare è diverso da lavorare su Čechov, ad esempio; infine c’è lo spazio specifico nel
quale si decide di rappresentare la tragedia, in questo caso il Teatro Manzoni.
Il lavoro con i non professionisti non è facile ma stimolante; devo accettare le loro
caratteristiche e farne drammaturgia. Solo allora le individualità diventano un valore aggiunto
al personaggio. Gli attori non professionisti che hanno una certa età sono stati da noi definiti “i
sopravvissuti”, perché in ogni guerra civile questi sono pochi e se sopravvivono lo fanno
perché sono stati più furbi o più vigliacchi. Il gruppo degli attori professionisti è composto da
persone della generazione di mezzo, sono quelli che fanno la guerra, che fanno la storia, quelli
che uccidono e che muoiono. Il gruppo degli adolescenti è lo sguardo nuovo su ciò che accade:
sono il futuro possibile, così che l’acerbità della recitazione è l’innocenza. Questo tipo di
drammaturgia contiene degli elementi di concretezza e di astrazione e mette a dura prova gli
attori. In questo progetto su Riccardo III il contatto diretto tra professionisti e adolescenti non
professionisti ha dato, secondo me, degli strumenti in più per ottenere la concretezza. Anche
Elisa Cuppini ha lavorato dal punto di vista del movimento per trovare delle soluzioni alla
relazione tra concretezza e astrazione.
Il testo è un tuo riadattamento del Riccardo III di Shakespeare e di alcuni frammenti
della terza parte dell’Enrico VI, perché hai deciso di usare materiali provenienti da due
tragedie?
Ho scelto i frammenti dell’Enrico per presentare alcuni personaggi, Margherita per esempio, e
per evitare l’introduzione che sempre accompagna le versioni cinematografiche del Riccardo
in cui si spiega che siamo alla fine della guerra civile tra la casata dei Lancaster e quella degli
York. L’assassinio del giovane erede figlio di Margherita è il primo atto insopportabile, la
prima azione disumana, e trascina tutta la storia. Nel Riccardo III la guerra civile diventa
guerra dentro una sola famiglia; questo la rende sempre più crudele e rende il dolore sempre
più vivo.
Puoi parlarci dell’utilizzo particolare che fai dello spazio teatrale?
Il progetto è nato inizialmente per essere rappresentato all’aperto, nel cortile interno del
Teatro Manzoni. A me piace lavorare sugli spazi e i luoghi non convenzionali, è un lavoro che
deriva da Thierry Salmon; ma per motivi tecnici non è stato possibile. A quel punto abbiamo
deciso con la produzione di realizzarlo all’interno del teatro Manzoni. Stavo cercando una
nuova ricezione del lavoro da parte del pubblico, volevo che fosse dentro la storia, che i
personaggi fossero vicinissimi e lontanissimi e che le loro nefandezze fossero osservate
dall’alto. Volevo anche indagare la possibilità di una visione circolare come offrivano i teatri
elisabettiani. Così è nata l’ipotesi di togliere le sedie dalla platea e agire in uno spazio
semicircolare molto grande che comprendesse platea e palcoscenico, lasciando al pubblico
soltanto l’accesso al primo e secondo ordine di palchi. Lo spazio è stato uno dei tre elementi
fondamentali della creazione insieme al materiale drammaturgico e al gruppo degli attori.
Appena entra in teatro il pubblico si mette immediatamente nella condizione di accettare gli
artifici della finzione. Per questo possiamo trasformare lo spazio reale in molti spazi
differenti, perché il pubblico lo accetta di fatto e non siamo obbligati a dare delle identità
sempre uguali ai diversi luoghi dello spazio: la platea non è sempre la reggia, il palco non è
sempre la guerra. Esplorare le potenzialità dello spazio, una parte di lavoro imparata da
Thierry, serve a capire se il pubblico sta in una posizione come recepisce le scene. Nelle scelta
della disposizione del pubblico abbiamo tenuto conto della specificità dei personaggi
shakespeariani che hanno insieme due qualità che sembrano distanti: una che li rende
naturali e vicini e un’altra che li proietta verso l’archetipo.
NOTE DI REGIA
di Renata Palminiello
Questo materiale drammaturgico è inevitabilmente parte della nostra memoria, nel Riccardo,
come in altri testi di Shakespeare, ci sono intere frasi di cui siamo sicuri di conoscere il
significato, che aspettiamo di ascoltare dagli attori, appuntamenti ai quali siamo arrivati in
anticipo, sicuri. Poi comincia il lavoro e crollano una ad una le certezze, “prendere non è dare”
forse non vuol dire proprio quello che ci sembrava, vacilla persino “il mio regno per un
cavallo”. E si ricomincia da capo, dagli errori, dalla confusione. Perché è così difficile
ricordarsi, per esempio, che il morto che Anna vuole seppellire non è suo marito ma suo
suocero? E poi perché non è suo marito? Anche nelle risposte poi si comincia a sbagliare.
Elisabetta dice a Riccardo “i miei bambini erano destinati ad una morte più bella se iddio
avesse concesso a te il dono di una vita più bella”, ma una analisi psicologica fatta di traumi
infantili, di progetti di vendetta contro la vita crudele, non costruisce da sola l’azione
drammatica necessaria alla scena. Perché Clarence ci sembra una vittima mentre è un
colpevole, perché dimentichiamo il torto subito da Margherita e chiediamo la sua follia?
Così si comincia a fare, a stare nelle scene senza pensare di doverle possedere interamente. Si
comincia di fatto a non fidarsi solo di se stessi e si accettano i maestri, gli archetipi dei
personaggi, la Storia, il linguaggio.
Si scopre così che bisogna stare nel tempo veloce e lento che dà la scrittura, che è meglio
pensare all’amore piuttosto che al dolore nato dalla sua perdita, che è impossibile lavorare
una scena separata dall’altra, perché i personaggi sono “lunghi”, si allungano verso la
successiva, hanno obbiettivi diversi ma uno su tutti: vogliono sopravvivere. Questo non li
rende innocenti, ma li rende vivi. E la follia vera è solo di chi “par che voglia morire” .
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