In psicologia dello sport un ampio numero di ricerche è rivolto alla

In psicologia dello sport un ampio numero di ricerche è rivolto alla motivazione alla e nella pratica
sportiva, in quanto vi è l’esigenza di controbattere un fenomeno, ad oggi, in continua ascesa quale il
drop-out, o abbandono, sportivo. Questo fenomeno unito ad uno stile di vita sedentario, oramai
sempre più diffuso anche tra i giovani, sono aspetti che determinano, come tutti sappiamo, effetti
negativi sul benessere degli individui. A fronte di questo sono proprio gli operatori del mondo
sportivo, quali tecnici, dirigenti, insegnanti ed allenatori, che sollevano quesiti e chiedono strumenti
utili ad invertire questa tendenza.
Cosa è la motivazione? La motivazione è un insieme di scopi che orientano il comportamento
dell’individuo. In altre parole senza obiettivi e senza scopi non esiste la motivazione ad
intraprendere nessun comportamento, se non quelli, simili a riflessi, che hanno un valore adattivo.
Non sempre gli scopi sono così chiari e definiti nella nostra mente. Vi sono degli scopi definiti
‘terminali’, in quanto al vertice di una gerarchia di scopi, e scopi intermedi detti ‘strumentali’,
indispensabili per raggiungere quelli terminali. Ad esempio, da alcune ricerche descrittive, alcuni
ragazzi riportano di giocare a pallavolo per divertimento, per trascorrere un po’ di tempo in
compagnia degli amici o per farsene dei nuovi. Queste motivazioni possono essere definiti scopi
strumentali. A loro volta gli scopi strumentali sono il mezzo per raggiungere scopi terminali
superiori. Un esempio di scopo terminale è il bisogno di affiliazione che motiva la persona a cercare
di stabilire relazioni interpersonali significative e ad essere confermato nella propria capacità di
stare in gruppo o di fare amicizie. Altri ragazzi, particolarmente dotati sono motivati ad
intraprendere la pratica sportiva per il piacere di fare pallavolo o il desiderio di apprendere nuove
abilità: questi potrebbero rispondere a scopi superiori come il bisogno di potere, di eccellenza o di
successo.
Nel momento in cui si è motivati a mettere in atto alcuni comportamenti per raggiungere i propri
obiettivi segue una valutazione di ciò che è buono e di ciò che è cattivo. Questa valutazione dipende
dallo scopo che ci si è posti: ad esempio se il proprio giocatore più forte si infortuna , la situazione
verrà valutata come un pessimo evento avverso che può precludere la vittoria del campionato
mentre gli avversari la giudicherebbero come una situazione positiva e a loro favorevole.
Nel momento in cui valutiamo la situazione, il comportamento o l’evento come cattivo, le emozioni
ad esso dirette e collegate saranno negative, viceversa nel caso in cui il comportamento è valutato
come buono, le emozioni che ne derivano possono essere di felicità, contentezza e soddisfazione. In
altre parole le emozioni ci tengono informati sullo stato di successo o di fallimento, sia attuale che
previsto, per raggiungere i nostri scopi.
La tristezza dopo aver perso una partita ci ricorda il fallimento di uno scopo ormai non
raggiungibile, la paura o l’ansia del pre-partita ci segnalano un possibile ostacolo per vincere quel
titolo, per primeggiare, per avere successo, mentre la felicità ci indica come il nostro scopo
strumentale è stato raggiunto e di come le cose stiano andando bene per proseguire il
raggiungimento del nostro scopo terminale. Tutte queste emozioni sono tanto più forti quanto più
abbiamo investito nel nostro scopo e tanto più ci avviciniamo alla condizione desiderata.
In conclusione, la decisione di attivare uno scopo è frutto di un bilancio tra il bisogno percepito
(uguale alla distanza tra la condizione percepita e quella desiderata) e la perseguibilità dello scopo
stesso (che corrisponde alla stima delle probabilità di successo dei propri sforzi).
Detto questo è chiaro che un allenatore non dovrebbe mai dimenticare di individuare obiettivi di
squadra ed obiettivi personali di ogni atleta soprattutto nel breve ma anche nel lungo termine.
Ovviamente non tutti gli atleti sono uguali ed alcuni sembra veramente difficile motivarli anche se
dotati e capaci. Possiamo dividere gli atleti in due macro categorie: atleti che sono in grado di automotivarsi ad ogni seduta di allenamento perché desiderosi di migliorarsi e raggiungere il successo
ed atleti più fragili che cercano forti motivazioni dall’esterno.
Al primo gruppo appartengono ragazzi che hanno come scopi terminali l’impegno e il
raggiungimento di traguardi ambiti, ragazzi che di fronte a fallimenti o delusioni rispondono si con
forti emozioni negative ma non con grandi cali d’interesse verso lo sport.
Mentre l’altra tipologia di atleta è una persona che utilizza lo sport come mezzo per ottenere dal
mondo esterno conferme psicologiche e sociali sul proprio valore. Questo tipo di motivazione può
portare a facile appagamento per cui diventa necessario trovare ricompense sempre più elevate.
Caratteristiche salienti di questi atleti sono una incostanza di rendimento e una certa ritrosità
nell’impegno, soprattutto durante le sedute di allenamento.
Attenzione che questo discorso non è vero per i bambini più piccoli (fino all’under 14), in quanto
sono prevalentemente dipendenti dall’approvazione sociale, cioè ha un valore molto più
condizionante rispetto al risultato della prestazione. Tuttavia nella realtà succede che l’approvazione
sociale, soprattutto della famiglia, arriva in conseguenza al risultato: ‘bravissimi avete vinto, bravo
hai giocato bene infatti avete vinto’. Invece sarebbe importante dare feedback positivi e/o negativi
indipendentemente dal risultato.
Un potente strumento che può utilizzare l’allenatore è di definire un goal setting specifico per ogni
atleta, a capo di queste definizioni è sicuramente presente uno scopo sovraordinato rappresentativo
di tutta la squadra. Ad esempio: per Mario lo scopo è stare in compagnia e divertirsi in allenamento,
per Giovanni è migliorarsi, per Federico è essere il migliore e per Filippo può essere mantenersi in
forma. Lo scopo finale di squadra è arrivare quarti al torneo di categoria o arrivare a fine anno ed
aver appreso un determinato sistema di gioco. Aver chiaro queste situazioni è importante per
definire le aspettative, per fare delle richieste durante l’anno oltre che per creare convinzioni
nell’atleta di autoefficacia rispetto alla situazione individuale desiderata. Ovvero non possiamo
chiedere a Mario di fare esercizi ripetitivi contro al muro ad ogni allenamento o se lo chiediamo non
possiamo avere la pretesa che questi vengano eseguiti per il suo miglioramento perché è lontano dal
suo scopo e quindi non vi è la motivazione per farlo (punirlo non conta nulla se non drop-out!).
Mentre a Federico si può chiedere sempre il massimo impegno ma attenzione a non far subentrare la
noia per aver formulato o proposto esercizi troppo semplici ed uniformati a tutti i componenti.
Federico è quel tipo di persona che desidera l’allenamento individuale. Valorizzare questi aspetti
permette di avere con ogni atleta un rapporto esclusivo, che difficilmente porterà a drop-out se non
per variabili altre incontrollabili. Inoltre permetterà di valorizzare qualità del ragazzo che magari
sembrano ostacolanti al raggiungimento del nostro obiettivo personale di vittoria, ma che in realtà
possono essere aspetti di forte crescita per il gruppo, un valore aggiunto nell’espressione della
prestazione ottimale: esempio Mario può diventare il leader sociale, l’elemento aggregante tra le
parti.
Leggendo questo ultimo paragrafo alcuni allenatori possono essersi irritati, arrabbiati o aver
esclamato: tutta fantasia …! Già fino ad ora non è stato preso in considerazione il nostro scopo da
allenatore: solitamente coincide con l’obiettivo finale di squadra!!!!! In realtà ricordiamo sempre
che l’allenatore bravo non è solo quello vincente, ma è quello che educa, è quello capace di tenere i
ragazzi in palestra, è quello che rappresenta per questi ragazzi un modello da imitare, ascoltare e
seguire..! Ovvio che alcuni scopi possono essere tra loro in conflitto e quindi si devono operare
delle scelte che possono comportare perdite ma se esplicitate rappresentano una crescita per il
ragazzo e non un fallimento per l’allenatore.
Dott.ssa Claudia Fiorini, psicologa
Riceve c/o Modena Medica
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