Notazione Bizantina Il canto liturgico greco orientale, ovvero bizantino, si fonda su otto modi, dei quali quattro sono detti autentici e quattro plagali. La scrittura adoperata a riprodurre graficamente i suoni del variopinto sistema bizantino, sembra aver avuto tre riforme successive nel corso di mille anni. La prima riforma risale al XII° secolo, la seconda al XVII° secolo, e la terza, operata principalmente da Gregorio Lampadarios e da Crisante di Madytos nel XIX° secolo. Ogni riforma ebbe naturalmente lo scopo di rendere più chiara ed esplicita la notazione antecedente. Ciò vuol dire che la semiografia musicale greca primitiva attribuita a S. Giovanni Damasceno ( VII° secolo d. C. ) fu estremamente sintetica. Il significato delle note usate nella musica bizantina è completamente diverso da quello delle note europee moderne e delle lettere-note antiche. I segni musicali bizantini, presi isolatamente, non hanno infatti alcun significato, considerati collettivamente, ognuno di essi indica la distanza che lo separa dal precedente. Notazione Indiana Nel corso dei millenni la cultura indiana ha dimostrato una straordinaria vitalità e, pur assimilando elementi estranei, ha mantenuto caratteri originali. La molteplicità delle realtà musicali presenti nel subcontinente indiano riflette la varietà delle componenti culturali, frutto della lunga e intricata storia della regione. Attorno al 1500 a. C. , l'invasione dell'India da parte di popolazioni dell'Asia centrale di lingua indoeuropea, ebbe come conseguenza lo sviluppo nella regione di una cultura basata sulle sacre scritture vediche e la lingua sanscrita. I secoli successivi videro la nascita delle grandi religioni: il brahmanesimo ( sec IX a. C. ) da cui trasse origine l'induismo, il buddhismo e il giainismo ( sec VI° a. C. ). La dottrina musicale e la notazione che, attualmente, sono praticate in India derivano, naturalmente, dall'antico sistema sanscrito. Tutto il sistema dell'antica musica indiana si fondava sulla divisione dell'ottava in 22 particelle che erano e sono ancora oggi chiamate “sruti”. Sulla natura e sul valore di questi intervalli ( che negli antichi libri, sono definiti così: le più piccole distanze fra un suono e l'altro che l'orecchio possa afferrare ) varie sono le opinioni. V'è chi crede che essi fossero tutti di valore uguale e v'è chi afferma che essi cambiassero di valore secondo i casi e che corrispomdessero talvolta a un quarto, talvolta ad un terzo di tono. E' notevole però che, in un modo o nell'altro, la scala di 22 sruti non si presta a un esatto calcolo matematico. Dai nomi dati agli intervalli formanti l'eptacordo, gli indiani trassero, mediante abbreviature, i nomi che ancora oggi sono adoperati per le note stesse: Sha, Ri, Ga, Ma, Pha, Dha, Ni; e dalle iniziali di quei nomi tolsero i caratteri, come si fa attualmente per la scrittura musicale. L'ottava indiana corrisponde alla nostra scala maggiore. Nella antica musica, i suoni della scala generale, variamente combinati, secondo la particolare disposizione degli sruti, davano origine a diversi modi dei quali non si conosce più ne il numero ne la qualità. In essi eran composti alcuni canti, della più lontana età, detti ”raga” e “ragini” ai quali era attribuita, dagli antichi origine divina. Di tali venerandi canti, che erano come melodie tipo sulle quali tutte le melodie dovevano modellarsi, si è perduta traccia, si sa soltanto che i principali di essi eran 36 di cui 6 “raga” e 30 “ragini”.