SOMMARIO
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Il ruolo della terapia ormonale nella cura del carcinoma mammario
CAPITOLO 2
IL TARGET MACROMOLECOLARE: L’ENZIMA UMANO CITOCROMO P450
AROMATASI
Espressione tessutale ed azione biologica dell'aromatasi
La struttura tridimensionale dell’enzima aromatasi citocromo P450
Schema alternativo descrittivo del meccanismo di reazione mediato
dall’enzima aromatasi
CAPITOLO 3
GLI INIBITORI DI AROMATASI
Azione biologica degli inibitori dell'aromatasi
Inibitori dell'aromatasi di prima generazione
Inibitori dell'aromatasi di seconda generazione
Inibitori dell'aromatasi di terza generazione
Controindicazioni all'uso degli inibitori dell'aromatasi
Studi di determinazione delle caratteristiche di legame dei principali
inibitori dell’aromatasi
Un modello 3D della CYP19 aromatasi come punto di partenza per
la realizzazione di nuovi farmaci
CAPITOLO 4
CONLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Il ruolo della terapia ormonale nella cura del carcinoma mammario
Nel processo di induzione del tumore al seno gli estrogeni sembrano svolgere un ruolo
predominante. Pare che questi steroidi sessuali diano inizio e promuovano il processo di
cancerogenesi al seno aumentando la velocità di divisione cellulare e riducendo il tempo
disponibile per la riparazione del DNA. Una nuova ed emergente convinzione è quella che
gli estrogeni possano essere metabolizzati da catecolestrogeni e poi da chinoni che
direttamente danneggiano il DNA. Questi due processi, gli effetti genomici mediati dal
recettore estrogenino sulla proliferazione, e quelli indipendenti dal recettore, effetti
genotossici dei metaboliti dell’estrogeno, possono agire sinergicamente o in maniera
additiva come causa del tumore al seno. Esistono fondamentalmente due modalità sotto cui
si manifesta tale forma di cancro; una che si sviluppa indipendentemente dalla stimolazione
ormonale e l’altra sotto il controllo degli ormoni. Nel secondo sottotipo il ruolo degli
estrogeni come modulatori della mitogenesi annulla l’influenza di altri fattori. Questi
steroidi sessuali stimolano la proliferazione cellulare direttamente incrementando la
velocità di trascrizione di alcuni geni responsivi, come c-myc, e indirettamente attraverso la
stimolazione di fattori di crescita, prodotti in grandi quantità in risposta alla regolazione
estrogenica [1].
Per tale motivo gli inibitori dell’aromatasi possono essere usati al fine di ridurre la
biosintesi dell’estradiolo e potenzialmente causare una regressione tumorale ormonodipendente. La strategia ideale dovrebbe prevedere il blocco della sintesi estrogenica senza
inibire la produzione di altri importanti steroidi e quindi evitando i notevoli effetti
collaterali ad essa connessi.
Nelle fasi iniziali del tumore, la cellula neoplastica, che deriva dall'epitelio mammario, per
crescere sfrutta i propri recettori per l'ormone estradiolo. Di fatto tali recettori sono stati tra
i primi marcatori a entrare nella routine diagnostica del tumore al seno. Il modo più
semplice per impedire alle cellule di carcinoma di crescere è privarle degli estrogeni. Gli
estrogeni rappresentano il più importante stimolo cancerogeno endogeno. Questi, nella fase
pre-menopausale, vengono prodotti prevalentemente dalle ovaie. Quando la donna entra in
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menopausa, le ovaie perdono la loro capacità funzionale, ma gli estrogeni continuano a
essere presenti, seppur in minima quantità. Vengono prodotti infatti a partire dagli
androgeni a livello surrenale e successivamente trasformati in estrogeni. La loro
trasformazione è dipendente dalla massa grassa della donna: maggiore è la presenza di
tessuto adiposo, tanto più questi ormoni vengono trasformati. Si tratta di livelli minimi, ma
tali da stimolare e alimentare le cellule neoplastiche.
Due sono allora i possibili meccanismi su cui agire: impedire alla cellula tumorale di
utilizzare gli estrogeni prodotti, contrastandoli con antiestrogeni, come il tamoxifen, o
inibire la produzione degli stessi estrogeni intervenendo sulla loro sintesi. Gli antiestrogeni
impediscono che gli estrogeni, entrati nelle cellule tumorali, possano attivare i recettori. Gli
inibitori dell'aromatasi bloccano la trasformazione degli androgeni in estrogeni,
contrastando la crescita delle cellule tumorali e portandole al suicidio programmato.
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CAPITOLO 2
IL TARGET MACROMOLECOLARE: L’ENZIMA UMANO CITOCROMO P450
AROMATASI
Espressione tessutale ed azione biologica dell'aromatasi
I due principali androgeni, l’androstenedione e il testosterone, sono i substrati dell’enzima
aromatasi. Esso consta di un complesso contenente una proteina citocromo P450 e una
flavoproteina NADPH cit P450 reduttasi [2].
L'androstenedione è il substrato preferito per l'aromatizzazione; per convertire una
molecola di androgeno ad estrogeno, sono necessarie tre molecole di NADPH e tre
molecole di ossigeno. L'aromatizzazione procede in tre passaggi successivi (Figura 1) [3].
Figura 1. Rappresentazione schematica del meccanismo d'azione dell'enzima aromatasi che catalizza la
conversione dell’androstenedione ad estrose.
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Il gene codificante per la proteina citP450 (P450arom) consta di 70 kb. Il cDNA del gene
aromatasi contiene 3,4 kb e codifica per un polipeptide di 503 amminoacidi dal PM di 55
kDa. Approssimativamente esiste il 30% di omologia con le altre proteine P450 anche se
l’aromatasi appartiene ad una distinta famiglia genica indicata come CYP19 [1].
Studi recenti indicano che la trascrizione del gene codificante per l’aromatasi è altamente
regolata. Il primo esone della sequenza genica è trascritto ma non tradotto in proteina.
Esistono nove possibili esoni alternativi che possono dare inizio alla trascrizione
dell’aromatasi. Ciascuno di essi contiene a monte delle sequenze di DNA che possono sia
promuovere sia inibire la trascrizione dell’enzima. Tessuti differenti utilizzano specifici
esoni alternati per dare inizio a tale processo. Le sequenze promotrici che reagiscono con
elementi a monte di tali esoni stimolano la velocità di trascrizione del gene dell’aromatasi.
Per tale motivo ciascun tessuto può regolare il contenuto di trascritto in maniera altamente
specifica. L’espressione dell’enzima subentra in molti organi, comprese le ovaie, la
placenta, l’ipotalamo, il fegato, il muscolo, il tessuto adiposo e lo stesso tessuto canceroso.
L’aromatasi catalizza tre istinte idrossilazioni di steroidi che sono coinvolte nella
conversione di androstenedione ad estrone o di testosterone ad estradiolo. Nella fase di premenopausa la principale fonte dell’enzima e dei suoi substrati è l’ovaio. Comunque, anche
processi di aromatizzazione extra-ghiandolare di substrati surrenali in siti periferici
contribuiscono sostanzialmente al pool estrogenico nelle prima fase follicolare e tarda
luteale del ciclo mestruale. Nello stato di post-menopausa, l’ovaio perde il suo completo di
enzima aromatasi mentre continua a secernere androstenedione. Il surrene assume pertanto
un ruolo primario nel fornire substrati all’aromatasi attraverso la diretta secrezione di
androstenedione e testosterone. In aggiunta, il diidroepiandrosterone e il suo solfato sono
secreti dal surrene e convertiti in substrati dell’enzima nei tessuti periferici. La maggior
fonte di aromatasi nelle donne in post-menopausa sono quindi i tessuti periferici ed in
particolare quello adiposo e il muscolo.
Studi recenti hanno identificato quale importante sito di produzione estrogenica lo stesso
tessuto canceroso. I 2/3 dei carcinomi mammari contengono aromatasi e sintetizzano
quantità biologicamente significative di estrogeni a livello locale del tumore.
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L’espressione dell’enzima risulta più alta nello stroma dei tessuti tumorali ma è anche
presente nelle cellule epiteliali. Nel tessuto mammario circostante il tumore, i fibroblasti
pre-adipociti contengono attività aromatasica.
La struttura tridimensionale dell’enzima aromatasi citocromo P450
L’enzima Aromatasi appartiene alla superfamiglia delle emoproteine P450. Questa famiglia
consta di oltre 300 membri noti fino ad oggi; sono tutti caratterizzati da un residuo di
cisteina altamente conservato che funge da quinto ligando per il gruppo eme (Figura 2).
Figura 2. Rappresentazione schematica del gruppo eme.
Sono 3 i modelli principali realizzati finora per lo studio dell’aromatasi; nel 1987 Poulos e
collaboratori hanno determinato la struttura primaria dell’enzima P450 batterico isolato da
Pseudomonas putida (P450cam). Nel 1994 Peterson e Deisenhofer hanno determinato altre
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due strutture: P450terp da Pseudomonas e P450BM-P dal Bacillus megaterium. Dal
confronto fra queste tre strutture si è identificato il cosiddetto “core della proteina”; esso
contiene le regioni maggiormente conservate. Si tratta fondamentalmente delle 4 eliche α,
dei 2 foglietti β e della regione legante il gruppo eme. In tutte e tre le strutture sono presenti
2 domini caratterizzanti: un dominio prevalentemente ad α elica, che comprende all’incirca
il 70% delle proteine, e l’altro prevalentemente a β foglietto, comprendente circa il 22%
delle proteine. Le strutture maggiormente conservate sono le 4 eliche del dominio α: , D, I,
L e l’antiparallela E; e ancora le eliche J e K, i foglietti beta 1 e 2 e la regione legante il
gruppo eme, nonché il dominio N-terminale della regione legante l’eme, il cosiddetto
“meander” (Figura 3).
Figura 3. Struttura del "core" dei modelli P450s. I “cori” delle strutture P450cam (ambra), P450terp (porpora)
e P450BM-P (blu) sono mostrati insieme al gruppo eme (rosso). Il fascio sulla destra è composto dalle quattro
eliche I, L, D ed E con la regione legante l’eme e la regione “meander” che si estende dal terminale amminico
dell’elica L. Sulla sinistra sono mostrati i beta foglietti conservati.
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Si tratta delle strutture che rivestono certamente un ruolo determinante nel folding proteico
nonché nell’interazione con il gruppo eme.
Sulla base di tali dati Graham-Lorence et al. hanno costruito il modello tridimensionale
P450arom al fine di esaminare il sito attivo dell’enzima e di individuare i residui coinvolti
nel riconoscimento del substrato e di eventuali inibitori. La struttura di tale modello è
mostrata nella Figura 4.
Figura 4. Modello della struttura di P450arom visto dalla faccia distale alla regione di legame del partner
redox. In questa rappresentazione a nastri, i foglietti beta sono mostrati in arancio, le alfa eliche in blu e i
domini in porpora.
Al fine di ottimizzare il modello sono state eseguite minimizzazioni e simulazioni
dinamiche. Esse hanno orientato in 4 differenti modi l’androstenedione nel sito attivo
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dell’enzima; due di queste orientazioni sono planari con il gruppo eme e parallele all’elica
I, mentre la terza vede lo steroide posto perpendicolarmente (Figura 5).
Figura 5. Sito attivo del modello P450arom dopo simulazioni dinamiche. In questo modello l'androstenedione
è mostrato in verde chiaro e il gruppo eme in rosso. La treonina T310 insieme all'aspartato D309 e al
glutammato E302 sono indicati sull'elica I e l'istidina H128 e la lisina K130 sul dominio B’-C con
rappresentazione in tondini e barrette. L’ossigeno nella catena laterale di tali residui è mostrato in rosso, gli
atomi di azoto in blu scuro e quelli di idrogeno in grigio.
Come è possibile visualizzare dalla Figura 5, il sito attivo, dominio di legame del substrato,
è legato all’inizio del gruppo eme, sull’anello pirrolico β della I elica, sull’anello C del
dominio B’/C e sull’anello D del foglietto β 1-4 e sull’anello A del β 4.
Nell’orientazione sopra mostrata gli atomi di carbonio C1 e C2
dell’anello A
dell’androstenedione sono chiusi al residuo D309, con il metile in C19 equidistante dalla
T310 e dall’O2 che lega l’eme [4]. L’anello D dello steroide è coplanare all’H128
suggerendo che il gruppo chetonico in C17 possa formare legami ad idrogeno con uno degli
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atomi di azoto dell’imidazolo. Allo stesso tempo sia la K473 che la H475 del β foglietto 4
sono relativamente vicine al gruppo chetonico sul C3 e alla posizione C4, perciò potrebbero
casualmente disporsi all’entrata di accesso del canale e dovrebbero attraversarlo per
raggiungere il sito attivo [5 e 6].
Dall’analisi dei modelli P450terp e P450BM-P si è compreso che i substrati idrofobici sono
riconosciuti sulla superficie della proteina da una sequenza di amminoacidici idrofobici
adiacente al canale di accesso del substrato. Nel modello P450arom si tratta dei residui
M85, V87, W88 e I89 e del foglietto β1 (Figura 6).
Figura 6. Canale di accesso del P450arom visualizzato usando la superficie accessibile al solvente. La parte
inferiore del canale è composta dai foglietti β 1 e 2; quella superiore dai domini F e G. La spina dorsale del
peptide è mostrata insieme alle catene laterali dei residui aromatici. Le superfici per gli atomi di azoto in
catena laterale della lisina, arginina e istidina sono in blu, e quelli per gli atomi di ossigeno carbonilici
dell’aspartato e del glutammato in rosso. Gli atomi di azoto e ossigeno in catena laterale di asparagina,
glutammina, treonina e serina sono mostrati rispettivamente in blu chiaro e rosa. L’androstenedione è in
verde; porzioni di esso possono essere viste attraverso una sottile apertura del sito attivo.
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In seguito il substrato entra nella bocca del canale formata dal dominio F/G e dal foglietto
β1 e si posiziona al di sotto del sito, stabilizzato da interazioni idrofobiche. I residui
coinvolti sono l’I89 e la S90 del β1 foglietto e la L227, L228 e I229 del dominio F/G. La
loro presenza suggerisce l’idea che potrebbe esservi una modulazione del legame del
substrato all’accesso del canale dovuta a cambi conformazionali causati per esempio dalla
presenza di lipidi presenti o dalla temperatura. Inoltre all’interno del dominio F/G e delle
adiacenti eliche si riscontrano 8 residui aromatici che in Figura 6 appaiono allineati con un
ulteriore residuo aromatico del β foglietto a formare un sistema chiave-serratura capace di
occludere l’accesso al canale. Una sequenza non idrofobica (I96, I395, M374, L372) è
disposta dalla parte opposta di accesso al canale. Probabilmente i residui aromatici da una
parte
e
quelli
idrofobici
dall’altra,
consentono
la
corretta
localizzazione
dell’androstenedione; esso entra nella tasca del sito attivo con i metili in C 18 e C19 e si
orienta con la faccia beta verso i beta foglietti attraverso i residui alifatici, e con la faccia
alfa attraverso i residui aromatici del dominio F/G. Probabilmente il residuo H128 guida
l’orientamento nel sito attivo attraverso la presenza del gruppo chetonico 17 e del residuo
K473 avvia l’enolizzazione del gruppo chetonico 3.
Schema alternativo descrittivo del meccanismo di reazione mediato dall’enzima
aromatasi
Generalmente gli enzimi P450 catalizzano, insieme ai loro partner redox, la reazione di
monossigenazione di composti idrofobici come gli acidi grassi, i composti policiclici o gli
steroidi. Una delle più interessanti e complesse reazioni catalizzate da un membro della
superfamiglia P450 è la conversione del C19 degli steroidi ad estrogeni nel reticolo
endoplasmatico ad opera dell’aromatasi P450 (P450arom), il prodotto proteico del gene
CYP19 (Figura 7). Questa reazione, nota come aromatizzazione, è l’unica nei vertebrati che
risulta nella formazione di un anello fenolico aromatico. Insieme alla NADPH-P450
reduttasi, l’aromatasi catalizza la reazione di aromatizzazione dell’anello A degli androgeni
a formare l’anello fenolico caratteristico degli estrogeni, con concomitante perdita del
gruppo metilico sul C19.
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Figura 7. Rappresentazione del meccanismo di reazione dell'aromatasi che mostra la conversione
dell'androstenedione in estrone.
In accordo al modello di Lorence e collaboratori, è stato proposto uno schema
rappresentante il meccanismo di reazione mediato dall’enzima P450arom; in tale schema
un residuo di treonina determina l’inserimento dell’ossigeno nella molecola di substrato
formando un radicale dell’O2 e un intermedio perossido [7].
Come mostrato in Figura 8 le prime due idrossilazioni al gruppo metilico in C19 sono P450
catalizzate. Nella reazione 1 l’O2 è legato al gruppo eme ridotto, formando un perossido.
Nella reazione 2 la treonina T310 attiva l’ossigeno nella formazione di un intermedio
ossidato. Quindi la T è immediatamente riprotonata dal vicino D309. L’ossigeno attivato
strappa l’atomo di idrogeno dal carbonio prossimale sul substrato formando un radicale.
Infine il radicale idrossilico si ricombina con il radicale carbonio con una risultante
idrossilazione al carbonio (reazione 3). Questo accade per due volte consecutive sul metile
in C19, prima si forma un 19-OH poi un 19-OSSI-androstenedione (reazione 4) con un gemdiolo come intermedio.
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Figura 8. Meccanismo proposto per la reazione di aromatizzazione: step di idrossilazione. Questo schema
mostra la prima e la seconda reazione di idrossilazione testimoniando il coinvolgimento dei residui D309 e
T310 nell'attivazione dell'ossigeno.
Dopo tale sequenza di reazioni, si ha l’enolizzazione al gruppo chetonico 3, (reazione 5).
Ciò comporta la perdita dei due atomi di idrogeno sul C2 dell’androstenedione e la
donazione di un idrogeno al gruppo chetonico in C3 accompagnata dall’amminoacido D309
(Figura 9).
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Figura 9. Meccanismo proposto per la reazione dell'aromatasi: step di aromatizzzione e dello scambio della
treonina. Questo schema mostra la reazione di enolizzazione con il D309 che sottrae l'atomo di idrogeno in
posizione 2-beta e la K473 o la H475 quali possibili donatori del protone al gruppo chetonico in posizione 3.
Nella reazione di aromatizzazione dell’anello A dell’androstenedione è anche mostrato lo scambio in cui la
treonina promuove l’attacco perossidativo al C19, risultante nella deformilazione.
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Inoltre è stato analizzato il legame di un particolare inibitore dell’aromatasi, il vorozolo,
con il modello sperimentale P450arom; l’enantiomero S si sovrappone all’androstenedione
e l’anello imidazolico va a corrispondere con il gruppo metilico del C 19 rivolto verso
l’eme, conducendo uno degli atomi di azoto al legame covalente con il ferro emico (Figura
10).
Figura 10. Struttura dell’enantiomero S del vorozolo, in arancio, noto inibitore del P450arom, rappresentato
nel sito attivo di tale modello. Il vorozolo è strutturato in modo che l’anello clorofenilico giace sull’anello A
dello steroide, il benzotriazolo sugli anelli C e D e l’imidazolo sul gruppo metilico in C19
dell’androstenedione.
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CAPITOLO 3
GLI INIBITORI DI AROMATASI
Azione biologica degli inibitori dell'aromatasi
Gli inibitori dell'aromatasi inibiscono o inattivano l'enzima, determinando la soppressione
totale della sintesi di estrogeni, in particolare nelle donne in post-menopausa. Gli inibitori
dell'aromatasi hanno un’azione anti-estrogenica totale e dunque sono privi dell'attività
agonistica parziale propria del tamoxifene, responsabile sì di un effetto protettivo a livello
di mineralizzazione ossea, ma anche di un aumentato rischio di neoplasie uterine e di
tromboembolie venose.
Gli inibitori dell'aromatasi sono classificati in inibitori di tipo 1 (o inattivatori enzimatici
steroidei: sono steroidi analoghi dell'androstenedione che si legano irreversibilmente al
medesimo sito della molecola dell'aromatasi) ed in inibitori di tipo 2 (o inibitori enzimatici
non steroidei: sono sostanze a struttura non steroidea che si legano reversibilmente al
gruppo eme dell'enzima aromatasi) [4].
Un’ulteriore classificazione è quella che prevede tre generazioni di inibitori distinguendoli
sulla base del tempo di scoperta; si parla perciò di inibitori di I, II e III generazione.
Inibitori dell'aromatasi di prima generazione
Appartengono a questa classe l’aminoglutetimmide e il testololattone (Figura 11);
quest’ultimo non si è dimostrato un potente inibitore mentre l'aminoglutetimide, farmaco
inizialmente usato come anticonvulsivante, è stato il primo inibitore dell'aromatasi
utilizzato nella pratica clinica. Studi di cinetica con isotopi hanno dimostrato un’attività
inibitoria dell’aromatasi intorno al 90-95%, con un crollo dei livelli plasmatici e urinari di
estrogeni variabile fra il 50 e l’80% [1]. E’ stata riscontrata un’accelerazione del
metabolismo dell’estrogeno-solfato, con conseguente riduzione dei livelli plasmatici e
urinari degli estrogeni liberi [8].
Altri effetti collaterali sono l’induzione di enzimi che mediano processi metabolici epatici e
l’inibizione di enzimi che mediano la sintesi di cortisolo, aldosterone, tiroxina e aromatasi.
Pertanto la somministrazione di aminoglutetimmide deve essere accompagnata da
glucocorticoidi, idrocortisone e in alcuni pazienti di tiroxina.
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Figura 11. Rappresentazione dell’aminoglutetimmide e del testolattone
Inibitori dell'aromatasi di seconda generazione
Appartengono a questa classe gli inibitori fradozolo e il 4-OHA o formestano (Figura 12).
Il fradozolo(4-(5,6,7,8-tetraidroimidazolo[1,5a]-piridin-5il)benzonitrilemonocloroidrato) è
un inibitore abbastanza potente dell’aromatasi e mostra una notevole riduzione di tossicità
rispetto all’aminoglutetimmide.
Il principale inibitore dell'aromatasi di seconda generazione è il formestano. Si tratta di un
analogo strutturale dell’androstenedione che mostra elevata specificità per l’enzima; è un
composto appartenente agli inibitori di tipo 1 (suicida, non competitivo e irreversibile). Si
tratta di una molecola dotata di buona efficacia clinica, il cui limite è rappresentato
principalmente dalla via di somministrazione (iniezione intramuscolare).
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Figura 12. Rappresentazione del fradozolo e del formestano.
Inibitori dell'aromatasi di terza generazione
Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione sono l'anastrozolo (Arimidex, 2,2’-[5-(1H1,2,4-triazol-1-metil)-1,3-fenilenebis(2-metil-propiononitrile), il letrozolo (Femara, 4,4’(1H-1,2,4-triazol-1-metilene)bis benzonitrile), l'esamestano (Aromasin, 6-metilenandrosta1,4-diene-3,17-dione) e il vorozolo (Figura 13).
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Figura 13. Rappresentazione dell'anastrazolo, del letrozolo, dell'esamestano e del vorozolo.
Tali composti non influenzano in modo significativo la steroidogenesi surrenalica (e non
modificano quindi i livelli basali di cortisolo ed aldosterone) ed hanno il vantaggio di poter
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essere somministrati per via orale. L'anastrozolo, il letrozolo e il vorozolo sono inibitori
dell'aromatasi di tipo 2 (non steroidei). Essi hanno una emivita plasmatica di circa 48 ore.
L'esamestano è invece un inibitore dell'aromatasi di tipo 1 (inattivatore steroideo). La sua
emivita plasmatica è di 27 ore [9 e 10]. Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione
hanno dimostrato negli studi preclinici una elevata potenza (superiore di tre ordini di
grandezza rispetto a quella dell'aminoglutetimide), associata ad una buona tollerabilità
(Figure 14 e 15). In particolare la maggiore velocità di risposta è detenuta dal letrozolo; la
percentuale di pazienti che traggono benefici è paragonabile nei trattamenti con letrozolo,
anastrazolo e vorozolo; il tempo di progressione della malattia si riduce in maniera più
accentuata in seguito a somministrazione di vorozolo, un po’ meno con anastrazolo e
letrozolo come mostrato nella Tabella 1 [1].
Tabella 1. Confronto fra gli inibitori di aromatasi di III generazione.
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Figura 14. Rappresentazione schematica della potenza degli inibitori di aromatasi valutata attraverso studi di
cinetica isotopica per la determinazione del grado di inibizione.
Figura 15. Rappresentazione schematica dello spettro di azione degli inibitori di armatasi di I, II e III
generazione.
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Studi clinici hanno rivelato che anastrozolo, letrozolo ed esamestano a seguito del
tamoxifene riducono il rischio di recidiva, con pochi effetti collaterali. Paolo Pronzato in un
recente articolo discute le varie possibili somministrazioni degli inibitori di aromatasi in
terapia adiuvante: uso dopo 5 anni di tamoxifen, o dopo 2, o come prima scelta [11]. Dalle
indagini cliniche effettuate risulta che letrozolo offre significativi vantaggi nella terapia
anti-tumorale rispetto a tamoxifene nelle donne in post-menopausa, sia come trattamento
"di prima linea" del tumore al seno in fase avanzata sia come terapia pre-operativa per il
cancro localizzato. Letrozolo ha anche dimostrato una maggior efficacia come trattamento
"di seconda linea" per il tumore al seno in fase avanzata, anche in confronto a megestrolo
acetato e aminoglutetimmide. I risultati dello studio dimostrano che letrozolo ha
un'efficacia maggiore di tamoxifene in termini di tempo alla progressione del tumore,
tempo di fallimento della terapia, risposta obiettiva e beneficio clinico. Letrozolo ha ridotto
il rischio di progressione di della malattia di circa il 30% rispetto al tamoxifene e ha
prolungato il tempo di comparsa di progressione del tumore di circa il 50%, ha ridotto il
rischio di fallimento della terapia di circa il 30% e ha dimostrato una percentuale di risposta
obiettiva positiva superiore a quella di tamoxifene (30% contro 20%), indipendentemente
dal sito principale di metastasi, dalla precedente somministrazione di terapia antiestrogenica adiuvante e dallo stato recettoriale. Sovrapponibile invece è risultata la durata
della risposta con entrambi i trattamenti.
Controindicazioni all'uso degli inibitori dell'aromatasi
L'utilizzo degli inibitori dell'aromatasi è controindicato:
- nelle pazienti in pre-menopausa: gli inibitori dell'aromatasi inducono, nelle donne in
premenopausa, un aumento della secrezione di gonadotropine, a causa del ridotto feedback
degli estrogeni a livello ipotalamico ed ipofisario. In alcuni esperimenti su animali, gli
inibitori dell'aromatasi determinano in pre-menopausa un aumento delle dimensioni e del
peso delle ovaie.
- nelle pazienti con recettori ormonali negativi: le donne con carcinomi mammari che
risultano privi di recettori per gli estrogeni sono usualmente non responsive ai trattamenti
ormonali.
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Studi di determinazione delle caratteristiche di legame dei principali inibitori
dell’aromatasi
Studi struttura-attività condotti sugli inibitori dell’enzima aromatasi hanno condotto
all’ipotesi che il sito attivo dell’enzima sia notevolmente esteso: ciò, infatti,
giustificherebbe la capacità dell’aromatasi di interagire con composti che presentano
strutture chimiche anche molto diverse fra loro [12].
Gli enzimi citocromo P450 possono essere raggruppati in due classi sulla base dei loro
diversi partner redox: gli enzimi di classe I che necessitano di un dinucleotide flavinaadenina contenente la reduttasi e una proteina sulfidrilica per la loro attività. Gli enzimi di
classe II sono accoppiati ad un dinucleotide flavina-adenina contenente la reduttasi.
L’enzima CITP450bm3 appartiene alla seconda classe, in esso il gruppo eme è localizzato
all’estremità ammino-terminale, il dominio di legame del substrato e il dominio reduttasico
sono invece siti al terminale carbossilico. Tale modello strutturale presenta molte similarità
con gli enzimi eucariotici di classe II, come l’aromatasi. Proprio partendo da questo
presupposto, attraverso tecniche di omologia di modelli, ne è stato costruito uno nuovo
basato su quello del CITP450bm3; successivamente esso è stato comparato con quello
immediatamente antecedente, il CITP450cam [13].
Dal confronto fra i due si può evincere che essi si differenziano principalmente per la
lunghezza delle eliche F e G. Infatti nel CITP450cam esse giacciono antiparallele e si
estendono attraverso il lato del sito attivo della molecola dal margine verso il centro
cosicché i residui al C-term dell’elica F e all’N-term dell’elica G danno il principale
contributo alla struttura del sito attivo (Figura 16a). Mentre nel CITP450bm3, e quindi nel
derivante modello dell’aromatasi, entrambe le eliche sono più lunghe e si estendono quasi
del tutto dalla parte opposta al sito attivo della molecola (Figura 16b).
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Figura 16. Confronto fra le eliche B', F e G nel modello basato sul citocromo P450cam e quello basato sul cit
P450bm3 dell'aromatasi.
Un’altra differenza è riscontrabile nell’orientamento dell’elica B′ che nel modello basato
sulla struttura del CITP450cam gioca un ruolo importante nella definizione della tasca
extra-idrofobica.
Nell’analisi condotta da Kao e collaboratori sono stati preparati attraverso studi di
mutagenesi otto mutanti dell’enzima umano Aromatasi (I133Y, I133W, F235L, I395F,
I474W, I474M e I474N), al fine di valutare le caratteristiche del sito attivo e della tasca
idrofobica dell’enzima, già proposta nel modello di diffrazione a raggi x del citP450cam
[13].
Successivamente anche altri tre mutanti P308F, D309A e T310S, precedentemente
realizzati, sono stati presi in considerazione in studi sui profili d’inibizione di 3 inibitori
steroidei dell’enzima(4-idrossiandrostenedione, 7α-(4’-ammino)feniltio-1,4androstandiene
-3,17-dione e 2,19-metileneossiandrostene-3,17-dione) e 4 a struttura non steroidea
(aminoglutetimmide, CGS20267, ICI D1033 e vorozolo). Si è così ottenuta una visione
completa sulle basi molecolari dei legami di struttura dei sette inibitori con il sito attivo
dell’aromatasi.
Sono stati individuati alcuni residui di cruciale importanza per l’attività catalitica
dell’enzima e quindi anche per il legame degli inibitori enzimatici.
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I principali residui coinvolti sono descritti di seguito:
Isoleucina-133, che è situata in prossimità del punto di chiusura del gruppo eme ma non
partecipa alla formazione della cavità del sito attivo dell’enzima; mutazioni a carico di
questo residuo sembrerebbero essere correlate ad uno spostamento dell’eme non più
correttamente posizionato per la reazione redox, e ancora inibirebbero il legame del
substrato. Anche se in realtà è stato osservato un effetto indiretto mediato anche da altri
residui adiacenti quali la Fenilalanina 134, importante dal momento che sembra interagire
con il C2 del substrato steroideo [14];
Fenilalanina-235, che è localizzata al terminale carbossilico dell’elica F e che interviene nel
processo di formazione della tasca extra-idrofobica; questo residuo contribuisce a
stabilizzare la struttura enzimatica;
Isoleucina-474, che sembrerebbe risiedere nella tasca extra-idrofobica e stabilire interazioni
di tipo aromatico fra gli anelli fenilici dei sostituenti e dei residui mutati;
Prolina-308, che è localizzata nella fenditura sita nella regione del ferro emico, in una
distorsione della parte centrale dell’elica I; sembrerebbe pertanto coinvolta nel legame del
substrato;
Treonina-310, che è in grado di donare un protone durante la reazione di ossido-riduzione
ed interagire con il carbonile C3 del substrato.
Sono state quindi prese in esame le interazioni di 7 differenti inibitori dell’aromatasi con i
mutanti enzimatici descritti in precedenza al fine di testare l’accuratezza dei modelli
realizzati e per poter determinare le diverse caratteristiche di legame degli stessi inibitori.
Mediante studi del profilo di inibizione è stata determinata la potenza relativa di questi sette
inibitori:
CGS 20267 > vorozolo >MDL 101.003 > ICI D1033 >4-OHA > 7α-APTADD > AG
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Figura 17. Strutture dell'androstenedione e di altri due inibitori dell'aromatasi.
I risultati ottenuti sono riportati in Tabella 2
Tabella 2. Valori di IC50 per l'inibizione dell'aromatasi wild-type e degli 11 mutanti da parte di sette
inibitori.
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Nel dettaglio si può affermare che:
L’MDL 101,003 è un inibitore competitivo che lega il sito attivo dell’enzima similmente al
substrato, fatta eccezione che in presenza delle mutazioni che modificano tale cavità e che
giacciono in prossimità del gruppo “a ponte” fra le posizioni 2 e 19 dove la struttura
dell’inibitore si differenzia da quella del substrato (Figura 18A);
Il 4-OHA (idrossiandrostenedione) differisce dal substrato perché possiede un gruppo
idrossilico in posizione C4 e tale modifica determina una variazione dell’orientazione del
legame; tale differente orientamento porta lo steroide in una posizione più vicina ai residui
Asp-309 e Thr-310; la conversione dell’aspartato in alanina e della treonina in serina può
determinare una variazione delle dimensioni della tasca del sito attivo giustificando la
minore potenza dei due mutanti D309A e T310S. La conformazione della regione in
prossimità di tale sito può essere modificata solo leggermente, incrementando l’affinità di
legame e la potenza del 4-OHA per il mutante P308F. Nel caso del mutante T310S la
mutazione riduce fortemente la velocità dello step di in attivazione enzimatica.
Tale inibitore mostra un meccanismo d’azione complesso, infatti sebbene agisca in modo
competitivo è stato osservato che oltre a ridurre reversibilmente l’affinità di legame
dell’enzima per il substrato determina anche modifiche nella capacità dell’enzima mutante
a catalizzare la reazione che produce l’inibizione reversibile.
Come mostrato nella Figura 18B il 4-OHA mostra un’orientazione nel sito attivo
dell’enzima non molto differente da quella del substrato; infatti il gruppo idrossilico in
posizione 4 è indirizzato verso il dominio idrofobico.
Il 7α-APTADD assume una conformazione simile al substrato (Figura 18C) ad eccezione
che per il sostituente in posizione 7α che entra nella tasca idrofobica attraverso
un’interazione fra l’anello fenolico e il residuo aromatico 474 [15]; inoltre si riscontra una
localizzazione dell’anello D dell’inibitore più vicina ai residui I133 e F134, ciò causa una
lieve diminuzione dell’affinità di legame verso i mutanti I133W e I133Y rispetto al
substrato.
L’AG (aminoglutetimmide) interagisce con il sito attivo dell’enzima con il gruppo paraaminofenolico diretto verso il ferro emico; la lunghezza di tale sostituente è tale che
l’anello glutarimmidico deve giacere antecedentemente all’anello A dello substrato. Le
piccole dimensioni di questo inibitore limitano le possibilità d’interazione con la
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relativamente ampia cavità del sito attivo e risulta altresì ridotta la sua sensibilità alle
mutazioni indotte (Figura 18D).
CGS 20267, Vorozolo e ICI D1033 sono caratterizzati da un gruppo imidazolico o
triazolico che interagisce fortemente con il ferro del dominio eme e con uno o più
sostituenti aromatici.
CGS 20267, vorozolo e ICI D1033 sono inibitori competitivi.
Il vorozolo si orienta in modo da favorire l’interazione tra il gruppo tiazolico e l’eme; il
gruppo 1-metilbenzotriazolo mima gli anelli C e D dello steroide ma il sostituente paraclorofenile è diretto verso il D309 (Figura 18E).
Il CGS 20267 si posiziona con l’anello imidazolico orientato verso il gruppo prostetico; un
gruppo para-cianofenilico riproduce la porzione degli anelli C e D del substrato mentre
l’altro punta verso il D309, similmente al vorozolo (Figura 18F).
Risulta invece più difficile stabilire la corretta orientazione di ICI D1033; una prima
possibile orientazione prevede un gruppo cianoisopropilico che mima gli effetti dell’anello
D del substrato, includendo il C18 del gruppo metilico, e l’altro che occupa una regione più
vicina rispetto a quella dei due sostituenti del vorozolo e del CGS 20267. Comunque tale
orientamento si esplica attraverso due diversi posizionamenti del gruppo triazolico rispetto
all’eme come mostrato in Figura 18G.
Un’ulteriore orientazione prevede che tutti e tre gli inibitori protrudano in una regione al
di sotto dell’anello A del substrato in direzione dell’D309 (Figura 18H).
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Figura 18. Modelli della presunta orientazione di sette inibitori nel sito attivo dell'aromatasi.
In questi modelli, il substrato androstenedione è mostrato in verde e il gruppo eme in rosso. Pannello A: MDL
101,003 (magenta); pannello B: 4-OHA (magenta); pannello C: 7α-APTADD (Magenta). In queste immagini,
la catena laterale dell’isoleucina 133 è mostrata nella sua posizione alternativa; pannello D: AG (magenta);
pannello E: vorozolo (magenta); pannello F: vorozolo (verde), CGS20267 (giallo) e ICI D1033 (magenta).
L’orientazione del gruppo 2-fenilimidazolico nella struttura del cristallo di questo complesso con il
citP450cam è mostrato in verde; pannello G: ICI D1033 (magenta); pannello H: immagine che mette a
confronto l’orientamento di vorozolo (magenta), CGS20267 (giallo) e ICI d 1033 (arancio) nel sito attivo.
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Un modello 3D della CYP19 aromatasi come punto di partenza per la realizzazione di
nuovi farmaci
Per poter comprendere la precisa geometria del sito attivo dell’aromatasi (CYP19
estrogeno-sintetasi) in modo da progettare nuovi inibitori dell’enzima e studiare il legame
di substrati naturali e non, è stato costruito un modello tridimensionale per omologia,
utilizzando il primo enzima citocromo P450 di mammifero cristallizzato, il CYP2C5 di
coniglio (realizzato da Wester e collaboratori) [16]. I substrati per questi due enzimi sono
molto simili, differiscono solo per il gruppo acilico al C17 del progesterone confrontato alla
funzione carbonilica del C17 dell’androstenedione o a quella β-idrossilica del C17 del
testosterone. Il modello iniziale, ottenuto per allineamento di sequenze da Karkola, Holtje e
Wahala, è stato perfezionato e avvalorato attraverso studi di simulazione dinamica con e
senza il substrato naturale, l’androstenedione [17]. Tali indagini sono state eseguite al fine di
osservare le modificazioni del sito attivo in presenza del ligando e per analizzare la stabilità
del
complesso
enzima-substrato.
E’
stata
monitorata
la
distanza
fra
il
C19
dell’androstenedione e il ferro emico in modo da poter osservare se l’atomo di carbonio che
deve essere idrossilato rimane il carbonio più vicino al ferro catalitico. Si è visto che tale
distanza è quella minore possibile nella metà delle conformazioni di traiettoria considerate
e, in particolare, nella struttura rappresentativa migliore del gruppo. Nel modello di Karkola
e collaboratori il substrato non forma direttamente legami ad idrogeno con la proteina e
questo può essere spiegato dal fatto che il sito attivo dell’enzima è stato realizzato in modo
da legare un alto numero di substrati idrofobici e gli unici siti disponibili per un legame a
idrogeno, i gruppi carbonilici in C3 e C17, sono localizzati ai margini dello scheletro del
substrato. In generale l’inserimento del substrato non determina cambi significativi nella
conformazione globale del sito attivo. L’unico effetto visibile è il riposizionamento del sito
di riconoscimento del substrato localizzato nel foglietto β4, dove la S478 è rivolta dalla
parte opposta del sito attivo. I residui L479 e H480 forniscono i siti di legame idrofobico e
ad idrogeno rispettivamente per i ligandi al sito attivo. Un’immagine riassuntiva della
struttura dell’aromatasi descritta è rappresentata in Figura 19.
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Figura 19. Rappresentazione della struttura dell'aromatasi. Le eliche sono mostrate in rosso, i foglietti in
giallo, l'androstenedione e il gruppo eme sono in blu, mentre il ferro emico è rappresentato dalla sfera
magenta.
Il sito attivo del complesso enzima-substrato è stato identificato selezionando una sfera di
8Ǻ attorno all’androstenedione (Figura 20). Oltre al gruppo eme quest’area include altri 42
residui (K119, L122, C124, I132, I133, F134, N135, D222, A223, Q225, A226, L227,
I229, K230, I233, Y244, L301, E302, M303, I305, A306, A307, D309, T310, M311, V313,
Q367, P368, V369, V370, D371, L372, V373, M374, F430, C437, L477, S478, L479,
H480 e P481). Sono state inoltre individuate 31 molecole di acqua all’interno della sfera,
alcune in grado di formare ponti a idrogeno fra il substrato e i residui del sito attivo.
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Figura 20. Rappresentazione del sito attivo della struttura ottenuta attraverso simulazioni dinamiche con il
substrato, l’androstenedione. Esso è mostrato in arancio, il gruppo eme è rappresentato dalla sfera magenta.
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CAPITOLO 4
CONCLUSIONI
Gli studi di omologia di modelli finora realizzati e descritti nel dettaglio in precedenza
hanno fornito le basi per la determinazione della struttura fondamentale di proteine
bersaglio non ancora completamente realizzate sperimentalmente.
Questi modelli potrebbero aprire la strada a studi futuri indirizzati verso la comprensione
del corretto meccanismo di reazione catalizzata dall’enzima.
Indagini sperimentali future saranno certamente indirizzate verso l’applicazione dei modelli
teorici nella determinazione del farmacoforo, di screening virtuale di banche dati di ligandi
e progettazione di nuovi composti da testare quali farmaci per la cura di tumori estrogenodipendenti.
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