Il Comportamentismo Origini e caratteristiche del comportamentismo Sorto negli Stati Uniti come behaviorism, corrente della psicologia moderna secondo cui l'unico oggetto di studio per una psicologia scientifica è il comportamento manifesto, il comportamentismo estende nelle scienze sociali la prospettiva empiristica, scegliendo come oggetto di studio il comportamento manifesto. La concezione behavioristica vede il comportamento dell'organismo come risultante del rapporto "stimolo-risposta". Secondo questa idea, è il comportamento dell'individuo che produce effetti sull'ambiente. Questi ultimi si traducono in risposte che vengono interpretate dal soggetto come ricompense (rinforzi positivi) o punizioni (rinforzi negativi). Tutto il nostro comportamento dipende quindi dal tipo di rinforzi ricevuti dall'ambiente. L'approccio comportamentista non assegna alcun ruolo al processo conoscitivo di formazione dei concetti da parte del soggetto: le idee, le motivazioni che fanno da sfondo ai comportamenti manifesti non sono considerate come variabili rilevanti ai fini dei risultati della ricerca; esiste solo ciò che si può rilevare empiricamente, solo ciò che è comportamento manifesto. Tutto il resto non è oggetto di conoscenza scientifica. Con il comportamentismo si tende a rifiutare l'uso di proposizioni vere a priori e si adotta una modalità di analisi empirica della realtà sociale che necessita del controllo delle ipotesi formulate attraverso il vaglio dei fatti empiricamente rilevabili. I fatti hanno valore di variabili esplicative. La spiegazione che ne segue acquista la forza esplicativa di una teoria se riesce a garantire la ricerca di uniformità di comportamenti e una loro possibile interpretazione sistematica. In questo clima neopositivista nascono le prime teorie relative alla distribuzione del potere e al funzionamento del sistema politico; nasce il concetto di "indicatore sociale", cioè di comportamenti, atteggiamenti e fenomeni reali, empiricamente rilevabili e traducibili nel linguaggio operativo del comportamentismo. Nasce la ricerca empirica sul campo centrata sull'idea di condizione probabile e il relativo problema del metodo e delle tecniche atte ad effettuare tali rilevazioni (interviste, questionari, campionamenti). Nasce una nuova branca della ricerca scientifica rivolta a fenomeni sociali in senso ampio, con nuove discipline che fanno capo al movimento comportamentista (dalla Scienza politica e Sociologia, alla Demografia e Statistica sociale) in grado di coprire nuove aree del sapere scientifico prima quasi del tutto scoperte o inesistenti. Le condizioni storiche che concorrono alla nascita di tale movimento sono da ricercare nel 51 bisogno crescente di assicurare il controllo sociale in una società come quella statunitense del tempo, attraversata da imponenti fenomeni di immigrazione, urbanizzazione e industrializzazione. Almeno nel primo periodo, che va dal 1920 al 1950, il comportamentismo agì sulla scienza politica come movimento di rottura che trovò molti ostacoli e pochi finanziamenti, e che diede scarsi frutti scientifici. Nel secondo periodo, che va dal 1950 alla fine degli anni '60, il comportamentismo è penetrato in tutti i settori della scienza politica, ma ha dato, al tempo stesso, il via ad una serie di reazioni che, provenendo dal suo ambito, sono destinate ad esercitare una maggiore influenza sugli sviluppi della disciplina, che non le reazioni dei tradizionalisti contro il metodo scientifico tout-court. Quadro storico: gli anni Venti negli Stati Uniti Anni Venti: segnati da intensi rivolgimenti, anche negli Stati Uniti. L'economia di guerra aveva favorito negli Stati Uniti un miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice che si era vista assicurata dall'intervento dei poteri pubblici, piena occupazione, minimi salariali e stabilità dei prezzi. L'offensiva dei magnati dell'industria per porre fine ad ogni forma d'intervento statale nei rapporti economici si tradusse in offensiva anti-operaia condotta a livello aziendale e politico. I gruppi capitalistici si adoperarono per fiaccare le organizzazioni sindacali protesta operaia, che fra il 1919 e il 1922 alimentò scioperi nei grandi centri industriali. Ristabilito "l'ordine" nei termini del liberalismo classico, ossia riconquistata la piena libertà d'azione all'iniziativa privata, scompaginato il movimento operaio e soffocata l'opposizione dei gruppi progressisti, prese avvio una incontrollata corsa al guadagno. Tuttavia lo squallore morale della classe dominante e la vita miserabile dei poveri nelle regioni del sud, denunziavano il limite umano e civile della "prosperità" americana. Le disponibilità create dai profitti industriali non venivano convertite in espansione dell'occupazione e in aumenti salariali tali da elevare il potere d'acquisto delle masse popolari. Anzi, i ceti imprenditoriali insistettero in una politica di contenimento salariale, mantenendo inalterati i prezzi dei beni immessi sul mercato. La crescente sovrabbondanza di capitali trovò sbocco nei titoli di borsa che coinvolsero vasti settori dei ceti medi; fu proprio la speculazione effettuata sui titoli azionari che contribuì al crollo (1929) dell'intero sistema finanziario e produttivo USA. La presidenza del repubblicano Hoover, fedele ai principi del liberalismo ottocentesco, si dimostrò incapace di affrontare la crisi, mentre le contraddizioni preesistenti diventavano sempre più incontrollabili ed esplosive. In questo clima si sviluppò il movimento comportamentista. Esso si delineò come movimento di opinione che proponeva una sensibilità inedita per le scienze sociali: la ricerca empirica. Tuttavia, il comportamentismo finì col proporre una interpretazione del mutamento strutturale, che cominciava a delinearsi in quegli anni (crisi del '29), nel senso di un mutamento nella continuità rispetto al passato. In altri termini, se da una parte il metodo di rilevazione empirica 52 proposto dal comportamentismo nasceva dal bisogno di dare una risposta significativa alla conoscenza di tali fenomeni di rivolgimento sociale, dall'altra tuttavia, proprio lo stesso metodo empirico, nel fissare i parametri di definizione della realtà secondo gli standard neopositivisti, fornì anche un efficace strumento di controllo sulla direzione del mutamento in corso. Al centro dell'attenzione degli studiosi vennero a trovarsi la situazione europea e la crisi del sistema liberale. In questi anni di cambiamenti, il comportamentismo americano, pur preoccupandosi di controllare le forze prorompenti nel sociale, non ne ostacolò l'espressività, ma si preoccupò di riadattare il metodo scientifico di osservazione e rilevazione dei dati delle scienze sociali. Si preoccupò di operare un controllo sul mutamento sociale attraverso un cambiamento del metodo scientifico: non più un controllo attraverso atti di fede sul doveressere istituzionale dello Stato liberale, che per altro si stava trasformando, ma attraverso proposizioni sottoponibili a verifica, e quindi controllabili, secondo il suggerimento neopositivista. Affinché tali fenomeni di mutamento potessero avere una spiegazione soddisfacente, entro un modello che ne garantisse ancora il controllo, bisognava cambiare, insomma, proprio il metodo di osservazione della realtà. Fu proprio l'alleanza tra la borghesia più avanzata e l'avanguardia culturale americana che favorì una politica di interventi dello Stato nei rapporti economicosociali, secondo un programma che venne reso operativo col New Deal, sotto la presidenza di Roosvelt. Proprio di tale rivolgimento dell'intero sistema istituzionale, il comportamentismo rappresentò, tuttavia, uno dei momenti più significativi di interpretazione del mutamento strutturale avvenuto, nel senso di un mutamento nella continuità rispetto al passato, almeno per quanto riguarda gli schemi e le prospettive aperte dall'analisi scientifica neopositivista in campo sociale. L'approccio comportamentista in Scienza politica Principi basilari della proposta comportamentista per la Scienza politica. Studio del "comportamento manifesto", muovendo da uno scetticismo di fondo sul sapere ufficiale, proprio perché basato su proposizioni valide a priori, e non verificabili o confutabili dai fatti, come deve garantire invece un metodo scientifico della ricerca empirica. Scopo del comportamentismo: formulare proposizioni teoriche circa l'uniformità di comportamento nei rapporti sociali, al fine di poter assicurare un controllo sociale, pur nel suo mutamento effettivo e non solo formale (nomologico). Prospettive epistemologiche proposte:astoricità e avalutatività. Con la prima il fenomeno viene osservato e fotografato nell'istante in cui viene compiuta l'indagine, astraendolo dal contesto storico che gli è proprio. La scelta è motivata dal rifiuto di un 53 metodo, quello storico, giudicato "individualizzante e idiografico". Gli storici cercano di delineare le cause e le condizioni che spiegano un particolare avvenimento e le sue conseguenze, mentre gli scienziati sociali vogliono giungere a elaborare generalizzazioni di tipo predittivo su categorie di avvenimenti. Con la prospettiva dell'avalutatività si adotta l'assunto del neopositivismo secondo cui è possibile escludere dall'indagine scientifica valori ideologico-culturali del ricercatore e della società. Mezzi: ricerca di rigorose tecniche di analisi basate sulla misurazione dei fenomeni sociali, ricerca di unità elementari di analisi generalizzabili su cui poter fondare le teorie scientifiche. Tale ricerca risulta problematica poiché le soluzioni date a quest'ultimo problema differenziano, all'interno dell'orientamento comportamentista, i diversi approcci all'analisi politica. Da qui la complementarietà del metodo, l'interdisciplinarietà e l'utilità della comparazione: poiché si ammette che ogni spiegazione può essere solo parziale e problematica, vi è la ricerca del confronto di soluzioni diverse che partono da diverse premesse, al fine di integrare la disciplina coi risultati delle altre scienze sociali. I criteri di appartenenza: l'appartenenza è questione d'adesione a un'esperienza collettiva nella quale condividere con altri impegni e ideali simili, rispettando i reciproci interessi, cercando e offrendo aiuto e sostegno, o accettando una comune leadership. Tutti gli approcci che si rifanno al comportamentismo sono accomunati dall'esigenza di ridefinire il campo di analisi, il metodo e l'oggetto della scienza politica, mettendo l'accento in particolare su due elementi: 1) sul concetto di attività (anziché sulle istituzioni): ricerca di un tipo di attività che possa essere espressa in una diversità di modelli sia teorici sia istituzionali; 2) sulla prospettiva del processo: le istituzioni vengono considerate la risultante dell'interazione tra i vari gruppi operanti nella società civile, come processo di attività in corso di continua evoluzione. Emerge pertanto una concezione dinamica della società, che riflette una concezione pluralista sia nella vita politica sia nella ricerca scientifica: la condivisione dei principi di causalità multipla e di interdipendenza avvicinano, infatti, il movimento comportamentista alla risposta probabilistica e neopositivista che comincia ad affermarsi proprio nello stesso periodo storico. L'analisi comportamentista del potere: la teoria elitista Sulla scia della teoria dell'élite, negli Stati Uniti, dove si era consolidato l'approccio comportamentista, furono condotte, intorno agli anni Cinquanta, una serie di ricerche che avevano come oggetto di studio privilegiato l'analisi del potere politico entro il contesto politico 54 statunitense. In questo ambito presero forma due diverse teorie sul potere politico: 1. La tesi elitista fu sostenuta per prima da Wright Mills, secondo il quale gli Stati Uniti, nonostante l'immagine pluralista e di società aperta, sono dominati da una ristretta e potente élite di persone che occupano ruoli strategici entro i tre maggiori complessi organizzativi - gli ordini istituzionali - che hanno acquisito il dominio della società statunitense: la burocrazia pubblica, le grandi corporation e le forze armate. Poiché il capitalismo avanzato del nostro tempo esige che si prendano decisioni fortemente coordinate e di ampia portata nell'ambito dello Stato, dei grandi gruppi economici e delle forze armate, ne segue che i massimi dirigenti di queste organizzazioni sono costantemente in contatto tra loro e spesso prendono in modo informale decisioni di grande importanza politica e sociale. Si ipotizza pertanto che vi sia coincidenza di interessi e di intenti tra i vertici che costituiscono l'élite del potere. Utilizzando il metodo reputazionale, centrato sull'individuazione dei ruoli di chi possiede il potere decisionale, Mills individua tre livelli di esercizio del potere politico: a) al livello più alto sta l'élite del potere, ben integrata, che opera in modo informale e invisibile, prendendo tutte le decisioni più importanti in materia di politica interna ed estera; b) il livello intermedio è costituito dal settore legislativo, dai diversi gruppi di interesse e dagli opinion leaders locali. A questo livello le decisioni vengono prese attraverso l'intervento di gruppi di pressione (lobbies) e attraverso i procedimenti legislativi; c) al terzo livello sta la massa dei cittadini, priva di organizzazione e di potere, caratterizzata da apatia, che può esercitare solo una scarsa influenza sulle decisioni che la riguardano e non ha modo di esercitare alcun controllo effettivo sull'élite. Come i teorici europei dell'élite, anche Wright Mills si dichiara pessimista circa la possibilità che la democrazia mantenga le sue promesse di socializzazione del potere. Tuttavia, a differenza dei primi che legittimavano una soluzione autoritaria della gestione del potere politico, l'autore denuncia la contraddizione esistente tra l'ideologia democratica dominante e la realtà politica, caratterizzata dal dominio di un'élite che disattende chiaramente i principi basilari del sistema democratico. L'analisi comportamentista del potere: teoria pluralista 2. Tesi pluralista: due degli autori più noti in questo ambito sono Riesman e Dahl i quali non condividono la concezione verticistica del potere, propria degli elitisti, ma ne ipotizzano una diffusione policentrica e la possibilità da parte di più élite in concorrenza tra loro di influenzare di volta in volta le decisioni politiche rilevanti. Negano quindi l'esistenza di una élite del potere coordinata, in grado di mantenere il 55 monopolio del processo decisionale. A questo proposito, Dahl accompagna la sua critica alla teoria elitista con una critica metodologica al concetto stesso di élite: tale concetto non sarebbe misurabile secondo i canoni della operazionalizzazione; esso non sarebbe allora un concetto scientifico. Lo stesso problema metodologico verrà sollevato poco più tardi dai neoelitisti, come Bacharach e Baratz, che proporranno un superamento del metodo comportamentista. Secondo Riesman esistono negli Stati Uniti due livelli di potere: a) il livello più alto è rappresentato dai gruppi dotati del potere di veto (veto group): potenti gruppi di interesse che cercano di difendersi bloccando le proposte di altri gruppi che possano intaccare i loro interessi. Il potere non è perciò fortemente centralizzato, anzi, a secondo degli interessi in gioco si formano mutevoli coalizioni per cui, alla lunga, nessun gruppo risulta privilegiato nei confronti degli altri. b) Al secondo livello si trova la popolazione non organizzata che diventa oggetto delle attenzioni dei gruppi dotati di potere di veto, i quali cercano di orientare l'opinione pubblica in loro favore, avendola come alleata nelle loro campagne. Utilizzando il metodo decisionale (usato prevalentemente dai politologi), che consiste nell'analizzare le procedure e gli esiti delle decisioni pubbliche riguardanti le principali questioni (issues) di rilevanza strategica per la comunità, Dahl giunge a conclusioni simili a quelle di Riesman: il potere politico, inteso come capacità di influenzare la formulazione di decisioni politiche, appare strutturato secondo un sistema di "disuguaglianze disperse" e non cumulative. Se, da una parte, tra i decisori si rivelano più influenti coloro che occupano i ruoli politico-amministrativi formali, che Dahl chiama "lo strato politico", dall'altra è anche vero che tra questi vi sono anche i leader politici che devono fare i conti con i propri elettori. Il potere dei cittadini-elettori, suggerisce Dahl, è tanto maggiore quanto più la leadership è divisa e internamente conflittuale ed è obbligata pertanto a ricercare il consenso popolare su opzioni politiche alternative. Sviluppi ulteriori dell'analisi del potere politico: neoelitisti e neomarxisti Tra gli sviluppi dell'analisi della classe politica scaturiti dalla teoria dell'élite, vanno ricordati i contributi dei neoelitisti, e dei neomarxisti, accomunati da una contrapposizione al metodo comportamentista di definizione dell'oggetto di analisi: i primi più presenti nella politologia statunitense, i secondi in quella europea. Sempre entro il contesto statunitense, ma con una sensibilità metodologica già postcomportamentista, Bachrach e Baratz, con una ricerca sul potere politico nella città di Baltimora, hanno proposto la tesi neoelitista, mettendo in luce "l'altra faccia del potere", quella meno visibile, costituita dalla mobilitazione del pregiudizio e dalle non-decisioni, e quindi non sempre rilevabile empiricamente. Le tematiche del non decision-making riproporranno negli anni Settanta il dibattito tra neoelitisti e pluralisti democratici, spostando però in modo 56 interessante il dibattito sulla scientificità del metodo della ricerca: se cioè le non-decisioni possano costituire o meno oggetto di ricerca scientifica, empiricamente intesa. Il dibattito avviatosi sul tema del potere politico, in ambito comportamentista, ha messo in luce i limiti e i problemi di ordine metodologico che il comportamentista porta con sé, problemi che sono tipici peraltro del "paradigma scientifico empiristico". I contributi neomarxisti di autori come Miliband e di Poulantzas partono da una messa in discussione dell'approccio funzionalista di matrice comportamentista che si era imposto nella scienza politica statunitense, per ridimensionare la teoria pluralista e ribadire il predominio di una classe dominante costituita dai detentori del potere economico. Rileggendoi rapporti di potere tra le classi sociali alla luce della teoria marxista del materialismo storico, gli autori analizzano il processo decisionale non a partire dall'attore politico (chi decide) ma a partire dal processo sociale di produzione, riproduzione e trasformazione, di cui l'attività politica è espressione (quali finalità vengono perseguite). Per queste ragioni l'analisi della politica, secondo tale approccio, non può limitarsi ad una semplice descrizione delle attività decisionali, ma deve riguardare le istituzioni che regolano e definiscono i vincoli e le finalità cui sono orientati gli attori politici. In altre parole: non si possono spiegare i rapporti di forza riscontrabili nell'ambito dei processi decisionali prescindendo dal rapporti di produzione economica che sono alla base del modello di sviluppo della modernità di cui lo Stato moderno stesso è espressione. Sul metodo neopositivista del comportamentismo Il metodo di ricerca empirica proposto dal comportamentismo proponeva l'uso di tecniche di indagine e rilevazione sul campo (come interviste, questionari, campionamenti) e di elaborazione quantitativa dei dati (analisi statistica multivariata) secondo un'impostazione probabilistica, nomologica e astorica. Proprio per questa diversa sensibilità alla ricerca empirica si può riscontrare una differenza tra le scienze sociali statunitensi e le scienze sociali europee. La rivoluzione culturale neopositivista, avviata dal comportamentismo americano, penetra nelle scienze sociali europee solo dopo la ricostruzione economica degli anni Cinquanta. E quando anche vi penetra, deve adattarsi alla diversa sensibilità europea nel modo di recepire e analizzare i processi e le attività del sociale e del politico. Qui una parte fondamentale della ricerca sociale veniva infatti svolta e affidata alla ricerca storica, elemento del tutto eluso dal comportamentismo americano, astorico per definizione. Le proposte della scienza politica statunitense creano in Europa dibattiti che vedono posizioni diverse fra gli intellettuali, rispetto alla maggior parte delle teorie politiche e sociali elaborate nell'ambito comportamentista. 1) Da sinistra, gli studiosi, specialmente quelli di formazione marxista, criticano la "genericità" e la "astoricità" delle teorie americane che descrivono una società statica e coesa al suo 57 interno, finendo con il legittimare le istituzioni e gli assetti di potere analizzati come se fossero necessariamente i più adatti e funzionali. 2) I moderati progressisti appoggiano le teorie americane perché rappresentano l'immagine di una società capitalistica efficiente e funzionante. 3) I conservatori rifiutano le moderne teorie comportamentiste, non condividendone le tecniche empiriche di rilevazione e di elaborazione dei dati prevalentemente quantitativi. Problemi emersi e lasciati irrisolti dall'approccio comportamentista e che esploderanno alla fine degli anni Sessanta: Ruolo non riconosciuto ai giudizi di valore nell'analisi politica e sociale. L'avalutatività diventa per i comportamentisti "reticenza nel proporre valutazioni", il che si risolve in un tacito assenso all'ordine politico esistente, le cui fondamenta non vengono mai poste in discussione, né potevano esserlo se non si elaboravano standard entro cui paragonare e valutare. Tale prospettiva verrà messa in discussione in seguito al dibattito tra internalisti ed esternalisti e sulla base del concetto di avalutatività in senso weberiano. Contrapposizione fra l'astoricità delle scienze sociali comportamentiste e lo spessore storico auspicato come componente rilevante dalle scienze sociali europee. Analizzando le origini epistemologiche delle diverse prospettive si può osservare come l'incompatibilità fra l'astoricità dell'una e la sensibilità storica dell'altra sia riconducibile, alle matrici del dualismo kantiano e quindi alle due prospettive filosofico-scientifiche che ne scaturiscono: l'empirismo logico, da una parte, e le filosofie della storia dall'altra. Possibili elementi di compatibilità: Riguardo alle nuove prospettive aperte dalla svolta comportamentista nel campo della ricerca empirica, ferme restando le innovazioni apportate nell'ambito delle scienze sociali, bisogna tuttavia riconoscere la necessità di saper distinguere tra gli elementi di novità scientificamente giustificati e le loro possibili esasperazioni (tecnicismo-metodologismo) che, in quanto tali, risultano controproducenti ai fini della ricerca scientifica. Diventa infatti necessario ridimensionare la quantificazione che in alcune ricerche ha esasperato il principio della rilevazione empirica di dati quantitativi, spesso effettuata senza alcuna ipotesi precisa che leghi concettualmente i risultati, come se i dati potessero parlare da soli. Resta assodato, infatti, che la scelta del modello analitico e della formulazione di un insieme di ipotesi di base sono momenti Alcuni cruciali critici per hanno i risultati sottolineato della come ricerca la e rilevanza per data la dal sua validità scientifica. comportamentismo alla quantificazione dei risultati abbia penalizzato alcuni aspetti della realtà che non possono essere metricizzati né generalizzati. 58 Una scienza interessata solo alla quantità e che si fondi esclusivamente sulla misurazione è intrinsecamente incapace di occuparsi dell'esperienza, della qualità o dei valori. Essa sarà perciò inadeguata alla comprensione della natura della coscienza, dal momento che la coscienza è un aspetto centrale del nostro mondo intero e quindi, anzitutto, un'esperienza [...]. Quanto più gli scienziati insistono su asserzioni quantitative, tanto meno sono in grado di descrivere la natura della coscienza. In psicologia il caso estremo è dato dal behaviorismo che si occupa esclusivamente di funzioni misurabili e di modelli di comportamento, e che di conseguenza non è in grado di fare alcuna asserzione sulla coscienza, negandone, di fatto, persino l'esistenza (Capra 1987, p. 310). L'approccio "comprendente" weberiano rimane perciò ancora in contrapposizione a quello comportamentista. Emerge infine un altro problema: che cos'è il comportamentismo ai giorni nostri e come può essere definito? Dal momento che tutte le scienze sociali empiriche odierne hanno la propria matrice nell'ambito comportamentista, il comportamentismo oggi non definisce più nulla, nel senso che, secondo alcuni, non è possibile fare alcuna distinzione nell'ambito delle scienze sociali moderne tra ciò che è comportamentismo e ciò che non lo è. La risposta viene data dagli stessi autori del dibattito comportamentista: essi ritengono che la rilevanza del comportamentismo vada vista in relazione al periodo storico in cui esso sorge, come movimento culturale di rottura che segna la nascita delle scienze sociali empiriche e di una nuova "sensibilità" alla ricerca. Da esso si diramano teorie e approcci scientifici diversi, e anche contrapposti, che rappresentano contributi specifici e differenziati alla scienza politica contemporanea. Sul piano teorico, gli sviluppi più rilevanti del comportamentismo si sono avuti nella fase più matura, quella degli anni Cinquanta-Sessanta con il passaggio dall'analisi di un singolo comportamento, o attività, all'analisi di un processo, inteso come insieme complesso di interazioni e di attività orientate ad uno scopo comune. Da questo momento l'oggetto privilegiato di studio della scienza politica si sposta dall'analisi del potere all'analisi del sistema politico. Il funzionalismo Origini e caratteri del funzionalismo: Il funzionalismo si trovava già delineato in forma moderna ne Le regole del metodo sociologico di Durkheim (1895). Con esplicito riconoscimento del loro debito verso Durkheim, esso viene sviluppato negli anni '20 e '30 dagli antropologi sociali B. Malinowski e A. R. Radcliffe-Brown. Attraverso la loro opera il funzionalismo si è affermato nella sociologia statunitense a partire dagli anni '40 assumendo in tale ambito 59 caratteri del tutto particolari e fondendosi con le nuove prospettive aperte dal comportamentismo più evoluto [analisi dei processi]. Alla base dell'analisi empirica e teorica del funzionalismo sta l'esigenza di studiare ogni società come una totalità di strutture sociali e culturali tra loro interdipendenti, ciascuna delle quali fornisce un particolare contributo (funzione) a favore del mantenimento di una o più condizioni essenziali per l'esistenza e la riproduzione del sistema sociale osservato, inteso come un insieme organizzato di strutture specializzate a svolgere un particolare compito o funzione. La spiegazione scientifica privilegiata è quella teleologica, cioè quella che studia le strutture osservate partendo dalle loro "conseguenze oggettive" o funzioni, le quali esistono per soddisfare precise esigenze del sistema complessivo; il loro fine è, per i funzionalisti, quello di "mantenere" (in vari modi) il sistema nel tempo: questa è l'ipotesi centrale della teoria funzionalista. Il funzionalismo empirico: Il passaggio dell'analisi funzionalista dall'antropologia alla sociologia avviene con il "funzionalismo empirico" di Robert K. Merton (1949). Il funzionalismo empirico si preoccupa di esaminare le unità elementari di analisi più facilmente riscontrabili nella realtà, servendosi di concetti più precisi e operativamente più efficaci ("teorie a medio raggio"). Data la definizione di funzione (=conseguenza oggettiva delle strutture entro le quali è inserita), si può affermare che i concetti base del funzionalismo sono attività e processi. Le attività rilevanti sono per il funzionalismo non i comportamenti manifesti in senso lato, ma le funzioni manifeste e latenti, esplicate da una particolare struttura, nel quadro di un più generale funzionamento del sistema globale. I processi sono concepiti come interni al funzionamento del sistema e indirizzati a precisi fini, o requisiti funzionali. Quadro storico: gli anni 30 e 40 negli Stati Uniti. La società entra in una fase di grandi rivolgimenti strutturali. Con la presidenza Roosvelt e l'esperienza del New Deal veniva segnata infatti la fine di un'epoca: la fine della forma liberale di organizzazione dello Stato e la sua graduale trasformazione in Welfare State ossia in Stato interventista-assistenziale. Vi furono molteplici riforme sociali e il risanamento dell’economia. Importante è l’attenzione fornita alle classi lavoratrici e il conseguente evento storico: l'intenso movimento rivendicativo giunse nel 1935 (per la prima volta negli USA) all'occupazione delle fabbriche e vide nel 1938 la vittoria degli operai dell'acciaio (duramente pagata con l'eccidio di Chicago ad opera della Guardia Nazionale) che ottennero ferie retribuite, orario settimanale di 40 ore e salario straordinario per le ore supplementari. Il funzionalismo partendo da due presupposti diversi e complementari, tende a dare due risposte diverse a tali esigenze: 60 -con il "funzionalismo empirico" si cerca una verifica dell'efficienza funzionale delle nuove strutture istituzionali; -con lo "struttural-funzionalismo" si affronta l'esigenza analitica e teorica di sistematizzare, entro un quadro coerente, una teoria generale del funzionamento del sistema sociale. Tra le due, prevarrà la seconda, cioè la tendenza analitica (lo struttural-funzionalismo). Funzionalismo e struttural-funzionalismo: Le posizioni dell'antropologia sociale britannica di Malinowski e Radcliffe-Brown, fatte proprie dal funzionalismo americano, verranno criticate infatti dallo strutturalismo francese con Levi-Strauss, autore de Le strutture elementari della parentela (1949). La contrapposizione rispetto alla posizione statunitense è d'altra parte comprensibile se si tiene conto del diverso contesto culturale e politico-sociale entro cui si sviluppano le due teorie. Lo strutturalismo francese nelle scienze sociali avrà perciò caratteri assai diversi dal funzionalismo americano. Pertanto, non deve trarre in inganno la similitudine tra i due termini - strutturalismo e struttural-funzionalismo - poiché fanno capo a due approcci e due contesti culturali del tutto diversi. Il sistema sociale di Parsons e il modello AGIL: Obiettivo dello struttural-funzionalismo è quello di costruire un sistema di categorie analitiche puramente concettuali, coerenti nel loro insieme, che facciano da supporto indispensabile per giungere ad una vera e propria teoria empirica del sistema sociale. L’autore rappresentativo è Talcott Parsons (opera: The Social System -1951-), il quale, promuove l’idea di un sistema concettuale logicamente articolato che analizza il rapporto tra personalità, struttura sociale e cultura attraverso una serie di processi che definiscono vari "sistemi di azione". Punto di partenza di ogni azione è l'attore sociale, il cui comportamento deve essere analizzato in rapporto al contesto entro cui avviene l'azione, definito come "sistema di azione". L'ipotesi sostenuta da Parsons è che i processi messi in atto nell'ambito di tali sistemi di azione hanno la funzione di mantenere un certo equilibrio interno al sistema sociale complessivo, neutralizzando quelle variabili che, se lasciate libere di agire, sposterebbero altrove le coordinate dell'equilibrio del sistema stesso. Affinché le funzioni di "neutralizzazione delle anomie" siano espletate, occorre che l'attività delle strutture esistenti sia coerente con tali scopi: lo struttural-funzionalismo va quindi alla ricerca di particolari strutture che assolvono le funzioni essenziali. Parsons definisce, in questo senso, i "requisiti funzionali" espletati dalle strutture del sistema, sostenendo che l'efficienza di un sistema sociale dipende dal grado di differenziazione strutturale al suo interno e quindi dalla specializzazione funzionale delle strutture rispettive. Il modello agil di Parsons. 61 Tabella riassuntiva della figura FUNZIONE STRUTTURA (requisiti funzionali) (sottosistema) (A) Adattamento (rapporti del sistema Sistema economico sociale con l'ambiente non umano) produzione, distribuzione e controllo delle reperimento delle risorse (mezzi) necessarie risorse per la realizzazione dei fini (G) Perseguimento dei fini (rapporti con Sistema politico altre società) decidere linee di condotta per il preservazione degli elementi fondamentali perseguimento dei fini collettivi ed eseguirle che definiscono il sistema sociale: (per es. mobilitando le risorse disponibili difesa del territorio) (I) Integrazione delle sub-unità Sistema normativo integrazione e coordinamento delle unità diritto positivo (norme), procedure per la interdipendenti, ruoli e strutture soluzione delle controversie, regole del gioco, comunicazione (L) Mantenimento dei modelli (rapporti Sistema culturale con l’ambiente culturale) - strutture di socializzazione (famiglia, scuola, mantenimento della conformità alle mass-media) prescrizioni del sistema culturale: - strutture di controllo sociale (applicazione di - processo di acculturazione sanzioni) - processo di controllo sociale - strutture di controllo delle tensioni - processo di controllo delle tensioni (burocrazia, forze armate, carcere) 62 Considerazioni: l'ambiente esterno risulta costituito da altri sistemi (psicologico, culturale, organico, ecc.) i quali realizzano, secondo Parsons, uno "scambio" col sistema sociale, nella misura in cui quest'ultimo reagisce riequilibrando al suo interno i medesimi rapporti di forza con una sorta di equilibrio omeostatico. Come unico movente di cambiamento viene prevista e legittimata infatti l'autoregolazione interna del sistema e quindi il riformismo come unica soluzione possibile del mutamento nella continuità. La spiegazione teleologica che regge la teoria di Parsons è che il sistema sociale si muove nel senso della salvaguardia della propria sopravvivenza e durata nel tempo, e quindi nel senso del mantenimento del proprio equilibrio e della propria identità. Condizione necessaria perché possa esserci un sistema sociale è che non solo esista una struttura (ossia un insieme interdipendente di rapporti tra ruoli), ma che esistano anche determinate funzioni messe in atto dalla struttura; le funzioni di natura distinta, rispetto alle interazioni delle componenti del sistema con altri elementi, caratterizzano questi ultimi che saranno considerati allora elementi dell'ambiente esterno. Il collegamento tra questi quattro momenti è dato dall'attore sociale, il quale ricopre entro il tessuto sociale i vari ruoli: più ruoli interagenti costituiscono una struttura; ogni struttura esplica determinate funzioni; l'interazione tra le strutture dà vita al sistema sociale. Il concetto di integrazione coinvolge infatti elementi culturali e simbolici che saldano e unificano i comportamenti di un gruppo entro un certo "ordine sociale" che si tramanda nel 63 tempo e che può risultare di fatto coercitivo, anche in modo inconsapevole. Si parla in tal caso di coazione. E' questa una forma molto particolare di repressione della devianza, poiché non avviene tramite forme palesemente autoritarie, ma attraverso la coercizione di precisi processi di socializzazione. Non è prevista, da Parsons, l'ipotesi che la condotta individuale e collettiva possa non apparire più prevedibile né controllabile (crisi di governabilità), quando si manifesta sempre più una sfiducia nei ruoli istituzionali e si diffonde un comportamento deviante rispetto ad essi. Elementi della teoria politica di Parsons: La politica di una determinata società, secondo Parsons, è una parte del sistema sociale definita dai modi in cui le componenti relative del sistema complessivo sono organizzate rispetto a una delle sue funzioni fondamentali: l'azione collettiva orientata al raggiungimento delle mete della collettività. La politica è intesa quindi come l'attività umana orientata al perseguimento del "bene comune" o degli interessi collettivi (integrazione). Lo sviluppo politico è analizzabile come quel procedimento attraverso il quale viene costruita e fatta funzionare l'organizzazione (la struttura) necessaria per l'azione politica, vengono, cioè, determinati gli scopi dell'azione e mobilitati i mezzi necessari al raggiungimento di questi. Di particolare importanza è poi il parallelismo indicato da Parsons tra la teoria economica e la teoria politica. Tanto il sistema economico quanto il sistema politico vengono concepiti infatti come "sottosistemi funzionali" e analiticamente definiti della società. Ciò che differenzia i due sottosistemi sono le diverse funzioni fondamentali svolte dalle apposite strutture e i diversi fini da queste perseguiti. “l'analisi politica, come viene da noi intesa, è parallela a quella economica nel senso che anche in essa un ruolo centrale è occupato dal mezzo generalizzato impiegato nel processo d'interazione politica, che è anche una "misura" dei valori rilevanti. Il potere è da me considerato, appunto, come tale mezzo generalizzato in un senso direttamente parallelo [...] a quello della moneta come mezzo generalizzato del processo economico.” Il potere sociale sarebbe perciò, nella definizione di Parsons, "un mezzo circolante analogo alla moneta" caratteristico non solo del sistema politico, ma dei vari sottosistemi funzionali (sistema economico, sistema integrativo, sistema di mantenimento dei modelli). Come la moneta, anche il potere è sia un mezzo simbolico di scambio sia una misura simbolica di valore. Non ha di per sé un valore d'uso, ma solo un valore di scambio. L'accento viene quindi posto dall'autore su due caratteristiche essenziali per il potere politico, così come per la moneta: la sua generalizzazione e la sua legittimazione nell'ambito di un dato territorio. Tale mezzo deve essere cioè un "simbolo" stabilizzato e generalmente accettato, che gode della fiducia nella sua mutua accettabilità come "mezzo di scambio" entro precisi confini territoriali. Ma poiché Parsons fa derivare la legittimità del potere politico dalla norma simbolica generalizzata, ne segue che, secondo l'autore, è legittimo solo ciò che è legale. Ovvero, la 64 norma giuridica, in senso lato, diventa il parametro di riferimento in base al quale viene definito il potere politico. Questa conclusione si risolve di fatto nella legittimazione del potere esistente, quello giuridicamente consolidato e giuridicamente prodotto e, in quanto tale, mette ancora meglio in evidenza gli esiti conservativi cui conduce l'analisi di Parsons: il mutamento diventa possibile solo se giuridicamente legittimato, l'unico mutamento concepibile è quindi il riformismo. Considerazioni critiche: Parsons non fornisce infatti criteri univoci per misurare il grado di mantenimento del sistema, quindi il ricercatore non potrà mai sapere in realtà, con una certa attendibilità, se il sistema si sia "adeguatamente" mantenuto. L’analisi rimane solo teorica e formale perché si ha una teoria scientifica solo se dalle sue proposizioni si possono dedurre proposizioni confutabili. Come la teoria economica keynesiana della stessa epoca, anche quella di Parsons è insomma una teoria di breve periodo, che non fornisce i mezzi per prevedere mutamenti a lungo termine. I limiti maggiori del contributo parsonsiano emergono invece quando si tende ad assolutizzare il punto di vista "interno" al sistema analizzato e quindi il problema dell'ordine e del suo mantenimento, pensando che sia l'unico punto di vista possibile o il più opportuno necessariamente, dal momento che l'approccio struttural-funzionalista coglie solo un aspetto della politica, come perseguimento del bene comune (integrativa), non considerando la dimensione della politica come (aggregativa). 65 scambio o mediazione dei conflitti