La stregoneria nell etnografia - Pavanello

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Mariano Pavanello
La stregoneria nell’etnografia africanista
del Novecento
1. Premessa.
Quello della stregoneria è un tema delicato e complesso sia per la difficoltà di definirne i contenuti e i confini semantici, sia per le rilevanti implicazioni con la storia europea dei secoli XVI-XVIII, e sia infine per l’interesse non lineare e non omogeneo che l’antropologia le ha dedicato nella sua
storia e le sta dedicando nella contemporaneità. Proverò a delineare lo sviluppo degli studi su questo tema nel XX secolo, dividendo grossolanamente
in due grandi fasi le principali tendenze: un primo periodo che coincide
con la fase matura del colonialismo e dell’antropologia sociale britannica
di ispirazione funzionalista1 (dagli anni Trenta fino alla fine degli anni
Sessanta), e un secondo periodo, a partire dai primi anni Novanta, con uno
straordinario e quasi improvviso rifiorire dell’interesse verso la stregoneria
sotto l’influenza del pensiero di Foucault e degli studi postcoloniali. Non
pretendo di esaurire così il panorama degli studi sulla stregoneria perché
lascio volutamente da parte alcune importanti frange di interessi scientifici
germogliati all’ombra della psicoanalisi2, di correnti di pensiero ispirate allo
Il funzionalismo in antropologia è un orientamento teorico che risale principalmente
a Bronislaw Malinowski (B. Malinowski, Argonauts of the Western Pacific. An Account of
Native Enterprise and Adventure in the Archipelagoes of Melanesian New Guinea, London,
Routledge and Kegan Paul, 1922; trad. it. Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita
quotidiana nella società primitiva, prefazione di J. G. Frazer, introduzione di V. Lanternari,
Roma, Newton Compton, 1973) e da lui pienamente esposto in un’opera pubblicata postuma
(B. Malinowski, A Scientific Theory of Culture and Other Essays, Chapel Hill, The University
of North Carolina Press, 1944; trad. it. Teoria scientifica della cultura e altri saggi, Milano,
Feltrinelli, 1971). Il nucleo della teoria funzionalista è nell’idea che un sistema sociale sia
costituito da un insieme funzionale di istituzioni tra loro interrelate e deputate al soddisfacimento dei bisogni umani.
2
G. Róheim, Animism, Magic, and the Divine King, London, K. Paul, Trench, Trubner &
co., 1930; trad. it. Animismo, magia e il re divino, Roma, Astrolabio, 1972; G. Róheim, Witches
1
Magia, superstizione, religione. Una questione di confini, a cura di Marina Caffiero, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015
ISBN (stampa) 978-88-6372-792-0 (e-book) 978-88-6372-793-7 – www.storiaeletteratura.it
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storicismo e alla fenomenologia, allo strutturalismo3, alla filosofia analitica4,
oltre che alcuni studi contemporanei in cui l’analisi è incardinata in forme
di ermeneutica di esperienze a volte definite «straordinarie»5.
Nel discorso comune, ma generalmente anche in quello scientifico, si
tende a sovrapporre le idee di stregoneria e magia nera, condensando nel
termine stregoneria una serie di significati spesso diversi tra loro. Questi,
inoltre, non coincidono sempre con le categorie locali di cui i termini usati
nelle lingue occidentali pretendono di essere la traduzione. Stregoneria e
fattucchieria6 in italiano; witchcraft e sorcery7 in inglese, sono sinonimi8. In
of Normanby Island, «Oceania», XVIII (1948), 4, pp. 279-308; G. Róheim, Psychoanalysis and
Anthropology; Culture, Personality and the Unconscious, New York, International Universities
Press, 1950.
3
E. De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Boringhieri, 1973 [1948]; E. De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del
Sud, Milano, Il Saggiatore, 1961; J. Favret-Saada, Les mots, la mort, les sorts, Paris, Gallimard, 1977; J. Favret-Saada, Désorceler, Paris, Éditions de l’Olivier, 2009; C. Gallini, Dono
e malocchio, Palermo, Flaccovio, 1973.
4
B. Hallen – J. O. Sodipo, Knowledge, Belief, and Witchcraft. Analytic Experiments in
African Philosophy, Stanford, Stanford University Press, 1997; B. Hallen, Witches as Superior
Intellects: Challenging a Cross-Cultural Superstition, in Witchcraft Dialogues. Anthropological
and Philosophical Exchanges, edited by G. C. Bond – D. M. Ciekawy, Athens, Ohio International Center for International Studies, 2001, pp. 80-100.
5
Being Changed by Cross-Cultural Encounters. The Anthropology of Extraordinary Experience, edited by D. E. Young – J.-G. A. Goulet, Peterborough, Ont., Canada – Orchard
Park, NY, Broadview Press, 1994; J.-G. A. Goulet – B. Granville Miller, Embodied Knowledge: Steps Toward a Radical Anthropology of Cross-Cultural Encounters, in Extraordinary
Anthropology: Transformations in the Field, edited by J.-G. A. Goulet – B. Granville Miller,
Lincoln, University of Nebraska Press, 2007, pp. 1-15.
6
La voce ‘strega’ viene dal lat. med. striga, a sua volta derivato dal lat. class. strix, strige, barbagianni, uccello rapace notturno, famoso nelle favole degli antichi, che si credeva
succhiasse il sangue delle capre, e allattasse i bambini in culla con latte avvelenato; di qui la
credenza nella strega che si trasforma in uccello di notte per compiere atti nefasti. Fattucchieria, fattucchiere-a, dal lat. facere, factus, da cui anche fattura, fatturare, nel duplice senso
di risultato dell’opera del fare (e quindi del suo prezzo), e di operazione destinata ad avere
qualche effetto (anche magico). L’etimologia è la medesima di parole come il fr. fétiche, il
port. fetiço e l’ingl. fetish (feticcio, oggetto magico), nonché il fr. féticheur, il port. fetiçeiro e
l’ingl. fetish priest (operatore magico mediante oggetti costruiti o per possessione spiritica).
7
Witchcraft è voce dall’etimologia ignota, probabilmente da wit (facoltà o potere della
mente, sagacia, intelletto). «Sorcery: divination by the assistance or supposed assistance of evil
spirits; magic; enchantment; witchcraft». Sorcery deriva, come il fr. sorcellerie, dal lat. sors, sortis (sorte), col significato originario di divinazione mediante lancio dei dadi o altri oggetti (vedi
anche il basso lat. sortiarius, indovino, colui che tira a sorte), da cui anche l’it. sortilegio.
8
Il Dizionario della Lingua Italiana (F. Sabatini – V. Coletti, Dizionario italiano, Firenze, Giunti, 1999) dà la voce ‘strega’ come sinonimo di ‘fattucchiera’. In inglese, il Webster
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entrambe le lingue, tuttavia, le due coppie di termini sono usate spesso per
differenziare la stregoneria dalla magia nera. Nella lingua francese, la cosa
si presenta più semplice perché una sola parola, sorcellerie, indica sia la stregoneria che la fattucchieria. Infine, nei dizionari, nei media e nei siti web, è
molto frequente che il termine stregone sia usato come sinonimo di guaritore
tradizionale o sciamano9. È una confusione indotta dall’equiparazione assolutamente arbitraria, e di origine coloniale, della stregoneria con pratiche
terapeutiche tradizionali di tipo sia naturalistico (ma comunque associate al
culto di particolari spiriti e caratterizzate da rituali e sacrifici animali, oltre
che dall’uso di farmaci a base di elementi naturali) che spirituale (cioè basate
sulla possessione spiritica e la trance, o tecniche affini). Tuttavia, la letteratura antropologica della prima fase testimonia chiaramente la possibilità che
i guaritori, particolarmente erboristi, possano fabbricare sia medicine che
pozioni velenose, confermando così la possibile coincidenza delle figure del
medicine man e del witch/wizard/sorcerer:
la credenza nella possibilità che un mago buono – il mago medico – possa, dietro
richiesta di un cliente o di un capo, usare il suo potere in modo illecito, è assai
diffusa in Africa, in Asia, in Melanesia e nel Nordamerica10.
È necessario notare che la ripresa di interesse degli anni Novanta segue
non solo l’inquietante recrudescenza di presunti fenomeni di stregoneria,
ma anche la grande fioritura in Africa di chiese pentecostali o indipendenti
Dictionary dà «Witchcraft: sorcery; power more than natural; enchantment; fascination».
Vedi anche una conferenza pronunciata da Radcliffe-Brown nel 1924 e ripubblicata da: A.
R. Radcliffe-Brown, Science and Native Problems: How to Understand the Bantu, «Anthropology Today», II (1986), 4, pp. 17-21, in cui l’autore usa indifferentemente witchcraft e sorcery
come sinonimi.
9
Cfr. la voce ‘stregone’ nel Dizionario di Sabatini – Coletti: «Presso alcuni popoli primitivi, persona investita di funzioni sacrali, perché ritenuta in contatto con le forze soprannaturali
e quindi capace di praticare esorcismi, operare guarigioni e simili. Sinonimo: sciamano».
Inoltre, la voce ‘stregoneria’ è così presentata: «1. Attività dello stregone. 2. Pratica di attività stregonesche attraverso mediazioni diaboliche capaci di provocare effetti malvagi». Cfr.
anche la voce ‘stregoneria’ di wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Stregoneria consultato
l’8 agosto 2011) in cui sono platealmente evidenti le ingenuità tipiche del discorso comune:
«Anche alcuni aspetti della medicina primitiva, che agiscono a livello psicologico, riguardano
la stregoneria nel senso più ampio del termine, per cui si differenziano dalle pratiche empiriche (cioè dai semplici gesti) seguite dalle genti allo stato di natura: esistono specifici individui
(sciamani o medici-stregoni) che si occupano di questi particolari aspetti adottando un rituale
tipico della stregoneria».
10
M. Gluckman, Politics, Law and Ritual in Tribal Societies, Oxford, Basil Blackwell,
1965 (trad. it. Potere, diritto e rituale nelle società tribali, Torino, Boringhieri, 1977). La citazione è da p. 281 dell’ed. it.
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che pongono in primo piano la cura spirituale delle malattie attraverso
forme di esorcismo della stregoneria la cui eradicazione appare l’obiettivo
principale11. In molta della letteratura di questa seconda fase, stregoneria e
tradizionali terapie anti-stregoniche sono concettualizzate insieme, secondo
la consolidata convinzione che chi pratica la stregoneria/fattucchieria sia
anche in grado di curarne gli effetti12.
Un campo semantico così complesso e indefinito finisce, quindi, per
giustificare l’uso generalizzato, anche a livello scientifico, dei termini stregoneria, witchcraft e sorcellerie come significanti generici di un insieme di
credenze e pratiche che partecipano della natura del magico per finalità
ritenute prevalentemente malvage, o comunque antisociali.
2. Stregoneria, colonialismo e funzionalismo.
Fino agli anni Venti del Novecento, la stregoneria era ricompresa nel più
generale ambito della magia, intesa come caratteristica di una fase infantile
dell’evoluzione della mente umana, ed emerge come oggetto autonomo
di studio nell’antropologia accademica solo a partire dagli anni Trenta.
L’interesse degli studiosi, particolarmente in Gran Bretagna, si concentrò
soprattutto sull’Africa13, dove le amministrazioni coloniali e le missioni
religiose si scontravano quotidianamente con le accuse di stregoneria e le
conseguenti pratiche terapeutiche e ordalie con uso di veleni14. Con le sue
11
M. Engelke, The Problem of Belief: Evans-Pritchard and Victor Turner on ‘The Inner
Life’, «Anthropology Today», XVIII (2002), 6, pp. 3-8: 3.
12
Cfr. B. Jewsiewicki, Pour un pluralisme épistémologique en sciences sociales, «Annales.
Histoire, Sciences Sociales», LVI (2001), 3, pp. 625-641: 631-632, che parla di «sorcellerie/
guérison» e di «sorciers/guérisseurs» riferendosi ai lavori di J. P. Dozon – M. Augé, La cause
des prophètes: politique et religion en Afrique contemporaine, Paris, Le Seuil, 1995, e di P.
Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique. La viande des autres, Paris, Karthala, 1995.
13
Gli studi etnografici della prima metà del Novecento sulla stregoneria in altre regioni
del mondo, con particolare riferimento alle Americhe e all’Oceania, sono quasi sempre inseriti all’interno della più generale categoria di magia. Si vedano ad esempio i fondamentali
lavori di Malinowski (Argonauts 1922, Coral Gardens and Their Magic, New York, Dover
Publ., 1978 [1935]) nell’arcipelago delle Trobriand; di R. Fortune a Dobu (Sorcerers of Dobu:
the Social Anthropology of the Dobu Islanders of the Western Pacific, London, G. Routledge
and Sons, 1932); di C. Kluckohn sui Navaho (Navaho Witchcraft, Cambridge, Mass., Peabody Museum, 1944); di Róheim nell’isola Normanby (vedi nota 2).
14
Una recente storiografia africanista ha esplorato le contraddizioni coloniali sul problema della stregoneria e delle connesse pratiche terapeutiche. Vedi, per esempio, per la
Costa d’Oro: J. Allman – J. Parker, Tongnaab: the History of a West African God, Bloomington, Indiana University Press, 2005; N. Gray, Witches, Oracles, and Colonial Rule: Evolving
Anti-Witchcraft Practices in Ghana, 1927-1932, «The International Journal of African Histo-
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191
bizzarre credenze e le sue presunte pratiche aberranti e abominevoli, la stregoneria forniva l’opportunità di confermare la visione europea degli africani
come un popolo primitivo dominato dalla superstizione e dalla paura dei
malefici, e quindi di rafforzare l’idea della necessità dell’opera civilizzatrice
della colonizzazione15.
Alice Bellagamba si chiede perché «nel linguaggio dell’africanistica, e
soprattutto nell’antropologia britannica, a un certo punto si sia cominciato
a parlare più di stregoneria che di magia»16. La risposta al quesito è duplice.
Innanzitutto, in Africa, la conquista coloniale aveva indotto un aumento
esponenziale delle accuse di stregoneria e di attività legate all’occulto (senza
distinzione – agli occhi degli Europei – tra pratiche schiettamente stregoniche, pratiche di magia nera, e pratiche terapeutiche). Le potenzialità di
sovvertimento dell’ordine erano chiaramente percepite dalle autorità e la
questione assunse, soprattutto agli occhi dei colonizzatori britannici, una
dimensione giuridica rilevante, in ragione delle competenze che la politica
di indirect rule lasciava alle strutture indigene di amministrazione della giustizia17. In secondo luogo, a livello scientifico, come osserva Bellagamba:
la magia era una nozione legata alla riflessione evoluzionistica e alle sue speculazioni sulla mentalità primitiva, riflessione rispetto a cui l’antropologia dell’epoca
rical Studies», XXXIV (2001), 2, pp. 339-363; J. Parish, Antiwitchcraft Shrines among the
Akan: Possession and the Gathering of Knowledge, «African Studies Review», XLVI (2003),
3, pp. 17-34; J. Parker, Witchcraft, Anti-Witchcraft and Trans-Regional Ritual Innovation in
Early Colonial Ghana: Sakrabundi and Aberewa, 1889-1910, «Journal of African History»,
XLV (2004), pp. 393-420; J. Parker, Northern Gothic: Witches, Ghosts and Werewolves in the
Savanna Hinterland of the Gold Coast, 1900s-1950s, «Africa. Journal of the International
African Institute», LXXVI (2006), 3, pp. 352-380; per il Sudafrica: J. Parle, Witchcraft or
Madness? The Amandiki of Zululand, 1894-1914, «Journal of Southern African Studies»,
XXIX (2003), 1, pp. 105-132.
15
Vedi anche V. Y. Mudimbe, The Invention of Africa. Gnosis, Philosophy and the Order
of Knowledge, Bloomington, Indiana University Press & London, James Currey, 1988.
16
A. Bellagamba, L’ Africa e la stregoneria. Saggio di antropologia storica, Roma-Bari,
Laterza, 2008, p. 80.
17
Questa è, infatti, la principale ragione per cui gli studi sulla stregoneria nelle colonie
inglesi in Africa sono così numerosi nella stagione d’oro della Social Anthropology britannica tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento. Al contrario, nelle colonie francesi,
il problema fu meno avvertito in ragione della politica centralistica della dominazione coloniale (vd. R. M. Baum, Crimes of the Dream World: French Trials of Diola Witches in Colonial
Senegal, «The International Journal of African Historical Studies», XXXVII (2004), 2, pp.
201-228); di conseguenza, la produzione etnografica francese tra le due guerre e nel secondo
dopoguerra è assai meno ricca di studi sulla stregoneria.
192
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intendeva tracciare un confine preciso. Il concetto di stregoneria offriva a fine anni
Trenta quest’opportunità18. (Id., p. 85)
Nel 1935, la rivista «Africa» di Londra dedicò alla stregoneria africana
un intero fascicolo. Nel 1937, uscì a Oxford una monografia di EvansPritchard sulla stregoneria azande che, tra gli anni Cinquanta e Ottanta del
Novecento, avrebbe fatto discutere filosofi e sociologi19. Il libro è un’accurata analisi delle credenze e pratiche degli Azande (popolazione del Sudan
sud occidentale e Congo nord orientale) relative alla stregoneria (witchcraft,
ritenuta un potere inconsapevole) e alla fattucchieria (sorcery, ritenuta una
tecnica di manipolazione magica con intento di nuocere), nonché agli oracoli
e alle ordalie per scoprire e punire le streghe.
Gli Azande credono che taluni individui siano stregoni e possano arrecare loro
del male in forza di una qualità intrinseca. (…) Essi credono anche che i fattucchieri
possano loro nuocere compiendo riti magici per mezzo di medicine malefiche. Gli
Azande distinguono nettamente tra stregoni e fattucchieri. (…) Gli Azande ritengono che la stregoneria consista in una sostanza che risiede nel corpo degli stregoni
(…) oltre a essere una caratteristica fisica è anche ereditaria (…) se, da un lato, la
stregoneria è una componente dell’organismo, dall’altro, la sua azione è psichica 20.
Evans-Pritchard afferma anche che non è possibile accreditare statuto
di realtà alla stregoneria, e che le relative credenze svolgono una funzione
di operatore logico per spiegare l’origine e la causa di eventi altrimenti
inspiegabili:
Gli stregoni, come li concepiscono gli Azande, ovviamente non possono esistere.
Cionondimeno, il concetto di stregoneria fornisce loro sia una filosofia naturale,
Bellagamba, L’ Africa e la stregoneria, p. 85.
Vedi principalmente P. Winch, The Idea of a Social Science and Its Relation to Philosophy, London, Routledge & Kegan Paul, 1958; P. Winch, Understanding a Primitive Society,
«American Philosophical Quarterly», I (1964), 4, pp. 307-324 (trad. it. Comprendere una
società primitiva, in Ragione e forme di vita. Razionalità e relativismo in antropologia, a cura
di F. Dei – A. Simonicca, Milano, FrancoAngeli, 1990, pp. 124-160); A. C. MacIntyre, The
Idea of a Social Science, in Rationality, edited by B. R. Wilson, Oxford, Basil Blackwell, 1970,
pp. 112-130 (trad. it. Il concetto di scienza sociale, in Ragione e forme di vita, pp. 161-181); e le
antologie curate da B. R. Wilson (Rationality, Oxford, Basil Blackwell, 1970) e da M. Hollis
e S. Lukes (Rationality and Relativism, Oxford, Basil Blackwell, 1982). Un’ottima presentazione italiana di alcuni tra i più significativi interventi di questo dibattito si trova in F. Dei
e A. Simonicca (Ragione e forme di vita).
20
E. E. Evans-Pritchard, Witchcraft, Oracles and Magic among the Azande, Oxford,
Clarendon Press, 1937 (trad. it. ridotta: Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Milano,
Cortina, 2002). La citazione è da p. 12 dell’ed. it.
18
19
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193
attraverso la quale spiegarsi le relazioni tra gli uomini e gli avvenimenti sfavorevoli,
sia un mezzo immediato e codificato di reazione21.
Gli Azande sono disposti a riconoscere le cause razionali delle avversità
e delle malattie, ma ciò che si può spiegare solo con la stregoneria è perché
una disgrazia o una malattia capitino proprio in un determinato momento e
ad una determinata persona.
Già alcuni decenni prima il potere coloniale britannico aveva definito
la stregoneria in provvedimenti legislativi diretti a reprimere le pratiche
ritenute nocive e criminali22. Il linguaggio giuridico britannico non sembra preoccuparsi di distinguere e classificare tipi di pratiche e di eventi,
e si accompagna anche alla demonizzazione delle pratiche terapeutiche
locali. L’intera politica coloniale di criminalizzazione della stregoneria è
influenzata dall’idea che non esista un confine netto tra fattucchieria e
pratiche terapeutiche. D’altro canto, le autorità coloniali erano obbligate a
reprimere gli omicidi che si verificavano nelle ordalie organizzate a seguito
delle accuse. Non potendo legiferare sui casi di stregoneria, perché i sistemi
giuridici occidentali sono fondati sul concetto di prova e la stregoneria, per
definizione, non può essere provata, il legislatore coloniale aveva davanti a
sé soltanto la possibilità di vietare le ordalie e, di conseguenza, le accuse23.
Ibidem, p. 21 dell’ed. it.
«Witchcraft maybe taken to include any claim of a power to produce effects by supernatural causes. By whatever name this alleged power might be called in any particular case,
whether witchcraft, conjuration, sorcery, incantation, divination, or magic, the legal consequences attaching to its supposed exercise are the same (…) it is a crime»: Encyclopaedia of
the Laws of England, 1906-1909, p. 809.
23
Il governo coloniale della Gold Coast revocò nel 1930 il potere fino ad allora concesso ai Native Tribunals di amministrare la legge consuetudinaria. «The government went
further by prohibiting the practice of witch or wizard finding. The Native Customs on
Witch and Wizard Finding was passed on 19 December 1930» (Gray, Witches, Oracles, and
Colonial Rule, p. 339). «The Northern Rhodesia Ordinance of 1914 was detailed and severe.
It declared that “whoever indicates any person as a wizard or witch or imputes non-natural
means in causing death, injury, damage, or calamity, (…) may be sentenced to three years’
imprisonment, a fine of fifty pounds, and twenty lashes”. Again, “whoever is proved to be
by habit or profession a witch-doctor or witch-finder” may be sentenced to seven years’
imprisonment, a fine of a hundred pounds, and twenty-four lashes, professing to be a witchdoctor being punishable similarly. Further provisions are directed against administering
any ordeal, employing any witch-doctor, professing knowledge of charms and other forms
of witchcraft. (…) The Kenya provisions are milder; the Ordinance of 1928 penalizes any
person who pretends to exercise supernatural power, making this punishable with one
year’s imprisonment and a fine of £ 50; or if with intent to cause death, disease, injury, or
misfortune, seven years imprisonment and a fine of £ 200. The term ‘witch-doctor’ does not
21
22
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Questa proibizione sortì l’effetto di convincere molti africani dell’incapacità
dei bianchi di comprendere le condizioni della loro vita e, soprattutto, della
strana tendenza dei colonizzatori europei a tutelare gli operatori del male
(stregoni e fattucchieri) a discapito delle povere vittime. Questa realtà, insieme alla grande diffusione delle pratiche terapeutiche tradizionali, spingeva,
tuttavia, a dedicare maggiore attenzione alle culture locali, sollecitando una
più attenta demarcazione delle diverse sfere in cui appariva articolarsi il
mondo sino ad allora indistinto della magia. Tuttavia, una vera distinzione tra i campi della stregoneria/fattucchieria e delle pratiche terapeutiche
comincia a farsi strada solo in epoca abbastanza tarda, come dimostra il
Witchcraft Act emanato nel Protettorato dell’Uganda nel 1957 e ancora oggi
indicato nella sezione Criminal Law and Procedures della Costituzione del
paese, finalizzato alla repressione delle pratiche stregoniche24.
In diversi contributi pubblicati nel fascicolo di «Africa» del 1935 furono
analizzate le principali questioni sollevate dalla legislazione coloniale in
ordine alla stregoneria, e fu chiaramente posto il problema della legittimità
della repressione dei processi indigeni contro le persone accusate. Alcuni,
come Melland, riconobbero l’intrinseca contraddizione del sistema repressivo25, altri valutarono opportunisticamente la funzione positiva di alcuni
operatori dell’occulto in relazione alla necessità di mantenere l’ordine e il
appear, though it did in the Ordinance of 1925. (…) The Nigerian law seems to be directed
mainly against ordeals. Anyone who shall “direct, control, or preside at such a proceeding,
may be awarded ten years” imprisonment (…) “any person who (…) represents himself to be
a witch or have the power of witchcraft”, or accuses another of this, or possesses any charm,
is liable to six months in jail. Chiefs failing to report cases of witchcraft are liable to three
years’ imprisonment, and the possession of charms intended to facilitate the commission of
crime may entail a sentence of five years», J. Orde Brown, Witchcraft and British Colonial
Law, «Africa. Journal of the International African Institute», VIII (1935), 4, pp. 481-487.
24
«For the purposes of this Act, “witchcraft” does not include bona fide spirit worship
or the bona fide manufacture, supply or sale of the native medicine»: The Witchcraft Act
1957, Ugandan Constitution).
25
«We say, in effect, to the African “You must not accuse people of bewitching you:
it is absurd. You must not have recourse to ordeals to test such accusations: they are no
test. Above all you must not consult, or invoke the aid of diviners or witch-doctors, for
they are evil charlatans. If you do any of these things we shall punish you severely, because
you are foolish people, and we know best”. (…) it seems to me that this attitude begs the
whole question, which is: Why are these people tortured by the fear of witchcraft? and
also subsidiary to this: How much reality is there in this thing which they fear, and how
much is purely imaginary? and: Until they can be slowly and patiently taught better sense
what help can we give them against this fear?»: F. Melland, Ethical and Political Aspects of
African Witchcraft, «Africa. Journal of the International African Institute», VIII (1935), 4,
pp. 495-503: 495-496.
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195
controllo sociale nei territori coloniali 26. In questo quadro sociale e politico,
l’antropologia sociale britannica ha prodotto, nei decenni successivi, una
letteratura specialistica che ha fatto scuola fino agli anni Settanta 27.
Il teorema funzionalista dominante in Gran Bretagna in quegli anni si
può riassumere in tre elementi fondamentali che definiscono natura e ambito di pertinenza scientifica del problema:
1. non realtà (illusorietà) dei presunti fenomeni stregonici e conseguente
inconsistenza delle accuse;
2. funzione di coesione sociale svolta dalle accuse;
3. coerenza logica delle credenze con principi interni di razionalità.
4.L’assunto di base era che i presunti fenomeni stregonici fossero prodotti
della fantasia, o del sogno, e che quindi la paura che ispiravano dipendesse esclusivamente da irrazionali credenze tramandate. Nella maggior
parte dei casi, l’osservazione etnografica registrava le accuse di stregoneria e documentava le ordalie, ovvero raccoglieva le testimonianze degli
informatori che raccontavano della loro paura delle streghe, così come
dei loro sogni in cui spesso comparivano streghe, sogni che rappresentavano anche il mezzo per identificarle.
5.Il secondo e il terzo punto sono interconnessi. In buona parte della letteratura dell’epoca, le accuse di stregoneria erano interpretate come uno
strumento di coesione e di ripristino dell’ordine sociale. La stregoneria,
e in particolare il rischio di esserne accusati, appariva all’antropologia di
quegli anni come un efficace meccanismo di controllo sociale:
Clifton Roberts, nel suo intervento su «Africa» nel 1935, propose di inserire nella
legislazione coloniale la distinzione tra witch-doctors e sorcerers, allo scopo di favorire i
primi a detrimento dei secondi: C. Clifton Roberts, Witchcraft and Colonial Legislation,
ibidem, pp. 488-494: 489.
27
Le opere di maggiore respiro e le sillogi che hanno avuto un impatto profondo nell’insegnamento dell’antropologia tra il 1950 e il 1970 sono: M. H. Wilson, Good Company:
Nyakyusa Age-Groups Villages, London, Oxford University Press, 1951; J. Middleton – E. H.
Winter, Witchcraft and Sorcery in East Africa, London, Routledge and Kegan Paul, 1963; L.
Mair, Witchcraft, London, Weidenfeld and Nicolson, 1969 (trad. it. La stregoneria, Milano,
Il Saggiatore, 1969); M. G. Marwick, Sorcery in its Social Setting: a Study of the Northern
Rhodesian Ce ŵa, Manchester, Manchester University Press, 1965; Witchcraft and Sorcery:
Selected Readings, Harmondsworth, Penguin, 1982. Il lungo periodo di grande interesse per
la stregoneria può dirsi concluso con la pubblicazione del volume curato da M. Douglas,
Witchcraft. Confessions and Accusations, London, Tavistock, 1970 (trad. it. La stregoneria.
Confessioni e accuse nell’analisi di storici e antropologi, Torino, Einaudi, 1980) in cui sono
raccolti i più rilevanti contributi di un incontro svoltosi nel 1967 fra antropologi e storici a
trent’anni dall’uscita del libro di Evans-Pritchard.
26
196
Mariano Pavanello
Un inno anglicano invoca «amatevi con fervore gli uni gli altri». Le credenze nella
malvagità della stregoneria, così come nella possibilità della vendetta da parte di
spiriti ancestrali, si spingono oltre: non chiedono ai viventi di amarsi come un semplice atto di grazia, ma affermano anche che se non ci si ama la disgrazia ne seguirà
(…) Benché un’accusa di stregoneria possa accrescere ed avvelenare un conflitto, la
credenza mette in rilievo la maggiore minaccia per l’ordine sociale rappresentata da
sentimenti immorali. Così le credenze esercitano una pressione su uomini e donne
affinché questi rispettino le virtù sociali per non essere sospettati di essere delle
streghe28.
La stregoneria ne esce con lo stigma di un’antitesi dell’ordine sociale, ma
nello stesso tempo le accuse si presentano come un mezzo per il controllo e
il ristabilimento di quel medesimo ordine29.
La stregoneria (in particolare la versione zande fornita da EvansPritchard) è stata quindi usata come riferimento cruciale nel dibattito
antropologico e filosofico sul possibile statuto di razionalità delle credenze,
proprio in relazione al teorema funzionalista della loro capacità di mantenere la coesione sociale. C’è un nesso tra la funzione di operatore logico
svolto dalla credenza e la funzione sociale delle accuse, nesso che deriva
dalla concezione razionalista della società umana professata dalla scienza
sociale dell’epoca.
3. Problemi di definizione e ambiguità delle categorie locali.
La definizione della stregoneria più comunemente utilizzata come
«un potere mistico e innato che può essere usato dal suo possessore per
nuocere ad altre persone»30, ricalca, nella sua genericità, una convinzione
universalmente condivisa che ritroviamo anche nelle credenze del mondo
mediterraneo sulla jettatura e il malocchio. Sulla scorta di Evans-Pritchard,
il potere stregonico è definito mistico, aggettivo mutuato da tutta la tradizione dell’antropologia sociale britannica31 per distinguere la stregoneria dal
M. Gluckman, Custom and Conflict in Africa, Oxford, Basil Blackwell, 1955 (la citazione è a p. 94, traduzione mia).
29
Marwick afferma che la stregoneria fornisce i mezzi non solo per preservare l’ambiente sociale inalterato, ma anche per aumentare la sua resistenza alle influenze esterne, e le
accuse dovrebbero perciò essere classificate come misura delle tensioni sociali, soprattutto
in relazione ai rischi di scissione delle comunità di villaggio: Marwick, Sorcery in its Social
Setting, p. 246.
30
Witchcraft and Sorcery in East Africa, edited by J. Middleton – E. H. Winter, London,
Routledge and Kegan Paul, 1963, p. 3.
31
Vedi anche Mair, Witchcraft, p. 7.
28
La stregoneria nell’etnografia africanista del Novecento
197
magico (categoria più generica) e dal soprannaturale (nozione più specifica
delle concezioni religiose, mentre la stregoneria è generalmente ritenuta
parte dell’ordine naturale). Tuttavia, l’aggettivo ‘mistico’ mira anche a definire un aspetto rilevante della questione, e cioè la dimensione psichica, e
non materiale, delle presunte azioni stregoniche.
La distinzione tra witchcraft (potere innato, generalmente malefico e normalmente inconsapevole) e sorcery (pratica magica diretta consapevolmente
a nuocere ad altri) appare saliente in molte popolazioni, benché in modalità
anche molto differenti. Tra gli Akan32, ad esempio, la nozione di stregoneria33, riferita a poteri straordinari (volare di notte, trasformarsi in qualunque
altra cosa, mangiare carne umana, ecc.) è generalmente distinta da quella di
fattura o sortilegio (maleficio perpetrato mediante oggetti magici o pozioni
velenose), popolarmente indicato col termine pidgin juju. In lingua nzema34,
ayɛne indica sia la strega che la stregoneria ed è sempre nettamente distinta dall’ayidane, derivato da ayile ɛtane, medicina cattiva, veleno. L’ayidane
necessita spesso, tuttavia, di capacità magiche che consentono al fattucchiere
di portare in volo di notte la pozione velenosa alla sua vittima ignara, manifestando così poteri analoghi a quelli dell’ayɛne.
Tuttavia, gli stessi Middleton e Winter ammettono che questa distinzione
in molte società non è così chiaramente percepita. Inoltre, anche quando è
definita perspicuamente, è sempre possibile che una stessa persona possa
praticare insieme stregoneria e fattucchieria. La realtà etnografica, come
osserva Mair35, offre infatti una tale varietà di situazioni in cui gli aspetti che
caratterizzano rispettivamente witchcraft e sorcery nella classificazione di
Evans-Pritchard si trovano spesso mescolati senza che sia possibile rintrac32
Il termine Akan si riferisce ad un gruppo di popolazioni stanziate tra i fiumi Bandama in Costa d’Avorio e Volta in Ghana che condividono molti caratteri culturali e un
comune phylum linguistico.
33
Ɔbaayɛn oppure bayi e ɔbayifo in twi secondo il dizionario di J. G. Christaller, A Dictionary of the Asante and Fante Language called Tshi (Chwee, Twi), Basel, Basel Missionary
Society, 1881.
34
Gli Nzema sono una popolazione del gruppo Akan stanziata sull’estrema costa sud
occidentale del Ghana tra i fiumi Tano, ad ovest, e Ankobra ad est. Sugli Nzema, vedi: Una
società guineana: gli Nzema, a cura di V. L. Grottanelli, 2 voll., Torino, Boringhieri, 19771978; M. Pavanello, Il formicaleone e la rana. Liti, storie e tradizioni in Apollonia, Napoli,
Liguori, 2000; Il segreto degli antenati, Torrazza Coste (Pv), Edizioni Altravista, 2007;
Antenati, spiriti e streghe: la teoria del bene e del male degli Nzema del Ghana, «Humanitas»,
n.s., LXVII (2012), 5-6, pp. 833-851; P. Valsecchi, Power and State Formation in West Africa:
Appolonia from the Sixteenth to the Eighteenth Century, Basingstoke, New York, Palgrave
Macmillan, 2011.
35
Mair, Witchcraft, pp. 16 e sgg.
198
Mariano Pavanello
ciare un ordine universale. Questi sono, per la stregoneria, la natura innata e
quindi ‘mistica’, spirituale; la non consapevolezza da parte della strega; l’ereditarietà. Per la fattucchieria, sono, invece, la natura di conoscenza acquisita,
la consapevolezza, e la materialità, cioè l’uso di oggetti e/o sostanze. Questi
elementi possano ritrovarsi mescolati in tutto o in parte nelle pratiche attribuite a particolari individui. Per esempio, in molte tradizioni culturali, la
strega può essere perfettamente consapevole dei suoi poteri (innati, ereditati
o acquisiti); oppure, pur disponendo di poteri, può anche far uso di sostanze
malefiche per produrre danni ad altri36.
Esistono molte credenze – e connesse pratiche rituali – per cui anche persone non reputabili di stregoneria possono produrre effetti nefasti attraverso
particolari modalità di ricorso ad entità spirituali (ad esempio, voto o maledizione rituale) al fine di ottenere la punizione di qualcuno che si presume
abbia commesso un’ingiustizia, un abuso o un crimine37. Casi di questo
genere possono facilmente essere confusi con azioni stregoniche. L’insieme
di queste differenti fattispecie, quasi sempre accomunate sotto l’etichetta di
stregoneria, fa di questa, e della connessa categoria di fattucchieria, due concetti tutt’altro che chiari e distinti come li ha voluti pensare Evans-Pritchard,
e con lui buona parte dell’antropologia sociale britannica.
Anche le categorie indigene offrono, tuttavia, forti elementi di ambiguità. Sono, in genere, nozioni di grande salienza nei discorsi e nelle pratiche
locali, ma sfuggenti e molto difficili da definire, come l’evur dei Fang del
Camerun38, generalmente indicato nella letteratura antropologica come
sostanza, oppure come organo della stregoneria. Il dominio dell’evur si
estende oltre la stregoneria, si suppone che sia strumentale in tutte le possibili realizzazioni personali e in ogni evento. Solo alcuni possiedono l’evur
che consente loro di diventare ricchi, di evitare la sfortuna e di mandarla agli
altri, di diventare importanti, di uccidere i loro nemici, ecc. D’altra parte, le
36
Come nel caso Nzema in cui l’ayɛne è sempre consapevole e può anche fare uso di
ayidane per compiere malefici nei confronti di individui non appartenenti alla sua cerchia
familiare.
37
Come la nozione nzema di amonle. Il termine è polisemico ed ha vari significati: maledizione, voto, amuleto e altri ancora. Le persone hanno la possibilità di pronunciare voti o
lanciare maledizioni (amonle ɛwalɛ) in direzione di uno o più spiriti, per ottenere giustizia
contro il male causato da un agente umano; spesso, infatti, quando qualcuno è colpito da
una malattia o da una disgrazia, si fanno delle ricerche per capire se sia stato lanciato un
amonle. Solo quando questa ricerca non dà esito, allora si può pensare ad un ayidane o ad
un evento stregonico.
38
P. Boyer, Tradition as Truth and Communication. A Cognitive Description of Traditional
Discourse, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 25 e sgg.
La stregoneria nell’etnografia africanista del Novecento
199
persone si ammalano e muoiono, o perché il loro evur è attaccato da quello
di qualcun altro o perché sono senza evur e perciò senza difesa. Descrivere
l’evur come un organo è insufficiente, sebbene appaia talvolta pertinente.
Al pari degli Azande e di molti altri popoli, i Fang praticavano l’autopsia
quando pensavano che una persona fosse morta a causa di un suo coinvolgimento in attività di stregoneria. Quando trovavano un polipo nell’intestino,
veniva identificato come l’evur del deceduto; ma l’assenza di una traccia così
evidente non era una chiara prova di innocenza. Il termine non designa l’organo in se stesso, che è solo una manifestazione dell’evur, né denota speciali
capacità. Gli informatori, secondo le diverse circostanze, sono pronti a dire
che è una cosa buona oppure malvagia, potente oppure pericolosa; possono
descrivere con facilità le relazioni sociali e gli atti rituali connessi con l’evur,
ma non riescono a definire cosa sia l’evur.
Nozioni di tale ambiguità, come l’evur, sono estremamente comuni nell’interazione tradizionale e quasi ogni antropologo si imbatte in situazioni analoghe. (…)
Benché siano molto spesso presenti nel discorso, sembra che il loro esatto significato rimanga oscuro o imperscrutabile agli stessi locutori. Questa combinazione di
estrema importanza e di apparente vacuità costituisce una sfida alle comuni idee
antropologiche sulle categorie tradizionali39.
Un aspetto di cruciale ambiguità è la connotazione morale della stregoneria che riguarda la natura stessa dei presunti poteri stregonici. Molte
testimonianze etnografiche sui contesti africani recano la percezione, nettamente sottovalutata dagli studiosi occidentali, di una stregoneria buona
accanto a quella prevalente di carattere malvagio40:
Per l’Africa, l’antropologia della stregoneria è stata profondamente influenzata da
una serie di monografie, soprattutto di autori inglesi negli anni ’50 che studiavano
la stregoneria come una forza locale e conservatrice e si concentravano sulle accuse di stregoneria che si supponeva tendessero a contrastare la destabilizzazione
dell’ordine sociale. In generale la loro concezione delle forze occulte aveva un tenore fortemente moralizzatore. Ancora oggi, molti antropologi sono inclini a ridurre
il discorso della stregoneria ad una opposizione tra il bene e il male, malgrado che
spesso la terminologia locale non si presti facilmente a questa riduzione. Una tale
opposizione non si giustifica in alcune società in cui i discorsi sulle forze occulte
Boyer, Tradition, p. 23, traduzione mia.
È molto sentita tra gli Akan, e in particolare tra gli Nzema, la contrapposizione tra
ayɛne kpalɛ (stregoneria buona) e ayɛne ɛtane (stregoneria malvagia), come dimostrano due
lavori prodotti da autori ghanesi: P. A. K. Aboagye, Ayεne, Accra, Bureau of Ghana Languages, 1969; G. Bannerman-Richter, The Practice of Witchcraft in Ghana, Elk Grove, Cal.,
Gabari Publishing, 1982.
39
40
200
Mariano Pavanello
(relativamente a nozioni che oggi vengono tradotte con ‘stregoneria’) sembrano
piuttosto sfumare simili distinzioni. Queste forze hanno certamente degli effetti
perturbativi, ma si crede anche che esse possano essere utilizzate a fini positivi41.
Peter Geschiere si chiede perciò se non sia necessario per gli antropologi
adottare una particolare prudenza al fine di evitare di imporre alle concezioni
locali degli schemi che definisce «manichei di tipo occidentale», dal momento
che appare sempre molto rischioso operare, in questo campo, una distinzione
netta tra bene e male. Infatti, le nozioni locali non sempre sono perfettamente
traducibili con i termini europei di witchcraft o sorcellerie, i quali, secondo
Geschiere, presentano una connotazione pesantemente moralizzatrice:
La diffusione di questi termini sembra, in effetti, sottolineare il successo della
visione occidentale di queste forze come legate al male, e dunque opposte al bene
[… mentre] le nozioni africane presentano spesso delle implicazioni più ampie e
ambigue. Un esempio è la nozione di djambe presso i Maka del Camerun orientale.
Per loro il djambe è una forza – o anche un essere – che vive nel ventre di qualcuno
e che permette al suo proprietario di trasformarsi in spirito o in animale e compiere cose eccezionali. Questa forza può essere utilizzata per uccidere. Dunque si
potrebbe tradurre djambe con stregoneria. Ma questo djambe, come l’evu42 dei vicini Beti, può essere utilizzato in un senso molto più positivo per accumulare potere
e ricchezza, e anche per guarire malattie»43.
4. Trasformazioni e pratiche della stregoneria e metanarrazioni occidentali.
Le idee, le pratiche e i rituali – che in momenti diversi sono stati riuniti nel più
generale concetto di stregoneria – cambiano nel tempo insieme agli scenari politici,
economici e culturali entro i quali queste pratiche, idee e rituali hanno trovato e
trovano una loro collocazione44.
La mia tesi è che la stregoneria sia stata storicamente costruita all’interno
delle metanarrazioni identitarie dell’intellettualità occidentale. La ricerca
accademica (antropologica, filosofica, storiografica) ne ha affrontato lo studio, nei diversi momenti storici, inserendola in contesti di pratiche e di significati mutevoli e in orizzonti di senso coerenti con i contesti storico-politici,
e soprattutto con i paradigmi dominanti che ne hanno generato l’interesse
scientifico e condizionato l’analisi e l’interpretazione.
Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique, pp. 19-21, traduzione mia.
Variante di evur, termine comune a diversi contesti culturali del Camerun. Vedi:
Boyer, Tradition; Mallart-Guimera, Ni dos ni ventre.
43
Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique, p. 21, traduzione mia.
44
Bellagamba, L’ Africa e la stregoneria, pp. 4-5.
41
42
La stregoneria nell’etnografia africanista del Novecento
201
La separazione teoretica della stregoneria dalla magia corrisponde alla
rottura epistemologica condotta dal funzionalismo nei confronti dell’evoluzionismo e delle ricostruzioni storico-culturali. Osservare le società umane
dal punto di vista dei meccanismi e dei processi della loro coesione interna
implica un cambiamento radicale di mentalità scientifica rispetto alla visione
evoluzionista che assegna un posto predefinito ai diversi livelli di sviluppo
tecnologico delle popolazioni umane. La nozione di mentalità magica – che
nel teorema evoluzionista connotava il pensiero ‘primitivo’45 – viene smontata
dalla nuova antropologia fortemente influenzata dal pensiero sociologico
di Emile Durkheim. Al suo posto, nel teorema funzionalista, la stregoneria
appare come un meccanismo che opera contemporaneamente sia al livello del
conflitto che dell’ordine sociale. Successivamente, nella breve stagione in cui
hanno dominato in antropologia i teoremi marxista e strutturalista, sempre
nel quadro di un paradigma rigorosamente oggettivista, cioè tra la fine degli
anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta, l’interesse verso la stregoneria è notevolmente diminuito. Negli anni immediatamente successivi alla
decolonizzazione, l’antropologia marxista rappresentò, in questo campo, un
regresso riportando la stregoneria nella categoria delle credenze magico-religiose, e interpretandola come proiezione feticistica della merce prodotta con il
lavoro alienato. Si riteneva così di spiegare perché gruppi di contadini e operai
salariati (e quindi depauperati dei loro mezzi di produzione, la terra e il lavoro,
ridotti, a loro volta, a merci) cercassero di uscire dalla loro condizione attraverso pratiche occulte per mezzo delle quali potessero opporsi al ferreo dominio della logica di produzione capitalista46. Inoltre, nelle ex colonie africane in
cui si erano affermate forme del cosiddetto «socialismo africano», il discorso
sulla stregoneria acquistava un sapore rétro e decisamente inopportuno.
L’ideologia della modernizzazione aveva avuto un ruolo fondamentale nella
condanna del tribalismo come retaggio culturale precoloniale che durante il
colonialismo era stato mantenuto in essere dai poteri tradizionali – asserviti
al dominio europeo – e dall’antropologia. La demonizzazione del passato
tribale si esprimeva politicamente attraverso il rifiuto contestuale del sistema
di potere tradizionale, accusato di collusione col colonialismo, e dell’antro-
45
Dal fondatore dell’antropologia sociale britannica e inventore del cosiddetto «animismo» e della religione «primitiva»: E. B. Tylor (Researches into the Early History of Mankind and
the Development of Civilization, London, Murray, 1865; Primitive Culture. Researches into the
Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, London, Murray,
1871), fino al filosofo francese L. Lévy-Bruhl (La mentalité primitive, Paris, Félix Alcan, 1922).
46
Vedi, soprattutto, M. T. Taussig, The Devil and Commodity Fetishism in South America, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1980.
202
Mariano Pavanello
pologia occidentale. Il teorema marxista dominante, bollando la stregoneria
come elemento ideologico connaturale alla cattiva coscienza determinata dalle
strutture arcaiche del potere, la condannava alla sparizione, insieme con le
altre superstizioni e credenze, incalzata dall’inarrestabile processo di modernizzazione e trasformazione della società in senso socialista.
La stregoneria non solo non è scomparsa, ma negli ultimi decenni ha manifestato in quasi tutti gli angoli della cosiddetta Africa nera una vitalità rinnovata in forme a volte inedite e virulente47, presentandosi come un elemento forte
della modernità africana48. Ne sono testimonianza non solo i mass media, ma
soprattutto la letteratura e, in modo particolare, le fictions cinematografiche
e televisive prodotte in molti paesi africani e dirette agli strati meno educati
della popolazione49. La stregoneria si trasforma sotto gli occhi degli antropologi e assume forme inedite; accentua e modifica i nessi con la medicina e la
religione ed entra in relazione profonda con l’economia, la politica e la storia50. Gli studi più recenti, influenzati dal pensiero foucaultiano e dall’analisi
47
Il fenomeno della recrudescenza della stregoneria in Africa appare contestuale alla
ripresa di vigore dei poteri tradizionali di origine precoloniale che, dagli anni Ottanta,
hanno recuperato in quasi tutti i paesi africani credito e rappresentatività politica: C. H.
Perrot – F. X. Fauvelle-Aymar, Le retour des rois. Les autorités traditionnelles et l’état en
Afrique contemporaine, Paris, Karthala, 2003.
48
Vedi J. Comaroff – J. L. Comaroff, Modernity and Its Malcontents. Ritual and Power
in Postcolonial Africa, Chicago, The University of Chicago Press, 1993; J. L. Comaroff – J.
Comaroff, Occult Economies and the Violence of Abstraction: Notes from the South African
Postcolony, «American Ethnologist», XXVI (1999), 2, pp. 279-303; Geschiere, Sorcellerie et
politique en Afrique; Id., Sorcellerie et modernité: Les enjeux des nouveaux procès de sorcellerie au Cameroun Approches anthropologiques et historiques, «Annales. Histoire, Sciences
Sociales», LIII (1998), 6, pp. 1251-1279.
49
Vedi: Pouvoirs sorciers, éd. par F. Bernault – J. Tonda, «Politique Africaine», LXXIX
(2000); J. P. Dozon – M. Augé, La cause des prophètes: politique et religion en Afrique contemporaine, Paris, Le Seuil, 1995; D. Ciekawy – P. Geschiere, Containing Witchcraft: Conflicting Scenarios in Postcolonial Africa, «African Studies Review», XLI (1998), 3, pp. 1-14;
Readings in Modernity in Africa, edited by P. Geschiere – B. Meyer – P. Pels, Bloomington
& Indianapolis, Indiana University Press, 2008; A. Mbembe, On the Postcolony, Berkeley,
University of California Press, 2001; B. Meyer, Translating the Devil. Religion and Modernity
among the Ewe in Ghana, Trenton, Africa World Press, 1999; Globalization and Identity.
Dialectics of Flow and Closure, edited by B. Meyer – P. Geschiere, Oxford, Basil Blackwell,
1999; Magic and Modernity. Interfaces of Revelation and Concealment, edited by B. Meyer – P.
Pels, Stanford, Stanford University Press, 2003; T. Sanders, Reconsidering Witchcraft: Postcolonial Africa and Analytic (Un)Certainties, «American Anthropologist», n.s., CV (2003),
2, pp. 338-352.
50
Vedi, soprattutto, R. A. Austen, The Moral Economy of Witchcraft: An Essay in Comparative History, in Modernity and Its Malcontents. Ritual and Power in Postcolonial Africa, edited by
J. Comaroff – J. L. Comaroff, Chicago, The University of Chicago Press, 1993, pp. 89-110.
La stregoneria nell’etnografia africanista del Novecento
203
postcoloniale, hanno tra loro in comune – in una gamma di posizioni anche
fortemente differenziate – una concezione di base della stregoneria come strumento di apertura (= di potere) verso i circuiti in cui la globalizzazione rende
disponibili a tutti, più o meno illusoriamente, le merci prodotte dal sistema
globale di produzione capitalista. In pratica, la stregoneria diventa non solo
un mezzo di arricchimento, quasi sempre a danno di altri, ma soprattutto uno
strumento per conquistare o mantenere il potere politico.
In altri lavori più recenti si fa strada la necessità di affrontare la questione della natura delle rappresentazioni stregoniche, e si avanza l’idea che le
credenze nella stregoneria riguardino la vita interiore e soprattutto onirica,
ovvero che si situino in un incerto confine tra il reale e l’immaginario51, o
che riguardino piuttosto i poteri dell’intelletto52, o, ancora, rappresentino
una posta in gioco nel dibattito postcoloniale per una filosofia africana53.
Il cambiamento dell’oggetto stregoneria ha a che fare con il mutamento
di paradigma nella scienza sociale occidentale, ma anche, ad un livello culturale più generale, con il mutamento della percezione della realtà e dell’etica.
In altri termini, ritengo possibile interpretare le grandi categorie che stiamo
usando – stregoneria, tradizione, modernità – come idee-forza pertinenti
la nostra identità occidentale capaci di veicolare idee, stili di riflessione e
modelli di ragionamento che producono narrazioni adatte di volta in volta
a rappresentare il mutare del nostro modo di vedere il mondo. La visione
funzionalista della stregoneria come strumento di coesione sociale era
perfettamente funzionale alla dominazione coloniale. Il teorema marxista
della stregoneria come cattiva coscienza ideologica, suscettibile di svanire
con l’avvento della razionalità socialista, era il riflesso della lotta per la
decolonizzazione nelle grandi correnti ideologiche della sinistra europea.
Inoltre, la visione della stregoneria come ambito di costruzione identitaria e
di potere, pertinente il processo di globalizzazione, che caratterizza buona
parte dell’antropologia contemporanea, è lo specchio dell’autocritica occidentale postmoderna di matrice foucaultiana. Infine, la più recente riflessione sulla stregoneria come elemento dell’interiorità è un segnale forte del
contemporaneo ripiegarsi dell’intellettualità occidentale nelle più svariate
forme di ricerca del sé. Queste diverse analisi corrispondono ad altrettante
Vedi Baum, Crimes of the Dream World.
Hallen, Witches as Superior Intellects.
53
G. C. Bond – D. M. Ciekawy, Introduction. Contested Domains in the Dialogues of
Witchcraft, in Witchcraft Dialogues. Anthropological and Philosophical Exchanges, edited by
G. C. Bond – D. M. Ciekawy, Athens, Ohio International Center for International Studies,
2001, pp. 1-38.
51
52
204
Mariano Pavanello
fasi di sviluppo della metanarratività occidentale che tende ad incorporare
le narrazioni locali. Non è un caso che i mass media e la cinematografia africani producano sempre più spesso fictions, idee e notizie, vere o presunte, su
casi di magia o stregoneria, classificate nella categoria onnicomprensiva di
witchcraft/sorcellerie, dimostrando come questa categoria non solo sia analiticamente fondamentale, ma rivesta la funzione metanarrativa di veicolare
aspetti socialmente rilevanti del linguaggio del potere e insieme delle forme
di contropotere. Afferma Geschiere:
I tentativi più stimolanti compiuti per rinnovare lo studio delle forze occulte e per
comprendere la loro sorprendente “modernità” provengono da autori che hanno
preso le distanze dal discorso moralizzatore e per i quali la distinzione tra bene e
male non è scontata. Sembra che in questo modo sia possibile capire meglio l’ambiguità di queste rappresentazioni e la loro persistenza nel contesto di nuovi rapporti
di produzione e di potere. (…) Il rapporto tra stregoneria e incertezze della vita
moderna attraversa l’opera di Éric de Rosny, il prete di Douala divenuto nganga
(guaritore) impegnato nella lotta contro la stregoneria. Egli analizza il lavoro dei
suoi colleghi nganga come una lotta continua e feroce per dominare le vicissitudini
della vita urbana. Per comprendere questa lotta, non si limita ad uno studio delle
accuse di stregoneria, e soprattutto si guarda bene dal sistematizzare troppo le
implicazioni di queste credenze. Egli mostra come queste nozioni, proprio perché
permettono interpretazioni estremamente variabili, possono conservare la loro
pertinenza malgrado tutti i cambiamenti. È esattamente per il loro carattere aperto
che queste credenze hanno potuto integrare i misteri dell’economia di mercato. In
questa visione, il discorso della stregoneria non esprime una resistenza opposta agli
sviluppi moderni, ma un insieme di sforzi per rendere vivibile la vita moderna. Il
fascino di questo approccio è che, per l’accento posto sull’ambiguità e sulle dinamiche proprie di queste credenze, lascia emergere le implicazioni particolari della
stregoneria senza ricadere su un discorso dell’Altro come radicalmente differente, e
senza ridurre la stregoneria ad una ossessione esotica. Questi lavori mostrano che le
credenze e le pratiche che oggi vengono riferite alla stregoneria riflettono una lotta
intorno a problemi che sono inerenti a tutte le società umane54.
Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique, pp. 285-286, traduzione mia.
54
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