Foglio di informazione sulla povertà nel mondo - Alba - Comunità di S. Margherita - n° 283 del 29 e 30 ottobre 2016 - Ciclostilato in proprio Per raggiungere il nostro sito digitare: http://www.santamargheritaalba.it/index.php?mod=i_gruppi - poi andare al: Sottomenù Solidarietà LA FAME HA SEMPRE UNA COMPONENTE POLITICA di Paolo Beccegato Malnutrizione e assenza di cibo sono esperienze purtroppo non eliminate nel mondo contemporaneo. Anche in tempi recenti, un gran numero di carestie hanno alla radice conflitti. E arrivano addirittura a essere usate come occasione di reclutamento… i torna a parlare di diritto al cibo, non a caso. Oggi la fame è ancora una realtà, sperimentata nel mondo da quasi un miliardo di persone, molte delle quali vivono in aree che sono teatro di conflitti dimenticati, le cui conseguenze ricadono soprattutto su innocenti inermi. Producendo inevitabili "ondate" di profughi. Anche nei tempi recenti, un gran numero delle peggiori carestie è stato causato da guerre o cambi di regime violenti. In questo tipo di crisi, l'interruzione del mercato, la perdita di valore della valuta e l'accaparramento da parte di pochi sottraggono immediatamente il cibo alla disponibilità dei più. La fame comincia subito. Nel solo ventesimo secolo, le carestie hanno ucciso almeno 70 milioni di persone, in grande maggioranza a causa della sovrapposizione tra penuria di cibo e guerre, o rivoluzioni. La componente politica nelle carestie è sempre presente, se non altro nella forma di mancanza di piani d'emergenza, di riserve alimentari e di politiche di sicurezza alimentare da parte dei governi nazionali. Ma quando si arriva al conflitto armato, ovvero al fallimento della politica, i meccanismi possono essere diversi e molto complessi. Innanzitutto c'è l'impatto della violenza sui sistemi di produzione e distribuzione: S lo sfollamento allontana i contadini dalla terra, il lavoro agricolo diventa impossibile e s'interrompe il ciclo produttivo. Il bestiame viene ucciso o confiscato, i sistemi d'irrigazione danneggiati, le mine anti-persona rendono impraticabile il territorio. Benché il settore agricolo venga normalmente meno colpito di quello industriale dagli effetti del conflitto, nondimeno la produzione agricola scende di almeno 1'1,5% l'anno e l'apporto calorico del 7% nelle guerre tradizionali. Incomparabilmente di più nelle emergenze complesse. Ad esempio, alla fine del 2012, dopo appena un anno e mezzo di guerra civile in Siria, la produzione di cereali era scesa da 4,5 milioni di tonnellate l'anno a meno di 2. Gli aiuti, un vantaggio tattico Bisogna poi considerare la confisca del cibo da parte delle forze combattenti. Un caso esemplare è quello del Sudan che, negli anni Novanta, vendette le sue riserve alimentari per finanziare le forze militari, ma si rifiutò di dichiarare l'emergenza alimentare, impedendo agli aiuti in cibo di raggiungere le aree controllate dall'opposizione. Bisogna poi considerare che quando i giovani uomini hanno fame, tendono ad aggregarsi ai gruppi che controllano il cibo, rafforzandone i ranghi. La fame, dunque, funziona come mezzo di reclutamento mentre sottrae forza lavoro all'agricoltura, aggravando la crisi. Naturalmente, avere il controllo sugli aiuti umanitari costituisce un vantaggio tattico eccezionale. Durante l'operazione "Lifeline Sudan", che fornì alimenti a milioni di persone durante la guerra tra Nord e Sud, questo fattore determinò dinamiche molto importanti, che influirono significativamente sull'esito del conflitto. L'impatto sui trasporti e la distruzione delle infrastrutture impediscono al cibo di raggiungere i mercati, i quali sono a loro volta convertiti al commercio clandestino e alla distribuzione porta a porta. Trionfa il mercato nero e il costo del cibo sale alle stelle. Assieme alla disoccupazione, questo costringe molta gente ad adottare strategie di sopravvivenza: si vendono i beni della famiglia, a volte la stessa terra, impedendo ogni resilienza. Si arriva all'indebitamento, poi alla piccola criminalità e alla prostituzione per procurarsi il nutrimento essenziale. La tendenza dei conflitti violenti a protrarsi per molti anni porta all'esaurimento delle strategie di fronteggiamento delle crisi a livello individuale e familiare. Fino al punto in cui non resta altro che smettere di mangiare. Il continuo aumento del numero dei conflitti armati e il proliferare del mercato delle armi producono un inevitabile impatto sulla popolazione civile, non solo per quanto riguarda le violenze, ma anche la fame. Occorrono maggiore consapevolezza e più azione, a partire dalla comunità internazionale, per prevenire ogni tipo di inevitabile conseguenza. ITALIA CARITAS - giugno 2016 – pag. 34 L’ECONOMIA CIRCOLARE APPLICATA ALLE BIOMASSE Intervista a Vittorio Prodi a cura di Chiara Tintori - Redazione di Aggiornamenti Sociali, [email protected], @chiartin L’economia circolare, con la sua attenzione al riciclo e al riuso di materiali e prodotti già esistenti, si potrebbe dimostrare una efficace via da percorrere per restare nei limiti delle risorse ambientali offerte dal pianeta. Un esempio in tal senso viene dal corretto impiego di fonti di energia rinnovabile, come le biomasse o l’energia idroelettrica. Il prof. Vittorio Prodi, esperto in tematiche ambientali, risponde ad alcune domande della Redazione per aiutare i lettori a comprendere la portata della posta in gioco. e c’è qualcosa che la natura indica perentoriamente, è il senso del limite, prima di tutto quello delle risorse naturali, poi quello della terra nell’accogliere e metabolizzare i rifiuti. In quale modo l’economia può assumere questi limiti, orientandosi verso una crescita sostenibile? S Finora l’economia ha funzionato secondo il modello lineare di “produzione – consumo – smaltimento”, dove ogni prodotto è inesorabilmente destinato ad arrivare a fine vita. Tuttavia l’economia lineare sta diventando un’opzione sempre più insostenibile, in quanto sottopone l’ambiente a un costante degrado, dato dal saccheggio delle risorse e dall’aumento dei rifiuti prodotti. È giunto quindi il momento di porre in essere azioni volte alla prevenzione, al riciclaggio e alla lotta allo spreco, in modo che l’attenzione si sposti gradualmente sul recupero dei materiali e dei prodotti esistenti, in quanto il rifiuto può essere trasformato in una risorsa. Si può così passare da un’economia di tipo lineare a un altro modello, l’economia circolare, che risponde in pieno alla necessità di una crescita sostenibile. In questa ottica, infatti, il rifiuto da scarto diventa risorsa in grado di concorrere al rilancio dell’economia e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Con l’idea della durata, del riutilizzo e del riciclaggio si potranno sviluppare modelli imprenditoriali alternativi e scoprire nuovi mercati, passando dalla centralità dei prodotti a quella dei servizi. Il riferimento al modello economico circolare ci rinvia alle risorse e a come impiegarle non in astratto, ma in modo concreto. Proprio il legame con un territorio specifico rende gli uomini più consapevoli del concetto di limite; eppure gran parte delle attuali sfide ambientali sono globali e necessitano di una risposta di sistema. Come conciliare le due dimensioni, locale e globale? Di quali cambiamenti abbiamo bisogno? A livello locale si può fare molto. È possibile ritrovare la connessione intima con la natura e rinunciare a porsi in posizione di dominio, ricreando reciprocità e armonia tra l’uomo e l’ambiente. Ciò si realizza, però, solo se si torna a essere abitanti del luogo, se si recuperano solide radici tramite le quali acquisire una nuova consapevolezza del nostro pianeta come qualcosa di vivo, tenendo conto di un duplice limite: la sua capacità di accogliere i nostri scarti e la disponibilità di risorse naturali. Poi vi sono le annose questioni globali: pensiamo ai cambia- menti climatici, una delle maggiori sfide che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione, la maggiore frequenza degli episodi di siccità e di alluvioni sono sintomi di un cambiamento climatico in atto. I rischi per il pianeta e per le generazioni future sono enormi e ci obbligano a intervenire con urgenza. Anche il Papa nella Laudato si’ ci ricorda che «l’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano [...]. Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi» (nn. 23-24). Se si vogliono evitare conflitti catastrofici 1, abbiamo bisogno di un mutamento antropologico, abbandonando gli egoismi nazionali per arrivare a un accordo sull’uso dell’atmosfera, un esempio chiaro e urgente di bene comune, che deve esser e gestito in modo condiviso con politiche eque e di giustizia “planetaria”. I vecchi strumenti non sono utilizzabili e il mercato non è in grado di garantire questa equità. La nostra economia uccide, la massimizzazione incontrollata dei profitti allarga sempre più il divario tra i tanti che posseggono poco e i pochi che posseggono tanto e sono in grado di comprare il consenso per continuare ad avere sempre di più. È quanto si è già verificato nei negoziati sui cambiamenti climatici, dove le grandi aziende petrolifere sono riuscite finora a far fallire qualunque ipotesi di regolamentazione. La COP 21 2 dello scorso dicembre, a Parigi, ha confermato il sistema basato sull’adozione da parte di ogni Paese di limiti volontari nell’emissione dei gas serra, che contribui- scono all’innalzamento del riscaldamento globale: tuttavia, se anche fossero rispettati gli impegni assunti, il riscaldamento rimarrebbe superiore ai 2,5 °C, soglia ben più alta del limite di 1,5 °C che si riconosce come massimo accettabile. Nella stessa COP 21 vi è stato un invito implicito ad assumere la transizione energetica (cioè la riconversione di energia a basso contenuto di carbonio e il miglioramento dell’efficienza) come via maestra nella lotta ai cambiamenti climatici. Le energie rinnovabili possono fare molto oggi nella transizione energetica. Quali sono secondo lei le più promettenti? Ciascun territorio è chiamato a essere attento in modo particolare alle risorse maggiormente valorizzabili di cui dispone, mettendole in sinergia con l’intero sistema. A tal fine rivestono un ruolo importante le biomasse, come i residui agricoli e forestali e le coltur e ener getiche dedicate in suoli contaminati, che sfruttano la capacità che hanno alcune piante, come cardo e ginestra, di assorbire gli inquinanti del suolo, un sistema noto come fitodepurazione del suolo. Si pensi che alcune essenze di pioppo hanno un assorbimento radicale di 100 litri di acqua al giorno, che coinvolge anche la contaminazione in soluzione, che in questo modo viene fissata nella pianta. La biomassa ottenuta potrebbe essere utilizzata per la produzione di energia. La contaminazione del suolo si può dimezzare ogni due/quattro anni. Il trattamento di gassificazione può distruggere la contaminazione se questa è organica, o concentrarla nelle ceneri, con maggiore possibilità di confinamento, se è da elementi tossici. Così si possono riconsegnare all’agricoltura terreni ora non disponibili per la produzione di derrate o mangimi. Per inciso, perché non vincolare l’urbanizzazione di territori al recupero di questi terreni inquinati? È necessario costruire una filiera che porti a uno sfruttamento sostenibile delle energie rinnovabili perché non si sprechino opportunità concrete. Ogni coltivazione produce residui dell’ordine di circa 3 tonnellate (t) di biomassa secca per ettaro (ha) all’anno. Sono già normalmente raccolti, ma nella maggior parte dei casi non sono utilizzati e spesso vengono bruciati a bordo dei campi, con grave inquinamento ambientale. Realizzare una filiera che possa sistematicamente portare alla raccolta, consegna e trattamento di queste biomasse sarebbe dunque particolarmente utile. Un’altra energia rinnovabile è quella mini-idroelettrica, che consiste nella realizzazione di piccoli salti durante la manutenzione dei corsi d’acqua, mirati anche ad aumentarne i tempi di ritenzione, un intervento fattibile senza dighe invasive, in acqua corrente, più accettabile in termini ambientali. Questi piccoli salti, sfruttabili con piccoli impianti idroelettrici, potrebbero garantire una attenzione continua al flusso e alla pulizia del letto fluviale grazie anche al coinvolgimento degli agricoltori locali. Sui versanti montuosi o collinari a maggior pendenza è necessario intervenire con versioni tecnologicamente aggiornate dei terrazzamenti, per garantire un trattenimento dell’acqua al fine di evitare ruscellamenti rovinosi e quindi erosioni del suolo, e per permettere una migliore ricarica delle falde. A supporto di questo, sarà da realizzare una mappa accurata delle falde e sviluppare la capacità di monitorarne il riempimento. La finalità complessiva di questa operazione sarà quella di costruire una capacità di riempimento artificiale se, a causa del cambiamento climatico, i meccanismi naturali non saranno in grado di garantire l’alimentazione delle falde. Entrambi i casi, biomasse e mini-idro, potrebbero stabilire circoli virtuosi di sicurezza e manutenzione del territorio, un bene comune di eccezionale importanza. me avviene il processo di gassificazione delle biomasse? Quale potenzialità esso potrebbe esprimere per una gestione innovativa del territorio e della cura dell’ambiente? Ci può spiegare meglio co- In Italia sono potenzialmen- Esistono tecnologie già da tempo sviluppate, anche se in piccola scala, in grado di convertire in gas le biomasse come il legno e le ramaglie. Pensiamo a come si accende un fuoco: esso ha bisogno di essere innescato portando una parte della biomassa a una temperatura tale da far iniziare la conversione in gas, nella fattispecie una miscela di idrogeno, ossido di carbonio, metano che si mescolano con l’ossigeno dell’aria e bruciano nella fiamma. Questo processo in generale non è controllato se non tramite l’alimentazione di materia organica. Le due fasi di gassificazione e combustione possono essere separate mediante un riscaldamento della biomassa in carenza o in assenza di ossigeno, producendo così il gas combustibile che a sua volta può essere utilizzato in modo simile al metano, ma con un inquinamento molto ridotto rispetto alla combustione convenzionale. Questo gas può servire per il funzionamento dei motori a combustione interna, per produrre energia elettrica e calore in condizioni di emissioni controllate e di sostenibilità, assicurando così un bilancio neutro di gas a effetto serra. Vi è quindi un evidente interesse collettivo nel rendere possibile l’impiego sostenibile della biomassa, di cui cir ca 2,5 t pr oducono una quantità di calore equivalente a 1 t di petrolio. Tenendo conto della quantità di residui agricoli e forestali, la coltivazione a fini di bonifica di territori contaminati potrebbe portare a una disponibilità di energia molto interessante. Il potenziale economico delle biomasse pare molto promettente. In che modo l’intero ciclo produttivo può essere gestito con attenzione alla sostenibilità economica? te disponibili per anno: 15 milioni di t di biomassa da residui agricoli, calcolando una superficie agricola di 10 milioni di ha, con una media di 1,5 t/ ha, 20 milioni di biomassa da residui forestali, 9 milioni di t da 600mila ha di terreni assoggettabili a fitodepurazione, 5 milioni di t di biomassa da verde pubblico urbano e da manutenzione di alberi lungo la viabilità. L’ordine di grandezza è di circa 18 milioni di t di petrolio equivalente, pari a circa il 9% del nostro fabbisogno di energia primaria 3. Dal punto di vista occupazionale potrebbero essere realizzate decine di migliaia di posti di lavoro. È quindi giustificata la proposta di concentrare gli sforzi sulla messa a punto di una filiera di raccolta e trattamento per conversione in gas, da usare per produrre energia e calore con un miglioramento sostanziale dell’efficienza e dell’impatto ambientale. Ma sono pensabili anche altri impieghi delle biomasse in attività produttive, come il settore edilizio o quello del mobilio, oppure come materia prima per la realizzazione di plastiche. Tutto ciò che non sarebbe utilizzato per queste finalità potrebbe essere trasformato in gas. Quanto abbiamo fin qui visto costituisce anche una risposta all’annoso problema degli incendi. Pensiamo a quelli che hanno colpito la Sicilia lo scorso giugno, con grandi rischi per le persone, danni enormi al patrimonio boschivo e un inquinamento di vastissime proporzioni sia per quanto riguarda i fumi, che permangono in atmosfera per settimane, sia per l’emissione di anidride carbonica in quantità ingenti e con tempi di permanenza praticamente indefiniti e gravi effetti sull’accelerazione del riscaldamento globale. L’aspetto sconcertante, senza tener conto della eventuale origine dolosa degli incendi, è che c’è personale sufficiente per una cura del bosco, che nella maggior parte dei casi potrebbe essere soggetto a una manutenzione di pulizia e sfoltimento. Questo diminuirebbe fortemente il rischio di incendio, pur mantenendo positivo il bilancio di accumulo di carbonio nel bosco. Evidentemente non basta avere dei forestali nel territorio boschivo, se non si costituisce l’intera filiera di raccolta della biomassa risultante dalla manutenzione e di una sua utilizzazione sostenibile. Esistono esperienze pilota in Italia o amministrazioni locali che stanno investendo nello sfruttamento di energia da biomasse? Esistono in Italia delle realizzazioni di impianti di teleriscaldamento e cogenerazione mediante combustione. Vi sono anche alcune aziende che producono impianti di gassificazione, ma la dimensione e la capitalizzazione sono ancora insufficienti ad affrontare il potenziale di produzione di biomassa su scala industriale. D’altra parte le amministrazioni pubbliche non hanno ancora maturato una politica di intervento. Le Regioni r appr esenterebbero, a mio parere, la dimensione istituzionale appropriata e sarebbe opportuno insistere in questa direzione per garantire una ottimizzazione delle reti di raccolta e impiego. in sospensione e in quello della fisica dell’atmosfera presso istituti nazionali e internazionali, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche e titolare di cinque brevetti internazionali. È stato Presidente della Provincia di Bologna (1995-2004) e parlamentare europeo dal 2004 al 2014 con il ruolo di vicepresidente della Commissione temporanea sul cambiamento climatico, membro della Commissione ambiente, sanità e sicurezza alimentare (ENVI) e presidente dell’Inter-gruppo “Sky and Space”, che si occupa anche di programmi satellitari di osservazione della Terra. Infine è stato membro del Gruppo di lavoro a livello interistituzionale (Consiglio, Commissione, Parlamento) sull’adattamento al cambiamento climatico. 1 Cfr A ggiornamenti Sociali (a cura di), «Le influenze reciproche tra pace, ambiente, sviluppo e diritti umani. Intervista a Grammenos Mastrojeni», in A ggiornamenti Sociali,1 (2016) 40-49 2 Cfr Tintori C., «Cambiamenti climatici. La partita inizia ora», in A ggiornamenti Sociali, 1 (2016) 13-16, e García J.I., «COP 21: il clima tra questioni economiche e contributi ecclesiali», ivi, 3, 198-207. 3 Cfr Vitullo M. – De Laurentis R. – * * * Federici S., «La contabilità del carbonio La fitodepurazione è un sistema na- contenuto nelle foreste italiane», in Silturale di depurazione delle acque di vae, 9 (2007) 91-104. scarico domestiche, agricole e talvolta industriali senza produzione di © FCSF – Aggiornamenti Sociali fanghi. Riproduce il principio di auottobre 2016 – pagg. 664-669 todepurazione tipico degli ambienti acquatici e delle zone umide. * * * Vittorio Prodi (Reggio Emilia,1937) è laureato in Fisica. Docente universitario e ricercatore nel campo della protezione dalle radiazioni e dalle polveri