Il giardino dei simboli Liturgia,teologia e arte nella cultura - FBK-Isr

Il giardino dei simboli
Liturgia,teologia e arte nella cultura del Cristianesimo
Primo Anno: Mistero di Cristo, mistero dell’uomo
IL MISTERO DEL NATALE
Simboli, liturgia, arte per l’Incarnazione
Il mistero del tempo
“Verrò domani”. “Ci rivedremo il prossimo mese”. “L’estate ventura faremo le
vacanze assieme”. “Al tempo della vendemmia torneremo in campagna”. Quante
volte ci ritroviamo ad usare queste espressioni. Ieri, oggi domani, ore, giorni, notti,
mesi, stagioni, anni. Il nostro parlare quotidiano è pieno di questi termini che sono
“misura” del tempo e, dunque, della nostra vita. Dobbiamo considerare come, all’uso
dei termini non si collega un’altrettanta profonda “intelligenza” dei contenuti e
questo appare evidente se proviamo, su due piedi, a dare una definizione del
“tempo”.
Il “tempo” cosmico è una delle realtà più misteriose ed affascinanti davanti a cui
l’uomo si trovi a riflettere. Infatti, le scienze fisiche e matematiche, l’astronomia e
l’astrofisica, gli strumenti di misurazione, le stessa esperienza umana, che è ciò che
più conta, si accordano nel constatare che ogni oggetto esistente, e in specie la vita
umana, procede secondo momenti -che sommati- formano il “tempo”, ma nessun
oggetto, nessun essere vivente può tornare indietro e vivere nel passato; e se questo
si può fare con il pensiero e la mente con la mente, non si tratta di vero ritorno ad
esistere “ieri”.
Un esempio classico lo troviamo in una celebre affermazione di s. Agostino che: del
tempo diceva, so tutto, solo che se debbo parlarne, non so più nulla. Il che significa
che l’esperienza della vita temporale è un dato di fatto, ma essa non è
concettualizzabile in forma comprensibile.
Il tempo come creatura
La Rivelazione biblica ha un concetto di tempo del tutto originale rispetto alle
culture antiche, e anche moderne. In una parola possiamo dire che, per la Rivelazione
biblica, il tempo è qualificato, esso conta molto. Infatti è creato da Dio non in modo
“indifferente”, come fosse una qualsiasi dimensione del creato, bensì è posto a
disposizione dell’uomo, nel senso che nello spazio-tempo creati l’uomo, immagine e
somiglianza di Dio, è posto per la sua realizzazione integrale.
Il tempo così è coniugato con lo spazio, il che indica la storia e le culture dei popoli;
ad esempio non è indifferente che Gesù sia nato verso il 7 a.C., sotto l’imperatore
Augusto, in Palestina, nella cultura del popolo ebraico. Il tempo come creatura
dunque è in favore, non contro l’uomo.
Dio Sovrano del tempo per gli uomini
Il libro della Genesi afferma che “in principio” (dunque nel tempo) Dio crea; crea
tutto, e da ultimo crea l’uomo e lo pone “nel Giardino” (nello spazio) affinché vi si
sviluppi (cfr. Gen 1,1 - 2,4a; 2,4b-23). Gli svela e propone il suo Disegno di bene
infinito: un Progetto, uno Sviluppo, un Fine che è anche la fine. Ossia, tutta la storia
della salvezza, l’A.T., Cristo, la Vita eterna. Il procedimento è lineare, in crescita, in
salita illimitata.
Gli uomini così possono, anzi debbono, percorrere questo itinerario spaziale e
temporale solo procedendo “in avanti”. Non possono tornare indietro. Il greco
“nostalgia” significa “dolore per il (mancato) ritorno”. La Rivelazione non conosce
nostalgia: non si torna indietro al Giardino di Eden, il tempo non è reversibile, e il
luogo non è più visitabile di nuovo. Perché Dio prepara per gli uomini che ama la
Dimora al di là di ogni aspettativa, come dice s. Paolo (si vedano testi difficili ma
decisivi come 1 Cor 2,6-10; Rom 8,16-25). È la Rivelazione dello Spirito Santo.
Nonostante questo, il problema del tempo resta uno degli ostacoli più difficili per i
filosofi, ma anche per i letterati.
Il tempo ostile
La Rivelazione biblica è ambientata tra culture dei popoli antichi, tutti i quali si
facevano rappresentazioni diverse del tempo. Quella dell’Oriente antico, (babilonese,
egiziano, cananeo) era di tipo naturista. La concezione era del cosmo non creato (la
materia eterna), in cui si succedevano le stagioni (agricoltura, fecondità del bestiame)
in cicli che sembravano immutabili, inevitabili, “eterni”, nell’avvicendarsi del tempo
solare e lunare con i loro fenomeni visibili. Il tempo non aveva realmente un
significato. Era concepito come una divinità, Kronos, che divorava i suoi figli via via
generati (i secoli divorano i secoli).
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D’altra parte, i Greci, la cui civiltà era la più raffinata, concepivano la decadenza del
tempo, dall’“età dell’oro” mitologica all’attuale età di ferro, o di piombo, o di argilla,
insomma, sempre peggio. Il tempo era sentito come nemico, era il “fato” inesorabile
e divoratore. Il pessimismo verso il tempo era la situazione prevalente. Basterà qui
leggere i Lirici greci. il loro rimpianto della gioventù che passa e della vecchiaia
“informe” che porta irreversibilmente alla scomparsa, alla vita nell’Ade, il luogo
delle ombre eterne. Perciò il pessimismo platonico postula come una liberazione
l’uscita dall’età terrena, affinché l’anima isolata dal corpo possa risalire a
confondersi nell’Uno, che è indistinto e non personale.
Altrettanto, e forse peggio, si può dire delle culture e religioni dell’Oriente, antico e
moderno. Il pessimismo cosmico ed umano vi domina. Tutto ruota all’infinito, in
eterno, con gli stessi anni ed epoche e mali. E’ la disperazione.
Il tempo di Dio
La Scrittura parla della “pienezza del tempo” (Gal 4,4), in cui si compie la salvezza
in Cristo inviato dal Padre con lo Spirito Santo. Da lì il tempo “cresce”, si dilata
verso la realizzazione illimitata degli uomini fedeli, acquista sempre più senso,
l’ottimismo cristiano è una realtà. I cristiani della generazione apostolica hanno
gridato, come in un’iscrizione lapidaria: “Gesù Cristo! Ieri ed Oggi Il medesimo per
il secolo” (Eb 13,8), ossia: Egli è il “nostro” tempo, è il nostro Ieri, il nostro Oggi,
Egli l’Eterno.
Allora assume tutto il suo senso il “tempo dell’A.T.”, quello “della Chiesa” - e
l’Eternità stessa di Dio: in Cristo Risorto una volta per sempre, su cui il tempo, la
morte, il dolore non hanno più nessuna presa. Assume tutto il suo senso il tempo di
ciascuno di noi, “lo spazio di vera ed efficace conversione del cuore” verso se stessi,
il prossimo, il mondo (lo spazio-tempo adesso compresi bene), Dio.
Redimere il tempo
Tutti, ciascuno di noi, abbiamo assegnato un “tempo”. S. Paolo dice di “redimerlo”,
poiché nell’economia del peccato che attanaglia tutti gli uomini esso è “perverso”: Ef
5,16. Significa, accettare di essere santificati finché si ha tempo, e questo, a sua volta
significa svolgere tutto il compito temporale che ci è assegnato, e che si configura
come “la fede posta in azione mediante la carità” (Gal 5,6).
Il tempo non è contro gli uomini, è disposto da Dio in loro esclusivo favore
L’Anno liturgico
“È già passato un altro anno!”. “I giorni e le settimane non si contano più”.
Affermazioni frequenti che nascono dal cuore di chi, “adulto”, avverte il rapido
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fuggire dei giorni. L’esperienza del tempo, infatti, non si limita al computo
matematico dato dallo studio del movimento degli astri e registrato, con grande
precisione, dai nostri orologi e cronometri. Esiste, anche, una sorta di “tempo
interiore”, un’esperienza personale del tempo che è diversa da quella delle ore “tutte
uguali” dell’orologio. Per tutti è comune l’esperienza del tempo “lunghissimo”
nell’infanzia e della sua rapidità travolgente, e sempre avvertita, mentre le
“primavere” si assommano sulle spalle.
Ma c’è un’altra percezione del tempo da parte dell’uomo che vive in sintonia con la
natura e che sia ancora capace di “stupore”, in questo caso ogni “ora” del giorno
assume un suo significato, un suo valore, un suo “colore”. In chi è capace di stupore,
infatti, è spontaneo che la luce del mattino richiami e rifletta il dono della nascita, e
l’ombra della sera e il buio della notte porti a considerare l’ineluttabile tramonto e
provvisorietà di tutto, mentre la forza del meriggio con la sua luce e calore appaia
segno di “stabilità” e quasi immobilità del giorno.
La Comunità dei discepoli di Cristo ha una sua propria misurazione del tempo:
l’Anno liturgico o Anno cristiano, basata su Colui che: “quando venne la pienezza
dei tempi nacque da donna, nacque sotto la legge per riscattare quanti erano sotto
la legge” (Gal 4,4). Cristo venne a “dare compimento” a quanto era la fede e la vita
d’Israele, comprese dunque anche le feste e i tempi liturgici. I cristiani hanno così
come riferimento della loro vita e della loro fede gli eventi, i fatti e le parole della
vita di Gesù. Il tempo liturgico cristiano non è più figura e profezia di quello che
dovrà trovare compimento, poiché il compimento è già avvenuto nella pienezza
dell’Evento della Morte e Resurrezione del Signore. Tutto sarà, dunque, la
proclamazione di quanto, in Cristo, si è compiuto una volta per sempre.
Il tempo liturgico cristiano appartiene all’ultima tappa della storia della salvezza, ed
è, come ogni realtà liturgica della Chiesa, un mezzo per rendere reale ed operante la
salvezza nella storia. Il papa Pio XII nell’enciclica Mediator Dei, nel 1947, dava
dell’Anno liturgico questa definizione: “Non è il susseguirsi di pii ricordi , ma è
Cristo che vive nel temp”.
Il tempo d’Avvento.
Quando l’autunno si inoltra, gli spot televisivi e le inserzioni pubblicitarie si
rivestono del colore e della “poesia” del Natale. Gli operatori commerciali si
preparano al giorno, che nel corso dell’anno, più invita alle spese ed ai regali è
costatazione lampante che il consumismo si è appropriato di una delle feste più care
al popolo cristiano.
Anche nelle chiese, concluso l’Anno liturgico con la festa di Cristo Re Crocefisso e
Risorto, si avverte un’aria nuova. Il colore verde delle vesti liturgiche lascia posto al
viola nelle quattro Domeniche che precedono il Natale.
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Inizia il tempo di Avvento, che popolarmente è detto tempo di preparazione al
Natale. Ma è solo questo?
Se consultiamo il Dizionario vediamo che la parola “avvento” deriva dal latino e
significa venuta - manifestazione. Il significato di “avvento” è più ricco e vasto del
semplice termine popolare attribuito a questo tempo liturgico come “attesa” o
“preparazione”. A stretto rigore del termine, come proposto dal vocabolario,
l’Avvento prima di essere tempo di preparazione alla festa della Natività del Signore
è celebrazione, in quattro settimane, della Venuta gloriosa del Signore. E la conferma
più autorevole in questo senso è offerta dalla Parola di Dio proclamata nelle quattro
Domeniche.
Un veloce esame ne mostra il valore nei tre Cicli liturgici A, B, e C.
 La I Domenica ha come tema la vigilanza; l’Evangelo presenta infatti la
Venuta ultima del Signore.
 Le Domeniche II e III hanno come figura centrale Giovanni Battista, l’araldo
che scuote dalla pigrizia chiamando a conversione per essere pronti ad
accogliere colui che ha “in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per
raccogliere il frumento nel granaio”.
 Infine la IV Domenica, che dispone alla “preparazione” del Natale ha come
figura centrale Maria, Madre del Signore.
Da questo rapido sommario della Parola di Dio, che attende di essere approfondito,
appare evidente come il cristiano sia invitato a vivere questo tempo, con un impegno
che va ben oltre la semplice “preparazione” del 25 dicembre.
Compagni di viaggio nel tempo di Avvento
Visto secondo questa prospettiva il tempo d’Avvento si mostra come “modello” del
tempo umano, vissuto nella costruzione del Regno e nella vigilanza per la venuta del
Signore. La liturgia della Parola presenta tre figure che accompagnano lungo la
strada: Isaia, Giovanni Battista, la Vergine Maria.
Isaia, è il profeta della Santità di Dio, il suo libro è il filo conduttore del tempo
d’Avvento; è il cantore della speranza, che conforta il popolo nei momenti difficili,
l’annunciatore del tempo messianico, nel quale tutti i popoli saliranno a
Gerusalemme. È il testimone della salvezza di Dio. Lui insegnail canto della
speranza e della lode alla Santità di Dio. Canto che deve accompagnare in tutta la
vita.
La seconda figura è Giovanni Battista, l’austero precursore di Gesù, la “voce” che
grida nel deserto. Egli è l’ultimo e il più grande dei profeti, l’amico dello Sposo, è il
“dono” di Dio mandato a preparare la strada al Signore ed a portare “la conoscenza
della salvezza”. Deve fare posto al Messia; il suo compito e impegno è che il Messia
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cresca, mentre lui di “diminuisce” davanti a Lui. Il Battista insegna il servizio umile
e sincero, la verità austera, per essere “voci” che nel deserto di oggi annunciano la
salvezza.
La terza persona che accompagna l’itinerario di Avvento è Maria, la serva discreta e
pronta del Signore. Questo tempo liturgico è, infatti, il vero “mese di maggio”. È il
tempo della Vergine Figlia di Sion. In Lei si compiono le attese dei tempi. In Lei
l’esempio perfetto della fede e della speranza in Dio. La fede sconfinata nel Dio dei
Padri e nelle sue promesse, l’attesa vigilante, la piena docilità al Disegno divino.
Maria insegna il silenzio, la prontezza ad accogliere la Volontà del Signore e la
capacità a diventare dono.
Come celebrare il tempo d’Avvento
La consuetudine con queste figure aiuterà a trovare la maniera più autentica per
vivere l’Avvento, nell’attesa e nella speranza.
Nell’attesa: “Dite agli sfiduciati: ecco viene il vostro Dio, viene a salvarvi”. Il
cristiano è l’uomo dell’attesa. La preghiera insistente della Comunità cristiana
primitiva era: “Marana thà”, “Signore nostro, vieni!”. E questo è anche
l’insegnamento della preghiera del Signore: “Venga il tuo regno”. Dunque: “Vigilate,
vegliate, state pronti!”.
L’Avvento che si celebra ogni anno è dunque “mistero” di Presenza, Venuta, attesa.
Il Cristo che noi celebriamo, fu atteso nei tempi dai Padri, è venuto “Nella pienezza
dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4).
Egli venne “per noi uomini e per la nostra salvezza” (Profess. di fede). Nella storia,
in un tempo preciso, in una regione del mondo, in una cultura definita, è venuto
l’Emmanuele - Con-noi-Dio - (cfr Mt 1,23-24). Egli è dunque “Colui-che-viene”.
Venne come vero Uomo tra gli uomini per adempiere, nella sua Morte e
Resurrezione, il Disegno del Padre.
Viene sempre: è una promessa! Dal tempo che va dalla Pentecoste alla gloriosa
Venuta finale Egli viene, è Presente, quando due o tre stanno radunati nel suo Nome
e lo invocano nello Spirito (Mt 18,19-20). Questa è la preghiera incessante della
Chiesa, Sposa sua: “Vieni Signore” (Ap 22,17).
Resta sempre mediante lo Spirito: Ricordiamo la preghiera dei discepoli di Emmaus:
“Resta con noi, Signore”. Nella sua vita terrena, in Gesù, era la Pienezza dello
Spirito e, nella Resurrezione Egli lo dona ai discepoli perché “resti” con loro. Lo
Spirito Santo che “resta” con i discepoli, rende presente il Signore. Egli rimane
sempre con i suoi, vivo e operante, nella Parola, nell’eucarestia e nella Chiesa suo
corpo.
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Verrà: è la promessa certa di cui, “vigilanti nell’attesa ed esultanti nella lode”,
attendiamo il compimento. Per questo il richiamo, forte e preciso, di questo tempo
liturgico: “Vigliate - State pronti”.
Vigilare perché in ogni momento Egli può venire; essere pronti per l’incontro
definitivo con Lui; operare instancabilmente per l’edificazione del suo Regno. Il
cristiano sapiente vive consapevole della sua “fine”, ma opera sicuro della
“pienezza” come se non dovesse morire mai.
Il Tempo di Avvento, dunque, non è “preparazione” ad una festa annuale bensì è
dono di “vita” per anticipare e garantire per sempre la Festa dell’eterno incontro. È il
formidabile Tempo della speranza cristiana, felice virtù che conduce a Dio legando
in fraterna comunione le vie degli uomini.
Il secondo modo di vivere l’Avvento è: nella speranza: “Ogni uomo vedrà la
salvezza del Signore”. Questo tempo liturgico è quanto mai “moderno” ed attuale. A
un mondo spaventato, pieno di paure e di incapacità a sperare il cristiano si deve
mostrare come uomo della speranza. La storia ha bisogno oggi di questa
provocazione. Ora la speranza cristiana non è quella di sognatori sciocchi che nella
fantasia costruiscono quanto non hanno nella realtà. È la speranza di quanto è già
presente e va crescendo secondo la promessa del Signore: “Il Regno di Dio è già tra
di voi”. Mentre si edifica il Regno, già lo si abitia, e quello che in germe è
contemplato lo si attende e speria.
Nella Liturgia, la Parola, annunciata un tempo ai Padri, si fa avvenimento per oggi e
apre all’avvenire. I cristiani diventano, per la famiglia umana, anelli di congiunzione
nella storia della salvezza rendendola, per la Misericordia di Dio, attuale e presente.
Il tempo di Avvento chiede ben altro stile che uno sterile sentimentalismo. Entrando
in questo tempo liturgico si entra nella storia. Il popolo di Dio si sente chiamato a
costruire il Regno e a obbedire al Signore, colmo di gioia prorompente e perfetta
come chi trova una perla mirabile o un tesoro prezioso.
Vigilanti nell’attesa ... esultanti nella lode
Spiritualità dell’Avvento a partire dai testi eucologici
Una delle esperienze, misteriosa e affascinante, dell’infanzia era accedere al solaio di
casa e passare ore a rovistare nei vecchi bauli, fra i mucchi di cianfrusaglie
conservate da generazioni. Tutte cose conservate perché...: “Non si sa mai.
Potrebbero tornare utili”. La ricerca era sempre fruttifera, mai si tornava a mani
vuote.
Del resto, Gesù stesso paragonò un giorno l’uomo saggio al padrone di casa che dai
suoi forzieri trae cose nuove e cose vecchie. Nei “forzieri” della Chiesa Madre nostra
e Sposa del Signore ci sono tanti tesori, vecchi e nuovi, trasmessi dalla fede dei
nostri padri e dalla vita dei credenti di oggi. Tante volte su di essi si depositano la
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polvere della dimenticanza e la faciloneria dei luoghi comuni. Si tralascia la gioia
avventurosa della ricerca per scoprire e riscoprire il cammino di ieri e di oggi.
Tra questi beni sono, spesso dimenticati e usati male, il Lezionario, perla
inestimabile, e il Messale, testimone della fede dell’Una-Santa.
Oggi, con lo spirito avventuroso di ragazzi che cercano il “tesoro” proviamo ad
addentrarci tra i testi che alimentano la preghiera della Chiesa nel tempo di Avvento
per liberare il nostro cuore e la nostra mente dalla ruggine dell’abitudine e la polvere
della dimenticanza e della genericità.
Se a bruciapelo ci chiedessero che cosa è l’Avvento molti di noi, probabilmente,
frugando fra le pieghe della memoria risponderebbero: “È il tempo della
preparazione al Natale”. Nient’altro. Si è vero, ma questa risposta è sufficiente?
Proviamo a cercare.
L’Anno liturgico è Cristo che vive nel tempo e la Chiesa facendo memoria dei
misteri della redenzione apre ai fedeli la ricchezza delle azioni salvifiche del suo
Signore, le rende come presenti a tutti i tempi perché i fedeli ne prendano contatto e
siano ripieni della grazia della salvezza.
Non ci basta dunque pensare che l’Avvento ci predisponga solo al pio ricordo della
nascita del Signore come fosse un Bimbo che ci attende nella celebrazione del
Natale.
La celebrazione Eucaristica che scandisce il tempo di Avvento e il giorno di Natale,
celebrazione piena del Mistero di Cristo Morto e Risorto, Signore della Gloria, ci
chiama a profonda attenzione.
Un po’ di storia
Sappiamo che già dal 336 la Chiesa celebra la festa del Natale e un’antica rubrica del
Cronografo Romano dice per il 25 dicembre: “Natale del Signore nostro Gesù Cristo
nella carne. Pasqua”. Dell’Avvento abbiamo notizie dal 4 secolo, notizie storiche
scarse e incerte che però caratterizzano questo tempo sia in una visione escatologica
sia come preparazione al Natale, troviamo elementi che riguardano una pratica
ascetica e altri di carattere più propriamente liturgico. Preparazione alla festa e
insieme attesa della Venuta finale. Si è discusso e ricercato sul significato originario
di questo tempo liturgico fra le due presentazioni di avvento natalizio e di avvento
finale. La parola definitiva ci viene dalla riforma liturgica operata dal Concilio
Vaticano II che ha voluto conservare i due aspetti di preparazione al Natale e attesa
della seconda venuta di Cristo Signore1.
. Norme universali sull’anno liturgico e il calendario: n.39 “Il tempo di avvento ha una doppia
caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del natale, in cui si ricorda la prima venuta
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Questo tempo liturgico, nella sua struttura, è tipico dell’Occidente. La Chiesa di
Oriente conosce solo una breve preparazione al Natale fatta di alcuni giorni.
L’Avvento è scandito da quattro domeniche (6 nella liturgia ambrosiana) e pur nella
sua unitarietà, segnata soprattutto dalla proclamazione delle Scritture, può essere
diviso in due periodi. Dalla prima Domenica al 16 dicembre è messo in risalto
l’aspetto escatologico, orientando i cristiani all’attesa della Venuta finale del Signore
della gloria.
Dal 17 al 24 dicembre i testi eucologici orientano alla preparazione del Natale. I due
Prefazi dell’Avvento esprimono con chiarezza le caratteristiche di questi due
momenti.
Quando verrà e busserà alla porta ci trovi vigilanti
Il termine “adventus” dell’antico vocabolario pagano richiama la realtà della Venuta,
ma indica anche la presenza. Celebrare il Natale non è un fittizio ritorno al passato,
quasi immaginando che il Messia-Salvatore non sia ancora venuto fra di noi. L’attesa
di oggi non è quella dell’antico Israele che aspettava il Messia. Egli è già venuto e la
salvezza da lui operata è attuale in ogni tempo. Egli, però, deve tornare e deve
compiersi la definitiva pienezza del Regno di Dio. L’Avvento storico è
comprensibile per il cristiano di oggi solo nella prospettiva della Venuta finale. La
manifestazione avvenuta “nella pienezza dei tempi” (Gal 4,4), esige l’attenzione alla
manifestazione finale. Così, celebrare l’umiltà della venuta nella fragilità della nostra
carne, è anticipo e profezia del Ritorno nella Gloria per il Giudizio finale.
In questo tempo liturgico tutta la storia umana deve essere riletta alla luce di Colui
che era che è, che viene e che deve tornare alla fine dei tempi. Così, iniziando questo
tempo santo, la Chiesa prega: “Il tuo aiuto, Signore, ci renda perseveranti nel bene
in attesa del Cristo, tuo Figlio; quando egli verrà e busserà alla porta ci trovi
vigilanti nella preghiera ed esultanti nella lode” (Colletta del primo lunedì).
E già nella prima Domenica la colletta: “O Dio, nostro Padre, suscita in noi la
volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci
chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”.
Il Prefazio primo, a sua volta dopo aver ricordato il primo avvento “nell’umiltà della
nostra natura umana” che ha portato a compimento “la promessa antica” dice:
“Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno
promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa”. L’Incarnazione è stata
del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo
spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi”. n.42 “Le ferie
dal 17 al 24 dicembre sono ordinate ad una più diretta preparazione al Natale del Signore”.
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l’incontro di Dio con l’umanità, un incontro che, data la nostra fragilità è
progressivo. L’attesa antica rimanda alla nostra attesa, ora, mentre vigilanti,
speriamo che nella sua seconda Venuta Cristo compia il nostro definitivo incontro
con Dio. La speranza di questo incontro non distoglie l’uomo dall’attenzione alla
storia ma lo obbliga a farsene carico nell’operosa vigilanza di costruttori di strade
nuove: “O Dio che in questo sacramento ci hai nutriti con il pane della vita,
insegnaci a valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni
del cielo” (Or. dopo la com. II martedì).
Celebrare l’Avvento è celebrare il Dio della speranza nella continua conversione
sostenuta dalla fiducia e dalla gioia. Nella luce di Colui che viene devono apparire le
opere della luce. E’ questo il tempo di destarsi dal sonno.
Concedi di celebrare con sincero amore il grande mistero dell’Incarnazione
Il secondo aspetto del tempo di Avvento è la preparazione a celebrare la Nascita
storica di Cristo Gesù. Evento che inaugura i tempi nuovi e rivela l’adempimento
delle promesse di Dio e il compimento della speranza degli uomini che devono farsi
operai nel cantiere di Dio: “Risveglia, o Dio, la fede del tuo popolo perché prepari le
vie del tuo unico Figlio...” (Coll. 2 giovedì).
Il ricordo della nascita storica del Salvatore richiama la memoria della Madre sua la
sempre Vergine Maria, lei e il modello dell’attesa silente e operosa, vigilante e
disponibile. Il tempo liturgico di avvento è come si diceva il vero “mese di maggio”
per la Chiesa. Tempo di contemplazione della Vergine figlia di Sion, immagine
purissima della Chiesa e di ogni credente vero. Così il 20 dicembre la Chiesa chiede:
“Fa che aderiamo umilmente al tuo volere, come la Vergine Maria si affidò alla tua
parola”: E il secondo Prefazio: “La Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con
ineffabile amore. ... Lo stesso Signore che ci invita a preparare il suo Natale ci trovi
vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode”. L’Incarnazione è anche la sorgente
della pace e del sollievo per l’umanità: “La tua venuta dia conforto e speranza, a
coloro che confidano nel tuo amore misericordioso” (Coll. 24 dic.).
Dunque tempo di gioia piena per la venuta e la liberazione che ha operato: “La
grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria. In lei, madre di tutti gli uomini, la
maternità, redenta dal peccato e dalla morte, si apre al dono della vita nuova”
(Prefazio II/A). Il peccato è vinto per sempre: “Dove abbondò la colpa sovrabbonda
la tua misericordia in Cristo nostro salvatore” (Prefazio II/A). La strada del
cristiano pure aspra e segnata dalla fatica è illuminata dalla serena speranza nella
fede operosa sorretta dalla divina Carità. Il cristiano è chiamato a ripercorrere il
cammino fra i monti della Giudea compiuto un giorno da Colei che è beata perché ha
creduto, sarà così partecipe della stessa gioia perché: “Beato chi accoglie la Parola e
la mette in pratica”.
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Ogni celebrazione liturgica non è sterile guardare indietro ma lancio nell’avvenire
del mondo. Ciò che celebriamo, già è, e insieme è profezia di ciò che verrà. Non c’è
oscurità nel destino dell’uomo, ma chiarezza d’amore di un Dio che attende e vuole
operosi e gioiosi, vigilanti nell’attesa. “Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui il
Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo
rivestito di potenza e splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il
mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora egli viene incontro a noi
in ogni uomo e in ogni tempo perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo
nell’amore la beata speranza del suo regno. Nell’attesa del suo ultimo avvento,
insieme agli angeli e ai santi, cantiamo unanimi l’inno della tua gloria” (Prefazio
I/A).
“Ecco la serva del Signore” (Lc 1,38)
Solennità dell’Immacolata Concezione
Luca narra l’Annunciazione (Lc 1,26-38) tenendo presente tutto il Disegno divino,
che si attua nella storia della salvezza fino all’incontro della Vergine di Nazareth con
l’Angelo del Signore. E’ una vicenda lunga, contrastata, dolorosa, attraverso la quale
tuttavia il Signore Onnipotente sa ricavare direzioni ed arrivi. All’origine di essa sta
la “tentazione” suprema del Serpente alla Vergine Eva, la Madre dei viventi; il
suadente consiglio è “diventare come Dio” per le sole proprie forze; l’effetto, è la
morte, oltre alla perdita catastrofica dei privilegi ricevuti nell’attimo beato della
creazione: e il maggiore danno all’uomo, è la deturpazione dell’“immagine e
somiglianza di Dio”.
Al culmine della vicenda di Dio con gli uomini, sta il Figlio di Dio nell’opera dello
Spirito Santo. Egli è il Salvatore e Redentore, il Signore Risorto, il Re messianico,
l’Unico Mediatore tra Dio e gli uomini. E’ il Capo e l’Origine degli uomini: dunque
è il Nuovo Adamo (Rom 5), che dona la vita dello Spirito ai suoi fratelli (1 Cor
15,45).
Ma il Nuovo Adamo ha bisogno della Nuova Eva. Non un’Eva stolta e superba e
fragile ed egoista. Bensì di un’Eva sapiente e umile e forte e donatrice di se stessa.
Non un’Eva che vuole diventare come Dio, non attendendo che Dio la faccia come sé
-ma solo per grazia!- , ossia che non vuole servire il suo Signore e Creatore, il suo
Tutto, non vuole ascoltare la Parola divina, il dialogo d’amore con Lui. Bensì,
invece, un’Eva Nuova che attende tutto dal suo Signore, dal quale è riempita dalla
grazia dello Spirito Santo, che ascolta la Parola potente dell’Angelo, ed accetta la
Potenza dello Spirito per concepire il Figlio di Dio, donare dunque il Figlio a Dio, ed
insieme a tutti gli uomini.
Maria, l’umile Vergine di Nazaret, visitata dall’Angelo del Signore, e che accetta
questa divina Visita, ricompone in se stessa la perfetta “immagine e somiglianza di
Dio”, fino allora orribilmente deturpata negli uomini, in quella lunga storia
contessuta di opere di Caino fino alle opere di Erode il tiranno. Certo, il Signore
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Misericordioso aveva sempre intrattenuto il suo dialogo con gli uomini che aveva
resi degni: Enok, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè, David, i Profeti, i
sapienti, i giusti dell’Antico Testamento, i “Padri nostri”. E proprio per adempiere la
Promessa rinnovata, quando giunge “la pienezza dei tempi” (Gal 4,4-6) invia il
Figlio suo sulla terra. E gli dona la Madre. Cosi’ che, questo Figlio di Dio, che del
Padre è Icona, Sapienza, Potenza (1 Cor 1,30) e Verbo (Gv 1,1-18), nasce in eterno
dal Padre nello Spirito e senza madre, e nasce nel tempo della storia nello Spirito
dalla Madre senza padre umano.
Questo prodigio fu annunciato nei secoli, dalla voce del grande Isaia: “Ecco, la
Vergine concepisce e partorisce il Figlio, e gli porrà nome Immanuel, ‘Con-noiDio’” (Is 7,14).
Ed è attuato dalla potenza dello Spirito: “Gioisci, Piena di Grazia, il Signore (sta)
con te (= Immanuel: Maria è la prima che riceve Dio nella sua esistenza totale e per
sempre)” (Lc 1,28) – “Ecco, concepirai nel seno e partorirai il Figlio, e chiamerai il
nome suo ‘Gesu’ (= la salvezza è il Signore)” (v.30) – “Lo Spirito Santo verrà a
stare su te: perciò il Nato sara’ chiamato Santo , il Figlio di Dio” (v.35).
Ci si e’ chiesto, invano, se Maria abbia compreso tutto delle parole dell’Angelo,
dunque tutto del Disegno divino che si riserva la Vergine per i suoi fini. Ossia,
facciamo di Maria una specie di teologo razionale, che indaga, scruta ed inquadra in
sintesi. Maria però ha vissuto la storia della salvezza, ha assistito ai suoi momenti
decisivi, fino alla Croce. E “conservava nel suo cuore meditando” tutto questo,
prezioso Archivio per la Chiesa; cfr Lc 2,19 e 51. Così possiamo comprendere la sua
risposta.
All’“Ecco” dell’Angelo, che indica il prodigio profetico divino, la Vergine risponde
con il suo “Ecco” umano, che accetta quel prodigio: “Ecco la Serva del Signore! Sia
fatto a me secondo la Parola tua!” (Lc 1,38). Da quel momento è la Theotokos, la
Madre di Dio, il titolo vero e primario di Maria.
La Scrittura, i Padri, la liturgia rivelano, spiegano e celebrano questa meraviglia: la
Verginità diventa feconda; Dio diventa Uomo vero; Adamo ed Eva sono salvati
nell’Adamo Nuovo e nell’Eva Ultima; l’immagine e somiglianza di Dio sono
recuperate; lo Spirito Santo sta in azione in modo definitivo; la colpa antica è abolita;
il Disegno divino si attua; il giardino antico dove avvenne il peccato diventa il
Giardino nuovo dove si inalbera e trionfa l’Albero nuovo, la Croce; la porta del
paradiso è finalmente spalancata; Dio ha la sua famiglia dei figli suoi, che aderiscono
nello Spirito Santo al Figlio in forza dell’iniziazione cristiana; Cristo Risorto ha
molti fratelli di cui è Primogenito (Rom 8,28-30); il Convito è inaugurato nella gioia;
la gioia diventa la dimensione cristiana vera –“Gioisci, Maria - Gioite, di nuovo
parlo: gioite sempre nel Signore” (Fil 4,4); la carità diventa la cultura del mondo
nuovo.
L’Annunciazione e’ dunque apertura permanente sulla vita cristiana.
12
I GIORNI DELLO STUPORE
Un po’ di storia
Sappiamo che almeno dal 336 la Chiesa celebra la festa del Natale e un’antica
rubrica del Cronografo Romano, l’antenato dei nostri calendari, annota per il 25
dicembre: “Natale del Signore nostro Gesù Cristo nella carne. Pasqua”. Del tempo
di Avvento, come dicevamo, si hanno notizie dal IV secolo, notizie storiche scarse e
incerte, che però caratterizzano questo Tempo sia in una visione escatologica, sia
come preparazione al Natale, troviamo elementi che riguardano una pratica ascetica
e altri di carattere più propriamente liturgico.
Preparazione alla Festa e insieme attesa della Venuta finale. Si è discusso e ricercato
sul significato originario di questo Tempo liturgico fra le due presentazioni di
Avvento natalizio e di Avvento finale. La parola definitiva ci viene dalla riforma
liturgica operata dal Concilio Vaticano II che ha voluto conservare i due aspetti di
preparazione al Natale e attesa della seconda venuta di Cristo Signore 2.
Che importanza poteva mai avere l’annotazione dell’evangelista Luca che Zaccaria
era sacerdote della classe di Abia, come afferma nel capitolo primo del suo Vangelo
(1,5), eppure tale annotazione, che a prima vista può apparire semplicemente una
curiosità di passaggio è diventata di grande rilevanza per gli studiosi al fine di fissare
la data del Natale di Cristo.
Si era sempre pensato, ritenuto e insegnato che nel IV secolo si fosse operato la
sostituzione della festa pagana del Natale del sole invitto con la celebrazione della
nascita di Cristo “Sole di giustizia” che sorge “dall’Alto” (cfr Lc 1,78).
. Norme universali sull’anno liturgico e il calendario: n.39 “Il tempo di avvento ha una doppia caratteristica: è tempo
di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e
contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta
del Cristo alla fine dei tempi”. n.42 “Le ferie dal 17 al 24 dicembre sono ordinate ad una più diretta preparazione al
Natale del Signore”.
2
13
In realtà da qualche anno gli studiosi pongono in serio dubbio questa posizione che
sembrava ormai assodata e accettata tranquillamente e si propende a ritenere che la
data del 25 dicembre non sia esito di una festa di sostituzione, quanto piuttosto data
storica. Questo appare da studi accurati compiti su quello che è chiamato il “Salterio
di Pietro”.
Un professore, Antonio Ammassari, ha studiato accuratamente le antiche Antifone
liturgiche del “Salterio di Pietro” e dallo studio di queste Antifone e dall’uso dei
Salmi ha potuto stabilire la collocazione fondata di alcune date. Tra queste appunto
la data del Natale che, ormai senza porre dubbi, si riteneva fosse semplicemente data
convenzionale che sostituiva l’antica festa dedicata al Sole invitto, il dio Mitra, festa
legata al solstizio di inverno, allorché il sole giunto al suo minimo apparire, riprende
vigore e forza e la luce torna a prevalere sull’ombra della notte.
In realtà si deve sottolineare la grande attenzione con cui Luca indica le date storiche
nel suo Evangelo, con cura infatti, cita l’editto di Cesare Augusto, per il lungo
censimento di Quirino, circa nel 7-6 a.C, nel corso del quale avvenne la nascita del
Signore (Lc 2,1-2); inoltre rimanda all’anno 15º di Tiberio Cesare circa il 27-28 d.C.
allorché Giovanni Battista diede inizio alla sua predicazione per “preparare la
strada” a Colui che deve venire (Lc 3,1); Luca inoltre annota che lo stesso Gesù
aveva cominciato il suo ministero, dopo il battesimo al Giordano, scrivendo nel suo
Vangelo: “Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni” (Lc
3;23), di fatto avendo circa 33-34 anni.
Secondo la suggestiva narrazione evangelica l’angelo Gabriele, sei mesi prima
dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della celebrazione del
sacrificio quotidiano, aveva annunciato nel santuario all’anziano sacerdote Zaccaria
che la sua sposa Elisabetta, sterile e anziana, avrebbe concepito un figlio destinato a
preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1,5-25).
L’evangelista Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che
rimanda a un dato che era noto a tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla
classe sacerdotale di Abia (Lc 1,5), e quando gli appare l’angelo Gabriele “svolgeva
le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe” (Lc
1,8).
Dagli studi del prof Ammassari risulta la classe di Abia serviva nel Tempio due volte
all’anno, dall’8 al 14 del 3° mese e dal 24 al 30 dell’8° mese.
La nascita di Giovanni Battista, fissata il 24 giugno dal Messale Romano, che
concorda con la tradizione orientale, fa ritenere che l’incontro con l’angelo avvenne
nel turno 24-30 dell’8° mese3.
3
Per approfondire si veda: A. AMMASSARI, Alle origini del Calendario natalizio, in “Euntes Docete” 45 (1992) pp. 1116; T: FEDERICI, 24 giugno, 23 settembre, 25 dicembre: date storiche, in “L’Osservatore Romano” 24 dicembre 1998; V.
MESSORI, Gesù nacque davvero quel 25 dicembre, in “Il Corriere della Sera” 9.7.2003.
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Lo stupore della Sposa: le Antifone “O”
Dal 17 al 23 dicembre, le sette antifone che accompagnano al Vespro il cantico del
Magnificat costituiscono una serie chiamata “Antifone maggiori” o Antifone “O”.
Infatti, ognuna di esse si inizia con un’invocazione -“O”- rivolta al Signore Gesù.
Questi sette splendidi testi risalgono al tempo del papa Gregorio Magno (600ca).
Esse offrono una ricchissima e profonda teologia. Leggendole nella loro lingua
originale, il latino, dopo la “O” introduttiva la prima lettera compone un acrostico,
nella lettura “a rovescio”, come tra poco vedremo.
Le “Antifone maggiori”, offrono un tocco sapiente e magistrale. Celebrando il
Signore nei “Titoli” che gli competono, accendono la fede, sostengono la speranza e
sono centrate sulla carità del Signore verso l’umanità.
17 dicembre
O Sapienza,
che esci dalla bocca dell’Altissimo,
ti estendi ai confini del mondo,
e tutto disponi con soavità e con forza:
vieni, insegnaci la via della saggezza.
L’AT presentava una figura mirabile, che personificava la divina Sapienza,
Già verso l’anno 200 antichi testi identificano la figura profetica della Sapienza con
Gesù: Sapienza uscita dalla bocca dell’Altissimo. Sapienza creatrice. Sapienza
illuminante. Sapienza che convita al banchetto della festa senza fine.
Il termine sapienza ha origine nel verbo “sapere” ossia: avere gusto, avere sapore
non a caso la Sapienza invitando tutti al suo banchetto conclude dicendo:
“camminate nella via dell’intelligenza” (Pr 9,6 b).
Seguire la Sapienza è camminare sulla via dell’intelligenza e sulla via della
prudenza. Questa antifona mostra il Verbo uscito dalla bocca dell’Altissimo e che si
estende ai confini del mondo e lo invoca affinché si degni di insegnare la via della
saggezza. Il peccato aveva cancellato dalla terra la Sapienza, e la povertà della storia
porta ancora a soffocarla e ad allontanarla, ecco dunque l’invocazione: “vieni,
insegnaci la via della saggezza”.
18 dicembre
O Signore,
guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto,
e sul monte Sinai gli hai dato la legge:
vieni a liberarci con braccio potente.
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O Signore! Il titolo che risuona nella seconda antifona è il Nome che l’Eterno rivelò
al suo servo Mosè, manifestandosi a lui nel Rovereto, che ardeva e non si consumava
e chiamandolo ad essere guida, condottiero del popolo, dalla schiavitù del faraone al
servizio libero del Dio dei Padri.
“O Signore, Guida della casa d’Israele”. Sappiamo bene come una delle figure più
care, con cui Dio si manifesta nell’antica alleanza, è quella del Pastore, il Pastore che
si pone davanti al suo gregge per essere pronto, Lui, a farsi carico dei pericoli che
possono incombere.
Pastore, è il Dio di Israele, che chiama Mosè ad essere tra la sua gente, segno della
sua cura, del suo divino essere pastore, ma sappiamo bene che Mosè, pur uomo di
grandezza gigantesca, fu nei suoi giorni solo “figura” di Colui che doveva venire.
Ben altro infatti è il Pastore, ben altra la Legge da offrire.
Quel Nome sconosciuto, che fu rivelato nel rovereto ardente a Mosè, è il nome
Benedetto che può sgorgare dalle labbra, nell’invocazione, affinché Egli adempiendo
ancora le sue promesse, venga a liberare l’uomo con braccio potente.
19 dicembre
O Radice di Iesse,
che ti innalzi come segno per i popoli:
tacciono davanti a te i re della terra,
e le nazioni t’invocano:
vieni a liberarci, non tardare.
È chiaro riferimento al re Davide, figlio di Iesse, immagine del futuro Messia.
L’interpretazione profetica della figura di Davide è fondata sulle parole di Isaia: “In
quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli” (Is 11,10). Davide fu
il re che unì in un solo regno tutte le tribù d’Israele, quelle del nord e quelle del sud.
Altrettanto farà il Messia, promesso e atteso, di tutte le nazioni della terra farà un
solo grande popolo. Le potenze umane cadranno, ma all’umile Bambino di
Betlemme, all’Uomo della Croce, sarà dato in eterno ogni onore e gloria (cfr. Ap
5,12).
Partecipi della sua regalità, quindi liberi, saranno quanti lo avranno seguito sulla via
della vita donata per amore, Lui, il Germoglio di Iesse, il Figlio di Davide, l’unico
Re, che non è venuto per dominare né per essere servito: “ma per servire e dare la
sua vita in riscatto per molti” (cfr. Mt 20,25-28).
20 dicembre
O Chiave di Davide,
scettro della casa d’Israele,
che apri, e nessuno può chiudere,
chiudi, e nessuno può aprire:
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vieni, libera l’uomo prigioniero,
che giace nelle tenebre e nell'ombra di morte.
Il profeta Isaia aveva annunciato: “porrò la Chiave della casa di Davide sopra le sue
spalle, aprirà e non ci sarà chi chiuda, chiuderà e non ci sarà chi apre”.
La splendida profezia che alludeva al maestro del palazzo del re è annuncio mirabile
di Colui che doveva venire e che reca sulle sue spalle la vera chiave quella che apre
le porte dell’eternità.
La liturgia serena del Natale si colora così dell’austera realtà della Passione del
Signore.
La chiave che il maestro di palazzo portava come segno del suo potere appoggiata
alla sua spalla è figura della Croce che Cristo porterà su di sé, vera Chiave che apre
le porte, irrimediabilmente chiuse dal peccato d’Adamo.
La Croce rifulge, vera Chiave e Scettro regale di Colui che entra nella storia per
liberare quanti stanno nell’ombra della morte. I figli di Adamo infatti a causa del loro
peccato stavano prostrati nelle tenebre e nell’ombra della morte. L’Inviato di Dio
viene per guidarli fuori da quella triste terribile realtà.
21 dicembre
O Astro che sorgi,
splendore della luce eterna,
sole di giustizia:
vieni, illumina chi giace nelle tenebre
e nell’ombra di morte.
Il 21 dicembre, è per gli abitanti dell’emisfero Nord della terra, il giorno del solstizio
d’inverno. Il giorno più breve dell’anno in cui la notte sembra inesorabilmente
prevalere e inghiottire la luce del sole.
Ma da questo giorno, la luce torna a crescere e il sole via via, riprende vigore. È
significativo che proprio in questo giorno, la Chiesa celebri il Signore con il titolo di:
“Oriente”, “O Astro che sorgi”. A lui che ha detto: “Io sono la luce del mondo, chi
segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Anche l’evangelista Giovanni iniziando il suo Evangelo celebra il Verbo di Dio che
si fa Carne come “luce che splende nelle tenebre”, e l’Evangelista annota inoltre la
terribile possibilità, sempre ricorrente: “Le tenebre non l’hanno accolta”.
Ogni mattina la Chiesa nelle Lodi si rivolge al Signore cantando: “verrà a visitarci
dall’Alto, un sole che sorge”.
22 dicembre
O Re delle genti,
atteso da tutte le nazioni,
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pietra angolare che riunisci i popoli in uno,
vieni, e salva l'uomo che hai formato dalla terra.
Penultima nota che celebra lo splendore di Colui che viene. Lo abbiamo visto:
Sapienza, Signore, Radice, Chiave di Davide, Astro che sorgi e ora: Re delle genti.
l’Atteso da tutte le nazioni. È strana, secondo la visuale umana, la regalità di Colui
che viene: nasce in un ricovero di bestiame, conduce la sua vita nella semplicità
casalinga in un piccolo borgo sconosciuto, adempie al suo ministero di
Evangelizzatore non avendo “neppure una pietra dove posare il capo”, agli occhi del
mondo la sua vicenda sembra concludersi mentre è innalzato sull’orrendo patibolo
della Croce. Strana regalità davvero.
La fragile sapienza umana se non si lascia illuminare dall’insondabile Mistero di Dio
e dallo Spirito Santo amore, difficilmente può comprendere tale abisso di
benevolenza e di condiscendenza divina.
Nella grotta di Betlemme quel Bambino fu riconosciuto dai pastori e fu adorato dai
Magi che offrono in dono oro, incenso e mirra. Doni simbolici che dicono la regalità
di quel Bimbo nel segno dell’oro; la dignità sacerdotale, nel dono dell’incenso;
l’umanità, assunta nella totale fragilità fino alla morte, nel segno della mirra.
Anche nel momento supremo della fragilità, quando il Cristo penderà dalla Croce nel
silenzio della morte, sarà riconosciuto da un pagano e da questi celebrato nella
pienezza della sua dignità: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”. La regalità del
Cristo Signore è quella del Pastore che si pone alla testa gregge, per condurlo e
preservarlo da ogni pericolo.
23 dicembre
O Emmanuele,
nostro re e legislatore,
speranza e salvezza dei popoli:
vieni a salvarci, o Signore nostro Dio.
Settimo, ultimo titolo, che tutti riassume e introduce al giorno santissimo del Natale
di Cristo Signore. Per sette sere, la Chiesa, ha composto una mirabile litania che
trova il suo esito nel titolo più impensabile e irraggiungibile per la mente umana.
Poiché Dio è per essenza il “Santo”, cioè “il Totalmente Altro”, quale creatura
avrebbe potuto dire che il suo Nome è “Emmanuele”, cioè “Con-Noi-Dio”?
Solo poche ore separano ormai dal rivivere, nella memoria, quella notte di luce in cui
gli angeli cantarono a rudi pastori che vegliavano le greggi fuori della città, gente
povera e isolata: “Gloria a Dio nell’alto e in terra pace agli uomini da lui amati”.
Quel canto rivelava la condiscendenza di Dio per l’uomo, annunciando che Colui che
per Natura era: Inarrivabile, Irraggiungibile, Inconoscibile si manifestava quale il
“Con-Noi-Dio”. Tanto vicino da essere “confuso” come Uomo tra gli uomini.
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Quando l’Eterno rivelò il suo Nome a Mosè, lo abbiamo visto nella seconda antifona,
disse: Adonai, il Signore, Io Sono. Ora, giunta “la pienezza del tempo” quel Nome
trova il culmine della rivelazione: “Con-Voi”.
Nell’Evangelo di Matteo, le ultime parole che il Signore rivolge ai discepoli prima di
“essere sottratto alla loro vista” sono: “Ecco, Io Sono con Voi sino alla fine del
mondo”. Dio in questo modo si fa “prossimo” all’uomo. Non teme di contaminarsi
dell’umana povertà
Le profezie trovano il loro mirabile compimento. In questo nome, che conclude la
serie dei sette, si rivela la sconfinata carità e misericordia di Dio. Lui il Santo, il
totalmente Altro si è fatto nel suo Verbo uno di noi: il Con Noi Dio.
A Lui l’atteso dalle genti, il Salvatore, è rivolta l’invocazione e la supplica: “Vieni a
salvarci, o Signore Dio nostro”.
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O Sapientia
O Adonai
O Radix Iesse
O Clavis David
O Oriens
O Rex gentium
O Emmanuel
S
A
R
C
O
R
E
apientia
donai
adix Iesse
lavis David
riens
ex gentium
mmanuel
ERO CRAS
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NATALE DEL SIGNORE NOSTRO NELLA CARNE: PASQUA
Il tempo di Natale
Concluso l’autunno, il solstizio segna l’arrivo dell’inverno e i giorni più brevi e bui
dell’anno; le città e le case si vestono di tante piccole luci multicolori e brillanti,
quasi ad esorcizzare la notte che appare vittoriosa sul chiarore del giorno. Nelle case
e nei cuori si sente un “clima” diverso, straordinario per i bambini, forse un po’
artificiale per gli adulti, ma da tutti avvertito. Ritorna il 25 dicembre. Arriva Natale.
“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo
l’adozione a figli” (Gal 4,4-5).
Il Figlio dell’Eterno si fece tanto vicino a noi da farsi “figlio nato da donna”, nella
comune umiltà e fragilità umana, assumendo Lui, il Santo senza peccato, la nostra
carne segnata dalla colpa. Nacque nel popolo d’Israele, “servo della circoncisione”
(cfr. Rom 15,8). Trascorse la sua vita mortale in “obbedienza alla Legge” e,
osservandola, Egli, nel medesimo tempo la portava a perfezione e la vanificava. A
motivo del peccato l’uomo era divenuto “schiavo del mondo” (cfr. Gal 4,3), era
dunque necessario che il Signore medesimo prendesse la “forma di schiavo” per
sollevare e liberare l’uomo dalla sua schiavitù (cfr. Fil 2,7).
Celebrare questo Evento, la Nascita del Signore nostro Gesù Cristo, è dunque
celebrare, fino a che dura il tempo, la liberazione, il passaggio: la Pasqua!
Due righe di storia...
In quale giorno nacque Gesù? Gli Evangeli non lo dicono ed pure gli antichi autori
non si esprimono in proposito. Ci furono, nel passare del tempo, delle notizie che al
presente possono apparire quantomeno curiose.
Clemente Alessandrino (+215 ca) riferisce che, in Oriente, alcuni fissavano la nascita
del Salvatore il 20 di maggio, altri il 20 di aprile, altri il 17 di novembre. Questo
Autore, non senza arguzia, conclude che tali persone: “non si contentano di sapere in
che anno è nato il Signore, ma con curiosità troppo spinta vanno a cercarne anche il
giorno”.
Per avere una notizia certa ed un documento autentico dobbiamo arrivare alla metà
del 4° secolo. Tale documento, del 336, è la Depositio Martyrum di Furio Dionisio
Filocalo, calligrafo romano.
Questi, nel 354, compilò una lista dei giorni della morte dei vescovi di Roma e dei
Martiri celebrati nella Chiesa sede di Pietro; secondo gli esperti quella lista sarebbe
risalente al 336.
In modo indiscutibile questo documento attesta la celebrazione del Natale. Infatti al
25 dicembre dice: VIII Kal. Jan. natus Christus in Betlem Judeae; che tradotto nella
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nostra lingua significa: “otto giorni prima delle calende (il 1°) di gennaio: Cristo
nato in Betlemme di Giudea”, dunque il 25 dicembre.
Il Martirologio Romano, alla data del 25 dicembre riporta una splendida Callenda,
che fissa nella storia l’evento mirabile dell’Incarnazione del Verbo di Dio:
Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo,
quando in principio Dio creò il cielo e la terra
e plasmò l’uomo a sua immagine;
e molti secoli da quando dopo il diluvio,
l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno,
segno di alleanza e di pace;
ventuno secoli dopo che Abramo, nostro Padre nella fede,
migrò dalla terra di Ur dei Caldei;
tredici secoli dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto
sotto la guida di Mosè;
circa mille anni dopo l’unzione regale di Davide;
nella sessantacinquesima settimana secondo la profezia di Daniele;
all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;
nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma;
nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto,
mentre su tutta la terra regnava la pace,
Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre,
volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta,
concepito per opere dello Spirito Santo,
trascorsi nove mesi,
nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo:
Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.
(Martirologio Romano: 25 dicembre)
L’indagine storica potrebbe continuare a lungo e offrirebbe degli spunti interessanti e
curiosi, ma a questo proposito abbiamo già segnalato gli studi più recenti, circa la
storicità della data del Natale di Cristo.
Qui, ora, forse vale la pena riportare una splendida rubrica degli antichi Calendari
liturgici della Chiesa di Roma che al 25 dicembre annotavano: “Natività del Signore
nostro Gesù Cristo nella carne: Pasqua!”.
Con questa solenne affermazione dei cristiani antichi appare chiara la loro
consapevolezza che la liturgia celebra e rende presente sempre, l’unico Mistero di
Cristo, che pur celebrato nei diversi aspetti ed episodi (ed il Natale ne è uno) rimane
sempre uno e indivisibile in ogni celebrazione ed in ogni festa.
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Centro, infatti, di ogni celebrazione domenicale, festiva e feriale sono i divini
Misteri, l’Eucarestia, sacrificio-presenza di Cristo Morto e Risorto. Noi cantiamo il
Bimbo nato per noi poiché Egli è Morto ed è Risorto per la salvezza di tutti.
Le Norme Generali per l’Ordinamento dell’Anno Liturgico e del Calendario,
introducendo la celebrazione del tempo natalizio mentre mostrano l’importanza
liturgica della solennità del Natale mostrano anche il vincolo profondo che unisce
questa celebrazione a quella della Pasqua: “Dopo l’annuale rievocazione del mistero
pasquale, la Chiesa non ha nulla di più venerando che la celebrazione del Natale
del Signore e delle sue prime manifestazioni: ciò che essa compie nel tempo di
Natale”. Così, anno dopo anno, la gioia del Natale scaturisce dalla sorgente
limpidissima che la gloria della Resurrezione e il Dono dello Spirito.
Il tempo di Natale - Epifania
Il tempo che la Liturgia dedica alla manifestazione del Signore nella fragilità della
nostra natura si inizia con i Vespri I del Natale la sera del 24 dicembre, e si chiude
con i Vespri II della Domenica che commemora il Battesimo al fiume Giordano del
Signore
Anche al credente più superficiale non sfugge la caratteristica propria di questo
tempo, che così breve, è però scandito da ricchezza di feste che si susseguono a ritmo
incalzante.
Accanto al 25 dicembre ed al 6 gennaio, Natale ed Epifania, ogni anno la Chiesa
celebra Maria Madre di Dio al 1° gennaio; la festa della sacra Famiglia la Domenica
dopo Natale; la seconda Domenica dopo Natale che cade tra il 2 e il 5 gennaio; la
Festa del Battesimo di Gesù. Anche i giorni “feriali” sono segnati dalla celebrazione
dei Santi che formano il corteo del Re Messia; s. Stefano il 26 dicembre, s. Giovanni
evangelista il 27; i santi Innocenti il 28.
L’Epifania
La celebrazione dell’Epifania, indissolubilmente legata al Natale, sorse in Oriente in
tempi più antichi della celebrazione del 25 dicembre che è propria dell’Occidente. Il
termine greco “Epifania”, che indica le sue origini, significa “manifestazione
benevola”. Accogliendo dall’uso orientale la festa dell’Epifania le Chiese
d’Occidente (Roma, Africa, Ravenna) accentuarono il tema della venuta dei Magi
per adorare il nato Re. In essi la fede dei credenti ha visto “le primizie” delle nazioni
e dunque la manifestazione alle genti del Salvatore.
La “Stella” che guida i Magi si ferma, sta “sopra Gesù”, lo indica in modo definitivo.
La stella però è Gesù stesso, il “Sole di giustizia” divina, la Misericordia divina che
ormai si è per sempre elevata sull’orizzonte dei popoli per non conoscere più
tramonto. I Magi sono dunque i silenziosi profeti di Dio e del suo Disegno di
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salvezza. Nell’adorare il Bambino e nel portare i loro tre doni riconoscono in Lui il
Re, il Sacerdote e l’Uomo che conoscerà la morte come ogni uomo.
La Scrittura rivela il significato dei tre doni offerti, apparentemente misteriosi; l’oro
della Regalità divina: “I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di
Seba offrano doni. Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti” (cfr. Sal 71,
10-11), l’incenso del Sacerdote eterno: “La mia preghiera stia davanti a te come
incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera” (cfr. Sal 140,2), la mirra del
sepolcro, citata solo qui ed in Gv 19,39, proprio alla sepoltura del Signore: “Vi andò
anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa
trenta chili di una mistura di mirra e di àloe”. I Magi così ci indicano che il Bimbo
adorato è il Re salvatore, il Sacerdote eterno, e sarà Colui che Sepolto risorgerà alla
Gloria del Padre.
I Padri della Chiesa spiegavano il Natale, l’Epifania con la venuta dei Magi e il
Battesimo al Giordano e le Nozze di Cana (Gv 2,1-11).
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“Gloria a Dio nei cieli altissimi!” (Lc 2,14)
Natale
L’Angelo di Dio, questo divino messaggero di grazia e di bene, sta nei momenti
principali della storia della salvezza, in specie però nella Vita di Cristo. Si trova
all’Annunciazione, alla Nascita, alla Tentazione nel deserto (Mc 1,13), al Getsemani
(Lc 22,43), alla Resurrezione gloriosa.
L’Angelo di Dio, con gli altri angeli, vive per sempre davanti al Volto del Signore
(Mt 18,10). Gli angeli, ministri santi e fedeli, tributano al Signore l’adorazione pura,
la gloria infinita, la lode gioiosa, l’intercessione potente per gli uomini. Forse
riflettiamo troppo poco, se non niente, su testi grandiosi come Is 6,3, con il parallelo
Ap 4,8; e come Ez 3,12; e poi Sal 102, 20-21.
Ma la gloria divina può essere vista in due modi: la Gloria che il Signore, nella
Trinità delle Persone divine, vive in eterno, e che è Egli stesso, in specie lo Spirito
Santo; e la gloria che gli uomini debbono tributare al loro Signore Dio e Creatore.
Ora, questa gloria e’ il bene stesso degli uomini: infatti lodando e magnificando il
loro Signore, essi entrano nella piena comunione con lui, con effetti eterni. E’ entrare
a contemplare il Signore con le sue meraviglie operate per noi. Non a caso s. Ireneo
(c.180) proclamava: “La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è
contemplare Dio”.
Alla Nascita del Salvatore, di fatti, l’Angelo del Signore che ha annunciato il Fatto ai
pastori, insieme con l’esercito sterminato degli angeli proclama una liturgia di lode,
che suona così:
“Gloria negli Altissimi cieli a Dio,
e sulla terra pace,
agli uomini (viene) il Beneplacito!” (Lc 2,14)
Le tre parole non vogliono stabilire come una divisione, tra i cieli e la terra. Al
contrario, il Figlio di Dio che adesso nasce dalla Vergine Maria ha uniti per sempre il
Cielo alla terra, l’Infinito con il finito, il Santo con i peccatori che ricevono perdono
e misericordia. Poiché Egli stesso e’ la Gloria del Padre, e’ la Pace nostra (Ef 2,14),
e’ l’Eudokia, il Beneplacito divino che opera con lo Spirito Santo, come si rivela al
Battesimo (Mc 1,11).
Egli stesso guida il coro infinito degli angeli e dei santi che in cielo gridano la gloria
al Signore (cfr Ap 5;7). E guida il povero coro dei suoi fedeli sulla terra, che si
associano a questa celebrazione che trasforma gli uomini in veri figli di Dio.
I figli danno gloria al Padre loro. E’ loro dovere, ma e’ anche loro gioia. Essi cosi’
riconoscono il Padre come il Sovrano che opera mediante il Figlio e con lo Spirito le
opere potenti della salvezza, affinché tutti gli uomini pervengano a vivere finalmente
e per sempre la Gloria divina, la “divinizzazione”.
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I fedeli dunque si associano al coro osannante. E con infiniti motivi.
Anzitutto per la meraviglia della creazione. Basterà qui rileggere il Sal 103, un
“Salmo di lode”; e insieme, Dan 3,57-90, il meraviglioso “Benedicite” dei tre giovani
nella fornace del tiranno. E nella creazione, la lode sale al Signore per il suo
capolavoro, l’uomo, come proclama intensamente il Sal 8, un altro “Inno di lode”.
L’uomo immagine e somiglianza, destinato al suo recupero [pieno in Cristo Uomo ad
opera dello Spirito (cfr 2 Cor 3,18 - 4,6), fino alla trasformazione di gloria in gloria.
La lode però si snoda verso il “Tu” divino. Dalle opere si risale al Creatore, ai suoi
titoli: Buono, Misericordioso, Onnipotente, Glorioso, Mirabile, Sapiente, Maestoso,
Sovrano Benigno.
E di qui, alla sua Persona: “Tu, perché sei Tu”. Non esiste altro motivo maggiore di
dare gloria al Signore, se non quello che “il Signore è il Signore”. Qui l’uomo, sua
creatura, quasi scompare, diventa quasi solo voce del cuore adorante, che si
dimentica del suo egoismo malefico e quotidiano. Di fronte all’irraggiungibile
Maestà divina, l’uomo adora e contempla, esce fuori da se stesso, ma solo per
accettare di farsi innalzare a vivere al livello della Vita divina.
E in questo “Tu” divino, di continuo riscoperto con sorpresa e con gioia, l’uomo
fedele scopre che si tratta di Tre Persone Viventi: il Padre quale Principio, Centro e
Fine di tutto; il Figlio, oggetto dell’amore eterno del Padre nello Spirito Santo; lo
Spirito quale amore unitivo del Padre e del Figlio. E questo Figlio che per eccesso di
amore accetta, secondo la Volontà del Padre, di farsi Uomo come noi, e di nascere tra
gli uomini, e di predicare l’Evangelo, e di operare le opere del Padre che portano al
Regno, e di salire sulla Croce; ma anche di risorgere per donare lo Spirito a tutti gli
uomini.
In un certo senso, mentre gli angeli alla Nascita del Signore gridano la loro
adorazione e lode a Dio, già contemplano tutto questo, e si pongono a celebrare
anche per questo il Signore - eventualmente operando anche per noi - se di tutto
questo non ci fossimo colpevolmente dimenticati. Cosi’, la dimensione
“dossologica”, ossia di glorificazione di Dio, attraversa tutta l’esistenza angelica,
come mostra il Natale, per giungere a noi, affinché ce ne lasciamo investire per la
nostra vera crescita.
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“Vedendo la Stella, furono ricolmi di gioia grande molto” (Mt 2,10)
Epifania
La Chiesa antica aveva felicemente intuito che alcuni eventi principali della Vita del
Signore nostro erano più in proprio la “Manifestazione” della Santa Trinità, da cui il
nome greco Epifania o anche Teofania. Così per il Natale, per i Magi, per il
Battesimo al Giordano, per la Trasfigurazione, per la Pentecoste, che trovano
significato e sostanza divina nella Croce e nella Resurrezione, e l’attuazione finale
nel glorioso Ritorno del Signore, alla fine dei tempi della storia e del mondo.
La visita dei Magi dall’Oriente è dunque Epifania, Manifestazione della Grazia
divina che raggiunge anche le regioni lontane, per portare gli uomini all’adorazione
del Re-Salvatore d’Israele che adesso nasce per loro. Il centro è e resta naturalmente
il Figlio di Dio e di Maria Vergine. A questo centro portano due elementi
fondamentali: la ricerca della Scrittura, e la visione della divina Gloria nella
creazione sempre parlante di Dio e delle sue opere. Ora, i Magi “in Oriente”,
espressione che significa il sole che si leva ad oriente di Gerusalemme, scrutano con
ansiosa attesa il cielo, in cerca di un “segno” che annunci il Disegno divino. E’ la
“pienezza dei tempi” (cfr Gal 4,4-6), e il Signore dona questo “segno”, una Stella
misteriosa ma splendente.
Ed ecco la confluenza della Stella con la Scrittura: L’Antico Testamento aveva
parlato della Stella segno del Messia promesso: “Io vedo, ma non adesso, la
contemplo, ma non qui: la Stella sorgerà da Giacobbe, lo Scettro sorgerà da
Israele”, ma il Profeta aveva premesso: “Oracolo di Balaam figlio di Beor, oracolo
dell’uomo che ha l’occhio chiuso. Oracolo di colui che ascolta le parole di Dio, che
intende la scienza dell’Altissimo, che vede la visione di Shaddaj, che cade, ma ha gli
occhi aperti!” (Num 24,15-17). I Magi scrutavano le Scritture. A Gerusalemme
infatti chiedono: “Dove è nato il Re degli Ebrei? Vedemmo infatti di Lui la Stella in
Oriente, e venimmo per adorare Lui” (Mt 2,2). A Gerusalemme gli esperti non
possono che rispondere, sempre in base alla Scrittura, che il luogo deve essere
Betlemme di Giuda, come aveva preannunciato un’altra profezia, Michea 5,2, sul
Capo che viene da Betlemme per pascere il popolo di Dio. I Magi hanno così tutti gli
elementi, e trovano a Betlemme colui che cercano.
Ma sono guidati a lui ancora una volta dalla Stella. Un segno del cielo stellato, reso
chiaro dalla Scrittura. “Alzate gli occhi e guardate: chi ha creato tutti quegli astri?”,
aveva detto il Signore (Is 40,26). E: “Scrutate le Scritture ... sono proprio quelle che
a me rendono testimonianza” (Gv 5,39). La Stella e le Scritture sono causa per i
Magi di gioia, espressa da Matteo con una formula insistente: “Vedendo la Stella,
gioirono di gioia grande molto” (Mt 2,10). La Stella sta “sopra Gesù”, lo indica
senza equivoci. La Stella però è Gesù, il “Sole di giustizia” divina, la divina
Misericordia che ormai si è levata sull’orizzonte dei popoli per non tramontare più.
27
Per questa Misericordia, così a lungo promessa dalle Scritture, il Figlio di Dio si è
incarnato ed è nato dalla Vergine. Dovrà essere battezzato dallo Spirito, predicare
l’Evangelo, compiere le opere del Padre nello Spirito, essere trasfigurato, affrontare
la Croce e la sepoltura, al terzo giorno risorgere e donare lo Spirito del Padre e
formare la Comunità di quanti porteranno il suo Evangelo agli uomini.
Dobbiamo considerare dunque i Magi come profeti silenziosi di Dio e del suo
Disegno. Nell’adorare il Bambino, gli significano infatti, e questo rimane quale
messaggio imperituro anche per noi, chi è e sarà, attraverso i tre doni lì per lì
misteriosi. Ma la Scrittura ce ne rivela il significato grandioso: l’oro della divina
Regalità, come già annunciato (cfr Sal 71), l’incenso del Sacerdote eterno, incenso
che sale permanentemente al Signore quale preghiera ed offerta gradita, sacrificale
(cfr Sal 140,2), la mirra del sepolcro, citata solo qui ed in Gv 19,39, proprio alla
sepoltura del Signore. I Magi ci indicano che il Bambino adorato è il Re Salvatore, il
Sacerdote eterno, il sepolto che risorge alla Gloria del Padre.
Per così dire, spiegavano i Padri, il Natale, l’Epifania dei Magi, il Battesimo del
Giordano sono come un riassunto del calendario divino, seguendo il quale la Chiesa
celebra il suo Signore Cristo e ne riceve la santificazione; sono come un
“osservatorio” da cui tenere presente tutta l’Economia di Cristo, ossia tutta l’azione
svolta per la nostra salvezza. Perciò la proclamazione dell’Evangelo e la celebrazione
dei Misteri dell’altare ogni volta e sempre “fanno memoriale”, ossia ci rendono
presente tutta questa Economia di salvezza e di gloria. Nessun episodio, per quanto
piccolo, è nascosto agli occhi di Dio. Né deve esserlo agli occhi nostri, che dobbiamo
scrutare le opere divine della creazione e la Scrittura in cui il Signore per amore si
degna di darci la Manifestazione di Se stesso in favore nostro.
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Icona del Natale del Signore nostro Gesu’ Cristo
Ipsa pictura quasi Scriptura
san Gregorio Magno
Come ricordavamo sopra, il più antico calendario liturgico della Chiesa di Roma
(sec. IV), accanto alla data del 25 dicembre reca l’annotazione: “Natale del Signore
nostro Gesù Cristo: Pasqua!”. Tale affermazione che ci raggiunge da secoli lontani
ci aiuta a crescere nella fede.
Centro del “Credo” cristiano è la Resurrezione del Signore; noi lo celebriamo Nato
poiché Egli è il Risorto. Infatti: “Se Cristo non è resuscitato, è vana la nostra
predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor 15,14).
La Resurrezione è il punto di partenza e il punto di arrivo della nostra fede, e l’Icona
del Natale ci aiuta a comprenderlo. Già dal secolo VII, contemporaneamente
all’organizzazione della festa del Natale, comincia a diffondersi questa Icona che
raggiungerà la sua forma “canonica” nel secolo IX.
Tale forma è conservata fino ai giorni nostri. Gli elementi “canonici” che
compongono l’Icona sono: lo sfondo d’oro, il paesaggio, la stella, la grotta, la
mangiatoia, il bue e l’asino; al centro della scena: la Madre di Dio con il Bambino,
gli angeli, i pastori, il viaggio dei magi, san Giuseppe e, di fronte a lui, l’uomo
vestito di pelle, il “bagno” del Bambino. La volontà di accostare tutti questi elementi
che hanno segnato il Natale è di chiara ispirazione biblica e liturgica; del resto
all’uso liturgico, celebrazione e preghiera, erano destinate le sante Icone. Passiamo
in rassegna, alla luce dei testi evagelici, gli elementi che compongono l’Icona.
 Il fondo oro: segno della Luce divina increata che l’Icona tramanda.
 Il paesaggio: monti, grotta, alberi, animali, elementi “materiali”, voce del
creato, proiettati nella luce divina: “Che cosa ti offriremo o Cristo, nostro Dio,
per essere apparso sulla terra assumendo la nostra stessa umanità? Ogni
creatura da te plasmata ti offre qualcosa per renderti grazie. Gli angeli ti
offrono il canto, i cieli ti offrono la stella, i magi presentano doni, i pastori il
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loro ingenuo stupore, la terra prepara una grotta, il deserto, invece, una
greppia; e noi ti offriamo una Madre Vergine. Signore, che esisti prima che il
tempo esistesse, abbi pietà di noi. (Tropario di Natale)
 La stella: in alto, la sua luce inviata da Dio scende sul capo del Bambino. È
uno dei segni più antichi per indicare il Natale e lo si ritrova fin dagli affreschi
delle Catacombe. Il riferimento in : Mt 2,1-12; cfr Num 24,17.
 La grotta: antro oscuro, ingresso alle viscere della terra, agli inferi (il
medesimo motivo si ritrova nell’Icona della Resurrezione), sembra quasi
“ingoiare” il Bambino (cfr Apc 12,4-5).
 La mangiatoia: Luca la nomina due volte, essa è il motivo più antico e diffuso
nella raffigurazione della Natività; solitamente può avere forme diverse, ma il
modo più diffuso e antico di rappresentarla è quello di un “sarcofago”, quasi a
richiamare la realtà della morte che incombe sul Bambino appena nato. La
Chiesa infatti celebra il Bimbo che è nato, poiché Lui è il Crocifisso Risorto.
 Il bue e l’asino: animali domestici sempre presenti nella scena: “Il bue
conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele
non conosce, il mio popolo non comprende” (Cfr Is 1,3).
 Il Bambino: avvolto in fasce (bende che paiono quelle di un defunto) e
deposto nella mangiatoia (tomba). La sua Figura ha i tratti di quella di un
adulto rimpicciolito, ad indicare che non si tratta di un bambino “come gli
altri”, ma di Dio, del Figlio di Dio. Egli è nato affinché la sua Morte vinca la
morte e il peccato.
 La Madre di Dio: con il Bimbo è al centro della scena, adagiata su un drappo
porpora, unico elemento di splendore nella povertà di tutta la scena, accanto a
Lei l’iscrizione che indica la sua dignità di “Madre di Dio” e le tre stelle sul
manto ad indicare la perpetua Verginità. Essa sta rivolta non verso il Bambino
ma verso di noi oranti, ad invitare a volgere l’attenzione e lo sguardo a Colui
che è Nato per la nostra salvezza.
 Gli angeli: alcuni rivolti verso il cielo altri annuncianti ai pastori, manifestano
così la loro duplice missione: servire Dio e trasmettere agli uomini i comandi
di Lui.
 I Pastori: che accolgono l’annuncio mentre vigilano sul gregge e quindi si
mettono in cammino.
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 I Magi: che accorrono segno “delle genti” chiamate a partecipare della
salvezza.
 San Giuseppe: lo Sposo di Maria, raffigurato “pensoso”: “Con il cuore in
tumulto fra pensieri contrari il savio Giuseppe ondeggiava: tutt’ora mirandoti
intatta sospetta segreti sponsali, o illibata! Quando Madre ti seppe da Spirito
Santo, esclamò: Alleluia!” (Inno Akathistos). Accanto a lui sta un personaggio
“strano” vestito di “pelliccia”. Si riteneva che fosse il Tentatore che voleva
istillare in Giuseppe il dubbio circa la Verginità di Maria. Invece
correttamente, alla luce dell’insegnamento della Chiesa antica, possiamo
ritenere sia il padre Adamo, rivestito delle pelli secondo il riferimento biblico
di Gen 3,21: “Il Signore Dio fece all'uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li
vestì”. Il Progenitore si accosta “idealmente” a Giuseppe nella gioia, per
rendere grazie e contemplare Colui che è il vero “Primogenito” del genere
umano, il Medesimo, che nell’Icona dell’Anastasis, vedremo discendere negli
inferi per destare il padre Adamo e i giusti dell’A.T.
 Il bagno del Bambino: le levatrici compiono il gesto famigliare verso ogni
nato, lavarlo dopo il parto, questo sta ad indicare ad indicare la reale umanità
assunta da Gesù, Verbo del Padre e Uomo vero, nato da Spirito Santo e da
Maria. Ma quel bacile si mostra come un “Fonte battesimale”, “simbolo” che
anticipa il suo Battesimo al fiume Giordano e che inaugurerà il dono
sacramentale del Battesimo. “Dio si fa Uomo, affinché l’uomo diventi Dio”,
così insegnano i Padri.
Contempliamo l’Icona e idealmente risentiamo il canto degli angeli, che si eleva ogni
Domenica e Festa: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che
Egli ama” (Lc 2,14).
Veramente valgono anche oggi e per noi, le parole del papa san Leone Magno nel
suo primo Sermone sul Natale: “Riconosci, o cristiano, la tua dignità e, reso
partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una
condotta indegna”.
d.LM
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Natale del Signore
Bibbia, Padri, Liturgia e Arte
Il presepe è riconosciuto a livello universale quale simbolo del Mistero
dell’Incarnazione del Verbo di Dio. Per la comprensione e la verità del simbolo
occorre però ricercare la semplicità della verità e il fondamento teologico più che
perdersi in coreografie sentimentali e romantiche.
Il primo millennio della Chiesa, pur tra le tormentate vicende della lotta alle
immagini, costituisce un deposito prezioso al quale il secondo millennio cristiano
può attingere e trovare ispirazione.
La finalità dell’immagine, infatti, prima di essere meramente espressione di arte,
deve corrispondere alla finalità di comunicare, mostrare, commuovere, istruire ed
edificare.
Inoltre in alcune epoche, l’immagine risulta necessaria come mezzo di conoscenza
per gran parte del popolo credente che non aveva modo di accedere allo studio. La
povertà culturale ha trovato rimedio nella comunicazione iconografica.
“In ogni tempo l’arte sacra ha testimoniato la teologia della fede” (CEI, Norme per
la tutela e la conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia
(1974) Premessa).
Le testimonianze che provengono dalla storia portano il ricordo della
rappresentazione di Cristo e dei Misteri che l’uomo di ogni epoca ha tracciato nel
cammino del tempo.
“L’iconografia è in tal senso teologia e teofania … E’ una forma di linguaggio che
rimanda attraverso lo splendore, la gratuità e l’armonia al desiderio dell’estasi
mistica” (C. Chenis).
L’iconografia ha una funzione catechetica e pastorale perché è una forma di
comunicazione che tocca intelligenza, sentimento e volontà. Catechisticamente è la
Biblia pauperum dove l’aspetto descrittivo raggiunge la perfezione nella bellezza
dell’arte che tocca il sentimento, l’intelligenza e la volontà dei fedeli.
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E’ quasi un anticipo di incontro tra la Chiesa ancora pellegrina e quella già nella
gloria.
L’arte è quasi un’iniziazione mistagogica che conduce “dentro il Mistero”.
Il Prefazio I del Natale prega così:
“Nel mistero del Verbo incarnato
è apparsa agli occhi della nostra mente
una nuova luce del tuo fulgore
perché conoscendo Dio visibilmente
per mezzo suo siamo rapiti
all’amore delle realtà invisibili”.
La Bibbia, fonte di ispirazione artistica
Come opera letteraria, la Bibbia, nella sua varietà di stili e di generi letterari richiede
anche un’esegesi filologica. In una parola la dimensione artistica della Sacra
Scrittura non è scompaginata col suo messaggio.
Il testo biblico è stato nei secoli fonte di fede, di salvezza e di arte.
Per un verso la Bibbia è divenuta sorgente per l’arte, e per l’altro verso l’arte è
diventata interprete della Sacra Scrittura introducendo al Mistero.
Accanto a questo aspetto mistagogico troviamo quello didattico-catechistico, storiconarrativo, celebrativo e devozionale. Questo discorso generale vale in modo pieno
per il presepe.
Mistagogia = condurre dentro il Mistero. Si pensi alle mirabili catechesi dei Padri:
compiuta l’esperienza liturgico-celebrativa dei Misteri, essa diventa fonte di
contemplazione e di meditazione: “Noi crediamo più a quello che vediamo che a
quello che sentiamo” (Cirillo di Gerusalemme).
L’iconografia è elemento che “introduce al Mistero”. Nel suo “Discorso sulle
immagini” san Giovanni Damasceno dice: “La bellezza e il colore delle immagini
sono una stimolo per la mia preghiera. E’ una festa per i miei occhi, così come lo
spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere grazie a Dio”.
Oggi in un tempo così segnato dal “vedere” e “dall’immagine”, va ribadita con forza
la funzione catechetica del patrimonio artistico e storico della Chiesa.
La testimonianza dei Padri
San Gregorio di Nissa (335-384) nel Sermone XL sui Martiri, presso il sepolcro di
san Teodoro dice: “Chiunque venga in un posto come questo dove teniamo il nostro
convegno e che raccoglie le memorie del giusto e le sue reliquie, viene allietato alla
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vista di cose veramente belle (…) Poiché anche la pittura suole parlare, tacendo,
dal muro e giova moltissimo (…). Spessissimo vidi la raffigurazione della Passione,
e non senza lacrime ho lasciato il quadro, che con l’aiuto dell’arte riportava agli
occhi il fatto storico”.
San Giovanni Damasceno annota che il cristiano esprime la sua fede mediante la
testimonianza delle immagini e scrive: “Se un pagano viene e ti dice: ‘Mostrami la
tua fede’, tu portalo in chiesa e, presentando la decorazione di cui è ornata,
spiegagli la serie dei sacri quadri” (Ad Cost. Cab.).
Quando ormai il latino era non più compreso e la conoscenza delle Scritture e della
dottrina era scarsa, l’iconografia ha assolto il compito di “illustrare”la fede nel
linguaggio semplice e comprensibile anche agli illetterati. Le pareti e le vetrate delle
chiese divennero pagine spalancate della Sacra Scrittura. La rappresentazione del
presepe occupa posto eminente.
Dio si è fatto Carne
L’uomo creato “a immagine e somiglianza di Dio” è “segno” che disvela e aiuta a
manifestare i lineamenti di Dio. Al suo popolo Dio proibisce di farsi immagini.
Il Mistero dell’Incarnazione è Evento sconvolgente e determinante che provoca
un’autentica rivoluzione anche nel campo dell’arte.
Il N.T. afferma che Cristo è “irradiazione della gloria del Padre e impronta della
sua sostanza” (Eb 1,3); è “Immagine del Dio invisibile” (Col 1,15).
Dio trascendente ed eterno, si è manifestato nella Persona di Gesù Cristo. Nell’A.T.
l’uomo non poteva raffigurare Dio, il N.T., per stessa iniziativa di Dio, trova
soluzione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14) e così nell’Umanità di Gesù Dio si
rende visibile: “Chi vede me vede il Padre” e mediante il “tempio del suo corpo” (Gv
2,21) l’uomo giunge a Dio.
Afferma san Giovanni Damasceno: “Non venero la materia, ma venero il Creatore
della materia, che assume la vita nella carne e che, mediante la materia, operò la
mia salvezza” (Discorso sulle Immagini).
L’Incarnazione del Verbo è fatto unico, rivoluzionario; mai gli dei della mitologia
pagana avevano condiviso la condizione umana. In Cristo tutto è cambiato: “Dio si è
fatto Uomo perché l’uomo diventasse Dio” (s. Agostino).
La Natività nel corso dei secoli
Fin dalle origini della Chiesa i cristiani non hanno dimenticato la povertà della grotta
di Betemme rifulgente della luce del parto verginale di Maria. Nei primi due secoli i
cristiani portano nel cuore il fascino e lo splendore di quella scena che rivivevano
nella semplicità della fede e della predicazione.
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L’insegnamento dei Padri della Chiesa
Tertulliano (Cartagine, 155-220 ca)
Reagisce alle correnti eretiche, il docetismo, che vedono la materia e dunque il
corpo, come male e di conseguenza negavano l’Umanità di Cristo, affermando che il
Figlio di Dio non avrebbe potuto assumere la carne dell’uomo.
Atanasio di Alessandria (295-373)
Uomo di straordinaria intelligenza, difese la Verginità di Maria e disse Dio Colui che
è nato dalla Vergine.
Cirillo di Gerusalemme (287-315)
Celebre per le sua Catechesi mistagogiche. Parlando del dogma dell’Incarnazione, fa
riferimento alla collaborazione tra Dio Padre, la Vergine e lo Spirito Santo che porta
al concepimento del Verbo in Maria: “Credi che questo Unigenito Figlio di Dio
scese dal Cielo sulla terra per i nostri peccati, assumendo la nostra stesa umanità,
soggetta a simili prove. Nacque dalla Vergine Santa e dallo Spirito Santo… La sua
Incarnazione non avvenne in modo apparente o fantastico, ma in modo reale. Non
passò attraverso la Vergine, come si passerebbe attraverso un canale, ma prese
veramente carne da Lei e da Lei fu veramente allattato, mangiando realmente come
noi e come noi realmente bevendo”.
Giovanni Crisostomo (344-354 - 407)
Oratore mirabile, “Bocca d’oro”, tratta del Mistero dell’Incarnazione.
Agostino d’Ippona (354-430), con lui tra i Padri della Chiesa latina troviamo: Ilario
di Poitiers, Ambrogio di Milano, Girolamo.
Un teologo poeta, Romano il Melode (V-VI sec.), fa parlare Maria del Mistero
dell’Incarnazione:
“Dimmi, o Figlio, come sei stato seminato in me e come sei nato. Ti vedo, o mie
viscere, e stupisco. Il mio seno è gonfio di latte e non sono sposa. Ti vedo avvolto
nelle fasce e scorgo ancora intatto il sigillo della mia verginità. Sei tu, infatti, che
l’hai serbato tale quando ti sei degnato di nascere, o nuovo Bambino. Dio anteriore
ai secoli … O Creatore del Cielo … ti sei lasciato incantare da una grotta e ti diletti
di un presepio?”. (Sul Natale II).
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San Leone Magno (414-461), è il tempo del Concilio di Calcedonia che definisce
l’unicità della Persona di Cristo in due Nature. Sono celebri i suoi Sermoni sul
Natale, sulla Passione, ecc.
Ecco come prega il Prefazio II di Natale:
Nel mistero adorabile del Natale,
egli, Verbo invisibile,
apparve visibilmente nella nostra carne,
per assumere in sé tutto il creato
e sollevarlo dalla sua caduta.
Generato prima dei secoli,
cominciò ad esistere nel tempo,
per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre,
e ricondurre a te l’umanità dispersa.
Le più antiche raffigurazioni della Nascita di Cristo ci portano nelle Catacombe:
 Catacomba di Priscilla, cappella greca, sulla via Salaria, (anno 220ca)
 Catacombe dei santi Pietro e Marcellino (anno 290 ca)
 Cimitero di Domitilla (IV sec.)
 Catacombe di san Callisto (IV sec.)
 Rilievi sui sarcofagi paleocristiani.
 In s. Apollinare Nuovo a Ravenna, mosaico della nascita del Messia
 Santa Maria Maggiore a Roma, mosaico (IV sec.)
 Betlemme, Basilica costantiniana della Natività (IV sec.) il mosaico dei Magi
salvò la Basilica dalla distruzione dei persiani che vedevano in quei
personaggi dei loro antenati.
Dopo la lettura dell’Evangelo secondo Luca prendiamo in considerazione l’Icona del
Natale e poi guarderemo alcune opere d’arte della Chiesa tridentina.
Ipsa pictura quasi Scriptura (san Gregorio Magno).
 Dal Vangelo secondo Luca (2,1-20)
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di
tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore
della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche
Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide
chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide.
Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si
trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
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Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una
mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano
tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a
loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore,
ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà
di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è
Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce,
adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine
dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un
l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il
Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e
Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono
ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle
cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose,
meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per
tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
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I Magi
Almeno dal secolo IX è stato assegnato il nome ai Magi:
 Melchiorre è il più anziano e offre l’oro
 Gaspare è il giovane e offre l’incenso
 Baldassarre è uomo maturo di carnagione scura e offre la mirra
Nel Duomo di Colonia ove si conservano le reliquie dei Magi, dallo studio dei resti
custoditi risulta che appartengono a tre persone:
 Un giovane (ragazzo) 12 anni
 Un giovane uomo, 25-30 anni
 Un adulto di 50 anni.
A riguardo dei Magi sono sorte diverse interpretazioni:
 Rappresentanti dell’umanità: Asia, Europa, Africa
 Rappresentanti delle età dell’uomo
 Rappresentanti dei ceti sociali del Medio evo: clero, nobiltà, popolo.
Dall’epoca carolingia al X secolo si compie il passaggio dai Magi ai “Re” Magi.
Per Origene il numero tre dei Magi è il simbolo dei tre Ospiti di Abramo.
Nel ‘400, dallo stile orientale di magi, si arriva alla raffigurazione di essi come dei
re, che portano i doni e rendono omaggio ad un Re più grande e più potente.
Scompare la figura della Madre di Dio adagiata sul giaciglio, mentre perdura
nell’iconografia orientale.
La nuova raffigurazione presenta Gesù in piedi o seduto in grembo alla Madre, in
questo caso il Bambino appare più sviluppato.
Dal ‘400 lo schema è questo:
 Il primo Magio è in ginocchio in segno di adorazione
 Gli abiti riprendono le fogge “contemporanee”
 La stella non c’è
 Scompare il riferimento alla provenienza dei Magi.
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 Dal Vangelo secondo Matteo (2,1-12)
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero
da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?
Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo,
il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei
sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva
nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per
mezzo del profeta:
E tu, Betlemme,terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il
tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e
informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere,
perché anch’io venga ad adorarlo”.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li
precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al
vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il
bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro
scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare
da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese
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