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Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-01-05
Didattica delle Lingue, Psicologia e Neuroscienze
Sono Mondi Paralleli?
di Michele Daloiso
Keywords: Neuroscienze, Psicologia, Glottodidattica
La glottodidattica si definisce come la scienza dell'educazione linguistica, una disciplina cioè che
si interessa di tutte le questioni teoriche ed operative legate all'insegnamento della lingua, sia essa
lingua madre, lingua straniera, lingua etnica o lingua classica. L'obiettivo primario della
glottodidattica consiste nell'elaborazione di approcci, metodologie e tecniche didattiche che creino
le condizioni migliori per l'apprendimento. Qual è dunque il ruolo della psicologia e delle
neuroscienze in un ambito così specificatamente educativo e didattico? Che tipo di contributi
questi settori scientifici possono offrire alla glottodidattica? E perché mai la glottodidattica, nella
sua autonomia disciplinare, dovrebbe guardare anche alle ricerche neuro-psicologiche? La risposta
a questi interrogativi è possibile sono se ci si interroga sul concetto di
insegnamento/apprendimento linguistico e sul suo ruolo nella complessità della società
contemporanea. In questo contributo si cercherà di chiarire la relazione tra glottodidattica e scienze
neurologiche e psicologiche, chiarendo così le basi teoriche su cui poggiano gli interventi
contenuti in questa rubrica, e il punto di partenza che ha dato origine alla rubrica stessa. 1. Le
nuove sfide per la glottodidattica contemporanea Sino a pochi anni fa e purtroppo a volte anche
oggigiorno, specialmente nell'ambito accademico italiano, si tendeva a proporre l'equazione tra
linguistica applicata e glottodidattica, riducendo quest'ultima alla semplice applicazione della
linguistica teorica all'apprendimento delle lingue (Ciliberti, 1994; Balboni, 2002). La questione,
seppur terminologica, cela problemi di varia natura, spesso legati all'idea stessa di insegnamento
linguistico. Questo spiega tra l'altro perché negli anni postbellici la glottodidattica abbia risentito
scarsamente dell'influsso della pedagogia o della psicologia (Bach e Timm, 1989) e si sia
concentrata esclusivamente sulla specificazione dei contenuti linguistici da apprendere, piuttosto
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che sulle metodologie più appropriate per apprenderli (Ciliberti, 1994). Ne scaturì una visione
dell'educazione linguistica riduttiva, in cui si identificava l'intero processo glottodidattico con una
sola delle sue parti, ossia la determinazione dei contenuti didattici. Tale concezione si è rivelata
ben presto inadeguata a rispondere alle mutevoli esigenze della società contemporanea. I profondi
mutamenti politici, sociali ed economici degli ultimi trent'anni, il processo di globalizzazione, la
formazione dell'Unione Europea, le riforme scolastiche e universitarie, la nascita delle società
complesse, hanno implicato tra l'altro una necessità sempre più pressante di imparare le lingue
straniere. Il continuo bisogno di aggiornamento e riqualificazione professionale ha fatto emergere
la figura dello studente adulto, con bisogni specifici e del tutto diversi dal bambino che frequenta
la scuola dell'obbligo. In Italia e in molti paesi europei, la presenza sempre maggiore di bambini
stranieri nelle classi ha suscitato la necessità di formare docenti specializzati nell'insegnamento
delle lingue seconde. La realtà in cui si trova ad operare la glottodidattica è perciò complessa(1).
Ma cosa si intende per complessità? Si tratta di un concetto simile a quello del tempo per
Sant'Agostino: se nessuno me lo chiede so benissimo cos'è, ma se qualcuno me lo chiede
d'improvviso non lo so più. Ciascuno di noi sa bene cosa si intende per complessità, ma non riesce
ad esprimerla. La definizione migliore di cui disponiamo proviene dall'ambito matematico: la
misura della complessità di un'operazione è data dal numero di fattori che vanno presi in
considerazione e dalla lunghezza del complesso di istruzioni necessarie per descriverla
(Boncinelli, 2000). Le nuove situazioni di insegnamento linguistico rispondono pienamente a
questa definizione. Si pensi, ad esempio, all'insegnamento dell'italiano L2 a bambini stranieri:
l'insegnante dovrà essere consapevole che si tratta di un processo per sua natura lungo, non
riducibile a qualche ora di laboratorio di lingua alla settimana, e dovrà anche considerare
molteplici fattori, tra cui la lingua e la cultura d'origine del bambino, l'eventuale trauma
migratorio, l'impatto della cultura italiana, l'interferenza con la lingua d'origine, l'inserimento del
bambino nel nuovo contesto scolastico, nonché tutti i fattori psicologici e neurologici legati
all'acquisizione delle lingue in età precoce. Per rispondere alla complessità del processo e dei
contesti di insegnamento delle lingue, la glottodidattica stessa non poteva che diventare
"complessa": ebbe inizio così un processo di riflessione e ridefinizione epistemologica che ha
portato a riconoscere sempre più l'autonoma disciplinare della glottodidattica, il suo specifico
ambito di ricerca e il suo specifico bagaglio di nozioni, modelli, strumenti didattici e di ricerca.
Inoltre, molti ricercatori si sono resi conto che anziché proporre modelli didattici universali basati
solo sui contenuti linguistici da apprendere e su una visione semplificata della realtà, la
glottodidattica deve elaborare modelli specifici per le diverse situazioni didattiche, tenendo in
considerazione tutti i fattori che intervengono nel processo didattico. Proprio per rispondere a tali
esigenze, si stanno tracciando linee di ricerca che vanno ben oltre la linguistica (alcuni studi sulla
didattica dell'italiano L2/LS, sulla multimedialità in classe di lingua, sull'uso veicolare della lingua
straniera per sviluppare abilità cognitive in LS) (2). Questi ed altri campi d'indagine aperti dalla
glottodidattica negli ultimi decenni, nonché i notevoli risultati della ricerca, testimoniano la
maturità di una disciplina che anche in Italia sta affermando la propria autonomia (Coppola, 2003).
2. Le molteplici dimensioni del processo di insegnamento/apprendimento linguistico Ma in cosa
consiste la complessità del processo glottodidattico a cui abbiamo accennato? Che cosa significa
veramente insegnare/apprendere una lingua? Quali fattori intervengono in modo determinante in
tale processo? Si devono a Renzo Titone, Giovanni Freddi e Paolo E. Balboni le riflessioni più
importanti in questo senso. a. La dimensione linguistico-comunicativa L'insegnamento linguistico
si svolge all'interno di un processo comunicativo tra docente e studenti del tutto particolare, dal
momento che la lingua è sia il mezzo e sia il fine della comunicazione. Si vengono dunque ad
instaurare dinamiche comunicative in classe fortemente dipendenti da come il docente concepisce
l'educazione linguistica stessa. Ad esempio, mentre la lezione tradizionale, essendo di tipo
trasmissivo, assegna sempre al docente la posizione di mittente e all'allievo quella di destinatario,
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la didattica cooperativa può portare ad una ridistribuzione dinamica dei ruoli, scardinando così la
tradizionale concezione dello studente come destinatario della comunicazione, e contribuendo a
renderlo costruttore attivo della propria conoscenza (Santipolo, 2002). La glottodidattica ha perciò
bisogno di trarre dalle scienze linguistiche la descrizione della lingua oggetto di didassi in termini
di contenuti da apprendere; dalle scienze della comunicazione tutte le nozioni che descrivono la
lingua come mezzo per comunicare, calata in un contesto situazionale e socio-culturale preciso. b.
La dimensione neurologica e psicologica Come vedremo più nel dettaglio nel prossimo paragrafo,
l'apprendimento di una lingua coinvolge anche la dimensione cognitiva, psicologica, affettiva e
relazionale dello studente. Le scienze psicologiche e neurologiche forniscono alla glottodidattica
un supporto teorico di riferimento sui processi cognitivi, mentali, neurobiologici che sottostanno
all'apprendimento. c. La dimensione socio-culturale Come già De Saussure sottolineava, la lingua
nasce come prodotto sociale e non può essere scissa dal contesto socio-culturale in cui viene
parlata. L'incontro dello studente con una lingua straniera è anche l'incontro tra due culture: quella
dello studente e quella della lingua oggetto di studio. E' per questo che sono fondamentali per la
glottodidattica anche gli studi di antropologia culturale e di scienze dell'intercultura, che
forniscono le chiavi concettuali per prevenire o gestire scontri ed incomprensioni interculturali sia
in classe sia fuori dalla classe. Questo discorso vale anche per lo studio della lingua inglese, oggi
ormai sempre più appresa per scopi strumentali a prescindere da qualsiasi interesse per la cultura
britannica o anglo-americana. Così, un italiano che conversa con un anglosassone potrà usare un
inglese grammaticalmente perfetto, ma per evitare l'incomprensione interculturale dovrà fare
attenzione anche a fattori extralinguistici variabili da cultura a cultura; ad esempio, il tono di voce
tipicamente alto dei latini è avvertito dagli anglosassoni come aggressivo, specialmente se
associato al loro continuo gesticolare ed interrompere l'interlocutore. d. La dimensione formativa
L'insegnante di lingua è innanzitutto un insegnante e come tale deve possedere un bagaglio di
conoscenze teoriche di pedagogia, andragogia, psicologia dell'educazione, metodologia didattica
generale. La glottodidattica propone approcci didattici fondati su teorie dell'educazione, che sono
dunque esterne al suo universo epistemologico, ma che forniscono un apporto essenziale. Se
l'insegnamento delle lingue è dunque un processo multidimensionale, che coinvolge molteplici
fattori, la glottodidattica può risultare realmente efficace solo se assume un'ottica interdisciplinare,
e cioè accetta di guardare alle scienze che studiano questi fattori, traendone poi le implicazioni
metodologiche e didattiche. 3. Didattica delle lingue, Psicologia e Neuroscienze: nuove linee di
ricerca Alla luce di questa evidente necessità di considerare il processo di apprendimento
linguistico in tutti i suoi fattori, si può individuare un linea di ricerca glottodidattica tesa ad
indagare gli aspetti neurologici e psicologici sottostanti all'apprendimento linguistico, al fine di
comprendere i processi matetici dell'allievo e, di conseguenza, elaborare percorsi didattici
modellati sui reali meccanismi neuro-psicologici dello studente. In Italia, possiamo considerare
precursori di questo ambito Renzo Titone e Giovanni Freddi, che per primi già negli anni
‘70 elaborarono un modello di Unità Didattica specifico per le lingue straniere e fondato
sulla psicologia della Gestalt. Entrambi contribuirono all'affermazione in Italia dell'approccio
umanistico-affettivo alla didattica delle lingue, che trae spunto sia dai fondamenti di psicologia
umanistica (Rogers, 1969) sia da modello di insegnamento linguistico proposto da Stephen
Krashen, che attribuisce un ruolo essenziale ai fattori motivazionali ed affettivi legati
all'apprendimento. Ebbero molta risonanza negli anni '80 e '90 le ricerche di Marcel Danesi (1988,
1998), il quale applicò all'insegnamento linguistico i risultati di alcune ricerche neuroscientifiche,
seppur limitandosi al settore della neurolinguistica. Vennero così proposti metodi didattici che
tentavano di fondarsi, da un lato, su concetti neurofunzionali, quali la bimodalità, il periodo
critico, la plasticità neuronale, e dall'altro su un'integrazione di orientamenti didattici induttivi,
deduttivi, funzionali e affettivi. Seppur lodevoli, gli studi di Danesi tendevano forse a semplificare
la complessità dei processi neurobiologici che sottostanno all'apprendimento linguistico e a
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generalizzare meccanismi che, invece, sono il risultato di un lungo processo di maturazione e che,
dunque, non possono essere uguali in tutte le fasi della nostra vita. Fanno parte di questa linea di
ricerca glottodidattica anche alcuni studi in corso presso il Dipartimento di Scienze del Linguaggio
dell'Università Ca' Foscari a Venezia, ai quali partecipa anche chi scrive nella convinzione che le
scienze psicologiche e neurologiche possano offrire un contributo decisivo per la glottodidattica
relativamente: a. al soggetto che apprende la lingua, perché conoscere l'allievo significa anche: 1.
saper individuare le fasi evolutive che sta attraversando a livello cerebrale, cognitivo e sociale
(neuroscienze dello sviluppo, psicologia dello sviluppo cognitivo e sociale; psicologia dell'età
adulta); 2. conoscere i fenomeni psicologici che influenzano l'apprendimento, come l'attenzione, la
motivazione, la percezione, l'ansia, e il loro sostrato neurologico; b. a come l'allievo apprende la
lingua, ossia: 1. quali meccanismi mnemonici e quali strategie cognitive sa attivare
(neurofisiologia della memoria, scienze cognitive); 2. quali propensioni intellettive, stili di
apprendimento e stili cognitivi possiede e attiva in sede di apprendimento (psicologia cognitiva e
dell'apprendimento); 3. quali spinte motivazionali muovono l'allievo all'apprendimento linguistico;
c. a chi facilita l'apprendimento e come, perché neuroscienze e psicologia possono aiutarci a
capire: 1. come l'insegnante si può relazionare alla classe e la singolo studente (psicologia
relazionale); 2. come può rendersi consapevole del proprio stile cognitivo ed evitare scelte
didattiche influenzate inconsciamente dal proprio stile cognitivo, che non potrà mai coincidere con
quello di tutti gli studenti; 3. come può far tesoro delle conoscenze neuro-psicologiche per operare
consapevolmente in classe. Molti degli scritti che troverete a disposizione in questa rubrica sono
pertanto i più recenti frutti della ricerca veneziana (ma non solo) su questo tema, e mirano tutti ad
esplorare la dimensione neurologica e psicologica dell'apprendimento linguistico, al fine di
comprendere i processi matetici dell'allievo e, di conseguenza, elaborare percorsi didattici
modellati sui reali meccanismi neuro-psicologici dello studente.
Note
1) Come sostiene Balboni (2001), complesso non significa confuso, difficile. La complessità della
formazione linguistica nella società contemporanea è fondata su:
•una pluralità di attori che richiedono (aziende, enti pubblici, singole persone) e offrono
(scuole pubbliche, istituti privati, singole persone) formazione linguistica;
•una pluralità di centri decisionali (autonomia scolastica, proposte di federalismo);
•la rapidità della trasformazione sia del contesto sociale, sia degli attori, sia delle loro
decisioni, che devono adattarsi alla mutevolezza del contesto in cui operano.
2) Ci riferiamo in particolare ai percorsi CLIL (Content and Language Integrated Learning), basati
sullo studio di materie non linguistiche in lingua straniera; all'interno del CLIL gli studenti
possono usare la lingua straniera come veicolo per apprendimenti non linguistici e al tempo stesso
sviluppare abilità linguistiche e cognitive superiori (Coonan, 2004).
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