Con la presente il Croas FVG intende sottoporre all`attenzione de ( A

LA LIBERTA’ DI STARE DALLA PARTE GIUSTA. LE DISCRIMINAZIONI
DELL’ATTUALE WELFARE REGIONALE.UNA DEMOCRAZIA COMUNITARIA E
PARTECIPATA SI COSTRUISCE TRA TUTTI E SOPRATTUTTO DIVERSI.
Centro Balducci – Zugliano- 20 giugno 2011
Porto il saluto di tutto il Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali dell’Ordine del FVG. In
questa sede ci siamo incontrati un anno e mezzo fa a condividere l’esperienza con don di
Piazza su “Diritti umani, uguaglianza, giustizia sociale: verso un welfare planetario”, dove
abbiamo ascoltato, riflettuto, vissuto con emozione le storie, le esperienze e il coraggio
che ci hanno testimoniato i protagonisti di quelle giornate sul tema dei diritti.
Non potevamo non partecipare ora a questa iniziativa così come non potevamo non
sottoscrivere la lettera per la cancellazione di tutte le norme discriminatorie
nell’ordinamento regionale in materia di prestazioni di welfare a tutela di tutte/i le
cittadine ed i cittadini, italiani ed immigrati, regolarmente residenti nella nostra
regione, perché parliamo della nostra terra e dei cittadini che vi abitano, dei loro diritti e
degli ostacoli concreti (economici e sociali) che possono intervenire nella quotidianità a
condizionare diritti fondamentali come l’uguaglianza dei cittadini. Nel “la felicità della
democrazia” Zagrebesky e Mauro
affermano che la “materialità della democrazia
riguarda la capacità di affrontare i problemi collettivi
in termini di giustizia, libertà,
coesione sociale, cioè la capacità di tenere insieme una società dove vi sia posto per tutti,
aperta al contributo di tutti.” Non possiamo far finta di niente, girarci a guardare da un ‘altra
parte, ancor più noi che siamo operatori d’aiuto.
Nel clima di crisi globale stanno venendo alla ribalta questioni come l’ impoverimento non
solo economico e le crescenti disuguaglianze, nonché, come dice Marco Ravelli nel
suo libro “Poveri, noi” il risentimento sembra diventato costume nazionale, è un conflitto
per molti versi nuovo, “orizzontale” dei poveri, ma sopratutto impoveriti contro altri poveri,
“più poveri” alla ricerca di un qualche risarcimento facile che compensi l'ansia da
declassamento. Le disuguaglianze sempre più marcate, la crisi economica e sociale, le
conflittualità interne connesse all’accettazione o meno delle diversità, le paure dei cittadini
che sentono incrinare le loro certezze e presunte sicurezze sono solo alcuni temi che ci
accompagnano.
Dobbiamo tornare ad occuparci del “bene comune” che come sottolinea Don Gallo “è
l’unica strada per crescere, in cui qualunque cittadino è soprattutto persona, cioè soggetto
di diritto, il diritto a partecipare per il bene comune. Basta leggere l’articolo 2 e 3 della
Costituzione: legalità più solidarietà danno come risultato più giustizia, Il bene comune ha
le sue fondamenta sulla giustizia e sulla solidarietà che deve essere liberatrice. E allora è
chiaro che l’espressione “servizi sociali” diventa prioritaria. L’uguaglianza delle persone
richiede il rispetto e la possibilità di accedere a tutti i servizi. Don Gallo ci ricorda che il
servizio sociale è accoglienza, ascolto, amore. Non ci può essere una delega alla
comunità, al volontariato o al privato sociale, il servizio pubblico deve mantenere le sue
funzioni, lo stato la sua centralità e al suo interno si può tutti collaborare.
Oggi, di contro, potendo fare una similitudine potrei dire che istituzionalmente davanti alle
fragilità rappresentiamo una frontiera che può accogliere o può respingere, qui non
valgono i diritti di circolazione di Schenghen, qui non è sufficiente essere cittadini, persone
che devono fronteggiare un problema, qui è necessario dimostrare di avere diritto ad
entrare in quanto residenti da un numero variabile di anni a seconda del possibile
beneficio/diritto.
E’ quasi superfluo sottolineare che i valore della dignità e unicità di tutte le persone, i diritti
di libertà, UGUAGLIANZA, socialità, solidarietà, partecipazione, nonchè i principi di
GIUSTIZIA ed EQUITA’ SOCIALE sono la base fondante, imprescindibile della nostra
professione, il “faro” che tutti gli assistenti sociali devono continuamente avere come
riferimento nell’esercizio professionale; altresì sanciti nel Codice Deontologico, a cui tutti i
professionisti devono riferirsi e osservare nelle esercizio professionale, che orientano le
scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità.
Pertanto questo ordine professionale intende esplicitare la preoccupazione degli assistenti
sociali per gli scenari che sembrano aprirsi con gli attuali orientamenti sul tema
dell’accesso ai servizi, così come emerso dal dibattito politico e tradottisi in alcuni
provvedimenti normativi che di fatto escludono parti di popolazione, persone con le loro
fragilità e problemi.
La riflessione che vorremmo condividere questa sera si focalizza essenzialmente su due
“focus d’attenzione”:
1) le ripercussioni di tali politiche sui cittadini e sulla comunità
2) le ripercussioni – dilemmi etici che vivono gli assistenti sociali.
1) Nell’attuale situazione di crisi economica e sociale la mancanza del diritto di
accesso a prestazioni e servizi per parte della popolazione comporta per i nuclei
familiari già fragili o che da poco avevano acquisito una certa stabilità economica,
abitativa, ecc. l’inevitabile entrata, ri-caduta nei circoli della marginalità. Oltre alle
gravi ed urgenti difficoltà contingenti di tipo economico, abitativo e di sopravvivenza
si aprono quelle legate alla clandestinità che comportano: da un lato il rientro nel
paese di origine di interi nuclei familiari che iniziavano a radicarsi nel nostro
territorio ( bambini nati in Italia, …) con le conseguenti difficoltà di riadattamento, di
crisi identitaria , ecc. Dall’altro il rischio di accesso ai circoli della microcriminalità e
della sopravvivenza in condizione di grave disadattamento ed emarginazione.
Queste situazioni si ripercuotono altresì nelle comunità di appartenenza dove iniziano
a verificarsi atteggiamenti di intolleranza, di diffidenza tra i cittadini e purtroppo di
aggressività tra gli stessi ma anche verso le istituzioni.
La cosiddetta “forbice” si allarga e il divario colpisce le fasce più deboli.
Con l’abrogazione della Legge regionale 5/2005 progetti innovativi, creativi e che
avevano riscosso interesse anche a livello nazionale sono stati destinati a concludersi:
interrompendo, da un lato, processi di integrazione, accoglienza e supporto ( si pensi
alla chiusura di sportelli per immigrati, progetti socioeducativi, ecc) e dall’altro
“sfilacciando” quelle reti così importanti, insostituibili e faticosamente costruite negli
anni, tutt’ora ritenute cardine di un welfare plurale e comunitario anche dall’attuale
normativa.
Riteniamo che sostenere coloro che risiedono, anche da poco tempo, nella nostra
regione significhi chiedere di sottostare a dei doveri ma anche riconoscere parità di
diritti tramite una tutela pubblica all’assistenza sociale, al lavoro, alla casa, quale via
prioritaria che conduce al rispetto delle regole di convivenza e di legalità. A ciò va
aggiunto che se esigiamo il rispetto delle leggi, questo deve avvenire sulla base del
riconoscimento dell’uguaglianza delle persone e parità di trattamento.
2) In questa cornice come ci sentiamo noi professionisti del sociale? SCISSIIMPOTENTI- IN UNA SITUAZIONE SCHIZOFRENICA: stretti tra un mandato
professionale e sociale-istituzionale contrastanti che non permettono un corretto
esercizio professionale. Il mandato sociale ( attraverso la L.r. 24/2009) e istituzionale (
con l’applicazione della stessa) disciplinano e vanno ad incidere proprio nella principale
norma di settore che vede tra i principali attori del sistema proprio gli assistenti sociali,
che da
sempre operano per il riconoscimento e la realizzazione dell’uguaglianza
sostanziale, per il rispetto dei diritti e della dignità delle persone indipendentemente
dalla loro condizione sociale, di etnia e provenienza.
I professionisti si trovano a dover dare risposte ad una domanda sempre più pressante
che esige interventi/risposte immediate, sentendosi da un lato chiamati a “risolvere
tutto e subito” e dall’altro impotenti a fronte di problematiche che non trovano adeguata
risposta, anche perché collocate in un contesto politico e sociale che “squalifica”/ fa
perdere di significato il riconoscimento dei diritti esigibili nonché i principi e valori
fondanti la professione. Il ruolo di raccordo tra aspetti sociali e istituzionali mette in
conflitto sempre più evidente la capacità di coniugare i principi e i valori fondamentali
quali l’equità e l’ autodeterminazione delle persone da un lato e la risposta urgente ai
bisogni materiali primari dall’altra nella generale limitatezza di risorse. Questi aspetti si
ripercuotono in termini negativi nel processo d’aiuto, principale strumento professionale
dell’assistente sociale, che rischia di orientarsi sempre più verso interventi di tipo
riparativo ed assistenzialistico per categorie di utenza.
“Il lavoro sociale è l’atto morale di farsi carico dell’inestirpabile responsabilità che
abbiamo per la sorte e il benessere dell’Altro; e che quando più l’altro è debole e
incapace di far valere i propri diritti, tanto più grande è la nostra responsabilità”.
Sostiene Levinas e Bauman riprende
La nostra professione è chiamata a promuovere la cultura dell’accoglienza, della
solidarietà e della responsabilizzazione. Davanti a questi fenomeni che richiedono un
impegno significativo da parte delle istituzioni, è opportuno favorire una corretta
conoscenza dei fenomeni al di là di pregiudizi e strumentalizzazioni sempre in agguato.
Una società che si chiude in sé stessa, e che cede alla paura del diverso e delle
differenza, corre il rischio di diventare una società meno libera e senza futuro: quindi
come enuncia parte del titolo di questa serata UNA DEMOCRAZIA COMUNITARIA E
PARTECIPATA SI COSTRUISCE TRA TUTTI E SOPRATTUTTO DIVERSI.