Argumenta iuris. L`ermeneutica di Schleiermacher e l

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LUISA AVITABILE
Argumenta iuris.
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
Volentieri vorrei ridimensionare il mio ideale
di società a un modello davvero raggiungibile: solo leggi che nel loro scopo mi rammentano l’essere umano, solo persone che si sentono a loro agio con le leggi.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Il valore della vita.
1.Nello studio sull’interpretazione si possono presentare diversi
itinerari: si può optare per una sorta di microarcheologia che
conduce a ricollocare quanti si sono occupati di ermeneutica e di
argomentazione in ambiti rilevanti come quello giuridico, con la
consapevolezza che è impossibile raggiungere una definizione
esaustiva della storia dell’interpretazione; vi è però un altro versante
rappresentato da quanti vogliono limitare l’interpretazione alla
testualità, all’enunciato normativo in una concatenazione logicocausale che attiene ad elementi oggettivi che molte volte, riferiti alla
norma fondamentale, destano sorpresa perché rischiano una
finalizzazione oracolare della Grundnorm; ognuno di questi itinerari
di ricerca deve necessariamente essere integrato con una riflessione
sul senso dei concetti di interpretazione, ermeneutica ed
argomentazione. In queste pagine si tenterà di farlo a partire anche
dalle sollecitazione dell’opera di Niklas Luhmann Das Recht der
Gesellschaft, in particolare del capitolo 8 intitolato Argomentazione
giuridica1.
Le Scuole dell’interpretazione, formatesi nel corso dei secoli, rinviano quasi sempre all’arte oratoria, alla retorica con l’intento di evitare che le argomentazioni rimangano sciattamente sospese, nel non
fare riferimento alla tecnica specifica dell’argomentazione normativa.
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, Frankfurt am Main, 1995, p. 338 e
ss.; B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 263.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
La direzione intrapresa in queste pagine permette di ricordare alcuni
esponenti tra i più significativi – senza pretese di sequenza storica –
come V. A. van Zwichem che nel ‘500 teorizza «il metodo giusto
dell’interpretazione» o, nello stesso periodo, V. P. Melanchthon che
cerca di imporre un metodo interpretativo unificante in filosofia teologia e diritto2; inoltre, G. F. Meier scrive un trattato sull’ermeneutica
con il titolo significativo di Versuch einer allgemeinen Auslegungskunst
(1757). Più tardi sarà F. Schleiermacher (1768-1834) che con
l’affermazione «l’ermeneutica è, in generale, l’arte di intendere giustamente un discorso di un altro»3 sottolinea l’intenzione di chi ascolta e l’impegno del parlante, suscitando una serie di riflessioni che investono il diritto e la sua genesi più profonda, sino a poter qualificare
il giurista ‘artista della ragione’4, dove l’arte marca l’impegno a dialogare5, in cui «ogni uomo perviene a una conoscenza più matura e a
un sapere più adeguato solo mediante la conduzione del dialogo»6.
Più tardi, le Scuole dell’interpretazione saranno individuate in
quella francese con F. Gény e quella italiana con E. Betti. Fanno da interessante e significativa corollario impegnativo del sapere
sull’interpretazione i nomi di Ast, Schlegel, Boeckh, Ernesti – citato
nelle prime pagine dell’Ermeneutica proprio da Schleiermacher –, Lagus, Amerbach, Zasius che invoca un diritto dinamico a fronte di uno
statico dove è assente l’evoluzione del diritto, per non dire di Cantiuncula che, sempre nel 1500, afferma un itinerario interpretativo
con il suo Topica legalia.
Il ‘900 ritorna sui caratteri dell’interpretazione del ‘500 con G.
Kisch, E. Rothacker e
Wach7. Chi si avvicina alle strutture
dell’ermeneutica e del comprendere non può tralasciare oltre a W.
Cfr. ad esempio F. MELANTONE, Declamatio de Ambrosio, Milano, 2000.
A. PLACHY, La teoria dell’interpretazione, Milano, 1974, p. 41.
4 Cfr. P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000.
5 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, Torino, 2004, p. 82; esiste una non
trascurabile antologia del pensiero di Schleiermacher H. BOLLI,
Schleiermacher-Auswahl, München, 1968.
6 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 83.
7 G. KISCH, Melanchthons Rechts - und Soziallehre, Berlin, 1967, p. 172 e ss.; E.
ROTHACKER, Logik und Systematik der Geisteswissenschaften, München, 19652;
J. WACH, Das Verstehen, Tubingen, 1926. Cfr. M. FERRARIS, Storia
dell’ermeneutica, Milano, 2010.
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Dilthey, H. G. Gadamer8, M. Heidegger, R. Bultmann, anche G. Funke, J.T. Beck, A. Tholuck che nel 1877 studia la differenza tra «interpretazione intuitiva e astratta»9 e ancora K. Rosenkranz, Vatke, F.
Luecke, Ch. H. Steinthal e H. Lipps. Ognuno dice qualcosa di essenziale sulle modalità interpretative, a partire da punti di vista di volta
in volta diversi o anche similari che riconducono però sempre, anche
nelle formulazioni tecniche, all’impegno della parola, alla sua ambiguità, al suo essere ermeneutica attraversata da un’etimologia che
conduce alla figura ambivalente di Ermete – messaggero degli dei,
ma anche ladro, truffatore10.
Nell’approccio che lo studioso sceglie di avere con
l’interpretazione, il pensiero è sempre rivolto – non solo dal punto di
vista storico – al concetto di ermeneutica, attraverso interrogativi che
appartengono sia al giurista che al filosofo. Ha oggi ancora un valore
l’ermeneutica? In che rapporti è con il concetto di argomentazione?
La globalizzazione ha archiviato l’arte del comprendere il discorso
giuridico?
Una posizione impegnativa – oltre che speculativamente rilevante
– la assume Schleiermacher che negli aforismi sull’ermeneutica del
1805, nell’abbozzo di Halle seguito poi dagli aforismi (1809-1810),
nell’ermeneutica generale degli stessi anni, redatta da August Twesten, sino alle lezioni del 1832-1833 suddivide l’interpretazione in
oggettiva e soggettiva qualificando come oggettiva quella grammaticale e come soggettiva quella tecnica, differenziazione con cui intende delineare la prima come limitata e quella soggettiva come “positiva”; in essa il concetto di arte rinvia in un primo momento ad un sacrificio, cioè riuscire a cogliere dove è necessario «sacrificare l’una o
l’altra interpretazione»11.
Il concetto di arte restituisce al giurista la sua qualità di artista non
‘formato dalle teorie dell’arte’, autore libero della propria interpretazione condizionata solo dalla ricaduta sulla relazione interpersona-
G. FIGAL, Oggettualità. Esperienza ermeneutica e filosofia, Milano, 2012, p.
121.
9 A. PLACHY, La teoria dell’interpretazione, cit., p. 49.
10 P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 29 e ss.
11 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano, 2000, p. 49; R. PALMER,
Cosa significa ermeneutica?, Nardò, 2008, p. 55.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
le12, non impegnato a rendersi utilmente servile di fronte a poteri
dominanti; conduce a delineare i compiti dell’ermeneutica come proiezione all’universale, in modo tale che la comprensione della lingua13 – in realtà del discorso – non diventi un dato cronologico, ma
marchi la reale ricerca del senso che denota nell’uomo la possibilità
di sottrarsi, emancipandosene, all’adeguatio: «il fine dell’ermeneutica
è la comprensione nel senso supremo»14 che racchiude nel concetto di
arte non solo un mero sacrificio, ma una scelta15 che riconduce alla
finalità della legge, come scrive Schleiermacher ne Il valore della vita.
La questione della comprensione della legge nel giuridico incornicia il concetto di aletheia, di alterità, del giudizio e della percezione
dell’altro, certamente non vi appartiene lo statuto di tipo elencativo16,
nonostante l’interprete abbia dei criteri da seguire, infatti «deve …
obbedire alle leggi dei diversi tipi di produzione sussumibili sotto il
concetto di opera d’arte: altrimenti essa non coglie i diversi caratteri e
interessi»17; ne deriva che il compito ermeneutico consiste prioritariamente nel tentativo continuo di comprendere i pensieri secondo
una connessione di tipo meditativo e compositivo18 della qualità delle relazioni interpersonali, ma non adeguativo.
La parola in Schleiermacher è oggetto ermeneutico perché non assurge mai ad una semplice ricostruzione, ma attivando la compren-
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 197; a proposito della
trattazione dell’interpretazione giuridica cfr. E. BETTI, Teoria generale
dell’interpretazione, Milano, 1990.
13 Si ricordano le riflessioni sul linguaggio di W. VON HUMBOLDT, Sullo
studio comparato delle lingue, in Scritti filosofici, Torino, 2004, p. 697 e ss.
14 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 199, ma anche p. 491.
15 Ivi, p. 201.
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Cfr. P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Milano, 1995;
Dell’interpretazione, Milano, 2002. Gli studiosi dell’Istituto di filosofia del
diritto di Roma “Sapienza” si sono occupati di interpretazione in varie
direzioni, tra gli altri cfr. D. CANANZI, Interpretazione alterità giustizia. Saggio
sul pensiero di Paul Ricoeur, Torino, 2008.
17 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 497; il concetto di legge è
presente anche in ID., Il valore della vita, Genova, 2000, p. 100.
18 ID., Ermeneutica, cit., p. 501.
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sione, si dirige «verso la lingua e verso i pensieri»19: la lingua allora
non è considerata solo il punto di riferimento per la comprensione
oggettiva, ma è ‘rinvio di senso’20 che coglie l’essere artista
dell’interprete, diverso dalla mera comprensione non artistica.
L’ermeneutica come arte della comprensione e
avvio
all’interpretazione «è il rovescio della grammatica e qualcosa di
più»21, quindi non è esecuzione tecnica, ma neanche solo soggettiva,
che pur chiarificando l’inferiorità dell’interpretazione grammaticale22 non può agire autocraticamente.
Nella struttura dell’ermeneutica vi è un momento visibile – il linguaggio – e un momento invisibile in cui il senso del discorso diventa qualcosa di intellegibile nel rinvio di senso23, in questo modo lo
stesso concetto di arte chiarifica perché l’ermeneutica non si pone
come pedissequa ricostruzione attraverso la conoscenza della lingua,
nonostante sia invocata come statuto peculiare dell’uomo sin
dall’infanzia; essa appartiene – come un quid specifico – a «teologi e
giuristi»24, tanto che Schleiermacher precisa quanto l’essenzialità
dell’‘interpretazione logica’ nei giuristi sia essenziale, ma «al di là
del contenuto effettivo del discorso»25, quindi non unicamente performativa.
Avviarsi dal concetto e dagli itinerari proposti da ogni tipologia di
interpretazione senza cercare conforto nell’opera di Schleiermacher,
selezionata tra quella di altri, è impresa ardua, in realtà si ritiene necessario affermare che ogni comunicare sull’ermeneutica è inappropriato se non si tengono in considerazione le ‘regole comuni’, secondo una prospettiva che, con il lessico di Jaspers, si può definire Umgreifendes26. Nell’interpretazione questo momento diventa particolarmente significativo quando si riflette sul concetto di giuridicità,
Ivi, p. 199; anche p. 491; W. VON HUMBOLDT, Sullo studio comparato delle
lingue, in Scritti filosofici, Torino, 2004, p. 735.
20 B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2000, pp. 154-155.
21 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 65.
22 Ivi, p. 201; cfr. H. G. GADAMER, Ermeneutica: uno sguardo retrospettivo,
Milano, 2006.
23 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 187.
24 Ivi, p. 197; cfr. anche L. GORLA, L’interpretazione del diritto, Milano, 2003.
25 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 197.
26 K. JASPERS, Il linguaggio. Sul tragico, Napoli, 2000, p. 112-123.
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vale a dire su quella dimensione di ‘uguaglianza nella differenza’ in
cui l’interpretazione registra una tipologia di comportamento umano
osservativa – nella direzione del realismo fenomenologico27 –, non
adeguativa ma formativa di quella libertà nell’interpretazione come
momento polisemico che ripropone sempre la posizione dell’uomo
nelle leggi.
All’interpretazione ‘soggettiva’ non si può sostituire la personalità
dell’interprete, anche se essa è posta in essere da una personalità.
L’aspirazione privata del legislatore, del giudice28, della dottrina o
dei privati non deve essere lusingata dal potere interpretativo: la libertà di interpretazione non può essere sostituita dal potere
dell’interpretazione. In questo senso si può affermare che la personalità non è elemento dell’interpretazione, ma allo stesso tempo viene
sfruttata dall’interpretazione come è il caso dell’avvocato di parte,
nella consapevolezza che sarà condizionata ad una ricomposizione
generale29, secondo la decisione del terzo-giudice.
L’elemento della personalità non deve essere fuorviante, essa da
una parte avalla la circostanza che senza la persona non può esistere
l’interpretare; dall’altra, ogni interpretazione – per essere imparziale
e disinteressata – non può cedere alla personalizzazione del suo autore.
Nell’architettura dell’interpretazione è inutile discutere di interpretazione naturalistica, perché in essa manca l’opera peculiare della
persona, infatti la normatività biologica non necessita di interpretazione, al contrario costituirebbe una sorta di profanazione volerla interpretare; la diversità tra l’uomo e il naturale è documentata proprio
dal rigore interpretativo che lo pone nel leggere l’ambiente e significare la propria realtà in un progetto di esistenza. Il processo interpretativo significa sgrezzare la materia informe per attribuirle una forma30; la rappresentazione universale e incondizionata attraverso
l’interpretazione è qualcosa che appartiene sempre al bene comune, a
quella res publica che attraverso un’ermeneutica funzionale si vuole
considerare res nullius.
Contra R. INGARDEN, Fenomenologia dell’opera letteraria,Milano, 1968.
A. KOJÈVE, Linee di una fenomenologia del diritto, cit., p. 44.
29 CICERONE, De oratore, II, 102.
30 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit. p. 503.
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In essa la questione dell’uguaglianza nella differenza, in qualità di
ordine giuridico, precede qualunque tipo di ordine normativo, infatti
lo stesso Schleiermacher ritiene che «i singoli Stati, le lingue ecc. sono
di nuovo persone in senso superiore e, quindi soltanto mediante la
loro comunione deve essere rappresentata la totalità della ragione»,
laddove la stessa comunione rinvia «all’unità del genere umano»31.
Dunque il relazionarsi – in una forma che ricorda l’empatia – è alla
base di una ricerca sul senso dell’interpretazione che consiste
nell’itinerario percorrendo il quale «la ragione nella personalità deve
cercare se stessa anche al di fuori di essa e credere al suo riconoscimento con amore» e «questo riconoscimento, in quanto esclude il
formato del processo di formazione, è la base di ogni diritto»32;
l’espressione citata marca radicalmente la differenza tra una ragione
procedurale e una ragione giuridica, nel momento in cui solo
quest’ultima rappresenta l’esclusione del processo di formazione
come una sorta di epoché della forma per non rischiare il formalismo,
ed evitare che «quando la Patria nel corso della sua esistenza declina
o nella generale variabilità delle costituzioni umane il lato positivo
del suo assetto svanisce» non ci si debba chiedere «dove va a finire
quell’assai celebrata felicità procurata dal sentimento patriottico?»33.
Proprio nel rispetto di un sentimento riconducibile all’empatia e destinato all’uomo, la forma della legge deve essere preparata a sacrificarsi in favore dell’humanitas e in questo l’interpretazione è essenziale per liberarsi dall’istituzione di una legalità che porta a vedere«nelle leggi solo capriccio e usurpazione del singolo, nei cittadini
solo persone che sentono come un male necessario il fatto di dover
essere nello Stato»34. Il legislatore e il giudice sono i primi interpreti
sui quali ricade la responsabilità dell’ermeneutica della testualità storica per arrivare all’istituzione di nuova legalità, attraverso argomen-
ID., Etica, parte I, §72-73 in Scritti filosofici, Torino, 1998, p.432.
ID., Etica, parte II, §27-28, Scritti filosofici, cit., p. 438.
33 ID., Il valore della vita, cit., p. 129.
34 Ibidem.
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tazioni che non riconducano all’idea che «le leggi più amate sono
quelle che proteggono indebitamente le loro particolari condizioni
nei confronti di tutto il resto, o almeno quelle che possono eludere
con la massima facilità»35.
La rottura delle catene del formalismo, che si presentano in modo
vincolante nell’assenza di interpretazione o con la sola presenza di
un’interpretazione unisemica dominante, è possibile solo nel momento in cui la persona, titolare di diritti e doveri, si muove secondo
alcuni imperativi categorici che la pongono in una relazione interpersonale all’interno del terreno comunitario: «entra in ogni comunità in
modo che il tuo entrare sia insieme un fare proprio» che si trasforma
potenzialmente in «entra in ogni comunità con riserva dell’intera tua
individualità» e infine «entra nella comunità in modo da trovarvi te
stesso, e: trovaci te stesso in modo da entrarvi»36. Le proposizioni relative all’accesso ad una comunità non si possono assumere semplicisticamente come condizioni di una procedura formale. Il tutto si pone nel contesto più ampio del «formare comunitario universale» che
costituisce «l’ambito del dovere di diritto»37. Nello schematismo è
tracciato il cammino dell’io: in un primo momento l’universale viene
ridotto al particolare dell’azione dell’io; poi l’apertura alla comunità
contiene una riserva nei confronti della propria individualità e, infine, la comunità non è intesa come destino naturalistico dell’uomo,
ma come sforzo nella comprensione del già dato e dell’alterità, in un
continuo impegno che porterà più tardi Buber ad affermare la relazione come inizio. Solo nel momento in cui sceglie di entrare in comunità, l’uomo si emancipa dal già dato perché riconosce nella comunità uno spazio in cui la propria individualità può confrontarsi
con l’alterità attraverso l’istituzione di regole, fino a quando questo
non viene posto in essere il vivere in comunità si riduce semplicisticamente a un «processo naturale»38.
Ivi, p. 129.
ID., Etica, Dottrina della virtù e del dovere, §§ 2-6, Scritti filosofici, cit., pp.
548-550.
37 ID., Etica, Dottrina della virtù e del dovere, § 40, Scritti filosofici, cit., p. 548.
38 ID., Etica, Dottrina della virtù e del dovere, § 14, Scritti filosofici, cit., p. 550551.
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L’accesso alla comunità diventa significativo sino a contrassegnare
la presenza della legge nella vita dell’uomo come «il fondamento di
un volere identico» e «nella misura in cui questo volere identico si
sviluppa nel singolo individuo come posto per sé, il volere è costume
e la legge è legge morale»39, dunque l’incipit più iniziale della legge è
per Schleiermacher la morale40, foro interno che però non contempla
un uomo soggetto al cambiamento delle morali, ma un individuo
consapevole dei propri limiti segnatamente giuridici prima che normativi in cui «la facoltà delle leggi è la ragione» e la virtù diventa
una continuo esercizio dell’uomo alla sua Bildung41.
Allora l’essere in comunità è un valore che preserva ogni uomo
dall’essere se stesso, un Io ipertrofico con derive di onnipotenza, ma
mette in scena una volontà che non è di potenza ma ‘di senso’, in
modo che non scelga un rapporto di dominio dove «volta a volta
l’uno o l’altro comanda, e ciascuno si domanda tacitamente, con tristezza, se ciò che ha guadagnato valga a compensarlo della pienezza
della libertà perduta. Alla fine, l’uno diventa il destino dell’altro, e il
reciproco considerarsi come fredda necessità spegne la fiamma
dell’amore. Tutti un eguale cammino conduce alla fine ad un eguale
nulla»42.
In questa riflessione di Schleiermacher è racchiusa la possibilità
della deriva del nichilismo uniformante – compreso quello giuridico
– che può condurre inevitabilmente ad una condizione di alienazione: comunità, volontà, libertà, nichilismo diventano i pilastri di una
discussione sul diritto e sulle vuote formule del normativismo se
vengono private della giuridicità costitutiva del principio
dell’uguaglianza nella differenza attraversate dall’ermeneutica come
‘agire dialogico’ che sostituisce un ‘agire comunicativo’43 sollecitato
dalla produzione di un uniforme consenso.
ID., Dialettica, cit., p. 303.
Le radici etiche della comunità sono studiate ad esempio da R. GUARDINI,
Etica, Brescia, 2001, p. 811 e ss.
41 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Il valore della vita, cit., p. 104.
42 ID., Monologhi, Lanciano, 1919, p. 94.
43 Cfr. J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, Bologna, 1986.
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La struttura della comunità è permeata dal concetto di libertà, una
libertà-con che diventa, in una dimensione di condivisione, una ‘libertà piena perduta’. L’uomo non può esercitare una libertà assoluta,
ogni uomo è destino dell’altro e considerarsi solo come ‘fredda necessità’conduce al nulla, facendo così intravedere come il concetto di
necessità non sia applicabile alla relazione interpersonale. Anche la
riflessione sul concetto di Stato muove dalle stesse ragioni, vale a dire da una dimensione interpersonale in cui l’uomo è cosciente di «essere una parte della ragione, della fantasia, della potenza del tutto»44,
una particula che lo proietta nel riconoscimento che anche gli altri individui si trovano in una condizione simile. In questa parte dei Monologhi vengono ripercorsi gli itinerari caratteristici della struttura
statale: lo Stato come continua vigilanza alla cura dello spirito, come
organismo in cui il cittadino non ambisca ad avere un pensiero omogeneo ed uniforme escludente nei confronti dell’uomo che non appartiene a quello Stato.
La critica che si evince da queste pagine è nei confronti di uno Stato nichilista in cui l’autorità è data dal far «sentire il meno possibile la
sua presenza, e perfino il bisogno della sua esistenza»45. Lo Stato ha il
dovere di rendere possibili quelle condizione che garantiscono ciò
che Schleiermacher definisce «il quarto grado di esistenza»46 in cui
non può rappresentarsi unicamente come in una corsa teso a possedere, rabbioso «contro il destino e contro l’infelicità»47. Infatti, questa
tipologia di humanitas non cerca possibilità di «formazione spirituale,
non conquista … vita interiore»48, ma concorre a ridurre le ambizioni
e le conquiste dell’uomo alle dimensioni dell’avere; il problema emerge con radicalità in quell’azione pedagogica (Bildung) tesa a rappresentare l’uomo schiavo di una Leben non proiettata verso una Weltanschauung spirituale.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Monologhi, cit., p. 95: sui Monoghi si esprime
approfonditamente W. DILTHEY, La vita di Schleiermacher, II, Napoli, 2008, p.
188 e ss.; p. 318 e ss.
45 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Monologhi, cit., p. 95-96; vd. tra gli altri K.
BARTH, Tre ritratti: Schleiermacher, Herrmann, Bultmann, Padova, 1998, p. 65.
46 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Monologhi, cit., p. 96; W. DILTHEY, La vita di
Schleiermacher, II, cit., p. 333.
47 ID., Monologhi, cit., p. 97.
48 Ibidem; W. DILTHEY, La vita di Schleiermacher, cit., p. 329.
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Desta sorpresa l’attualità critica di alcune affermazioni di
Schleiermacher nel riferirsi in modo diretto alla questione giuridica:
«il diritto, che offre morte formule a chi gli chiede la vita che conosce
non il libero agire, ma solo regole di abitudini, e si vanta della più alta saggezza quando rimetta a nuovo una formula invecchiata, felicemente messa da parte, o partorisca una novità che sembra vita, ma
ben presto diverrà forma e morta abitudine»49. Le formule vuote del
diritto sono quelle prive dell’intento armonioso della giustizia50, della
libertà, dell’empatia che, configurate nelle forme della legalità, offrono uno spazio sempre più crescente alla vuotezza del formalismo in
cui il nuovo può diventare vecchio repentinamente e il vecchio improvvisamente nuovo, in una ricorsività funzionale che riconduce alle strutture sistemico-funzionali di Luhmann. Solo il senso della giustizia è in grado di spezzare le catene del formalismo ed evitare che
si possa passare dal formalismo al nichilismo. E in questo momento
convulso dello spirito che non trova pace e non si rassegna alle formule, che appare la questione della lingua che «deve riprodurre il
più interno pensiero dello spirito e la sua più alta intuizione; si ricompone in questo nucleo la questione giuridica, non solo formule
ma spirito che si mostra attraverso i segni del linguaggio giuridico»51,
Schleiermacher ripone la sua fiducia in quell’homo iuridicus che tenta
di organizzare la propria lingua in un’arte, in un’interpretazione per
la quale le deduzioni logiche, i passaggi, la coerenza interna non siano formule tecniche ma «si corrispondano pienamente, e l’armonia
della parola renda il tono del pensiero»52. Sulla base di questo vinculum della parola l’interpretazione del discorso si allontana dalla purezza dell’evento tecnico, «suono della voce, significativo»53.
Nasce così nelle pretese dell’antigiuridismo nichilista la figura
dell’anti-uomo, vale a dire di quell’uomo che desidera dominare
«soltanto il mondo fisico, e ne ricerchi tutte le forze per sfruttarle a
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Monologhi, cit., p. 97-98. ID., Dialettica, cit., p.
90-91.
50 Ivi, p. 87.
51 Ivi, p. 105. F.D.E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 362 e ss.
52 Ivi, p. 106.
53 ARISTOTELE, Dell’espressione, 3-4, 16b.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
proprio vantaggio»54, un prototipo di uomo onnisciente (sapere totale) con l’ambizione di ridurre il diritto a vuote formule prive del rinvio allo spirito.
Il discorso – e dunque anche il discorso giuridico, la sua interpretazione, il tentativo maieutico che da Socrate in poi accompagna il
giurista occidentale – non può essere ridotto ad «una vana tecnica di
suoni, che non hanno il potere di esprimere l’essenza peculiare dello
spirito»55. Emerge da qui una duplice qualificazione dell’attività statale: da una parte lo Stato come entità spirituale in cui il ‘savio’ non
propone modelli di condotta ma una costante ricerca; dall’altro uno
Stato nichilista, «un meccanismo indispensabile per nascondere i difetti degli individui e renderli innocui» che adotta l’azione anestetizzante, istituendo una legalità rassicurante, anche nelle forme di punizioni esemplari, e un’interpretazione volta semplicemente ad argomentare, ma non a comprendere (ermeneutica).
2.Nella comunità come testo56, il concetto di interpretazione giuridica apre ad una questione dell’interpretare ed in particolare
dell’ermeneutica iuris come tipologia ermeneutica che pone il giurista immediatamente di fronte alla testualità del diritto che non può
descriversi come ‘processo naturale’57. Proprio per questo,
l’interpretazione problematizza un duplice aspetto: può appiattirsi
su questioni esecutive e dunque servirsi di un apparato tecnico che
rinvia continuamente al recinto, alle garanzie e alla sicurezza della
Grundnorm anche nel momento in cui pur essendo formalmente legale è ingiusta; o può decidere di optare per un itinerario critico che
ambisca a servirsi dell’apparato tecnico, attraverso una via finalizzata alla chiarificazione del bene comune, costituito, nel caso del diritto,
dalla giuridicità e dunque anche da quell’insieme di elementi che
F. D. E. SCHLEIERMACHER, ivi, p. 84; per una forma di nichilismo
individuale ID., Il valore della vita, cit., p. 90-91.
55 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 107.
56 P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 93.
57 F. MODUGNO, Interpretazione giuridica, Padova, 2012, p. 296 e ss.
54
12
LUISA AVITABILE
non fanno naufragare l’homo juridicus in una concezione immunitaria
del diritto58.
Queste parole manifestano chiaramente quanto articolato possa
essere il compito dell’interprete, chiamato certo a sopportare il peso
della testualità giuridica tout court, ma teso a cercare di interpretare
nel rispetto del principio di uguaglianza nella differenza.
Chi interpreta sa bene quanto sia gravoso rifiutare
un’interpretazione benevola per ‘gli amici’ e ‘per gli amici degli amici’, è consapevole della responsabilità della propria disattenzione
verso l’a priori del diritto costituito non dalla legalità, ma dalla continua ricerca del giusto come simbolo della possibilità della persona
nella libera formazione della sua identità esistenziale. Lo stesso legislatore, nel momento culminante del suo dovere, costituito
dall’istituzione delle leggi, esercita un’attività interpretativa, poiché i
momenti dell’istituzione e dell’interpretazione non sono monadici,
ma connessi ad un concetto di temporalità non riducibile a mera cronologia59.
Nasce da qui l’esigenza di discutere e trasmettere una via, un metodo per un’interpretazione alla quale il giurista sa di poter aspirare
anche se la post-modernità porta con sé un carattere di tecnicismo e
di scientificizzazione tale da archiviare la possibilità di emancipazione del momento interpretativo da un’ermeneutica funzionale ridotta
ad argomentazione60.
Il giurista, credendo di ottemperare in questo modo al proprio dovere, pensa di declinare il suo operato sull’imitatio dello scienziato; si
illude così di rendere certa e numerabile la parola, cioè quella cifra
dell’iscrizione di senso polisemica61. Rendere l’interpretazione banale
deriva dalla circostanza che essa è allo stesso tempo l’atto più elementare, ma anche quello più nobile: più elementare perché l’uomo è
un essere interpretante, più nobile perché non riproduce mai costantemente e pedissequamente la realtà; l’intera vita dell’uomo è interpretazione, l’esistenza stessa è un’interpretazione della vita, l’uomo
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, p. 131 e ss. G. D’ANIELLO, Una
ontologia dialettica. Fondamento e autocoscienza in Schleiermacher, Bari, 2007, p.
178 e ss.
59 B. ROMANO, Forma del senso. Legalità e giustizia, cit., p. 81 e ss.
60 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 345 e ss.
61 K. JASPERS, Il linguaggio. Sul tragico, cit., p. 134.
58
13
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
osserva la realtà attraverso l’interpretazione e allo stesso tempo si
differenzia da un’interpretazione-adeguamento, tipica del mondo animale. «L’interpretazione è, pertanto, un fenomeno complesso e
pervasivo»62 e diventa certamente importante avviarsi da alcune considerazioni, generatrici di aspettative in direzione di un concetto di
interpretazione=argomentazione che si enuclea dalla lettura del capitolo 8 dell’opera di Luhmann Das Recht der Gesellschaft e che rappresenta un momento per comprendere come si possa trasformare
l’interpretazione in adeguamento argomentativo e quest’ultimo in
funzione.
Le riflessioni di Luhmann – come si sa – conducono necessariamente ad alcuni orientamenti critici che si possono esporre con
l’aiuto dei classici dell’interpretazione, a partire dall’ermeneutica di
Schleiermacher che arriva ad una valutazione di ciò che in modo approfondito si intende con interpretatio in riferimento all’ermeneutica e
alla dialettica: l’interpretazione può essere annoverata, al pari della
dialettica, tra le arti. È «un’arte critica da esercitare su ogni sapere che
si presenti frammentario»63, ma questo riporta incessantemente al
concetto di unitarietà nella frammentazione: nessuno può esercitare
un sapere se non lo pone in una dimensione di Umgreifendes64, non
totalizzante ma aperta criticamente; infatti, l’arte in qualità di scienza potrebbe sembrare, in un primo momento, appartenere al giurista,
in realtà anche gli scienziati perseguono lo stesso itinerario perchè si
presenta utile il legame tra «un’arte per trattare adeguatamente tutte le
idee in conflitto» e una «compiuta costruzione della connessione»65. E se
l’arte dell’argomentare è strettamente connessa, per Cicerone, all’arte
del dire, questa stessa «non ha modo di rifulgere se l’oratore non ha
studiato profondamente i problemi che dovrà trattare»66, anche dal
punto di vista tecnico. Per motivare l’interpretazione giuridica,
Schleiermacher fa derivare diritto (legalità) e comunità dallo stesso
principio: il primo «si riferisce all’esistenza del formato»; la comunità
«all’azione di perfezionamento non essendoci nessun formato senza
formazione, e nessuna formazione che non presupponga già un forR. PALMER, Cosa significa ermeneutica?, cit., p. 168.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 117.
64 K. JASPERS, Filosofia II, Torino, 1978, passim.
65 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., pp.116-117-118.
66 CICERONE, De oratore, I, 48.
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63
14
LUISA AVITABILE
mato»67. La comunità assume il significato di controllo della legalità e
della possibilità di cambiare le leggi laddove non rispettino la qualità
delle relazioni interpersonali improntate alla parità dialogica nella
differenza. Nell’interpretazione della legalità è necessario avviarsi da
‘regole combinatorie comuni’ e ‘sapere comune’68: «dal comune sapere originario seguendo delle regole si deve arrivare fino al punto
controverso»69. Arrivare al nodo della controversia significa riferirsi
ad elementi che pongano l’interprete in condizione di proiettarsi in
una dimensione giusta che Schleiermacher considera a cominciare
dall’«opposizione soltanto relativa tra organi formati e organi formanti, la partizione dei lavori è condizionata dalla possibilità dello
scambio, e lo scambio dalla separabilità delle cose e dalla possibilità
di usare le facoltà organiche dell’uno per gli scopi dell’altro./ Nello
scambio così condizionato si ha l’identità di diritto e comunità»;
scambio come disponibilità di ricchezza dell’uomo in-relazione, in
cui «la ragione, e quindi il singolo in quanto suo rappresentante, può
riconoscere unicamente il diritto personale, in quanto tutto può
giungere di nuovo allo scambio, e il singolo, in quanto organo della
stessa, può affidarsi soltanto alla comunità, nella misura in cui riceve
di nuovo da essa con riconoscimento della totalità»70. Alla base della
comunità lo scambio, ma non la fungibilità: ogni io riconosce
nell’alterità la titolarità di diritti universali ed incondizionati, rinviando alla comunità la formazione storica di tale riconoscimento. Lo
scambio ricondotto all’alveo del diritto permette di interpretarlo non
come utilitatum ma in qualità di dono, non come atto donativo di se
stesso – il che sarebbe riduttivo e anche banale – ma come «dono di
senso», vale a dire atto gratuito con intenzione donativa avente ad
oggetto una forma immateriale come quella del senso che nel diritto
equivale al ‘giusto’71 riconoscibile dalla comunità attraverso le procedure legislative.
In quest’architettura speculativa, certamente non esaustiva, che
porta alle riflessioni della Dialettica e dell’Ermeneutica di SchleiermaF. D. E. SCHLEIERMACHER, Etica, parte II, §29, in Scritti filosofici, cit., p. 438.
ID., Dialettica, cit., p. 120.
69 Ivi, cit., p. 122.
70 ID., Etica, parte II, §§36-37, in Scritti filosofici, p. 440.
71 B. ROMANO, Dono del senso e commercio dell’utile, Torino, 2011, p. 56. Cfr.
SENECA, De beneficiis, passim.
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68
15
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
cher, la ragione è condizione costitutiva del processo di interpretazione, non è riconducibile ad una procedura operazionale per cui «le
ragioni sono distinzioni di un osservatore», la ragione/le ragioni, in
un contesto sistemico-funzionale in cui il diritto assolve ad una funzione puramente immunitaria di reazione alle patologie che sorgono
nella società attraverso i conflitti, servono a distinguere. La questione
dell’osservatore (interprete) è in Luhmann autoreferenziale ed eteroreferenziale allo stesso tempo e le ragioni costituiscono soltanto
un’attività procedurale (operazioni), una base dalla quale avviarsi
per giungere all’argomentazione funzionale, vale a dire all’utilizzo di
una serie di ragioni funzionali alla logica immunitaria del sistema
giuridico che riconosce l’uomo solo in qualità di sistema biologico72.
L’interpretazione è strutturata come osservazione, il che nella teoria generale dei sistemi non rappresenta una novità, ma solo la continuità dell’opera sistemico-funzionale che trova elementi rigeneratori
nella proliferazione della complessità sistemica e in una ricorsività
immobilizzante. In questa direzione, l’applicazione della teoria dei
sistemi al diritto è una diretta emanazione di quanto afferma von
Bertalanffy: «esistono insomma dei modelli, dei principi e delle leggi
che si applicano a sistemi generalizzati e a loro sottoclassi, indipendentemente dal loro genere particolare, dalla natura degli elementi
che li compongono e dalle relazioni, o “forze”, che si hanno tra essi»73, esattamente come accade per la Grundnorm delle Ricerche logiche
di Husserl, ravvisabile nel momento in cui lo stesso Bertalannfy considera la teoria generale dei sistemi come «una disciplina logicomatematica, di per se stessa puramente formale, ma applicabile alle
varie scienze empiriche»74.
Queste considerazioni portano lontano da un concetto di interpretazione di Schleiermacher che, parafrasando Pareyson, può concretizzarsi in «espressiva» e «rivelativa»75: la prima a carattere meramente storicistico e quindi descrittivo, la seconda rivelatrice della veF. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 254; ID. Il valore della vita, cit.,
p. 127.
73 L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, Milano, 1968, p. 66.
74 Ivi, p. 73.
75 L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 1971, p. 16. cfr. G. BARTOLI,
Filosofia del diritto come ontologia della libertà: formatività giuridica e personalità
della relazione a partire dall’opera di Luigi Pareyson, Roma, 2008.
72
16
LUISA AVITABILE
rità che, nel caso dell’interpretazione non adeguativa, rinvia alla polisemia della parola, quindi alla libertà come espressione della persona. L’interpretazione diventa atto gratuito e quindi donativo perché
non implica un quid corrispettivo nell’attività del giudice e del legislatore che si differenziano da mercanti e dalla dimensione economica dello Stato. Lo Stato di diritto si compone difatti anche di mercati
e mercanti e nella communicatio utilitatum «denaro e merce sono concetti correlativi, e il denaro è tale solo nella misura in cui non è merce. Se quindi il denaro storicamente è realizzato quasi ovunque in
metalli nobili, ciò non si fonda su un valore che essi avrebbero direttamente nello stesso processo culturale, ma la ragione deve essere
cercata altrove, nella combinazione di rigidità e luce o in quale altro
luogo si voglia»76. L’antica questione dello scambio economico e del
dono non conduce ad uno svilimento del denaro che diventa necessità corrente, lo Stato di diritto è presente nella sua realtà anche economica, ma «senza alcun contenuto ideale il contenuto sensibile non
può essere in noi come atto reale, poiché così esso sarebbe soltanto la
molteplicità finita senza fine»77, infatti così come l’economia non rappresenta la genesi del diritto, neanche la negoziazione contrattuale si
può presentare come principium individuationis del diritto:
«un’origine dello Stato mediante contratto non è pensabile, in parte
perché il contratto, nella sua forma, esiste solo in virtù dello Stato,
che lo condiziona in maniera sostanziale, ma proprio allo Stato manca qualcosa della condizione di semplice contrattualità; in parte perché quel contratto dovrebbe sorgere per la forza della persuasione, la
quale però, dove il bisogno non urge, non può mai risiedere nel singolo; ma là dove esso urge, è operante anche la forza naturale, e il
singolo con la sua forza di persuasione può comparire solo come un
momento»78. In sintesi lo Stato di diritto non può essere una ‘formula
di contingenza’79 perché l’urgenza – anche del singolo individuo –
assume il paradigma dello Zeitpunkt e non della durata che necessita
sia la formazione dello Stato di diritto che l’istituzione e
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Etica, parte II, §40, Scritti filosofici, p. 440.
ID., Etica, parte II, § 121, Scritti filosofici, p. 452. V. anche W. DILTHEY, La
vita di Schleiermacher, cit.
78 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Etica, parte III, §89, Scritti filosofici, cit., pp. 485486.
79 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 214 e ss.
76
77
17
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
l’applicazione delle leggi, anzi Schleiermacher ritiene di poter criticare la questione dello Stato naturale o naturalisticamente considerato
perché esso si integra con l’urgenza come momento della normatività
biologica. Sia la struttura che la permanenza dello Stato risultano significative a livello della sua vita interna: «con lo Stato si afferma per
la prima volta la piena garanzia per la divisione dei lavori, il denaro,
quindi anche questa stessa divisione compare per la prima volta nella sua piena estensione»80 e con essa la possibilità di cominciare a rivendicare e/o pretendere il diritto al lavoro in una compagine strutturale coesistenziale che garantisca la formazione dell’individuo81.
3. Interpretazione equivale ad osservare? L’adeguamento è
un’interpretazione? Questi interrogativi conducono alla riflessione
sull’interpretazione come pensiero che non è mai adattamento ma
sempre critica, identificato con «quell’attività spirituale che ha il suo
compimento nell’identità col discorso e si rapporta a un referente posto fuori dall’attività medesima»82.
Si può facilmente argomentare che l’interpretazione serve a rendere chiaro un testo e, come notano alcuni studiosi, il problema
dell’interpretazione è una questione trasversale che si pone in tutte le
lingue, in tutti gli ambienti, per tutte le discipline anche per quelle
che non hanno immediata attinenza con ciò che all’inizio
dell’Ottocento venivano definite scienze dello spirito83. Se è vero che
interpretare significa comprendere il discorso dell’altro, è anche vero
che non è necessario differenziare tra interpretazione e interpretazione radicale84. Piuttosto la domanda è diretta al sapere e alla finalità di
colui che interpreta: è un dotto, uno specialista, un tecnico, e nel caso
delle discipline giuridiche deve essere necessariamente un giurista?
Si potrebbe rispondere in molteplici modi, ma ci si limita a considerare la forma del diritto e del particolare lessico che utilizza di volta in volta il legislatore, in qualità di giurista, il giudice e la dottrina.
L’interpretazione è strettamente connessa al sapere, ma quest’ultimo
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Etica, parte III, §104, Scritti filosofici, cit., p. 488;
ID., Il valore della vita, cit., pp. 94-95.
81 Cfr. ID., Sull’università, Napoli, 1995.
82 ID., Dialettica, cit., p. 145.
83 G. FIGAL, Oggettività, cit., p. 15 e ss.
84 D. DAVIDSON, Verità e interpretazione, Bologna, 1994, p. 193 e ss.
80
18
LUISA AVITABILE
è innanzitutto dialogo che, secondo la lezione di Buber è costituito
dai poli io\tu dai quali deriva la co-essenzialità dell’io e dell’alterità:
il «principio dialogico»85.
L’interpretazione più specifica è sempre ad opera di un interpre86
te , qualificato, nel caso della legge; l’opera ermeneutica spetta allo
iuris peritus87, ma, più in generale, la parola non è solo lessico specifico, ma in essa è presente l’ipotesi di senso, che sottratta immediatamente all’attenzione intellegibile, diventa non facilmente spiegabile e
dunque interpretabile88. Il rinvio al significato della parola, nel caso
del diritto, produce sempre un’attesa, anche uno sbigottimento che
spiega quanto l’interpretazione possa colpire il destinatario della lettera della legge89. Il rinvio al significato della parola giuridica non
può essere concepito unicamente come interpretazione causale, né
come logica interpretativa: l’aggiustamento della parola della legge
non è il funzionamento, anche sintattico, di un discorso90.
Queste riflessioni rendono comprensibile che il testo della legge
non è semplicemente un oggetto, una forma formata, un enunciato
normativo, ma ogni volta il rapporto tra l’interprete e l’opera diventa
inesauribile perché tale è la ricerca della verità. Non esiste uno statuto dell’interpretazione, un decalogo da rispettare, ma esiste il principio più iniziale per far sì che l’interpretazioni non diventi esecuzione
del già dato.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 90; M. BUBER, Il principio
dialogico, Cinisello Balsamo, 1999.
86 Vd. P. RICOEUR, Interprétation du mythe de la peine, in Il mito della pena, in
Esistenza mito ermeneutica, “Archivio di filosofia”, Padova, 1967, p. 23 e ss.
87 E. LEVINAS, Le Dialogue. Conscience de soi et proximité du prochain, in
“Archivio di filosofia”, Padova, 1980 p. 345.
88 Cfr. V. FROSINI, Lo spirito della legge, Milano, 1998; L. PAREYSON, Verità e
interpretazione, p. 27: «se è vero che la parola non può mai essere
un’enunciazione esauriente della verità, è anche vero ch’essa è la sede più
adatta per accoglierla e conservarla come inesauribile, giacché la verità non
tanto si sottrae ad essa per ritirarsi nel segreto, quanto piuttosto le si
concede solo stimolandovi e permettendole nuove rivelazioni».
89 Per una diversa interpretazione vd. Ch. S. PEIRCE, La natura del significato,
in Scritti scelti, Torino, 2005, p. 539 e ss.
90 CICERONE, De oratore, II, 36.
85
19
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
La parola della legge rinvia alla persona, che diventa così un io
posto in una dimensione condivisa (bene comune) e quindi non
«legge a se stesso»91.
Ci si aspetta dall’interprete innanzitutto la comprensione
dell’interpretato e non una semplice spiegazione. Anche la più banale teoria dell’argomentazione92 – nel diritto – rinvia a qualcosa di più
che ad un indottrinamento tecnico-linguistico93. Questo non significa
che l’interpretazione come spiegazione non possa trovare
un’allocazione tra i saperi. L’uomo necessita di spiegazioni, vive
dando motivazioni: ogni volta che il giurista sollecita il testo a ‘parlargli’ non si ferma mai alla lettera dell’enunciato normativo, richiama immediatamente l’intenzione del legislatore o del giudice e in
questo semplice rinvio risiede l’importanza della volontà, della motivazione e della scelta, in una parola l’interprete entra in empatia
con l’autore della legge, della decisione etc.94. All’interprete non si
chiede mai di giustificare, il requisito è la motivazione e anche se in
quella che Davidson chiama ‘interpretazione radicale’ vi è una specifica applicazione professionale su «proferimenti particolari», non si
può archiviare l’evento della interpretazione come formulazione manualistica, solo come argomentazione. Al giurista si richiede una
preparazione specifica (Bildung), ma allo stesso tempo il percorso
della sua formazione la rende implicita. Solo con l’interpretazione
come ermeneutica si possono mettere in luce (in claris) le iniquità e se
è vero che l’interpretazione non modifica proceduralmente una legge95, si deve convenire però che essa contribuisce a rendere manifesto
ciò che in quella legge non viene riconosciuto come giusto (rispetto
incondizionato dell’altro nella reciprocità), mostrando l’impossibilità
B. ROMANO, La forma del senso. Legalità e giustizia, Torino, 2012, p. 156 e ss.
G. CARCATERRA, L’argomentazione nell’interpretazione giuridica “ermeneutica
e critica”, Atti del convegno internazionale su Ermeneutica e critica –
Accademia nazionale dei Lincei, Roma, 1998, pp. 109-137.
93 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, Torino, 2004, p. 386 e ss.
94 E. STEIN, Il problema dell’empatia, Roma, 1986; M. NUSSBAUM, L’intelligenza
delle emozioni, Bologna, 2004.
95 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 338.
91
92
20
LUISA AVITABILE
che un’ interpretazione possa corrispondere unicamente ad una logica formale96.
Certo, la filosofia del linguaggio è la disciplina che meglio di ogni
altra può spiegare le strutture concettuali e la formazione degli enunciati. Numerosi sono gli scritti in questa direzione97 ma voler ridurre le menzogne, i comandi, l’ironia, ad un ‘atteggiamento del parlante’ e non anche ad una ‘volontà di senso’ è riduttivo per la filosofia del diritto e per l’arte dell’interpretazione. Il diritto in questa direzione, pone degli interrogativi che non possono essere nominati solo
come formali, ma necessitano di un ulteriore approfondimento in direzione di una critica a ciò che con si può definire ‘ermeneutica funzionale’. Marcare il significato rinvia proprio a de-finire, cioè porre
dei limiti a un significato riconducibile ad una delimitata griglia di
senso, ma il senso, inteso come chiave concettuale per scardinare il
concetto di argomentazione giuridica luhmanniano, non può subire
processi di recinzione, di delimitazione: va sempre oltre il detto.
Al
contrario,
Secondo
Luhmann
«nel
contesto
dell’argomentazione giuridica, l’osservatore osserva un testo e fornisce, mediante l’interpretazione di esso, lo spazio libero per una bozza
di fondatezza che prende in considerazione punti di vita relimitatori»98, questa accezione interpretativa parte da un limite per
assecondare nuovi limiti che nulla hanno a che vedere con la struttura dell’interpretatio come opera creativa che incontra e allo stesso
tempo critica il diritto positivo. Come è proprio delle modalità sistemico-funzionali l’interpretazione rappresenta se stessa e il sistema in
una sorta di gioco di scatole cinesi in cui il continuo rinvio ai limiti
non è altro che un’autoreferenzialità escludente di tutto ciò che non
partecipa al concetto di funzione. Alla stregua di un osservatore,
E. HUSSERL, Ricerche logiche, II, Roma, 2005, pp. 291 e ss.; ID., Metodo
fenomenologico statico e genetico, Milano, 2003, p. 53 e ss.; F. D. E.
SCHLEIERMACHER, Dialettica, Torino, 2004, p. 411 e ss.
97 Cfr. fra l’altro J. DEWEY,
Logica sperimentale: teoria naturalistica della
conoscenza e del pensiero, Macerata, 2008; P. GRICE, Intenzioni, significato,
comunicazione: la filosofia del linguaggio, Bologna, 1997; L. WITTGENSTEIN,
Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, 1964; A. TARSKI
Introduzione alla logica e alla metodologia delle scienze deduttive, Milano, 1978.
98 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaf, cit.
96
21
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
l’interprete luhmanniano non può sentirsi soddisfatto solo nel momento in cui presenta un’interpretazione come la migliore, ma deve
ponderare quale interesse nasconde una simile interpretazione bilanciando una giustificazione che muova dalla testualità normativa con
un’astratta cognizione di Dike (=formula di contingenza della giustizia), l’interprete «può permettersi libertà interpretative solo con
l’intenzione di tornare a restringere le libertà di interpretazione, con
l’aiuto del diritto». Paradossalmente in Luhmann la finalità
dell’interpretazione è quella di porre limiti alla possibilità della libertà attraverso la legalità e non di restituire qualità giuridica alle relazioni interpersonali: l’interpretazione limita la libertà, la restringe
senza che ci sia bisogno di qualificarla unisemica o polisemica, in
questa direzione è ridotta all’argomentazione nella pretesa di archiviare l’ermeneutica come comprensione dedotta dalla precomprensione, del sentimento come Einfühlung. Nella teoria sistemico-funzionale il concetto di interpretazione è strettamente connesso a
quello di restrizione della libertà autoreferenzialmente imposta. Infatti, l’interprete non si avvale di ‘buone ragioni’ poiché queste «da
sole, non sono sufficienti», ma deve continuamente dimostrare che
«hanno una consistenza rispetto al diritto vigente – per esempio, si
divide una norma in due interpretazioni differenti, per poi considerarne solo una e presentare l’argomento come qualcosa di fondato.
Solo quando la consistenza è provata mediante il diritto vigente interessa in quale misura le buone ragioni siano buone». Lo stile
dell’argomentare invade le pretese dell’ermeneutica, diventando così
una maschera che però non mette in questione la libertà interpretativa, ma la pone sotto il giogo dell’ermeneutica funzionale. Ecco perché in Luhmann l’ermeneutica come capacità di comprendere non
trova spazio, ma tutto il suo lascito sull’interpretazione è ridotto ad
un argomentare, quindi alla capacità di sapersi destreggiare – mediante una professionalizzazione a statuto tecnico – tra gli argomenti
con eleganza ed economia di risorse, onde evitare la derisione e il fallimento che porterebbero ad un incipit dis-funzionale99.
Luhmann finge di innovare l’argomentazione formale tralasciando
le varie tipologie di argomenti come argumentum a simili, regola di
giustizia; argumentum a fortiori che porta Perelman ad affermare:
«quando l’argomento a fortiori è inserito in un ordine giuridico, esso
99
CICERONE, De oratore, 49-52.
22
LUISA AVITABILE
consente di guidare il giudice e di giustificare nella decisione» 100; precedente, ratio decidendi e spirito della legge. La riduzione sistemicofunzionale prevede un solo tipo di argomento, quello autoreferenziale, in cui il concetto di interpretazione è sottoposto ad una consistente ricerca della funzionalità che tenta di isolarsi nella monade differenziata dei sistemi101, accettando il flusso di operazioni che continuamente strutturano il sistema in una costanza di elementi ricorsivi,
ripetitivi, differenziati. L’ermeneutica funzionale soggiace al canone
secondo il quale non è possibile non sottostare ad un codice binario.
Lo stesso osservatore che in Luhmann è quadrimensionale nella
sua attività di interprete, sistema, legislatore e giudice (in realtà poi
nell’opera dei sistemi tutto è sottoposto ad osservazione che processa
le elaborazioni del sistema attraverso l’attività di distinzione e designazione dei materiali da osservare), nella sua attività «non si può
accontentare di richiamare l’attenzione sulle sue preferenze e sui suoi
interessi» poiché è sottoposto costantemente ad una Formzwang da
riferire al sistema, proprio nella codificazione binaria che nel caso del
diritto è formato dai poli diritto/non-diritto. Questo non è ancora sufficiente – secondo Luhmann – a qualificare l’argomentazione, infatti
per comprenderne appieno i risvolti bisogna collocarla nel processo
di varietà e ridondanza che dovrebbe condurre ad un’osservazione
di terzo grado – dopo quella di primo (legislatore) e quella di secondo (giudice) – cioè osservare come vengono osservati gli osservatori102. Sono quindi i momenti della varietà e della ridondanza a riprodurre una sorta di binarietà codicistica dell’attività interpretativa. Il
primo momento è necessario al sistema per alimentare la complessità; la varietà è l’elemento predominate nel concetto di sistema funzionale, allo stesso tempo è necessario anche chiedersi perché la dimensione immediatamente meno superficiale del concetto di interpretazione va a scontrarsi-incontrarsi con il concetto di ridondanza
che è una sorta di surplus non identificabile con il plus di senso ma è
condizione necessaria senza la quale il sistema non avrebbe possibilità di continuare le proprie operazioni e verrebbe privato dell’input a
direzionarle verso altri sistemi.
Ivi, p. 31.
L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, cit., pp. 59-60.
102 N. LUHMANN, Das Rech der Gesellschaft, cit., p. 358.
100
101
23
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
Ciò che nel comune concetto di ridondanza suona come soverchiante, nella teoria dei sistemi diventa motivo di recupero: nulla si
distrugge, tutto è in divenire e se qualcosa viene dimenticato dal sistema c’è sempre tempo per recuperarlo attraverso la differenziazione funzionale generatrice del fondamentalismo funzionale.
Interpretazione e argomentazione: solo la seconda per Luhmann
«va oltre. Valuta gli argomenti in considerazione della sua forza di
convincimento nel processo di comunicazione»103. Ma allora cos’è
l’interpretazione?104 In cosa può differenziarsi dall’argomentazione,
cosa significa ermeneutica per la teoria sistemico-funzionale? Se queste dimensioni sono rilevanti per il diritto è necessario anche esercitarsi in una tipologia di interpretazione che Socrate ha comunicato
con la maieuetica: l’arte di estrarre qualcosa, che in Schleiermacher si
trasforma, nel caso della dialettica 105, in «arte di condurre un dialogo»106, in – parafrasando Kant –arte della ragione dove il giurista è
chiamato a compiere il dovere non certo sacerdotale, ma ormai laico
di interpretare la legge senza essere la bocca della verità, sottoposto
alla sola condizione di ricerca del senso della parola che in von
Humboldt acquista un valore immediatamente non intellegibile e
quindi interpretabile. Per Luhmann è una forma a-due-versanti che –
sedimentata nella operazionalità a statututo binario – permette
all’interprete di selezionare i materiali in direzione di uno dei due
poli del codice diritto/non-diritto senza possibilità che si diano processi empatici, ma solo entropatici, vale a dire quel minimum di partecipazione determinato dalla circostanza macchinica di essere operazioni dello stesso sistema.
Partono proprio da qui le considerazioni intorno al claris non fit interpretatio che viene considerato semplicemente una questione relativa alla chiarezza della lettera della legge, ma la legge non può essere
chiara perché in realtà è necessario sempre un’istruzione
dell’interpretazione che non sia meramente interpretatio letterale ma
interpretazione estensiva creativa, diretta non alla persecuzione o alla produzione di un danno dell’alterità, ma al contrario a perseguire
Ivi, p. 344.
D. DAVIDSON, Verità e interpretazione, Bologna, 1994, p. 193 e ss.
105F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, Torino, 2004, p. 75.
106 Ivi, p. 76.
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LUISA AVITABILE
un’ermeneutica la cui finalità ultima è la ricerca del giusto nella testualità giuridica, misura dell’apparato logico-formale.
Come si concilia la disciplina interpretativa con la testualità? Esiste la polisemia interpretativa? Secondo Pareyson, «il fatto è che la
pluralità dell’interpretazione, lungi dall’essere un difetto o uno svantaggio, è il segno più sicuro della ricchezza del pensiero umano,
tant’è vero che nulla è più assurdo che voler concepire
l’interpretazione come unica e definitiva»107. Proprio da qui il concetto di ermeneutica funzionale è messo in discussione:
l’interpretazione al servizio del fondamentalismo funzionale costituisce un’anomalia per l’uomo e per il diritto, incapsulata nella teoria
dei sistemi108 assume su di sé la qualificazione più effimera
dell’argomentare giuridico. In essa il diritto non è più considerato
come fenomeno ma come fatto che esclude: il fatto del più forte che
assorbe paradigmi fortemente biologicizzati (= le legge del più forte)
che si muove dalle considerazioni di una determinazione del biodiritto, attraverso una strategia di imposizione fattuale che disconosce il logos come esercizio della libertà.
Luhmann è solo uno dei teorici della teoria sistemico-funzionale,
un osservatore di una prassi meccanica che arriva ad essere cinica
soprattutto se coinvolge dimensioni rilevanti per l’esistenza di ogni
uomo quali la giuridicità. Se il diritto è un sistema=fatto, inteso quale
qualificazione del più forte, leva contro il debole, strumentario scagliato da una cerchia di intoccabili, allora la via che si va costruendo
è quella del fondamentalismo funzionale che non cerca misure esistenziali ma impone senza possibilità di dialogo, quindi archivia il logos=scelta responsabile e libera dell’humanitas109.
4. Il diritto può essere considerato unicamente un sistema?110 Vale
a dire una struttura attraversata da una coerenza logica interna per
cui il tutto accade sotto il segno incontrastato della consequenzialità,
dello scorrere del flusso vitalistico=operazioni spiegato da
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, p. 56-57.
H. G. GADAMER, La responsabilità del pensare. Saggi ermeneutici, Milano,
2002, p. 7 e ss.
109 F. D. E. SCHLEIERMACHER, Il valore della vita, cit., p. 140.
110 L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo,
applicazioni, cit., p. 63 e ss.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
un’ermeneutica funzionale? Dal momento in cui alcuni studiosi hanno cominciato a discutere di sistemi, il concetto stesso ha colonizzato
la struttura concettuale del modo di pensare anche la globalizzazione, oltre che l’umano in generale. In questo proseguimento di una
microarcheologia dell’interpretazione è utile pensare alle radici complesse del pensiero sistemico, a partire da von Bertalanffy, e allo stesso tempo a tutto ciò che appare particolarmente innovativo sotto le
definizioni di organizzazione, complessità, ‘programma condizionale’ che trova un riscontro immediato nei teorici dei sistemi. Indubbiamente la questione dei sistemi riconduce alle posizioni di Leibniz,
Cusano, Paracelso, Vico e Ibn-Khaldu’n che possono essere annoverati tra i principali iniziatori di una concettualizzazione sistemica, nel
‘900 si possono ricordare Koehler e Lotka. Il nuovo approdo della
teoria sistemica è stato quello di ambire ad una sistematizzazione di
tutti i fenomeni interpersonali, compreso il diritto, anche se l’uomo
in quanto tale esula da un paradigma meccanicistico così come organizzato nella filosofia di Whitehead. Ogni volta vi è una rivalutazione del sistema sulla base di un lavoro sperimentale; decisive, a tal proposito, le ricerche biologiche, come quelle cibernetiche
accolte per un’aspirazione divulgativa da Norbert Wiener, e da ultimo quelle neurobiologiche .
Nella discussione sul diritto come sistema – sulla base
dell’impronta data dagli studiosi citati – il caos dell’accadere non è
ripercorso attraverso la semantica della mancanza di organizzazione,
ma solo come rete con una logica senza senso laddove per senso si intende quello che ogni uomo sceglie, nel rispetto dell’altro, per dare
una forma alla propria esistenza. Allo stesso tempo è utile considerare che il senso del diritto, tradotto nella logica immunitaria, è rappresentata dal suo codice binario, sulla base del quale tutto avviene
all’insegna della binarietà codicistica, secondo un dictat improntato al
funzionamento: la norma è una forma con i suoi costi sociali, il che
significa che assolvendo all’impegno di avere una forma quest’ultima
diventa il motivo primo, la Grund della norma stessa che finisce con
il confondersi con il senso del diritto. Il fondamento diventa dogma,
rottura del paradosso per costituirsi come recinto, grata da non poter
scavalcare dove i miserabili diventano sempre più miserabili e gli oligarchi si irrigidiscono nella loro divinazione del diritto come tecnocrazia. Il diritto diventa strumento di chi lo fa parlare, ma non strumento universale ed incondizionato, sino ad un conflitto tra interpre-
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LUISA AVITABILE
ti diretto a riconoscere l’interprete per eccellenza in colui che riesce
ad avere ragione in tutte le sedi anche nel tradimento dello spirito
della legge, così la parola viene qualificata in base alla posizione di
chi la dice (censo, appartenenza politica, religiosa, economica etc.)
nei luoghi istituzionali trasformati in sedi di potere111.
In questo modo, la norma si trova ad essere asservita alla forma,
non si sottrae all’informe né ad una forma già definita, nessun oligarca si sognerebbe di alleviare il tradimento della giuridicità facendo
parlare la legge in direzione dell’io, ma vincola la parola della legge
alle leggi dei mercanti, creando l’esclusione di chi, pur essendo titolare della parola, non è titolare del finanziario. L’investimento finanziario ad alto profitto sembra essere diventato il trend dei mercati:
l’economia non è più un rapporto interpersonale diverso dalla politica, dalla religione o da altre forme interpersonali, ma si vede confinato in un fondamento indifferenziato dove l’unica differenza è quella
che ‘concede democraticamente’ il mercato o i mercati.
La relazione tra diritto e mercati è impossibile da scavalcare, è infatti sempre necessario mantenere distinti gli ambiti ma allo stesso
tempo considerare che diritto ed economia necessitano di rapporti
tra di loro. Le relazioni prodotte dal mercato sono destinate ad assolvere ad un profitto che rimane confinato in dimensioni non condivise
né condivisibili. I cosiddetti scambi umani emergono a vantaggio di
quella che secondo il lessico luhmanniano potrebbe definirsi interazione sistemico-funzionale, con una priorità del linguaggio dei prezzi
sul linguaggio di quei diritti dell’io universali ed incondizionati, base
per l’istituzione di leggi generali ed astratte sempre attraversate
dall’interrogativo sul giusto.
In questa architettura la riduzione della complessità, incipit più iniziale della teoria sistemico-funzionale tenta di ridurre la giuridicità – anche nella sua dimensione interpretativa – a livelli di intelligibilità immediata, banalizzata dall’invenio della binarietà codicistica che
conduce sempre di più al management di un dualismo schematico
privo del rinvio della norma alla questione del giusto. Allora non rimane che accontentarsi del ruolo che viene concesso al diritto da altri
sistemi di potere o gerarchicamente più dinamizzati e più evoluti rispetto al sistema giuridico che arranca alla ricerca di punti di appoggio meno deboli rispetto all’interpretazione che nel sistema luhman111
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Il valore della vita, cit., p. 141-142.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
niano serve solo come simbolo di validità del sistema-diritto, fortemente accentrata in tutta la fase di costruzione delle leggi: «quello
che appare come “teoria dell’argomentazione” consiste, sostanzialmente, nel raccomandare argomenti propri per procedimenti adeguati, senza che si faccia attenzione a come i giuristi argomentano realmente nelle situazioni pratiche»112, si tratta forse di una fictio? è
l’ennesimo maschera costruita nei confronti di questioni inaccettabili
sotto il profilo meramente essenziale che trova riferimento in una
condizione nichilistica? Da dove deriva questa intenzione di utilizzare la teoria dell’argomentazione allontanandola da una considerazione di concretezza esistenziale o di realismo fenomenologico che tanta
attenzione destina alla questione dell’interpretazione? In realtà la risposta di Luhmann è in direzione di un’argomentazione sistemica
che aiuta il disfunzionale ad uniformarsi e non ad interrogarsi come
nel caso dell’interpretazione.
Fino a qui è possibile servirsi di quella microarcheologia che serve
da base per affermare che l’ermeneutica funzionale non è causata solo da operazioni meramente formali, ma arriva a considerare che le
questioni essenziali riguardano il funzionamento del linguaggio attraverso tecniche interpretative che nella storia dell’interpretazione
sono state sempre presenti sotto forma di una «tecnica seduttoria»113.
Progressivamente anche la certezza del diritto è confinata in un momento che attiene alla configurazione sistemico-funzionale che investe la terzietà del diritto; l’esecutività della norma, l’obbligatorietà, la
sua forma da destinare a una classe omogenea di individui (=trattare
l’uguale in modo eguale e il diseguale in modo diseguale) rende viva
la volontà di chi si vuole affermare sul debole costringendo a supporre che il diritto dei deboli sia un debole diritto. Ne deriva una
classificazione modulistica del diritto che viene così ad essere una
semplice ratio osservatrice in una temporalità contingente, cioè
nell’assolutizzazione di un presente che diventa astoricità meramente procedurale. La temporalità non è più dilatazione, ma riduzione
ad un momento, hic et nunc, Zeitpunkt in cui l’uomo si consuma
nell’atto in cui si temporalizza114. Il tempo diventa un consumo della
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 344.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p. 77.
114 S. COTTA, Il diritto e l’appropriazione del tempo, in Temporalità e alienazione,
“Archivio di filosofia”, Padova, 1975 p. 179 e ss.
112
113
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vita e nella contingenza assume il paradigma di una fictio, l’uomo vive il momento, egli stesso procedura di passaggi temporali bruciati
nel momento in cui si dà, senza lasciare un’orma. In mancanza di
memoria, viene meno anche la storicità che lascia il posto alla cronologia, rappresentata nel diritto da un rinvio non temporale ma logico-formale alla validità della norma, uno scadenzario del diritto vigente, autonomo perché referenziale nella sua ambizione a perseverare nell’affermazione di forme emergenti in virtù della forza, ma
non qualitativamente determinanti.
La questione della testualità del diritto rappresenta proprio la
quaestio di quel rapporto che permette di perseverare all’interno della
ricerca del senso, della finalità del diritto e della produzione della
norma da parte dell’autorità115 legislativa, che non può confinarsi in
una mera rappresentazione; la testualità della legge non è il testo della legge, ma rappresenta qualcosa che va al di là del dato testuale e
rinvia al processo interpretativo, esposto alla libertà dell’interprete e
non al recinto del sistema.
Il giurista ha la possibilità data dalla forma del diritto, risultato di
un processo di elaborazione che parte dalla parola e si congiunge ad
essa nell’interpretazione e che attiene alla qualità della legalità, al suo
rapportarsi con la finalità ultima non mistificabile che è l’homo juridicus116.
Non si tratta di formulazioni legate ad uno spirito di gioco del diritto, il diritto non può non considerare l’individuo come essere indiviso (individuum) non frammentato ad uso e consumo dell’homo consumens. L’uomo rappresenta sempre qualcosa che va oltre la fisicità,
è l’io non idenficabile con il me delle funzioni di cui discute Bruno
Romano nella sua opera.
Se permane la convinzione che la giuridicità è riducibile al pari
della complessità certo è difficile pensare ad una condizione in cui la
controversia assuma solo il paradigma del conflitto117 – e non quello
della ‘controversia di senso’ – da risolvere in tutta fretta perché costituisce un pericolo per il sistema stesso. D’altronde non è nuova la
X. TILLIETTE, La tentation de l’autorité, in L’ermeneutica della libertà religiosa,
“Archivio di Filosofia”, Padova, 1968 p. 177.
116 Cfr. A. SUPIOT, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del
diritto, Milano, 2006.
117 C. PERELMAN, Logica giuridica nuova retorica, Milano, 1979, p. 10 e ss.
115
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
concettualizzazione del diritto come fonte di conflitto e della «logica
giuridica come logica della controversia»118 sulla base della quale Perelman discute della controversia non finalizzata ad essere alimento
del diritto, ma produzione di argomenti della controversia, dove i
conflitti tra le parti vengono regolati da una logica la cui funzione
prioritaria è anestetizzare il logos. Mentre Luhmann ritiene che il diritto serva a dare il pane quotidiano ai giuristi, Perelman considera
che «la giustificazione della decisione, il suo collegamento con il sistema pur essendo auspicabile diventa secondario»119, sottolineando
con questo che primario risulta «fornire soluzioni di conflitti di valori»120 dove però «l’argomentazione è essenzialmente adattamento al
proprio uditorio»121 È qui l’ambiguità dell’argomentazione in generale: senza controversie non ci sarebbe la regola che disciplina i conflitti
e la sua interpretazione; un mondo privo di controversie alimenterebbe la morte e il fallimento del diritto così come lo intende Luhmann e la stessa argomentazione, nel lessico di Perelman. La norma
è funzionale al conflitto, immaginare una norma che abbia il solo
scopo di disciplinare le relazioni tra parlanti è per Luhmann parte
della semantica del diritto. Allo stesso tempo se il giurista volesse
semplicemente appellarsi alla giustizia finirebbe col cadere nel ridicolo, il principio di giustizia rappresenta solo una formula di contingenza che scende dalla vetta dell’olimpo per divenire terreno e la
giustizia colpisce a caso semplicemente perché non si sa certamente a
priori chi sarà il più forte, ma è senz’altro intellegibile chi è il più debole.
La funzione del diritto priva del controllo della giuridicità, e di
un’interpretazione volta a mettere in discussione la legalità ingiusta,
fa sì che anche la terzietà diventi semplicemente funzionale. Il terzo
legislatore ed il terzo giudice122 assolvono ad una funzione additiva
di terzietà. Il legislatore è trasformatore delle aspettative sociali in
aspettative normative, in norme, prive di un controllo qualitativo alimentato dalla interpretazione, ma solo funzionale. Diventa così giustificabile che il legislatore si rivolga ad un medium simbolicamente
Ivi, pp. 10 e ss.
Ivi, p. 11.
120 Ibidem.
121 Ivi, p. 15.
122 Ivi, p. 142 e ss.
118
119
30
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generalizzato come il danaro, facendo così trapelare che
l’uguaglianza del mercato è un’uguaglianza sostanziale, omettendo
però che sul mercato non si può essere uguali se non a parità di capacità economica, in esso si accede già in misura diseguale che si
perpetua all’infinito sino a morirne.
L’argomentazione diventa un nesso formale con la validità che
tiene a considerare solo e semplicisticamente il già dato e il diritto costituzionale diventa, in alcuni paesi, l’oracolo dal quale far scaturire
tutte le altre norme: l’interpretazione delle norme è orientata sempre
alla norma costituzionale in qualità di norma fondante. E in questa
direzione l’argomentazione giuridica può essere annoverata tra gli
equivalenti funzionali del sistema giuridico che non può prescindere
dalla legalità.
«Se si osservano l’interpretazione, l’argomentazione e la fondazione come operazioni del sistema giuridico, allora la deduzione logica cade sotto questo concetto. È contrassegnata da un particolare
tipo di sicurezza, o più esattamente: dalla forma logicamente costrittivo/logicamente errato. Così, la logica manipola in modo tale
l’operazione che è possibile l’attribuzione univoca ad un versante o
all’altro della forma.». Nel contesto teorico-sistemico e più specificamente nel contesto dell’organizzazione della ridondanza, la logica ha
una funzione specifica perché «la ricostruzione logica dell’argomento
giuridico è … una tecnica di confutazione, riorganizzazione dei fondamenti, soprattutto in favore di un’altra decisione. Però oltre a ciò la
logica ha anche una funzione positiva. Serve ugualmente, come la
predizione di conseguenze della decisione, alla canalizzazione di irritazioni. Se e per quali ragioni, le aspettative normative sono disturbate
o poste in dubbio, allora la logica indica ciò che nel caso di sua modifica dovrebbe essere ancora modificato. Come si sa, la trasformazione
delle aspettative da cognitive in normative non si può costringere in
modo logico. Dai fatti non si possono dedurre le norme. Tuttavia, se i
fatti stimolano sufficientemente le norme, allora, con l’aiuto della logica si può riconoscere quali conseguenze avrebbe una modificazione
normativa, un overruling, ecc., nel sistema. La logica mette a disposizione una rete di connessioni»123.
La questione dell’interpretazione pone oltre al problema della validità del diritto quello sulla certezza del diritto. Nella direzione di
123
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., anche p. 338.
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L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
una tipologia di logica costruita come sistema, certezza, validità, terzietà rappresentano solo un modello di ‘accoppiamento strutturale’
che nel concetto di sistema viene ambientato attraverso
un’argomentazione adeguativa124 e confinato nella semplice meccanizzazione programmatica dell’interpretazione.
C. PERELMAN, ivi, p. 27: «La logica giuridica è legata all’idea che ci si fa
del diritto e si adatta a tale idea».
124
32
LUISA AVITABILE
NOTA
Questo lavoro è il frutto di una collaborazione con gli studenti del
IV anno che hanno frequentato il corso Teoria dell’interpretazione e informatica giuridica (2011-2012) della Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Cassino.
In un momento di cambiamenti rilevanti è interessante vedere
quanto impegno richieda ancora il concetto di interpretazione giuridica legato a quello di argomentazione. Non sono stati vani i tentativi di
mettere ‘al lavoro’ gli studenti che si sono sentiti partecipi di un processo di elaborazione dei loro argomenti in un’esposizione continua
alla libertà.
Mi soffermerei sul concetto di libertà per collegarlo a quello di università (universitas) che è sinonimo di negazione di ogni tipo di oligarchia e di presa di potere elitaria. La dissidenza in questa universitas studiorum da un consenso politicamente sconfinante, che potrebbe
assorbire la reale responsabilità di ogni studioso125, diventa un valore
aggiunto quando l’Accademia non è quella delle poltrone, ma quella
dei banchi delle aule e del proprio tavolo da studio dove continuamente siamo chiamati (vocatio) a umiliarci di fronte alle pagine scritte
dai classici nella consapevolezza che il diritto difficilmente può assimilarsi ad altri concetti o ad altre dimensioni: la natura, il tecnicismo,
la scienza, la linguistica.
Quando si discute di diritto è necessaria una prospettiva universale ed incondizionata, la forma del diritto porta a considerare la differenza tra giusto e legale, a porre attenzione alla terzietà del diritto126 e
proprio lo sviluppo di questi elementi non permette di esprimersi nei
confronti della giuridicità attraverso metafore che portano ad identificarlo con la politica, l’economia, la religione ed altri fenomeni interpersonali peculiari nella loro affermazione. Proprio chi ritiene il
diritto una merce di scambio ne parla come di una parabola, ma il
giurista è consapevole che il nomos è prima di tutto logos, vale a dire
diritto primo di ogni persona a prendere la parola per manifestarla in
un luogo pubblico – quello dell’universitas – appunto res publica da
opporre a res nullius: il diritto non è il luogo della colonizzazione da
parte del più forte. Non a caso il concetto di parabola non viene mai
125
126
W. VON HUMBOLDT, Università e umanità, Napoli, 1970, p. 51.
Cfr. A. KOJEVE, Linee di una fenomenologia del diritto,Milano, 1989.
33
L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann
applicato, neanche per analogia, a quello di diritto, di giuridicità, di
interpretazione127. Il motivo è dato dalla circostanza che il giurista è
consapevole che l’incipit più iniziale del termine parabola è di origine
geometrica, infatti è definito come “il luogo geometrico dei punti del
piano equidistanti da un punto detto fuoco e da una retta detta direttrice” e anche nel suo significato metaforico ha conservato il significato di narrazione sintetica con finalità allegorica. Ma il diritto non è
un’allegoria, è qualcosa di diverso che necessita di quell’attività interpretativa che è rischio della libertà e che difficilmente si concilia
con il consenso come banale inclusione; il diritto rinvia immediatamente alla persona, alla sua dignità, al riconoscimento attraverso il
principio di uguaglianza nella differenza.
In questo senso, ho cercato di trasmettere agli studenti
l’argomentazione per cui il diritto non è la forza del più forte e il diritto dei deboli non è un debole diritto128, al contrario motiva alla continua ricerca del giusto nel legale. Sono orgogliosa di loro e simbolicamente di tutti gli studenti che in questi anni hanno partecipato ai
miei corsi dandomi ragione di poter trasmettere loro nel migliore dei
modi ciò che altri mi hanno insegnato.
Ecco perché i lavori qui presentati dimostrano la volontà di sapere
degli studenti, l’itinerario intrapreso non si avvia da oggi, le formule
sperimentate sono state molteplici nella consapevolezza che ognuna
ha rivelato elementi di insufficienza, ma ogni volta si è presentato
l’entusiasmo del ricercare-insieme. I colloqui con gli studenti che dalla mia ‘presa di servizio’ nell’Università degli studi di Cassino ho incontrato quasi quotidianamente mi trasmettono fiducia nelle generose possibilità del sapere, nell’importanza del dialogo, nella valorizzazione delle cosiddette risorse umane da qualunque luogo geografico
provengano.
Questo lavoro si propone come omaggio allo studente, in particolare allo studente di questa Università.
Folcara, a.a. 2011-2012
A proposito dell’analogia vd. F. D. E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, cit., p.
446 e ss.
128 ID., Il valore della vita, cit., p. 145.
127
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