lettera agli ebrei - Associazione L`Esperienza

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LETTERA AGLI EBREI
Introduzione
Se guardiamo alla struttura della lettera egli ebrei appare
chiaramente qual è lo scopo dell’autore. La lettera inizia con la
dimostrazione della superiorità del Figlio di Dio (cap. 1) cui
segue subito un’esortazione a non trascurare il messaggio della
salvezza portato da lui (2, 1-8) senza lasciarsi ingannare dalla
sua umiliazione terrena, che era anzi il presupposto per il
compimento della sua missione sacerdotale (di sacrificio e
offerta). Segue un’accentuata e minacciosa messa in guardia
dall’incredulità, che sarebbe fatale (3, 7 - 4,13). A questa si
contrappone, poi, la confessione di Gesù come il sommo
sacerdote (4, 14 - 5, 10) che viene anticipata anch’essa da un
brano d’ammonimento, che sottolinea con forza ancora
maggiore la gravità della caduta insanabile ma
anche un profondo incoraggiamento nella visione della fedeltà di
Dio alle sue promesse (5,11 - 6,20).
Soltanto ora comincia la parte dottrinale della lettera, che va dal
sacerdozio di Cristo, alla sua opera, al ruolo di mediatore della
Nuova Alleanza. Incontriamo, ancora, un’esortazione molto forte
a perseverare e ad essere saldi nella fede con l’indicazione
delle rovinose conseguenze della caduta (10,19 – 12,29).
E al centro di questa sezione troviamo il grande capitolo
esemplificativo dei testimoni della fede nella storia d’Israele
(cap. 11) che ci accompagnerà quest’anno nel nostro cammino
del sabato.
Dalla struttura appena illustrata, appunto, viene fuori una delle
caratteristiche della Lettera agli Ebrei: a sezioni di contenuto
dogmatico e dottrinale si alternano di continuo ampie esortazioni
ed indicazioni di carattere pratico-pastorale. E queste ultime
hanno un unico obiettivo, quello in pratica di richiamare con la
massima forza al dovere di mantenersi fermi nella
confessione di Gesù, fermi nella fede. L’autore grida a gran
voce che la perseveranza nella fede cristiana dà la salvezza.
Tutti gli sforzi sono concentrati su questo.
E le parti dottrinali della lettera non restano fuori del fine che
vuole raggiungere, ma anzi gli servono da fondamento; offrono
al lettore, a noi tutti fratelli, un aiuto perché possiamo
mantenerci decisi e sicuri nel nostro cammino.
Una convinzione dottrinale ordinata e ferma, vedete, per l’autore
sono la base di una duratura decisione della volontà.
- E’ chiaro, allora, che la lettera è indirizzata ad un gruppo di
lettori che é in estremo pericolo di rigettare la fede in Gesù
come rivelatore e apportatore di salvezza. Sono stanchi, le loro
gambe vacillano, c’è la tentazione di abbandonare tutto vista la
forma umiliante e dolorosa di Gesù uomo, viste le sofferenze
che
essi
stessi
devono
(persecuzioni di Roma).
sopportare
in
quanto
cristiani
Molto probabilmente si tratta, poi, di cristiani d’origine giudaica
(da cui il titolo “agli ebrei”); i lettori parlano in greco perché la
lettera è stata scritta originariamente in greco. La condizione di
pericolo, infine, ed alcune allusioni al loro passato (precedenti
persecuzioni) spingono a pensare ad un gruppo di persone
localmente delimitato che si potrebbe trovare a Roma.
Si dovrebbe allora pensare ad un gruppo di giudeo cristiani
all’interno della comunità romana.
- Secondo molti, ancora, la lettera sarebbe una di quelle scritte
da Paolo: è vero che ci sono affermazioni e qualche concetto
che richiama alla memoria Paolo di Tarso, ma il suo stile e il suo
modo di esprimersi sono assolutamente differenti. Resta, in ogni
caso, il fatto che l’autore è certamente una persona di grande
forza ed indipendenza spirituale, piena di profonda passione
cristiana.
- Il periodo di composizione si colloca tra la persecuzione di
Nerone (10, 32 ss.) e la Lettera di Clemente (95/96 d.C.) che
l’ha utilizzata; di dovrebbe poter datare la lettera intorno all’80.
La particolare importanza della lettera nel quadro del Nuovo
Testamento sta nella sua presentazione di Gesù come chi
supera l’istituzione cultuale dell’Antico testamento.
Paolo, Vedete, aveva insegnato che Gesù aveva superato e
dato compimento all’antica alleanza, aveva rilevato con forza e
con la sua stessa vita che la salvezza e la nostra giustificazione
(nel senso di essere stati resi giusti) venivano da Cristo e non
dalla legge e dal culto dell’antico testamento. Fine da
raggiungere non attraverso la via legalistica del farisaismo (“fa
questo e allora vivrai”) ma soltanto gratuitamente lungo la via
della fede nella grazia di Dio, manifesta in Cristo crocifisso. E
questo è proprio quello che fa la Lettera agli Ebrei.
E’ insito in essa il concetto del compimento, che corrisponde
anche a quello di purificazione della coscienza, santificazione,
redenzione, riscatto, remissione dei peccati.
Come avrebbe potuto cancellare i peccati il sangue di buoi e
arieti (10,4)? L’immagine di Cristo della Lettera agli Ebrei mostra
il sommo sacerdote che con la sua offerta (di se stesso) ci
ottiene una volta e per sempre il perdono, aprendo così
l’accesso a Dio.
Ma vedete, è bene dirci una cosa stasera: anche se le idee di
culto dell’A.T. sono ormai lontane da noi, le questioni e le
miserie contro cui si batte, non sono affatto solo del suo tempo
soltanto, ma accompagnano la comunità cristiana nel suo
cammino attraverso i secoli. Fratelli riguardano anche noi oggi, il
nostro tempo.
E anche la solenne severità con cui questo maestro sconosciuto
del I secolo, d’altissima spiritualità, presenta la grandezza di
Cristo che “ha trovato un’eterna redenzione, purifica le nostre
coscienze dalle opere morte per il servizio del Dio vivente, così
che possiamo accedere con il cuore pieno di gioia al trono della
grazia”; la solenne severità con la quale pone l’estrema
responsabilità della decisione di rimanere nella fede e di
rinnovarsi; tutto questo non ha perduto nulla della sua efficacia e
non lo perderà, finché ci saremo noi, cristiani discepoli di Gesù
Cristo Figlio di Dio.
Lettera agli Ebrei: Cap. 11, 1-3
“La fede è uno star fermi a ciò che si spera, un essere convinti di cose
invisibili. In essa gli antichi hanno avuto testimonianza. Per la fede noi
conosciamo che i mondi sono stati creati dalla Parola di Dio, così che non da
ciò che appare ha avuto origine quel che si vede.”
Il capitolo 11, saldamente e organicamente collegato con i
pensieri fondamentali della lettera, ci annuncia che l’elemento
che determina fondamentalmente l’essere e l’agire cristiano,
prendendolo e penetrandolo tutto quanto, è LA FEDE.
Il versetto 1ci presenta la definizione essenziale della fede,
posta qui non tanto per un interesse teorico o filosofico, ma con
un intento ed un animo parenetico, cioè esortativo, per mettere
in evidenza ciò che occorre, di cui necessitano i destinatari della
lettera (e noi oggi) e che essi devono sforzarsi di acquistare.
All’autore non interessa l’esattezza scientifica della definizione,
bensì indica un oggetto generale, quale è la speranza, e con
essa le realtà invisibili. L’esistenza del cristiano, allora, si
definisce, prende corpo a partire dall’avvenire, dalle realtà
sovramondane, escatologiche e trascendenti (pensiamo proprio
al vangelo di oggi).
E tutto questo fondato, fratelli, ricordiamolo sempre, solo ed
esclusivamente sulla RESURREZIONE di Gesù Cristo, alla
quale pure dobbiamo credere non avendone prova, se non nella
fede aiutata dalla Parola e dalle testimonianze di chi ci ha
preceduto sin da allora. L’alito di vita della nostra fede ha la sua
sorgente in quel mattino di Pasqua e nella sua energia di vita e
salvezza.
E’ bene che la comunità destinataria della lettera, e tutte le
comunità di cristiani fino a noi, si persuada che gli antichi,
elencati poi nel prosieguo della lettera in una lunga serie di
predecessori nel cammino salvifico della storia, furono soggetti
alla medesima prova (della fede e dell’affidarsi a Dio senza nulla
di concreto tra le mani) e che, avendola superata, furono accetti
a Dio, graditi a Lui.
In tutto il capitolo 11 l’autore esprime la sua idea fondamentale,
vale a dire che è all’opera sempre lo stesso Dio e lo stesso
Spirito, e si richiede all’uomo la medesima risposta, cioè la fede.
Gli antichi destinatari della rivelazione, avendo fornito buona
prova di sé mediante la fede, sono l’esempio di quel che anche
noi dobbiamo essere, poiché in un’economia imperfetta hanno
fatto quel che a noi è chiesto nell’economia perfetta. La fede
degli antichi nominati in seguito, poiché è in una penombra che
li metteva alla prova, può essere data come modello d’uno
sforzo, di una ricerca nella notte; diviene rimprovero e condanna
per quelli che, camminando in pieno sole (Gesù) si stancano e
si smarriscono (perdono la fede, hanno poca fede, richiamo alla
nostra responsabilità, alla nostra incredulità).
Veniamo alla definizione.
La fede viene definita come “fondamento”, hypostasis; questo
termine va anche tradotto come “star fermo a qualcosa”, “tenere
per”, “stare saldo”. Quando indica un’azione significa a)
sottoporre; b) star sotto, dipendere, e connota il carattere della
solidità e anche della fiducia. Se invece indica una cosa allora
designa il fondamento, quindi ciò che sostiene una cosa,
l’essere, la natura, la realtà. Capiamo bene entrambi i casi
sposano perfettamente cosa è la fede. Nel N.T. troviamo il
termine hypostasis cinque volte: Eb 1, 3 dove significa senza
dubbio “natura, realtà”, in 2 Cor 9, 4 e 11, 7 sembra assai
probabile, invece, il significato di “fiducia”.
Balza subito alla nostra attenzione che la fede è messa in
relazione con la speranza. Ci riportiamo a San Tommaso, che
molto ha studiato e commentato la lettera agli Ebrei. Egli indica
le ragioni principali di questo primo posto accordato alla
speranza. Ascoltate bene: la fede è emessa dall’intelligenza per
comando della volontà. Il fine proprio della volontà è la
beatitudine, quindi Dio stesso, che quaggiù non possiamo
vedere e raggiungiamo solo in speranza. L’intelligenza, per
credere, è messa in movimento dalla volontà, che ha come
oggetto proprio beni da raggiungere, quindi in speranza.
Il bene proposto dalla fede come suo fine è al plurale: delle cose
sperate; è così scritto perché esse non sono considerate se non
nella misura in cui ci mancano, in cui sono desiderate, in cui la
mostra volontà tende verso di loro.
Allora la fede davvero è fondamento, sostegno, deposito,
sedimento, fermezza, fiducia.
Fiducia come ferma attesa, convinzione delle cose di Dio
(sottolineiamo nei gruppi questi concetti e chiediamo ai fratelli di
esprimersi anche raccontando le loro difficoltà su queste
certezze): il credente si sente sicuro dei beni promessi da Dio.
La fede come sostanza, sottomettendo l’intelligenza, ci fa
ottenere quello che perseguiamo; poi ci rende presenti i beni
soprannaturali, ce ne dà quasi un primo possesso (come
leggiamo nella Scrittura… gustiamo le realtà terrene prima di
gustare un giorno quelle celesti). La fede ci garantisce
l’esistenza dei beni che desideriamo e la possibilità, e la
certezza, di raggiungerli.
Nella seconda parte della definizione spicca il termine
“elegchos”, che significa “dimostrazione”, “prova”, quasi una
precisazione della prima parte. E, in effetti, fonda la prima parte
della definizione.
Qui è affrontato l’oggetto proprio della fede, le realtà invisibili,
situate nel futuro come contenuto delle promesse divine, o
perché inaccessibili ai nostri sensi o alla nostra intelligenza. E lo
spirito dà il suo consenso unicamente per l’autorità divina di cui
è rivestita la rivelazione di Dio.
Torniamo di nuovo a San Tommaso. Trattandosi dello stato
d’animo dell’uomo il termine potrebbe essere tradotto anche con
“convincimento”, e San Tommaso, appunto, dice “la fede è una
predisposizione (habitus) dello spirito che, producendo il
consenso dell’intelletto alle realtà invisibili, ci fa iniziare la vita
eterna”. Il termine è qui tradotto dal santo come “inizio di una
cosa” e così viene detto allora della fede, per designarla come
l’inizio, il germe di quella visione di Dio, nella quale consiste la
vita eterna. D’altronde le realtà invisibili sono già esistenti in
mezzo a noi e non devono ancora venire, anche se non
riusciamo a percepirle con i sensi o con l’intelletto. E tornando al
carattere esortativo della lettera possiamo ancora definire la
fede come una presa di Dio, realtà suprema, esercita sull’uomo,
determinandone tutta la vita e facendogli fare prova di sé
nell’’obbedienza, nella paziente perseveranza e nella costanza.
Ecco la potenza della fede, la sua capacità di farci vivere già
nella nostra vita su questa terra le realtà di Dio, la sua presenza
viva, i suoi sacramenti, la sua chiesa. Solo per la FEDE. La sua
forza si manifesta quando dà la capacità di affrontare anche il
rischio più serio, quello di metter in gioco, con incrollabile
sicurezza, ciò che vediamo per amore di ciò che non vediamo,
di resistere attendendo con fiducia e con pazienza (torna il tema
della lotta spirituale, SOTTOLINEIAMOLO!!! – vita intrisa di
fede). Mi sento di dire, attualizzandolo e contestualizzandolo,
vale anche per i nostri rapporti fraterni, dove non è detto e non è
dato di vedere sempre i frutti dello Spirito, ma a volte siamo
chiamati a credere senza vedere, lottando nella convinzione.
Questa è la prerogativa delle grandi figure della storia della
salvezza e di tutti coloro che, per amore di ciò che speravano e
delle realtà invisibili, rinunciarono alla vita e agli onori terreni. Ed
è anche la caratteristica di Gesù, autore e perfezionatore della
nostra fede.
Prima
di cominciare la
serie
dei testimoni della fede
c’imbattiamo, infine, nel versetto 3, che parla della fede che ci
schiude la conoscenza della creazione, compiuta dalla Parola di
Dio. E’ una digressione ben legittima, vedete, poiché l’autore
vuole dire ai suoi destinatari che cosa è la fede in se stessa. Il
fatto stesso della creazione dei mondi per opera della parola di
Dio può essere percepito solo dalla fede; da essa risulta subito
chiaro che il centro di gravità del reale non è in ciò che si vede,
ma in quello che non si vede. E’ fondamentale per l’autore porre
l’accento che questo mondo visibile (il nostro mondo) non
poggia su se stesso, ma è come sospeso a qualcosa che sta al
di fuori di lui, che vien percepito solo nella fede, e tuttavia è la
vera realtà. I credenti ricevono dalla parola divina una prima
indicazione che dà loro un’intelligenza più profonda della genesi
dell’universo: non è la fede, ma una riflessione su un dato di
fede che porta alla verità. E’ nella scrittura che il credente
scopre che l’universo è stato creato dalla parola di Dio, senza
sforzo e senza usare una materia preesistente. Il credente in
questo modo comprende che non da elementi visibili, anteriori
alla creazione, proviene il mondo che vediamo. Dio, creatore,
procede in maniera ben diversa da noi, e questo modo della
creazione ci accompagna a comprendere il primato dell’invisibile
in tutto ciò che esiste, e che tutto dipende da Dio, è opera delle
sue mani ed a lui solo si riconduce.
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