Il più grande spettacolo dopo il Big Bang

Novembre 2014
Numero 13
www.accatagliato.org
Il più grande spettacolo!
dopo il Big Bang
Guth e il mistero!
dell’espansione “inflazionata”
L’Universo è come un gigantesco casinò
Le onde gravitazionali
istituto
dei sistemi
complessi
ROMA
TRE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
La rivista è disponibile on-line e come app per iPad e iPhone,
è navigabile sia da computer che da cellulare ed è scaricabile
nei formati PDF ed ePUB.
http://www.accastampato.it
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Accastampato è realizzato con il patrocinio del Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma, del CNR Istituto dei Sistemi Complessi (ISC), Unità Sapienza di Roma,
dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, del Dipartimento
di Fisica dell’Università Roma Tre, della Fondazione IDIS
Città della Scienza, dell’Associazione Romana per le Astroparticelle (ARAP) e la collaborazione della EPS Rome Young
Minds Section e dell’Associazione Frascati Scienza.
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ROMA
TRE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
Indice
num. 13, Novembre 2014
EDITORIALE
Le onde gravitazionali
Prima di tutto
di R. Marrocchio, D. Tartaglia
Non solo liquidi e gas. Anche lo spazio-tempo può vibrare
producendo onde gravitazioni, che possono essere usate
per guardare il cosmo profondo con nuovi occhiali e sotto
un’inedita luce.
5
Un corso di scrittura giornalistica per studenti e giovani
ricercatori organizzato da Accatagliato. L’annuncio della
scoperta dell’eco dei primi vagiti dell’Universo da parte
dell’esperimento BICEP2. Un tredicesimo numero di
Accastampato ricco di sperimentazioni alla frontiera della
fisica e della comunicazione della scienza.
Le inflazioni pericolose
12
17
di M. Botticelli, F. D’Ambra, F. Mariani
Di inflazione non ce n’è solo una: dall’idea originaria di
Alan Guth sono state formulate molte varianti, tutte in
attesa di conferme sperimentali che sanciscano quali siano
le più promettenti e quali invece pericolosamente sbagliate.
IL RICERCATORE ROMANO
Il più grande spettacolo dopo il Big
Bang
6
di V. Persichetti, G. Sestili
Cinquant’anni fa veniva scoperta la radiazione cosmica di
fondo. Oggi l’esperimento BICEP2 sembra avervi trovato
la prova della teoria inflazionaria, di quel periodo di forte
espansione dell’Universo immediatamente successivo al
Big Bang. Ma i dubbi sono ancora tanti.
LE SPALLE DEI GIGANTI
Mai cosı̀ prossimi al Big Bang
di V. Persichetti, G. Sestili
Intervista a Paolo De Bernardis, astrofisico e docente presso
l’Università Sapienza di Roma, sull’avventura scientifica
lunga un decennio di BICEP2.
ONDA LUNGA
Non infiammabile
Il mistero dell’espansione inflazionaria dell’universo
10
di M. De Simoni, D. Giovagnoli
Chi è veramente Alan Guth, il padre della teoria dell’universo inflazionario, nonché vincitore nel 2005 del premio
per la scrivania più disordinata?
19
22
di R. Paura
Dopo poco più di un anno dalla distruzione di Città della
Scienza di Napoli, il più importante science centre italiano
riparte con tante iniziative, grazie soprattutto al supporto
dei cittadini e dei suoi visitatori.
accastampato num. 13, Novembre 2014
3
accastampato
Rivista degli Studenti
di Fisica di Roma
www.accatagliato.org
EDITORIALE
R EDAZIONE
[email protected]
Prima di tutto
Alessio Cimarelli
Mai cosı̀ vicini a cogliere i primissimi segnali del Big Bang
Carlo Mancini
[email protected]
[email protected]
Nel mese di marzo 2014 sono avvenuti due eventi apparentemente molto diversi e distanti tra loro,
ma che in questi mesi si sono intrecciati fino a produrre questo tredicesimo numero di Accastampato.
Venerdı̀ 7 marzo ha preso il via il primo corso di scrittura scientifica divulgativa di Accatagliato, organizzato in collaborazione con la Rome EPS Young Minds Section, l’agenzia editoriale Formicablu
srl e finanziato dalla European Physics Society. Lunedı̀ 17 marzo John Kovac, a capo dell’esperimento BICEP-2, annuncia al mondo la prima osservazione diretta delle tracce delle onde gravitazionali
primordiali e del periodo inflativo post-Big Bang sulle fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo.
Il corso, strutturato in quattro lezioni dal 7 al 21 marzo, ha visto la partecipazione di 22 studenti, tra
laureandi, dottorandi e ricercatori post-doc. Tra loro 18 fisici, di cui due da astrofisica, due da geofisica e uno da storia e didattica della fisica, ma anche un ingegnere e un neuroscienziato. La sfida era
portarli a confrontarsi con la scrittura giornalistica, insegnar loro i trucchi del mestiere per raccontare
il proprio lavoro e i propri studi a un pubblico non specialistico, in particolare a giovani studenti delle
superiori alle prese con la difficile scelta di dove andare all’università una volta terminata la scuola.
A guidarli un quartetto d’eccezione: Nicola Nosengo, giornalista scientifico che collabora tra gli altri con Nature, The Economist e Wired, Giulia Bonelli, comunicatrice scientifica presso formicablu,
Manuela Cirilli, ricercatrice in fisica delle particelle presso il CERN di Ginevra e membro del Knowledge Transfer Group, e Massimiliano Razzano, ricercatore presso l’Università di Pisa e giornalista
scientifico freelance. Il risultato di quelle tre settimane di corso, e delle altre che lo hanno seguito, lo
avete davanti agli occhi: i nove nomi che vedete elencati qui accanto stanno per raccontarvi ciò che è
accaduto quel 17 marzo scorso, presso la stazione Amundsen-Scott South Pole in Antartide. . .
Sono state davvero trovate delle tracce di onde gravitazionali nella radiazione cosmica di fondo? I
segnali misurati da BICEP2 hanno davvero avuto origine durante il periodo di fortissima espansione
dell’universo pochi istanti dopo il Big Bang, oppure sono solamente l’inganno di emissioni infrarosse
di polveri spaziali? Valeria Persichetti e Giorgio Sestili ci descrivono tutti i dettagli di un esperimento
progettato per spingere il nostro sguardo indietro nel tempo come mai prima, a un passo dal “più
grande spettacolo dopo il Big Bang”. E lo fanno tornando anche a quelle prime azzardate ipotesi
di dieci anni fa, grazie alle parole e ai ricordi dell’astrofisico Paolo De Bernandis, presente durante
il seminario in cui fu proposto l’esperimento BICEP nel 2003. Uno spettacolo che ha un regista:
Alan Guth, il fisico teorico americano che nel 1980 propone la teoria dell’universo inflazionario, per
spiegare in una volta sola ben quattro delicate questioni lasciate aperte dalla teoria classica del Big
Bang. Micol De Simoni e Debora Giovagnoli ci presentano questo scienziato nel suo sforzo di
decifrare il “mistero dell’espansione inflazionaria”. Uno spettacolo che ha degli attori protagonisti:
sono la radiazione cosmica di fondo e le onde gravitazionali, la prima ben nota dalla storica scoperta
di Penzias e Wilson negli anni ’60, le seconde previste nell’ambito della relatività generale di Einstein,
ma mai rilevate sperimentalmente. Riccardo Marrocchio e Diana Tartaglia ci mostrano come anche
lo spazio-tempo può vibrare, tra palloncini di gomma e panettoni, in terra e nello spazio. E infine uno
spettacolo che non ha ancora un epilogo: anche se la teoria dell’inflazione venisse definitivamente
confermata dai dati sperimentali di BICEP e di altri esperimenti analoghi, le varianti ancora possibili
sono molteplici. Sono Michela Botticelli, Francesco D’Ambra e Francesca Mariani che ci aiutano
a destreggiarci tra universi eterni e universi ciclici, tra multiversi e “inflazioni pericolose”.
Ci teniamo anche a sottolineare il contributo di Roberto Paura, responsabile comunicazione della
Città della Scienza di Napoli, che, a un anno e mezzo dal rogo, ci racconta il grande sforzo della
ricostruzione e le innumerevoli iniziative già realizzate.
Ci teniamo infine a ringraziare ancora Manuela Cirilli e Massimiliano Razzano per il grande lavoro
che hanno fatto, dando ai nostri autori e a noi della redazione dei preziosi consigli che hanno permesso
di migliorare questo numero di accastampato.
Buona lettura!
Manuela Cirilli
[email protected]
Ilaria De Angelis
[email protected]
Roberto Garra
[email protected]
Kristian A. Gervasi Vidal
[email protected]
Niccolò Loret
[email protected]
Isabella Malacari
[email protected]
Massimo Margotti
[email protected]
Silvia Mariani
[email protected]
Angela Mecca
[email protected]
Martina Pugliese
[email protected]
C OMMISSIONE SCIENTIFICA
Giorgio Parisi
Giovanni Battimelli
Fabio Bellini
Lara Benfatto
Stefano Bianchi
Giulia De Bonis
Riccardo Faccini
Francesco Piacentini
Luciano Pietronero
Antonio Polimeni
Antonello Polosa
Maria Antonietta Ricci
H ANNO CONTRIBUITO
M. De Simoni, D. Giovagnoli, M.
Botticelli, F. D’Ambra, F. Mariani,
R. Paura, V. Persichetti, G. Sestili, R.
Marrocchio, D. Tartaglia.
C ON LA COLLABORAZIONE DI
EPS Rome Young Minds Section
Frascati Scienza
C ON IL PATROCINIO DI
Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma
Istituto dei Sistemi Complessi CNRISC, Sezione Sapienza di Roma
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
Dipartimento di Fisica dell’Università Roma Tre
Fondazione IDIS Città della Scienza
Associazione Romana per le Astroparticelle
accastampato num. 13, Novembre 2014
S I RINGRAZIANO ANCHE
Donald E. Knuth, Leslie Lamport, il
TEX Users Group (www.tug.org)
e Gianluca Pignalberi
Il più grande spettacolo
dopo il Big Bang
Tracce delle onde gravitazionali nella radiazione cosmica di fondo?
Valeria Persichetti, Giorgio Sestili
(Università Sapienza di Roma)
ontea di Monmouth, New Jersey, 1964. Arno Penzias e Robert Wilson sono alle prese con una coppia
di piccioni che, come luogo per costruire il proprio
nido, ha scelto proprio l’antenna del loro esperimento. Ben presto però, i due giovani fisici dei Bell Laboratories si
accorgono che il fruscı̀o rilevato dalla loro apparecchiatura non
è dovuto ai nuovi inquilini dell’antenna né a un rumore di fondo. Si tratta di qualcosa di molto più importante: il primo segnale elettromagnetico dell’universo, la radiazione cosmica di fondo
(Cosmic Microwave Background o CMB), risalente a 380 mila
anni dopo il Big Bang. Se paragonassimo tutta la vita dell’universo (13,7 miliardi di anni) a una giornata, la CMB apparirebbe
due secondi dopo la mezzanotte. Nel 1978 la scoperta della CMB
vale a Penzias e Wilson il premio Nobel.
C
Università di Harvard, Massachusetts, 2014. Esattamente cinquant’anni dopo la prima rilevazione della CMB, una misura potrebbe anticipare il limite temporale di ciò che è osservabile, portandolo praticamente alla nascita dell’universo. Infatti, sono stati
rilevati segnali compatibili con eventuali tracce di onde gravitazionali dovute all’espansione accelerata (inflazione) dell’universo nei suoi primi istanti. Le onde gravitazionali sono increspature nello spazio-tempo, previste dalla Relatività Generale di Einstein, ma mai osservate direttamente. A darne la notizia è John
Kovac, capo dell’esperimento BICEP2 (Background Imaging of
Cosmic Extragalactic Polarization), il quale la definisce come la
smoking gun signature of inflation - letteralmente la pistola fumante, espressione con cui gli inglesi indicano una prova certa
dell’inflazione.
Un risultato davvero sensazionale?
Innanzitutto, come già accennato prima, questa osservazione ci
proietterebbe per la prima volta a un passo dal Big Bang, precisamente a 10−37 secondi (un numero piccolissimo, con 36 zeri
dopo la virgola) dopo l’evento che ha dato origine all’universo.
Secondo il modello dell’inflazione, da questo preciso istante e
per un intervallo di tempo brevissimo, il Cosmo avrebbe subı̀to
un’espansione esponenziale. Ciò significa che, in un lampo, l’universo si sarebbe gonfiato di un fattore 1030 , cioè un 1 seguito
da 30 zeri. Proprio come un panettone che lievita, l’universo si
sarebbe espanso in modo uniforme in tutte le direzioni ed è per
questo che oggi ci appare quasi perfettamente omogeneo. Attenzione, abbiamo detto quasi. Infatti, fin dai primi anni ’90, il
satellite COBE (COsmic Background Explorer) prima, e più tardi
esperimenti con palloni d’alta quota come Boomerang e missioni
spaziali quali WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe)
e Planck, hanno rilevato piccolissime fluttuazioni di temperatura nella radiazione cosmica di fondo che indicano regioni di diversa densità (e quindi anisotropie). Quelle a densità maggiore,
avendo un’attrazione gravitazionale più grande, hanno inglobato
la materia circostante fino a formare le stelle e i pianeti come li
vediamo adesso. Per riprendere l’analogia del panettone, le galassie nell’universo in espansione, come le uvette, vengono trascinate a distanze crescenti man mano che il dolce in forno si gonfia. La teoria dell’inflazione prevede dunque la presenza, finora
mai rilevata sperimentalmente, dell’impronta lasciata dalle onde
gravitazionali sulla radiazione cosmica di fondo. Il team di BICEP2 l’avrebbe trovata proprio nella polarizzazione della CMB.
I suoi poco energetici fotoni, liberati nel momento in cui l’universo divenne trasparente alla radiazione, interagendo con la materia
hanno acquisito una polarizzazione, cosı̀ come avviene per ogni
onda luminosa. Gli occhiali 3D che indossiamo al cinema sfruttano proprio questo fenomeno: le due lenti hanno filtri che selezionano una delle due possibili polarità della luce1 , in modo da
discriminare le immagini prese da due punti di vista diversi e poi
proiettate sullo schermo. BICEP2 è stato realizzato per studiare
la polarizzazione del fondo cosmico. L’esperimento ha ottenuto
una mappa formata da piccoli segmenti di linea in ogni punto del
cielo. Si distinguono due componenti: i modi E, dovuti principal1
Figura 1 – Il telescopio BICEP2 presso la Amundsen-Scott South Pole
Station. Credits: Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics.
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La radiazione elettromagnetica può essere polarizzata in quattro
modi ma solo due sono indipendenti, ovvero uno stato di polarizzazione della luce può essere sempre espresso con una qualsiasi
coppia di modi.
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IL RICERCATORE ROMANO
mente a a variazioni di densità, e i modi B, che si generano solo
in presenza di onde gravitazionali, che nella Figura 2 sono quei
piccoli vortici intorno alle zone colorate, chiamati riccioli. Nel
marzo 2014 BICEP2 ha annunciato non solo di aver osservato i
modi B, ma anche che la loro intensità sembra essere più alta di
quanto previsto: il rapporto r (tra il contributo dei modi B ed E
) trovato risulta essere pari a 0,2, circa il doppio del segnale previsto da precedenti stime, mentre esperimenti precedenti, come
WMAP e BICEP1, erano riusciti solamente ad escludere valori
superiori a 0,7.
Figura 3 – I 512 rivelatori nel piano focale di BICEP2 sistemati su un
wafer di Silicio. Credits: BICEP2 COLLABORATION.
Il cielo sopra l’Antartide
Per capire come sia stato possibile effettuare questa misura, dobbiamo trasferirci tra i ghiacci dell’Antartide, precisamente presso
la Amundsen-Scott South Pole Station: qui, per tre anni consecutivi, è stata osservata una porzione di cielo con un telescopio
di 26 cm di diametro, ottimizzato per osservazioni nella regione
delle microonde, con una risoluzione angolare di 0,5 gradi e una
copertura angolare utile di circa 30 gradi per 15 (come si vede
dalla figura 2).
La scelta del Polo Sud, come sito in cui svolgere l’esperimento,
presenta due evidenti vantaggi: l’aria secca antartica favorisce le
osservazioni con telescopi radio e infrarossi, sensibili all’umidità
che può assorbire e riemettere il segnale causando interferenze,
mentre la durata di un giorno polare (circa 6 mesi) offre condizioni climatiche particolarmente stabili. BICEP2 è nato da una collaborazione tra istituzioni scientifiche statunitensi ed è stato finanziato principalmente dalla National Science Foundation (NSF),
che gestisce anche la stazione antartica. Non sono mancati, però,
finanziamenti da parte di altri importanti enti, tra cui la NASA,
che hanno permesso di sfruttare tecnologie avanzatissime: ne sono un esempio i 512 rilevatori assemblati nel piano focale del
telescopio e raffreddati fino a 0, 27 K.
La portata potenziale dei risultati di BICEP2 è tanto grande da
aver suscitato, fin da poche ore dopo l’annuncio, molti commenti,
alcuni anche parecchio critici; il primo a mettere in discussione
le dichiarazioni fatte ad Harvard è stato il fisico delle particelle
Adam Falkowski dal suo blog Resonances, che ha affermato che
il risultato di BICEP2 “non può essere preso per oro colato”. Le
sue parole sono state poi riportate da importanti riviste, come il
Washington Post e Science, che hanno dedicato articoli sull’attendibilità delle conclusioni di BICEP2. Uno dei primi punti da
chiarire è questo: siamo sicuri che il segnale in polarizzazione rilevato sia attribuibile esclusivamente alle onde gravitazionali? O,
invece, può aver subito contaminazioni? E se sı̀, in che misura?
il segnale, ad esempio, potrebbe essere frutto della contaminazione dell’emissione infrarossa delle polveri che contornano le galassie, compresa quella in cui ci troviamo. Tutte le polveri, infatti,
assorbono la luce emessa dagli astri, riemettendo radiazione infrarossa, come in un effetto serra galattico a bassa intensità. Questa
radiazione è composta da radiazioni polarizzate a bassa frequenza, specialmente nel campo delle microonde e potrebbe, quindi,
presentare tracce dei fantomatici modi B, il che rappresenta un
ulteriore problema per il team di BICEP2. La prima stima del rumore di fondo dell’esperimento era stata, inizialmente realizzata
a partire da risultati preliminari della missione satellitare Planck,
dai quali, però, non era ancora stato sottratto il contributo dovuto
al cosiddetto Cosmic Infrared Background o CIB.
L’infrarosso del fondo cosmico
Figura 2 – In evidenza la sezione di cielo osservata dall’esperimento
BICEP2.
La CIB è una radiazione elettromagnetica a bassa frequenza che
permea l’Universo, originata per lo più da fenomeni sia nucleari
che gravitazionali. Si capisce, quindi, come questa possa essere
una difficoltà in più nell’analisi dei dati di BICEP2: la squadra
di Kovac ha scelto di osservare una zona di cielo, detta Southern
Hole,in cui non sono presenti corpi celesti troppo luminosi che
possano emettere questa fastidiosa radiazione. Considerando il
problema più attentamente, però, si deve tener conto che circa il
20% del fondo infrarosso è dovuto, appunto, alle emissioni delle
polveri diffuse nei dintorni delle galassie: perché la nostra dovrebbe far eccezione? In conclusione quindi, la squadra di BICEP2, in considerazione di quest’effetto, ha recentemente dichia-
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IL RICERCATORE ROMANO
rato (nella versione finale del loro articolo pubblicato su Physical
Review Letters) di non poter escludere con sicurezza che il segnale da loro misurato sia originato da queste polveri. Nel frattempo
la missione satellitare Planck ha rilasciato ad ottobre 2014 la versione definitiva della mappa del fondo, dalla quale si evince che
un eventuale segnale emesso dall’interazione onde gravitazionali/materia nel periodo della ricombinazione 13,8 miliardi di anni fa, potrebbe non essere distinguibile dalle emissioni di modi
B delle polveri. Per ottenere dati più affidabili sarà necessario,
quindi, eseguire misure anche a frequenze diverse dai 150 GHz a
cui lavora BICEP2, per avere un quadro più dettagliato dei singoli
contributi alla polarizzazione e per scoprire quanto contino davvero le onde gravitazionali. Inoltre bisognerà lavorare molto sulla
presenza di eventuali errori sistematici, che inizialmente potrebbero non essere stati calcolati, e che potrebbero aver influenzato
la misura.
tiversi. Questa teoria prevede che il nostro universo non sia che
una di tante ”bolle”, ognuna delle quali generata da un Big Bang
e successivamente gonfiatasi tramite un processo inflazionario. Il
Big Bang e l’inflazione non sarebbero dunque eventi unici, bensı̀
riproducibili in eterno; e ogni volta che accadono eventi di questo tipo, si genera una nuova bolla, dunque un nuovo universo,
che vive in una dimensione spazio-temporale propria, parallela (o
almeno cosı̀ sembra) agli altri universi, compreso il nostro. Come sempre avviene in ambito scientifico, quando si è di fronte
a una scoperta che potrebbe rivelarsi epocale, gli scenari futuri
diventano immensi e imprevedibili. Alla domanda provocatoria
“Quanto lontano possiamo vedere?” che Andrew Lange, leader
dell’esperimento BICEP, scomparso quattro anni fa, spesso poneva, oggi John Kovac risponde cosı̀: “Molto più indietro di quanto
una volta avremmo osato immaginare” anche se, a quanto pare, ci
serviranno occhiali migliori.
Quanto lontano possiamo vedere?
Bibliografia
Quel che è certo è che, se in qualche modo le misure di BICEP2
venissero avvalorate da studi futuri, allora si potrebbe parlare di
evidenza sperimentale della teoria dell’inflazione cosmica. Ma
non solo. Lo studio del segnale prodotto dalle onde gravitazionali aprirebbe a quel punto nuovi scenari per la fisica delle alte energie (stiamo parlando di energie di 1025 eV, mentre LHC,
l’acceleratore terrestre a più alta energia attualmente in funzione e situato presso i Laboratori del CERN, raggiunge energie di
1013 eV) e per lo studio della gravità quantistica, ovvero la teoria
che da tempo cerca di mettere insieme, all’interno di un quadro
coerente, la relatività generale con la meccanica quantistica. Ma
non è finita qui. L’eventuale conferma della teoria inflazionaria
aprirebbe nuovi scenari riguardanti lo studio dell’ipotesi dei mul-
[1] Ade P. et al. Detection of B-Mode Polarization at Degree
Angular Scales by BICEP2. In Phys.Rev.Lett., vol. 112 (2014)
[2] Wall M. Confirming the Big Bang’s Inflation: Q&A with Study
Leader John Kovac URL http://goo.gl/6yw1sY
BICEP2 2014 Release FAQ: bicepkeck.org/faq.html.
Commenti on-line:
http://www.accastampato.it/
2014/11/bicep2_it/
Sull’autore
Figura 4 – La mappa preliminare del fondo rilasciata dall’esperimento
Planck nel 2013. Notare in alto a sinistra la dicitura ”not CIB subtracted”.
8
Valeria
Persichetti
(valeria.
[email protected])
è
laureanda in Ingegneria Chimica all’Università
Sapienza di Roma, con specializzazione in
Materiali. Appassionata di letteratura scientifica, si è di
recente interessata al giornalismo.
Giorgio
Sestili
(giorgio.sestili@
gmail.com) si è appena laureato in Fisica
all’Università Sapienza di Roma. Specializzato in Storia della Fisica, condivide
questa sua passione attraverso il blog “Eppur si muove”
(http://giorgiosestili.blogspot.it/).
accastampato num. 13, Novembre 2014
Alan Guth e il mistero
dell’espansione inflazionaria
Cosa è davvero successo all’Universo subito dopo il Big Bang?
Micol De Simoni, Debora Giovagnoli
(Università Sapienza di Roma)
It is often said that you can’t get something for nothing.
But the universe may be the ultimate free lunch.
(Alan Guth)
illenovecentottanta: Alan Guth (Stanford, California) e Alexei Starobinski (Mosca, Russia),
pur con l’oceano a separarli e con la scarsa comunicazione internazionale dell’epoca, hanno la
medesima intuizione sull’idea dell’universo inflazionario. Ed è
solo la prontezza di Guth nella pubblicazione della teoria che gli
permette di esserne considerato il padre.
M
Chi è Alan Guth?
Classe ’47, laurea al MIT (Massachussetts Institute of Technology) a 22 anni. Nel ’72 ottiene una borsa di dottorato nella stessa
università, ma anche un genio della fisica può avere gli stessi problemi di molti altri giovani nel trovare un lavoro stabile: Guth vive
negli anni del cosiddetto periodo degli scolari persi in cui, negli
Stati Uniti, si hanno troppi laureati in materie scientifiche e poche
domande di lavoro come assistenti ai professori . Ciò nonostante,
riesce a trovare un posto presso l’IAS (Istituto di Studi Avanzati)
di Princeton per lo studio dei quark, le particelle che costituiscono protoni e neutroni. Benché sia diventato famoso per una teoria
nel campo della cosmologia, Guth infatti inizia il suo percorso lavorativo come fisico delle particelle. La sua passione sta nell’infinitamente piccolo, che può essere investigato solo spingendosi
nell’infinitamente lontano, tornando indietro fino ai primi attimi
dopo il Big Bang: circa 10−37 secondi dopo l’esplosione avvenuta
quasi 14 miliardi di anni fa, proprio quel che si dice una frazione
infinitesima di secondo dopo la nascita dell’Universo.
Oggi professore di Fisica presso lo stesso MIT, autore di 60 pubblicazioni riguardanti l’inflazione e la sua interazione con la fisica
delle particelle, Alan Guth si è aggiudicato premi e riconoscimenti da ogni parte del mondo. Uno in particolare spicca tra tutti in
quanto a prima vista sembra avere poco a che fare con la fisica: il
premio per la scrivania più disordinata del 2005, offerto dal Boston Globe. Che Guth abbia forse deciso di prendere alla lettera
Oscar Wilde, quando diceva che “una scrivania ordinata è sinonimo di una mente malata”? O piuttosto i suoi colleghi, stanchi
della situazione caotica, hanno deciso di svergognarlo pubblicamente per farlo ravvedere? Fatto sta che tra la medaglia del centro
di Fisica teorica di Trieste, l’Eddington Medal e l’Isaac Newton
Medal, una medaglia al caos ci sta a pennello.
10
La genesi della teoria inflazionaria
La teoria che ha reso celebre Guth riguarda l’espansione straordinaria che sarebbe avvenuta negli istanti successivi al Big Bang
che avrebbe permesso all’Universo di allargarsi in ogni direzione cosı̀ velocemente da mantenere una certa omogeneità: si tratta
della teoria dell’Universo inflazionario, appunto.
Secondo la comunità scientifica dei paesi del blocco occidentale fu Guth a presentarla ufficialmente il 23 gennaio 1980 durante
una conferenza tenuta presso lo SLAC (Stanford Linear Accelerator Center), mentre per il mondo scientifico sovietico è stato Starobinski a parlarne per primo, ma solamente in maniera ufficiosa,
senza alcuna pubblicazione. In seguito a quella storica conferenza
Guth ebbe modo di confrontarsi con colleghi di tutto il mondo per
sviluppare meglio la teoria: uno di questi in particolare fu Andrei
Linde, un fisico moscovita con il quale ha continuato a lavorare
fianco a fianco fino a oggi e con il quale ha condiviso nel 2004
il Premio Cosmologico Gruber, quasi un Nobel della Cosmologia. E con lui ha condiviso in questi mesi anche l’entusiasmo per
le possibili implicazioni delle misure ottenute dall’esperimento
BICEP2.
Sono stati infatti i membri di questo esperimento, capitanati dal-
Figura 1 – L’espansione dell’Universo dal Big Bang a oggi. Credits:
fas.org.
accastampato num. 13, Novembre 2014
IL RICERCATORE ROMANO
l’astronomo americano John Kovac, ad individuare per primi, il
17 marzo scorso, nella CMB (Cosmic Microwave Background) o
radiazione cosmica di fondo, considerata l’eco del Big Bang, la
presenza di modi B interpretabile come interazione della materia con onde gravitazionali che potrebbe dare supporto alla teoria
dell’Universo inflazionario.
prezzo dei beni era salito sopra al limite massimo del portafoglio
dei consumatori, cosı̀ anche la velocità di espansione dopo il Big
Bang aveva superato il limite massimo delle velocità, la velocità
della luce.
In cosa consiste la teoria dell’universo
inflazionario?
[3] Oerter R. La teoria del quasi tutto. Codice Edizioni (2006)
[4] Bernardis P.D. Introduzione all’astrofisica (2013)
[5] Balbi A. L’Universo senza inizio di Einstein. In Il Post (feb.
2014). URL http://www.ilpost.it/amedeobalbi/
2014/02/26/luniverso-senza-inizio-einstein
[6] Ferrari V. e Gualtieri L. General Relativity (2011)
Da sempre gli astrofisici, osservando e analizzando lo spazio in
cui viviamo, hanno notato quanto l’Universo appaia omogeneo:
galassie distribuite uniformemente, densità di materia, energia,
elementi chimici, persino le leggi fisiche uguali in punti lontanissimi tra loro. Come fanno punti dello spazio, separati da una
distanza superiore a quella che la luce ha percorso dal Big Bang
ad oggi, ad avere le stesse caratteristiche? È qui che si inserisce
la teoria dell’espansione inflazionaria.
Bibliografia
Commenti on-line:
http://www.accastampato.it/
2014/11/alan-guth_it/
Immaginate di avere un palloncino su cui disegnate con un pennarello tanti puntini. Gonfiando il palloncino noterete che i punti
si allargano insieme allo spazio che li divide, ma rimangono comunque alla stessa distanza tra loro e mantengono la loro forma
tondeggiante. Questo è a grandi linee quello che sarebbe successo
al nostro Universo quando è nato: l’esplosione che lo avrebbe generato sarebbe stata seguita da un’espansione violentissima, che
ne avrebbe mantenuto le caratteristiche uniformi nello spazio.
Come potrebbe accadere un evento simile? Pensate di avere tutto
ciò che vi circonda (la mamma, l’armadio, l’Italia, la Terra, ecc.)
condensato in una stanza piccolissima e senza finestre. È facile
capire che a causa del sovraffollamento la temperatura all’interno
sia invivibilmente alta e che ci sia una certa disomogeneità, come
se il gomito della mamma non si incastrasse bene con la Sicilia.
Immaginate ora di passare dalle dimensioni della stanza a quelle
dell’Universo odierno in un centesimo di secondo: qualsiasi disomogeneità nella temperatura e nella densità del sistema iniziale
sarebbe stata dilatata con l’espansione. Un ulteriore effetto dell’espansione sarebbe stato inoltre lo schiacciamento della curvatura
dello spazio. Pensiamo per esempio che sul nostro palloncino si
sia una piccola ruga. Questa anomalia diventerebbe man mano
più evidente se gonfiassimo pian piano il nostro palloncino. Una
espansione più rapida, invece, non darebbe modo alla rughetta di
espandersi.
Fu questo che Guth portò di fronte ai colleghi nel 1980 nel suo lavoro The Inflationary Universe: A Possible Solution to the Horizon and Flatness Problems (“L’universo inflazionario: una possibile soluzione al problema dell’orizzonte e della piattezza”): una
teoria nuova, capace di fare luce su molti dei misteri cosmologici
dell’epoca, la teoria dell’Universo inflazionario. Il riferimento è
chiaramente all’inflazione economica che in quegli anni stava colpendo duramente gli Stati Uniti e l’Europa. Come in economia il
Sull’autore
Micol De Simoni (desimonimicol@
gmail.com) è nata a Roma il 29 Aprile 1992
e cresciuta a Latina. Frequenta la facoltà di
fisica dell’Università Sapienza di Roma, presso
la quale è laureanda.
Debora Giovagnoli (debora.giovagnoli@gmail.
com) è nata il 14 febbraio 1992 a Roma, dove vive tuttora.
Dopo aver frequentato il liceo scientifico Isacco Newton si
è iscritta alla facoltà di fisica dell’Università Sapienza di
Roma, presso la quale è laureanda.
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Le onde gravitazionali
Quando anche lo spazio-tempo si mette a vibrare
Riccardo Marrocchio, Diana Tartaglia
(Università Sapienza di Roma)
mmaginate qualcosa di molto denso. Il traffico in città il
venerdı̀ all’ora di punta? Ancora di più. Il minestrone
di verdure che vi cucinava mamma da piccoli perché “fa
bene”? Non proprio. Provate a pensare che una cucchiaiata di quel minestrone pesi un milione di milioni di tonnellate,
il che tradotto in chilogrammi è un numero a 16 zeri. Allora sı̀
che avremmo raggiunto una densità ragionevole. . . per una stella
di neutroni! Nel caso specifico gli ingredienti principali del minestrone sono neutroni (particelle che compongono gli atomi) e
un qualcos’altro ancora non bene identificato, tutto ammassato in
uno spazio molto piccolo. Una stella di neutroni media, infatti, ha
la stessa quantità di massa del nostro Sole, concentrata in una palla di 20 km di raggio (quello del Sole è 35 mila volte più grande).
Quello che possono rivelarci questi corpi celesti, però può essere
ancora più interessante.
I
La teoria della relatività generale di Einstein prevede che lo
spazio-tempo in cui si trova la Terra sia continuamente perturbato da onde gravitazionali generate da qualsiasi corpo in moto
dotato di massa. Tuttavia questo non è un effetto di cui abbiamo un’esperienza quotidiana perché le masse e le velocità degli
oggetti comuni sono troppo piccole per generare un’onda gravitazionale abbastanza intensa da essere rivelata anche dagli strumenti più sensibili. Infatti ci si aspetta che la prima misura diretta di
un’onda gravitazionale sarà collegata a corpi celesti estremamente massivi, molto più del Sole, che ha una massa di circa 1030 kg
(circa 330 mila volte la massa della Terra), e con velocità molto
prossime a quella della luce, pari a circa 300 mila km/s. Ed è
proprio qui che le stelle di neutroni diventano necessarie. Grazie
alla loro massa, infatti, sono i candidati più probabili a generare
onde gravitazionali osservabili dalla Terra. Riuscire a provare l’esistenza delle onde gravitazionali servirebbe inoltre a confermare
una volta di più l’idea di Einstein che nessun segnale si può propagare con una velocità maggiore di quella della luce (300 mila
chilometri al secondo), che è in contrasto con la teoria di Newton,
secondo la quale la gravità, come le altre interazioni a distanza, è
trasmessa istantaneamente. Benché i primi strumenti per rivelare direttamente le onde gravitazionali risalgano ai primi anni ’60,
ancora oggi nessuno ha avuto il piacere di poter affermare di essere riuscito a effettuare la misura. Ma i fisici non demordono
e continuano a progettare nuovi esperimenti sempre più precisi,
come LISA.
Le onde gravitazionali ci permetterebbero di avere una visione
dell’universo completamente nuova. Fino agli anni ’30 potevamo
osservare il cielo solo nelle lunghezze d’onda del visibile; grazie
12
agli sviluppi degli anni successivi si è riusciti a estendere l’osservazione a tutto lo spettro elettromagnetico (raggi X, infrarossi,
ultravioletto, radio, ecc.). Ogni lunghezza d’onda dà un’informazione diversa sull’universo e sui suoi componenti. In tal senso ci si aspetta che le onde gravitazionali rivoluzionino la nostra
visione dell’universo.
Come le onde gravitazionali modificano lo
spazio-tempo
Nonostante possa sembrare fuori dal comune, un’onda gravitazionale è pur sempre un’onda e segue delle regole ben precise
che l’accomunano a tutti i fenomeni del suo genere. Le onde che
ci sono più familiari sono quelle del mare, ma in realtà tanti altri
fenomeni hanno una natura ondulatoria: se potessimo distinguere
le creste della luce visibile, ci accorgeremmo che anche questa è
un’onda, con tutte le caratteristiche a essa associate. Ciò che distingue un tipo di onda dall’altra, nello spettro elettromagnetico,
è la frequenza (numero di volte che un’onda si ripete uguale a se
stessa) e quindi l’energia associata. Per esempio i raggi X, che
hanno un’alta energia, hanno una lunghezza d’onda molto piccola, circa 10−10 metri e di conseguenza una frequenza molto alta.
Le onde radio, invece, hanno un’onda lunga fino a 100 metri e
perciò una bassa frequenza.
Per capire come le onde gravitazionali modificano lo spaziotempo, consideriamo un tubo a sezione circolare (cfr. Figura 1).
Se un’onda gravitazionale si propagasse lungo il tubo nella direzione della sua lunghezza, vedremmo la sua sezione diventare
un’ellisse con gli assi maggiore e minore che differiscono dall’originale raggio della sezione circolare della stessa quantità. Dopo
un mezzo periodo l’asse maggiore diventerà l’asse minore e cosı̀
via, in maniera continua e periodica. Per cui dall’esterno vedremmo la superficie del tubo deformarsi come un’onda. Consideriamo ora come esempio un quartiere con un insieme di casette
alla stessa distanza l’una dall’altra e supponiamo che il quartiere
venga attraversato perpendicolarmente da un’onda gravitazionale. Man mano che l’onda attraversa il quartiere, in una direzione
(per esempio nord-sud) la distanza aumenta di una quantità pari all’ampiezza dell’onda gravitazionale e diminuisce dello stesso
fattore nella direzione perpendicolare, est-ovest. Trattandosi di
un’onda, questo effetto di contrazione e dilatazione delle distanze
è continuo e periodico.
Per comprendere il meccanismo di generazione delle onde gravitazionali possiamo fare un’analogia con le onde elettromagneti-
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IL RICERCATORE ROMANO
distanza tra gli oggetti di solo 1 parte su 1040 . Un cambiamento
troppo piccolo per gli attuali strumenti di misura.
Segnali gravitazionali dal Big Bang
Figura 1 – Direzioni di contrazione ed espansione dello spazio-tempo al
passaggio di un’onda gravitazionale.
che. Un oggetto fermo dotato di carica elettrica genera un campo
elettrostatico, che attrae o respinge qualsiasi altro corpo dotato di
carica. Se la carica è in movimento genera un’onda elettromagnetica (come un’onda radio) con un’intensità che è direttamente
proporzionale alla carica e all’accelerazione. In maniera analoga
un corpo fermo dotato di massa genera un campo gravitazionale e gli altri oggetti massivi sono attratti da esso. Se l’oggetto è
in movimento genererà un’onda gravitazionale. Secondo la terza
legge di Newton, però, a ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria per cui, se consideriamo un oggetto isolato in
moto, le onde da esso emesse saranno cancellate da quelle emesse
da un oggetto che rincula. Questa cancellazione però non è perfetta perché gli oggetti non occupano la stessa posizione. Allora
l’intensità delle onde gravitazionali che sono generate da un oggetto dipendono dalla disomogeneità della distribuzione della sua
massa. Per esempio un pallone da calcio perfettamente sferico
non presenta disomogeneità mentre un pallone da football americano sı̀. Le onde gravitazionali vengono emesse quando si ha
un rapido cambiamento nella distribuzione di massa dell’oggetto. Ma le masse e le velocità in gioco devono essere grandissime:
una sbarra di ferro di 500 tonnellate che ruota tanto velocemente da spezzarsi genererà onde gravitazionali tali da modificare la
La Figura 2 mostra l’immagine a oggi più precisa della radiazione
cosmica di fondo (o CMB, dall’inglese Cosmic Microwave Background), la luce più antica dell’universo, sprigionata dal plasma
primordiale 380 mila anni dopo il Big Bang. L’età attuale dell’universo è di circa 13,8 miliardi di anni. A confronto con un novantenne, è come se all’apparizione della CMB l’universo fosse
un bambino appena nato con sole 21 ore di vita. Sarebbe possibile
ottenere una foto di questo bambino poche ore o anche pochi minuti dopo la nascita? Purtroppo no, perché nei suoi primi 380 mila
anni l’universo era opaco alla radiazione elettromagnetica. Questo significa che i fotoni – le particelle che costituiscono la luce
– non erano liberi di propagarsi nello spazio, perché la densità
di materia era talmente alta che venivano assorbiti continuamente
dagli elettroni allora presenti. Col passare del tempo l’universo
si espanse e si raffreddò abbastanza da permettere agli elettroni
di legarsi ai protoni formando atomi di idrogeno, elettricamente neutri, per cui i fotoni si ritrovarono liberi di propagarsi nello
spazio e viaggiare praticamente indisturbati fino a oggi e fino a
noi. Tuttavia non siamo in grado di vedere questa luce a occhio
nudo perché, anche se all’inizio i fotoni avevano una lunghezza
d’onda nel visibile, con l’espansione dell’universo tale lunghezza
è aumentata fino a ricadere nell’intervallo delle microonde. Sono
allora necessari telescopi sensibili a tali lunghezze d’onda per osservare questa luce primordiale dell’universo. I primi a osservare
la CMB furono Penzias e Wilson nel 1964 con un’antenna dei
Bell Laboratories, in America. In particolare misurarono la temperatura della CMB, che è inversamente proporzionale alla sua
lunghezza d’onda.
Dalle loro misure, la temperatura era indipendente dal punto del
cielo osservato. Gli astrofisici si chiesero se, con strumenti più
Figura 2 – Mappa della polarizzazione della radiazione cosmica di
fondo. Credits: BICEP2 COLLABORATION.
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IL RICERCATORE ROMANO
Figura 3 – Rappresentazione della formazione di modi E e B
dall’interazione del plasma con fotoni e onde gravitazionali primordiali.
precisi, non avrebbero osservato variazioni di temperatura in funzione della direzione. Il primo strumento a rilevare tali variazioni, dell’ordine di una parte su 100 mila rispetto alla temperatura media, fu lo spettrometro FIRAS ospitato dal satellite COBE
(COsmic Background Explorer: esploratore del fondo cosmico)
lanciato dalla NASA nel 1989. Esperimenti successivi permisero
misure sempre più precise finché il satellite Planck, nel 2013, ha
ottenuto l’immagine in Figura 2. Le zone blu hanno una temperatura più alta rispetto alla temperatura media della CMB, le zone
rosse una temperatura più bassa. Queste variazioni sono dovute
alle disomogeneità del plasma primordiale che formarono poi, per
attrazione gravitazionale, le stelle, le galassie e le varie strutture
che oggi osserviamo.
Il fatto che queste disomogeneità siano solo dell’ordine di uno
su 100 mila indica che, 380 mila anni dopo il Big Bang, le varie
zone del plasma erano caratterizzate da una temperatura praticamente identica. Ciò rappresenta un problema perché implicherebbe particolarissime condizioni di omogeneità nei primissimi
momenti dell’universo. Per dare una spiegazione a questo fatto
e risolvere altri problemi insiti nella teoria del Big Bang, negli
anni ’80 del secolo scorso il fisico americano Alan Guth propose
la teoria dell’inflazione, secondo la quale 10−38 secondi dopo il
Big Bang l’universo subı̀ un’espansione di durata estremamente
breve (un millesimo di secondo), ma talmente accelerata da annullare qualsiasi importante disomogeneità iniziale. Per trovare
conferme sperimentali a tale teoria dobbiamo studiare l’universo nei suoi primi istanti, molto prima dei 380 mila anni dopo il
Big Bang. Abbiamo visto però che non possiamo ricevere luce
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prima di questo periodo perché i fotoni erano bloccati dagli elettroni. Nella teoria dell’inflazione, la violenta espansione iniziale
genera onde gravitazionali che da allora si sarebbero propagate
nell’universo deformando lo spazio-tempo. Rilevare direttamente tali onde non sarebbe possibile in quanto estremamente deboli,
dato che con l’espansione dell’universo la loro lunghezza d’onda
sarebbe passata dal centimetro a 1028 cm. Potremmo, però, rilevarle indirettamente grazie agli effetti sulla radiazione cosmica
di fondo. Durante i 380 mila anni che vanno dal Big Bang all’emissione della CMB, le onde gravitazionali avrebbero, infatti, alternativamente compresso e dilatato il plasma. Questi movimenti
determinano, per effetto Doppler, delle variazioni nella temperatura della CMB perché il plasma, contraendosi ed espandendosi,
si allontana e si avvicina alla zona di universo che successivamente ospiterà la nostra galassia. Infatti, per effetto Doppler –
valido per tutti i fenomeni ondulatori e quindi anche per le onde
elettromagnetiche – se la sorgente della radiazione si allontana da
noi la lunghezza d’onda corrispondente apparirà più breve mentre
se si avvicina a noi apparirà più piccola. Una lunghezza d’onda
inferiore corrisponde a una temperatura maggiore. Viceversa, se
un’onda gravitazionale avesse contratto una regione di plasma allontanandola da noi quando la CMB è stata emessa, la lunghezza
d’onda della radiazione apparirebbe più lunga e dunque la temperatura minore. Ricordando che le regioni blu sono quelle più
calde mentre quelle rosse sono più fredde, guardando il pattern
caratteristico di queste zone gli scienziati possono determinare
il moto del plasma indotto dalle onde gravitazionali. Anche le
disomogeneità nella distribuzione della massa del plasma determinano variazioni di temperatura nella CMB. Come distinguere
i due effetti? Guardando alla polarizzazione della luce ovvero
alla direzione di oscillazione del campo elettrico. Se rappresentiamo la polarizzazione della CMB con segmenti che indicano
l’orientazione del campo elettrico in una particolare zona di cielo, abbiamo che le disomogeneità del plasma producono due tipi
di polarizzazione: ad anello (a sinistra) o radiale (a destra).
Le onde gravitazionali, invece, producono due tipi diversi di
polarizzazione: destrorsa (a sinistra) e sinistrorsa (a destra).
Possiamo cosı̀ distinguere le variazioni di temperatura associate
alle sole onde gravitazionali. L’intensità delle variazioni di temperatura sono determinate dall’intensità delle onde gravitazionali,
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IL RICERCATORE ROMANO
a loro volta dovute alle scale di energia del processo inflazionario. Se l’inflazione è stata innescata dalla scissione delle forze
fondamentali, le energie in gioco dovevano essere dell’ordine di
1015 ÷ 1016 GeV. L’osservazione delle variazioni di temperatura dovute alle onde gravitazionali permetterà di verificare questa
ipotesi. Gli scienziati di BICEP2 sono intanto riusciti a osservare le variazioni di temperatura associate alle polarizzazioni determinate dalle onde gravitazionali ottenendo cosı̀ un’immagine
indiretta dell’universo a soli 10−38 secondi dopo il Big Bang.
C’è infine una importante conseguenza nella rilevazione delle onde gravitazionali inflazionarie e risiede nel meccanismo della loro
generazione. Secondo la meccanica quantistica, nel vuoto compaiono e scompaiono particelle in continuazione e questo accade
anche per i gravitoni, le ipotetiche particelle del campo gravitazionale. Ma durante l’inflazione la rapida espansione porterebbe
queste particelle lontane l’una dall’altra prima che abbiano tempo di annichilirsi. Successivamente, l’espansione dell’universo
avrebbe aumentato l’ampiezza della lunghezza d’onda dei gravitoni da grandezze dell’ordine del centimetro a lunghezze dell’ordine di 1028 cm, rendendo cosı̀ le onde gravitazionali difficili
da rilevare. Poiché le onde gravitazionali inflazionarie sarebbero
state generate secondo un meccanismo quantistico, la loro osservazione rappresenta un punto a favore delle teorie che tentano di
unificare la meccanica quantistica con la relatività generale.
durante la misura per cui un laser più potente migliora la sensibilità dell’esperimento. Per averne un’idea, la più piccola variazione di distanza misurabile con un interferometro illuminato da
un laser di 1 Watt è di 10−14 metri (il raggio di un protone è di
circa 10−18 metri). Tuttavia un laser troppo potente induce ulteriori errori nella misura. Quindi bisogna scegliere un’intensità del
laser ottimale. La sensibilità dello strumento può essere aumentata anche facendo rimbalzare il laser avanti e indietro più volte tra
gli specchi dell’interferometro, in modo da aumentare la distanza
percorsa e dunque la differenza di percorso.
Data la sensibilità richiesta da questi strumenti, sono molti i segnali indesiderati che possono disturbare la misura: onde sismiche, particelle di gas che urtano le masse o modificano la velocità
del laser, vibrazioni termiche delle masse, ecc. Per ridurre gli effetti dovuti ai moti sismici le masse sono sospese con dei fili a
una struttura elastica chiamata filtro meccanico. In questo modo si possono bloccare rumori sismici con frequenze fino a 500
Hz. Per evitare che particelle di gas influenzino la misura, i laser passano attraverso dei tubi in cui è stato praticato il vuoto.
Il disturbo dovuto alle vibrazioni termiche può essere facilmente eliminato tenendo conto che non dipende dalla lunghezza dei
bracci, a differenza della perturbazione indotta dalle onde gravitazionali. Questi effetti sono praticamente annullati se si posiziona
l’esperimento nello spazio.
Stanare le onde gravitazionali
Un esperimento italiano: VIRGO
Il primo rilevatore di onde gravitazionali fu progettato nel 1960
da Joseph Weber dell’università del Maryland. Il detector era costituito da barre di metallo disposte in maniera tale da vibrare se
attraversata da onde gravitazionali. Un esperimento di questo tipo
è sensibile a variazioni di una parte su 1018 , ma a questo livello
non è stato rilevato nulla. Gli esperimenti odierni si basano sul
fenomeno dell’interferenza. Quello che accade è che quando due
onde si incontrano, l’ampiezza in ogni punto è pari alla somma
delle ampiezze delle singole onde. Lanciando due sassolini in
un lago, per esempio, vedremo delle increspature sulla superficie
dell’acqua con un’altezza che è pari semplicemente alla somma
delle ampiezze delle onde generate dai singoli sassolini.
In uno strumento per misurare le onde gravitazionali un fascio
laser viene indirizzato contro un beam splitter – uno specchietto
semiriflettente – che separa il laser in due fasci che procedono in
direzioni ortogonali verso delle masse sospese, libere di rispondere agli effetti delle onde gravitazionali. Uno specchietto montato su ciascuna massa riflette i fasci laser all’indietro. Quando
tornano sul beam splitter si ricombinano e l’ampiezza risultante
sarà la somma delle singole ampiezze. Se un’onda gravitazionale
viaggia lungo uno dei bracci, la distanza sul braccio ortogonale si
modificherà provocando una variazione nell’ampiezza del fascio
laser in uscita. L’errore commesso nella misura è inversamente
proporzionale alla radice quadrata del numero dei fotoni rivelati
Gli italiani sono impegnati nel tentativo della misura diretta delle onde gravitazionali con l’esperimento VIRGO, un rivelatore
interferometrico situato a Cascina, in provincia di Pisa. La sua
struttura è molto simile a quella spiegata in precedenza: i due
bracci perpendicolari tra loro sono lunghi 3 chilometri l’uno, ma,
grazie ai giochi di specchi, lo spazio effettivamente percorso dal
Figura 4 – La struttura dell’esperimento VIRGO, in cui sono evidenti i
due bracci perpendicolari.
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IL RICERCATORE ROMANO
L’osservazione delle onde gravitazionali rappresenta da una parte
una sfida dal punto di vista sperimentale e dall’altra una necessità per avere un’importante conferma alla teoria della relatività
di Einstein. Benché fino ad oggi non si sia riusciti a effettuare una misura diretta, nuovi esperimenti come LISA promettono,
nei prossimi anni, di raggiungere il risultato tanto agognato.
Bibliografia
Figura 5 – La struttura dell’esperimento LISA.
raggio di luce è di 120 chilometri. L’intervallo di frequenze a cui
è sensibile va dai 10 Hz ai 6000 Hz, utile per la rivelazione di
onde gravitazionali prodotte da supernovae e sistemi binari nella
Via Lattea e in altre galassie, in particolare nell’ammasso della
Vergine, da cui il nome dell’esperimento.
Per raggiungere la sensibilità necessaria scienziati italiani e francesi hanno sviluppato laser ultrastabili, specchi altamente riflettenti (fino al 99, 999%), sistemi per isolare lo strumento dai moti
sismici (ogni braccio è sospeso a una quota di 10 metri), ecc. Inoltre, con i loro 3 km di lunghezza e 1,2 metri di diametro, il volume
totale dei bracci in cui è stato praticato il vuoto è il più grande in
Europa e il secondo al mondo. Con Virgo ogni anno possono essere rivelati solo una decina di eventi all’anno. Alla fine del 2015
dovrebbe entrare in funzione Advanced Virgo che, con un incrementata sensibilità, dovrebbe essere in grado di osservare molti
più eventi ogni anno.
[7] Caldwell R.R. e Kamionkowski M. In Scientific American,
vol. 284(1):38–43 (gen. 2001)
[8] Jeffries A., Saulson P., Spero R. e Zucker M. Gravitational
wave observatories. In Scientific American, vol. 256(6):50
(1987)
Virgo Website:
http://www.ego-gw.it/public/
virgo/virgo.aspx
LISA Website: http://lisa.nasa.gov/
Commenti on-line:
http://www.accastampato.it/
2014/11/onde-gravitazionali/
Un esperimento futuro: LISA
Sull’autore
Un nuovo esperimento, LISA (Laser Interferometer Space Antenna, antenna spaziale interferometrica laser), dovrebbe essere
in via di sviluppo da parte dell’ESA. La sua effettiva realizzazione non è stata ancora ufficializzata, ma LISA, se mai entrerà
in campo, avrà la stessa struttura di VIRGO con la fondamentale differenza che lavorerà nello spazio. LISA sarà sensibile a
lunghezze d’onda comprese tra 0,03 mHz e 0.1 Hz (molto basse
grazie al fatto che non è disturbata da eventi sismici o particelle
di gas). Misurerà distorsioni dello spazio-tempo provocate dalle
onde gravitazionali studiando come varia la distanza di separazione tra masse separate da 5 milioni di km disposte ai vertici di un
triangolo equilatero alla distanza di circa 100 milioni di chilometri dal Sole. Dato l’intervallo di frequenze, LISA sarà sensibile
alle onde prodotte da collisioni tra buchi neri e da sistemi binari
nella nostra galassia.
16
Diana Tartaglia ([email protected]) è
nata a Roma nel 1993, frequenta la facoltà di
Fisica dell’Università Sapienza di Roma. L’interesse per la scrittura si è concretizzato negli
anni del liceo, attraverso la partecipazione alla redazione del
giornalino scolastico e a concorsi letterari.
Riccardo
Marrocchio
([email protected])
ha 24 anni ed è un laureando in Fisica all’Università Sapienza di Roma. Ha acquisito
la conoscenza della lingua inglese e l’amore per la Fisica
studiando presso varie università americane, tra cui Boston
University e Harvard.
accastampato num. 13, Novembre 2014
Le inflazioni pericolose
Cosa è successo all’Universo subito dopo il Big Bang?
Michela Botticelli, Francesco D’Ambra, Francesca Mariani
(Università Sapienza di Roma)
Innumerevoli prove indicano che Dio è proprio un giocatore:
possiamo raffigurarci l’universo come un gigantesco casinò dove
si lanciano dadi e si fanno girare roulette in continuazione.
(Stephen Hawking)
i dati sperimentali a disposizione. In questo caso tre informazioni fondamentali che possediamo sull’universo andavano tenute in
considerazione. Una loro giustificazione attendibile viene offerta
proprio dal modello inflazionistico di Guth.
lcune tra le menti più curiose del secolo scorso hanno creato nuove cosmogonie universali cercando di
descrivere, in maniera consistente con quanto conosciamo, i primi istanti dell’universo dopo il Big
Bang. La teoria oggi più ampiamente accettata dalla comunità
scientifica, nota come inflazione, venne proposta da Guth nel
1981. Il termine inflazione deriva dalla teoria economica del valore: associata ai prezzi acquista un significato estremamente dannoso, mentre per l’universo si rivela un concetto molto proficuo.
L’inflazione proposta da Guth, infatti, permette di risolvere in linea teorica uno degli enigmi più interessanti del secolo passato:
cos’è successo all’universo subito dopo il Big Bang? L’osservazione dell’universo in continua espansione e la misura di tale
fenomeno hanno permesso agli scienziati, nella prima metà del
‘900, di percorrere a ritroso il moto delle galassie, come se si proiettasse un film al contrario, fino a calcolare che i corpi celesti
si concentravano tutti in una stessa regione in un periodo compreso tra 10 e 15 miliardi di anni fa. Sebbene questo giustifichi
il modello del Big Bang, lascia anche ampio spazio alla teoria
per poter costruire modelli molto differenti di espansione. Ovviamente ogni modello immaginabile è possibile se è in accordo con
I mille nomi dell’inflazione
A
Figura 1 – Rappresentazione artistica del multiverso: alla base c’è una
membrana principale da cui emergono molti universi che si espandono
in maniera diversa a seconda delle condizioni iniziali del loro Big Bang
individuale. Credits: Moonrunner Design.
Guth ipotizza che la condizione di espansione normale1 sia stata
avviata da una fase iniziale di durata brevissima (da 10−37 a 10−34
secondi), detta inflazione, in cui l’universo sarebbe cresciuto in
modo esponenziale, a partire da uno stato preesistente che i fisici
chiamano vuoto e che può essere assimilato concettualmente all’assenza di materia. La teoria dell’inflazione ha avuto un grande
successo poiché restringe il numero di scenari possibili giustificando quanto è stato osservato fino ad oggi. Tuttavia non identifica un solo percorso possible per l’universo, ma lascia campo
aperto a diversi modelli che vanno sotto il nome di teorie inflazionistiche e che potranno essere verificati o derubricati in funzione
di nuove osservazioni.
L’inflazione è piaciuta cosı̀ tanto da portare alcuni fisici a ipotizzare che possa essere avvenuta non una, ma innumerevoli volte,
dando luogo alla cosiddetta inflazione eterna, come in un albero
genealogico sempre in crescita. Secondo questo scenario, il nostro universo sarebbe solo uno dei tanti rami – una bolla di spaziotempo in espansione da un tempo finito – ma il vero universo,
il tronco di questo enorme albero, potrebbe esistere da sempre.
Un altro modello inflativo è quello ciclico. Secondo questo modello l’universo attraverserebbe fasi di espansione seguite da un
collasso, a cui fa seguito una nuova espansione, e cosı̀ via2 .
Un ulteriore modello proposto negli ultimi anni cade sotto il nome
di inflazione caotica, o teoria dei multiversi, in cui ogni universo
sarebbe una bolla che nasce da fluttuazioni quantistiche casuali
all’interno di un universo preesistente. Alcuni teorici dei molti
universi paralleli partono da considerazioni di natura antropica,
ossia che non si può descrivere lo sviluppo dell’universo che non
abbia come vincolo la vita intelligente data la presenza dell’uomo. Affinché le condizioni iniziali portino a una storia abitata
da noi esseri umani accanto a più probabili storie disabitate, si è
ipotizzato un meccanismo che permetta la formazione di diversi
universi, dotati di esistenza fisica concreta.
1
2
Lineare o anche con una legge di potenza.
Sono modelli noti col nome di Big Crunch e Big Bounce. Nel secondo non si prevede il ritorno alla condizione iniziale del Big Bang,
ma ad una in cui l’universo è capace di riespandersi nuovamente.
accastampato num. 13, Novembre 2014
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IL RICERCATORE ROMANO
inflazioni pericolose, ovvero modelli sbagliati, e basterebbe un’unica prova sperimentale per eliminarli. Ma si può anche pensare
che non tutti i modelli possibili siano ancora stati proposti. Il punto è che non abbiamo ancora i mezzi per metterli alla prova e fino
a quando sarà cosı̀ saranno tutti egualmente validi. Una teoria
scientifica deve fornire delle predizioni, ovvero la sua assunzione deve portare a delle conseguenze fisiche che possano essere
sperimentalmente vagliate: in poche parole la teoria deve essere
confutabile. L’intero impianto delle teorie dell’inflazione prevede
che nella microscopica regione iniziale di formazione dell’universo si sia formato un fondo di onde gravitazionali primordiali,
molto deboli per essere rivelate oggi, ma che dovrebbero aver
lasciato una traccia nella radiazione cosmica di fondo permettendone cosı̀ un’osservazione indiretta. L’esperimento BICEP2
(Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) ha
analizzato la radiazione cosmica di fondo di una porzione di universo rivelando una traccia che potrebbe essere stata lasciata da
onde gravitazionali primordiali. Se la scoperta fosse confermata
da altre investigazioni indipendenti, sarebbe la prova galileiana,
data per la prima volta alla stampa il 17 marzo 2014, dell’ipotesi
inflazionaria.
Commenti on-line:
http://www.accastampato.it/
2014/11/inflazioni-pericolose/
Figura 2 – “Ecco che ritorna William. . . tenta di nuovo di guadagnare consensi per la sua teoria del Little Bang”. Credits: www.
freerepublic.com/focus/chat/3134162/posts.
Per immaginare tali scenari, possiamo considerare il plasma di cui
era costituito l’universo primordiale alla stregua di una miscela di
acqua e sapone. Aiutandoci con una cannuccia, potremmo far crescere un’unica bolla in modo molto rapido con una sola boccata
d’aria: ecco il nostro modello inflazionario più semplice. Se, per
nostra sfortuna, la bolla dovesse rompersi – collassare – saremmo
costretti a soffiare di nuovo nella cannuccia per avere una nuova
bolla, senza necessariamente rifornirci di sapone: il processo ripetuto all’infinito darebbe un’inflazione ciclica. Potrebbe anche
accadere che da una prima bolla ne nasca un’altra al suo interno
in un processo ripetuto all’infinito (inflazione eterna). Potremmo
infine ottenere più bolle nello stesso tempo, che si allontanano
tutte indipendentemente l’una dall’altra (inflazione caotica).
Non dare mai nulla per scontato
In realtà tutti i modelli inflazionistici citati presentano ulteriori
sottomodelli e l’assenza di un sufficiente numero di dati sperimentali impedisce una loro selezione. Alcuni potrebbero rivelarsi
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Sull’autore
Michela Botticelli (michela.botticelli@gmail.
com) è dottoranda in Scienze della Terra presso l’Università Sapienza di Roma.
Francesco D’Ambra
([email protected]) sta frequentando il
corso di laurea magistrale in Fisica presso il Dipartimento
di Fisica dell’Università Sapienza di Roma. Francesca
Mariani ([email protected]) è
laureanda in Elettronica presso lo stesso Dipartimento.
accastampato num. 13, Novembre 2014
Mai cosı̀ prossimi
al Big Bang
Intervista a Paolo De Bernardis, astrofisico
Giorgio Sestili, Valeria Persichetti
(Università Sapienza di Roma)
aolo De Bernardis, astrofisico, è professore ordinario
presso il Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma. Si occupa principalmente di studiare
la radiazione cosmica di fondo a microonde tramite
misure effettuate usando palloni stratosferici. Gli abbiamo chiesto di parlarci delle recenti misure effettuate da BICEP2, esperimento che per primo sembra essere riuscito a misurare la presenza di modi B nella radiazione cosmica a microonde. In questa
intervista, De Bernardis ci racconta che cosa accadde in quella
piccolissima frazione di tempo dopo il Big Bang, quando l’universo avrebbe subito un’espansione senza precedenti. E ci spiega
perché le misure di BICEP2, se confermate, sarebbero la prova
a lungo ricercata della teoria dell’inflazione e delle onde gravitazionali. Una prova che aprirebbe prospettive e scenari di ricerca
impensabili prima d’ora.
P
Lei conosce molto bene l’esperimento
BICEP2. Ci racconta quando e come è nato?
In effetti ho assistito alla nascita di questo esperimento. Era il
2003 e ci trovavamo alla stazione antartica McMurdo per il lancio di Boomerang. Il mio collega Andrew Lange tenne un seminario nel quale disse di non volersi accontentare di un esperimento
con pallone e propose di montare un sensore a singola frequenza
(BICEP2 lavora a una frequenza di 150GHz, ndr) e di lasciarlo
prendere dati per molto tempo. L’obiettivo era quello di misurare la polarizzazione dei fotoni del fondo cosmico a microonde
(CMB) che può essere causata da due meccanismi: fluttuazioni
di densità nell’universo primordiale e presenza di onde gravitazionali. Nel 2003 però non erano state ancora misurate né le
fluttuazioni, né le onde gravitazionali. Eravamo dunque in un’epoca pionieristica. Successivamente, DASI e Boomerang riuscirono a misurare quella che potremmo definire la parte più facile,
quella cioè dovuta alle fluttuazioni di densità, le stesse che generano le anisotropie di temperatura e dunque le galassie. In
realtà, anche queste misure non erano affatto semplici, avendo
una precisione dell’ordine di una parte per milione del fondo cosmico a microonde. Come dire, un fotone ogni milione ha questa
caratteristica. Ma grazie a questi esperimenti l’obiettivo è stato
raggiunto e la polarizzazione dovuta alle fluttuazioni di densità è
stata ben misurata.
In quale momento si sono prodotte queste
fluttuazioni di densità?
Stiamo parlando di circa 380 mila anni dopo il Big Bang, quando i fotoni del fondo cosmico a microonde si sono separati dal
plasma e l’universo è diventato trasparente. Questi fotoni hanno
continuato a viaggiare attraverso l’universo per più di 13 miliardi
di anni e oggi siamo in grado di vederne le fluttuazioni di densità
e studiarne la polarizzazione.
Che cosa ha generato le fluttuazioni?
Qui entra in gioco l’inflazione. Molto tempo prima (circa 10−35
secondi dopo il Big Bang, ndr), questa ipotetica crescita velocissima dello spazio ha espanso su scale cosmologiche quelle che
prima erano fluttuazioni su scale microscopiche. Si trattava di
fluttuazioni quantistiche del campo di energia che a quell’epoca dominava l’universo. Questa è l’ipotesi che, come tutte le
teorie, specialmente quelle più strane, deve essere sottoposta a
una serie di verifiche dettagliate, altrimenti è difficile crederci.
Fortunatamente la teoria dell’inflazione cosmica, oltre a essere
affascinante, fa quattro previsioni molto precise e importanti.
Alcune di queste previsioni oggi sono state
ampiamente verificate. Ce ne parla?
Figura 1 – Gli impianti di BICEP2 in Antartide. Credits: BICEP-2.
Il modello inflazionario, introdotto negli anni ’80, oggi vanta già
tre importanti verifiche. La prima di queste previsioni riguarda la
curvatura iniziale dello spazio, che improvvisamente viene stirata
dall’enorme espansione prodotta dall’inflazione. Ci aspettiamo
cosı̀ uno spazio euclideo nel nostro universo e questo è stato verificato oramai da tempo. Questa potrebbe essere una prima prova
del fatto che l’inflazione è corretta, altrimenti lo spazio euclideo
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LE SPALLE DEI GIGANTI
non sarebbe un attrattore delle soluzioni delle equazioni di Friedmann che descrivono l’espansione dell’universo. Secondo la cosmologia classica, un universo che oggi vediamo con uno spazio approssimativamente piatto, dovrebbe aver avuto uno spazio
ultrapiatto all’inizio. Se la curvatura fosse leggermente diversa,
l’evoluzione dell’universo diventerebbe molto rapida o, al contrario, estremamente lenta. Insomma, noi non saremmo qui adesso.
Un’altra previsione importante riguarda l’origine delle fluttuazioni di densità secondo la teoria dell’inflazione. Se si trattasse
solo di fluttuazioni statistiche nel numero di particelle, su scale
cosı̀ ampie come quelle di una galassia, la media delle fluttuazioni farebbe zero e la galassia non si formerebbe. Ci vogliono
quindi delle fluttuazioni più importanti. Chi può averle generate?
La teoria dell’inflazione le lega alle fluttuazioni quantistiche del
campo primordiale. In questo modo, oltre a consegnarci un’origine fisica affascinante, dice anche una cosa ben precisa: se si
tratta di fluttuazioni quantistiche invarianti di scala, noi dobbiamo poter vedere uno spettro di fluttuazioni di densità, e quindi
anche di temperatura, del fondo cosmico a microonde, anch’esso invariante di scala. Questo è stato verificato sia attraverso la
mappatura del fondo a microonde, in cui davvero le fluttuazioni
sono invarianti di scala, sia dalle misure della distribuzione di
materia, cioè delle galassie e degli ammassi di galassie, in cui
quello che noi misuriamo è consistente con uno spettro iniziale
invariante di scala. La terza previsione dice che le fluttuazioni di
densità seguono un andamento di tipo gaussiano, perché derivano da fluttuazioni quantistiche. Anche questa previsione è stata
ampiamente confermata.
Veniamo alla quarta previsione. . .
Esattamente, mancava la quarta conferma: l’ipotesi è che
anche le fluttuazioni di curvatura presenti nell’universo preinflazionario dovevano essere gonfiate a scale cosmologiche e
diventare onde gravitazionali. Ma come misurarle? O si tentano misure dirette, come fatto da VIRGO, tenendo conto però che
queste onde presentano un periodo e una lunghezza d’onda spaventosamente lunghi. Oppure ci si basa su un’estrapolazione che,
trattandosi di 16-17 ordini di grandezza da estrapolare, risulterebbe però molto ardita. Per vedere direttamente questa estrapolazione ci vorrebbe quello che gli esperti definiscono un Big Bang
Observatory, cioè una missione di generazione successiva a LISA
(Laser Interferometer Space Antenna, è un esperimento nato da
una collaborazione ESA/NASA, progettato per la rilevazione e lo
studio di onde gravitazionali, ndr). C’è però un altro effetto, molto debole, che può essere misurato: si tratta della componente
di polarizzazione del fondo a microonde dovuta alle onde gravitazionali. Mentre le fluttuazioni di densità generano solo fluttuazioni di tipo irrotazionale, e quindi in una mappa si trovano
solo vettori di polarizzazione radiali o tangenziali, le onde gravitazionali, invece, generano modelli che possono essere elicoida20
li, dunque rotazionali, e quindi distinguibili dagli altri. Come si
vede dall’immagine, i vettori misurati da BICEP2 sono dell’ordine di 0, 3 µK, ovvero una parte su 10 milioni del fondo cosmico
gravitazionale. Si tratta dunque di un effetto piccolissimo.
Come ci è riuscito BICEP2, se si stava
tentando questa misura da decenni?
Ci sono voluti grandi finanziamenti e una profonda innovazione
tecnologica. Milioni di dollari sono stati investiti per sviluppare
una tecnologia di rilevatori nuova e decisamente più avanzata.
Non è un caso dunque se loro ci sono riusciti. Il successo di
BICEP2 è dovuto proprio a questi nuovi rilevatori. Sullo stesso wafer di silicio, dove normalmente si metteva solo il sensore
di radiazione, sono riusciti a integrare l’elemento che seleziona
la direzione di arrivo dei fotoni, cioè quella che potremmo definire l’antenna. Grazie a una tecnologia planare fotolitografata,
hanno costruito direttamente sul wafer un phased array, cioè un
mosaico di tante piccole antenne, alla giusta distanza tra loro,
capace di selezionare le onde in base alla direzione di incidenza. Rispetto alle antenne a tromba, utilizzate da altri esperimenti, questo è un vantaggio enorme, sia in termini di costi, sia per
quanto riguarda il peso complessivo dell’apparato e il suo raffreddamento. In questo modo hanno potuto costruire 512 rilevatori, tutti piazzati sullo stesso wafer di silicio e tutti identici tra
loro, la metà orientati in una direzione e l’altra metà nella direzione ortogonale, con un’elevatissima precisione garantita dai
processi di litografia. Il tutto poi è stato montato a South Pole
Station, la stazione americana al Polo Sud, uno dei posti migliori
Figura 2 – La parte inferiore dell’immagine mostra l’andamento delle dimensioni dell’universo nel tempo. Sono evidenziati l’inflazione e
l’emersione della radiazione cosmica di fondo. Nella parte superiore è
visibile la variazione delle lunghezze d’onda per le onde gravitazioni e
quelle di densità nel tempo. Credits: BICEP-2.
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LE SPALLE DEI GIGANTI
Figura 3 – Confronto tra la stima di BICEP2 e quelle di esperimenti
precedenti del rapporto r tra l’ampiezza delle fluttuazioni delle onde gravitazionali rispetto a quelle della temperatura della radiazione di fondo.
Credits: BICEP-2.
come continuità del clima, con lunghi periodi sereni e con basso
vapor d’acqua nell’atmosfera. BICEP2 ha potuto lavorare per 3
anni di seguito, praticamente in modo automatico. Non è quindi
un caso che loro ci siano riusciti. Dalla figura finale dell’articolo, nella quale si confrontano le misure fatte da BICEP2 con
i limiti superiori dati finora da altri esperimenti, c’è un evidente
salto, che è un salto tecnologico. Personalmente, devo dire che
sono molto contento di questa misura, perché l’aver trovato un
valore più elevato di quello che ci si aspettava ci dà la speranza
di effettuare in futuro misure con precisione ancora maggiore.
Il fatto che il rapporto r misurato sia il doppio
dei limiti superiori precedentemente fissati,
farebbe cadere alcuni modelli teorici
riguardanti l’inflazione?
No, direi di no. Questa misura, per quanto eccezionale sia, è
una misura di una quantità molto piccola. Non mi stupirebbe,
dunque, trovare dei piccoli effetti sistematici a modificarla di un
fattore 2. Certo, potrebbero anche esserci degli effetti sistematici
che la modificano fino ad annullarla entro il rumore, e questo sarebbe un grosso problema. Si tratta quindi di una misura ancora
tutta da confermare, non possiamo correre il rischio di prenderla
per buona cosı̀ com’è. In fisica, misure cosı̀ importanti devono
assolutamente essere confermate da altri esperimenti. La collaborazione BICEP2 ha fatto un lavoro eccellente di previsione di
tutte le sistematiche che potevano prevedere, ovvero di tutti quegli effetti che avrebbero potuto influenzare la misura. Ciò non
toglie che potrebbero essercene altri. Io ad esempio ho una grossa curiosità: capire a quanto ammonta il contributo della nostra
galassia in questo campo di rotazione gravitazionale. Il punto
debole di BICEP2 è quello di aver lavorato a una sola frequenza
e questo non permette di distinguere fra diverse sorgenti di emissione. Non c’è quindi modo di riconoscere l’origine dei fotoni,
siano essi primordiali oppure prodotti dalla nostra galassia. I
gruppi di BICEP2 hanno potuto basarsi solo su dei modelli, visto
che queste misure le ha fatte solo Planck ma le sta ancora elaborando. Secondo le previsioni di questi modelli, il segnale della
nostra galassia sarebbe più piccolo di quello che loro hanno misurato e dunque quelli rivelati dovrebbero essere proprio fotoni
primordiali. Ma se questi modelli non descrivono quella particolare regione di cielo, perché si tratta di modelli medi, allora il
contributo galattico potrebbe essere maggiore. La prima cosa da
fare è quindi quella di ripetere l’esperimento a lunghezze d’onda
diverse da quelle di BICEP2 e confrontare i risultati. In questo
modo avremo informazioni più dettagliate sulla presenza o meno del contributo galattico. Queste misure le sta facendo Keck
Array, anch’esso installato alla stazione di South Pole, entrato
in funzione a pieno regime nell’estate 2012 con cinque telescopi, ciascuno composto da 512 rilevatori. Nel 2015 è prevista poi
l’entrata in funzione di BICEP3, che disporrà di 2560 rilevatori.
E non dimentichiamoci di Planck, i cui dati sono già memorizzati. Come collaborazione prevediamo di rilasciare i risultati entro
dicembre.
Inoltre lei si occuperà di un esperimento
italiano che presto lancerà un nuovo pallone
Esatto. In italiano si chiama esploratore della polarizzazione a
grande scala e presenta delle importanti originalità. Lavora da
pallone e questo permette di osservare una regione di cielo molto
più ampia di BICEP2, che si limitava a meno del 10%. Noi osserveremo invece circa il 30% del cielo. Su misure cosı̀ delicate
è importante che gli esperimenti siano molto diversi tra loro. Se
misurano la stessa cosa, allora la misura è convincente.
Quanto ancora bisognerà aspettare prima di
avere una conferma definitiva?
Serviranno diversi anni prima di avere conferme definitive. Ma la
cosa più entusiasmante, se tutto questo risulterà vero, come tutti
noi speriamo, sarà la possibilità di andare a studiare altre caratteristiche del segnale. A questo punto l’obiettivo non sarebbe più
la sola verifica dell’inflazione, bensı̀ lo studio del potenziale del
campo prodotto dall’inflazione. Questo sarebbe un fatto sensazionale per la fisica di base, perché stiamo parlando di energie di
1016 GeV, valori irraggiungibili con acceleratori. I teorici della
gravità quantistica avranno finalmente a disposizione un esperimento che misurerà in condizioni in cui la gravità quantistica è
fondamentale. Questo discorso, però, lo lascio a loro.
Commenti on-line:
http://www.accastampato.it/
2014/11/debernardis_it/
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Non infiammabile
Città della Scienza dopo l’incendio
Roberto Paura
(Città della Scienza, Napoli)
ltre un anno è passato da quella terribile notte del
4 marzo 2013, quando in poche ore uno spaventoso incendio doloso, i cui autori restano ancora
sconosciuti, divorò il Science Centre di Città della
Scienza, il primo e più grande museo scientifico hands-on d’Italia, inaugurato nel 1996. All’indomani del rogo, di fronte alle
migliaia di cittadini accorse in un lungo e colorato corteo per testimoniare la solidarietà alla struttura, il fisico Vittorio Silvestrini,
presidente e ideatore di Città della Scienza, dichiarava che “potevano bruciare le mura ma non le idee, il cui contenuto non è
infiammabile”. Per questo, senza perdersi d’animo, gli ottanta lavoratori di Città della Scienza, che pure già prima dell’incendio
vivevano una situazione di profondo disagio dovuto al precario
stato economico della Fondazione Idis che ne gestisce le attività,
a causa di mancati pagamenti da parte della Regione e del MIUR
negli anni precedenti, si sono rimboccati le maniche per tenere
aperta al pubblico la struttura. Difatti, nonostante nell’incendio
sia andato distrutto l’intero Science Centre con i suoi exhibit di
fisica, le mostre sull’evoluzionismo, sulle nanotecnologie, sull’educazione alimentare, la bellissima Officina dei Piccoli, la mostra
sullo spazio dell’edizione 2012 di Futuro Remoto e una mostra
temporanea da poco inaugurata con pezzi unici sulla figura dell’esploratore norvegese Fridjtof Nansen, alcuni padiglioni sono
sopravvissuti. Tra questi il Teatro Galilei 104, da poco inaugurato e affidato alla compagnia di teatro scientifico “Le Nuvole”, e
tutta l’area dall’altra parte di via Coroglio, a Bagnoli, che ospita
lo Spazio Eventi e il Polo Tecnologico delle start-up. In questi
spazi, un mese e mezzo dopo l’incendio, nell’aprile 2013 sono
state inaugurate tre mostre temporanee: “I giochi di Einstein”,
una mostra interattiva per scoprire gli aspetti più affascinanti della fisica e il passaggio dalla fisica di Newton a quella di Einstein,
prestata dal Museo delle Scienze di Trento; “Equilibrio”, realizzata dal MUBA, il Museo dei Bambini di Milano, per una corretta educazione alimentare; “Avventura sui vulcani”, una mostra
sul vulcanesimo, con particolare riferimento ai rischi del Vesuvio e dei Campi Flegrei, realizzata dall’INGV. Non solo: diversi
uffici, nel corso dei mesi, sono stati trasformati in aule didattiche dove gli studenti, tra i principali frequentatori di Città della
Scienza, hanno potuto proseguire le loro attività di educazione
scientifica. Oggi alcune di queste aule, grazie a donazioni sostanziose di soggetti quali Fondazione Telecom Italia, Avio, Wind e
Samsung, sono attrezzate con le più avanzate tecnologie didattiche. La disponibilità di spazi per gli eventi ha permesso inoltre
di organizzare numerose iniziative, come quella del ciclo di se-
O
22
minari organizzati dall’INFN di Napoli sulla fisica di frontiera
rivolti agli studenti delle scuole superiori. Dal novembre 2013,
poi, Città della Scienza ha aperto nuovi spazi recuperando anche
quelli antistanti l’area distrutta, e inaugurando tre nuove mostre al
posto di quelle precedenti: “BRAIN: il mondo in testa”, dedicata
al cervello, tema dell’edizione 2013 di Futuro Remoto, in occasione del lancio, l’anno scorso, dei programmi di ricerca Human
Brain Project dell’Unione europea e BRAIN Initiative negli Stati
Uniti; “Cuccioli e uova di dinosauro”, proveniente dall’Australia, per offrire ai più piccoli un viaggio nel mondo dei cuccioli di
dinosauro, aggiornando anche il loro immaginario alle più attuali conoscenze della paleontologia; “Facciamo un esperimento”,
che grazie agli exhibit di fisica prestati dall’Exploratorium di San
Francisco, il primo Science Centre del mondo, ha permesso al
pubblico di Città della Scienza di tornare a godere delle esperienze di scienza hands-on. Altre due mostre temporanee inaugurate
successivamente sono “Inventor’s Hall of Fame”, una mostra sui
brevetti europei che hanno cambiato la nostra vita, realizzata dallo European Patent Office, e “Rewind: Napoli nelle migrazioni”,
realizzata da Città della Scienza in collaborazione con la cooperativa Dedalus per sensibilizzare il pubblico sulla questione dei migranti. Nel frattempo la raccolta fondi ha permesso di raccogliere
quasi due milioni di euro di donazioni di privati cittadini, aziende,
fondazioni e associazioni, con i quali è stato possibile realizzare
tutto questo. Si è invece ancora in attesa di un accordo tra la Regione Campania, il Comune di Napoli e il Governo per lo sblocco
dei 64 milioni di euro stanziati per la ricostruzione, 22 dei quali
saranno coperti dalla stessa Fondazione Idis. La speranza è che si
riesca quanto prima a posare la prima pietra per costruire il nuovo Science Centre, “dov’era, com’era, più bello di prima”. Tappa
intermedia, nel frattempo, sarà l’inaugurazione entro il 2015 di
Corporea, il museo virtuale del corpo umano, i cui lavori furono
interrotti nel 2010 per la mancata erogazione dei fondi regionali,
e che presto permetterà a Città della Scienza di restituire ai suoi
visitatori 5 mila metri quadri di spazi espositivi.
Sull’autore
Roberto Paura Giornalista scientifico, direttore della rivista “Futuri” e consulente per la comunicazione della Fondazione Idis-Città della
Scienza.
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Accastampato non è un periodico, pertanto non è registrato
e non ha un direttore responsabile. È un esperimento di comunicazione realizzato dall’associazione Accatagliato degli
studenti di fisica di Roma con il duplice obiettivo di mostrare
al pubblico non specialistico e agli studenti delle scuole superiori le ricerche portate avanti nell’area romana e di fornire
l’occasione agli studenti universitari e ai giovani ricercatori di
raccontare il proprio lavoro quotidiano e di confrontarsi con
la comunicazione scientifica non specialistica.
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