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Giovanni Cucci
Dipendenza sessuale
online
La nuova forma
di un’antica schiavitù
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ISBN 978-88-514-1602-7
Introduzione
Dipendenza sessuale e cybersex
La difficoltà di riconoscere le dipendenze
La sexual addiction (dipendenza da sesso) è stata riconosciuta
come disturbo per la prima volta dallo psichiatra Richard KraftEbing nel 1886. Egli, nel suo libro Psychopathia sexualis (New York,
Stein and Day, 1965), analizzando diversi casi in proposito, parlava
di «iperestesia sessuale»: in pratica di una sensibilità particolarmente marcata nei confronti della sessualità, che assilla la persona
senza consentirgli di trovare sollievo, neppure dopo ripetute e continue esperienze. In questo libro Kraft-Ebing riconosceva anche il
carattere plastico della sessualità, che può riguardare gli aspetti
più diversi della vita, i pensieri, gli atteggiamenti, le relazioni, il
linguaggio e l’uso del tempo, fino a non lasciare più spazio per
altro che non sia la ricerca spasmodica del piacere erotico; e così
la persona resta sempre più sola, triste e frustrata, accentuando le
componenti distruttive, per sé e per altri. E sono proprio questi
aspetti, come vedremo, a richiedere una particolare attenzione per
riconoscere e gestire questo tipo di disturbo.
Alla sexual addiction sono infatti associati atteggiamenti gravemente lesivi del comportamento come il sadismo, le perversioni
e la violenza, con conseguenze gravi anche sotto il profilo penale.
Con questi termini la psichiatria intende un disturbo nella modalità dell’eccitamento sessuale, che si desta solamente in occasioni
del tutto particolari, come vedere oggetti e indumenti (feticismo),
indossare abiti dell’altro sesso (travestitismo), guardare rapporti
sessuali compiuti da altri (voyeurismo), mostrarsi nudi (esibizio5
nismo), infliggere umiliazioni, violenze, fino a provocare la morte
del partner (sadismo, stupro), o infine molestare, infliggere violenza, avere rapporti sessuali con bambini e adolescenti (pedofilia,
efebofilia).
I recenti e dolorosi casi di abuso su minori, al di là del clamore
mediatico, hanno posto al centro dell’attenzione comune questo
grave problema senza tuttavia entrare in merito alla sua psicodinamica e più in generale alla vasta fenomenologia dei comportamenti
legati alle perversioni. Don Stephen J. Rossetti, già presidente del St.
Luke Institute di Silver Spring (Maryland - USA), un centro di cura
per sacerdoti affetti da gravi problemi, in particolare abusi sessuali,
rileva ad esempio lo stretto collegamento tra pedofilia, perversione
e aggressività negata: «Può essere sorprendente che sottostante a
molte devianze e patologie sessuali vi sia una forma di rabbia consolidata, o di rabbia che si è erotizzata. Questa era la teoria di Robert
Stoller nel suo libro: Perversione: la forma erotica dell’odio. Egli
parlò di devianze sessuali nella forma di odio erotizzato. Questo è
vero in particolare per gli abusi sessuali dei bambini»1.
Nonostante la gravità di questi fenomeni e di altri altrettanto
inquietanti (come il legame tra pornografia e violenza), la dipendenza sessuale non è attualmente considerata come un disturbo di
tipo psicologico e non si trova quindi inclusa nel principale testo
di riferimento in questo campo, il Manuale Diagnostico e StatiS.J. Rossetti, «From Anger to Gratitude. Becoming a Eucharistic People: The
Journey of Human Formation», conferenza tenuta alla Pontificia Università
Gregoriana il 26-3-2004, manoscritto. Per Stoller, la perversione «è innanzitutto
il risultato di una sostanziale interazione fra ostilità e desiderio sessuale […].
Quanto più manifesta è l’ostilità, tanto minori sono i dubbi che si tratti veramente
di perversione. L’omicidio, la mutilazione come fonti di eccitazione sessuale, la
violenza carnale, il sadismo con punizioni fisiche precise […], sono altrettante
forme, in scala discendente, di una rabbia cosciente contro il proprio oggetto
sessuale, forme nelle quali essenziale è quello di essere superiore all’altro, di
infliggergli un danno, di trionfare su di lui» (R. Stoller, Perversione: la forma
erotica dell’odio, Milano, Feltrinelli, 1978, 9, 66). Questa necessità di esprimere
con la violenza una superiorità, propria dell’atto perverso, spiegherebbe la grave
carenza di relazioni «alla pari» riscontrata in coloro che compiono abusi sessuali.
1
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stico dei Disturbi Mentali, comunemente conosciuto come DSM.
La IV edizione rivista (DSM-IV-TR), pubblicata nel 2000 a opera
dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), seguendo le precedenti edizioni del 1994 e del 1987 (DSM-IV; DSM-III-R), tralascia
i termini «perversioni» e «deviazioni», perché ritenuti giudicanti
e moralistici, in altre parole non «scientifici», per mantenere il
solo termine di «parafilie». Le parafilie vengono classificate tra i
disturbi «clinici» (i cosiddetti disturbi dell’Asse I), intendendo con
questo termine i «disturbi che di solito esordiscono nella prima,
nella seconda infanzia, o nell’adolescenza»2. Essi influiscono in
modo significativo sulla dinamica psichica generale dell’individuo,
fino alla psicosi: tra questi disturbi si trovano la schizofrenia, i disturbi affettivi, i disturbi d’ansia, i disturbi dissociativi, i disturbi
da uso di sostanze e la demenza. I medesimi criteri di valutazione
si trovano anche nella decima edizione dell’International Statistical
Classification of Disease and Related Health Problems (ICD-10),
pubblicato a Ginevra nel 1992.
Anche l’ultima edizione (la V) del DSM (pubblicata negli Stati
Uniti nella primavera del 2013 e in Italia l’anno successivo), pur
avendo aumentato enormemente il numero di disturbi possibili
(più di 400, tra cui figurano comportamenti molto meno allarmanti, come la depressione post partum e l’astinenza da caffè) non
menziona mai la dipendenza sessuale: a differenza del caffè, essa
non sembra suscitare problemi sul versante psicologico. Si parla
piuttosto di «disfunzioni sessuali», ma senza entrare in merito a una
dipendenza in questo ambito, giustificando tale scelta con il fatto
che «la ricerca suggerisce che la risposta sessuale non è sempre un
processo lineare e uniforme, e che la distinzione tra alcune fasi (ad
esempio, il desiderio e l’eccitazione) potrebbe essere artificiale»3. La
Associazione Psicologica Americana, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 4a ed. (DSM-IV), Milano, Masson, 2000, [111], 51.
3
Associazione Psicologica Americana, «Highlights of Changes from DSM-IV-TR
to DSM-5», 13, <www.dsm5.org/Documents/changes%20from%20dsm-iv-tr%20
to%20dsm-5.pdf>.
2
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stessa problematica delle perversioni è stata ben presto derubricata
dai trattati, con la motivazione che si stava operando una discriminazione nei confronti di coloro che mettono in atto atteggiamenti
non conformi al sentire comune4. La perversione (nel senso indicato
da Stoller) è invece un elemento preponderante della dipendenza
sessuale, come vedremo, eppure non trova posto nell’universo ufficiale della psicologia e della psichiatria. Come a dire che su queste
cose ognuno deve arrangiarsi come può.
Certo, la cautela circa la complessità delle possibili interpretazioni va mantenuta: anche se i dati risultano eloquenti, si tratta pur
sempre di una variabilità statistica. Nel comportamento umano non
è possibile riscontrare un mero rapporto di causa-effetto, proprio
a motivo della libertà e della complessa struttura della personalità.
Ma un cibo velenoso rimane tale anche se non uccide sempre coloro che lo assumono. La tendenza a un approccio tecnico da parte
della psichiatria contemporanea porta a trascurare l’importanza
di quel cibo altrettanto indispensabile per la vita che è la cultura,
per accanirsi invece su aspetti molto meno rilevanti della psiche.
Il rischio di introdurre regole arbitrarie vale comunque per ogni
tipo di comportamento e dinamica classificato come «disturbo»,
anche grave, come è stato più volte rilevato in sede di ricerca psichiatrica. Il caso della schizofrenia è un esempio emblematico5.
Che fare dunque? Abolire il vocabolario della salute mentale
perché di parte? Rinunciare a differenziare il comportamento?
Il disagio conseguente a queste situazioni risulta d’altra parte
«Determinare la devianza di un individuo nell’area della sessualità implica stabilire una chiara norma per il comportamento sessuale. Chi stabilirà tali norme?
La psichiatria dovrà essere il guardiano morale del comportamento sessuale?
Possiamo usare termini come deviazione sessuale, perversione o anche parafilia
senza che sembrino peggiorativi?» (G. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Milano, Cortina, 1995, 307).
5
Per una panoramica al riguardo cf E. Minkowski, La schizofrenia, Einaudi, Torino, 1998; R. Laing, L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi, Torino,
2010; L. Sass, Follia e modernità. La pazzia alla luce dell’arte, della letteratura e
del pensiero moderni, Milano, Cortina, 2013.
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ben noto a medici e psichiatri che hanno a che fare con pazienti
ossessionati da queste problematiche, vissute con disagio e ansia,
anche a motivo delle possibili conseguenze penali, insieme alla
frustrazione di non poterle contrastare. Nonostante queste riserve,
la dipendenza sessuale ha trovato un campo di studio e ricerche
sempre più ampio e diversificato a partire dagli anni Ottanta del
secolo scorso, evidenziando forti somiglianze con altre forme di
disagio (alcool, droga, alimentazione, gioco, acquisti). I comportamenti perversi e le gravi e pesanti conseguenze – in termini di
disagio e sofferenza – avvertite, oltre che dalle vittime, da coloro
che le mettono in atto, non sono certo scomparsi, e richiedono un
aiuto adeguato. Il problema rimane intatto nella sua gravità, ma
come diventa possibile affrontarlo senza una ricerca e una attenzione consapevoli della non ovvietà di tali comportamenti?
Resta infine da domandarsi come mai il fenomeno delle dipendenze sia diventato così ampio e diversificato, andando ben al di
là della classica «sostanza», e si ritrovi nelle situazioni più diverse
dal punto di vista professionale, di ambiente e di classe sociale, e
si sia diffuso in modo così capillare nelle nostre società6. È strano
che proprio ciò che dovrebbe offrire gioia, piacere e voglia di vivere,
finisca per diventare una delle maggiori fonti di disagio, infelicità e
morte. È il punto terminale cui porta un bene che si è trasformato
in modalità viziosa.
Il cybersesso
Le gravi problematiche sin qui emerse trovano un riscontro ancora più preoccupante e marcato nel caso delle dipendenze sessuali
online, un fenomeno sempre più diffuso e devastante, in quanto
presenta suggestioni cui difficilmente può sfuggire chi ne è affetto.
Cf A. Giddens, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo
nelle società odierne, Bologna, il Mulino, 1995, 77, 78; C. Guerreschi, La dipendenza sessuale. Quando il sesso può uccidere, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2011, 73.
6
9
Ma cosa s’intende con l’espressione cybersex? Si può riprendere la
definizione proposta da Tonino Cantelmi, uno dei pionieri in Italia
negli studi sulla dipendenza da Internet: «Il cybersesso può essere
operativamente definito come un’attività sessuale online tramite
la quale le persone utilizzano Internet per mettere in atto attività
sessuali eccitanti o gratificanti. Queste includono, ad esempio,
guardare foto o video erotici, leggere materiale sessuale, utilizzare chat erotiche, scambiarsi email ed immagini esplicitamente
sessuali, condividere fantasie sessuali mentre entrambe le persone
si masturbano. Questo utilizzo diviene patologico quando la persona non riesce a farne a meno nonostante evidenti conseguenze
negative nella propria vita, a livello personale ed interpersonale»7.
Lo studio di questa dipendenza evidenzia una costante puntualmente presente nel controverso tema della bontà/nocività di
Internet, e cioè che esso è uno specchio che amplifica ciò che è già
presente nella vita ordinaria, su altra scala: «Secondo la Società
Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive (S.I.I.Pa.C.), gli
elementi che possono favorire lo sviluppo della cyber-porn addiction, quali psicopatologie pre-esistenti (depressione, disturbi
ossessivo-compulsivi, ecc.), condotte rischiose (eccessivo consumo,
riduzione delle esperienze di vita e di relazioni “reali”) ed eventi di
vita sfavorevoli (portando a problemi lavorativi, familiari, amicali,
ecc.), sono accentuati dalle caratteristiche della rete, ovvero anonimato ed estrema facilità nell’accedere ai servizi»8.
D’altra parte, anche se il cyberdipendente manifesta problemi e
difficoltà molto simili a quanto riscontrato nel mondo reale, è tutT. Cantelmi - E. Lambiase, «La dipendenza da cybersesso: dall’uso ricreativo
a quello patologico delle condotte sessuali online», in Psicotech, 4 (2006), n. 4,
7-28, qui 8.
8
S. Ficocelli, «Troppi porno, non ricordo più nulla: i film hard danneggiano la
memoria», in la Repubblica.it, 18 dicembre 2012; cf F.O. Poulsen - D.M. Busby
- A.M. Galovan, «Pornography Use: Who Uses It and How It Is Associated with
Couple Outcomes», in Journal of Sex Research, 2013, Vol. 50, Issue 1, 72-83; cf G.
Cucci, Paradiso virtuale o Infer.net? Rischi e opportunità della rivoluzione digitale,
Milano-Roma, Àncora - La Civiltà Cattolica, 2015.
7
10
tavia anche importante rilevare alcune nuove possibilità (e quindi
anche nuovi motivi di preoccupazione) che il web presenta rispetto
alla pornografia stampata e in DVD in voga prima dell’avvento
dell’era digitale.
La psicologa Patricia Wallace evidenzia a questo proposito soprattutto quattro aspetti differenziali:
1) il tempo dedicato alla pornografia (e l’influsso sulla fantasia e
la mente) tende ad ampliarsi. L’offerta sempre nuova e soprattutto
gratuita e facilmente disponibile porta a un sensibile aumento di
questa dimensione nella vita del dipendente. Con effetti sempre
più devastanti, come si vedrà;
2) la diffusione, a differenza del mezzo stampato, raggiunge una
fascia sempre più grande. Ciò può diventare pericoloso per chi,
nell’età dello sviluppo, comincia a fare i conti con la dimensione
delicata e complessa della sessualità (insieme alle sottostanti e altrettanto critiche problematiche, legate alla solitudine, al senso di
inferiorità e di frustrazione cui la pornografia sembra offrire una
potente modalità di compensazione);
3) l’anonimato. Chi naviga può coprire le proprie difficoltà relazionali, o la mancata accettazione di sé; è sufficiente cliccare ed
entrare a piacimento negli ambienti più graditi, ma soprattutto
si può decidere quale identità assumere, grazie alle innumerevoli
possibilità offerte dalle comunità virtuali (Second Life, Avatar…). Si
avverte in altre parole la sensazione di essere onnipotenti. Anonimato significa anche la possibilità di accedere al materiale pornografico evitando la spiacevole situazione di doverne fare richiesta
all’edicolante, come avveniva prima. Ma soprattutto ora è possibile
trovare gratuitamente materiale a volontà, anche se poi molti si
affezionano a siti e a personaggi che si esibiscono a pagamento,
rovinandosi economicamente molto di più che con l’acquisto di
materiale cartaceo. È un fatto che la pornografia su Internet sta
diventando un business sempre più rilevante, anche all’interno
delle molteplici diramazioni del web: «Il sesso su Internet è al terzo
posto per valore economico nella Rete. Ogni secondo si spendono
11
in Internet circa 90 dollari in materiale pornografico e quasi 30.000
persone lo stanno guardando, quasi sempre dall’ufficio; ogni giorno nascono centinaia di nuovi siti porno. Ce n’è abbastanza per
dire che siamo di fronte a un’emergenza poco appariscente perché
consumata in silenzio e in solitudine, ma estremamente subdola
perché va a minare non solo i rapporti di coppia, ma la capacità
dell’individuo di avere relazioni sane e, nei casi più gravi, di affrontare e vivere la realtà»9.
4) il virtuale favorisce l’allentamento dei freni inibitori e quindi
la facilità ad acquisire comportamenti viziosi senza avvertirne la
gravità: «Le persone si sentono più libere di leggere storie erotiche
sullo schermo o di guardare immagini a sfondo esplicitamente
sessuale al loro computer, ma probabilmente non sarebbero mai
entrate in un cinema per adulti né avrebbero assistito a uno spettacolo erotico. Su Internet è anche maggiore la libertà di esplorare
ambiti della sessualità quali feticismo, devianza, sottoculture
alternative in modi che non erano nemmeno immaginabili in
passato»10. E, questo, vale soprattutto per la pornografia violenta,
con conseguenze rilevanti nei confronti dei reati a sfondo sessuale.
La dipendenza sessuale esisteva certamente anche prima di Internet; per questo non ha senso attribuire la colpa esclusivamente
alle nuove tecnologie. Il virtuale però esercita un fascino ancora
più invasivo, a motivo di quelle che Al Cooper chiama le 3 A: Accesso, Affidabilità e Anonimato11. A queste si deve indubbiamente
aggiungere l’interattività, che è la vera grande novità del mondo
virtuale 2.0.
<www.medicinalive.com/generale/dipendenza-da-cybersex-la-nuova-patologiacompulsiva/>.
10
P. Wallace, La psicologia di Internet, Milano, Cortina, 2000, 234.
11
Cf A. Cooper, «Sexuality and the Internet: surfing into a new millennium», in
Cyberpsychology & Behavior, 1998, 1(2), 187-193.
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