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ARISTOTELE: METAFISICA E FISICA
1) Anche se il lavoro di Aristotele (IV secolo a.C.) fu sempre essenzialmente in fieri, egli ritornando più volte su argomenti già trattati, le opere giunte fino a noi, di natura diversa (appunti, schemi o trascrizioni di lezioni, relazioni) ma tutte strettamente legate all'attività didattica e di ricerca
della scuola da lui fondata, il Liceo (e perciò dette esoteriche o acroamatiche), e distinte da quelle
rivolte al pubblico (essoteriche o acusmatiche, aventi forma dialogica ed ormai perdute), sono tuttavia il risultato di un montaggio editoriale effettuato soltanto nel I secolo a.C. da Andronico di Rodi,
che le raggruppò non secondo l'ordine cronologico di stesura ma per argomenti, costringendole nel
per loro anacronistico genere letterario del trattato, in omaggio ad uno stile di pensiero esteriormente più compiuto e meno problematico e fornendo così l'impressione di un'intenzionale "esposizione sistematica di una dottrina compiutamente elaborata e definitivamente ordinata" (Il testo filosofico)1, laddove nella realtà aveva "subito crisi e mutamenti2: i frammenti che possediamo dei dialoghi ci mostrano infatti un Aristotele che aderisce dapprima al pensiero platonico, per poi allontanarsene e modificarlo sostanzialmente, e che trasforma la natura dei suoi interessi spirituali, i quali,
rivolti in un primo tempo ai problemi filosofici, si vengono in seguito concentrando su problemi
scientifici particolari"3.
2) È tuttavia importante notare che quella caratteristica non è del tutto estranea al progetto filosofico di Aristotele4 che, non animato dalle finalità pratico-politiche che erano state di Platone, ha
cercato di fornire, nel quadro del lavoro collettivo della scuola da lui fondata, il "Liceo" 5, una descrizione organica (un' "enciclopedia") della totalità del reale, nei suoi aspetti generali e nei suoi ambiti
particolari, secondo un approccio che manifestava l'incipiente distinzione specialistica, tipica del
pensiero occidentale, tra la filosofia, che si occupa degli aspetti più generali della realtà e dei principi costitutivi delle scienze, e queste ultime (teologia, logica, fisica, biologia, psicologia, gnoseologia, medicina, etica, politica, poetica), sempre più concepite come autonome ed aventi la stessa dignità "nonostante" il loro occuparsi di particolari "settori" del reale, e di cui Aristotele cerca di fondare o di cogliere la metodologia e la terminologia peculiare, in molti casi tuttora presente, non
soltanto nel linguaggio filosofico.
1
"Lo studio e il commento di queste opere ha costituito, nell'antichità, nel medioevo e nei primi secoli dell'età
moderna, uno degli aspetti più rilevanti dell'attività di tutte le scuole filosofiche" (Enciclopedia Garzanti di Filosofia).
2
La qual cosa è dimostrata anche dall'andamento problematico delle opere aristoteliche, "con l'ampio lavoro
critico esercitato rispetto alla cultura greca arcaica e contemporanea. I trattati non si sviluppano intorno a
una tesi di fondo, di cui siano svolte le implicazioni ricorrendo alla dimostrazione: essi procedono valorizzando le difficoltà teoriche e la loro discussione. In effetti, essi muovono per lo più da una raccolta di opinioni intorno alla questione a tema, da cui il filosofo enuclea i contorni del problema da risolvere, rileva e discute le
difficoltà esplicite e implicite, indicandone le soluzioni adottate per recuperarne elementi utili alla propria, che
viene infine consapevolmente proposta come sintesi dell'indagine condotta" (Geymonat-Tagliagambe-AAVV,
La realtà e il pensiero).
3
Abbagnano-Fornero, Itinerari di filosofia.
4
In effetti anche i suoi dialoghi, a differenza di quelli platonici e nonostante la vivacità dello stile, non tendevano "a riprodurre i ritmi della conversazione parlata, essendo per lo più composti di lunghi interventi che
sfociano in un intervento finale dell'interlocutore-autore" (Occhipinti, Logos).
5
Cosiddetto perché sito "presso i giardini di Apollo Licio […]. Diversamente dall'Accademia, il Liceo non era
caratterizzato da progetti etico-politici o da speciali legami religiosi fra i discepoli (che erano di origini e cittadinanze diverse, ma da finalità essenzialmente scientifiche. Se il sapere elaborato nel Liceo era più scolastico di quello dell'Accademia, in quanto più legato alle concezioni del fondatore, era però molto più aperto a ricerche specialistiche. Per l'ampiezza dei programmi di lavoro, per l'ordinata suddivisione delle indagini fra i
vari gruppi di ricercatori, per la raccolta sistematica del materiale di studio ecc, esso costituì il primo esempio
di istituto scientifico nel senso moderno della parola. In rapporto ai diversi ambiti di studio, il materiale veniva
accuratamente raccolto e catalogato; in particolare la grandiosa biblioteca messa insieme nel Liceo costituì il
modello per le più celebri biblioteche dell'antichità" (Geymonat, Immagini dell'uomo).
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3) A differenza di Platone, dunque, per Aristotele della realtà che ci circonda è possibile non soltanto una spiegazione verosimile, ma una vera e propria scienza; la quale, tuttavia, non ha quella
configurazione matematica praticata, sia pur diversamente, da Democrito e dal Platone del Timeo. È
comunque il mantenimento del relativo impianto finalistico che apparenta essenzialmente lo stagirita
al suo maestro e lo rende, perciò, con lui, infinitamente più distante dalla scienza contemporanea
dell'abderita.
4) Comunque sia, la disposizione organica delle scienze comporta il loro raggruppamento in teoretiche, comprendenti la filosofia prima, la fisica e la matematica ed aventi come "oggetto il necessario (ossia ciò che non può essere diverso da com'è), e come scopo la conoscenza disinteressata del
vero. [Ad esso sono subordinate le conoscenze che] hanno per oggetto il possibile (ossia ciò che può
essere diverso da com'è), come scopo l'orientamento dell'agire e come metodo un tipo di ragionamento non dimostrativo (valido 'per lo più'). Le scienze pratiche (che sono l'etica e la politica) indagano l'ambito dell'agire individuale e collettivo, e vertono su un oggetto che si risolve nell'azione
stessa. Le scienze poietiche studiano l'ambito della produzione di opere o della manipolazione di oggetti (esse sono le arti belle e le tecniche) e mettono capo a un prodotto che possiede un'esistenza
autonoma rispetto al soggetto che lo ha realizzato"6.
5) Per "filosofia prima"7 Aristotele intende, distinguendola da tutte le scienze (o "filosofie seconde") che studiano una dimensione specifica dell'essere8, lo studio di quest'ultimo in quanto tale (che
la qualifica perciò come ontologia), ovvero della realtà in generale, cioè delle caratteristiche comuni
a tutti gli enti, e dunque della sostanza, delle "cause ed i principi primi", di "Dio e la sostanza immobile".
6) Per quanto riguarda l'ontologia, ricollegandosi ed innovando l'antica posizione parmenidea, Aristotele afferma che il termine "essere" possiede non solo un univoco significato verbale/"esistenziale", ma anche una serie finita di significati diversi ma analoghi nell'attribuire predicati a soggetti, a cui corrispondono altrettanti modi di essere delle cose. "Consideriamo ad esempio
le seguenti frasi: ' il latte è un alimento sano', ' Tizio è sano', ' il colorito di Tizio è sano'. Nel primo
caso il verbo 'è' istituisce un rapporto causale tra il latte e la salute […]. Nel secondo caso, invece, il
verbo 'è' indica un rapporto di possesso, perché si vuole affermare che Tizio gode di buona salute.
Infine, nel terzo caso il verbo 'è' viene utilizzato per rendere manifesta una proprietà di Tizio (la sua
buona salute) attraverso una sua caratteristica (il suo colorito)"9.
7) Ora, fondamentalmente si può intendere l'essere in quanto "categorie", "accidente", "vero", "atto
e potenza"; le prime costituiscono le determinazioni generalissime che caratterizzano necessariamente tutti gli enti – e che determinano la totalità dei modi in cui ne si può parlare –, dimodoché, ad
esempio, dire che un determinato cavallo "è" significa che
i.
ii.
iii.
secondo la sostanza (termine con cui Aristotele indica qualsiasi ente particolare – un uomo, un animale, un oggetto inanimato – da intendersi come "sostanza prima" perché oggetto
di predicazione) ha caratteristiche generali ("sostanze seconde", predicati) che lo rendono
appartenente al genere degli animali e particolari proprie solo della specie a cui appartiene, ovvero i cavalli (è mammifero, quadrupede, possiede un certo numero di denti, etc.) 10;
secondo la qualità è nero;
secondo la quantità ha una determinata altezza e un determinato peso;
6
Abbagnano-Fornero, op. cit.
Il termine "metafisica", utilizzato per la sua indubbia efficacia, ha invece una tarda origine "bibliografica", risalendo "ad Andronico di Rodi, che nel primo secolo a.C., ordinando i capolavori aristotelici, mise "μετά τά
υύσικά", cioè dopo i libri di fisica, le opere di filosofia prima" (ivi).
8
"La matematica, ad esempio, ha per oggetto l'essere come quantità, mentre la fisica ha per oggetto l'essere
come movimento" (ivi).
9
Ivi.
10
Le caratteristiche di genere e di specie dei singoli enti ne consentono la definizione.
7
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iv.
v.
vi.
vii.
viii.
ix.
x.
secondo la relazione appartiene a una certa scuderia;
secondo l'agire nitrisce;
secondo il subire viene accarezzato;
secondo il dove (il luogo) si trova in una certa stalla;
secondo il quando (il tempo) è oggi vivente;
secondo l'avere (lo stato, pure riconducibile11 alla relazione) ha una sella;
secondo il giacere (l'essere in una certa situazione, riconducibile al luogo) è in piedi.
8) Fra le categorie, la più importante è quella di sostanza, nel cui problema si risolve quello
dell'essere (e dell'ente), giacché è in base ad essa che si definiscono le caratteristiche essenziali dei
singoli enti, ed è ad essa che vanno riferite tutte le altre categorie, accidentali, e tutti gli altri significati di quello: infatti, è una determinata sostanza che possiede determinate qualità, si trova in certe relazioni, compie determinate azioni, etc.
9) Tale importanza è evidente, per Aristotele, anche se si considera il principio fondamentale a cui
la filosofia prima, come tutte le scienze12, deve rifarsi, ovvero quello di non contraddizione – in base al quale "è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga alla medesima cosa e nella medesima relazione"13 – avente un valore sia logico che ontologico, costituendo non solo la condizione fondamentale di ogni pensiero valido, ma anche il modo in cui
gli enti non possono non essere: e così, ad esempio, che un certo gatto sia contemporaneamente bianco e non bianco nella stessa parte del proprio corpo, non può né accadere né essere affermato.
10) "Dal punto di vista ontologico, il principio di non-contraddizione significa dunque che ogni essere [ente!] ha una natura determinata, che è impossibile negare e che in tal senso è necessaria, non
potendo essere diversa da com'è. Aristotele chiama appunto 'sostanza' la natura necessaria di un essere qualsiasi. Essa è pertanto l'equivalente ontologico del principio logico di non-contraddizione"14.
11) Ora, anche se per Aristotele, giusta l'impossibilità di un regresso all'infinito, tale principio – come tutti quelli su cui si fondano le scienze, come ad esempio i cinque postulati della geometria euclidea – non può essere dimostrato, ciò non significa che esso vada accolto "fideisticamente", essendo
almeno zenonianamente dimostrabile l'impossibilità di una sua negazione: chi volesse negarlo, infatti, affermando – e non negando – al tempo stesso qualcos'altro, avente un significato preciso, comunque ne starebbe facendo uso; "se poi il negatore decidesse di praticare 'in concreto' la contraddizione, allora dovrebbe contraddirsi. Ma per contraddirsi, in quanto negatore del principio, dovrebbe dire allo stesso tempo che ne è anche il sostenitore: in tal modo, però, cesserebbe di esserne
davvero e solo il negatore. Infine, se il negatore, non potendo negare a parole il principio, decidesse
di non parlare più, sarebbe il suo comportamento a tradirlo"15: se pur si volesse contraddire suicidandosi, starebbe pur sempre facendo qualcosa di non contraddittorio.
12) Comunque sia, posto che la sostanza costituisce il significato fondamentale dell'essere, ad essa
riferendosi tutti i suoi significati, e posto che, ad essere, è sempre un singolo ente, un "individuo
11
Queste ultime due categorie, ricorrenti nell'elenco fornito nei Topici e nelle Categorie, non saranno in effetti
presenti negli Analitici secondi e nella Metafisica.
12
"Le varie scienze procedono per 'astrazione', cioè spogliando le cose da tutti i caratteri che sono diversi da
quelli che esse prendono in considerazione. Il matematico spoglia le cose di tutte le qualità sensibili (peso,
leggerezza, ecc.) per ridurle alla quantità, cioè al numero e alle forme geometriche. Il fisico le libera da tutte
le qualità che non si riducono al movimento […]. A questo scopo, il matematico e il fisico stabiliscono certi
principi generali, o assiomi, che concernono per l'appunto la specifica natura dell'oggetto della loro indagine:
assiomi, in altre parole, che definiscono l'oggetto della matematica e della fisica distinguendolo da quello delle
altre scienze" (ivi).
13
Cit. in Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, Il testo filosofico.
14
Abbagnano-Fornero, op. cit.
15
Ivi.
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concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico di predicati"16, si potrà dire
che la sostanza è appunto "un ente autonomo, cioè qualcosa che, a differenza delle qualità che gli si
riferiscono, ha vita propria"17.
13) "Pertanto l'essere [la realtà!] non è altro che un insieme di sostanze e di qualità di tali sostanze"18, e ciascuna di esse costituisce un sinolo, cioè un insieme indissolubile di una materia ed una
forma che la specifica, la struttura, secondo le caratteristiche senza le quali una data sostanza non sarebbe quello che è19, laddove quelle indicate dalle altre categorie possono variare senza alterarla: così, rifacendoci all'esempio di cui sopra, il cavallo è necessariamente mammifero, ma è irrilevante
che si trovi nell'una o nell'altra stalla, oppure che sia accarezzato o no. Queste caratteristiche sono da
Aristotele definite accidenti, e costituiscono, come abbiamo visto, il secondo dei significati dell'essere.
14) Comunque sia, la conoscenza scientifica delle sostanze consiste nella spiegazione delle cause
delle loro particolarità. Aristotele ne individua quattro tipi, che illustreremo facendo ancora riferimento all'esempio del cavallo:
i.
ii.
iii.
iv.
materiale, cioè ciò di cui qualcosa è costituito (nel nostro caso carne, sangue e ossa);
formale, cioè l'insieme delle sue determinazioni essenziali, la loro forma, di cui abbiamo già
detto;
efficiente, cioè ciò che l'ha prodotta20 (i genitori del cavallo);
finale, cioè la cosa formata nella sua compiutezza (il cavallo adulto, termine ideale del divenire del suo organismo, superato il quale c'è il suo decadimento).
15) "Nei processi naturali la causa formale, quella efficiente e quella finale sono una cosa sola: ad
esempio, la pianta è, insieme, la forma, la causa efficiente e il fine della trasformazione del seme, così come l'uomo è, insieme, la forma, la causa efficiente e il fine del bambino. Nei processi artificiali
le quattro cause possono invece essere distinte tra loro, poiché, ad esempio, un conto è la statua
(causa formale), un conto è l'artista (causa efficiente), un conto è il compenso o la gloria (causa finale) che l'artista vuole ottenere tramite la statua"21.
16) Ad ogni modo, "le quattro cause sono in fondo specificazioni della sostanza globalmente intesa,
che è dunque il 'perché' privilegiato, il vero principio, o la vera causa, dell'essere […] comprendere
la causa significa comprendere l'articolazione interna di una sostanza, cioè la ragione per cui una
certa sostanza è quella che è e non può essere o agire in altro modo"22.
17) "Soffermandosi sulla teoria delle quattro cause, Aristotele rileva come i pensatori precedenti le
avessero già in qualche modo individuate (i fisici, ad esempio, la causa materiale e quella efficiente;
i pitagorici quella formale). Il loro torto, tuttavia, era stato quello di insistere su una soltanto di tali
cause, lasciandosi sfuggire le altre, o di non aver spiegato bene le modalità effettive del loro agire. Il
principale bersaglio della polemica aristotelica è tuttavia costituito da Platone. Quest'ultimo, infatti,
ha senz'altro il merito di aver focalizzato la causa formale, dal momento che l'idea platonica non è
altro che la 'natura', o essenza necessaria, di una cosa, cioè la sua forma [e non a caso sono indicate
dallo stesso termine, ειδος]; ma […] essendo le idee 'fuori' delle cose, ovvero separate da esse, non si
16
Ivi.
Ivi.
18
Ivi.
19
Di qui l'inclinazione a considerare sostanza più la forma che il sinolo: l'imposizione di forme diverse alla
medesima materia istituirebbero infatti enti differenti.
20
Si noti che, per la mentalità odierna, è questo l'unico significato del termine "causa".
21
Ivi.
22
Ivi.
17
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capisce bene in che senso possano essere causa delle cose stesse"23. Così, mentre per Platone l'idea è
un principio trascendente, cioè separato dagli enti sensibili che gli corrispondono, per Aristotele la
forma è immanente ad esse, cioè ne costituisce la struttura comune24 e, come vedremo fra breve, il
principio del loro divenire necessario, che il suo maestro – dopo aver inutilmente "duplicato" il mondo25 e, dunque, le sue spiegazioni – riteneva eleaticamente inspiegabile, non autentico oggetto di
scienza 26.
18) Ora, mentre i fisici pluralisti avevano provato a spiegarlo aggirando la concettualità eleatica, Aristotele, riprendendola, afferma che il divenire, lungi dall'essere un passaggio dall'essere al non essere, ne è una modalità, "un passaggio da un certo tipo di essere [della sostanza] ad un altro certo tipo
di essere"27, ovvero "dallo stato di assenza di una determinata caratteristica (il freddo, la quiete, la
luminosità) alla sua acquisizione. In questo passaggio c'è qualcosa che rimane identico e qualcosa
che muta: la pianta da piccola diventa grande, da spoglia diventa frondosa, da verdeggiante diventa
gialla, e così via. Nei diversi passaggi la pianta rimane sé stessa e passa da uno stato iniziale in cui
è priva di una determinazione (per esempio frondosa nel momento in cui è spoglia) a uno stato terminale in cui tale determinazione è acquisita. Ciò che rimane identico nel passaggio è il sostrato o
soggetto [la sostanza], 'ciò che sta sotto', che permane identico nel succedersi delle determinazioni.
Lo stato iniziale è la privazione (il non essere, l'assenza) di una forma, lo stato terminale è il raggiungimento di quella forma. L'introduzione del sostrato consente ad Aristotele di eliminare l'accusa
di contraddittorietà del divenire inteso come passaggio tra i contrari […]: non è l'essere-piccolo, la
piccolezza, che diventa l'essere-grande, la grandezza, ma è il sostrato pianta che, permanendo tale,
in un primo tempo è caratterizzato dall'essere-piccolo, poi dall'essere-grande"28.
19) Tale passaggio va spiegato alla luce del concetto di movimento, comprendentene quattro tipologie:
i.
ii.
iii.
iv.
"locale, o traslazione, che consiste nello spostamento di un corpo"29;
"qualitativo, o alterazione, che avviene quando, in un sostrato, cambia una caratteristica accidentale. Ad esempio, se Socrate da non-musico diventa musico"30;
"quantitativo, che consiste nell'accrescimento o nella diminuzione e che ha luogo semplicemente quando cambia una certa quantità di un sostrato. Ne sono esempi l'ampliamento di un
edificio, o il dimagrimento di una persona"31;
sostanziale, cioè, a differenza dei precedenti, inerente cambiamenti non accidentali ma necessari, quali i fenomeni della nascita, della crescita e della morte.
20) Quest'ultima tipologia di divenire, la più importante, è spiegata da Aristotele con i concetti di po23
Ivi.
"Ad esempio, l' 'umanità' non è un'idea esistente nell'iperuranio, ma semplicemente la specie biologica immanente negli individui che denominiamo 'uomini' " (ivi).
25
"L'aver negato il dualismo platonico affermando che l'unico mondo esistente è quello dell'esperienza [la qual
cosa implica una maggiore insistenza sulla necessità di muovere da essa per arrivare ai principi primi] non esclude per Aristotele che esistano in esso diversi gradi di perfezione. Se è vero che i singoli esseri hanno tutti
la stessa esistenza, la loro essenza è però più o meno perfetta; d'altra parte, gli esseri si possono considerare
più o meno perfetti a seconda che in essi sia più o meno realizzata la forma che li caratterizza (in tal senso, un
cucciolo è meno perfetto dell'animale adulto)" (Geymonat, op. cit.).
26
Del resto, conformemente ai propri interessi naturalistici, Aristotele "non considera le idee come valori, ma
solo come principi del mondo naturale" (ivi).
27
Abbagnano-Fornero, op. cit.
28
Occhipinti, op. cit.
29
Abbagnano-Fornero, op. cit.
30
Ivi.
31
Ivi.
24
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tenza (dýnamis) ed atto (enérgheia), indicanti rispettivamente la conformazione iniziale di un ente
(sostanza, sostrato), ossia la possibilità sua (ovvero della particolare materia che lo costituisce) "di
assumere una determinata forma"32 "date certe condizioni"33, e lo sviluppo compiuto verso cui essa è
in sé orientata: così, ad esempio, si può dire che un pulcino è una gallina in potenza (perché lo diventerà), e che una gallina è un pulcino in atto (perché coincide con il suo sviluppo).
21) Da quest'esempio è palese che, nel caso degli enti naturali – ma non di quelli artificiali – la
"possibilità" a cui allude il filosofo non implica uno sviluppo casuale, ma caratterizzato da una necessità intrinseca34: "non qualunque forma si può infatti imporre a qualunque materia: prima di
avere attualmente una certa forma, la materia deve possederla in potenza35, e il divenire è così sempre un passaggio dalla potenza all'atto"36; "materia e forma nei singoli esseri si possono distinguere
solo mentalmente; in realtà formano un tutt'uno […], qualcosa di concreto che si organizza e sviluppa secondo modalità che gli sono specifiche (forma). Così, un animale non è una certa quantità di
materia (indeterminata) cui successivamente si aggiunga una forma; è, fin dall'inizio, un essere determinato, in cui la materia (il corpo) ha già la struttura specifica del genere cui l'animale appartiene; e come essere determinato si sviluppa, rivelando via via la forma che gli è propria"37.
22) Comunque sia, è importante notare che l'atto è primario rispetto alla potenza, sia sul piano ontologico – perché "il generarsi di un determinato essere presuppone il preesistere di una sostanza
già in atto – il genitore […] o l'artefice"38 – che su quello conoscitivo – perché "non si può conoscere la potenza, se non si conosce l'atto di cui essa è potenza"39.
23) Ad ogni modo, potenza ed atto si trovano nello stesso rapporto di materia e forma40: "infatti la
materia, per definizione, è la possibilità di assumere forme diverse, mentre la forma, per definizione,
è la realtà in atto di tali possibilità. Il punto di partenza del divenire è quindi la materia come privazione, o pura potenza, di una certa forma, mentre il punto di arrivo è l'assunzione di tale forma. […]
Ora, se tutti i movimenti che avvengono in natura vanno da una materia ad una forma, spesso ciò
che è forma, cioè punto di arrivo di un movimento, diventa materia, ossia punto di partenza di un
movimento ulteriore. Perciò una stessa cosa può essere considerata materia o potenza dal punto di
vista del movimento che ad essa mette capo (ad esempio, il pulcino è potenza rispetto alla gallina ma
atto rispetto all'uovo)"41; e, allo stesso modo, "le nozioni di forma e materia sono relative: il mattone, per esempio, può esser riguardato come materia della casa ma anche come forma dell'argilla
della quale esso è costituito"42.
24) Comunque sia, "questa catena, secondo Aristotele, suppone due estremi"43: la materia prima 44,
32
Ivi.
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.
34
Che pure non deve certo realizzarsi… necessariamente: "ciò che ha la potenza di passare all'atto può anche
non passare all'atto" (cit. in Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.).
35
"La materia di cui si compongono le cose ha già una sua configurazione determinata" (Occhipinti, op. cit.).
36
Enciclopedia Garzanti di Filosofia.
37
Geymonat, op. cit.. "Aristotele può opporsi sia alla concezione del 'divenire' di Eraclito sia a quella dell'
'essere' di Parmenide: il divenire, infatti, come non è passaggio da uno stato a un altro qualsiasi dell'essere,
così non è passaggio semplicemente dal non-essere all'essere, bensì dall'essere in potenza all'essere in atto" (ivi).
38
Occhipinti, op. cit.
39
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.
40
Anche se "tra queste due coppie di concetti esiste una differenza. La coppia forma/materia, infatti meglio si
presta a render ragione, secondo un'ottica prevalentemente statica, della struttura del reale […]. La coppia atto/potenza, invece, appare più idonea a spiegare (dinamicamente) i processi di trasformazione" (Cioffi-LuppiVigorelli-Zanette, op. cit.).
41
Abbagnano-Fornero, op. cit.
42
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.
43
Abbagnano-Fornero, op. cit.
44
"Nella spiegazione del divenire, alla distinzione di sostanza e accidente si sovrappone quella tra materia e
33
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o pura potenza, del tutto informe e priva di determinazioni (e perciò solo astrattamente concepibile),
e la forma pura, o atto puro, immateriale in quanto totale dispiegamento di ogni possibilità 45, e facente tutt'uno con la perfezione. Per questo motivo Aristotele lo denomina Dio, considerandolo come
l'ente più alto e, in quanto tale, supremo oggetto della considerazione metafisica 46, che diventa in tal
modo teologia (anche se il filosofo non usa questo termine troppo spesso).
25) L'esistenza di un Dio inteso nel senso suddetto è necessaria – ed è perciò assunta in un senso
fondamentalmente non religioso – per spiegare l'assunzione di forme da parte della materia, che
non sarebbe possibile se non in virtù della "forza attrattiva" di qualcosa eternamente in atto; al che
si deve aggiungere che, poiché ogni movimento deve avere una causa, e non è possibile risalire all'infinito, è necessario supporre, "in alternativa alla platonica 'anima del mondo' "47, l'esistenza di una
causa prima, una sostanza (o motore) immobile, che determina il movimento "come fa un oggetto
amato"48: il che significa che, del mondo, Dio costituisce non la causa efficiente, ma quella finale:
egli, cioè, non crea né attivamente dà forma alla materia49, che, piuttosto, assume le proprie configurazioni tendendo verso di lui50. È interessante notare che, nonostante questo e il fatto che per Aristotele Dio, in quanto pura perfezione, conduca la propria "vita" pensando51 soltanto ciò che è perfetto,
ovvero sé stesso, nella più totale indifferenza nei confronti del mondo, la suddetta dimostrazione della sua esistenza sarebbe stata considerata valida per secoli, e lo è ancora oggi per alcune filosofie d'ispirazione cristiana od islamica, fermo restando che "la causa finale ammessa dallo stagirita, tuttavia, non deve esser confusa con un'intenzione soggettiva o con lo scopo perseguito coscientemente da
una mente. Essa corrisponde invece all'esplicarsi di un ordine immanente alla natura"52.
26) Ritornando al primo tipo di movimento, quello locale, c'è da dire che tutti gli altri vanno ricondotti ad esso53, e che, come abbiamo accennato all'inizio, è oggetto della fisica, seconda tra le filosofie teoretiche, finalizzata a dar conto della fisionomia complessiva, empiricamente riscontrata da ciascuno, dei due ambiti, sopralunare e sublunare, del mondo sensibile, ovvero dell'immutabilità e
regolarità del moto dei corpi celesti e delle trasformazioni continue di quelli terrestri.
forma: il nucleo stabile della sostanza, che permane nel mutare delle determinazioni, è la materia, la quale,
come accade per esempio nella produzione tecnica (il legno dell'albero diventa il legno della sedia) può perdere una determinata forma e assumerne altre" (Enciclopedia Garzanti di Filosofia).
45
Per quale motivo tali possibilità, tale indefinita quantità di sostanze, esista, Aristotele non lo spiega, concependo egli il mondo incausato ed eternamente uguale a sé stesso.
46
"L'accezione della metafisica come sapere intorno alle cause supreme è già stata in parte anticipato, poiché
dire che la metafisica studia l'essere in quanto tale e la sostanza significa presupporre che essa studia le realtà
ultime e decisive dell'universo. In ogni caso, un ulteriore fascio di luce su questo concetto di metafisica lo getta
appunto la teologia" (Abbagnano-Fornero, op. cit.).
47
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.
48
Cit. ivi.
49
Il presupposto di Aristotele è ovviamente che la materia, diversamente da come riteneva Democrito, non è
capace di muoversi o trasformarsi da sola.
50
"La dottrina dell'atto puro presenta, spostati ma non risolti, i problemi del dualismo platonico, in quanto
contrappone atto puro, immobile, e mondo in perpetuo divenire, e viene perciò attribuita alla prima fase del
pensiero di Aristotele. Come rinnovata forma di platonismo, tuttavia, esser rivela forse il suo significato più
profondo, poiché garantisce il senso e l'ordine complessivo della realtà, la sua razionalità e conoscibilità, fondandoli su un principio che è lo stesso pensiero; la materia rimane quindi sullo sfondo, come residuo di disordine e di irrazionalità" (Geymonat, op. cit.).
51
Nell'ottica secondo cui il pensiero è la più alta forma di esistenza.
52
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit. Eppure: "Anassagora afferma che l'uomo è il più intelligente degli
animali grazie all'aver mani; è invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente. Le
mani sono infatti uno strumento, e la natura, come farebbe una persona intelligente, attribuisce sempre ciascuno di essi a chi può servirsene" (Parti degli animali).
53
"L'aumento e le diminuzione sono infatti dovuti all'afflusso o all'allontanamento d'una certa materia; il
mutamento, la generazione e la corruzione suppongono il riunirsi in un dato luogo, o il separarsi, di determinati elementi. Sicché soltanto il movimento locale […] consente di distinguere e classificare le varie sostanze
fisiche" (Abbagnano-Fornero, op. cit.).
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27) Aristotele li spiega postulandone una diversità di costituzione materiale, secondo cui i primi sono fatti di "etere", ed i secondi di fuoco, aria, acqua e terra54, caratterizzati rispettivamente da un
"movimento circolare intorno al centro del mondo"55 e da due verticali ed opposti, ovvero "dal centro del mondo verso l'alto"56 e viceversa57.
28) Il legame essenziale fra materiali e tipo di movimento (inesistente nella fisica moderna, per la
quale ogni corpo può muoversi in qualsiasi maniera) rimanda all'indistinguibilità dello spazio dalla
realtà fisica (e dunque all'inesistenza del vuoto58, ed alla sua finitezza) e al suo essere non omogeneo,
ma intimamente differenziato dal punto di vista qualitativo59, caratterizzato da una configurazione a
sfere concentriche – equivalenti ai "luoghi naturali" in cui gli elementi si dispongono in virtù del
proprio peso – che anzitutto impedisce la commistione fra il primo elemento e gli altri quattro, e
quindi determina, al tempo stesso, l'immutabilità (e perciò la perfezione, e il relativo movimento
circolare attorno alla Terra60) delle "sfere" (o "cieli") in cui sono "incastonati" i corpi celesti e le
continue trasformazioni di quelli terrestri, i cui elementi costitutivi, a differenza dell'etere (a cui
pure sono accomunati dall'eternità61), possono essere spostati, con un movimento violento, non naturale, dal proprio luogo naturale, a cui tuttavia tendono spontaneamente a ritornare62 (dal che deriva
l'affermazione dell'unicità del nostro pianeta), con tali spostamenti provocando "la nascita, il mutamento e la morte delle sostanze composte"63, la cui distinguibilità in inanimate ed animate attesta
la presenza, in queste ultime, di una motilità non esclusivamente spaziale ma tesa al raggiungimen54
Che lo stagirita però interpreta "non tanto come corpi, quanto come modi di essere, e argomentando perché
essi debbano essere proprio quattro. La terra è l'elemento freddo e secco, che tende verso il basso; essa deve
essere controbilanciata dal suo elemento contrario, il fuoco, che è caldo e secco e tende verso l'alto. Fra essi
devono esistere altri due elementi con funzioni mediatrici: l'acqua, fredda e umida, e l'aria, calda e umida"
(Geymonat, op. cit.), caratterizzate da movimenti analoghi ai primi due elementi.
55
Abbagnano-Fornero, op. cit.
56
Ivi.
57
Si tratta degli unici tipi di movimento naturale; quelli differenti, "per esempio quello parabolico, sono forzati
e non naturali, come nel caso del lancio di pietre o frecce" (Vegetti-Fonnesu, Le ragioni della filosofia).
58
Sostenuta "con l'argomento che in esso il movimento […] sarebbe impossibile. Nel vuoto infinito (cioè in
quello democriteo) non vi sarebbe infatti né su né giù, né alcun'altra direzione privilegiata, e quindi in corpi
non saprebbero in qual senso dirigersi. E un corpo che si muovesse nel vuoto, non incontrando alcuna resistenza (come sostenevano gli atomisti), dovrebbe muoversi con velocità infinità, e anche questo è assurdo.
Dunque – conclude Aristotele – se esistesse il vuoto, i corpi dovrebbero restare in esso eternamente fermi"
(Geymonat, op. cit.).
59
"Lo spostamento dei corpi naturali e semplici, come fuoco o terra o altro di tal genere, non solo dimostra
che il luogo è qualcosa, ma anche che ha una potenza [esercita, cioè, un ruolo attivo nel determinare l'ordine
del mondo]. Ciascun corpo, difatti, qualora non vi sia attrito, è portato al proprio luogo: l'uno in alto, l'altri in
basso […]. Tali determinazioni […] sono non solo relative a noi […] ma hanno ciascuna una particolare determinazione naturale. Infatti, l'alto non è una qualsivoglia cosa, ma là dove si portano il fuoco e il leggero; e,
parimenti, il basso non è una qualsivoglia cosa, ma là dove vanno le cose pesanti e fatte di terra, in quanto che
queste due dimensioni differiscono non solo per posizione, ma anche per potenza" (Fisica).
60
"Il moto verso il basso o l'alto ha in sé qualcosa d'imperfetto, in quanto segue un cammino rettilineo, e la
retta è figura meno perfetta del cerchio (perché il segmento rettilineo non rientra in sé, ma è limitato da un
punto iniziale e da un punto finale)" (Geymonat, op. cit.).
61
Non però la perfezione, ovvero l'identità con la forma, potendone assumere di differenti (cfr. avanti), dando
luogo al fenomeno della casualità: "riprendendo l'esempio della generazione, Aristotele ricorda la nascita di
esseri mostruosi, un fenomeno raro ma non impossibile, di cui è responsabile la materia che talvolta tende a
ostacolare l'azione plasmatrice della forma [proprio come per il Platone del Timeo] e impedisce la perfetta regolarità dei fenomeni naturali. La regolarità è 'per lo più' ma non 'sempre', e nello scarto tra le due dimensioni
si insinua appunto il caso" (Occhipinti, op. cit.).
62
Ad esempio, si può dire che una pietra lanciata verso l'alto sia costretta da una forza esterna ad un movimento
"innaturale", che perdura finché si esaurisce la spinta dell'aria; a quel punto, però, torna indietro, mossa dalla
sua inclinazione – o movimento – naturale, fermandosi solo se ostacolata o raggiunto il proprio luogo naturale
(ad esempio, spontaneamente, l'acqua non si collocherà mai più in basso della terra – luogo del resto inesistente
– né la terra più in alto dell'aria).
63
Abbagnano-Fornero, op. cit.
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to "della loro piena attuazione, […] del loro stadio 'adulto' o maturo [entelechia]"64, dipendente,
come chiarito in sede metafisica, dalla forza attrattiva della forma pura.
29) "Il cosmo aristotelico […] si presenta come un'immensa macchina in eterno movimento: la sua
periferia celeste secondo i moti incessantemente circolari dei singoli orbi, quella terrestre sottoposta
alle vicissitudini relativamente più irregolari degli elementi e dei loro composti. Tra le due situazioni
dinamiche intercorrono relazioni. Le sfere celesti sono omocentriche (hanno cioè tutte lo stesso centro), con la Terra a sua volta di forma sferica, come centro immobile: alcune portano i pianeti (astri
erranti) che, secondo tradizione, Aristotele identificava nell'ordine con Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno [e l'ultima quella delle "stelle fisse"]. Ogni pianeta è inserito in un piccolo
sistema di sfere, ognuna dotata di un proprio moto (e quindi [di un asse, e] di un motore) specifico,
disponendone del numero sufficiente per giustificare – con la combinazione dei loro moti – le irregolarità apparenti del suo movimento. Complessivamente, questi sistemi di sfere costituiscono una totalità continua in cui il moto uniforme del primo cielo scandisce il movimento degli altri. Attraverso
l'azione del Sole, la regione celeste influisce costantemente sulle dinamiche degli elementi terrestri,
contribuendo in pratica a rimescolarli regolarmente, favorendone così le vicissitudini, a partire dai
fenomeni più evidenti come l'alternanza delle stagioni, fondamentali per la vita terrestre"65.
30) L'automovimento delle sfere, rimandando a quella più esterna – e, perciò, principale –, consente
di saldare il discorso fisico a quello metafisico/teologico, e di precisare che, "contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il Dio aristotelico non è una sostanza unica, essendovene altre affini.
Nella Fisica, infatti, Aristotele descrive Dio come il motore del primo cielo [da identificarsi, sia pur
problematicamente, con l'atto puro]. Ma il ragionamento che dimostra l'esistenza di Dio può essere
ripetuto a proposito di tutti i cieli. I movimenti degli altri cieli [non reciprocamente trasmissibili] sono continui ed eterni come il movimento del primo cielo, e perciò presuppongono anch'essi altrettanti motori immobili, sicché le sostanze immobili saranno tante quante sono le sfere celesti. Aristotele
ammette 47 o 55 intelligenze motrici, corrispondenti alle 47 o 55 sfere celesti riconosciute dall'astronomia del tempo. […] Ciò non stupisce affatto, perché in Aristotele, così come in Platone o nei
Greci in genere, il termine 'divino' equivale al concetto di 'eterno' e di 'incorruttibile', ma non implica l'unicità. Pertanto si avrò una molteplicità di enti divini: il motore immobile, le intelligenze motrici, l'anima intellettiva ecc."66.
31) Comunque sia, va notato che le concezioni della differenza qualitativa dei movimenti e dei
corpi presenti nello (costituenti lo) spazio, assieme a quelle della finitezza di questo e dell'unicità
terrestre, costituiscono la fisica aristotelica come una netta alternativa a quello democritea, che
nella storia della scienza sarebbe risultata trionfante, più di un millennio dopo, solo in seguito ad una
"lotta secolare" "contro Aristotele, o meglio contro i suoi dogmatici seguaci"67.
32) Comunque sia, "per quanto riguarda il tempo, Aristotele afferma che esso si definisce solo in relazione al concetto di divenire [e di moto, cfr. Geymonat68], poiché in un ipotetico universo di entità
immutabili [e dunque immobili] la dimensione temporale non esisterebbe: dunque il tempo non esisterebbe senza le cose che mutano [si muovono], così come il luogo non esisterebbe senza i corpi che
lo occupano. Aristotele osserva tuttavia che il tempo, in senso stretto, non è il mutamento delle cose,
bensì la misura [del loro moto, e dunque] del loro divenire 'secondo il prima e il poi' " (AbbagnanoFornero) – divenire che, essendo indipendente dall'atto mentale della misurazione, impedisce attribuire allo stagirita una concezione del tempo come qualcosa di totalmente soggettivo.
64
Ivi.
Geymonat-Tagliagambe-AAVV, La realtà e il pensiero.
66
Abbagnano-Fornero, op. cit.
67
Ivi.
68
"Almeno per ora, non poniamo alcuna differenza tra il dir 'movimento' e il dir 'cangiamento' " (Fisica).
65
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