Baumgarten, Estetica, vol. I (1750) «L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile». Kant, Critica della ragion pura (1781) «Chiamo estetica trascendentale* una scienza di tutti i princìpi a priori della sensibilità [...]. Con questa ricerca si troverà che ci sono due forme pure di intuizione sensibile [...], cioè spazio e tempo». * «I tedeschi sono gli unici a servirsi adesso della parola “estetica” per designare con essa ciò che altri chiamano critica del gusto. La ragione di ciò sta nella fallace speranza che concepì l’eccellente analista Baumgarten: quella di riportare la valutazione critica del bello a princìpi razionali e di elevarne le regole a scienza [...]». Kant, Critica della capacità di giudizio (1790) «Quest’imbarazzo per un principio (sia poi un principio soggettivo o oggettivo) si trova principalmente in quelle valutazioni che si chiamano estetiche, le quali riguardano il bello e il sublime della natura o dell’arte. E tuttavia è la ricerca critica di un principio della capacità di giudizio in esse la parte più importante di una critica di tale facoltà». «Il concetto, proprio della capacità di giudizio, di una finalità della natura rientra ancora nei concetti della natura, ma solo come principio regolativo della facoltà conoscitiva; sebbene il giudizio estetico su certi oggetti (della natura o dell'arte), giudizio che occasiona quel concetto, sia un principio costituivo riguardo al sentimento del piacere o dispiacere. La spontaneità nel gioco delle facoltà conoscitive, la cui concordanza contiene il fondamento di questo piacere, rende il concetto menzionato idoneo a mediare la connessione dei domìni del concetto della natura e del concetto della libertà nelle sue conseguenze, promuovendo al contempo la ricettività dell'animo per il sentimento morale» «Gusto è la facoltà di valutare un oggetto o una maniera di rappresentazione mediante un compiacimento, o dispiacimento, senza alcun interesse. L’oggetto di un tale compiacimento si dice bello». «Ognuno chiama gradevole ciò che lo soddisfa; bello, ciò che gli piace e basta; buono, ciò che stima, apprezza, ossia ciò in cui pone un valore oggettivo. La gradevolezza vale anche per gli animali non razionali; la bellezza solo per gli uomini, cioè per enti animali, ma razionali […]; il buono, invece, per ogni essere razionale in generale. […] Si può dire che, fra queste tre specie di compiacimento, solo ed esclusivamente quello del gusto per il bello è un compiacimento disinteressato e libero, perché non c’è alcun interesse, né quello dei sensi né quello della ragione, che costringa l’approvazione». «Bello è ciò che, senza concetto, piace universalmente». «Quando […] si dichiara bello l’oggetto, si crede di avere per sé una voce universale e si avanza la pretesa a un’adesione da parte di ciascuno». «La comunicabilità universale soggettiva della maniera di rappresentazione in un giudizio di gusto, poiché essa deve avere luogo senza presupporre un concetto determinato, non può essere altro che lo stato d’animo nel libero gioco dell’immaginazione e dell’intelletto». 2 «La bellezza è la forma della finalità di un oggetto in quanto essa vi viene percepita senza la rappresentazione di un fine ». «Il giudizio di gusto è un giudizio estetico, cioè un giudizio che si basa su fondamenti soggettivi e il cui fondamento di determinazione non è un concetto e dunque nemmeno quello di un fine determinato. Dunque, con la bellezza, in quanto finalità soggettiva formale, non si pensa affatto una perfezione dell’oggetto, cioè una finalità […] oggettiva; […] un giudizio estetico […] non dà assolutamente alcuna conoscenza (nemmeno confusa) dell’oggetto». «Ci sono due specie di bellezza: la bellezza libera (pulchritudo vaga) oppure la bellezza solo aderente (pulchritudo adhaerens). La prima non presuppone alcun concetto di ciò che l’oggetto dev’essere; la seconda presuppone un tale concetto e la perfezione dell’oggetto in base ad esso». «L’ideale [del bello] […] ci si può attendere […] esclusivamente nella figura umana. E in questa l’ideale consiste nell’espressione della moralità ». «Bello è ciò che, senza concetto, viene riconosciuto come oggetto di un compiacimento necessario». «[La] necessità che viene pensata in un giudizio estetico» è «solo esemplare», «non è apodittica» «è condizionata» e «La condizione […] è l’idea di un senso comune» (che forse esprime «un’esigenza della ragione»). «La bellezza della natura […] comporta una finalità nella sua forma, per cui l’oggetto sembra per così dire essere predeterminato per la nostra capacità di giudizio, e costituisce così di per sé un oggetto di compiacimento; per contro, ciò che suscita in noi […] il sentimento del sublime può sì apparire, quanto alla forma, controfinale per la nostra capacità di giudizio, inadeguato per la nostra facoltà d’esibizione e quasi violento nei confronti dell’immaginazione, ma da ciò non consegue altro che il fatto che lo si giudica tanto più sublime. Ma da qui si vede subito che non ci esprimiamo giustamente quando chiamiamo sublime un qualche oggetto della natura, potendo invece del tutto giustamente chiamare belli moltissimi di tali oggetti […]. Non possiamo dire di più che questo: l’oggetto è appropriato all’esibizione di una sublimità che può essere trovata nell’animo; infatti, il sublime vero e proprio non può essere contenuto in alcuna forma sensibile, bensì concerne solo idee della ragione». «Il sentimento del sublime comporta come suo carattere un movimento collegato con la valutazione dell’oggetto, [movimento che] sarà […] riferito, mediante l’immaginazione, o alla facoltà conoscitiva o a quella appetitiva; […] la prima disposizione dell’immaginazione è attribuita come qualcosa di matematico, e la seconda come qualcosa di dinamico, all’oggetto, che è pertanto rappresentato come sublime nei due modi suddetti». «La natura era bella quando appariva al contempo come arte, e l’arte può essere detta bella soltanto quando noi siamo consapevoli che è arte, ma essa ci appare come natura». «Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte». «Spirito, in significato estetico, è detto il principio vivificante nell'animo. […] Questo principio non è altro che la facoltà di esibire idee estetiche; per idea estetica, poi, intendo quella rappresentazione dell'immaginazione che dà occasione di pensare molto, senza però che qualche pensiero determinato, cioè qualche concetto, possa esserle adeguato». «Si può […] definire il genio anche come la facoltà di idee estetiche. […] Sarà solo ciò che è semplicemente natura nel soggetto, senza che sia possibile coglierlo sotto regole o concetti, sarà, cioè, il sostrato soprasensibile di tutte le sue facoltà (che nessun concetto dell'intelletto raggiunge): sarà questo a poter servire da criterio soggettivo di quella finalità estetica, ma incondizionata nell'arte bella che deve avanzare la legittima pretesa di dover piacere a ciascuno». 3 Schiller, L’educazione estetica (1795) «L’oggetto dell’impulso sensibile [...] si chiama vita. [...] L’oggetto dell’impulso formale [...] si chiama forma. [...] L’oggetto dell’impulso al gioco […] si potrà chiamare dunque forma vivente; un concetto, questo, che serve a designare complessivamente le caratteristiche estetiche dei fenomeni e, in una parola, tutto ciò che nel senso più ampio del termine si chiama bellezza». «L’uomo con la bellezza deve solo giocare e deve giocare solo con la bellezza. […] L’uomo gioca soltanto quando è uomo nel senso pieno del termine, ed è interamente uomo solo laddove gioca». Passi dell’epistolario di Hegel (1795-96) Schelling a Hegel Tubinga, la sera dell’Epifania 1795 […] Vuoi sapere come va qui da noi? […] Tutti i possibili dogmi sono ormai timbrati come postulati della ragione pratica, e dove le dimostrazioni storico-teoretiche non bastano più, lì la ragione pratica (tubinghese) recide il nodo […] La filosofia non è ancora giunta alla meta. Kant ha dato i risultati; le premesse mancano ancora. […] Oh, i grandi kantiani che ora sono dappertutto! Essi sono rimasti fermi alla lettera e si fanno il segno della croce a vedere tanto mai davanti a sé. Sono fortemente convinto che l’antica superstizione, non solo della religione positiva, ma anche della cosiddetta religione naturale, nella testa dei più si è di nuovo combinata con la lettera kantiana […]. Fichte solleverà la filosofia a un’altezza tale che farà venire le vertigini perfino alla maggior parte degli attuali kantiani […]. Ricevo adesso l’inizio delle esposizioni di Fichte stesso, il Fondamento dell’intera dottrina della scienza […] L’ho letto e ho trovato che le mie profezie non mi avevano ingannato. Adesso lavoro a un’etica à la Spinoza che dovrà stabilire i sommi principi di tutta la filosofia, principi nei quali si unificano la ragione teoretica e la pratica. […] Sarei già contento di essere uno dei primi a salutare il nuovo eroe, Fichte, nella terra della verità! Hegel a Schelling [fine gennaio 1795] […] Quel che mi dici del corso kantiano-teologico (si diis placet) della filosofia a Tubinga non è sorprendente. Non si può scuotere l’ortodossia finché il professarla, con i relativi vantaggi mondani, s’inquadra nel contesto complessivo di u[no] Stato […]. Alla confusione di cui mi scrivi (e posso ben immaginare quei ragionamenti), Fichte ha però indiscutibilmente aperto porte e finestre con la Critica di ogni rivelazione. Lui stesso ne ha fatto un uso moderato; ma una volta che i suoi principi sono stati fermamente ammessi, non è più possibile porre alcun termine e argine alla logica teologica […]. Hölderlin mi scrive ogni tanto da Jena […]. Segue le lezioni di Fichte e parla di lui con entusiasmo, come di un titano che combatte per l’umanità e il cui raggio d’azione non resterà certo confinato nell’aula. 4 Hölderlin a Hegel Jena, 26 gennaio 1795 […] I fascicoli speculativi di Fichte, il Fondamento dell’intera dottrina della scienza, come anche le sue Lezioni sulla missione del dotto, ora pubblicate, ti interesseranno molto. […] Il suo Io assoluto (= sostanza di Spinoza) contiene tutta la realtà; esso è tutto e fuori di esso non c’è nulla […]. Schelling a Hegel Tubinga, 4 feb. ’95 […] Intanto sono diventato spinozista! Non ti stupire. Vuoi che ti dica subito come? Per Spinoza il mondo (l’oggetto come tale, in opposizione al soggetto) era tutto; per me lo è l’Io […]. La filosofia deve prendere le mosse dall’incondizionato. La questione è soltanto dove risieda questo incondizionato, se nell’Io o nel non-Io. Una volta che lo si sia deciso, tutto è deciso. Per me il principio sommo di tutta la filosofia è l’Io puro, assoluto, ossia l’Io in quanto è mero io, non ancora affatto condizionato dagli oggetti, ma posto dalla libertà. L’alfa e l’omega di tutta la filosofia è la libertà. Hegel a Schelling Berna, 16 aprile 1795 […] Dal sistema kantiano e dal suo sommo compimento mi aspetto in Germania una rivoluzione che partirà da principi che ci sono già e che richiedono soltanto di essere applicati, dopo una complessiva rielaborazione, a tutto l’attuale sapere. Certo, resterà pur sempre una filosofia esoterica; l’idea di Dio come Io assoluto ne farà parte. In uno studio recente dei postulati della ragione pratica avevo avuto dei presentimenti di quanto mi hai esposto distintamente nella tua ultima lettera, ho trovato nel tuo saggio e il Fondamento della dottrina della scienza di Fichte mi dischiuderà completamente; dalle conseguenze che ne deriveranno certi signori rimarranno sbalorditi. Verranno le vertigini per questa somma altezza di tutta la filosofia, con cui l’uomo si è sollevato tanto in alto; ma perché si è giunti così tardi a tenere in maggior conto la dignità dell’uomo, a riconoscere quella sua facoltà della libertà che lo pone nello stesso ordine di tutti gli spiriti? Credo che non ci sia miglior segno del tempo di questo: che l’umanità è rappresentata tanto degna di stima in se stessa; è una dimostrazione del fatto che l’aureola intorno al capo degli oppressori e degli dèi della terra dilegua. I filosofi dimostrano questa dignità, i popoli impareranno a sentirla e non si contenteranno più di esigere i loro diritti finora abbassati nella polvere, ma se ne occuperanno loro stessi, se ne approprieranno […]. Le «Horen» di Schiller, i primi due fascicoli, mi hanno procurato un grandissimo piacere: il saggio sull’educazione estetica del genere umano è un capolavoro. […] Hölderlin mi scrive spesso di Jena; è proprio entusiasta di Fichte, al quale attribuisce grandi propositi. Come deve far piacere a Kant scorgere già i frutti del proprio lavoro in così degni seguaci! Hegel a Hölderlin Eleusi A Hölderlin, agosto 1796 […] Il mio occhio s’innalza verso l’eterna volta del cielo, / verso di te, splendente astro della notte / e dalla tua eternità discende l’oblio / di tutti i desideri, di tutte le speranze; / il senso si perde in questa visione, / quel che dicevo «mio» svanisce, / io mi abbandono nell’immenso: / sono in quello, sono tutto, sono solo quello. / Il pensiero ritorna ed è spaesato, / si spaura dinanzi all’infinito, e stupefatto / non comprende la profondità di quella visione. / È la fantasia che avvicina l’eterno al senso, / sposandolo alla figura […]. 5 Hegel, Fenomenologia dello spirito Annuncio bibliografico Nell’edizione delle librerie di Joseph Anton Goebhardt, a Bomber e Würzburg, è apparso ed è stato distribuito a tutte le migliori librerie il Sistema della scienza di G.W.F. Hegel. Primo volume, contenente la Fenomenologia dello spirito. Gr. 8. 1807. Prezzo 6 fl. Questo volume presenta il sapere nel suo divenire. La fenomenologia dello spirito deve prendere il posto delle spiegazioni psicologiche, nonché delle trattazioni più astratte circa la fondazione del sapere. Considera la preparazione alla scienza da un punto di vista per cui questa si rivela nuova, interessante, ed è la prima scienza della filosofia. Tale scienza comprende al proprio interno le diverse figure dello spirito, intese come stazioni del cammino attraverso cui lo spirito diviene sapere puro, ossia spirito assoluto. Pertanto, nelle principali sezioni di questa scienza – a loro volta suddivise in varie parti ulteriori – si prendono in considerazione: la coscienza; l’autocoscienza; la ragione osservatrice e la ragione agente; lo spirito stesso, come spirito etico, colto e morale, e infine come spirito religioso, nelle sue differenti forme. La ricchezza dei fenomeni in cui lo spirito si manifesta, che a un primo sguardo si presenta come caos, è ricondotta a un ordine specifico, che li presenta secondo la loro necessità. Così ordinati, i fenomeni imperfetti si dissolvono e trapassano in forme superiori, che ne sono la verità più prossima. Tali fenomeni trovano poi la loro verità ultima anzitutto nella religione, e quindi nella scienza, intesa come risultato del tutto. Nella Prefazione l’autore chiarifica ciò che gli pare costituire il bisogno della filosofia, considerata nella prospettiva che essa occupa attualmente; inoltre si pronuncia sulla presunzione e sull’eccesso delle formule filosofiche che al presente screditano la filosofia, nonché su ciò che in generale ha importanza nella filosofia e nel suo studio. Un secondo volume conterrà il sistema della logica, come filosofia speculativa, e delle due rimanenti parti della filosofia: la scienza della natura e quella dello spirito. Indice Prefazione Introduzione (A) Coscienza I. La certezza sensibile; ovvero il questo e l’avere-in-mente II. La percezione; ovvero la cosa-oggetto e l’illusione III. Forza e intelletto, apparenza fenomenica e mondo soprasensibile (B) Autocoscienza IV. La verità della certezza di se stesso A. Autonomia e non autonomia dell’autocoscienza; signoria e servitù B. Libertà dell’autocoscienza. Stoicismo, scetticismo, e la coscienza infelice (C)(AA) Ragione V. Certezza e verità della ragione A. Ragione osservatrice B. L’effettuazione dell’autocoscienza razionale mediante se stessa C. L’individualità che è a sé reale in se stessa e per se stessa (BB) Spirito VI. Lo spirito A. Lo spirito vero. L’eticità B. Lo spirito estraniato da sé. La cultura C. Lo spirito certo di se stesso. La moralità (CC) Religione VII. La religione A. La religione naturale B. La religione artistica C. La religione rivelata (DD) Sapere assoluto VIII. Il sapere assoluto 6 Introduzione al VII capitolo della Fenomenologia dello Spirito: La religione 1. «Nella religione, lo spirito che sa se stesso è immediatamente la propria autocoscienza pura. Quelle figure dello spirito che sono state considerate – lo spirito vero, lo spirito estraniato da sé, e lo spirito certo di se stesso – costituiscono nel loro insieme lo spirito nella sua coscienza, la quale, venendo a opporsi al suo mondo non vi si riconosce. Nell’animo coscienzioso però lo spirito assoggetta a sé sia il proprio mondo oggetto in generale, sia anche la sua rappresentazione e i suoi concetti determinati, ed è allora autocoscienza essente presso di sé. In questa autocoscienza lo spirito ha per sé, rappresentato come oggetto, il significato dello spirito universale, che contiene entro di sé ogni essenza e ogni realtà effettiva; non si trova però nella forma di realtà effettiva libera, o di natura che si manifesta nella sua autonomia. Lo spirito qui ha certo figura, ossia ha la forma dell’essere, in quanto è oggetto della propria coscienza; ma poiché nella religione questa coscienza è posta nella determinazione essenziale di autocoscienza, lo spirito è la figura perfettamente trasparente a sé, e la realtà effettiva che esso contiene è inclusa al suo interno, ove è anche levata, proprio come quando parliamo di ogni realtà effettiva: è la realtà effettiva pensata, universale» (Fenomenologia dello Spirito, a cura di G. Garelli, Einaudi, Torino 2008, pp. 446-47). 2. «Nella religione, lo spirito in quanto si rappresenta a se stesso è certamente coscienza, e la realtà effettiva che è racchiusa nella religione è la figura e la veste della rappresentazione dello spirito stesso. In questa rappresentazione, però, non viene fatta piena giustizia della realtà effettiva, che avrebbe il diritto a non ridursi a una veste, e di essere libera esistenza autonoma; viceversa, poiché manca in se stessa del compimento, la realtà effettiva è una figura determinata che non raggiunge quello che deve presentare, cioè lo spirito consapevole di se stesso» (op. cit., p. 447). 3. «Se pertanto la religione è il compimento dello spirito, in cui i singoli momenti di quest’ultimo – coscienza, autocoscienza, ragione e spirito – ritornano e già sono ritornati come nel loro fondamento, quei momenti nell’insieme costituiscono la realtà effettiva esistente di tutto lo spirito» (op. cit., p. 448). 4. «Lo spirito tutto intero, lo spirito della religione, è daccapo il movimento che dalla sua determinatezza giunge al sapere di ciò che esso è in sé, ossia immediatamente, e giunge dunque a ottenere che la figura entro cui esso si manifesta per la sua coscienza si renda perfettamente uguale alla sua essenza, e a intuirsi per com’è. - In questo divenire lo spirito è dunque esso stesso in figure determinate, le quali costituiscono le differenze proprie di questo movimento; così, nel contempo, anche la religione determinata viene ad avere un determinato spirito effettivo» (op. cit., p. 449). 5. «La prima realtà effettiva dello spirito consapevole di sé è il concetto della religione stessa, ossia della religione intesa come immediata e dunque naturale: in essa lo spirito si sa come proprio oggetto di una figura naturale, ossia immediata. La seconda realtà effettiva è invece necessariamente quella in cui lo spirito si sa nella figura della naturalità levata, ossia del Sé. Tale realtà costituisce dunque la religione artistica, poiché la figura si eleva alla forma del Sé per via della produzione della coscienza, che permette a quest’ultima di intuire il proprio fare – ossia il Sé – nel proprio oggetto. La terza realtà effettiva, infine, leva l’unilateralità delle prime due; il Sé è qualcosa d’immediato tanto quanto l’immediatezza è Sé. Se nella prima realtà effettiva lo spirito è in generale nella forma della coscienza, e nella seconda in quella dell’autocoscienza, nella terza è nella forma dell’unità di entrambe: lo spirito ha qui la figura dell’essere-in-sé e per-sé; e in quanto è rappresentato per com’è in sé e per sé, ciò costituisce la religione rivelata» (op. cit., p. 451).