Per il mod. B del corso 2011-2012

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Baumgarten, Estetica, vol. I (1750)
«L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte
dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile».
Kant, Critica della ragion pura (1781)
«Chiamo estetica trascendentale* una scienza di tutti i princìpi a priori della sensibilità [...]. Con questa
ricerca si troverà che ci sono due forme pure di intuizione sensibile [...], cioè spazio e tempo».
* «I tedeschi sono gli unici a servirsi adesso della parola “estetica” per designare con essa ciò che
altri chiamano critica del gusto. La ragione di ciò sta nella fallace speranza che concepì l’eccellente
analista Baumgarten: quella di riportare la valutazione critica del bello a princìpi razionali e di
elevarne le regole a scienza [...]».
Kant, Critica della capacità di giudizio (1790)
«Quest’imbarazzo per un principio (sia poi un principio soggettivo o oggettivo) si trova
principalmente in quelle valutazioni che si chiamano estetiche, le quali riguardano il bello e il sublime
della natura o dell’arte. E tuttavia è la ricerca critica di un principio della capacità di giudizio in esse
la parte più importante di una critica di tale facoltà».
«Il concetto, proprio della capacità di giudizio, di una finalità della natura rientra ancora nei concetti
della natura, ma solo come principio regolativo della facoltà conoscitiva; sebbene il giudizio estetico
su certi oggetti (della natura o dell'arte), giudizio che occasiona quel concetto, sia un principio
costituivo riguardo al sentimento del piacere o dispiacere. La spontaneità nel gioco delle facoltà
conoscitive, la cui concordanza contiene il fondamento di questo piacere, rende il concetto
menzionato idoneo a mediare la connessione dei domìni del concetto della natura e del concetto
della libertà nelle sue conseguenze, promuovendo al contempo la ricettività dell'animo per il
sentimento morale»
«Gusto è la facoltà di valutare un oggetto o una maniera di rappresentazione mediante un
compiacimento, o dispiacimento, senza alcun interesse. L’oggetto di un tale compiacimento si dice
bello». «Ognuno chiama gradevole ciò che lo soddisfa; bello, ciò che gli piace e basta; buono, ciò che stima,
apprezza, ossia ciò in cui pone un valore oggettivo. La gradevolezza vale anche per gli animali non
razionali; la bellezza solo per gli uomini, cioè per enti animali, ma razionali […]; il buono, invece, per
ogni essere razionale in generale. […] Si può dire che, fra queste tre specie di compiacimento, solo
ed esclusivamente quello del gusto per il bello è un compiacimento disinteressato e libero, perché non
c’è alcun interesse, né quello dei sensi né quello della ragione, che costringa l’approvazione».
«Bello è ciò che, senza concetto, piace universalmente». «Quando […] si dichiara bello l’oggetto, si
crede di avere per sé una voce universale e si avanza la pretesa a un’adesione da parte di ciascuno».
«La comunicabilità universale soggettiva della maniera di rappresentazione in un giudizio di gusto,
poiché essa deve avere luogo senza presupporre un concetto determinato, non può essere altro che
lo stato d’animo nel libero gioco dell’immaginazione e dell’intelletto».
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«La bellezza è la forma della finalità di un oggetto in quanto essa vi viene percepita senza la
rappresentazione di un fine ». «Il giudizio di gusto è un giudizio estetico, cioè un giudizio che si basa su
fondamenti soggettivi e il cui fondamento di determinazione non è un concetto e dunque nemmeno
quello di un fine determinato. Dunque, con la bellezza, in quanto finalità soggettiva formale, non si
pensa affatto una perfezione dell’oggetto, cioè una finalità […] oggettiva; […] un giudizio estetico
[…] non dà assolutamente alcuna conoscenza (nemmeno confusa) dell’oggetto». «Ci sono due specie
di bellezza: la bellezza libera (pulchritudo vaga) oppure la bellezza solo aderente (pulchritudo adhaerens).
La prima non presuppone alcun concetto di ciò che l’oggetto dev’essere; la seconda presuppone un
tale concetto e la perfezione dell’oggetto in base ad esso». «L’ideale [del bello] […] ci si può attendere
[…] esclusivamente nella figura umana. E in questa l’ideale consiste nell’espressione della moralità ».
«Bello è ciò che, senza concetto, viene riconosciuto come oggetto di un compiacimento necessario».
«[La] necessità che viene pensata in un giudizio estetico» è «solo esemplare», «non è apodittica» «è
condizionata» e «La condizione […] è l’idea di un senso comune» (che forse esprime «un’esigenza
della ragione»).
«La bellezza della natura […] comporta una finalità nella sua forma, per cui l’oggetto sembra per così
dire essere predeterminato per la nostra capacità di giudizio, e costituisce così di per sé un oggetto di
compiacimento; per contro, ciò che suscita in noi […] il sentimento del sublime può sì apparire,
quanto alla forma, controfinale per la nostra capacità di giudizio, inadeguato per la nostra facoltà
d’esibizione e quasi violento nei confronti dell’immaginazione, ma da ciò non consegue altro che il
fatto che lo si giudica tanto più sublime. Ma da qui si vede subito che non ci esprimiamo
giustamente quando chiamiamo sublime un qualche oggetto della natura, potendo invece del tutto
giustamente chiamare belli moltissimi di tali oggetti […]. Non possiamo dire di più che questo:
l’oggetto è appropriato all’esibizione di una sublimità che può essere trovata nell’animo; infatti, il
sublime vero e proprio non può essere contenuto in alcuna forma sensibile, bensì concerne solo idee
della ragione». «Il sentimento del sublime comporta come suo carattere un movimento collegato con la
valutazione dell’oggetto, [movimento che] sarà […] riferito, mediante l’immaginazione, o alla facoltà
conoscitiva o a quella appetitiva; […] la prima disposizione dell’immaginazione è attribuita come
qualcosa di matematico, e la seconda come qualcosa di dinamico, all’oggetto, che è pertanto
rappresentato come sublime nei due modi suddetti».
«La natura era bella quando appariva al contempo come arte, e l’arte può essere detta bella soltanto
quando noi siamo consapevoli che è arte, ma essa ci appare come natura». «Il genio è il talento (dono
naturale) che dà la regola all’arte». «Spirito, in significato estetico, è detto il principio vivificante
nell'animo. […] Questo principio non è altro che la facoltà di esibire idee estetiche; per idea estetica,
poi, intendo quella rappresentazione dell'immaginazione che dà occasione di pensare molto, senza
però che qualche pensiero determinato, cioè qualche concetto, possa esserle adeguato». «Si può […]
definire il genio anche come la facoltà di idee estetiche. […] Sarà solo ciò che è semplicemente natura nel
soggetto, senza che sia possibile coglierlo sotto regole o concetti, sarà, cioè, il sostrato soprasensibile
di tutte le sue facoltà (che nessun concetto dell'intelletto raggiunge): sarà questo a poter servire da
criterio soggettivo di quella finalità estetica, ma incondizionata nell'arte bella che deve avanzare la
legittima pretesa di dover piacere a ciascuno».
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Schiller, L’educazione estetica (1795)
«L’oggetto dell’impulso sensibile [...] si chiama vita. [...] L’oggetto dell’impulso formale [...] si chiama
forma. [...] L’oggetto dell’impulso al gioco […] si potrà chiamare dunque forma vivente; un concetto,
questo, che serve a designare complessivamente le caratteristiche estetiche dei fenomeni e, in una
parola, tutto ciò che nel senso più ampio del termine si chiama bellezza». «L’uomo con la bellezza
deve solo giocare e deve giocare solo con la bellezza. […] L’uomo gioca soltanto quando è uomo nel
senso pieno del termine, ed è interamente uomo solo laddove gioca».
Passi dell’epistolario di Hegel (1795-96)
Schelling a Hegel
Tubinga, la sera dell’Epifania 1795
[…] Vuoi sapere come va qui da noi? […] Tutti i possibili dogmi sono ormai timbrati come postulati
della ragione pratica, e dove le dimostrazioni storico-teoretiche non bastano più, lì la ragione pratica
(tubinghese) recide il nodo […]
La filosofia non è ancora giunta alla meta. Kant ha dato i risultati; le premesse mancano
ancora. […] Oh, i grandi kantiani che ora sono dappertutto! Essi sono rimasti fermi alla lettera e si
fanno il segno della croce a vedere tanto mai davanti a sé. Sono fortemente convinto che l’antica
superstizione, non solo della religione positiva, ma anche della cosiddetta religione naturale, nella
testa dei più si è di nuovo combinata con la lettera kantiana […].
Fichte solleverà la filosofia a un’altezza tale che farà venire le vertigini perfino alla maggior
parte degli attuali kantiani […].
Ricevo adesso l’inizio delle esposizioni di Fichte stesso, il Fondamento dell’intera dottrina della
scienza […] L’ho letto e ho trovato che le mie profezie non mi avevano ingannato. Adesso lavoro a
un’etica à la Spinoza che dovrà stabilire i sommi principi di tutta la filosofia, principi nei quali si
unificano la ragione teoretica e la pratica. […] Sarei già contento di essere uno dei primi a salutare il
nuovo eroe, Fichte, nella terra della verità!
Hegel a Schelling
[fine gennaio 1795]
[…] Quel che mi dici del corso kantiano-teologico (si diis placet) della filosofia a Tubinga non è
sorprendente. Non si può scuotere l’ortodossia finché il professarla, con i relativi vantaggi mondani,
s’inquadra nel contesto complessivo di u[no] Stato […].
Alla confusione di cui mi scrivi (e posso ben immaginare quei ragionamenti), Fichte ha però
indiscutibilmente aperto porte e finestre con la Critica di ogni rivelazione. Lui stesso ne ha fatto un uso
moderato; ma una volta che i suoi principi sono stati fermamente ammessi, non è più possibile porre
alcun termine e argine alla logica teologica […].
Hölderlin mi scrive ogni tanto da Jena […]. Segue le lezioni di Fichte e parla di lui con
entusiasmo, come di un titano che combatte per l’umanità e il cui raggio d’azione non resterà certo
confinato nell’aula.
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Hölderlin a Hegel
Jena, 26 gennaio 1795
[…] I fascicoli speculativi di Fichte, il Fondamento dell’intera dottrina della scienza, come anche le sue
Lezioni sulla missione del dotto, ora pubblicate, ti interesseranno molto. […] Il suo Io assoluto (=
sostanza di Spinoza) contiene tutta la realtà; esso è tutto e fuori di esso non c’è nulla […].
Schelling a Hegel
Tubinga, 4 feb. ’95
[…] Intanto sono diventato spinozista! Non ti stupire. Vuoi che ti dica subito come? Per Spinoza il
mondo (l’oggetto come tale, in opposizione al soggetto) era tutto; per me lo è l’Io […]. La filosofia
deve prendere le mosse dall’incondizionato. La questione è soltanto dove risieda questo
incondizionato, se nell’Io o nel non-Io. Una volta che lo si sia deciso, tutto è deciso. Per me il
principio sommo di tutta la filosofia è l’Io puro, assoluto, ossia l’Io in quanto è mero io, non ancora
affatto condizionato dagli oggetti, ma posto dalla libertà. L’alfa e l’omega di tutta la filosofia è la
libertà.
Hegel a Schelling
Berna, 16 aprile 1795
[…] Dal sistema kantiano e dal suo sommo compimento mi aspetto in Germania una rivoluzione
che partirà da principi che ci sono già e che richiedono soltanto di essere applicati, dopo una
complessiva rielaborazione, a tutto l’attuale sapere. Certo, resterà pur sempre una filosofia esoterica;
l’idea di Dio come Io assoluto ne farà parte. In uno studio recente dei postulati della ragione pratica
avevo avuto dei presentimenti di quanto mi hai esposto distintamente nella tua ultima lettera, ho
trovato nel tuo saggio e il Fondamento della dottrina della scienza di Fichte mi dischiuderà
completamente; dalle conseguenze che ne deriveranno certi signori rimarranno sbalorditi. Verranno
le vertigini per questa somma altezza di tutta la filosofia, con cui l’uomo si è sollevato tanto in alto;
ma perché si è giunti così tardi a tenere in maggior conto la dignità dell’uomo, a riconoscere quella
sua facoltà della libertà che lo pone nello stesso ordine di tutti gli spiriti? Credo che non ci sia miglior
segno del tempo di questo: che l’umanità è rappresentata tanto degna di stima in se stessa; è una
dimostrazione del fatto che l’aureola intorno al capo degli oppressori e degli dèi della terra dilegua. I
filosofi dimostrano questa dignità, i popoli impareranno a sentirla e non si contenteranno più di
esigere i loro diritti finora abbassati nella polvere, ma se ne occuperanno loro stessi, se ne
approprieranno […].
Le «Horen» di Schiller, i primi due fascicoli, mi hanno procurato un grandissimo piacere: il
saggio sull’educazione estetica del genere umano è un capolavoro. […] Hölderlin mi scrive spesso di
Jena; è proprio entusiasta di Fichte, al quale attribuisce grandi propositi. Come deve far piacere a
Kant scorgere già i frutti del proprio lavoro in così degni seguaci!
Hegel a Hölderlin
Eleusi
A Hölderlin, agosto 1796
[…] Il mio occhio s’innalza verso l’eterna volta del cielo, / verso di te, splendente astro della notte /
e dalla tua eternità discende l’oblio / di tutti i desideri, di tutte le speranze; / il senso si perde in
questa visione, / quel che dicevo «mio» svanisce, / io mi abbandono nell’immenso: / sono in quello,
sono tutto, sono solo quello. / Il pensiero ritorna ed è spaesato, / si spaura dinanzi all’infinito, e
stupefatto / non comprende la profondità di quella visione. / È la fantasia che avvicina l’eterno al
senso, / sposandolo alla figura […].
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Hegel, Fenomenologia dello spirito
Annuncio bibliografico
Nell’edizione delle librerie di Joseph Anton Goebhardt, a Bomber e Würzburg, è apparso
ed è stato distribuito a tutte le migliori librerie il
Sistema della scienza di G.W.F. Hegel.
Primo volume, contenente la Fenomenologia dello spirito.
Gr. 8. 1807. Prezzo 6 fl.
Questo volume presenta il sapere nel suo divenire. La fenomenologia dello spirito deve
prendere il posto delle spiegazioni psicologiche, nonché delle trattazioni più astratte circa la
fondazione del sapere. Considera la preparazione alla scienza da un punto di vista per cui questa
si rivela nuova, interessante, ed è la prima scienza della filosofia. Tale scienza comprende al
proprio interno le diverse figure dello spirito, intese come stazioni del cammino attraverso cui lo
spirito diviene sapere puro, ossia spirito assoluto. Pertanto, nelle principali sezioni di questa
scienza – a loro volta suddivise in varie parti ulteriori – si prendono in considerazione: la
coscienza; l’autocoscienza; la ragione osservatrice e la ragione agente; lo spirito stesso, come
spirito etico, colto e morale, e infine come spirito religioso, nelle sue differenti forme. La
ricchezza dei fenomeni in cui lo spirito si manifesta, che a un primo sguardo si presenta come
caos, è ricondotta a un ordine specifico, che li presenta secondo la loro necessità. Così ordinati, i
fenomeni imperfetti si dissolvono e trapassano in forme superiori, che ne sono la verità più
prossima. Tali fenomeni trovano poi la loro verità ultima anzitutto nella religione, e quindi nella
scienza, intesa come risultato del tutto.
Nella Prefazione l’autore chiarifica ciò che gli pare costituire il bisogno della filosofia,
considerata nella prospettiva che essa occupa attualmente; inoltre si pronuncia sulla presunzione
e sull’eccesso delle formule filosofiche che al presente screditano la filosofia, nonché su ciò che
in generale ha importanza nella filosofia e nel suo studio.
Un secondo volume conterrà il sistema della logica, come filosofia speculativa, e delle due
rimanenti parti della filosofia: la scienza della natura e quella dello spirito.
Indice
Prefazione
Introduzione
(A) Coscienza
I.
La certezza sensibile; ovvero il questo e l’avere-in-mente
II. La percezione; ovvero la cosa-oggetto e l’illusione
III. Forza e intelletto, apparenza fenomenica e mondo soprasensibile
(B) Autocoscienza IV. La verità della certezza di se stesso
A. Autonomia e non autonomia dell’autocoscienza; signoria e servitù
B. Libertà dell’autocoscienza. Stoicismo, scetticismo, e la coscienza infelice
(C)(AA) Ragione V. Certezza e verità della ragione
A. Ragione osservatrice
B. L’effettuazione dell’autocoscienza razionale mediante se stessa
C. L’individualità che è a sé reale in se stessa e per se stessa
(BB) Spirito
VI. Lo spirito
A. Lo spirito vero. L’eticità
B. Lo spirito estraniato da sé. La cultura
C. Lo spirito certo di se stesso. La moralità
(CC) Religione
VII. La religione
A. La religione naturale
B. La religione artistica
C. La religione rivelata
(DD) Sapere assoluto VIII. Il sapere assoluto
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Introduzione al VII capitolo della Fenomenologia dello Spirito: La religione
1. «Nella religione, lo spirito che sa se stesso è immediatamente la propria autocoscienza pura. Quelle
figure dello spirito che sono state considerate – lo spirito vero, lo spirito estraniato da sé, e lo spirito
certo di se stesso – costituiscono nel loro insieme lo spirito nella sua coscienza, la quale, venendo a
opporsi al suo mondo non vi si riconosce. Nell’animo coscienzioso però lo spirito assoggetta a sé sia il
proprio mondo oggetto in generale, sia anche la sua rappresentazione e i suoi concetti determinati,
ed è allora autocoscienza essente presso di sé. In questa autocoscienza lo spirito ha per sé,
rappresentato come oggetto, il significato dello spirito universale, che contiene entro di sé ogni essenza e
ogni realtà effettiva; non si trova però nella forma di realtà effettiva libera, o di natura che si
manifesta nella sua autonomia. Lo spirito qui ha certo figura, ossia ha la forma dell’essere, in quanto è
oggetto della propria coscienza; ma poiché nella religione questa coscienza è posta nella
determinazione essenziale di autocoscienza, lo spirito è la figura perfettamente trasparente a sé, e la
realtà effettiva che esso contiene è inclusa al suo interno, ove è anche levata, proprio come quando
parliamo di ogni realtà effettiva: è la realtà effettiva pensata, universale» (Fenomenologia dello Spirito, a cura
di G. Garelli, Einaudi, Torino 2008, pp. 446-47).
2. «Nella religione, lo spirito in quanto si rappresenta a se stesso è certamente coscienza, e la realtà
effettiva che è racchiusa nella religione è la figura e la veste della rappresentazione dello spirito
stesso. In questa rappresentazione, però, non viene fatta piena giustizia della realtà effettiva, che
avrebbe il diritto a non ridursi a una veste, e di essere libera esistenza autonoma; viceversa, poiché
manca in se stessa del compimento, la realtà effettiva è una figura determinata che non raggiunge
quello che deve presentare, cioè lo spirito consapevole di se stesso» (op. cit., p. 447).
3. «Se pertanto la religione è il compimento dello spirito, in cui i singoli momenti di quest’ultimo –
coscienza, autocoscienza, ragione e spirito – ritornano e già sono ritornati come nel loro fondamento,
quei momenti nell’insieme costituiscono la realtà effettiva esistente di tutto lo spirito»
(op. cit., p. 448).
4. «Lo spirito tutto intero, lo spirito della religione, è daccapo il movimento che dalla sua
determinatezza giunge al sapere di ciò che esso è in sé, ossia immediatamente, e giunge dunque a
ottenere che la figura entro cui esso si manifesta per la sua coscienza si renda perfettamente uguale
alla sua essenza, e a intuirsi per com’è. - In questo divenire lo spirito è dunque esso stesso in figure
determinate, le quali costituiscono le differenze proprie di questo movimento; così, nel contempo,
anche la religione determinata viene ad avere un determinato spirito effettivo» (op. cit., p. 449).
5. «La prima realtà effettiva dello spirito consapevole di sé è il concetto della religione stessa, ossia
della religione intesa come immediata e dunque naturale: in essa lo spirito si sa come proprio oggetto di
una figura naturale, ossia immediata. La seconda realtà effettiva è invece necessariamente quella in cui
lo spirito si sa nella figura della naturalità levata, ossia del Sé. Tale realtà costituisce dunque la religione
artistica, poiché la figura si eleva alla forma del Sé per via della produzione della coscienza, che permette
a quest’ultima di intuire il proprio fare – ossia il Sé – nel proprio oggetto. La terza realtà effettiva,
infine, leva l’unilateralità delle prime due; il Sé è qualcosa d’immediato tanto quanto l’immediatezza è Sé.
Se nella prima realtà effettiva lo spirito è in generale nella forma della coscienza, e nella seconda in
quella dell’autocoscienza, nella terza è nella forma dell’unità di entrambe: lo spirito ha qui la figura
dell’essere-in-sé e per-sé; e in quanto è rappresentato per com’è in sé e per sé, ciò costituisce la religione
rivelata» (op. cit., p. 451).
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