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Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” a.sc. 2016- 2017 classe 5 D
Nonluoghi
Toronto, Eaton Centre
A cura di Leonardo Bertini, Matteo Cobianchi e Pietro Toso
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Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” a.sc. 2016- 2017 classe 5 D
1.Introduzione
Marc Augè, antropologo ed etnologo
francese, con il libro Nonluoghi, introduzione
a una antropologia della surmodernità (1992)
affronta l'analisi delle società attuali
definendo la nostra epoca surmodernità,
intesa come ulteriore evoluzione del
postmodernismo. Questa epoca, con le sue
caratteristiche, è un prodotto della
globalizzazione, ovvero quel processo di
unificazione dei mercati a livello mondiale,
consentito dalla diffusione delle innovazioni
tecnologiche che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione sempre più uniformi; si
assiste, infatti, a una progressiva e irreversibile omogeneità nei bisogni e a una conseguente
scomparsa delle tradizionali differenze tra i gusti dei consumatori a livello nazionale o regionale.
Questo fenomeno è riscontrabile anche nell'architettura delle città, che aspira per lo più ad essere
riconosciuta a livello mondiale, andando così a tralasciare le caratteristiche storiche e particolari
del luogo di costruzione.
Evoluzione urbanistica di Shangai
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2.Il vicino e l'altrove
L'antropologia, ovvero la scienza che studia l'uomo in aggregati, comunità e situazioni, è sempre
stata un'antropologia del qui e ora.
Considerando l'"antropologia dell'ora", è necessario presentare la figura dell'etnologo. In quanto
studioso delle culture umane e delle loro forme, è colui che si trova da qualche parte nel mondo e
descrive ciò che osserva o ascolta in quello stesso momento; è contemporaneo sia all'enunciazione
sia all'enunciatore. Nonostante si possa giudicare la modalità della sua osservazione o i pregiudizi
che lo hanno condizionato, rimane il fatto che ogni etnologia presuppone un testimone diretto di
un evento presente: tutto quello che si allontana dall'osservazione diretta sul campo, allontana
anche dall'antropologia.
Passando al "qui", Augè precisa e smentisce l'affermazione secondo cui gli etnologi tendono a
concentrarsi sul qui europeo a causa dell'esaurirsi delle realtà antropologiche lontane, quelle del
mondo coloniale: infatti, da una parte in America, Africa ed Asia esistono tutt'ora delle concrete
possibilità di lavoro per l'etnologo, dall'altra le ragioni per fare antropologia sul mondo occidentale
sono ottime.
Tuttavia sorge un problema. Il lavoro dell'etnologo è un lavoro di precisione: egli "fa da sé" un
universo significante1. Egli tenta di capire di chi può pretendere di parlare quando parla di quelli
con cui ha parlato. La difficoltà sta quindi nel scegliere l'oggetto empirico reale e nella capacità di
capire se ciò che viene detto su un luogo o un oggetto, valga anche per altri.
La ricerca antropologica è una disciplina che si occupa della "questione dell'altro"2: questa
questione è trattata nel presente in modo tale da distinguerla dalla storia e viene studiata
contemporaneamente in più sensi. Oggi l'antropologia è richiamata dal mondo contemporaneo, a
causa delle sue rapide modificazioni, a rinnovare la riflessione sulla "categoria dell'alterità"3.
La prima modificazione riguarda il tempo, il cambiamento della sua percezione e l'uso che ne viene
fatto: scompare l'idea dello scorrere del tempo come progresso tipico del XX secolo e gli storici non
riescono a inscrivere nel tempo un principio d'identità.
1
M. Augé, Non Luoghi, Introduzione a una antropologia della surmodernità, 1992 p. 33 Marc Augé, etnologo e antropologo francese, nato a Poitiers nel 1935, è direttore della Scuola degli Alti Studi delle Scienze Sociali (EHESS) a Parigi
ed è stato direttore fino al 1970 dell'Ufficio della ricerca scientifica e tecnica d'oltremare (ORSTOM).
2
ivi p. 36
3
ivi p. 40
3
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La seconda trasformazione è quella della storia: essa ci insegue ed è la nostra ombra. La sua
accelerazione corrisponde ad una moltiplicazione e sovrabbondanza di avvenimenti che ha causato
e causa tutt'ora problemi agli antropologi. Al giorno d'oggi infatti, ognuno di noi cerca di dare un
senso al mondo e al presente: questo bisogno è visto come "il riscatto della sovrabbondanza di
avvenimenti"4, corrispondente ad una situazione che potremmo dire di surmodernità, per
esprimere la sua modalità principale, ovvero l'eccesso.
Marc Augé spiega la surmodernità, epoca in cui noi viviamo, attraverso tre diverse figure di
eccesso: l'eccesso di tempo, di spazio e la figura dell'ego. Augé evidenzia come il moltiplicarsi degli
avvenimenti negli ultimi vent'anni del XX secolo abbia segnato l'accelerazione della storia:
sovrabbondanti sono le informazione provenienti dal globo intero e inoltre, grazie all'allungamento
della vita, aumentano esponenzialmente le esperienze dei singoli individui e quelle comuni. La
difficoltà deriva dall'esigenza dell'uomo di comprendere tutto il presente, scordandosi di dare un
senso al passato prossimo.
L'eccesso di spazio è strettamente collegato con il restringimento del pianeta. "Il mondo si apre a
noi"5 : se da un lato viviamo nell'era dello sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, in cui
quello che un tempo era infinitamente lontano ora è solamente a qualche ora di distanza da noi,
dall'altro siamo partecipi di un restringimento del nostro pianeta dovuto alle conquiste in campo
spaziale. La nostra è un'epoca paradossale: da una parte si rafforzano le reti di trasporto e
comunicazione multinazionali, dall'altra aumentano i particolarismi di coloro che vogliono una vita
al di fuori di questa sovrabbondanza spaziale (grandi concentrazioni urbane, trasferimenti di
popolazioni) o di coloro che vogliono ritrovare la patria.
La terza figura dell'eccesso è quella da considerarsi la più importante. Nelle società odierne, in
particolare in quelle occidentali, l'individuo si considera un mondo in sè: si propone di interpretare
a modo suo le informazioni che riceve. Gli individui cercano di creare in questo modo un proprio
scenario o itinerario, da seguire all'interno dei vincoli globali imposti dalla società moderna.
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5
M. Augé, op.cit p.44
ivi p. 45
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Rotte aeree
Castro dei Volsci-Frosinone
C'è quindi una "individualizzazione degli approcci"6: le storie individuali sono fondamentali per la
storia collettiva ma, allo stesso tempo, i riferimenti dell'identificazione collettiva sono vaghi; la
produzione individuale di senso è quindi necessaria. Agli antropologi si pone dunque dinnanzi una
nuova questione: comprendere come integrare nella loro analisi la soggettività di coloro che
osservano e come ridefinire le condizioni della rappresentatività.
3.Il luogo antropologico
Nel secondo capitolo della sua opera, Marc Augé descrive i luoghi antropologici in opposizione ai
cosiddetti nonluoghi. “Se ci soffermiamo sulla definizione di luogo antropologico, constateremo
che esso è prima di tutto geometrico. Lo si può stabilire a partire da tre forme spaziali semplici che
possono applicarsi a dispositivi istituzionali differenti e che costituiscono in qualche modo le forme elementari dello spazio sociale”7. In termini geometrici si tratta della linea, dell'intersezione
delle linee e del punto di intersezione. Concretamente, invece, nella geografia che ci è più familiare, si potrebbe parlare di itinerari, di assi o di sentieri che conducono da un luogo a un altro, di crocevia in cui gli uomini si incontrano e si riuniscono. Questi elementi non sono nozioni assolutamente indipendenti, ma si sovrappongono parzialmente. Un itinerario può passare per differenti punti
importanti, che possono costituire altrettanti luoghi di incontro.
Il luogo antropologico è inoltre inteso come una “costruzione concreta e simbolica dello spazio che
da sola non potrebbe rendere conto delle vicissitudini e delle contraddizioni della vita sociale, ma
alla quale si riferiscono tutti coloro ai quali essa assegna un posto, per quanto umile o modesto
questo possa essere. Inoltre, però, è simultaneamente principio di senso per coloro che l’abitano e
principio di intelligibilità per colui che l’osserva”8, ovvero ciò che è oggetto di conoscenza intellettuale, per colui che l’osserva.
6
M.Augé, op.cit p.49
Ivi p. 62
8
ivi p. 59: chi ha il compito di osservare questi luoghi è l’etnologo, che, come detto, ha il compito di studiare l'origine e
la diffusione delle culture dei vari popoli.
7
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Qualsiasi luogo è considerato antropologico quando presenta tre caratteri principali: esso deve infatti essere identitario, in grado quindi d'individuare l’identità di chi lo abita (un esempio è sicuramente il luogo di nascita, poiché esso diviene costitutivo dell'identità individuale); relazionale, in
quanto deve essere in grado di stabilire una reciprocità dei rapporti tra gli individui, funzionale ad
una comune appartenenza; storico, ovvero che mantenga la consapevolezza delle proprie radici in
chi lo abita. Importante è però non confondere questo carattere con i cosiddetti “luoghi della memoria” i quali sono i luoghi da cui apprendiamo ciò che non siamo più; questo perché l'habitat del
luogo antropologico “vive” nella storia, non fa storia.
In architettura un esempio di questo concetto è facilmente riscontrabile nel “museo ebraico” di
Berlino: questo monumento è considerato un luogo antropologico poiché è un luogo identitario in
cui i cittadini tedeschi si riconoscono, in quanto non solo ha una funzione commemorativa riguardo
lo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, ma anche una funzione di ritrovo per
i berlinesi: qui le persone si danno appuntamento, scambiano parole e si creano ricordi.
Museo ebraico di Berlino (architetto Daniel Libeskind, 2001)
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Seppur caratteristici del cosiddetto “modernismo”, che va dal 1920 al periodo immediatamente
successivo alla seconda guerra mondiale, esistono tutt’oggi numerosi luoghi antropologici, nonostante molto diversi tra loro, aventi questi tre caratteri. Caratteristiche di questo stile in architettura erano la pulizia del segno e della forma: in particolare non si ricorre a decorazioni, ma al semplice rigore delle forme; l’obiettivo era risolvere i problemi sociali dovuti alla guerra attraverso queste
nuove idee architettoniche, che però vennero poi “corrotte” dalla speculazione edilizia che portò
alla nascita di quelli che verranno definiti nonluoghi.9
Le Corbusier, Unité d'habitation, Marsiglia (1947-1952).
Esempi di luogo identitario possono essere sia una scuola che i luoghi di potere come la Casa Bianca; nel caso di questi ultimi è però necessario sottolineare che sono contemporaneamente, per coloro che li nominano, luoghi monumentali, degli uomini e delle strutture di potere, perciò è come
se presentassero tre diversi livelli di identificazione.
9
Lo stesso Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris (1887-1965) considerato fra le figure più
influenti dell’architettura moderna, è oggi da alcuni criticato per i suoi progetti di “città verticale”.
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Washington, Casa Bianca (XVIII secolo)
Ritornando ai luoghi antropologici, in generale otteniamo che il prototipo per antonomasia di questo tipo di luogo è il centro stesso delle città, un luogo attivo ed identitario. Nelle città che si presentano oggi, è proprio al centro che sono raggruppati numerosi bar, hotel e luoghi di commercio.
Firenze, Piazza della Signoria
Agli architetti cosiddetti “moderni” è stato rimproverato di non offrire, all’interno delle nuove città
ricostruite dopo la seconda guerra mondiale, l’equivalente dei luoghi di vita prodotti da una storia
più antica e più lenta, ove vengono scambiate parole e le solitudini vengono dimenticate per
un’istante. Questo sentimento di solitudine sofferto da molti cittadini di questo e del secolo scorso
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è infatti dovuto alla mancanza di questi luoghi identitari, senza i quali non si crea un legame “affettivo” tra le persone e la città stessa; inoltre negli ultimi decenni si è andati incontro all’affermarsi di
un fenomeno secondo il quale vi è una forte contrapposizione tra il centro delle città, in cui viene
valorizzata in modo molto forte la loro storia attraverso opere di culto, monumenti oppure semplicemente mediante i nomi delle vie, e la creazione di tangenziali, autostrade e treni ad alta velocità,
che le aggirano cortocircuitando questo contesto culturale. In conclusione è però necessario affermare che Augè non riconosce la costruzione del luogo antropologico come ente assoluto, ma come
ambiguo, poiché si tratta dell'idea “parzialmente materializzata, che coloro che l’abitano si fanno
del loro rapporto con il territorio. […] Questa idea può essere parziale o mitizzata. Varia con il posto
e il punto di vista che ciascuno occupa”10.
4. Dai luoghi ai nonluoghi
Augè definisce i nonluoghi in contrasto con i luoghi antropologici, descrivendoli come spazi non
identitari, nè relazionali, nè storici. E' proprio all’interno di questo tipo di luoghi che tutti
trascorriamo oggi gran parte della nostra vita, tra alberghi, club vacanza, residence, sale d’attesa
di aeroporti, stazioni ferroviarie, giganteschi ipermercati. Luogo e nonluogo non esistono però in
una forma pura, ma sono "polarità sfuggenti"11, ovvero non si assiste mai ad una cancellazione
completa del primo nè a un compimento totale del secondo; lo stesso Augè dichiarerà in seguito
che "qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano
regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e
inventarsi così un luogo. Non esistono luoghi o nonluoghi in senso assoluto. Il luogo degli uni può
essere il nonluogo degli altri e viceversa"12.
Sala d’attesa di un aeroporto
10
M.Augé, op.cit p. 62
ivi p. 77
12
M.Augé, I nuovi confini dei nonluoghi, Corriere della Sera, 12 luglio 2010
11
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All'interno di questo mondo caratterizzato da
nonluoghi, i luoghi antropologici assumono un ruolo
circoscritto e specifico che è ben rappresentato dalla
progettazione delle autostrade in Francia: esse non
passano attraverso le città per necessità funzionali,
ma tutti i luoghi importanti (storici) a cui si
avvicinano sono segnalati e commentati, come se
fossero ormai solo luoghi di attrazione. Lo stesso
accade in Italia (cfr. la cartellonistica autostradale qui
esemplificata).
Con il termine nonluogo si indicano però sia gli spazi di transito, commercio e tempo libero, sia il
rapporto che si crea tra questi e gli individui; questo è spesso caratterizzato da simboli, parole o
voci pre-registrate come i cartelli affissi negli aeroporti "vietato fumare", "non superare la linea
bianca davanti agli sportelli", "mettersi in fila sulla destra", ecc. In questo modo l'individuo perde
ogni tipo di rapporto con persone reali e si limita a interagire con messaggi enunciati dalle
istituzioni, andando sempre più verso uno stato di isolamento.
Questo stato di isolamento silenzioso è evidente all'interno dei grandi magazzini, dove il cliente
circola senza rivolgere parola a nessuno per poi pagare consegnando una carta di credito;
quest'ultimo passaggio rappresenta un "dialogo più diretto, ma ancora più silenzioso"13 tra
l'individuo e il cash-dispenser, le cui risposte che compaiono sullo schermo ("ritirate la vostra
carta","carta non correntemente inserita") sono rivolte a ciascuno di noi senza alcuna distinzione,
andando così a creare l'uomo medio, ovvero l'utente dei vari sistemi stradale, bancario o
commerciale.
Centro commerciale
13
M.Augé, op.cit p. 91
10
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Quella che all'interno del luogo antropologico
era un'identità individuale definita attraverso
"i punti di riferimento del paesaggio, le regole
non formulate del saper vivere"14, con il
nonluogo si trasforma in una identità
condivisa da tutti gli utenti senza distinzione.
Questa condizione di perdita di identità e di
conseguente anonimato, che per alcuni può
anche rappresentare una sorta di liberazione
dall'obbligo di dover essere sempre all'altezza
del proprio rango, non può però avvenire
senza un passaggio attraverso l'identità del
singolo.
In questo paradosso che si viene a creare, l'utente può acquistare il proprio anonimato solo dopo
avere fornito la prova della sua identità, ovvero non c'è "nessuna individualizzazione (nessun
diritto all'anonimato) senza controllo di identità"15; l'identità è ritrovata solo all'uscita del
nonluogo con l'eventuale dogana o casello autostradale. Nel periodo intermedio, però, l'individuo
rispetta un codice universale come tutti gli altri utenti di quel nonluogo, che quindi "non crea né
identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine"16.
Esempio limite e paradossale di questa spersonalizzazione è quello raccontato in The Terminal, il
film di Spielberg (USA-Germania, 2004) ispirato alla vicenda reale di Merhan Nasseri, un rifugiato
iraniano in transito a Parigi per l’Inghilterra, che rimase bloccato all’aeroporto Charles de Gaulle
per vent’anni perché risultava non identificabile.
Privo del passaporto che gli era stato rubato, Nasseri non fu in grado di provare la sua identità ai
funzionari francesi e venne così confinato nel limbo del terminal, nella Zone d’attente, area di
sosta per viaggiatori senza documenti. La perdita di identità si trasformò in patologia e quando,
dopo tredici anni, gli fu riconosciuto lo status di rifugiato, non accettò di recuperare né la libertà di
movimento, né il suo nome, né la sua lingua d’origine. Da tempo si faceva chiamare Sir Alfred e
viveva accanto al Relay, un'edicola dove era in vendita la sua autobiografia - The Terminal Man che su richiesta si prestava ad autografare. Merhan Nasseri, entrato nell’aeroporto Charles de
Gaulle nel 1986, ne uscì nel 2006 per entrare in un ricovero per indigenti.
Il regista Steven Spielberg si è ispirato alla storia di Nasseri per il suo film del 2004, The Terminal,
interpretato da Tom Hanks.17
14
M.Augé, op.cit p. 92
ivi p. 93
16
ivi p. 94
17
Viktor Navorski è cittadino di un (immaginario) Stato dell'Europa orientale, la Cracozia. Quando atterra a New York,
scopre che nel suo Paese è avvenuto un colpo di Stato. Costretto a sostare nell'Aeroporto Internazionale "John
Fitzgerald Kennedy", con un passaporto ormai privo di validità, Viktor si vede negato il visto d'entrata per gli Stati Uniti
e impedita la possibilità di far ritorno a casa, dovendo quindi restare all'interno del terminal senza possibilità di varcare
15
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Fotogrammi dell’inizio del film di Spielberg “The Terminal”.
Con la comparsa dei nonluoghi viene a crearsi un paradosso sempre più attuale: lo straniero che
viaggia in un paese sconosciuto ritrova se stesso e quella sensazione di “sentirsi a casa” solamente
nell’anonimato di questi spazi che, essendo uguali in tutti le parti del mondo, vengono percepiti
dai consumatori come punti di riferimento; questa omologazione è letta da alcune persone in
chiave positiva, in quanto rappresenta la possibilità di accedere in qualsiasi parte del mondo a
servizi di un certo livello, creando un senso di sicurezza all’interno degli individui che si fidano
ciecamente di ciò che ha un qualcosa di familiare.
Questa tendenza a rendere tutto simile e riconoscibile universalmente porta però con sé un
indebolimento di quella forza locale che probabilmente rendeva ogni viaggio davvero unico; al
giorno d’oggi i viaggi si assomigliano tutti, essendo caratterizzati da quella sensazione di “già visto”
la frontiera. Con il passare dei mesi, Viktor si adatta a vivere in un nonluogo, che per la maggior parte delle persone è
solo un punto di passaggio, imparando l'inglese, facendosi accettare e stringendo delle relazioni con le persone che
lavorano nell'aeroporto.
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che ormai si ritrova ovunque, andando a togliere quella emozione che si prova nello scoprire
nuove culture. Basta pensare semplicemente ai pasti che si fanno all’estero: spesso si finisce per
mangiare in un ristorante dove si sa di poter trovare qualcosa che piace, che è solitamente un fast
food o un locale “italiano”; questa necessità di certezze è in grande contraddizione col senso
intrinseco del viaggio, caratterizzato dalla scoperta, dall’ignoto e in un certo senso anche dal
rischio. E’ proprio a causa di questo bisogno che le connotazioni locali che differenziano i vari
luoghi stanno perdendo progressivamente importanza, in una corsa all’omologazione dove chi
rimane indietro è considerato arretrato da tutto il resto del mondo.
Questo processo di avvicinamento a forme standard è evidente anche nell’architettura, dove non
ha più importanza l’identificazione del singolo con il monumento, ovvero il senso del luogo, ma si
va verso la creazione di un vuoto all’interno dell’individuo tramite spazi che non hanno nessun tipo
di rapporto con lui; questi devono solo essere riconoscibili per creare, appunto, la sensazione
citata che attira il consumatore, portandolo ad entrare nel negozio del caso. La riconoscibilità non
è solamente esterna, ma anche interna: la struttura del negozio, del supermercato o
dell’aeroporto è molto simile, quasi uguale, a Francoforte come a Parigi, così da far sentire
l’individuo sempre a casa.
Aeroporto di Copenhagen
Aeroporto di Dubai
Aeroporto di Parigi
Aeroporto di Nuova Delhi
Un’altra area dell’architettura strettamente legata ai nonluoghi è quella che riguarda le periferie:
queste parti della città, nate per rimediare al bisogno di abitazioni nel dopoguerra, sono simili in
tutto il mondo, in quanto l’obiettivo dei costruttori non era quello di creare palazzi che
rispecchiassero le caratteristiche locali, ma solamente creare spazi dove la gente potesse vivere in
13
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numero più grande possibile; questi palazzi sono situati nel “nulla”, nel senso che non esiste
niente nelle vicinanze che permetta di dare identità al luogo o creare un senso di identificazione
negli individui, e di conseguenza la vita delle persone non è più comunitaria, ma individuale, con
un senso di isolamento sempre crescente.
Roma, Tor Bella Monaca
I nonluoghi quindi, come spazi della surmodernità, accolgono un’enorme quantità d’individui,
senza però che questi entrino in relazione tra loro, poiché l’identificazione avviene, come detto
prima, solamente all’entrata e all’uscita, facendo di questi spazi una sorta di parentesi all’interno
della quale non esistono rapporti sociali. Questa caratteristica dei nonluoghi può essere una delle
motivazioni che spingono coloro che compiono atti terroristici a scegliere proprio questi come loro
obiettivi: se in primo piano può esserci una motivazione legata alla “efficacia” nel prendere di mira
i nonluoghi, è possibile che sia presente anche una ragione legata al significato di questi spazi;
questi estremisti infatti sono fortemente legati al loro territorio e alla loro cultura e i nonluoghi
rappresentano la negazione di tutto ciò, ovvero un grande spazio che però “non accoglie alcuna
società organica”18.
L’analisi di Marc Augè sulla società degli anni Novanta è applicabile anche ai giorni nostri; negli
ultimi anni infatti il processo di globalizzazione si è sempre più intensificato e il carattere “locale”
che differenziava i vari posti del mondo si è nettamente indebolito.
I nonluoghi inoltre sono sempre più diffusi e sono diventati parte integrante delle nostre vite, a tal
punto che siamo ormai più predisposti a interagire con macchine e cartelli che con persone vere.
Questo processo sta portando alla individualizzazione dei riferimenti e alla perdita di relazione con
l’altro in uno stato di isolamento che forse sta addirittura superando ciò che aveva osservato Marc
Augè.
18
M.Augé, op.cit. p. 99
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Bibliografia e sitografia
M.Augè, Nonluoghi, Introduzione a una antropologia della surmodernità, 1992
M.Augé, i nuovi confini dei nonluoghi, Corriere della Sera, 12 luglio 2010
Nonluoghi di Marc Augè, http://doc.studenti.it/appunti/antropologia/nonluoghi-marc-auge.html
Paesaggi mutanti, http://paesaggimutanti.it/node/198
Analisi del testo Marc Auge', Nonluoghi, introduzione a una antropologia della surmodernità
http://iskradjuric.blogspot.it/2012/05/analisi-del-testo-marc-auge-nonluoghi.html
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