la globalizzazione ei nonluoghi

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LA GLOBALIZZAZIONE E I NONLUOGHI
Il fenomeno della globalizzazione si può definire come l'estensione su tutto il globo del mercato
liberale e delle reti tecnologiche di informazione, così come dei modi di vivere e di pensare.
Alla globalizzazione si possono ricondurre gli ideali di un mondo senza frontiere nei settori più
disparati dell'attività umana mondiale ma anche gli effetti di omogeneizzazione e di
standardizzazione dei prodotti, delle creazioni, dei comportamenti. Certamente porta con sé
aspetti positivi, come la velocità delle comunicazioni e delle informazioni, la possibilità di crescita
per i Paesi a lungo rimasti ai margini, la diminuzione della distanza spazio-temporale e la riduzione
dei costi per i consumatori finali grazie all'incremento della concorrenza, e aspetti negativi, tra cui
il degrado ambientale, il rischio dell'aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali,
la riduzione della sovranità nazionale e dell'autonomia delle economie locali.
Come dice l’antropologo Marc Augé nel suo libro Nonluoghi, introduzione ad una antropologia
della surmodernità, alla globalizzazione si accompagna la nascita di una coscienza planetaria che
ci permette di essere sempre più consapevoli di abitare un unico grande pianeta, fragile e
minacciato, ma anche di constatare come la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre più.
In questo orizzonte economico e culturale si inseriscono perfettamente i nonluoghi, effetti e
caratteri di un mondo globalizzato, con tutte le implicazioni che comportano. “Gli spazi di
circolazione, di consumo e di comunicazione si moltiplicano sul pianeta, rendendo visibile in
maniera molto concreta l’esistenza della rete”. (ibidem)
Ormai, in ogni parte del mondo il viaggiatore può trovare luoghi (o meglio nonluoghi) pressoché
identici e proprio per questo rassicuranti: strutture commerciali simili tra loro, la propria catena
di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all'interno di un aeroporto. “Le stesse
catene alberghiere, le stessi reti televisive imprigionano il globo per offrirci la sensazione che il
mondo è uniforme, uguale dappertutto, e che a cambiare sono solamente gli spettacoli, proprio
come a Broadway o a Disneyland” (ibidem p. 11)
Si possono comprare gli stessi prodotti a Parigi, come a Roma e a Londra, ma anche a Singapore e
a Tokyo. Identiche scarpe sportive sono vendute negli Usa, a Madrid e a Milano, così come si
possono trovare le stesse magliette che riportano le medesime frasi “originali” sulle bancarelle di
tutto il mondo. Anche i luoghi di vendita, i centri commerciali grandi e piccoli, sono tutti uguali:
non solo vendono la stessa merce, ma hanno la stessa aria condizionata, che garantisce la stabilità
di un’unica stagione ovunque si vada, le stesse scale mobili, gli stessi arredi.
E questa uguaglianza e omologazione, invece di annoiare e imprigionare, rassicura il viaggiatore e
il consumatore: stanco di esplorare la diversità e l’imprevisto della cultura locale, ritrova se stesso
nella folla solitaria e nell’anonimato conosciuto e confortante dei nonluoghi, in una sorta di ritorno
a casa.
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