Il finanziamento dei soci e l`insolvenza

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Dipartimento di Scienze giuridiche
CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa
Il finanziamento dei soci e l’insolvenza
Giovanni Spedicato
Maggio 2011
© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o
come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la
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sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione
Dottorando in Diritto ed Economia presso l’Università LUISS Guido Carli,
Roma. Desidero ringraziare per la supervisione il Prof. Gustavo Visentini e il Dott.
Federico Raffaele.
Sommario: 1. Introduzione – 2. La nozione di finanziamento – 3. La ratio
dell’articolo 2467 c.c. – 4. Ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c. – 5.
Presupposti applicativi: eccessivo squilibrio e ragionevolezza del conferimento
– 6. L’operatività della postergazione – 7. 7. Il finanziamento dei soci e le
procedure concorsuali - 7.1. La sorte dei finanziamenti anomali nel fallimento
- 7.2. Il sistema delle revocatorie fallimentari e l’obbligo di restituzione:
convivenza possibile o sovrapposizione - 7.2.1. Coordinamento con l’art. 64
della legge fallimentare - 7.2.2. Coordinamento con l’art. 65 della legge
fallimentare - 7.2.3. Coordinamento con l’art. 66 della legge fallimentare. 7.2.4. Coordinamento con l’art. 67 della legge fallimentare. - 7.3. La posizione
dei soci-creditori nell’ambito del concordato preventivo - 7.4. Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti - 7.5. L’amministrazione straordinaria e la
ristrutturazione delle grandi imprese in crisi. La sorte dei crediti vantati dai
soci - 8. Conclusioni
1. Introduzione
Lo scopo di questa analisi è di guardare il fenomeno del
finanziamento dei soci attraverso una prospettiva non solamente
“societaria”, ma anche “concorsuale”, tenendo quindi conto delle normative
che concernono la gestione della crisi d’impresa. Per poter procedere a tale
indagine, tuttavia, si dovrà necessariamente prendere le mosse dalla
definizione dell’ambito applicativo dell’articolo 2467 c.c., per poi, discutere
le implicazioni che la disciplina sul finanziamento dei soci realizza
nell’ambito della crisi d’impresa.
Il lavoro porrà innanzitutto una distinzione di fondo, che pervade
tutta la materia, chiarendo cosa si intenda per “finanziamenti in qualsiasi
forma effettuati”, al fine di differenziarli dagli altri apporti dei soci cui non
si applica la norma in esame.
Successivamente, si tenterà sia di delimitare il perimetro di
applicazione della disciplina oggetto di analisi, stante la presenza di una
previsione espressa esclusivamente per le S.r.l. e per il fenomeno della
direzione e coordinamento, sia di precisare i presupposti oggettivi richiesti
per l’operatività della norma. Esaurita, tale l’indagine preliminare, si
approfondirà il funzionamento della postergazione.
Sulla base delle considerazioni svolte, si analizzeranno poi gli
importanti risvolti che la previsione di una specifica disciplina sulla
rimborsabilità dei finanziamenti dei soci, in ambito societario, comporta
sull’operatività e sull’applicazione delle norme in materia di procedure
concorsuali, cercando di trovare un’armonia tra le diverse discipline.
In particolare, in relazione alla disciplina del fallimento, si partirà dal
presupposto che il socio-finanziatore – colui che cioè concede delle somme
alla società causa mutui – rimanga comunque, nonostante il controllo di una
quota della società, un creditore dell’impresa, che in quanto tale titolare del
diritto di concorrere al soddisfacimento del proprio credito sul patrimonio
della società. L’operare del meccanismo della postergazione nell’ambito del
fallimento farà in modo che le sue pretese potranno essere soddisfatte
solamente dopo che si siano rimborsati i crediti vantati dagli altri creditori,
privilegiati e chirografari. Riguardo poi, più specificamente, ai rapporti tra
l’obbligo di restituzione dei rimborsi avvenuti nell’anno precedente la
dichiarazione di fallimento ed il sistema delle revocatorie fallimentari, si
proverà ad affermarne la loro piena compatibilità, dati i diversi presupposti
applicativi richiesti dalle relative disposizioni legislative.
In conclusione, il lavoro si concentrerà dapprima sulle relazioni tra la
disciplina del concordato preventivo e la previsione dell’art. 2467 c.c.: in
particolare, si proverà ad ammettere la partecipazione dei soci-finanziatori al
concordato, e quindi al voto sullo stesso, a condizione che i creditori siano
ripartiti per classi e la proposta di concordato sia approvata dalla
maggioranza delle classi. Da ultimo, si noterà che, sia nell’ambito
dell’amministrazione straordinaria sia in quello della ristrutturazione delle
grandi imprese in crisi, non si possa che prendere atto della necessaria
subordinazione delle pretese dei soci-finanziatori al previo soddisfacimento
dei creditori privilegiati e dei creditori chirografari.
2. La nozione di finanziamento
L’impresa ha generalmente continua necessità di finanziamento per
poter svolgere la propria attività. Nelle società di capitali la funzione di
fonte di risorse finanziarie è stata storicamente svolta dal capitale sociale. In
tempi più recenti, tuttavia, la prassi testimonia come siano sempre più
diffuse modalità di finanziamento alternative, modulabili in relazione alle
esigenze che la società si trova ad affrontare nello svolgimento della sua
attività imprenditoriale. La raccolta dei capitali, infatti, può realizzarsi sia
mediante strumenti tipici previsti dal diritto societario, come le azioni e le
obbligazioni, sia attraverso strumenti atipici, oppure con istituti più
strettamente di diritto civile, quali ad esempio i versamenti o i mutui1.
Ai fini del presente lavoro occorre evidenziare come la norma
contenuta nell’art. 2467 c.c. parli, genericamente, di “finanziamenti in
qualsiasi forma effettuati” da parte dei soci a favore della società. La
disposizione, quindi, non fornisce direttamente alcuna specificazione circa
la natura di questi contributi finanziari: diviene, dunque, decisivo per
l’interprete operare una corretta qualificazione della prestazione, ai fini di
un’efficace determinazione delle regole applicabili.
L’espressione “finanziamento” utilizzata dal legislatore della riforma
deriva dalla scienza economica. Nel linguaggio strettamente economico
“finanziamento” indica quelle operazioni con le quali si realizza la provvista
1 Cass., 4 agosto 1995, n. 8587 in Cons. di Stato, 1998, II, p. 21 “(…) alla
autonomia privata sono consentiti, nelle società di capitali, conferimenti atipici e ciò sia
nel senso che si tratta di conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico - formali
di mezzi finanziari. Al suo interno, perciò, va ricompreso anche ciò che per
il giurista costituisce un conferimento vero e proprio, il quale, però, va
decisamente escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c.
In prima approssimazione, quindi, le risorse finanziarie diversamente
affluite nel patrimonio dell’impresa si possono raggruppare nelle due
macro-categorie di: a) capitale di rischio; b) capitale di debito. Il confine
che separa le due tipologie è spesso assai labile e di difficile individuazione:
infatti, al di là delle ipotesi in cui il finanziamento sia posto in essere
mediante strumenti tipici che definiscono esplicitamente la natura di rischio
o di debito dell’apporto, come nel caso del binomio azioni-obbligazioni, si
possono individuare sia strumenti tipizzati dal legislatore, quali gli strumenti
finanziari2, sia, a fortiori, “atipici”, la cui sussunzione entro una delle due
categorie non è immediata.
Concettualmente la distinzione tra apporti di risorse finanziarie
effettuati a titolo di capitale di rischio e quelli effettuati a titolo di debito è
apparentemente lineare. I primi sono quelli che consentono un aumento del
patrimonio netto della società, che può avvenire tanto mediante un vero e
proprio conferimento, quanto attraverso apporti fuori capitale, i c.d. apporti
causa societatis, come ad esempio i versamenti in conto futuro aumento di
capitale, in conto capitale ed a fondo perduto. Questi non comportano un
incremento del capitale sociale, ma realizzano, comunque, un rafforzamento
delle risorse patrimoniali a disposizione della società3.
previsti per la costituzione delle società e per l’aumento del capitale sociale, sia perché
sono conferimenti destinati ad incrementare il patrimonio della società fuori del capitale”.
2 Sul tema degli strumenti finanziari e sulla loro natura, v. SCARABINO, Gli
strumenti finanziari, disponibile presso il sito http://www.archivioceradi.luiss.it.
3 Cfr. VISENTINI, Principi di diritto commerciale, Padova, 2006, pp.191e ss.; FICO,
Il finanziamento delle società di capitali, Milano, 2006, pp. 15 e ss.; TASSINARI, Il
finanziamento della società mediante mezzi diversi dal conferimento, in La riforma della
società a responsabilità limitata, a cura di Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari,
Notariato e nuovo diritto societario, Collana diretta da Laurini Milano; PARRELLA,
Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, Milano, 2000, pp. 17
e ss.; PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e coordinamento,
Per contro, quando si realizza un vero e proprio finanziamento, ossia
un versamento di capitale a titolo di debito (causa mutui), si incide sul solo
profilo finanziario della società, lasciando l’aspetto patrimoniale inalterato:
sorge in tal caso, tra il socio-creditore e la società, un rapporto obbligatorio
diverso, ma in ogni caso parallelo, a quello sociale.
Il problema deriva dal fatto che spesso i versamenti non sono
corredati da una dichiarazione di volontà delle parti, da cui emerga
chiaramente a che titolo essi siano effettuati. Inoltre, si può notare che
spesso si utilizza volutamente una terminologia equivoca4, al fine di
inizialmente iscrivere in bilancio il versamento tra le riserve5, consentendo
quindi alla società di mostrare un patrimonio netto più elevato 6, per poi
permettere allo stesso socio-finanziatore di ottenerne la restituzione, previa
riqualificazione, sempre in bilancio, come finanziamento, a danno dei
creditori.
Per verificare quando i prestiti dei soci vadano qualificati, in realtà,
come autentici conferimenti di patrimonio e quindi, assoggettati alla relativa
disciplina, occorre precisare innanzitutto che il nomen iuris con cui le parti
denominano il contratto non è vincolante per il giudice, come affermato
Roma, 2008, pp. 47 e ss.; BONFATTI, Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti
"ibridi" di capitale, in Rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario, Milano, 2004,
pp. 311 e ss.
4 “Le denominazioni sono le più varie e spesso vengono utilizzate per identificare
allo stesso modo fattispecie piuttosto diverse. Il quadro è poi completato dalla pressoché
totale carenza di una disciplina legislativa,quanto meno sul piano civilistico, posto che le
uniche norme con le quali risulta in qualche modo disciplinato il fenomeno sono di
carattere fiscale”, BRODASCA, Copertura di perdite tramite versamenti in conto capitale.
Commento a Trib. Genova del 12 febbraio 2002, in Le società, 2003, pp. 619 e ss.
5 Va tenuto, infatti, a mente che il bilancio costituisce un atto unilaterale della
società. Pertanto, sarà possibile che l’apporto sia qualificato dagli amministratori come
riserva, salvo poi, procedere a riqualificare l’apporto nella maniera che si ritiene più utile.
6 In tal senso, si veda FICO, Corretta qualificazione dei versamenti effettuati dai
soci nelle società diversi dai conferimenti, disponibile presso il sito
http://dottrinaediritto.ipsoa.it/home.jsp.
dalla giurisprudenza maggioritaria7. Infatti, laddove la finalità perseguita in
concreto con il “prestito” sia quella di mettere durevolmente a disposizione
della società nuovi mezzi finanziari, in virtù dell’interesse che il socio ha
nella società stessa, la reale natura di capitale di rischio dell’apporto non
può non prevalere sulla denominazione. D’altra parte, sul tema, autorevole
dottrina sostiene che sarebbe possibile ricomprendere nella nozione di
finanziamento “tutti i negozi che possono servire ad apprestare, per un
tempo determinato, mezzi economici di utilizzazione vincolata, cioè a
costituire
temporanee
disponibilità
finanziarie
per
una
finalità
convenzionale”8. Su questa linea interpretativa, in tempi recenti la Suprema
Corte di Cassazione ha evidenziato che, nel suo significato letterale,
l’espressione “finanziamento” non può essere fatta coincidere con quella di
mutuo che, come noto, ne costituisce l’ipotesi più importante. Infatti, il
concetto avrebbe una portata più ampia, tale da comprendere ogni provvista
di risorse finanziarie, cioè la possibilità di attingere denaro, in base ad un
accordo con il soggetto erogante, con obbligo di restituzione entro il termine
previsto
contrattualmente9.
In
tale
accezione
più
lata
rientrano
indubbiamente altre numerose figure contrattuali, quali ad esempio
l’apertura di credito e altri contratti, sia bancari sia di diritto civile, senza
che il contratto stesso debba essere necessariamente qualificato come
mutuo.
7 Cfr. Cass. civ., Sez. I, 30 marzo 2007, n. 7980, in Notariato, 2007 p. 176; Cass.
civ., Sez. I, 31 marzo 2006, n. 7692, in Giur. Cost. e Civ., 2006, p 3217, Cass. civ., Sez. I,
29 ottobre 1994, n. 8928, in Giust. Civ., 1995, p. 1895; Trib. Milano, 29 settembre 2005, in
Le società, 2006, p. 1133; Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 1996, n. 2314, in Le Società, 1996, p.
1267; Cass. civ., Sez. I, 14 dicembre 1998, n. 12539, in Notariato, 1999, p. 538; Cass. civ.,
Sez. III, 6 luglio 2001, n. 9209, in Le società, 2001, p. 1345; Cass. civ., Sez. I, 21 maggio
2002, n. 7427, in Vita Notarile, 2002, p. 1500.
8 FRAGALI, Finanziamento, in Enc. Dir., 1968, XVII, Milano, p. 605.
9 Cass. civ., Sez. trib., 19 febbraio 2009, n. 3970, in Ilsole24ore, 9 marzo 2009,
pag. 4 . Nello stesso senso si vedano Cass. civ., Sez. trib., 29 marzo 2002, n. 4611, in CED
Cass. e Cass. civ., Sez. trib., n. 4530 del 2002, in CED Cass.
Alla luce di quanto precede, si può concludere che la nozione di
“finanziamento” racchiude al suo interno le operazioni mediante le quali la
società beneficia direttamente, ovvero indirettamente, di somme di denaro a
fronte di un obbligo di restituzione, entro un termine previsto
contrattualmente, nei confronti del finanziatore.
3. La ratio dell’articolo 2467 c.c.
Il rischio collegato all’aumento degli apporti da parte dei soci a titolo
di capitale di debito è che la società si venga a trovare in una situazione di
sottocapitalizzazione.
In
particolare,
il
fenomeno
della
c.d.
sottocapitalizzazione nominale ha le sue radici nella diffusa prassi di
finanziare la società mediante capitale di debito, anziché mediante
conferimenti. Essa, però, va tenuta distinta dalla c.d. sottocapitalizzazione
materiale: infatti, mentre la prima si caratterizza per l’insufficienza del
capitale di rischio e per la copertura del fabbisogno finanziario mediante la
assunzione di debiti, nella seconda, invece, la società risulta essere
materialmente priva di mezzi adeguati, sia sotto forma di capitale sia sotto
forma di somme ottenute a titolo di debito10.
Il legislatore, fermo restando il capitale minimo previsto dalla legge,
lascia le imprese libere di decidere come finanziare la propria attività. Il
ricorso all’indebitamento presenta una serie di vantaggi: permette, infatti, di
sfruttare la leva finanziaria11, di usufruire dei vantaggi fiscali , e consente di
10 Il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale viene affrontato da
CAMPOBASSO, I finanziamenti dei soci, Torino, 2004, pp. 5 e ss. L’analisi deve partire dalla
nozione di capitale di rischio. In tale prospettiva il capitale di rischio è l’insieme di mezzi
che l’impresa detiene con un certo grado di stabilità per far fronte al fabbisogno finanziario,
vi fanno quindi parte anche le riserve. Sull’argomento si veda anche PORTALE, I
finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca borsa e titoli di credito, 2003, pp.
681 e ss.
11 Leva Finanziaria esprime il rapporto tra capitale di credito e capitale proprio.
L’effetto leva si ottiene perché ogni euro di debito aggiuntivo produce più reddito di quanto
sia necessario per remunerare i creditori. Tale effetto si realizza a condizione che il ROI >
dotare la società di somme di denaro di pronta utilizzabilità, senza dover
ricorrere alle complesse procedure per l’aumento di capitale. Quale
conseguenza naturale, la politica di finanziamento dell’attività mediante il
ricorso a prestiti comporta il pericolo di incrementare il livello di
indebitamento fino ad un livello non più sostenibile, e quindi in grado di
comportare il serio rischio di insolvenza.
Nel caso in cui i finanziamenti siano posti in essere da parte dei soci,
tale evenienza si può palesare in maniera ancor più rilevante, in quanto vi è
altresì il pericolo di gestire l’impresa trasferendo, di fatto, il rischio sui
creditori. Infatti, i soci, in tal modo, possono continuare a finanziare la
società che si trova in una situazione grave, causando il peggioramento di
una condizione finanziaria di per sé già seriamente compromessa. Gli stessi,
inoltre, attraverso lo sfruttamento della loro posizione privilegiata e delle
informazioni a loro disposizione, sarebbero in grado di rientrare delle
proprie somme agevolmente, danneggiando la società e i suoi creditori. I
membri della compagine sociale, poi, per cercare di risanare la situazione
finanziaria dell’impresa, potrebbero altresì avventurarsi in operazioni
altamente rischiose, aggravando perciò sia la posizione della società sia, di
conseguenza, quella dei creditori12.
In virtù di quanto detto, si può immaginare come il legislatore,
attraverso la previsione contenuta nell’art. 2467 c.c., abbia tentato di
arginare il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale, soprattutto
nell’ottica di tutelare i creditori rispetto al finanziamento che viene concesso
WACC, ossia che il rapporto tra reddito operativo e capitale investito sia maggiore del
costo medio ponderato del capitale. Secondo la dottrina aziendalistica è necessario che i
proventi degli investimenti realizzati dall’impresa producano flussi di cassa maggiori dei
costi sostenuti dall’impresa per finanziare la propria attività. FONTANA, CAROLI (a cura
di), Economia e Gestione delle Imprese, Milano, 2009, pp. 377 e ss.
12 In questo senso PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e
coordinamento, cit., pp. 13 e ss.
dai soci. Il problema di fondo è, come sottolineato da autorevoli Autori 13, se
sia possibile permettere ai per soci partecipare al riparto del patrimonio della
società in posizione paritaria con i creditori.
Come noto, la riforma del diritto societario introdotta con il d.lgs., 17
gennaio 2003, n. 6, interviene sulla materia con la previsione di due norme,
che disciplinano da un lato il fenomeno del finanziamento della s.r.l. da
parte dei soci (art. 2467), e dall’altro la medesima evenienza, calata però
nella realtà della direzione e coordinamento tra società (art. 2497quinquies).
L’art. 2467 stabilisce che «Il rimborso dei finanziamenti dei soci a
favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri
creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento
della società, deve essere restituito». Si intendono per “finanziamenti dei
soci a favore della società” quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono
stati concessi in un momento in cui, «anche in considerazione del tipo di
attività
esercitata
dalla
società,
risulta
un
eccessivo
squilibrio
dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione
finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento».
L’art. 2497-quinquies dispone che «Ai finanziamenti effettuati a
favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei
suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l’articolo
2467». La formulazione della norma in modo generico, disponendo
chiaramente
la
postergazione
in
presenza
di
alcune
condizioni
insufficientemente specificate, lascia importanti questione irrisolte. In
particolare, le difficoltà che si possono maggiormente riscontrare
13 CAMPOBASSO, I finanziamenti dei soci, cit., pp. 50 e ss.; PALAZZOLO I
finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e coordinamento, cit., pp. 13 e ss.; SALAFIA,
I finanziamenti dei soci alla società a responsabilità limitata, in Le società, 2005, pp. 1077
nell’esegesi delle disposizioni sono, infatti, proprio quelle connesse al
tentativo di dare concretezza ai requisiti richiesti dal legislatore. La scelta di
tale formulazione generica è voluta dal legislatore, in quanto, come si evince
dalla Relazione di accompagnamento14, risultava difficoltoso individuare il
punto di equilibrio tra diversi aspetti controversi. Pertanto, il legislatore ha
optato per una formulazione che lasciasse all’interprete l’onere di dare
concretezza al precetto legislativo.
4. Ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c.
A seguito dell’introduzione della disciplina sui finanziamenti dei
soci previsti per la s.r.l. e per l’ambito del fenomeno della direzione e
coordinamento, si è sviluppato un acceso dibattito fra gli interpreti
sull’estensibilità della suddetta normativa anche a tipologie di società
differenti, in primis le S.p.A.15.
Una parte della dottrina ha manifestato la sua contrarietà ad un
eventuale incremento delle fattispecie coperte dal disposto normativo. In
primo luogo, ai fautori di tale opinione preme sottolineare come il
e ss.; NIGRO, I finanziamenti dei soci “postergati” e loro compensazione, in Notariato,
2008, p 521 e ss.
14 Cfr. Relazione al d.lgs. 6/2003, in Riv. Soc., 2003 §11.
15 Il dibattito in materia è ampio si vedano fra gli altri POSTIGLIONE, La nuova
disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, in Le
società, 2007, pp. 931 e ss; SALAFIA, I finanziamenti dei soci alla società a responsabilità
limitata, cit., pp. 1077 e ss.; SIMEON, La postergazione dei finanziamenti dei soci nella
s.p.a., in Giur. Comm. 2007, pp. 78 e ss.; MAUGERI, Dalla struttura alla funzione della
disciplina sui finanziamenti soci, in Rivista di diritto commerciale, 2008, pp. 133 e ss;
TERRANOVA, Art. 2467. Finanziamenti dei soci, in Società di capitali. Commentario, a cura
di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, 3, Napoli, 2004, pp. 182 ss; PALAZZOLO, I
finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e coordinamento, cit., pp. 47 e ss.; BALP,
Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e
questioni interpretative, in Rivista delle società, 2007, pp. 344 e ss.; ABBADESSA, Il
problema dei prestiti dei soci nelle società di capitali: una proposta di soluzione, in
Giurisprudenza commerciale, 1998, pp. 497 e ss.
legislatore abbia disciplinato esplicitamente il fenomeno del finanziamento
dei soci solo con riferimento alle s.r.l. (2467 c.c.) e alla direzione e
coordinamento (2497-quinquies), mentre manca una esplicita previsione
normativa che riguardi i soci della società per azioni16.
La ratio di tale omissione sembrerebbe non casuale17: infatti la s.r.l.
costituirebbe un modello sostanzialmente diverso dalle S.p.A..18, in quanto,
mentre
nella
prima
prevarrebbe
il
carattere
personalistico
della
partecipazione in società, che si manifesta sia rispetto allo svolgimento del
rapporto societario e all’assetto degli organi societari, sia rispetto alla
maggiore trasparenza informativa a favore dei soci, nelle seconde, invece, la
partecipazione degli azionisti in società è spersonalizzata. Un dato
normativo che suffraga tale opinione è dato dall’art. 2476 c.c., il quale,
infatti, prevede che ai soci sia riconosciuta la possibilità di ispezionare i libri
sociali e ogni altro documento o atto concernente lo svolgimento
16 In questo senso si potrebbe ritenere che il silenzio della riforma non consente
un’estensione analogica. Si ricorrerebbe in tal senso ad un’argomentazione a contrario, per
cui le norme non potrebbero essere applicate a fattispecie non espressamente previste dal
legislatore. Tuttavia, il fenomeno della sottocapitalizzazione presenta le stesse
caratteristiche e problematiche, indipendentemente dal tipo societario considerato. In realtà
sarebbe opportuno contrarsi sulla ratio della scelta operata con la riforma, diretta a dettare
un’apposita disciplina, allo stesso tempo, sia per le s.r.l. sia per l’ipotesi contemplata della
soggezione a direzione unitaria. In entrambi i casi si può notare come la partecipazione alla
società diviene, in un certo senso, personalizzata. In tali ipotesi, infatti, i soci partecipano
attivamente alla gestione della società, contribuendo alla elaborazione delle strategie.
PRESTI, Commento all’art. 2467, in il nuovo diritto societario, in Codice commentato delle
s.r.l., diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, p. 100; BARTALENA, I finanziamenti dei
soci nella s.r.l., in Analisi giuridica dell’economia, 2003, p. 388.
17 Soprattutto considerando che tali norme siano state previste nell’ambito di una
riforma complessiva del diritto societario.
18 In questo senso POSTIGLIONE, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di
s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, cit., p. 931. L’autrice sottolinea come il
carattere personalistico della partecipazione nelle s.r.l., la fisiologica sottocapitalizzazione
del suo patrimonio e la possibilità di conferire in società prestazioni d’opera sottolineano la
profonda diversità tipologica intercorrente tra s.r.l. e s.p.a.. Appare, infatti, evidente la
volontà del legislatore di costituire un tipo sociale nuovo rispetto sia alle società per azioni,
sia rispetto alle società di persone, in tal senso si spiega la scomparsa la vecchia
qualificazione di s.r.l. come società per azioni senza azioni. Sembra piuttosto che il
legislatore abbia voluto delineare la società a responsabilità limitata come una sorta di
dell’attività d’impresa. In virtù di tale previsione, risulterebbe evidente che i
soci della s.r.l. siano messi nella condizione di conoscere in maniera
sicuramente più adeguata e approfondita la situazione patrimoniale
dell’impresa rispetto ai soci di una S.p.A., i quali, anzi, molto spesso
tralasciano di informarsi19. In particolare, emergerebbe dai dati normativi,
come sottolineato da autorevole dottrina20, che proprio la struttura
prevalentemente personalistica del rapporto sociale rappresenta la migliore
garanzia, per i soci finanziatori, di restituzione del prestito erogato alla
società. A tale conclusione non si può pervenire con riferimento alla società
per azioni: infatti, in questo caso si assiste ad una spersonalizzazione del
rapporto tra soci e società, ed in ragione di tale iato non si permette
un’immediata percezione dei vantaggi aggiuntivi connessi alla loro qualità
di soci. Risulta perciò più arduo un loro sfruttamento a danno dei terzi
estranei alla compagine sociale. Proprio la distanza tra il socio e la società,
tipica delle S.p.A., non permette di considerare simili le due situazioni,
rendendo impossibile un’estensione della disciplina oggetto di analisi.
Tale osservazione è utile altresì a spiegare la logica sottostante
all’applicazione del disposto dell’art. 2467 al fenomeno della direzione e
coordinamento. Infatti, le considerazioni sopra svolte rispetto ai benefici
connessi alla posizione di socio finanziatore rispetto alla società finanziata
riprendono vigore laddove il problema dei prestiti dei soci venga calato in
“società di persone a responsabilità limitata”. Alla luce di ciò si spiega il diverso
trattamento riservato, ai due tipi societari, nella materia oggetto di analisi.
19 Un altro dato normativo viene individuato, da POSTIGLIONE, La nuova
disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, cit., p.
931, nell’art. 2483 c.c. che prevede la responsabilità in solido con la società, degli
investitori professionali che hanno sottoscritto titoli di debito, nel caso in cui tali titoli siano
stati, poi, trasferiti a terzi. La norma prevede altresì l’esonero da tale responsabilità solidale
nel caso di cessione ad un altro investitore professionale o ad un socio. La ratio della norma
è chiara: se da un lato gli investitori professionali hanno infatti conoscenze tecniche
adeguate per valutare il rischio, dall’altro i soci partecipano al rischio d’impresa, ed inoltre
sono dotati di numerosi strumenti idonei ad acquisire ogni informazione utile per valutare il
rischio patrimoniale, derivante da titoli di debito. Analoga previsione non si riscontra nelle
S.p.A.
una realtà come quella descritta dagli artt. 2497 e ss., caratterizzata dal
controllo esercitato da un ente capogruppo sull’impresa beneficiaria del
credito, che sia in grado di far valere in maniera efficace le proprie ragioni
economiche o quelle di gruppo. Si ripropone, infatti in questo caso, un forte
legame tra società e socio che impone, come nel caso delle s.r.l., una diversa
attenzione del legislatore rispetto al problema della tutela dei terzi creditori
rispetto alla fattispecie dei finanziamenti prestati dai membri della
compagine sociale.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che il legislatore abbia
dettato un principio generale applicabile anche al di fuori delle s.r.l. e del
fenomeno della direzione e coordinamento21. Le ragioni a sostegno di tale
opinione muovono essenzialmente dal carattere generale del problema della
sottocapitalizzazione, che riguarda non solo le s.r.l., ma in generale tutte le
società.
In realtà, secondo questa dottrina, il legislatore nel formulare la
normativa sul finanziamento del socio avrebbe preso in considerazione non
solo il tipo di società, ma avrebbe impostato la soluzione del problema
interessandosi al soggetto che compie il finanziamento. Infatti, quello che al
legislatore interessa è la posizione del soggetto erogatore del prestito, il
quale risulta essere inserito in una struttura organizzativa, all’interno della
quale ha a sua disposizione poteri e strumenti che gli consentono sia un
coinvolgimento diretto nello svolgimento dell’attività d’impresa, sia la
possibilità di ottenere, in maniera privilegiata, informazioni riguardanti la
20 TERRANOVA, Art. 2467. Finanziamenti dei soci, cit., pp. 182 ss.
21 In questo senso PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e
coordinamento, cit., pp. 47 e ss., che nel suo lavoro parte proprio dal presupposto che la
disciplina del 2467 sia applicabile anche al di là dei finanziamenti dei soci nelle s.r.l. o
all’interno del fenomeno della direzione e coordinamento; CAMPOBASSO, Finanziamento
del socio, in Banca borsa e titoli di credito, 2008, pp. 441 e ss.; BALP, Finanziamenti dei
soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni
interpretative, cit., pp. 344 e ss; VASSALLI, Sottocapitalizzazione della società e
situazione finanziaria della società. Tale situazione può verificarsi in
concreto anche rispetto ai soci di una S.p.A., specialmente se “chiusa”22 o a
base azionaria ristretta. In questo caso, sussisterebbe, sia la presenza di
importanti poteri di controllo e gestione in capo ai soci, sia la possibilità
concreta di godere di informazioni sulla situazione finanziaria della
società23: risulterebbe, dunque, contraddittorio garantire tutele diverse a
fronte di criticità equivalenti. Tale opinione è stata recentemente seguita
dalla giurisprudenza di merito24, la quale afferma che l’art. 2467 c.c.
“esprime una regola valevole in ogni caso in cui il prestito anomalo sia
effettuato dal socio c.d. imprenditoriale, il quale a prescindere dal tipo
sociale in concreto adottato, non operi come mero investitore, ma sia in
grado di influenzare la decisione del finanziamento”.
Un’ulteriore argomentazione a sostegno di tale ricostruzione è data
dalla circostanza che, avendo previsto l’estensione dell’applicazione
dell’art. 2467 c.c. al fenomeno della direzione e coordinamento (ex 2497quinquies), potrebbe accadere che la società beneficiaria del finanziamento
sia una S.p.A. parte del perimetro della direzione e coordinamento e quindi
la stessa sarebbe soggetta all’applicazione dell’art. 2467 c.c. Se ne deduce,
pertanto, che la norma potrebbe risultare idonea a regolare il fenomeno del
finanziamenti dei soci, in Riv. Dir. Imp., 2004, p. 261; MAUGERI, Dalla struttura alla
funzione della disciplina sui finanziamenti soci, cit., pp. 133 e ss.
22 Infatti i modelli ideali, che concepivano la s.r.l. come tipo societario adatto per
le imprese medio - piccole e la s.p.a. per quelle medio-grandi, non sono alternative
vincolanti. È infatti possibile costruire la s.r.l. di rilevanti dimensioni per l’esercizio di una
attività d’impresa economicamente e finanziariamente ragguardevole.
23 Si sottolinea (vedi SIMEON, La postergazione dei finanziamenti dei soci nella
s.p.a., cit., pp. 78 e ss.) come la S.p.A. sia in grado di avvicinarsi al modello personalistico
delle s.r.l.. A tale risultato si perviene in quanto si possono sfruttare i margini di
derogabilità che ne caratterizzano la disciplina legale. Pertanto, ben si potranno avere
fenomeni societari, che pur rivestendo la forma di una S.p.A., in concreto riproducano nei
rapporti interni le medesime dinamiche che sono tipici delle s.r.l. Questa ipotesi si riferisce
proprio alle S.p.A. chiuse, che non hanno una disciplina a sé stante: queste si caratterizzano
per una ristretta base azionaria , limiti alla circolazione delle azioni, e, da una compagine
sociale ristretta.
24 Cfr. Tirb. Pistoia 8 settembre 2008, in Le società, 2009, p. 1515.
finanziamento dei soci con riferimento ad ogni tipo di società, a condizione
che sia parte del gruppo. Infatti, un trattamento differente rispetto a
necessità di garanzia analoghe non sarebbe giustificabile.
Infine, va segnalato che a parere di alcuni autorevoli Autori, sarebbe
opportuno interrogarsi sull’estensibilità della normativa alle società di
persone25: infatti, anche in relazione a tali fattispecie, oltre al presupposto
soggettivo di cui prima si è parlato, si può ipotizzare il sopraggiungere di
uno squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto, integrando, in tal modo,
i requisiti dell'art. 2467 c.c.26. I creditori d’altronde avrebbero interesse alla
postergazione anche nel caso in cui il finanziamento sia posto in essere da
un socio illimitatamente responsabile27. Infatti questi, più facilmente,
riuscirebbero ad essere soddisfatti direttamente dal fallimento della società,
senza quindi dover passare per il fallimento del socio, correndo il rischio di
concorrere con i creditori particolari di questo.
In realtà, nel caso di società di persone, la responsabilità illimitata
dei soci costituisce di per sé uno strumento idoneo a conseguire una piena
tutela dei creditori terzi, rispetto al fenomeno dei finanziamenti dei soci.
Infatti, in tal caso il socio finanziatore non potrà utilizzare lo schermo della
personalità giuridica per tutelare i propri interessi e ottenere la restituzione
del finanziamento a danno dei creditori, ma sarà esso stesso coinvolto
nell’eventuale procedura concorsuale, con la conseguenza che il suo
patrimonio personale sarà aggredibile dai creditori.
25 Vedi in senso MAUGERI Dalla struttura alla funzione della disciplina sui
finanziamenti soci, cit., pp. 133 e ss.
26 Sulla disciplina del capitale nelle società di persone: DI SABATO, Capitale e
responsabilità interna nelle società di persone, Napoli, 1967, WEIGMANN, Capitale, utili e
riserve nelle società di persone, in Giur. Comm., 1986, p. 53; SPOLIDORO, Sul capitale nelle
società di persone, in Rivista delle società, 2001, p. 790.
27 Proprio sulla base di queste considerazioni l’ordinamento spagnolo prevede che
la postergazione legale colpisca anche i prestiti dei soci illimitatamente responsabili (art. 92
della Ley Concorsual), tale sanzione colpisce anche i prestiti dei soggetti che si trovano in
una speciale relazione giuridica con la società debitrice (es. amministratori, liquidatori), in
quanto titolari di una posizione di influenzare sulla gestione.
Alla luce di ciò, si può sostenere l’applicabilità della disciplina nel
caso in cui i presupposti si verifichino con riferimento ai soci accomandanti
di una Società in accomandita semplice, in quanto questi possono
beneficiare della limitazione di responsabilità28.
5. Presupposti applicativi: eccessivo squilibrio e ragionevolezza
del conferimento.
Una
volta
qualificato
quindi,
l’apporto
del
socio
come
finanziamento, occorre verificare se tale erogazione sia avvenuta in costanza
dei presupposti richiesti dalla norma.
A tal proposito, il primo dato che emerge dalla lettura della
disposizione è che il legislatore ha fatto specifico riferimento alla
“situazione finanziaria” della società, evidenziando, quindi, la finalità di
tutelare i creditori sociali, la cui maggiore fonte di sicurezza è data
dall’equilibrio finanziario della società, dal quale essenzialmente dipende la
sua solvibilità: infatti, la capitalizzazione della società non è di per sé
sintomo di affidabilità29.
L’art. 2467, II comma, c.c., infatti, stabilisce che la postergazione e
l’obbligo di restituzione dei finanziamenti si applica solamente a quelli
concessi “in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività
esercitata dalla società, risulti un eccessivo squilibrio dell'indebitamento
28 Nella società in accomandita semplice si possono individuare due categorie di
soci: i soci accomandanti e i soci accomandatari. I primi rispondono limitatamente alla
quota conferita, a patto di non partecipare alla gestione della società. I secondi invece
rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali. Solo a questi può
essere attribuita l’amministrazione e la rappresentanza della società. VISENTINI, Principi di
diritto commerciale.,cit., p. 183.
29 In tal senso PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e
coordinamento, cit., pp. 77 e ss.; CAMPOBASSO, I finanziamenti dei soci, cit., p. 107.
rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della
società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
Per quanto riguarda la prima condizione, il legislatore ha deciso di
non scegliere un criterio standard, rispetto ai requisiti economici cui
subordinare l’applicazione della disciplina, non menzionando alcun
parametro certo che consenta all’interprete di definire, in concreto, quando
lo squilibrio risulti eccessivo. D’altra parte, anche se è vero che gli
aziendalisti segnalano la presenza di particolari valori ottimali nel rapporto
tra debiti e patrimonio netto, tuttavia, questi non assurgono ad indizi validi
in assoluto, che permettano con certezza di distinguere le situazioni
economiche virtuose30. In particolare, la Relazione al d.lgs., 17 gennaio
2003, n. 6 invita l’interprete ad adottare un criterio di ragionevolezza, che
tenga conto della situazione della società e che si confronti con i
comportamenti che nel mercato sarebbe ragionevole attendersi31. In tal
modo, il legislatore evita di assoggettare alla postergazione indistintamente
tutti i finanziamenti dei soci verso la società, ma allo stesso tempo consente
di colpire solamente quelli concessi in presenza di una situazione di
anormalità e che, come tali, sono stati erogati in violazione dei principi di
corretto finanziamento32.
Nonostante ciò, è interessante notare come alcuni indici di natura
normativa, che possano assistere l’interprete nel suo tortuoso percorso di
indagine, siano presenti nel nostro ordinamento, segnatamente:
30 Cfr. BREALEY, MYERS, Principi di finanza aziendale, Milano, 1993, pp. 413 e
ss.; Belcredi, Le implicazioni delle scelte di finanziamento per i comportamenti
manageriali, in Manuale di finanza aziendale, CATTANEO ( a cura di), pag. 593; FERRI JR;
Investimento e conferimento, Milano, 2001, pp. 25 e ss.
31 V. la relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 2003.
32 PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e coordinamento,
cit., pp. 77 e ss.
L’art. 2, comma I, d.lgs., 8 luglio 1999, n. 270, che assoggetta ad
amministrazione straordinaria le imprese che presentano debiti non
inferiori ai due terzi, sia del totale dell’attivo dello stato
patrimoniale, sia dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle
prestazioni dell’ultimo esercizio.
L’art. 2412 c.c., che prevede che si possano emettere obbligazioni
per un valore che non ecceda il doppio del valore dato dalla somma
del capitale, della riserva legale e delle riserve disponibili,
dell’ultimo bilancio.
.
Va però evidenziato ulteriormente che, dal tenore dell’art. 2467 c.c.
sembra che il legislatore abbia voluto dettare un parametro molto elastico, e
che quindi i giudici ben potranno ritenere che la società non manifesti uno
squilibrio finanziario pur in presenza del rapporto delineato dall’art. 2412
c.c. Infatti, la giurisprudenza potrà richiamarsi ai diversi indici elaborati
dalla dottrina aziendalistica, anche se nessuno di loro può da solo
rappresentare uno strumento valido in assoluto per giudicare il profilo
finanziario di una società.
Il legislatore, poi, nel II comma dell’art. 2467 c.c., oltre alla
condizione di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto,
richiede per l’applicabilità della postergazione, il verificarsi di un’ulteriore
circostanza, ossia che, nel momento in cui è stato concesso il prestito del
socio, sarebbe stato più ragionevole effettuare un conferimento. I due criteri,
ad una prima lettura potrebbero essere interpretati come due presupposti
autonomi33, tuttavia, un’analisi più approfondita ci dimostra il contrario.
33 Cfr. PORTALE, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 681,
sostiene l’autonomia dei due criteri, infatti il riferimento alla ragionevolezza del
conferimento è volto a coprire, come criterio residuale, tutte le ipotesi in cui la società sia in
difficoltà per ragioni diverse dall’eccessivo indebitamento, come nel caso in cui non
disponga di adeguata liquidità.
Finanziariamente la scelta ottima di finanziamento, deve rispettare la
condizione ROI ≥ WACC34, ossia bisogna preferire l’opzione che riduca al
minimo il costo medio ponderato del capitale e, allo stesso tempo,
massimizzi i ritorni finanziari dell’impresa35. Tuttavia, la situazione è
certamente più complicata di come appare. Infatti, quanto più l’impresa
s’indebita, tanto maggiore sarà, da un lato il rischio che i costi, aumentati in
ragione della maggiore quantità di debiti in scadenza, erodano i ricavi
ottenuti, dall’altro il pericolo che si innesti una crisi finanziaria, che travolga
le sorti dell’impresa.
In sostanza, all’impresa conviene proseguire con una politica di
indebitamento sino a quando il beneficio fiscale legato al debito venga
compensato dai costi accessori che un eccessivo indebitamento comporta.
Tuttavia, come detto, non è possibile determinare in maniera certa il
valore ottimale di indebitamento di un’impresa. In quanto, una sua effettiva
determinazione presuppone che si sia in grado di prevedere, ex ante, gli
effetti di un investimento e che sia possibile di quantificare con altrettanta
esattezza gli effetti negativi causati da una politica di eccessivo
indebitamento.
34 Il ROI, acronimo di return on investment, è l’indice di redditività del capitale
investito ed è dato dalla formula: reddito operativo/capitale investito. Il WACC, acronimo
di weighted average capital cost, non è nient’altro che la media ponderata tra il costo del
capitale proprio e il costo del capitale di debito. Pertanto, il WACC è il tasso minimo di
rendimento che un’impresa deve generare per remunerare i creditori, gli azionisti e gli altri
soggetti che apportano capitale. Questo è espresso dalla formula: Rd (1-T)D/E + Re E/V.
Rd corrisponde al costo del debito dell’impresa, T è uguale all’aliquota d’imposta cui è
soggetta l’impresa, D corrisponde al valore di mercato del debito dell’impresa, E esprime il
valore di mercato del capitale azionario, V è dato dalla somma di D+E e corrisponde al
valore di mercato del capitale investito, Re equivale al costo della remunerazione del
capitale azionario. In sostanza la formula postula che l’impresa si trova nella condizione
ottimale se i risultati dei suoi investimenti sono maggiori dei costi periodicamente sostenuti
dall’impresa per remunerare gli investitori.
35 Si richiede in sostanza che il rapporto tra reddito operativo e capitale investito
sia maggiore del costo medio ponderato del capitale. Secondo la dottrina aziendalistica è
necessario che i proventi degli investimenti realizzati dall’impresa producano flussi di cassa
maggiori dei costi sostenuti dall’impresa per finanziare la propria attività. FONTANA,
CAROLI (a cura di), Economia e Gestione delle Imprese, cit., pp. 377 e ss.
A seguito del ragionamento sin qui condotto, si può cercare di
trovare una soluzione di equilibrio affermando che non si potranno ritenere
ragionevoli quelle opzioni finanziarie che compromettano la sopravvivenza
dell’impresa stessa. Non sarà, pertanto, ragionevole chiedere un
finanziamento quando non vi sono adeguate probabilità di poterlo
rimborsare. Per contro, laddove tale pericolo non sussista, né al giudice, né
tantomeno l’interprete, potranno sindacare le scelte finanziarie della società,
rientrando queste nella discrezionalità degli amministratori.
In conclusione, si può ragionevolmente ritenere che il criterio
finanziario dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto alla
consistenza del patrimonio netto e quello della ragionevolezza del
conferimento, di fatto descrivano ma medesima situazione 36. In particolare,
entrambi si sostanziano nella circostanza che al momento dell’erogazione
del finanziamento non sussistano adeguate garanzie finanziarie della società
che facciano presumere una ragionevole possibilità di rimborso dello stesso.
6. L’operatività della postergazione
La nozione di postergazione e la sua operatività nell’ambito della
disciplina dell’art. 2467 c.c. hanno sollevato alcune questioni interpretative.
Secondo un orientamento dottrinale, che si ispira all’esperienza
tedesca, l’art. 2467 implica una riqualificazione dei finanziamenti “anomali”
36 Si pronunciano a favore dell’unicità del presupposto della postergazione:
IRRERA, La nuova disciplina dei prestiti dei soci alla società, in La riforma delle società, a
cura di Ambrosini, Torino, 2003, p. 139; TANTINI, I versamenti dei soci alla società, in
Trattato Colombo Portale, p. 781.; PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di
direzione e coordinamento, cit., pp. 77 e ss.; CAMPOBASSO, I finanziamenti dei soci, cit., p.
104.
in capitale di rischio37. La ragione di tale impostazione, risiederebbe nel
fatto che anche in Germania la norma cui l’art. 2467 c.c. si ispira, ovvero il
§ 39, n. 5, InsolvenzOrdnung, pur non parlando espressamente di
riqualificazione, fa riferimento a «crediti postergati». Secondo questa
ricostruzione, la postergazione rappresenterebbe uno strumento che,
attraverso la riqualificazione dei prestiti in apporti a titolo di capitale di
rischio, consente ai soci creditori di partecipare alla ripartizione di un
eventuale residuo attivo, ma che in ogni caso garantisce in primis una tutela
per i terzi. Seguendo l’impostazione di questi Autori, l’interpretazione
fornita dalla dottrina e giurisprudenza tedesca costituirebbe un importante
indice ermeneutico, di cui sarebbe doveroso tener conto nell’interpretare la
norma.
Secondo un diverso orientamento, invece, con il termine
“postergazione” il legislatore nazionale si sarebbe voluto discostare da
qualsiasi ipotesi di riqualificazione del credito in capitale di rischio38.
Infatti, l’art. 2467 non farebbe altro che porre il socio finanziatore in
una posizione di creditore post-chirografario. Gli Autori che aderiscono a
quest’opinione giungono a tale conclusione proprio partendo dal dato
letterale. Sembra, infatti, che l’art. 2467 c.c., diversamente da quanto si
37 Cfr. PORTALE, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 681.
Sostengono la tesi della riqualificazione del prestito in conferimento anche NIGRO, Diritto
societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian
Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 1, Torino, 2007, p. 195; GUIZZI,
Partecipazioni qualificate e gruppi di società, in A.A. V.V., Diritto delle società di
capitali, Milano, 2003, p. 259; GALGANO-GENGHINI, Il nuovo diritto societario. Le nuove
società di capitali e cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, diretto da Galgano, Padova, 2006, pp. 814 e ss.; IRACE, Art. 2467.
Finanziamenti nell’attività di direzione e coordinamento, in La riforma delle società, a cura
di Sandulli e Santoro, 3, Torino, 2003, p. 342.
38 CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto
commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2007, pp. 103 e ss.; Associazione Disiano Preite,
Il diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti e Vella, 2006, pp. 263 e ss.; PRESTI, Art.
2467. Finanziamenti dei soci, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da P. Benazzo e S.
Patriarca, Torino, 2006, pp. 102 e ss.; CAMPOBASSO, Finanziamento del socio, cit., pp. 441
e ss.; VASSALLI, Sottocapitalizzazione della società e finanziamenti dei soci, cit., p. 261.
prospettava anteriormente alla riforma, non intenda riqualificare l’apporto
del socio, ma semplicemente sia diretto a tutelare i creditori terzi
subordinando la restituzione del finanziamento al socio, alla previa
soddisfazione degli stessi. In tal modo non si incide sulla qualificazione
dell’apporto del socio, in quanto questo vedrà soddisfatto il suo credito
prima della ripartizione dell’attivo rimanente tra i vari soci. Pertanto, il
finanziamento del socio rimane pur sempre un finanziamento anche se la
sua restituzione è subordinata al soddisfacimento degli altri creditori. Il
meccanismo, pertanto, è simile a quello delineato dal legislatore in tema di
obbligazioni postergate. Sulla base di queste considerazioni, si ritiene in
genere che la postergazione operi come deroga alla regola della par
condicio creditorum. In particolare, si inciderebbe sulla graduazione dei
creditori comportando per l’appunto, la degradazione del socio creditore al
rango di «sub-chirografario».
Una seconda questione è quella che concerne la definizione
dell’operatività dell’istituto delineato dall’art. 2467 c.c. Questa riveste
un’importanza centrale per l’interprete: infatti, la portata della disciplina
risulta ben diversa a seconda che alla postergazione si riconosca una valenza
applicativa strettamente concorsuale, oppure venga estesa anche alla società
ancora in funzionamento.
Con riferimento a questo profilo, parte della dottrina, considerato
che, secondo il dato letterale, la postergazione non sembrerebbe subordinata
all’apertura di una procedura concorsuale, ritiene che l’art. 2467 c.c. vada
applicato anche al di là delle ipotesi delle procedure concorsuali, con la
precisazione, però, il diritto del socio alla restituzione del finanziamento sia
reso inoperante solo al ricorrere di date circostanze39.
39V. sul tema ex multis PRESTI, Art. 2467. Finanziamenti dei soci, cit., pp. 102 e
ss.; SCANO, I finanziamenti dei soci nella s.r.l. e l’articolo 2467 c.c., in Riv. Dir. Comm.,
2004, p. 879; VASSALLI, Sottocapitalizzazione della società e finanziamenti dei soci, cit., p.
Secondo altri Autori40, invece, il fatto che il legislatore abbia omesso
di precisare che la postergazione opera solamente nell’ipotesi di una
procedura concorsuale, non legittima un’estensione dell’applicazione
dell’istituto in esame anche durante la vita della società. Secondo tale linea
interpretativa, la nozione di postergazione deve essere interpretata nel senso
di graduazione, che, in quanto tale, opera in un contesto di concorso, con la
necessità di soddisfare sulla base dell’ordine di preferenza accordato dalla
legge, che consideri le legittime cause di prelazione. Infatti, la postergazione
può spiegare pienamente i suoi effetti solo all’interno di una procedura
concorsuale, subordinando, come previsto dal I comma dell’art. 2467 c.c., il
soddisfacimento del credito postergato a quello integrale di tutti gli altri
creditori.
I fautori della tesi della valenza applicativa strettamente concorsuale
della postergazione sostengono che la norma non sembra, in ogni caso,
stabilire un divieto assoluto di rimborsabilità, ma che anzi la stessa sembra
presupporla, altrimenti non si spiegherebbe l’eventuale revoca del rimborso,
se avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento41. Infatti,
sembrerebbe che la revocabilità del rimborso esprima la volontà del
261; PALAZZOLO, I finanziamenti dei soci nell’attività di direzione e coordinamento, cit.,
pp. 77 e ss.; CAMPOBASSO, I finanziamenti dei soci, cit., p. 104.
40 MANDRIOLI, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, in Le
società, 2006, pp. 174 e ss; RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto
societario in tema di società a responsabilità limitata, Relazione al convegno di
Courmayeur, Diritto societario: dai progetti alla riforma, del 27 e 28 settembre 2002,
Milano, 2003, pag. 245 e ss.; FAZZUTTI, Finanziamenti dei soci, in La riforma delle società,
a cura di Sandulli – Santoro, Torino, 2003, p. 49; DE ANGELIS, Dal capitale leggero al
capitale sottile: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Le Società, 2002, p. 1457.
41 Cfr. LO CASCIO, La riforma della società a responsabilità limitata e le
procedure concorsuali, in Il fallimento, 2005, p. 237. A questa conclusione perviene anche
FERRI JR, In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, p. 975 e ss,
argomentando che un divieto di rimborso del finanziamento potrebbe affermarsi solo
negando l’esistenza di un corrispondente diritto del socio nei confronti della società.
Dall’inefficacia del rimborso del finanziamento eseguito entro l’anno dal fallimento,
l’autore ricava, con l’art. 67 l. fall., l’esigibilità del credito del socio, concludendo che il
relativo pagamento non solo non risulta vietato, ma, in base ai principi generali, deve
ritenersi per gli amministratori addirittura doveroso.
legislatore di sanzionare gli atti dispositivi del patrimonio a beneficio dei
soci finanziatori eseguiti nell’imminenza del fallimento.
Altra parte della dottrina, invece, sostiene che la disposizione
dell’art. 2467 c.c. operi anche durante la vita della società, muovendo dalla
considerazione che il mancato collegamento della postergazione con il
fallimento abbia proprio il senso di non consentire la restituzione al socio
finanziatore qualora la situazione finanziaria non la permetta, a causa del
pregiudizio agli altri creditori che potrebbe derivarne. Ciò premesso, si
sostiene che una corretta lettura sistematica della disposizione impone la
necessaria
prevalenza
della
tutela
degli
interessi
dei
creditori,
indipendentemente dal fallimento. Perciò, la possibilità di soddisfare gli altri
creditori, data la situazione finanziaria al momento in cui il socio chiede la
restituzione del prestito, deve intendersi quale condizione sospensiva del
diritto al rimborso, idonea a produrre l’effetto di prorogare la scadenza del
finanziamento sino al momento del suo verificarsi e a replicare, in tal modo,
all’esigibilità del credito del socio, la quale deve reputarsi sospesa sino alla
soddisfazione dei creditori42. Ne consegue che al rimborso si debba
provvedere laddove, alla scadenza del finanziamento postergato, la
situazione finanziaria della società si presenti tale da far ritenere di poter
soddisfare le altre posizioni creditorie. Anzi, per i debiti scaduti e non
pagati, il socio finanziatore ben potrebbe proporre un’azione esecutiva
contrattuale, onde ottenerne il rimborso43.
L’eventuale superamento della crisi induce a ritenere sussistente la
possibilità di soddisfare tutti i creditori, in ragione della normale
42Cfr. SANGIOVANNI, I finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, in Il fallimento,
2007, p. 1396; BALP, Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio:
ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, cit., pp. 344 e ss.; CAMPOBASSO, I
finanziamenti dei soci, cit., p. 158.
43V. in tal senso TERRANOVA, Art. 2467. Finanziamenti dei soci, cit., pp. 182 ss.;
PRESTI, Art. 2467. Finanziamenti dei soci, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da P.
prosecuzione della società. In tale contesto, dunque, la postergazione non
avrebbe pertanto carattere definitivo, e la sua efficacia nella società in bonis
è limitata al periodo di sussistenza della crisi.
A conclusione di questa breve analisi si può ritenere che la tesi
dell’efficacia della postergazione anche durante la vita della società
consente di meglio individuare un punto di equilibrio ragionevole tra la
necessaria tutela dei creditori sociali e il diritto del socio alla restituzione di
quanto versato.
7. Il finanziamento dei soci e le procedure concorsuali
7.1. La sorte dei finanziamenti anomali nel fallimento
La funzione principale del fallimento, disciplinato dal r.d. 16 marzo
1942, n. 267 e successive modifiche, è, semplificando, quella di liquidare il
patrimonio dell'imprenditore insolvente, al fine di distribuire il ricavato tra i
creditori secondo il criterio della par condicio, fatte salve le cause legittime
di prelazione. In questo contesto occorre verificare come la postergazione
del rimborso dei crediti dei soci si ponga all’interno della procedura
fallimentare e come incida sulla graduazione delle pretese restitutorie44.
Come noto, il destinatario delle disposizioni sul fallimento viene
individuato nell’imprenditore commerciale privato (art. 1, comma I, l. fall.) .
A questo è, tuttavia, consentito evitare il fallimento dimostrando il possesso
Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, pp.102 ss; MAUGERI, Dalla struttura alla funzione
della disciplina sui finanziamenti soci, cit., pp. 133 e ss.
44 TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, p. 11;
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2008, pp. 21 e ss.; NOTARI, Ambito di
applicazione delle discipline delle crisi, in AA. VV., Diritto fallimentare. Manuale breve,
Milano 2007, p. 97; CAPO, I presupposti del fallimento, in Fallimento e altre procedure
concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, pp. 5 e ss.
congiunto di tre requisisti:
a)
Aver raggiunto, nei tre esercizi precedenti alla data di deposito
dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se più recente, un
attivo patrimoniale annuo non superiore a 300.000€;
b)
Aver realizzato nello stesso periodo, ricavi lordi, in qualunque modo
risultanti, per un ammontare complessivo annuo non superiore a
200.000€;
c)
Essere esposto a debiti anche non scaduti di ammontare non
superiore a 500.000€.
Affinché un’impresa possa fallire, si richiede, ai sensi dell’art. 1,
comma I, lett. C, l. fall., che questa presenti debiti non scaduti per un valore
non superiore a 500.000€, compresi anche quelli nei confronti dei soci
finanziatori che, parimenti agli altri, sono rappresentativi della situazione
patologica in cui versano le finanze dell’impresa, e che in quanto tale
costituisce l’anticamera necessaria del fallimento. In più, si nota come la
normativa menzioni i debiti non scaduti, dimostrando come l’attenzione
dell’interprete
debba
concentrarsi
solamente
sulla
valutazione
dell’ammontare della mole di debiti di cui l’impresa è afflitta. Infatti, tale
valore risulta sintomatico di una situazione di sofferenza finanziaria che, in
quanto tale, deve essere valutata indipendentemente dalla qualità del
creditore.
Ben potrebbe, infatti accadere che la situazione finanziaria di una
s.r.l. indebitata si aggravi al punto tale che venga dichiarato il fallimento
della stessa. La società viene dichiarata fallita in presenza di uno stato di
uno stato d’insolvenza che, ex art. 5, II comma, l. fall., si manifesta con
inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è
più nelle condizioni di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
L’art 15, comma IX, pone, inoltre, quale condizione affinché si possa
pronunciare la sentenza di fallimento, che l’ammontare dei debiti scaduti e
non pagati, risultanti dagli atti dell’istruttoria pre-fallimentare, non sia
inferiore a 30.000€ . A tale proposito ci si potrebbe chiedere se nel novero
dei debiti rilevanti ai sensi della suddetta disposizione vi siano anche quelli
scaduti nei confronti dei soci. Per risolvere il quesito occorre tener conto
dell’operatività della postergazione e degli effetti che questa realizza nei
confronti dei prestiti dei soci, laddove questi siano stati erogati in costanza
dei presupposti delineati dall’art. 2467, comma II, c.c.
Seguendo l’orientamento maggioritario, si giunge a ritenere che
l’operatività della postergazione comportasse l’impossibilità di restituire il
finanziamento del socio, durante la vita della società, laddove la situazione
finanziaria non lo avesse consentito. Più specificamente, si riteneva che la
possibilità di soddisfare i creditori terzi, vista la situazione finanziaria della
società, operasse quale condizione sospensiva del diritto al rimborso,
negando, quindi, in tal modo l’esigibilità del credito del socio. Alla luce di
queste argomentazioni, si può ritenere che, in presenza di una valutazione
concernente l’ammontare dei debiti scaduti ai fini di un’istruttoria prefallimentare, e quindi in una situazione di indiscutibile crisi finanziaria, i
crediti dei i crediti dei soci finanziatori verso la società stessa devono
considerarsi inesigibili. Pertanto, proseguendo su questa linea interpretativa
deve ritenere che la somma corrispondente ai finanziamenti dei soci,
ancorché scaduti, non sia rilevante ai fini dell’art. 15, comma IX, l. fall.,
stante l’inesigibilità, conseguente all’applicazione dell’art. 2467 c.c.
Esauriti questi interrogativi preliminari, al fine di verificare come
l’art. 2467 c.c. si coordini con le specificità della procedura concorsuale,
non ci si deve dimenticare che il socio finanziatore si pone rispetto alla
società, sia come creditore sia in qualità di membro della compagine
sociale45. In tal senso, il socio creditore dovrà essere necessariamente
considerato come un terzo creditore, per quanto riguarda il rapporto di
credito46.
A tal proposito, il socio che intende agire al fine di ottenere la
restituzione del finanziamento, dovrà come qualsiasi altro creditore deve
presentare una domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 93,
ovvero presentare una domanda di ammissione al passivo tardiva, ai sensi
degli artt. 101 e 70 l. fall., nel caso in cui il rimborso del prestito, eseguito
anteriormente al fallimento, sia stato oggetto di revoca.
In altri termini, in ragione delle argomentazioni sin qui svolte, al
socio finanziatore devono essere riconosciuti tutti gli strumenti di tutela
previsti dall’ordinamento a favore dei creditori terzi della società all’interno
della procedura fallimentare. Egli, pertanto, potrà per prima cosa, presentare
un’istanza di opposizione nei confronti del curatore, con la quale contesta il
mancato accoglimento, in tutto o in parte, della propria domanda (art. 98 l.
fall.); ovvero, potrà, ex art. 98, IV comma, l. fall., promuovere un’azione
45 SANGIOVANNI, I finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, cit., p. 1396; BALP,
Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e
questioni interpretative, cit., pp. 344 e ss.; MORAMARCO, La postergazione del
finanziamento dei soci nella società a responsabilità limitata ed il concordato preventivo,
in Dir. fall., 2007, p. 88; BOATTO, Finanziamenti – soci e finanziamenti – infragruppo nelle
procedure concorsuali, in Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e la
sistemazione delle crisi d’impresa, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2006, pp. 237 e
ss.; FERRI jr, In tema di postergazione legale, cit. 975 e ss. In questo senso: Trib. Udine, 21
febbraio 2009, in Fisco on line, 2009; Tribunale di Bologna, 26 gennaio 2006, in Il
fallimento, 2006, p. 67; Tribunale di Messina, 30 dicembre 2005, in Il fallimento, 2006, p.
678; Cass. civ., Sez. I, n. 2706, 4 febbraio 2009, in . In senso contrario si veda: Trib. 26
aprile 2010, in Il fallimento, 2010, p. 1472, nella quale si afferma che I titolari dei crediti di
cui all'art. 2467 codice civile (finanziamenti dei soci) non hanno diritto di voto nel
concordato in quanto la loro posizione, seppur astrattamente definibile come creditoria, è in
realtà caratterizzata dalla partecipazione al capitale di rischio, alla stregua dei titolari dei
conferimenti.
46
Pertanto, lo stesso dovrà essere inserito negli elenchi di cui all’art. 89 l. fall.
dello stato passivo che il curatore fallimentare è chiamato a redigere, nonché questi sarà
altresì certamente tra i destinatari dell’avviso ai creditori, previsto dall’art. 92 l. fall, inviato
dal curatore fallimentare, a seguito degli adempimenti previsti dall’art. 91 l. fall.
con la quale richiedere la revocazione dei provvedimenti di rigetto, ovvero
contestare, ai sensi del comma III dall’art. 98, l. fall.
La
peculiarità
dell’operatività
della
postergazione
viene
a
manifestarsi nell’ambito della liquidazione del patrimonio dell’impresa e
della successiva ripartizione dell’attivo rimanente. Infatti, qualora non vi
fosse il rimedio previsto dall’art. 2467 c.c., il socio finanziatore che abbia
precedentemente erogato un prestito in presenza di condizioni finanziarie
anomale, verrebbe a concorrere in posizione paritaria con gli altri creditori
della società. La postergazione, invece, fa sì che i soci creditori possano
beneficiare della restituzione del proprio finanziamento, solamente in un
momento successivo al soddisfacimento delle pretese dei creditori esterni
della
società.
In
altre
parole,
come
ribadito
di
recente
dalla
giurisprudenza47, si realizza la seguente gerarchia nella soddisfazione dei
crediti: 1) dapprima i creditori esterni alla società; 2) poi i soci per la
restituzione dei finanziamenti; 3) infine, i soci per il residuo.
Altre pronunce48, seppure nel particolare contesto del concordato
preventivo, hanno fissato il seguente ordine di soddisfazione dei creditori:a)
i crediti privilegiati e garantiti da pegno o ipoteca; b) i crediti chirografari
del ceto bancario; c) i crediti chirografari per titoli differenti dalla
precedente categoria; d) i crediti chirografari dei soci per i finanziamenti
alla società.
In ogni caso, va tenuto a mente che, laddove il finanziamento da
parte del socio sia posto in essere in condizioni normali, e non anomale,
verrebbero meno i presupposti che legittimano la postergazione. Pertanto, al
socio creditore si dovrà assicurare il medesimo trattamento riservato ai
creditori terzi.
47 Trib. Udine, 21 febbraio 2009, in Fisco on line, 2009, Trib. Messina, 30
dicembre 2005, in Dir. Fall., 2007, p. 77 che ha stabilito che l’art. 2467 c.c. impone la
postergazione delle ragioni creditorie dei quotisti e quelle degli altri creditori.
48 Trib. Bologna, 26 gennaio 2006, in Il fallimento, 2006, p 676.
7.2. Il sistema delle revocatorie fallimentari e l’obbligo di
restituzione: convivenza possibile o sovrapposizione.
Passando all’esame della compatibilità dell’obbligo di restituzione
del rimborso del finanziamento del socio, ex art. 2467 c.c., con le regole
concernenti le revocatorie fallimentari49, occorre ricordare che la norma in
questione stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della
s.r.l., se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della
società, deve essere restituito.
Pertanto, laddove il finanziamento fosse già stato oggetto di
restituzione, da parte della società al socio creditore, e quest’ultima si fosse
realizzata in un momento contiguo alla dichiarazione di fallimento
(specificamente nei 12 mesi precedenti), il legislatore considera tale
rimborso come effettuato in danno dei creditori sociali. Infatti, il rimborso
del credito vantato dal socio, intercorso poco prima la dichiarazione di
fallimento, potrebbe certamente rappresentare uno strumento attraverso il
quale si realizza uno sfruttamento da parte del socio della sua posizione
privilegiata, e quindi delle informazioni ad essa legate, in modo da sottrarre
risorse alla massa fallimentare, danneggiando in tal guisa i creditori sociali
terzi.
La logica di tale disposizione risiede proprio nella convinzione che i
soci di s.r.l., cioè una società generalmente con una compagine sociale
ristretta, in grado di accorgersi tempestivamente di un peggioramento della
situazione finanziaria, possano sfruttare la loro posizione privilegiata per
49 Il tema è stato oggetto di un’ampia analisi dottrinale si veda tra gli altri: I
finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, cit., p. 1396; PARRELLA, Finanziamenti dei soci
e postergazione del credito di restituzione: alcuni problemi interpretativi dell’art. 2467
c.c., in Dir. Giur., 2007, pp. 364 e ss; ESPOSITO, Il sistema delle reazioni revocatorie alla
restituzione dei finanziamenti postergati, in Le società, 2006, pp. 559 e ss.; BONFATTI,
Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti "ibridi" di capitale, cit., p. 311.
cercare di ottenere in via preferenziale la restituzione di quanto prestato, al
fine di evitare di concorrere con i terzi nella ripartizione del patrimonio
della società. Perciò, il legislatore, al fine di limitare le forme di abuso da
parte dei soci e tutelare i creditori sociali, pone, a fianco della postergazione
della restituzione del finanziamento anomalo da parte del socio, la
restituzione alla società del rimborso dei finanziamenti dei soci avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento.
Tale regola configura, nella pratica, un meccanismo molto simile a
quello delineato dagli artt. 64 ss. l. fall. Tuttavia, i diversi strumenti previsti
dalla normativa fallimentare e dalla normativa del codice civile sembrano
poter convivere, realizzando, anzi, un completamento armonico del quadro
di tutela per disciplinare i rimborsi patologici dei finanziamenti dei soci.
In particolare, per invocare l’applicazione della disposizione del
codice civile sarà necessario che il curatore fallimentare dimostri, da un lato,
la natura postergata del finanziamento data la situazione in cui versava la
società al momento dell’erogazione dello stesso e, dall’altro, che i soci
abbiano beneficiato della restituzione nell’anno anteriore al fallimento.
7.2.1. Coordinamento con l’art. 64 della legge fallimentare
La fattispecie delineata dall’art. 64 l. fall. sancisce l’inefficacia
automatica dell’atto a titolo gratuito posto in essere dal debitore50, qualora
sia posto in essere nei due anni anteriori la dichiarazione di fallimento. La
logica sottostante a tale previsione normativa è che il debitore, ponendo in
50 «Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni
anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d'uso e gli
atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la
liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante». D’ARRIGO, Atti a titolo gratuito e
pagamento di debiti scaduti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da
Fauceglia – Panzani, Torino, 2009, pp. 543 e ss.
essere un atto che non trova alcuna giustificazione in rapporti sinallagmatici,
aggravi la già difficile situazione finanziaria in cui versa.
Nonostante la sanzione sia identica a quella prevista dall’art. 2467
c.c., ossia l’inefficacia automatica dell’atto, tuttavia, si può agevolmente
notare che la ratio delle disposizioni sia molto differente. Infatti, mentre con
la revocatoria delineata dall’art. 64 l. fall. si intendono colpire gli atti a titolo
gratuito, che in un contesto di crisi d’impresa appaiono del tutto
inopportuni, invece, con lo strumento predisposto dall’art. 2467 c.c. il
legislatore intende colpire il rimborso dei finanziamenti a favore del socio
avvenuti in danno ai creditori sociali. In quest’ultimo caso, cioè, non si
intende colpire un atto anormale del debitore, in quanto la restituzione del
finanziamento del socio è di per sé da considerarsi un atto dovuto, seppure
subordinando al restituzione dello stesso al verificarsi di date condizioni.
Piuttosto, lo scopo del legislatore è quello di tutelare i creditori terzi,
sanzionando il socio-finanziatore che, abusando di una posizione
informativa privilegiata, si soddisfa a danno dei creditori51.
Ciò premesso, sembra evidente che l’art. 64 l. fall. non potrà essere
invocato dal curatore in relazione ai finanziamenti dei soci. La restituzione
dei prestiti dei quotisti non è difatti un atto a titolo gratuito, bensì il
pagamento di un debito.
7.2.2. Coordinamento con l’art. 65 della legge fallimentare
51 SANGIOVANNI, I finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, cit., p. 1396;
ESPOSITO, Il sistema delle reazioni revocatorie alla restituzione dei finanziamenti
postergati, cit., pp. 559 e ss; BALP, Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di
rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, cit., pp. 344 e ss.;
VITTONE, Questioni in tema di postergazione dei finanziamenti soci, in Giur. Comm., p.
929.
L’art. 65 l. fall. sancisce rispetto ai creditori l’inefficacia dei
pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di
fallimento, o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito
nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento52. Pertanto, il
presupposto applicativo della norma in questione e l’aver eseguito il
pagamento di un credito che aveva una data di scadenza successiva o
contestuale alla dichiarazione di fallimento. La ratio della norma è chiara: si
intende, infatti, colpire i pagamenti di debiti, non ancora esigibili,posti in
essere dal debitore con l’effetto di alterare sostanzialmente, laddove posti in
essere nel periodo sospetto, la par condicio creditorum (perché posti in
essere al fine di favorire alcuni creditori).
Tra i pagamenti che potrebbero rientrare nell’ambito applicativo
dell’art. 65 l. fall. si possono, senza dubbio, considerare anche quelli legati
al rimborso dei finanziamenti dei soci. Ci si potrebbe allora chiedere il senso
della presenza della norma contenuta nell’art. 2467 c.c., quando il curatore
può addirittura colpire, mediante lo strumento dell’art. 65 l. fall., gli atti
posti in essere sino a due prima della dichiarazione di fallimento. In realtà,
laddove il curatore fallimentare intenda fruire della declaratoria di
inefficacia prevista dall’art. 65 l. fall., in modo da colpire i pagamenti
avvenuti nei due anni dall’apertura della procedura, dovrà dimostrare,
unitamente alla natura di finanziamento postergato del credito, derivante
dalla condizione di squilibrio alla data di concessione del finanziamento,
52 «Sono privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel
giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati
eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento». I creditori i cui
crediti scadono dopo la dichiarazione di fallimento possono partecipare al concorso, previa
ammissione, in ossequio al principio della par condicio creditorum. L’unico presupposto di
operatività è costituito dal fatto oggettivo del pagamento di debiti scadenti contestualmente
o successivamente alla dichiarazione di fallimento. Questa circostanza determina già da
sola la presunzione assoluta di pregiudizio per gli altri creditori. In sede processuale, sul
curatore insiste l’onere di provare l’anteriorità del pagamento. D’ARRIGO, Atti a titolo
gratuito e pagamento di debiti scaduti, cit., pp. 543 e ss; MAFFEI ALBERTI, Sub art.65, in
anche che tale circostanza si sia protratta sino alla data del fallimento, in
modo da attestare che l’obbligazione restitutoria non sia divenuta esigibile.
In questo senso la norma è in grado di trovare applicazione solo a
condizione che il credito oggetto di rimborso non sia mai divenuto esigibile.
Al contrario, nel caso in cui intenda avvalersi dell’art 2467 c.c., e colpire i
pagamenti avvenuti nell’anno, il curatore dovrà dimostrare che i
finanziamenti siano stati concessi in una condizione di squilibrio e che il
pagamento sia stato effettuato nell’anno, non dovendosi tener conto delle
condizioni presenti alla data del rimborso53. In tal modo si è nelle
condizioni di colpire, con la sanzione dell’inefficacia, stante lo squilibrio
genetico dei finanziamenti, sia i finanziamenti rimborsati in costanza di
detta situazione, sia quelli restituiti una volta che le difficoltà economiche
sia state superate. Infatti, l’unica condizione operativa è che il
finanziamento sia nato in condizioni di squilibrio.
In conclusione, è proprio la differenza dei presupposti applicativi che
spiega la specificità della norma contenuta nell’art. 2467 c.c.
7.2.3. Coordinamento con l’art. 66 della legge fallimentare.
L’art. 66 della legge fallimentare prevede, richiamandosi all’art.
2901 c.c., il potere per il curatore di chiedere la declaratoria di inefficacia,
rispetto agli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo
Commentario breve alla legge fallimentare, Torino, 2009, p. 309; RAGO, Manuale della
revocatoria fallimentare, Padova, 2006, p. 190.
53 Cfr. SANGIOVANNI, Finanziamenti dei soci di S.r.l. e fallimento della società, in
Il fallimento, 2007; ESPOSITO, Il sistema delle reazioni revocatorie alla restituzione dei
finanziamenti postergati, cit., pp. 559 e ss; BALP, Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del
capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, cit., pp. 344 e
ss.
le regole generali descritte dal codice civile54. In particolare, in base all’art.
2901 c.c., che disciplina l’azione revocatoria ordinaria, il creditore, al
verificarsi di talune condizioni, potrà chiedere che gli atti di disposizione
patrimoniale, con i quali il debitore reca un pregiudizio alle proprie ragioni,
siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti55. Segnatamente i presupposti
richiesti sono: a) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava
alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del
credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il
soddisfacimento; b) che, trattandosi di un atto a titolo oneroso, il terzo fosse
consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del
credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
In altri termini, devono concorrere un presupposto soggettivo, che si
sostanzia nella conoscenza, al momento del compimento dell’atto
impugnato, della lesione della garanzia patrimoniale provocata dallo stesso
atto oggetto di impugnazione (consilium fraudis), ed un presupposto
oggettivo, consistente nella lesione della garanzia patrimoniale (eventus
damni), rappresentata dai beni del debitore, causata dall’atto impugnato nel
54 « Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal
debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. L'azione si
propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in
confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro».
55 « Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione (13531 o a termine,
può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del
patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni (206, 1113, 2740) quando
concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto
arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto
fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre,
trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di
atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli effetti
della presente norma, le prestazioni di garanzia (1936, 1960, 2784, 2808), anche per debiti
altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto. L'inefficacia dell'atto non
pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della
trascrizione (2652) della domanda di revocazione». TORRENTE – SCHLESINGER, Manuale di
diritto privato, Milano, 2004, pp. 469 e ss.; D’ERCOLE, Azione revocatoria, in Trattato di
diritto privato diretto da Rescigno, XX, Torino, 1985, p. 158; NICOLÒ, Azione revocatoria,
in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1960, p. 245.
momento del suo compimento ed ancora sussistente nel momento
dell’esercizio dell’azione56.
Ai fini che qui rilevano, quindi, laddove la condizione di squilibrio
abbia accompagnato il finanziamento dal momento in cui è stato concesso a
quello in cui è stato rimborsato, perdurando altresì alla data della
dichiarazione di fallimento, il curatore potrà invocare l’applicazione dell’art.
2901 c.c. Infatti, in una tale evenienza si può sostenere che in realtà la
postergazione non sia mai venuta meno e, pertanto, si sarebbe in presenza di
un debito non scaduto e come tale suscettibile di revocatoria ordinaria.
In tal modo, grazie al coordinamento dell’art. 2901 c.c. con la
disciplina del finanziamento dei soci prevista dal codice civile, potranno
essere sanzionati con l’inefficacia i rimborsi avvenuti fino a cinque anni
precedenti. A fronte di una maggior tutela, va tuttavia segnalato che nel caso
di specie il curatore avrà un onere probatorio superiore a quello che incontra
nell’art. 2467 c.c., dovendo dimostrare anche la sussistenza dei presupposti
indicati dall’art. 2901 c.c.
7.2.4. Coordinamento con l’art. 67 della legge fallimentare.
L’art. 67., II comma, l. fall. prevede che i pagamenti di debiti liquidi
ed esigibili siano revocabili, se avvenuti entro sei mesi anteriori alla
dichiarazione di fallimento, sempre che il curatore riesca a dimostrare che il
creditore fosse a conoscenza dello stato d’insolvenza del debitore57.
56BONFATTI, Atti a titolo oneroso, pagamenti, e garanzie, in Fallimento e altre
procedure concorsuali, Torino, 2009, pp. 652 e ss. MAFFEI ALBERTI, Sub art. 66, in
Commentario breve alla legge fallimentare, Torino, 2009, p. 311.
57 « Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato
d'insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla
dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal
fallito sorpassano di oltre un quarto cio' che a lui e' stato dato o promesso; 2) gli atti
Applicando questa regola al caso particolare del finanziamento del
socio, si tratterebbe dell’ipotesi in cui il termine per la restituzione del
prestito è scaduto e la società debitrice provvede alla restituzione dello
stesso. Tuttavia si può notare un’importante differenza, nel contesto del
fallimento della società, ove il curatore che si avvalga dell’art. 2467 c.c. non
deve dimostrare che il socio-creditore, conoscesse lo stato d’insolvenza
della società debitrice. Mentre, nel caso in cui si invochi l’applicazione
dell’art. 67 l. fall., non dovrebbe dimostrare lo squilibrio patrimoniale della
società al momento della concessione del finanziamento da parte del socio.
estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi
normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; 3) i
pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento per debiti preesistenti non scaduti; 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali
o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti
scaduti. Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato
d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e
quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati,
se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Non sono soggetti
all'azione revocatoria: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività
d'impresa nei termini d'uso; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché
non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei
confronti della banca; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'art.
2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della
suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso
abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e
affini entro il terzo grado; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore
purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il
risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua
situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel
registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) ai
sensi dell'art. 2501-bis, quarto comma, del codice civile; e) gli atti, i pagamenti e le
garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata, nonché dell'accordo omologato ai sensi dell'art. 182-bis; f) i pagamenti dei
corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche
non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla
scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure
concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Le disposizioni di
questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno
e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali». Sul tema si vedano,
BONFATTI, Atti a titolo oneroso, pagamenti, e garanzie, cit., pp. 652 e ss; MAFFEI ALBERTI,
Sub art. 67, Commentario breve alla legge fallimentare, Torino, 2009, p. 315;
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2009, pp. 170 e ss.
Ci si potrebbe allora chiedere perché il curatore dovrebbe domandare
la restituzione del finanziamento appellandosi all’art. 2467 c.c., se può
richiamarsi all’art. 67 l. fall. Ciò potrebbe accadere perché la prova dello
stato di eccessivo squilibrio fra indebitamento e patrimonio netto, come
richiesta dall’art 2467 c.c., potrebbe risultare particolarmente onerosa, così
da indurre il curatore ad invocare l’art. 67, II comma, l. fall., in funzione del
meno gravoso onus probandi.
E’ opportuno tuttavia rilevare come, nell’ambito del finanziamento
dei soci, non ci si potrebbe riferire all’art. 67 l. fall, principalmente per
ragioni di ordine temporale: infatti, tale disposizione si applica solo agli atti
compiuti nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento, mentre
l’arco temporale di riferimento nell’art. 2467 è maggiore, estendendosi fino
a 12 mesi.
Vi sarebbe, comunque, un caso in cui l’art. 67 l. fall. potrebbe
trovare applicazione ai finanziamenti dei soci. Si tratta dell’ipotesi in cui
l’art. 2467, primo comma c.c., non opera del tutto, per il fatto che il prestito
dei soci risulta essere normale e non posto in essere in condizioni anomale.
Infatti, in mancanza dei presupposti oggettivi delineati dall’art 2467, II
comma, c.c., il curatore potrebbe avvalersi dell’art. 67, II comma, al fine di
ottenere la restituzione della somma versata al socio a titolo di rimborso.
Secondo una corrente autorevole di pensiero, invece, vi è la
possibilità che le due normative si esprimano cumulativamente, ovvero
alternativamente, a seconda che sia possibile soddisfare le condizioni di
applicazione di entrambe58. Infatti, in entrambe, il presupposto applicativo
58 ESPOSITO, Il sistema delle reazioni revocatorie alla restituzione dei
finanziamenti postergati, cit., pp. 559 e ss; BALP, Finanziamenti dei soci "sostitutivi" del
capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, cit., pp. 344 e
ss.; BONFATTI, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, in La riforma
della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli
accordi di ristrutturazione, a cura di Bonfatti e Censoni, Padova 2006, pp. 266 e ss. In
senso contrario si veda SANGIOVANNI, I finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, cit., p.
1396.
è il pagamento del debito, tuttavia, nel caso dell’art. 2467 c.c., il curatore
deve provare solo la natura postergata del finanziamento, senza dover
dimostrare la conoscenza in capo al socio dello stato d’insolvenza
dell’impresa. Al contrario, nel caso dell’art. 67, II comma, si dovrà
dimostrare, oltre all’avvenuto pagamento, anche la conoscenza dello stato
d’insolvenza in capo al debitore, ma non la natura postergata del credito.
7.3. La posizione dei soci-creditori nell’ambito del concordato
preventivo
Non meno problematico risulta delineare il trattamento dei
finanziamenti dei soci non rimborsati nel contesto della procedura di
concordato preventivo59.
Il presupposto del concordato preventivo60, ai sensi del I comma
dell’art. 160 l. fall., è lo stato di crisi in cui versa l’impresa. Tale concetto
risulta più ampio dell’insolvenza, infatti comprende, oltre a questa, anche,
ad esempio, la difficoltà temporanea di adempiere alle obbligazioni, il
rischio insolvenza, lo sbilancio patrimoniale o il sovraindebitamento, la
riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale (che non è
59 Sul tema si veda PANZANI, Classi di creditori nel concordato preventivo e
crediti postergati dei soci di società di capitali, in Il fallimento, 2009, pp. 800 e ss;
BOATTO, Finanziamenti – soci e finanziamenti – infragruppo nelle procedure concorsuali,
cit., pp. 237 e ss.
60 In tema di concordato si veda SCHIAVON, La nuova disciplina del concordato
preventivo in seguito al decreto legge n. 35 del 2005, in Dir. Fall., 2005, pp. 819 e ss.;
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino 2009, pp. 311 e ss; JACHIA, Il concordato
preventivo e la sua proposta, in Fallimento e altre procedure concorsuali diretto da
Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, pp. 1573 e ss; DEMARCHI, Il nuovo concordato
preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2005, pp. 5 e ss.; AZZARO,
Le funzioni del concordato preventivo tra crisi ed insolvenza, in Fall., 2007, pp. 1267 e ss.
MAZZOCCA, Manuale di diritto fallimetare, Napoli, 1996, p. 530; ALESSI, Il nuovo
concordato preventivo, in Dir. Fall., 2005, p. 1147.
ancora sbilancio patrimoniale, ma costituisce causa di scioglimento della
società).
La filosofia dell’istituto è quella di promuovere il recupero
dell’equilibrio gestionale nell’esercizio di imprese aventi la capacità di
produrre reddito. In tal senso, l’art. 160 l. fall. statuisce che l’imprenditore
ha la facoltà di proporre ai creditori un piano che può prevedere: a) la
ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi
forma, anche mediante cessione di beni, accollo o altre operazioni
straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da
questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni anche convertibili
in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito; b) l’attribuzione delle
attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato da assuntore.
Possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi
partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali
siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato.
Infine, con una disposizione innovativa, si prevede la possibilità di
suddividere i creditori in classi, con la conseguente applicazione del
principio della par condicio creditorum solamente all’interno delle stesse. In
tale evenienza si dovrà procedere ad una suddivisione in base alla posizione
giuridica e agli interessi economici omogenei, potendo anche disporre un
trattamento differenziato tra i creditori appartenenti a differenti classi. La
possibilità di suddivisione dei creditori in classi è prevista anche per i crediti
muniti di privilegio, pegno od ipoteca, ai quali è possibile proporre un
soddisfacimento non integrale, a condizione che il piano ne preveda
comunque la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in
ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione,
avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali
sussiste la causa di prelazione.
Come precedentemente già accennato, alla postergazione può essere
attribuito un duplice significato: quello di strumento che permette la
riqualificazione dei finanziamenti in veri e propri conferimenti, da
considerarsi come parte del capitale di rischio, oppure quello di istituto la
cui funzione principale sarebbe quella di retrocedere il titolare del
finanziamento stesso alla posizione di post-chirografario. La dottrina
maggioritaria segue questa seconda interpretazione, ammettendo quindi che
i soci finanziatori conservano, nei confronti della società, la loro posizione
di creditori, anche se postergati. Da questo assunto deriva dunque
l’interrogativo se essi possano o meno essere ammessi a votare nel
procedimento di approvazione della proposta di concordato preventivo.
In prima battuta si sarebbe sicuramente portati a negare ai soci
finanziatori la possibilità di votare per il concordato preventivo: infatti la
postergazione comporta che i crediti, derivanti dai finanziamenti elargiti con
le modalità specificate nell’art. 2467 siano esclusi dal concorso con i
creditori chirografari e che si debba procedere, dapprima all’integrale
pagamento dei debiti nei confronti dei creditori chirografari, e poi a
soddisfare i suddetti crediti così postergati. Infatti, il concordato, proprio per
le sue modalità operative, comporta solamente una soddisfazione parziale
dei creditori chirografari. In ragione di ciò, si dovrebbe negare la sussistenza
di un diritto dei creditori postergati ad avanzare pretese sulla distribuzione
dell’attivo, e quindi la proposta concordataria non avrebbe tra i suoi
destinatari i creditori postergati61.
Secondo un’altra prospettiva, invece, avallata di recente dalla
giurisprudenza di legittimità62, è possibile coordinare il disposto dell'art.
61 In questo senso cfr. Trib. Firenze, 26 aprile 2010, cit., p. 1427, nella quale si
afferma che I titolari dei crediti di cui all'art. 2467 codice civile (finanziamenti dei soci) non
hanno diritto di voto nel concordato in quanto la loro posizione, seppur astrattamente
definibile come creditoria, è in realtà caratterizzata dalla partecipazione al capitale di
rischio, alla stregua dei titolari dei conferimenti.
62 Cass. civ, Sez. I, n. 2706, 4 febbraio 2009, in Il fallimento, 2009, p. 789. In tale
decisione la corte arriva ad affermare che in tema di suddivisione dei creditori in classi
nell’ambito della domanda di ammissione del debitore alla procedura di concordato
preventivo, i crediti di rimborso dei soci per finanziamenti a favore della società, in
2467 c.c. con l’istituto del concordato preventivo: questo ammettendo
l’esistenza di una duplice natura della postergazione, una indisponibile ed
un’altra disponibile, diversamente modulate a seconda dei soggetti
interessati dagli effetti che realizza. Si configurerebbe, dunque, una natura
disponibile della postergazione per quei soggetti che ne beneficerebbero,
mediante la loro antergazione rispetto ai crediti dei soci finanziatori, e che in
quanto destinatari di effetti positivi sarebbero perciò legittimati a rinunciare
agli stessi.
Quindi, ammettere la possibilità per i creditori chirografari di
rinunciare ai benefici derivanti dalla postergazione, consentirebbe di
delineare una proposta di concordato rivolta anche ai creditori postergati,
che acquisterebbero così il diritto a votare sulla sua ammissione. Esiste
sicuramente il pericolo che i creditori postergati possano esercitare abusi;
tuttavia tale possibilità è però limitata allorquando essi siano considerati
come una distinta classe di creditori, diversa da quella dei creditori
chirografari. La possibilità di individuare una classe di creditori costituita
solo da titolari di crediti da finanziamento alla società, trova le proprie basi
normative nell’art 160, comma I, lett. c, ove, come detto, si precisa che la
suddivisione dei creditori in classi va realizzata sulla base di posizione
giuridica e interessi economici omogenei.
In tal modo, la proposta di concordato, come affermato dalla
Suprema Corte, dovrebbe essere approvata dalla totalità delle classi. Parte
della dottrina ritiene che la proposta di concordato possa essere approvata
dalla sola maggioranza delle classi, pur rimanendo, in tal caso, per il
tribunale la facoltà di verificare che quei creditori, appartenenti alle classi
costanza dei presupposti applicativi dell’art. 2467 c.c., non possono essere inseriti possono
essere inseriti in un piano di cui facciano parte anche altri creditori chirografari, violando
tale collocazione la necessitò degli interessi economici alla cui stregua, ex art. 160 l. fall.,
vanno formate le classi. Tuttavia, trattandosi pur sempre di creditori, da soddisfare dopo
l’estinzione degli altri crediti, è ammessa la deroga al principio della postergazione, se
contrarie al concordato, possano comunque essere soddisfatti in misura non
inferiore a quella ottenibile seguendo le alternative esistenti e in concreto
praticabili (art. 177, comma II, l. fall.)63.
Altra dottrina replica invece a tale posizione, muovendosi dal
disposto dell’art. 67 l. fall che, come detto, prevede l’esenzione da
revocatoria per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in
esecuzione del concordato preventivo64. In tale ottica, si potrebbe dunque
concludere che l’esenzione da revocatoria, così come prevista dall’art 67
comma III l.fall, riguardante i pagamenti effettuati in esecuzione del
concordato preventivo, possa estendersi anche ai rimborsi per i soci
finanziatori.
In
realtà,
gli
articoli
2467
c.c.
e
2497-quinquies
rappresenterebbero due norme speciali di una più generale regolamentazione
delle obbligazioni, così l’esenzione da revocatoria fallimentare non
comporta alcun effetto protettivo per l’ipotesi in cui sia stato rimborsato il
finanziamento del socio. Quindi i pagamenti, eseguiti attraverso il
concordato ai soci finanziatori postergati, in caso di fallimento dovranno poi
essere restituiti.
Nel caso in cui successivamente al concordato preventivo dovesse
intervenire il fallimento i rimborsi effettuati in attuazione del concordato
stesso non risulterebbero suscettibili di revoca. In tal modo, il concordato e
il suo buon esito verrebbero quindi tutelati anche stabilendo il carattere
definitivo dei pagamenti ricevuti dai creditori, anche qualora il concordato
sia infruttuoso.
Nel caso invece di pagamenti avvenuti in favore dei soci finanziatori
postergati, ciò non avverrebbe, in quanto sia i creditori chirografari sia i soci
risulta il consenso della maggioranza di ciascuna classe e non già il solo consenso della
maggioranza assoluta del totale dei crediti chirografari.
63 BOATTO, Finanziamenti – soci e finanziamenti – infragruppo nelle procedure
concorsuali, cit., pp. 237 e ss.
finanziatori presentano, in quanto entrambi creditori, le stesse esigenze di
stabilità e di tutela. Questa disparità trova giustificazione solamente
ammettendo che il legislatore abbia voluto escludere in ogni caso la
possibilità di derogare al principio posto dall’art.2467 c.c., che stabilisce
come i soci creditori non possano essere soddisfatti finché gli altri creditori
non siano stati soddisfatti. Conseguentemente, secondo questa parte della
dottrina, non sarebbe possibile ammettere la partecipazione dei soci
finanziatori al concordato preventivo, nemmeno nel caso di un concordato
per classi, ed altresì si dovrebbe prevedere la possibilità di revocare tali
pagamenti nel caso di fallimento successivo al concordato.
E’ doveroso comunque ricordare che la Suprema Corte, nella
motivazione della sentenza, pone il dubbio sugli effetti che la revocatoria
fallimentare, prevista dall’art. 67, III comma della legge fallimentare,
potrebbe provocare: infatti, viene sottolineato come la regolamentazione
introdotta con l’art. 2467 c.c prevedendo l’obbligo di restituire il rimborso
effettuato a favore del socio creditore nell’anno precedente alla
dichiarazione di fallimento, comporti sostanzialmente l’inapplicabilità
dell’esenzione dalla revocatoria prevista dalla stessa normativa fallimentare.
Tuttavia, sembra che la Corte lascia insoluti questi importanti interrogativi
interpretativi ciò perché, se da un lato nella sua motivazione sembra
permettere la partecipazione dei creditori postergati al concordato, dall’altro
specifica che in caso di successivo fallimento le somme elargite dovranno
essere restituite.
7.4. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
64 PANZANI, Classi di creditori nel concordato preventivo e crediti postergati dei
soci di società di capitali, cit., pp. 800 e ss.
Analizzate le interrelazioni tra la disciplina dei finanziamenti dei
soci e quella concernente il concordato preventivo, ci si può addentrare nel
verificare quale sorte subiscano i prestiti dei soci, erogati nelle condizioni di
squilibrio delineate dall’art. 2467 c.c., nell’ambito di una soluzione
“stragiudiziale” e negoziale della crisi d’impresa, ossia in particolare agli
accordi di ristrutturazione dei debiti, previsti dall’art. 182-bis l. fall. A tal
fine è utile fornire delle nozioni preliminari sull’operatività di detti accordi.
Va innanzitutto sottolineato che la disciplina qui oggetto di analisi,
nonostante i numerosi punti di contatto, si differenzia dal concordato
preventivo sotto alcuni rilevanti aspetti:.a) in primo luogo, non è richiesto il
rispetto del principio della par condicio, che, viceversa, nel concordato
preventivo può essere derogato solamente attraverso la suddivisione in
classi, fermo restando il trattamento paritetico nell’ambito di ciascuna
classe. Certamente, come avviene nelle soluzioni stragiudiziali, l’accordo
prevederà un trattamento paritario dei crediti riconducibili a differenti classi.
Tuttavia, poiché la legge richiede che l’accordo sia raggiunto con la
partecipazione di una maggioranza qualificata dei creditori, e non mediante
un meccanismo di adesione allo stesso attraverso una votazione cui
partecipino tutti i creditori e che vincoli tutti i votanti; esso necessariamente
dovrà, ritenersi vincolante solo per i creditori che vi aderiscono. Inoltre, in
virtù del principio della libera disponibilità dei diritti individuali la prescritta
maggioranza di almeno il 60% dei crediti potrà essere raggiunta attraverso
l’adesione di creditori sia chirografari, sia aventi prelazione; b) in secondo
luogo, poiché l’accordo deve essere raggiunto con la maggioranza
(qualificata del 60%), ma non a maggioranza, i creditori non aderenti
all’accordo dovranno essere soddisfatti integralmente e non sarà quindi
richiesta alcuna votazione.
Ai fini che qui interessano, rileva l’eventuale legittimazione dei soci
creditori a partecipare all’accordo, stante la previsione della postergazione
concernente i loro crediti.
Come si è già avuto modo di precisare, secondo la dottrina
maggioritaria, il credito vantato dal socio finanziatore, se sorto in presenza
delle condizioni delineate dall’art. 2467 c.c., può essere rimborsato laddove,
alla scadenza del finanziamento postergato, la situazione finanziaria della
società si presenti tale da far ritenere di poter soddisfare regolarmente le
altre posizioni creditorie.
Nel contesto di un accordo di ristrutturazione, si può
escludere, stante le finalità che con questo si perseguono, la sussistenza di
una situazione che astrattamente ne legittimi la rimborsabilità. Tuttavia, si
deve notare che tali accordi presuppongono, da un lato, il consenso di
almeno tanti creditori che rappresentino il 60 % dei crediti e, dall’altro, che
vi sia l’idoneità del piano a soddisfare regolarmente i creditori che siano
rimasti estranei all’accordo stesso. Come già suggerito nel contesto del
concordato preventivo, si può argomentare che, in presenza di una
manifestazione di volontà, rappresentativa di una scelta dei creditori
chirografari di rinunciare ad un trattamento privilegiato, e vista la tutela
accordata ai creditori estranei all’accordo tramite la condizione che impone
l’idoneità del piano a soddisfare regolarmente gli stessi, non vi sarebbero
prima facie ragioni ostative ad una partecipazione dei soci-finanziatori
all’accordo di ristrutturazione.
Gli unici dubbi che sembrano permanere riguardano, anche in questo
caso come per il concordato preventivo, l’esenzione di un siffatto accordo
dall’azione revocatoria, stante la disposizione dell’art. 67 l. fall. In
mancanza di orientamenti giurisprudenziali sul punto, ci si deve riferire
all’interpretazione, già citata, fornita dalla Suprema Corte di Cassazione in
tema di concordato preventivo, che, da un lato, consente la partecipazione
dei soci finanziatori agli accordi, ma, dall’altro, lascia irrisolto il nodo
concernente il coordinamento con l’art. 67 l. fall., facendo presupporre che
sul socio gravi l’eventuale obbligo di restituzione di quanto ricevuto,
laddove, successivamente, intervenisse il fallimento dell’impresa.
7.5. L’amministrazione straordinaria e la ristrutturazione delle
grandi imprese in crisi. La sorte dei crediti vantati dai soci
Con riferimento all’impatto che la norma contenuta nell’art. 2467
c.c. produce nel caso di amministrazione straordinaria65 (d.lgs. 8 luglio
1999, n. 270) e di ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di
insolvenza66 (d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in l. 18 febbraio
2004, n.39), si può notare che in entrambe le procedure i finanziamenti posti
in essere dai soci in situazioni anomale non siano suscettibili di restituzione,
data l’operatività della postergazione nell’ambito della situazione di crisi in
cui l’impresa versa al momento dell’apertura di tali procedure.
A questo punto ci si chiede come operi l’obbligo di restituzione di
quanto ottenuto a titolo di rimborso dei finanziamenti anomali. In realtà, si
ritiene che tale azione si possa esercitare solamente quando la legge
legittima l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari. Infatti, una
applicazione dell’obbligo di restituzione non avrebbe ragion d’essere se non
in un contesto in cui vi sia un processo di liquidazione patrimoniale, e
65 In materia in contributi sono numerosi si veda a titolo esemplificativo,
ZANICHELLI, Amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali
diretto da Fauceglia e Panzani, Torino 2009, pp. 2010 e ss; FILIPPI, Amministrazione
straordinaria, prospettive di salvataggio dell’impresa, prognosi del giudice e alternativa al
fallimento, in Il fallimento, 2010, p. 28; PACCHI, L’alternativa tra concordato preventivo e
amministrazione straordinaria, in Banca borsa e titoli di credito, p. 242; PANZANI,
L’insolvenza dei gruppi di società; in Riv. Dir. Impr., 2009, p. 523; GUALANDI,
L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, in Manuale di diritto
fallimentare, Milano, 2007; GUGLIEMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2008, p. 497;
MARRAFFA, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e tutela dei
creditori, Milano, 2005, pp. 21 e ss.
66 Sul tema si vedano i preziosi contributi di CAIAFA, La ristrutturazione delle
grandi imprese afflitte da crisi industriale, in Procedure concorsuali nel nuovo diritto
fallimentare, Torino, 2009, p. 703; LO CASCIO, La disciplina della ristrutturazione
industriale delle grandi imprese in stato d’insolvenza, in Il fallimento, 2005, p. 376;
pertanto sia necessario ricostruire la massa patrimoniale dell’impresa al fine
di realizzare dei ritorni dalla vendita della stessa.
Pertanto, l’azione delineata dall’art. 2467 c.c. si potrà esercitare,
nell’amministrazione straordinaria, nel caso di cessione di complessi
aziendali ovvero di complessi di beni e contratti, ma non nel caso di
ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa sulla base di un
programma di risanamento. Nel caso di ristrutturazione delle grandi imprese
in crisi, invece, la previsione concernente l’obbligo di restituzione trova
applicazione oltre che nei due casi appena indicati per l’amministrazione
straordinaria, anche nel caso di programma di ristrutturazione, purché ciò si
traduca in un vantaggio per i creditori.
In questi casi, vista la possibilità di esercitare sia le revocatorie
fallimentari, che l’art. 2467 c.c., si ripropongono i medesimi problemi di
coordinamento tra le due discipline che abbiamo sopra analizzato.
Altra questione meritevole di attenzione concerne la posizione dei
soci finanziatori rispetto a quella degli altri creditori che devono essere
soddisfatti mediante i programmi di cessione di complessi aziendali, di beni
e contratti. Infatti, con la fase di riparto, presente solo in caso di esecuzione
del programma di cessione dei complessi aziendali o di beni e contratti, si
conferma il richiamo quasi integrale alla procedura fallimentare, e di
conseguenza, ai fini che qui rilevano, si deve rispettare, come confermato
ripetutamente dalla giurisprudenza, il seguente ordine: 1) i creditori muniti
di cause di prelazione; 2) i creditori chirografari; 3) i soci-creditori per i
finanziamenti erogati alle condizioni delineate dall’art. 2467 c.c.
8. Conclusioni
GUALANTI, Misure urgenti per la ristrutturazione delle grandi imprese in stato di
insolvenza, in Le nuove leggi commentate, 2006, pp. 709 e ss.
In conclusione, si può affermare che, mediante un coordinamento tra
le diverse discipline delle procedure concorsuali e l’istituto delineato
dall’art. 2467 c.c., si configuri un adeguato sistema di tutele per il creditore.
E’ chiaro, però, che occorre contemperare tali tutele con le esigenze
finanziarie dell’impresa, che non possono prescindere dall’apporto di
liquidità derivante dai finanziamenti dei soci.
Emerge, quindi, un sistema che, nonostante alcune lacune, consente
di perseguire l’intento che ha indotto il legislatore della riforma ad elaborare
e a prevedere la disposizione dell’art. 2467 c.c. Solo il tempo e la prassi
giurisprudenziale, tuttavia, diranno se effettivamente tale strumento sia
idoneo e sufficiente a perseguire gli scopi a cui è destinato.
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