Madama Butterfly - Persinsala Teatro

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Persinsala Teatro
Sharon Tofanelli
aprile 11, 2014
Con la primavera Madama Butterfly apre la sessione delle
Cartoline Pucciniane al San Girolamo di Lucca. E la sala è
gremita.
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Di nuovo primavera, ebbra di pollini. Nevicate fragranti sulle piazze, e le
rondini, e tutti presi da una sonnolenza materna. Viavai inarrestabile nella
città, tale che si penserebbe, guardando, alla tacita, infinitesimale
popolazione che intercorre tra i fili dell’erba. Primavera non concepisce
infelicità.
Teatro di San Girolamo, Lucca. Un piccolo, pallido auditurium, dietro al
Giglio che conosciamo meglio. Domenica 6 aprile, le 17.00 in punto.
Di nuovo primavera. Ebbra di pollini – e di ortiche, piene le braccia di rovi:
la bella stagione, più di ogni altra, segna la sua infelicità. Sì, è così: per lei
sola il rovesciarsi dei fiori, come da una cornucopia, è un grondare di
sangue da una vena recisa. Lei è Cho-Cho-San, la geisha. E questa è la
Madama Butterfly pucciniana.
Produzione del Teatro del Giglio, la più classica delle liriche italiane apre
l’evento delle Cartoline Pucciniane, una squisita serie di arie, estrapolate
dalle opere del compositore, un atto riassuntivo, sebbene intenso e al
contempo vetrina per giovani talenti dell’arte lirica.
Donna sedotta, donna abbandonata, Cho-Cho-San, come tutte le eroine di
Puccini, sa tenersi al passo col trasmutare dei tempi ed è sempre
attualissima. Nella Madama Butterfly alle tematiche dell’amore e dell’onor
ferito si affianca la divergenza delle culture, divergenza più che mai
palpabile in un contrasto di autentici estremi: gli States, da un lato, la
meglio società, la parabola in decollo verso porti scintillanti. Progresso,
ancora progresso e ascendono torri di vetro e d’acciaio sulle rovine
macilente dei valori abbattuti. Questo è Pinkerton: incarnazione di un
perenne capriccio, che guarda con un misto di fascino e superiorità le
civiltà meno industrializzate; dall’altro il Giappone delle tradizioni,
retrogrado e bellissimo, la sede terribile dei despotismi fantasticati
dall’uomo occidentale, languido e lascivo. Giappone, ispirazione dell’arte
di fine Ottocento, col suo carico greve di morte e d’onore e, su tutto, i
ciliegi che spargono un aroma tremendo.
I due giovani s’incontrano ed è l’inizio di un moto centrifugo inarrestabile
dove i dettagli, i fantasiosi dettagli delle culture avverse, turbinano
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ovunque come carte al vento: i sonnolenti avi giapponesi, il Dio superbo
dell’uomo d’oltreoceano, le navi bianche, le stelle, i katana e i paravento,
l’eterna promessa nuziale, fino alla morte – se necessaria – e l’abbandono
deliberato. Ogni elemento ha un suo colore, un suo mondo
fantasmagorico.
Il budget finanziario delle Cartoline Pucciniane non è particolarmente
corposo; lo stesso spazio performativo è scarso. Ciò ha costretto i
produttori a un drastico ridimensionamento scenico che toglie spazio tanto
ai costumi quanto alle scenografie. Parliamo, quindi, non di uno spettacolo
d’opera, bensì di un evento unicamente canoro accompagnato dal
pianoforte di Massimo Morelli, dalla disposizione rigorosa di sedie e leggii,
dalla presenza – a rallegrare il fondale – di una semplice proiezione di
immagini sulla tela immacolata. Letture epistolari del compositore dirette
a editori e colleghi intervallano gli interventi musicali e conferiscono
all’insieme una sorta di tono affettuoso: lo stesso Puccini, come parecchi
suoi contemporanei, cade prigioniero del Giapponesismo, la mania
collettiva per questo Oriente, questo fiore esotico e denso di ardenti
vapori. Riassunta in due ore, l’opera non ha nulla da rimproverare al
talento dei suoi lirici, peraltro tutti molto giovani e almeno uno lucchese.
Concludendo, la manifestazione, di indubbio valore artistico, riesce a
portarsi avanti con suprema dignità, pur dovendo fare i conti con un
singolo problema, già affrontato nel Falstaff, anch’esso produzione del
Giglio. Ci riferiamo al disagio dello spettatore, spesso novizio nella
fruizione dell’opera pucciniana, che si trova a seguire le arie senza avere a
disposizione il testo di riferimento. Essendo i fondi, come già detto,
limitati, è comprensibile che non sia stato possibile applicare il tradizionale
pannello di scorrimento testuale. Va comunque segnalato che in platea
una nutrita percentuale di persone si è appellata al web per potersi
procurare un libretto di fortuna. A ogni modo, l’arte di sapersi arrangiare
con poco ha rappresentato un po’ la chiave di volta della serata, tanto da
parte dei produttori, quanto da quella del pubblico.
Ecco, è finita. La bella stagione rifulge là fuori, i ciliegi rovesciano sulle
strade i fiori, come ancelle l’acqua da un’anfora odorosa. Può darsi che
qualcuno sbagli, certo. La bella stagione, Butterfly, non concepisce
infelicità. Ciononostante, eccoti, muori. Può darsi che qualcuno sbagli, o
no? Venere dall’occhio amoroso è figlia del sangue di Urano. E dal tuo
sangue, Butterfly, aspersa come da un battesimo, ecco la creatura. Si
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avvicina. La bohème. Domenica 27 aprile. Non perdiamocela.
Lo spettacolo è andato in scena:
San Girolamo – Lucca
domenica 6 aprile, ore 17.00
Madama Butterfly
dal libretto di Giuseppe Giacosa
musica di Giacomo Puccini
pianoforte Massimo Morelli
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personaggi e interpreti:
Cio-Cio-San: Rossana Cardia
Pinkerton: Paul Tabone
Suzuki: Sofia Koberidze
Sharpless: Ricardo Crampton
Goro: Claudio Sassetti
Kate Pinkerton: Elena Fioretti
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