Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org Nietzsche Introduzione al periodo storico Alla fine dell'Ottocento si assiste alla ripresa del capitalismo dopo le crisi di sovrapproduzione e la Grande Depressione. I principali elementi di innovazione sono la formazione di enormi monopoli ed oligopoli, il sostegno dato all'industria da parte dello Stato, la definitiva mondializzazione dei rapporti economici. Essa comporterà la crescita spaventosa della concorrenza tra potenze economiche e militari che prelude ai tragici eventi della prima guerra mondiale. Quindi la massificazione della società, trasformazione della composizione dell'opinione pubblica. Anche fasce della popolazione che non avevano mai fatto tendenza perché non avevano mai potuto esprimere il loro punto di vista si fanno sentire. Si affermano nuove forme politiche, i sindacati, i moderni partiti di massa e con essi l'entrata in crisi del sistema liberale di marca ottocentesca. Periodo filosofico In questa crisi non può che essere coinvolta anche la filosofia che aveva costituito l'identità della parte centrale dell'ottocento, quindi il positivismo. Il positivismo non è solo una concezione atta a potenziare il ruolo della scienza naturale. Il positivismo è una mentalità, è una concezione del mondo. Se applichi il metodo sperimentale sostenuto dalla matematica non c'è problema che non possa trovare soluzione. Questo illimitato progresso, la concezione ottimista non può risolvere tutti i problemi. Allora il nesso Comtiano tra razionalità tra uso di strumenti e progresso viene in questo periodo profondamente problematizzato. L'idea di un progresso cumulativo subisce una critica intellettuale sia da parte di autorità filosofiche come Nietzsche che fa crollare il modello meccanicista di Newton. Nella seconda rivoluzione scientifica le cose cambiano. Heisenberg formula il principio di indeterminazione. L'idea europea di progresso viene smantellata. Nietzsche è l'uomo simbolo di questo pesante, difficile, controverso passaggio dalla crisi della civiltà ottocentesca verso il nuovo. La vita Nietzsche è un tedesco, nasce nel 1844 in bassa Sassonia, vicino a Lipsia. Il padre è un pastore protestante, muore molto presto lasciando N. e la sorella affidati alle cure della madre. La madre è religiosissima ma di scarsa levatura sia intellettuale che culturale. La morte del padre porta ad uno stato di crisi la famiglia, andando in contro a problemi. In virtù di capacità notevoli egli entra nel prestigioso liceo ginnasio di Fortra, fondato dalla casa reale nel contesto del dispotismo illuminato. Lo stato si deve dotare di funzionari esperti che provengano da un’estrazione medio bassa. Tanto più bassa è l'estrazione tanto più sono coscienti che la loro posizione dipende dalla fedeltà al sistema politico. Lo stato per questo fonda scuole di altissimo livello per dotare gli studenti degli strumenti per farli diventare alti funzionari dello stato. N. frequenta gratuitamente questo liceo ginnasio, dove si curano in particolare le lingue classiche, il tedesco, la storia e la filosofia. Più modesta l'attenzione per gli studi scientifici. Vengono curate anche le arti. Nietzsche si iscrive nel 1864 a Teologia per richiesta della madre anche se successivamente, facendo uso Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org dell'istruzione liceale, si iscrive alla facoltà di filologia classica. Tale cambiamento porta ad una rottura immediata con la madre. L'università la fa in parte a Bonn in parte a Lipsia, ove entra in contatto con intellettuali importanti e continua a dedicarsi agli studi di filologia cimentandosi con gli autori greci. Si rendono subito evidenti i segni dell'infezione luetica (sifilide) frequentando un bordello, per cui inizia ad avere mal di testa arrivando poi alla pazzia che lo porterà alla morte dopo 11 anni di incoscienza. Il pensiero La riflessione di Nietzsche prende avvio da una interpretazione originale di un’interpretazione pessimistica Schopenhaueriana. Quest'ultimo era convinto che l'uomo non sia solamente procedure logiche ed efficaci, bensì crede che l'uomo sia essenzialmente volontà, in cui egli vede la radice dell'essere umano e del mondo in generale. A differenza di Schopenhauer egli non crede che questo basti a giustificare un atteggiamento di rinuncia e rassegnazione, ovvero quegli atteggiamenti suggeriti dal filosofo precedente. Secondo Nietzsche bisogna reagire con determinazione, ed affermare la volontà come volontà individuale di ciascun soggetto. Nasce da qua il rifiuto dell'ideale della scienza come sapere oggettivo e quindi il rifiuto delle grandi tradizioni culturali che avevano dominato il secolo. Anche lo stesso concetto di verità subisce una critica radicale da parte di Nietzsche, in quanto ogni verità è in funzione della prospettiva, è in funzione di chi lo pensa. Recupera l'affermazione di Protagora per cui l'uomo è misura di tutte le cose, e quindi ci sono tante verità quante gli uomini, dipendenti da come si rapportano con esse. Opere L'opera di Nietzsche è vastissima. Se consideriamo la mole di scritti prodotti in 17 anni, la cosa strabilia. Quando ci si è trovati ad affrontare criticamente il problema della produzione di N., si sono effettuati dei raggruppamenti. Si è divisa la sua produzione in: opere giovanili opere della fase illuministica opere della maturità Fa critiche alla religione e tradizione, fino ad arrivare la sua opera maggiore, scritta tra 1883 e 1885, così parlò Zaratustra. Qui si trovano le categorie di riferimento come superuomo, eterno ritorno, che esprimono l'affermazione di sé stessi e le energie creative. È convinto di lasciarsi alle spalle la perdita di significato e di slancio vitale di cultura europea. Opere della fase giovanile vanno dal 1871 fino al 1975, dove troviamo “la nascita della tragedia” e 4 saggi raggruppati in “Considerazioni Inattuali”. La prima è dedicata a David Strauss, una a Schopenhauer (evidenziando il suo ruolo nella filosofia dell'Ottocento- di cui non condivide i risultati), un saggio sulla musica di Wagner, un saggio sul senso della Storia. Il secondo è intitolato “Sull'Inutilità e il Danno della Storia”. Fase illuministica “Umano, troppo Umano”, “Aurora” e “la gaia scienza” e altri 13 titoli. Dal 75 al 82. Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org Fase della maturità troviamo l'unica opera che ha un intento costruttivo, “Così parlo Zaratustra”, che però fu un fallimento. Torna quindi agli obbiettivi critici-distruttivi. É consapevole di avere i giorni contati, e ha un tono che tradisce o una mancanza di lucidità o la rabbia per venir meno delle sue facoltà cognitive. I titoli compongono un elenco davvero lunghissimo: “la genealogia morale”, “al di là del bene e del male”, “l'Anticristo”, “il crepuscolo degli dei”, “Nietzsche incontra Wagner”, ... Nella maturità assume atteggiamenti sopra le righe, quindi ripetitivi e infondatamente polemici. Interpretazioni Pochi filosofi sono stati diversamente interpretati e politicamente discussi quanto N. Tra le molte chiavi di lettura del suo pensiero, la più interessante del nostro tempo è quella secondo cui è stato il profeta del nazismo. Nei primi 30 anni della seconda metà dell'Ottocento il giudizio su Nietzsche si è modificato, diventando di grande interesse, ridimensionandosi poi negli ultimi anni individuandone i limiti. Si è affermato in particolare il prospettivismo, che ha individuato i limiti e ridimensionato l'importanza del positivismo. Esso consiste nell'affermazione contro il positivismo della scienza oggettiva. Nietzsche dice che non ci sono fatti ma solo interpretazioni di essi. La stessa cosa può essere vista in modi diversi a seconda di chi si misura con essa. Conseguentemente non ci sono né verità né falsità, ma solo punti di vista differenti. Il conoscere di conseguenza è sempre solo un conoscere prospettico, che va oltre il vero e il falso. Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. Tutte le verità si equivalgono in quanto non è possibile individuare un criterio oggettivo per discriminare. Il mondo polimorfo è solo il risultato dei giochi prospettici che si intrecciano operando nella realtà. La vita non è altro che uno scontro di forze, uno scontro di prospettive. La conoscenza Non esiste allora conoscenza al di là della pluralità che gli uomini esprimono rispetto al mondo nel quale vivono. Conoscere significa valutare, organizzare la realtà in base ai criteri attraverso i quali ciascuno di noi esprime la propria individualità. Ciascuno esprime la singolarità della propria esistenza. Dal momento che la base su cui riposano i criteri è l'utilità per la vita, il concetto di verità ha un fondamento vitalistico e conseguentemente pragmatico, ovvero fare ciò che faccia bene alla nostra vita. Interno al gioco delle valutazioni e delle interpretazioni il soggetto è esso stesso una prospettiva, una posizione prospettica tra mille altre. È esso stesso qualcosa di non determinato, che si determina strada facendo. Altro che il cogito cartesiano, che afferma che l'uomo è sostanzialmente pensiero e capacità logica. “Anche qualora si potesse effettivamente dubitare di tutto non si potrebbe dubitare del soggetto nella misura in cui proprio dubita”. Kant e Cartesio pensavano al soggetto come pensiero, non come corpo. Salta la nozione di Io confezionato dal pensiero occidentale, per cui il soggetto smette di essere identificabile con il logos, con la ragione, con le prospettive razionalistiche per diventare un centro di forza, per diventare un complesso conflittuale. L'io cosciente occupa Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org solo una piccolissima porzione del soggetto, che è viceversa da considerarsi prima di tutto come corpo, come istinti, come oggetto tra gli oggetti piuttosto che come soggetti. Riflessione Nietzschiana Nel 1871 pubblica la sua prima opera: “Nascita della tragedia dagli studi della musica”. Viene recepita dal pubblico colto ed accademico. I filologi reagiscono male a questo testo perché non si ritrovano sul loro terreno, perché più che essere un saggio di filologia classica ha un contenuto di filosofia, segnato fortemente dal pensiero di Schopenhauer. D'altra parte, se andiamo a guardare i corsi universitari Nietzsche come introduzione al suo corso di filologia classica nel 1869 aveva preparato delle considerazioni su Omero e la filosofia classica. Aveva lanciato frecce avvelenate contro la filologia, che doveva smettere di essere sterile mestiere di ricerca sulle parole e che doveva diventare ricerca filosofica. Incapace di guardare al passato in modo creativo la filologia ha finito per tradire lo stile più autentico del mondo classico. In particolare contesta l'immagine della grecità di impronta classicista. I greci, nell'idea neoclassica, hanno creato opere armoniose, misurate, serene perché il loro spirito si traduce in senso della misura, equilibrio, niente distonie ed armonia. Nietzsche dice che questa idea è falsa perché privilegia solo un certo genere di arte, privilegia la scultura o l'architettura. Questa immagine della grecità produttrice e cultrice dell'armonia e della proporzione falsa l'antichità visto che non la considera nel momento della sua massima espressione, ma la considera piuttosto nel momento della decadenza, quando lo spirito greco ha ormai perso sé stesso. Di queste radici rimane traccia nella musica o nella religione popolare nei greci. C'è un continuo richiamo alla vita – tema chiave delle opere giovanili. Nietzsche ha letto l'opera principale di Schopenhauer, “il mondo come volontà e rappresentazione”. Da S. egli ha raccolto l'immagine di un mondo governato dal principio del dolore, in cui l'esistenza umana è priva di un senso ultimo che sappia darne spiegazione. L'uomo è destinato inevitabilmente alla morte. Nietzsche non condivide con Schopenhauer il ripiegamento su sé stessi, alla noluntas, alla negazione della volontà come unica possibilità di dare scacco a questa forza cieca N. oppone una coraggiosa, virile accettazione del dolore. Questa è stata testimoniata coraggiosamente dagli eroi della tragedia greca. La tragedia è stata la forma più alta della cultura greca e ha trovato espressione dalla fine del VI secolo alla fine del V secolo. Nietzsche non considera Euripide, ultimo dei grandi drammaturghi greci. Si concentra più sulla tragedia più lontana, come Eschilo e Sofocle. Gli eroi greci sapevano che la vita non è facile, che la condizione umana ha tutte le caratteristiche della condanna. Affrontavano la vita in modo aperto, sapendo che ha un destino avverso. Non accetta però soluzioni consolatorie, né di ordine metafisico né di ordine religioso. Non è vero che il mondo sia tranquillamente riducibile a ragione, l'esistenza è assolutamente irrazionale, non si può che prenderne atto e accettarla per quello che è. Farsi carico del fardello dell'esistenza guardandola in faccia senza nascondersi. La lettura che compie delle tragedie greche incontra il vitalismo tipico dell'età romantica, attraverso una nuova ardita interpretazione greca, superando il pessimismo Schopenhaueriano sulla base della concezione eroica dell'esistenza. Essa conseguentemente mette radicalmente in discussione la definizione del neoclassicismo. Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org Goethe e sofisti Nietzsche trova conferma di questa impostazione nelle opere di quello che è il maggiore intellettuale dell'Ottocento, ovvero Goethe. Dal naturalismo di Goethe Nietzsche prende gli accenti paganeggianti e gli accenti anticristiani. Di Goethe affascina la celebrazione positiva della vita, e la concezione goethiana, ripresa dal mondo greco, dell'uomo misura di tutte le cose. La sofistica aveva già individuato nell'uomo il criterio in base al quale misurare la realtà. Proprio la consapevolezza dell'uomo misura di tutte le cose fa sì che più che l'uomo dedito alla scienza o dedito al superamento della distanza tra sé e la realtà, Nietzsche pensi ad un uomo capace di sopportare il massimo della sofferenza, perché la vita è sofferenza e nient'altro. Riesce a ricavare in questo sfondo accidentato la massima felicità. La volontà è forza espansiva, infinita. Che la vita distrugga ciò che produce e che porti quindi al dolore non deve spingere alla rinuncia. Non deve spingere a cercare di non volere. DI fronte alla crudeltà, al non senso dell'esistenza, bisogna essere più crudeli, bisogna rispondere con più vita. Nietzsche perviene alle sue riflessioni giovanili non solo grazie all'influenza di Schopenhauer e Goethe, ma anche grazie all'influenza musicale di Wagner. L'individuo dunque è essenzialmente vita, e alla vita va dato lo spazio dovuto. Certo vivere non è facile, il dolore è lo sfondo ineliminabile sul quale si gioca l'esistenza. Ci si deve misurare con la vita anche nella consapevolezza del dolore. Certamente il N. delle opere giovanili è condizionato dal romanticismo e da alcune figure di riferimento come Schopenhauer, Goethe e Wagner. Wagner, autore nato nel 1813 è assorto a simbolo del mondo tedesco in un periodo in cui la Germania gioca la carta dell'emancipazione da schemi arretrati, arrivando all'industrializzazione e arrivando nel 1870 allo stato nazionale. Il mondo tedesco ha avuto una vita di frazionamento tedesco in parte analogo a quello italiano. La pace di Vestfalia chiude la guerra dei trent'anni e lo stato allora era diviso in 300 stati autonomi. Quando nel 14-15 di nuovo l'Europa si dà un nuovo assetto politico i 300 stati vengono ridotti a 39. Nel 1870 la Prussia di Bismarck riesce ad unificare la Germania, che riesce a divenire uno stato forte, candidato ad egemonizzare l'Europa. L'uomo simbolo del primato tedesco è Wagner, che vede nella musica l'arte dell'interiorità, dello spirito per eccellenza. La musica è l'arte dell'inesprimibile, dell'immediato, della vita elementare dei sensi. La musica è perciò la forma d'arte più lontana dalla razionalità e delle sue forme. Il concetto non esprimerà mai quello che la musica può esprimere. Wagner dice: “il concetto blocca la vita nella rappresentazione, mentre la musica spezza i vincoli della ragione e restituisce all'uomo la sua esistenza nella sua originaria dimensione creativa”. Nell'arte musicale, in una vita spesa in modo artistico l'uomo può cercare la possibilità del riscatto, della salvezza. Nietzsche si fa affascinare da questi punti di vista, al punto di vedere in Wagner il modello dell'artista tragico destinato a rinnovare la cultura ottocentesca. Con Wagner, a partire dal 1868 Nietzsche istituisce un sodalizio intenso che si conclude dieci anni dopo con una rottura drammatica. Sembra che in Wagner Nietzsche veda quel padre che non ha mai avuto. Molte volte va in vacanza insieme a lui o nella villa dei coniugi Wagner. La filosofia nietzschiana viene formulata per la prima volta al di fuori del binario classico dello statuto della filosofia, al di fuori di reti di concetti. La filosofia viene formulata attraverso categorie estetiche. “solo l'arte sa cogliere l'essenza della vita, solo l'arte è Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org capace di andare oltre le apparenze”, dice il romanticismo. La filosofia risulta interpretata con l'ottica dell'artista. Filosofia della vita, interpretazione artistica e vitalismo greco si consolidano in un unico in cui la filosofia del tragico si istituisce come caratteristica della realtà. Attraverso la tragedia in quanto pera d'arte si possono interrogare gli enigmi che caratterizzano il mondo. Per esprimere la propria concezione estetica Nietzsche utilizza i miti greci. Nietzsche ha reso propria la concezione dell'arte non attraverso concetti ma attraverso le figure energiche, affascinanti del loro mondo degli dei. La tesi di N. è la seguente: la tragedia è stata la massima espressione culturale della civiltà greca, visto che in essa si incontrano le due grandi forza sulla quale si sostengono l'arte greca: l'apollineo e il dionisiaco. In essi infatti si rivela il contrasto originario degli opposti. Il caos, cioè il disordine e il cogito, cioè l'ordine. Tutto ciò che fonda la vita era racchiuso in essi. Nietzsche aveva letto Eraclito, che diceva che l'opposizione tra i contrari era l'origine di tutto. Il suo spirito greco si realizza nei due dei Apollo e Dioniso: Apollo è il dio delle lettere, della luce, della chiarezza, della misura, della bella forma. Simboleggia l'inclinazione plastica, la tensione verso le forme perfette che trova espressione nella grande scultura e nella grande architettura greca del V secolo. Dioniso è il suo contraltare: è il dio della notte, del buio, dell'ebbrezza, del caotico e dello smisurato. Simboleggia gli istinti, l'energia istintuali, il furore e gli eccessi. É quindi impulso di liberazione da ogni regola, da ogni costrizione. La sua forma espressiva non è un’arte plastica, è la musica. Non musica frenata, non musica costretta dentro le righe del pentagramma, dentro il valore matematico delle note. La musica come flusso vitale. La musica come espressione passionale. Nella tragedia Apollineo e Dionisiaco rappresentano una perfetta sintesi, in cui vi è la musica e il ballo del coro e l'azione drammatica dei protagonisti. Dall'immagine della classicità dipinta dal classicismo all'immagine del mondo greco esaltata da Winckelmann Nietzsche contrappone una visione antitetica: gli elementi dell'ordine sono subordinati al disordine e alla passionalità del dionisiaco. Il secondo ha infatti un ruolo preponderante. La tragedia nasce dal coro, che rappresenta i seguaci di Dioniso. Lo stesso eroe che sta al centro della scena non è che una maschera nel quale ripete le sofferenze. L'eroe muore travolto nelle circostanze, e in quel momento muore Dioniso stesso. L'importanza di questa interpretazione che i filologi contesteranno in modo pesantissimo sta nel rendersi conto che di filologico ha molto poco. SI tratta cioè di una tesi che non ha niente a che vedere con la forma, con lo stile e con la poesia della lingua greca. É una sostanziale tesi filosofica. Sicuramente il fatto che sia stato contestatissima dai filologi non è una cosa che deve stupire. L'angustia dell'esistenza individuale non è che un momento di un eterno ciclo di vita di vita e di morte in cui l'uomo non ha alcun potere. Coltivare il sapere permette di avere metodi che permettono di comprendere meglio la realtà, o almeno così si pensava fino ad allora. Questi metodi non hanno risolto la condizione umana, hanno continuato a sviluppare una continua tragedia della vita che termina nella morte. La contrapposizione tra apollineo e dionisiaco Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org esprime un dualismo che vi è all'interno di ogni uomo. L'Apollineo è ciò che si vorrebbe essere, è costruzione fantastica, rende sopportabile una vita che senso non ce l'ha. Nel dionisiaco invece si rivela all'uomo tutto l'abisso, tutto l'angoscioso buio della sua condizione. La vita nella condizione dionisiaca si rivela per quello che è: è un crudele gioco di sofferenze. Se il dionisiaco esprime con forza inusitata il senso irrimediabile del dolore, allo stesso tempo esprime anche il senso della gioia. Dioniso è forza rigeneratrice, è vita che ritorna continuamente dopo la morte, al di là della morte. Nel dionisiaco non ci sono regole, non ci sono metodi. Nel dionisiaco l'uomo infrange i divieti, le barriere imposte dal vivere, e per questo dice sì alla vita. Si libera dalle illusioni ed entra in sintonia con la sua propria natura, che è forza, è slancio vitale (il famoso istinto di conservazione e che ci fa fare tutto e il contrario di tutto). Nell'esperienza allora artistica della tragedia non c'è nessuna catarsi come voleva Aristotele. Nella poetica di Aristotele egli privilegia la tragedia riconoscendone una funzione purificatrice: seguendo lo svolgimento della purificazione si impara ad andare indenni incontro agli errori, interiorizzando i divieti. Ha un significato dunque catartico – pedagogico. Nietzsche non da questa interpretazione. La tragedia è tutt'altro che catarticopedagogica. Al contrario consente di abbandonarsi al flusso continuo di dolore e gioia secondo le modalità vissute dagli attori. LA tragedia per N. si è consumata quando lo spirito apollineo ha prevalso su quello dionisiaco. La tragedia muore ai suoi occhi quando SocratePlatone hanno preteso di imprigionare nei concetti l'esistenza. La tragedia muore suicide con Euripide, dove non ci sono né Dioniso né apollo, un nuovo demone che si chiama Socrate. Non porta più sulla scena gli dei, ma porta l'uomo sulla scena: trasforma l'azione drammatica in aziona razionale, rappresentando lo squallore della quotidianità. La tragedia è degenerata, e il mito tragico diventa racconto realistico di vicende razionalmente concatenate, portando il mondo occidentale alla decadenza. Nietzsche continua a dibattersi in un mondo in una continua lotta in cui nessuna logica può portare ad un effetto rasserenante. Non si capisce perché siamo nati e perché siamo inevitabilmente destinati alla fine. Crede che la morte dello spirito tragico, che dà conto dell'esaltazione dell'esistenza sia avvenuta con Euripide, che elimina gli dei per riempirla con gli uomini. La tragedia euripidea è agli occhi di N. una forma degenerata che indica un’età di decadenza che continua per secoli, per millenni. Crede che Wagner sia l'opera completa che recupera i livelli della tragedia antica. Nell'arte, solo nell'arte, non certo nella filosofia tradizionale né nella scienza la tragicità può trovare adeguata espressione e può tradursi in esperienza vitale, può tradursi nella riappropriazione di quanto la vita esprime in termini di gioia e di dolore. Solo come esperienza estetica l'esistenza e il mondo secondo Nietzsche trovano una giustificazione. Dopo la “nascita della tragedia” Il primo periodo della giustificazione Nietzschiana è determinata da un rapporto essenziale con la filosofia greca. Si occupa ripetutamente del pensiero antico. Legge Platone e legge i presocratici, soprattutto Eraclito. Eraclito era il filosofo dei contrari, delle opposizioni, quello che identifica nella guerra il senso dell'esistenza. Subito dopo la pubblicazione della “nascita della tragedia”, tra il 72 e il 75 Nietzsche prepara un testo che avrebbe dovuto avere per Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org titolo “libro del filosofo” e di cui verrà pubblicato postumo solo uno scritto preparatorio intitolato “filosofia dell'antichità tragica”, in perfetta continuità con la sua prima opera. In esso postula una frattura tra i presocratici e Socrate e Platone. Si tratta di una cesura ineliminabile, irreversibile. Nel pensiero dei presocratici vibra il senso del tragico, esplode la dimensione dionisiaca che non c'è più in Socrate e in Platone. Alla filosofia tragica delle origini, così come la tragedia di Eschilo e Sofocle, si sostituiscono le convinzioni che applicando la ragione si può trovare un senso alla propria vita. Alla parte artistica dei presocratici si sostituisce il meccanismo sterile della dialettica delle idee. I presocratici sono stati grandi uomini, personalità eccezionali, in grado di esprimere un ideale della vita filosofica a pieno. In essi individua l'atto creativo del sapiente che dà un senso alle cose a partire da sé. I presocratici sono stati i purificatori, i guaritori della cultura greca. In Eraclito Nietzsche individua la radice del suo stesso pensiero. Il primato del divenire l'azione del tempo, il primato del divenire sull'essere, il flusso del tempo nella sua inesorabilità come unica dimensione veritiera del reale. L'unità degli opposti per cui il linguaggio si costruisce per antitesi, per contrapposizione, quindi la nozione di ingiusto si rinvia a quella di giusto. Questi sono i motivi ricavabili dai frammenti eraclitei nella quale Nietzsche vede affermata l'unità tra apollineo e dionisiaco. Nel frammento di Eraclito in cui si dice che il tempo è un bambino che gioca ai dadi con il mondo senza conoscere le regole della sua partita Nietzsche ritrova la sua stessa intuizione dell'assenza di senso del divenire. Vede così confermata la sua concezione puramente estetica dell'esistenza. Nel 1873 c'è un altro scritto in cui N. sviluppa una critica del concetto positivistico di verità. É un testo che non viene pubblicato, raccolto solo postumo. Contiene una tesi che anticipa con grande originalità temi tipici della filosofia novecentesca. In quest'opera N. sostiene che il linguaggio sia una convenzione, quindi lontano a rappresentare la realtà delle cose. É solo un sistema di metafore liberamente prodotte. Egli si muove sul terreno indicato dai sofisti, in particolare da Protagora, ovvero che “l'uomo è misura di tutte le cose”. In sostanza N. ripete con il Gorgia critico di Parmenide che ciò che noi chiamiamo verità è una delle infinite interpretazioni del mondo prodotte dell'intelletto umano. É solo un provvisorio configurarsi di opinioni. É il risultato del prevalere a livello individuale e collettivo di determinati orientamenti e interessi, determinati interessi di forza. Come già nella nascita della tragedia l'uomo socratico- platonico, il quale crede che i concetti siano l'essenza delle cose N. contrappone anche qui l'artista, che invece crea. L'artista non è guidato da concetti ma esclusivamente da intuizioni. Emerge in questo modo uno dei temi decisivi del pensiero Nietzschiano, ovvero il tema del prospettivismo, che ritorno come motivo in tutta l'opera nietzschiana. I temi emersi nella nascita della tragedia e in altri scritti non pubblicati trovano il loro svolgimento in una raccolta di quattro saggi che va sotto il titolo di “considerazioni inattuali”. Sono 4 saggi: uno dedicato a David Strauss, iniziatore della sinistra Hegeliana uno dedicato a Schopenhauer, intitolato “Schopenhauer come educatore”. Ci dà la misura del riconoscimento operato da N. operato da S. anche se non indica l'assoluta adesione di N. al messaggio schopenhaueriano. É stato un educatore perché ha demistificato le costruzioni illusorie dell'idealismo e del positivismo, ma non condivide gli esiti del pessimismo. Per S. la concezione pessimista portava alla Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org rinuncia, alla rassegnazione, all'auto-sottrazione alla vita. uno dedicato a Wagner uno dedicato alla storia, intitolato “sull'utilità e danno della storia per la vita”. Qui Nietzsche fa i conti con gli eccessi della cultura storicistica della sua epoca. La tesi di questo saggio è che quando la storia opprima la vita bisogna disfarsene in fretta per non esserne sopraffatti. L'Ottocento secondo N. soffre di una malattia storica, tra cui l'eccessivo legame con il passato, l'atrofizzazione di ogni elemento attivo. L'eccesso di senso storico è il segno inequivocabile della decadenza. Gli uomini si riducono a vivere solo nel passato. Diventano passivi spettatori del già fatto, del già detto. Quando un uomo, un popolo, una civiltà sono pressati dalla mentalità storicistica insorge in essi la convinzione che niente di nuovo possa mai accadere, che tutto sia già stato deciso. Viene meno la forza per costruire il futuro. Costruito nella sua interazione con il passato l'uomo smette di vivere nel presente. L'eccesso di storia è pericolosissima per la vita. L'uomo risulta indebolito, schiacciato. Nel mondo tedesco in cui il romanticismo ha la sua originaria affermazione la passione per la storia è moltiplicata, e il surplus è superiore a quanto possa fare suo, trasformati in enciclopedie ambulanti. Gli uomini moderni non ricercano più in sé stessi qualcosa da dire, qualcosa da dare, qualcosa da fare, e quindi perdono il contatto con la loro interiorità. Non si fanno più un vestito loro, ma continuano a portare l'abito delle convenzioni che stancamente, pedissequamente perpetuano, imitano. Quella dell'uomo ottocentesco appare a Nietzsche solo una cultura riproduttiva che ha portato alla decadenza. Per N. è necessario agire in modo non storico, la vita ha bisogno di oblio, di dimenticare. É un’arte quella del dimenticare che va imparata in fretta in modo di potere agire secondo quel grado di incoscienza senza il quale senza il quale non c'è infelicità, c'è solo paura di non reggere il confronto con il passato. É chiaro che il motivo che sta alla base di queste affermazioni Nietzschiane è tipicamente romantico: chi non sa fissarsi sull'attimo dimenticando il pregresso ma continuando a sentirne lo schiacciante confronto non potrà mai essere felice. Nietzsche parla poi della storiografia monumentale: è l'atteggiamento di chi ha aspirazioni, di chi si proietta nel futuro e di chi per portare avanti ha bisogno di modelli, di maestri che non riesce a trovare nel presente. L'obbiettivo di colui che usa per questo scopo la storiografia monumentale è la realizzazione di sé come individuo e come collettività umana, per il quale non pretende alcun premio né riconoscimento. A quest'uomo la storia serve come antidoto contro la rassegnazione, deducendo come grandi azioni siano perfettamente possibili. Certo il rischio della storiografia monumentale è quello di mitizzare il passato, e per questo può ingannare trasformando l'entusiasmo in fanatismo. Fase 1878-1882 La fase illuministica è la fase che si innesta nella fase del superamento del Nietzsche romantico, del superamento delle opere giovanili. Non crede che l'arte abbia una funzione catartica, non crede nella possibilità di una alternativa. Quello che adesso lo impegna è una critica a tappeto nei confronti di tutto quello che è stato fatto. Non si salva nessuno: non si Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org salva la religione, la metafisica, i grandi modelli culturali ottocenteschi e quindi la cultura romantica. Il distacco da Wagner e Schopenhauer Vede la pubblicazione di tre opere importanti, che sono “Umano, troppo umano”, “Aurora” e “La gaia scienza”. Questa trilogia segna la rottura di Nietzsche rispetto a quelli che sono gli eroi della giovinezza, ovvero Schopenhauer e Wagner. Egli rinnega quelle muse e si libera della metafisica di Schopenhauer e dell'arte wagneriana perché è uscito dall'orizzonte tipico del romanticismo nel quale si era calato. Egli è adesso alla ricerca di una nuova e più personale espressione. D'altra parte, fin dalla nascita della tragedia, il rapporto con Schopenhauer non era un rapporto perfetto: riconosceva il merito di non essersi fatto blandire dal positivismo ma non condivideva il pessimismo e l'auto-sottrazione nei confronti della vita. In più, arrivato alla seconda parte degli anni 70 dell'ottocento Nietzsche comincia ad essere sempre meno convinto della capacità di Wagner di rappresentare una rigenerazione per la cultura europea e soprattutto tedesca del secondo ottocento. Wagner si è rivelato troppo attento ai suoi privati interessi, affascinando Ludwig di Baviera (sovrano di Baviera). Nel 1877 Wagner scrive il Parsifal, ispirata al Santo Graal, che si incontra con il cristianesimo, e ciò appare a Nietzsche un tradimento. La formazione scientifica Questo distacco assume un significato filosofico: non pensa più che il rinnovamento della cultura possa avvenire sul piano estetico come aveva pensato fintanto che risultava confermata la sua adesione all'atmosfera romantica. Nel suggerire i nuovi orientamenti sicuramente sono state decisive le nuove letture a cui Nietzsche si è dedicato, tentando di coprire una carenza della sua formazione. Nietzsche aveva avuto una formazione classica e spiccatamente umanistica, in cui mancava la frequentazione con la cultura scientifica. Allora egli cerca di coprire queste sue lacune, scrivendo trattati di fisica, di chimica, ... Affronta anche i testi dei grandi moralisti francesi. Quindi passa dall'arte all'interesse per la scienza. L'arte va subito sul banco degli imputati. Si accusa l'arte di essere solo un castello di illusioni che la critica scientifica deve mascherare. Non è più la forza che può fare uscire la civiltà moderna dalla decadenza, ma è una forma di cultura separata. L'artista esprime un profilo debole, una scarsa attenzione nei confronti della conoscenza, nei confronti della verità, essendo superficiale e soggiacendo esclusivamente al richiamo delle emozioni. La concezione dell'artista è solamente mitica, al fronte della quale c'è la posizione più matura espressa dalla cultura scientifica. Precisiamo però che l'intendimento Nietzschiano di scienza: non intende né l'insieme delle scienze specialistiche del tempo né il razionalismo tipico del pensiero occidentale, che corre da Socrate ad Hegel. Quella razionale ed occidentale è per Nietzsche una scienza che è un nemico della cultura: la scienza è, nella sua concezione, analisi critica, esercizio del dubbio, sospetto elevato a metodo. Da questa scienza non ci dobbiamo aspettare un’immagine del mondo più vera di quella creata dall'arte. Dobbiamo aspettarci un modello più spregiudicato, più libero. La scienza può aiutarci a rischiarare il mondo delle rappresentazioni nonostante tutti gli errori che costellano la sua storia. La consapevolezza dell'ineliminabilità degli errori che caratterizzano la scienza fanno di Nietzsche un Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org anticipatore dell'etimologia del novecento, distaccandosi dal positivismo. Anticipa la concezione tipicamente novecentesca della scienza, del lavoro dello scienziato. Proprio in analogia con quello dello scienziato il metodo del buon filosofo è un metodo critico e storico: critico perché egli utilizza il sospetto come criterio di analisi anche dei contenuti ritenuti certi e quindi dati per scontati, ed è questo metodo anche storico, nel senso che il filosofo non deve credere all'esistenza di verità eterne, assolute, concependo l'uomo come risultato, come prodotto delle circostanze storiche. Nietzsche diventa illuminista tanto che dedica a Voltaire la prima edizione di “umano, troppo umano”. La ricerca non può prescindere dal momento empirico, dai dati sensibili. Quindi dell'illuminismo recupera questi aspetti, mentre rifiuta l'enciclopedismo settecentesco, poi ripreso da Comte. Umano troppo umano Si fa avanti in Nietzsche l'interesse per l'antropologia: tutti i suoi interrogativi si concentrano sull'uomo e conseguentemente si sconvolge la concezione della vita. Non interessa più la vita dell'universo ma quella dell'uomo. Proprio questo concentrarsi sull'uomo motiva in N. un attacco violento nei confronti del concetto di trascendenza. È cattiva filosofia quella che raddoppia il mondo immaginando idealisticamente una realtà contrapposta ai dati fenomenici. La realtà è apparenza, e niente, neanche la scienza può condurci alla cosa in sé. Esiste l'umano, il troppo umano, rispetto al quale il sovrumano è solo un'illusione, una favola e frottola che ci raccontiamo per accettare quella che è la dimensione limitata e terrena della nostra esistenza. Le ipotesi metafisiche così come quelle religiose sono il frutto di un inganno a cui l'uomo volontariamente soggiace, avendo paura della fine dell'esistenza. Proietta in un ipotetico aldilà la possibilità di continuare a vivere. Si racconta bugie proprio per tollerare il sentimento forte della limitatezza della propria esistenza. La metafisica diventa ciò il proiettarsi al di là dell'esistenza concreta a cui gli uomini non si sottraggono. Bisogna però riscattarsi. I modelli ottocenteschi sono solo dei sottili imbrogli che hanno lo stesso fine: idealismo ha l'assurdo fine di avere una comprensione totalizzante della realtà dominata dal pensiero e il positivismo è il prodotto di un ottimismo ingenuo e sciocco, che ha ridotto la scienza a calcolo e ad apparato strumentale. Oltre i sistemi metafisici viene messa in accusa anche la Morale. Crede che essa sia fondata su valori che non corrispondono alle esigenze sentite dalla soggettività umana. Sono il frutto di costruzioni attraverso le quali ci si illude di avere una presa sulla realtà. La morale, che è scaturita da inganni, va condannata. La morale assoggetta la vita a valori ritenuti trascendenti mentre invece i valori che sono alla base del nostro essere, il motore dei nostri comportamenti si radica nella vita stessa. La vita è creazione continua di forme, ma quando ci sono valori di riferimento lo sviluppo viene bloccato. Non c'è quindi bisogno di morale, ma di una nuova chimica di idee, riportando la filosofia alle domande a cui è nata. Occorre riportare la filosofia a quando i filosofi greci delle origini, prima di Platone e Aristotele si chiedevano come possa nascere una cosa dal suo contrario cercando gli elementi semplici della realtà. La metafisica della tradizione occidentale ha negato che le cose siano il risultato della lotta tra contrari, ha preteso che le idee e i valori del mondo avessero un'origine superiore, provengano dall'alto, da Dio o da una misteriosa cosa in sé. Nietzsche adesso vuole smascherare come i grandi sentimenti dell'umanità sono illusioni, bassi e umani e anche Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org spregevoli. Dietro ogni ideale si scopre così il suo opposto. L'altruismo non è che una maschera dell'egoismo, la santità non è che lo spirito di vendetta. L'uomo agisce esclusivamente spinto dall'istinto di conservazione cercando di evitare il dolore. Anche la conoscenza che anima il soggetto umano è tutt'altro che pura e disinteressata, avendo dietro di sé la vita stessa che è uno scontro di forze. Dio qui nascono le morali, con tutte le funzioni e strategie. La Gaia scienza È possibile un’umanità libera dalle illusioni? È possibile che l'uomo recuperi la forza per vivere in modo autentico cioè secondo la sua natura. Nietzsche risponde al momento affermativamente. Protagonista di questa liberazione non è l'arte, ma lo spirito libero. Esso non crede ciecamente alla ragione ma pone continuamente domande, è il grande scettico che non ha soggezione, non ha rispetto nei confronti delle illusioni che gli altri hanno creato. È lo spirito libero a caccia della verità, senza farsi illusioni. Ha la gelida freddezza del pensiero radicale che come un bisturi penetra le carni dell'esistenza. Quello dello spirito libero è un mondo organizzato sul principio della gaia scienza. È libero dalla paura, e la sua etica è quella della responsabilità e del coraggio, caratteristiche degli uomini artefici del proprio destino. Nietzsche cita Colombo, che ha saputo dire addio al vecchio continente facendosi largo in un nuovo mare che era una colossale incognita. La storia occidentale pullula di spiriti liberi e però pullula anche degli avversari degli spiriti liberi, cioè degli inventori delle grandi ipocrisie moralistiche, come Socrate, Rousseau e molti altri. Aurora Però, posto che l'uomo dell'Ottocento appare agli occhi di Nietzsche appare prigioniero in un castello di illusioni, è possibile fare a meno delle illusioni? È possibile scrollarsi il peso inibente delle codificazioni per cui questo si può fare, questo no, questo è il bene, l'altro no...? Ci sono esempi di personalità che sono andati contro tutti, abbandonando le acque del Mare Nostrum per abbandonarsi nella novità insondabile dell'oceano. Un esempio è colombo, che Nietzsche identifica in uno spirito libero, tema chiave nella successiva discussione Nietzschiana. È la vita in sé da considerarsi un valore. E dare sufficiente spazio al valore della vita significa credere nei grandi progetti che vivendo si possono esprimere. Certamente lo spirito libero è una specie di Caronte, una figura di passaggio che si lascia alle spalle il vecchio andando verso il nuovo senza potere identificare con chiarezza questo “nuovo”: In “Aurora” si chiede “Andando, dove vogliamo andare? Vogliamo andare al di là del mare? E perché si sceglie una direzione e non un’altra?”. Anche gli uomini dell'Ottocento hanno cercato di raggiungere l'India, essendo però destinati a naufragare all'infinito. In conclusione: la fase illuminista Nietzsche ha sentito con forza la necessità del cambiamento, però si è fermato ad una filosofia del mattino, che non ha saputo assumere la forma di un pensiero definitivo. L'immagine della filosofia del mattino ci indica che non abbiamo a che fare con una dottrina vera e propria: nelle opere della fase illuministica, la scrittura nietzschiana, che è un insieme di aforismi, sembra accumulare, in modo disordinato, materiali che non riescono ad assumere una forma sistematica. Nei mesi del 1882, quando compone l'ultima opera di Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org questa fase ovvero “La Gaia Scienza”, egli sembra assumere un periodo di relativa serenità interiore, e pensa ad un uomo che sottratto al dominio della religione, liberato dalle catene della morale e non più ossessionato dalla metafisica. L'uomo può intendere la vita come esperimento: lo spirito libero si riappropria della propria esistenza, inventa con coraggio il proprio comportamento e gioca con il rischio, con l'incertezza e con la situazione di squilibrio in cui si può elevare ma anche precipitare. Se non ci sono regole prefissate a cui attenersi, la vita dello spirito libero diventa essa pura libera. E quindi la scienza di cui è capace lo spirito libero è Gaia: non ha più le pesantezze, la seriosità che tradizionalmente si connette al sapere. Lo Stato d'animo dello spirito libero consapevole per la prima volta della propria libertà si abbandona al gioco, al divertimento, all'ebbrezza di tipo dionisiaco, diffidando delle spiegazioni generali del mondo. Lo spirito libero sta benissimo nella superficie del mondo, senza scendere in profondità, senza costruire un senso che trascenda l'esistenza nel suo concreto darsi. Avere i connotati dello spirito libero è guardare alla vita con leggerezza pur essendo consapevole che vivere non è facile e che ciò comporta il cimento con le contraddizioni. Ciò si traduce però con la massima felicità possibile. Dio è morto Nella “Gaia scienza” lo spirito libero annuncia una verità tremenda: “Dio è morto, perché siamo stati noi ad ucciderlo”. Il cristianesimo lo dice da Duemila anni, ma non ha lo stesso significato. Il concetto di morte di Dio non ha per Nietzsche alcun significato psicologico, non significa quindi che gli uomini non credono in Dio, né rappresenta una tesi metafisica di tipo ateistico, una tesi metafisica circa la non esistenza di Dio. Essa ha invece il valore di una constatazione: l'uomo dell’Ottocento, quando si è liberato di tutta la zavorra, si deve rendere conto che non c'è più un Dio avente la funzione di salvarci. Oltre gli uomini ci sta solo il nulla. Si tratta di un annuncio terribile, che porta paura ma del cui contenuto bisogna prendere atto. Perché dio è morto? È morto perché il mondo moderno è investito da una crisi mortale, una crisi che ha sprofondato l'uomo nell'angoscia, nell'assurdo, nel non senso. Proclamando la morte di Dio Nietzsche intende riassumere in una formula ad effetto il fatto che il mondo moderno è dominato dal nichilismo (dal latino, nulla, niente). Egli intende per nichilismo la circostanza per cui gli ideali e i valori su cui -con riferimento al cristianesimola civiltà europea ha costruito per secoli le proprie regole comportamentali hanno rivelato il nulla che stava alla base di quelle regole. L’umanità risulta ripiegata su sé stessa, e non crede più nei propri valori né nei propri scopi. Quei valori e quegli scopi che hanno caratterizzato l'orizzonte dell'occidente cristiano, anche il valore supremo perde significato. Dio stesso si rivela essere la nostra più grossa menzogna: la morte di Dio è il segno della tragicità della sua epoca. Con la morte di Dio la terra si snatura e l'umanità, rimasta orfana, privata del fondamento su cui poggiava corre irreversibilmente verso la decadenza. Se Dio è morto non ha più senso parlare di morale, in quanto essa è associata all'idea del peccato (il contravvenire ai dettami di Dio). Se Dio è morto non ha più senso parlare di giusto, di ingiusto, di lecito, di illecito. Non ha più senso domandarsi dove l'uomo stia andando, né da dove sia venuto. Nell'aforisma 125 l'uomo si chiede “stiamo andando verso qualcosa? Non sembra. Sembra un eterno precipitare, un vagare nel nulla”. La categoria chiave è quella del nichilismo. Questo termine ha una funzione diagnostica, individua la condizione Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org pessimistica e passiva di un’umanità per la quale niente ha più senso. Nell'epoca della crisi dei valori l'uomo è costretto a prendere atto dell'insensatezza del mondo, e questo gli produce che cosa? Un sentimento di perdita, un sentimento di dolore, che presto o tardi si trasforma in risentimento, in odio nei confronti della vita. La posizione è ontologica e storica insieme: riguarda l'essere e il tempo, in quanto nel corso della evoluzione umana e della sua civilizzazione, la metafisica e la morale hanno perso le loro giustificazioni, la loro necessità e si è prodotta una situazione davvero pericolosa per cui l'essere si confonde con il nulla. Che giustificazione ha abitare la terra? Che senso ha vivere? Nella “Gaia Scienza” si chiede cosa ci resta da fare. Dovremmo provare a diventare noi dei, ad assumere le prerogative che la tradizione ha attribuito a Dio per diventare un po' più degni di vivere? Questa domanda traghetta dal nichilismo passivo verso quello attivo. Ma trasformare il nulla in una nuova prospettiva è a portata solo di un soggetto particolare che Nietzsche chiama “superuomo”, il quale non si accontenta di visitare il cimitero dei valori defunti, ma si fa personalmente promotore dell'eliminazione di quei valori, preparando attraverso la distruzione l'avvento di una nuova umanità. Si esaurisce con questo motivo la fase illuminista della ricerca Nietzschiana in quanto il terreno è pronto per la proposta di Zaratustra. Così parlò Zarathustra “Così parlò Zarathustra” è l'opera che Nietzsche compone tra il 1883 e il 1885, e rappresenta l'unico tentativo (fallimentare) di una pars construens del sistema nietzschiano. Era stato acuminato nel criticare. Nelle opere giovanile aveva criticato la perdita dei valori della tragedia, poi aveva criticato gli eccessi della cultura storica, e nella fase illuministica aveva demolito tutto il resto. Ora vorrebbe costruire qualcosa, vorrebbe formulare un'alternativa. Si sente pronto ad elaborare un suo programma di rigenerazione. Esso parte dall'annuncio della morte di Dio. Con ciò intende non la constatazione della fine delle religioni, del loro superamento, ma bensì sta ad indicare l'avvento del nichilismo. Il nichilismo è il senso di nulla, di annientamento che rappresenta l'esito conclusivo che l'occidente ha cominciato a manifestare dopo l'inizio del razionalismo socratico-platonico. La morte di Dio è solo l'ultimo sintomo, quello più esplicito, della tragicità dell'epoca. Succede agli occhi di Nietzsche l'esatta antitesi prospettata dalla scuola eleatica, la distinzione tra essere e non essere. Agli occhi di Nietzsche si presenta una situazione in cui essere e nulla si confondono nel momento in cui il nulla occupa quello che era lo spazio dell'essere. Se la vita dell'uomo si è ridotto a questo, quale compito può contrassegnare la dimensione umana? Quale senso ha continuare a vivere? Dobbiamo concludere secondo le indicazioni forniteci da Schopenhauer? No, non ci si rassegna all'esistenza coincidente con il nulla, ma il nichilismo da passivo può diventare attivo. A fare questo salto deve essere un uomo, andando oltre un'umanità che si è lasciata annullare. Per indicare la venuta di questa umanità nuova ci vuole chi predica e diffonde una concezione diversa della vita. Nietzsche scrive un'opera stravagante, difficile anche da rubricare alla voce trattatistica filosofica. È splendida dal punto di vista letterario, ma meno dal punto di vista filosofico. Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org La dottrina dell’oltreuomo Nietzsche immagina che sia tornato sulla terra un antico profeta persiano, Zarathustra, vissuto tra il terzo e il secondo millennio a. C. E questo profeta si incarica di andare per le piazze predicando l'avvento di un'umanità nuova. I tre insegnamenti fondamentali che sostanziano questa predicazione sono la dottrina dell'oltreuomo, quella del eterno ritorno e quella della volontà di potenza. Per il suo essere un saggio elevatissimo di letteratura lo Zarathustra si presenta come inedito, ma le tematiche sono riconducibili a pensieri già intravvisti negli scritti della fase illuministica. Negli scritti della fase illuministica ci sono uomini che rischiano, si mettono in gioco, che si scrollano di dosso il binario precostituito e codificato della tradizione. E il superuomo, o oltre-uomo è l'uomo non dotato di prerogative eccezionali (non è Superman), ma è un uomo che viene dopo in senso temporale. Alla folla raccolta nella piazza del mercato cittadina viene comunicato il messaggio. Zarathustra dice: “io sono qui per insegnarvi il superuomo, e quando dico superuomo intendo dire che l'uomo così come è ora va superato. Tutti gli esseri hanno creato qualcosa più alto di sé stessi, e voi, uomini del mio tempo, cosa volete fare? Volete retrocedere a bestie o volete andare oltre a voi stessi”. Le opere di Nietzsche sono state interpretare come profetizzanti della gloria tedesca che ha portato alla prima guerra mondiale. D'Annunzio non legge N. ma solo quella che è un'immagine adulterata, assolutamente non intesa correttamente di N . Il superuomo di N. è semplicemente colui che sta oltre l'uomo presente, esattamente come l'uomo del presente sta oltre la scimmia. Nietzsche aveva letto l'evoluzionismo darwiniano, che lo influenza. Il superuomo è la tappa evolutiva che l'umanità deve compiere dopo essersi lasciata alle spalle la condizione animale. Queste formule evoluzionistiche hanno fatto largamente discutere, portando nei primi decenni del Novecento ad interpretazioni semplicistiche e quasi sempre fuorvianti. Questa lettura sarà caricata dalla sorella e poi ripresa dal Nazismo, che fa del filosofo tedesca un anticipatore del primato della razza ariana. Si fraintenderebbe il significato del concetto di superuomo se lo si prendesse come momento centrale di un'antropologia di tipo evoluzionistico. Quindi la parola oltreuomo permette di distinguere il tipo di uomo vagheggiata da Nietzsche e un’interpretazione che lo descrive in modo distorto. È una via di mezzo tra uno spirito libero e un uomo avventuriero, che riscatta e dona la virtù che in sostanza ha una disposizione dionisiaca verso la vita che lo pone al centro del mondo animato da gioia, in fiducia in sé stesso e negli altri. Il tutto senza metter in ombra il pessimismo. L’eterno ritorno Il superuomo, dopo aver toccato il fondo con il nichilismo fa tabula rasa dei valori che hanno portato allo stesso per rapportarsi alla realtà in modo diverso. Il superuomo è una figura mitica, archetipo del pensiero, non identificabile in qualcuno anche se non trascende l’umano (non è divino). È un uomo che si impegna ad accettare la vita pur consapevole che non è gratificante e non vi è possibilità di riscatto. Nietzsche riferisce il superuomo alla dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale. Si tratta di un concetto ambiguo, difficile da Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org interpretare. Nietzsche lo definisce “più abissale dei suoi pensieri”. Viene accennato anche all’interno dell’aforisma 341 della Gaia Scienza, senza però qualificarlo. All’interno della terza parte dello Zarathustra Nietzsche cerca di dare un’esposizione più articolata. La dottrina è presentata come risultato di interazioni: il tempo non ha fine e per questo il divenire non ha uno scopo; E dunque il corso del mondo non è retto nel piano provvidenziale. Il tempo non procede in modo rettilineo cero una trascendenza né verso una finalità immanente (il trionfo della ragione come nell’illuminismo e idealismo). Il mondo è prigioniero i un errata concezione lineare del tempo secondo la quale tutto è destinato ad una meta. I movimenti verso la meta sarebbero dei gradini di avvicinamento verso ciò a cui si tende. Nietzsche dice che si tratta di illusione costruite: il tempo non è più lineare, bensì circolare. Non c’è fine né scopo, e ciò ci obbliga a una concezione fatalistica, in cui ogni istante è destinato a ripetersi? Non può più accadere niente di nuovo? La vita sarebbe inutile in quanto imprigionata in tale circolarità? Nietzsche dice che ha senso invece, mentre abbandonarci alla ciclicità non ci sottrae dal nichilismo. Non bisogna accettare dunque le cose così come accadono. Il superuomo volontariamente accetta come sua la legge universale che gli altri esseri e gli altri uomini accettano ciecamente: trasforma il caso in volontà. Nasce una nuova concezione dell’agire umano. In una visione lineare del tempo, ogni istante ha senso solo se legato agli altri (istanti), e l’uomo si muove verso una fine che va oltre i singoli momenti. In una visione circolare, ogni momento (ogni singola istanza) possiede tutto il suo significato. Il superuomo accetta il tempo non con rassegnazione, bensì con determinazione. Egli vive l’attimo come se fosse l’eterno. L’attimo merita di essere vissuto come se non avesse fine (sembra carpe diem di Orazio). Conseguentemente la vita vince sulla morte in quanto l’attimo riassume e comprese la totalità del ritorno e del divenire. Nietzsche crea immagini molto suggestive, ma sta facendo ciò che aveva criticato: costruisce illusioni. Di fronte al tempo circolare in cui prevale il primato dell’attimo bisogna muovere dal presente vissuto pienamente, non affidandolo al caso, ma alla determinazione. Inoltre bisogna vivere l’attimo in modo di desiderare di riviverlo. Solo in una struttura ciclica è possibile la piena felicità, mentre nella struttura lineare ciò non è possibile in quanto gli attimi sono connessi tra di loro. Gli attimi sono possibili solo se il superuomo aderisce alla legge dell’eterno ritorno. Solo il superuomo può volere l’eterno ritorno, ma il superuomo può dispiegare la propria volontà solo in tempo ciclico. La volontà di potenza La volontà di potenza è una caratterista del superuomo. Si tratta di un concetto presente in Zarathustra, ma anche in altre opere successive. La volontà di potenza risalta la nozione di potere, dominio e quindi conseguentemente di prevaricazione e violenza. Ma Nietzsche intende qualcos’altro con questo termine: indica anche il dominio di sé che già appare in opere illuministiche, contrapposto alla prevaricazione barbara. Nietzsche cita le religioni orientali, in particolare il brahmanesimo, che si fa portatore di una concezione di potere nobile fondato sulla padronanza della potenza. La volontà di potenza non è dominio, Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org affermazione sull’altro come dicono i nazisti. Il superamento dei valori che avevano portato al nichilismo comporta la resurrezione dell’uomo padrone del proprio destino con la volontà che pretende di affermarsi. La volontà di potenza è di chi ha volontà di affermare la propria visione sul mondo, già presente nella Grecia nel concetto di agonismo. In un saggio dei primi anni 70 dell’Ottocento, durante la fase giovanile, l’”Agone omerico”, Nietzsche contesta un’immagine sbiadita chela tradizione accademica dava di umanesimo greco. La vera natura del mondo greco non sta nel razionalismo di Socrate e Platone, ma è segnata dalla crudeltà, dal gusto per la distruzione, la gioia che si ricava vincendo. Gli scrittori greci erano chiamati a gareggiare scrivendo su temi importanti in concomitanza con le Olimpiadi. Dai greci si può quindi imparare una lezione: non c’è vita senza istinto di potenza. È un istinto che i greci hanno imparato ad esprimere creativamente. La volontà di potenza è la tendenza espressiva a superare sé stessi, non è solo tendenza vitalistica (diversa dalla volontà di vivere di Schopenhauer, che ha rinnegato il piacere per cercare illusoriamente la libertà nell’ascesi). L’immagine che Nietzsche dà corrisponde a quella dell’artista creatore, pur con una concezione di arte differente dalla fase romantica. Non è più l’arte intesa come catarsi per placare la passione, ma si dissolve in sentimentalismo. È l’arte tragica che parte dalla concezione di un uomo che non si rassegna pur le difficoltà della vita. Dopo la filosofia del mattino La concezione dell'eterno ritorno è contraddittoria e ambigua. Nietzsche ammette indirettamente di non essere perfettamente in grado di controllare il significato di questa categoria. La volontà di potenza non ha decisamente un significato aggressivo e prevaricatore. Lo “Zarathustra” è una bella opera dal punto di vista letterario, ma come momento costruttivo della sua filosofia certamente non regge. Nietzsche non dice come costituirsi come oltreuomo. Nell'eterno ritorno, dimensione necessaria al superuomo, siamo in grado di avvicinarci solo per approssimazioni massicce. La volontà di potenza è descritta come diritto/dovere dell'individuo, che ha solo la vita con le sue contraddizioni, di vivere a pieno. L'opera è quindi inconsistente. Il fallimento è ribadito dal fatto che dopo Zarathustra egli torna a criticare in un’accesa polemica. Dopo questa filosofia del mattino egli critica le menzogne della morale e della religione. Il mondo è dominato dal militarismo prussiano successivo all'unificazione, dominato dalla meschinità del mondo vittoriano per quanto riguarda l’Inghilterra, dominato dalla logica perversa per cui tutto è merce, dominato dagli stati forti e iperburocratizzati, e l'uomo vive comportamenti anonimi e ripetitivi. La vita è preordinata secondo valori statici e opprimenti. Sembra prigioniero di caselle in cui la sua volontà è inserita. Le caselle sono costituite dalla società, dallo stato, dalla famiglia. L'uomo obbedisce solamente, teso a fare tutto quello che gli altri si aspettano faccia, ovvero che compia il suo valore. L'uomo dell'Ottocento appare a Nietzsche la vittima di un sistema di certezza prodotto dall'intelligenza occidentale, il quale lo porta a tenere la responsabilità individuale, a nutrire Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org un forte senso di colpa per la propria mancanza di volontà. Per colpa della filosofia l'uomo ha creduto che l'attività intellettuale lo potesse riscattare, e per questo ha imparato ad agire solo in base a ragionamenti, soffocando gli istinti. Per questo motivo il paesaggio della vita interiore dell'uomo ottocentesco è abitato solo da astratte dicotomie: bene e male, virtù e vizio, premio e colpa. In tutto questo cosa rimane della vita? Nulla, assolutamente. Nietzsche si impegna in una critica senza quartiere della morale e della religione. Proprio nella misura in cui è evidente l'avvicinarsi del tracollo psichico finale, nelle opere scritte dal 1886 fino al 1888, lo spirito critico e lo spirito polemico si traducono in una noiosa pantomima in cui se la prende con tutto e tutti, ripetendo motivi già detti. Sono tanti i titoli di questo triennio: sembra che presagisca la fine della sua lucidità e sia quindi spinto ad un lavoro febbrile di scrittura, solo che dice poco e lo dice in modo poco brillante. L'unica opera di questo periodo che meriterebbe di essere considerata è la “Genealogia della morale”, dove ci sono spunti critici interessanti. “Al di là del bene e del male”, “l'anticristo”, “Nietzsche incontra Wagner” sono altre opere di questo ultimo periodo. Il destino della filosofia nietzschiana Il destino della filosofia nietzschiana è un destino particolare, sia considerando le vicende drammatiche della sua esistenza, segnata dalla malattia, sia quando si vada a riflettere sugli aspetti controversi e contraddittori della sua fortuna filosofica postuma. Prima viene rapita dal nazismo tedesco che ne fa il proprio profeta, poi ci si interroga se abbia titolo di rientrare tra i filosofi, poi si revisionano i suoi testi contaminati dall'azione della sorella e dei gruppi di riferimento della sorella. Per questo dagli anni ‘60 in poi egli è oggetto di una riscoperta e parzialmente di una riabilitazione. Quando si chiude il Novecento si chiude la possibilità di identificare Nietzsche nello scenario tragico del novecento. Oggi Nietzsche ha perso un po' di importanza rispetto a quelli che sono i riferimenti culturali del nostro tempo. Nel corso del novecento le opere di Nietzsche hanno conosciuto uno straordinario successo, e, comunque, fino a pochi decenni fa le sue opere sono state molto discusse anche dalla gente comune o quasi, nella misura in cui il testo nietzschiano non ha la struttura tipica dell’opera filosofica. Il testo nietzschiano è più accattivante, si fa leggere meglio e risulta meno difficile al primo impatto. Non esiste pensatore altrettanto noto, seppure per le poche schematiche categorie chiave del suo pensiero: il superuomo, la volontà di potenza e l’eterno ritorno. È un'influenza che indubbiamente non va sottovalutata. Non sono mancate sbrigative condanne o acritiche esaltazioni, e non è mancato nemmeno chi ha interpretato la sua figura come una anomalia, un incidente del pensiero moderno da mettere tra parentesi come per tutte le anomalie. All'origine delle diverse interpretazioni c'è il fatto che Nietzsche non si limita a presentare una propria concezione filosofica, perché quando tenta di costruirla fa fatica a concluderla. In Nietzsche vale la critica costruttiva, corrosiva, aggredendo la filosofia in quanto tale, attaccando i valori ritenuti dalla tradizione assoluti e quindi inattaccabili. Come hanno scritto in tanti nei testi nietzschiani il pensiero filosofico viene presentato di volte in volta come macroarchitettura atta ad ingannare l'uomo circa i suoi veri interessi. Come un castello di ipocrisie che tace i veri motivi, le vere finalità delle azioni umane. Nei suoi scritti egli processa non solo la cultura ma l'intera società e l'uomo moderno in quanto tale. Nelle sue pagine viene Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org denunciata la spaccatura affermatasi nella società moderna tra i concreti problemi e i concreti bisogni degli uomini da una parte e una cultura sempre più astratta, sempre più esangue devitalizzata dall'alta. Attacca una civiltà che ha perso i suoi vecchi valori ma si rivela incapace di costruirne di nuovi. Una società che si è fatta abbindolare dai miti del progresso, della tecnica, della democrazia senza riuscire a trovare più il bandolo della matassa. Tra i concetti nietzschiani il più noto è+ sicuramente quello di superuomo, ma anche qui ci troviamo di fronte ad una categoria ambigua e controversa. Sotto un certo profilo fa pulizia di questa ambiguità con il concetto di oltre-uomo, ma non ci dice chi sia il superuomo. Neanche la precisazione corretta di Vattimo ci dice chi sia il superuomo. É il progetto di un'umanità nuova, perché quella vecchia è da buttare. Ma come ci si inventa oltre-uomini? Come si fa ad astrarsi, ad estraniarsi dalla propria condizione storica? Questa umanità liberata di oltre-uomini con chi coincide? Con un élite superiore privilegiata come vorrebbero le letture di destra? O come un’umanità scevra, priva dell'alienazione di cui ci ha parlato Marx, un'umanità che ha saputo superare i confini mortali dei concetti capitalistici di produzione come dicono alcuni interpreti di sinistra? Troviamo tesi per avvalorare tesi antitetiche tra loro. Non tutti la vedono assolutamente così: di Nietzsche rimane l'interesse per l'anomalia che costituisce e se vogliamo alle generazioni attuali può risultare utile l'appello, l'insegnamento nietzschiano di pensare con la propria testa, a valutare le situazioni senza aderire a questa o a quella bandiera. Pensare con la propria testa dovrebbe tradursi in un rispetto di sé stessi. Certo implica fatica, può portare anche all'emarginazione, ma queste sono pillole di saggezza che il pensiero Nietzsche ci comunica.