le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d`impresa

Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Simona FRANZONI
LE RELAZIONI CON GLI STAKEHOLDER
E LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA
Paper numero 49
Dicembre 2005
LE RELAZIONI CON GLI STAKEHOLDER
E LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA
di
Simona FRANZONI
Ricercatore in Economia Aziendale
Università degli Studi di Brescia
Indice
1. La stakeholder view nei principi aziendali............................................ 1
2. Il nuovo concetto d’impresa responsabile ............................................. 7
3. I prerequisiti per un’impresa responsabile ............................................ 9
3.1. La responsabilità degli amministratori verso la società ..................... 10
3.2. La responsabilità degli amministratori verso gli stakeholder............. 17
3.3. La responsabilità socio-ambientale..................................................... 23
4. Le relazioni tra responsabilità e cultura d’impresa ............................. 27
5. L’indagine empirica ............................................................................ 29
5.1. Il sistema industriale bresciano........................................................... 30
5.2. Le aziende analizzate........................................................................... 31
5.3. I risultati dell’indagine........................................................................ 33
Bibliografia.............................................................................................. 41
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
1. La stakeholder view nei principi aziendali
Il tema attinente alle finalità e alla concezione del ruolo dell’impresa
nella società, sta assumendo crescente rilevanza a livello mondiale, anche a
seguito, delle numerose situazioni di fraudolenza (Enron, WorlCom,
Viventi, Cirio, Parmalat, ecc.) che si sono manifestate in questi ultimi anni.
Ciò ha aperto un ampio dibattito sulle modalità di recupero di efficacia in un
contesto caratterizzato da fenomeni di globalizzazione, di ricorrente
eccedenza dell’offerta di beni sulla domanda, di frequente separazione della
proprietà dal management aziendale e di sempre maggiore esposizione e
permeabilità all’informazione da parte degli stakeholder.
Gli economisti aziendali, in effetti, hanno non di rado considerato le
relazioni tra la dimensione economica e quella sociale per l’ottimizzazione
delle performances nel tempo. Ad esempio, negli anni ‘30 del secolo scorso,
Zappa definiva l’azienda quale “coordinazione economica in atto (…)
istituita e retta per il soddisfacimento di bisogni umani” 1 . Negli anni ‘50, lo
stesso Zappa, ne approfondiva l’oggetto e poneva in rilievo la natura
durevole dell’impresa, definendola: “istituto economico atto a perdurare
che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, compone e svolge in continua
coordinazione la produzione, o il procacciamento e il consumo della
ricchezza” 2 . Con riferimento agli interlocutori sociali Zappa sosteneva che:
“gli interessi del soggetto economico d’impresa non sono appagati di solito
in misura ragionevole nel lungo andare quando non siamo moderati e
aggiustati agli interessi dei collaboratori, in questi ultimi compresi i
risparmiatori che ala produzione offrono il capitale proprio e, in parte, il
capitale di credito. Però gli interessi particolari di coloro che operano per
l’impresa debbono essere contemperati da interessi più vasti, anche per i
fini proposti alla produzione dalle esigenze del bene comune dalla
collettività nella quale l’impresa si attua: una nuova economia del
benessere si sostituirebbe all’antica economia del tornaconto. Solo una più
salda compagine sociale, solo una più equa distribuzione dei redditi
offrirebbero alla produzioni le condizioni indispensabili al suo desiderato
progresso e alla invocata diffusione dei consumi. L’ordinamento
dell’impresa non è mai fine a sé stesso” 3 .
1
Zappa G., Tendenze nuove negli istituti di ragioneria, (discorso inaugurale dell’anno
accademico 1926-27 nel R. Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di
Venezia), Milano, 1927.
2
Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 37.
3
Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p 309.
1
Simona Franzoni
Onida, qualche anno più tardi, riaffermava che “le aziende sono ordinate
a fini concernenti la soddisfazione di bisogni umani, in quanto questa
soddisfazione esiga consumo di beni economici e quindi anche produzione o
acquisizione degli stessi” 4 . Ancora, “i peculiari ed essenziali problemi
dell’azienda sono quindi di produzione, scambio, acquisizione e consumo di
beni economici. In questo senso e soltanto in questo senso si può dire che
l’azienda abbia oggetto economico. L’affermazione non significa che
l’azienda in concreto abbia fini unicamente o prevalentemente economici e
che la sua vita ponga soltanto problemi economici. Come istituto sociale
l’azienda serve ad elevare il benessere dell’uomo, a favorire lo sviluppo
della sua personalità ed a far meglio realizzare i fini della vita umana
associata che sono essenzialmente di natura etica. La concreta condotta
delle aziende è fondamentalmente subordinata a tali fini, e quindi all’etica;
le sue scelte hanno significato strumentale e nel loro valore di mezzo a fine
debbono adattarsi agli scopi cui esse tendono” 5 . “In realtà, lo schema
dell’impresa rivolta unicamente a massimizzare il profitto, pronta – a
questo effetto – a comprimere, appena possibile, ogni altra rimunerazione
dei fattori produttivi, a cominciare dai salari, e tendenzialmente chiusa alla
considerazione di ogni altro aspetto dell’equilibrato e durevole sviluppo
dell’attività di gestione, è uno schema astratto che sempre meno vale a
interpretare l’impresa del nostro tempo e specialmente, come abbiamo
detto, la grande impresa, le cui sorti, a lungo andare, sono quanto mai
legate alla prosperità dell’ambiente in cui essa opera. L’impresa ha
bisogno di masse di lavoratori, di masse di capitali, di masse di
consumatori diretti o indiretti, non può durevolmente prosperare come
sistema angustamente concepito in funzione soltanto del profitto” 6 .
Secondo Masini, “i fini dell’azienda devono essere coerenti con i fini
superiori della persona umana secondo etica e religione, sia in quanto gli
interessi che con essi si soddisfano sono pertinenti alle persone fisiche che
direttamente o indirettamente tramite persone giuridiche sono membri del
soggetto economico, sia per le interrelazioni più varie con le persone di
altre aziende” 7 . Anche Azzini, qualche anno più tardi, sosteneva che “…
ogni azienda sorge o diviene convenientemente solo se sa svolgere una
“funzione” nel sistema, per concorrere in vario modo (…) al
soddisfacimento dei bisogni degli uomini della comunità, per consentire
loro un più elevato benessere” 8 .
4
Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.1.
Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.44.
6
Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.80.
7
Masini C., Lavoro e risparmio, Utet, Torino, 1972, p. 49.
8
Azzini L., Istituzioni di Economia d’Azienda, Giuffrè Editore, Milano, 1979, p.25.
5
2
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Dalle citazioni succitate, è possibile evincere: la stretta interdipendenza
tra dimensione economica e ruolo sociale dell’azienda e l’importanza della
sua finalità, condivisa dai diversi studiosi, rappresentata dalla
“soddisfazione dei bisogni umani”. “I bisogni da appagare nelle aziende
continuamente si spostano e variamente s’intrecciano: essi quasi
costituiscono le tappe di un cammino che mai non sosta verso una meta
sempre più lontana. Anche le aziende, infatti, per la loro stessa natura di
istituti economici, non hanno in sé medesime le ragioni della loro esistenza,
ma le ritrovano nei bisogni che si vogliono soddisfare. I bisogni, che sempre
nuovi insorgono e che sempre variamente si compongono limitandosi a
vicenda, determinano le sempre nuove strutture organiche e patrimoniali
del nostro istituto e il riordinamento continuo degli accadimenti economici
di gestione” 9 . Pertanto, “la nozione di azienda, non si esaurisce nella
considerazione dei suoi fattori e dei suoi accadimenti, ma implica l’ardua
investigazione e la conoscenza costante delle relazioni che sempre nuove
s’intrecciano tra i fenomeni di azienda, tra i fenomeni di mercato e tra i
fenomeni di azienda e di mercato, e coinvolge inoltre la percezione degli
andamenti e delle tendenze future di quei fenomeni e di quelle relazioni” 10 .
Il cambiamento della società, e quindi dell’ambiente con cui le aziende
hanno un rapporto continuo, dialettico e dinamico, non può che riverberarsi
sul “modo” di operare, così come la modifica della scala di valori e,
conseguentemente, dei bisogni non può non influenzare la produzione di
beni e servizi.
Lo sviluppo dell’azienda è pertanto condizionato dalla capacità di porsi
in sintonia con le dinamiche del sistema ambientale di appartenenza, alle cui
istanze e ai cui mutamenti deve dedicare costante attenzione. Secondo
Masini, “lo svolgimento dell’azienda di produzione condiziona ed è
condizionato dall’ambiente. Sono fenomeni economici di ambiente
dell’azienda di produzione la domanda e l’offerta dei beni (merci o servizi),
del lavoro di ogni grado, del credito e dell’assicurazione; domanda e
offerta che si manifestano nelle relazioni di mercati di sbocco e di settori
economici della produzione e del consumo, nelle relazioni tra aziende
derivanti anche dalle gestioni patrimoniali orientate variamente da
alternative di investimenti. (…) Si hanno poi fenomeni di ambiente non
economici con influsso sugli svolgimenti dell’impresa, per le relazioni
connesse all’impresa come corpo intermedio economico-sociale, nel quale
operano persone con molteplicità di relazioni e nel quale si producono
9
Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 46.
Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 41.
10
3
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accadimenti che suscitano relazioni anche condizionatrici di situazioni
psicologiche, etiche, politiche” 11 .
Per potersi costituire, permanere e sviluppare nell’ambiente, l’azienda
abbisogna costantemente di risorse che, attraverso l’impiego in attività,
producono risultati. Tali risultati, a loro volta, contribuiscono a generare
nuove risorse da destinare all’incremento di quelle esistenti e influiscono
perciò sui processi di formazione dei consensi provenienti dall’ambiente per
l’ottenimento di nuove risorse.
La funzionalità duratura dell’impresa è in effetti assicurata dalla capacità
di attrazione di risorse qualitativamente e quantitativamente adeguate ai
fabbisogni che si manifestano nel tempo, oltre che dalla corretta allocazione
delle stesse per la continua realizzazione di combinazioni produttive,
variamente estese e diversificate, in grado di soddisfare le attese dei
conferenti di risorse nel pieno rispetto di tutti gli altri attori sociali.
È indubbio che un ruolo fondamentale è attribuibile ai conferenti delle
risorse primarie – nelle aziende di produzione riconducibili al capitale di
rischio ed al lavoro – da cui dipendono la possibilità di realizzazione
dell’attività e le relative modalità di sviluppo.
I fattori produttivi primari configurano pertanto componenti
indispensabili all’impresa e, per natura e modalità di apporto, assumono
caratteri tali da generare le finalità economiche dominanti l’istituzione a cui
pertengono.
Tuttavia, la diffusa propensione a privilegiare la creazione di ricchezza
per la soddisfazione immediata e prospettica dei conferenti di capitale di
rischio ha spesso determinato il prevalere delle attese degli shareholder, con
una frequente predominanza di un orientamento al profitto. Inoltre, la talora
esasperata ricerca del profitto ha generato fenomeni di iniquità
comportamentale, degenerati a volte nella illegalità.
Solamente negli ultimi tempi, si è andata affermando una nuova
concezione del ruolo dell’impresa nella società, con una significativa
rivalutazione dell’equo contemperamento degli interessi di tutti gli
stakeholder 12 .
La soddisfazione delle attese degli interlocutori sociali dovrebbe infatti
rappresentare, l’elemento propulsore di tutta l’attività dell’azienda.
Perseguire tale finalità implica salvaguardare il concetto di efficacia
11
Masini C., Lavoro e risparmio, Utet, Torino, 1972, p. 188.
Gli anni ’80 si caratterizzano, in particolare, per la nascita della stakeholder theory
che ha trovato la sua codificazione nel noto contributo di Freeman che individua i soggetti
nei confronti dei quali le imprese devono essere responsabili.E. Freeman, Strategic
management. A stakeholder approach, Pitman, Boston, 1984.
12
4
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
globale 13 , ovvero la capacità dell’azienda di ottimizzare le modalità di
soddisfacimento delle attese in essa riposte.
Il perdurante perseguimento dell’efficacia globale è caratterizzato dalla
realizzazione della condizione fondamentale di economicità. L’economicità
consente di puntualizzare le norme di comportamento dalla cui consonante
realizzazione dipendono l’incremento interno delle risorse ed il constante
ottenimento dei necessari consensi sociali.
L’acquisizione degli opportuni consensi sulla proposta progettuale
presuppone che l’azienda debba essere duratura, ossia debba svolgersi
secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da consentirle di durare
nel tempo in ambiente mutevole. La durabilità trova presupposti essenziali
nell’autonomia, cioè la capacità dell’azienda di non ricorrere
sistematicamente ad interventi di sostegno o di copertura delle perdite da
parte di altre economie 14 .
Inoltre, affinché l’azienda sia durevole, autonoma ed in grado di
perseguire i propri fini economico-sociali, occorre che le regole di condotta
siano caratterizzate dal rispetto delle condizioni di equilibrio reddituale
(mantenimento dell’equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito)
e di equilibrio monetario-finanziario (perseguimento sistematico
dell’equilibrio tra fabbisogno e situazione finanziaria) nel tempo. 15
Alle condizioni individuate di tipo prevalentemente oggettivo (condizioni
di equilibrio reddituale e monetario-finanziario), occorre affiancarne altre di
natura soggettiva 16 , che sono rappresentate dal mantenimento dell’equilibrio
tra le attese degli stakeholder e risultati conseguiti e, dunque, dal
perseguimento di un livello accettabile di soddisfazione delle attese dei
13
“Volendo esplicitare una definizione generale di efficacia è possibile affermare che
con siffatto termine si intende rappresentare la capacità di ottenere gli effetti desiderati. Ne
deriva la possibilità di evidenziazione di due componenti fondamentali:
- da una parte, l’esistenza di specifiche attese con riguardo a definiti fenomeni e/o
comportamenti;
- dall’altra parte, l’attitudine ad orientare i fenomeni ed i comportamenti in modo tale da
ottimizzare le modalità di raggiungimento degli effetti sperati.
Quanto sopra esposto, sottolinea l’importanza dell’efficacia quale presupposto
essenziale di indirizzo dell’attività d’impresa, dato il convergere nella stessa di molteplici
interessi, nonché considerata la stretta interdipendenza tra soddisfacimento delle attese
interne ed esterne e comportamenti gestionali». Salvioni D. M. (1997), Il sistema di
controllo della gestione, Giappichelli, Torino, p. 1.
14
Airoldi G., Brunetti G. e Coda V., Economia aziendale, Il Mulino, Bologna, p. 175.
15
Salvioni D. M., Il sistema di controllo della gestione, Giappichelli, Torino, p. 10.
16
“Le relazioni con gli stakeholder vedono dunque rivalutato il loro ruolo di condizione
essenziale per la durabilità aziendale; condizione dipendente dalle modalità di
soddisfacimento delle attese nel tempo e dalle scelte interattive e di comunicazione al
riguardo adottate”. Salvioni D.M., Corporate Governance e Responsabilità d’impresa in
Symphonya, Istei, Milano, n. 2/2004.
5
Simona Franzoni
clienti, dei fornitori, dei lavoratori, ecc. di tutti cioè i portatori d’interesse
dell’impresa (condizioni di equilibrio sociale e ambientale).
Le condizioni di tipo oggettivo e soggettivo, contribuiscono a definire un
livello accettabile di economicità della gestione, in un contesto
caratterizzato dal rispetto delle norme.
L’economicità sintetizza, dunque, la condizione necessaria per soddisfare
le attese dei soggetti portatori di interessi e rappresenta il principio di
riferimento in base al quale valutare e definire le modalità di sviluppo delle
combinazioni economiche. L’economicità deve trovare applicazione nelle
relazioni che si vengono ad instaurare tra azienda ed ambiente circostante,
per mezzo di azioni volte a coniugare l’efficienza della combinazione
produttiva con il soddisfacimento delle attese.
Il grado e le modalità di raggiungimento delle condizioni ottimali di
economicità della gestione richiedono un orientamento comportamentale
incentrato sull’integrazione tra variabili economiche e socio-ambientali. Per
contro, il mancato o carente bilanciamento delle succitate variabili può
determinare situazioni limitative delle potenzialità di sviluppo dell’azienda,
con perdita di economicità e conseguenze spesso di non breve momento a
livello di intero sistema 17 .
In particolare un’eccessiva enfatizzazione dell’equilibrio economico a
svantaggio dell’equilibrio socio-ambientale, sebbene talora foriera di
positivi risultati a breve termine, può generare situazioni d’insoddisfazione e
difficoltà di conseguimento delle condizioni di equilibrio nel medio-lungo
periodo. D’altra parte, una forte propensione all’equilibrio socio-ambientale,
non incentrata anche sulla combinazione ottimale del rapporto tra risorse e
risultati economici, può compromettere la capacità di creazione di ricchezza.
Infatti, un’impresa orientata al soddisfacimento dei propri interlocutori, ma
incapace di perseguire un progetto di sviluppo in grado di generare valore, è
destinata a veder vanificata anche la propria valenza sociale. In mancanza di
un durevole equilibrio economico la vita aziendale è infatti destinata ad
estinguersi.
In sintesi, l’operare dell’azienda si fonda sul mantenimento della capacità
di acquisizione di consensi e, conseguentemente di risorse, nonché
sull’opportuna organizzazione e sull’oculato utilizzo delle stesse, soprattutto
in considerazione della loro limitatezza. Pertanto, l’ottimizzazione delle
combinazioni produttive deve rispondere a logiche connesse al
17
“Insomma, è di cruciale importanza che la dimensione umana – nel senso più lato del
termine – e la dimensione economica dell’impresa vengano a compenetrarsi. In tal modo il
profitto non viene più assolutizzato, perché è in funzione del benessere e del progresso
umano; ma neppure viene sottovalutato e sminuito, in quanto è elemento essenziale per il
raggiungimento di quest’ultimo”. Coda V., L’orientamento strategico dell’impresa, Utet,
Torino, 1988, 175.
6
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
soddisfacimento diretto o indiretto dei bisogni umani ed essere sviluppata
secondo regole di condotta idonee a consentire l’adeguato bilanciamento tra
equilibrio economico e socio-ambientale, nel rispetto della normativa
vigente.
Le finalità aziendali, quindi, si trasferiscono nella produzione sinergica di
risultati economici, competitivi e sociali, insieme volti al conseguimento del
successo d’impresa. Ciò significa produrre ricchezza nel rispetto del
migliore soddisfacimento di tutte le attese legittime dei diversi interlocutori
sociali e con comportamenti strettamente improntati alla trasparenza ed alla
legalità. 18 In altri termini, l’efficacia aziendale implica l’assunzione di un
concetto di responsabilità globale, incentrato sulla stretta ottemperanza delle
norme, sulla realizzazione di relazioni costruttive con tutti gli interlocutori
sociali, sul rispetto ambientale, nonché sul mantenimento delle condizioni
ottimali di equilibrio economico.
2. Il nuovo concetto d’impresa responsabile
L’affermazione della stakeholder-view ha modificato il comportamento
dei vertici aziendali le cui decisioni erano frequentemente sviluppate
nell’interesse della proprietà (shareholder view) e nel perseguimento di
risultati di natura economico-finanziaria di breve periodo.
Il mandato a “bene amministrare” non può prescindere dal fatto che
l’impresa ha una rilevanza economica e sociale che va al di là degli interessi
dei soli azionisti e si configura come un “bene” non soltanto per essi, ma
anche per gli altri interlocutori e per la società. Conseguentemente, i vertici
aziendali sono tenuti ad agire nell’interesse dell’impresa, ignorando
qualsiasi comportamento contrario all’etica ed assumendo comportamenti
diretti a tutelare tutti gli stakeholder. La responsabilità non è un mero
18
Negli studi manageriale, il principale contributo alla Corporate social responsibility
risale a Bowen nel 1953. Bowen parte dal principio che le imprese di maggiori dimensioni
sono centri vitali di potere: le loro decisioni e la loro azione investono e condizionano la
vita della società da molti punti di vista. L’autore fornisce una prima definizione di
responsabilità sociale: “Il refers to the obligations of businessman to pursue those policies,
to make those deicisions, or to follow those lines of action which are desirable in terms of
the objectives and values of our society”. Bowen H.R., Social responsbilities of the
businessman, Harper & Row, New York, 1953. In quell periodo, si è via via consolidata
una concezione di impresa che riconosce la necessità di prestare una specifica attenzione ad
altri soggetti portatori di interessi e attese nei confronti dell’impresa, in contrasto con
l’impostazione di Friedman, secondo cui l’unico legittimo scopo dell’impresa è la
generazione di profitto. Friedman M., Capitalism and freedom, University of Chicago
Press, Chicago, 1962; Fiedman M., The social responsability of business is to increase its
profits, in Chryssides G.D., Kaler J.H., An introduction to business ethics, Chapman,
London, 1993.
7
Simona Franzoni
vincolo operativo, ma una determinante della funzione obiettivo
dell’impresa che consiste nella creazione di valore per tutti 19 .
Inoltre, l’interiorizzazione dei valori di responsabilità globale aumenta le
potenzialità di coinvolgimento degli stakeholder, con conseguente aumento
delle potenzialità di consumo.
Occorre tuttavia evidenziare che anche Zappa, verso la fine del volume
“Le Produzioni”, Tomo I, converge su quest’ultima accezione di
responsabilità, affermando che “forse non è nemmeno corretto affermare
che gli scopi economici della produzione siano talora sommessi agli scopi
etici e politici; sempre, nel fatto, gli scopi economici sono coordinati agli
scopi sociali; e i bisogni non economici, anche quelli di ordine più elevato,
non possono in genere essere soddisfatti senza adeguati mezzi economici” 20 .
Perseguire il soddisfacimento delle attese economiche e non dei propri
stakeholder, significa per l’impresa assumere una responsabilità che
discende dalla forte integrazione tra la responsabilità legale, economica,
sociale e ambientale e, pertanto, una responsabilità d’impresa orientata
all’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile21 .
Se, dunque, il fine del reddito si armonizza con gli obiettivi competitivi e
sociali, emerge una concezione dell’interesse aziendale di più vasto respiro,
più consapevole delle varie domande sociali che si rivolgono all’impresa e
delle implicazioni che il loro soddisfacimento o meno potrà avere sulla
redditività di lungo periodo.
Il raggiungimento dell’equilibrio a valere nel tempo si pone, dunque,
quale condizione indispensabile per il perseguimento della finalità
d’impresa, tesa al soddisfacimento delle attese ed alla creazione di valore
per i propri stakeholder e quindi al costante perseguimento all’efficacia
globale.
In tal senso, l’attività di governance trova significativi presupposti
proprio nella capacità di assicurare nel tempo l’equa realizzazione di tutte le
attese legittime, in modo da garantire all’azienda i consensi e le
collaborazioni che le sono necessarie. Solo le imprese in grado di creare
19
Coda V., Responsabilità sociale e strategia dell’impresa, in Sacconi L. (a cura di),
Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria Editrice, Roma,
2005, p. 183.
20
Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 308.
21
Gli studiosi di strategic management, approfondendo una visione della socialità
fortemente integrata nella gestione strategica dell’azienda, elaborano il concetto di
sostenibilità, quale approccio finalizzato alla creazione di valore nel lungo periodo, non
solo per gli azionisti ma anche per gli altri stakeholder, fondato sulla capacità di cogliere le
opportunità e di gestire i rischi derivanti dai cambiamenti del contesto. Per ulteriori
approfondimenti si rinvia a: J. H. Spangenberg, O. Bonniot, Sustainability Indicators, A
compass on the road towards Sustainability, February 1998.
8
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
valore sono in condizioni di apportare un contributo a lungo termine allo
sviluppo sostenibile; al contempo, dall’efficace interazione con tutte le
classi di stakeholder dipende la capacità di ottenimento di consensi e di
risorse quali-quantitative idonee a sostenere lo sviluppo aziendale e la
produttività interna, con conseguenze di non breve momento
sull’ottimizzazione dei risultati economici e sul valore d’impresa.
In questa sede, pare opportuno precisare che l’individuazione di diverse
tipologie di responsabilità d’impresa – legale, sociale, ambientale,
economica – sebbene utile ai fini della comprensione dei diversi aspetti che
tale concetto coinvolge, non deve far pensare ad un sistema nel quale le
diverse componenti risultano autonome ed a sé stanti.
In particolare, si ritiene che i diversi aspetti inerenti alla responsabilità
d’impresa siano tra loro strettamente interconnessi e che non vi siano
rapporti di gerarchia tali per cui un livello di responsabilità può trovare
realizzazione solo se ne è stato raggiunto uno a valenza prioritaria 22 . Al
contrario, le diverse tipologie di responsabilità risultano così inscindibili che
la realizzazione di ognuna costituisce condizione necessaria per le altre.
Tuttavia, è imprescindibile che la corretta assunzione di responsabilità da
parte dell’impresa trovi presupposti essenziali nel rispetto delle norme. Si
dovrebbe, però, evitare che il meccanismo formale della regola prevalga
sullo scopo della stessa e di concepire la norma come vincolo; si tratta in
effetti di un’opportunità per il conveniente orientamento dei comportamenti
e l’ottimizzazione delle performance aziendali.
3. I prerequisiti per un’impresa responsabile
In questi ultimi anni, per impedire fenomeni che possano pregiudicare il
benessere sociale, le istituzioni hanno introdotto norme volte ad orientare gli
operatori ad assumere corretti comportamenti nella gestione d’impresa.
22
Caroll, invece, nel 1979 elabora la sua definizione “quadripartita” di responsabilità
sociale: “the social responsibility of business encompasses the economic, legal, ethical, and
discretional expectations that society has of organizations at given point in time”, nella
quale cerca di conciliare l’esistenza di obiettivi sia economici che sociali (Carroll A. B., A
tree-dimensional model of corporate social performance, Academy of Management
Review, 1979, n. 4) e nel 1991 chiarirà che i quattro tipi di responsabilità (economic, legal,
ethical and voluntary or philanthropic) vanno intesi in senso gerarchico di importanza
elaborando la nota piramide delle responsabilità sociali dell’impresa, alla cui base, in
quanto di rilevo primario, di trova la responsabilità di tipo economico. A.B. Carroll, The
pyramid of corporate social responsability, Business Horizons, n. 34, june-august, 1991.
Tra gli autori italiani che si rifanno alla piramide delle responsabilità dell’impresa di Carroll
si veda Sciarelli. S. Sciarelli, Il governo dell'impresa in una società complessa: la ricerca
di un equilibrio tra economia ed etica, Sinergie, n. 16, 1998, pp. 53-69.
9
Simona Franzoni
Inoltre, l’affermarsi di logiche di responsabilità sociale ed ambientale ha
trovato fattori di propulsione anche in una pluralità di iniziative e di
comportamenti promossi da organismi di carattere internazionale (l’Unione
Europea, l’Onu, ecc.). Nel presente paragrafo si intendono menzionare le
principali normative che dovrebbero aiutare l’impresa nell’assumere un
comportamento responsabile verso i propri stakeholder.
Il sistema di responsabilità degli amministratori aziendali ha subito una
sostanziale modifica rispetto al sistema previgente, a seguito delle profonde
trasformazioni che hanno caratterizzato le organizzazioni imprenditoriali
complesse nel corso degli ultimi decenni.
La responsabilità legale in capo agli organi di governo deve
rappresentare una guida per la corretta condotta degli stessi nell’assunzione
delle decisioni e conseguenti azioni per il perseguimento di risultati volti al
soddisfacimento delle attese degli stakeholder.
L’analisi che segue intende presentare l’attuale assetto normativo in tema
di responsabilità giuridica d’impresa, ponendo l’attenzione sugli obblighi
previsti per gli amministratori sia nei confronti della società, sia nei
confronti dei diversi stakeholder.
3.1. La responsabilità degli amministratori verso la società
Il nuovo testo dell’art. 2392 c.c., dedicato alla responsabilità degli
amministratori nei confronti della società, conserva la formulazione
originaria del codice del 1942, introducendo tuttavia alcuni importanti
elementi di novità, relativi a:
1) la natura della diligenza richiesta;
2) la responsabilità solidale degli amministratori;
3) la responsabilità diretta degli organi deleganti.
Con riguardo al primo elemento la norma prevede che gli amministratori
nell’adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto debbano
applicare il canone di diligenza richiesto dalla natura dell’incarico e dalle
loro specifiche competenze, in luogo della diligenza del mandatario
richiesta dalla disciplina precedente.
La “natura dell’incarico”, sembra riferirsi alla posizione assunta
dall’amministratore nell’ambito del consiglio di amministrazione 23 ,
all’attività svolta dalla società e alle dimensioni di quest’ultima e
dell’impresa esercitata 24 . La diligenza richiesta “dalle specifiche
23
Il grado di diligenza richiesto sarà diverso a seconda che l’amministratore svolga la
funzione di amministratore delegato ovvero amministratore senza deleghe.
24
La Relazione nello spiegare il significato del concetto di “diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico” stabilisce che ciò “non significa che gli amministratori debbano
necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della
10
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
competenze” degli amministratori introduce invece un elemento di
valutazione che attiene al rapporto tra l’attività esercitata dalla società e le
specifiche competenze professionali dell’amministratore.
Alla diligenza si associano pertanto, secondo i principi generali, la
prudenza e la perizia, laddove: la prima comporta il dovere di non compiere
operazioni fortemente rischiose, che nessun avveduto imprenditore porrebbe
mai in essere; mentre la seconda evoca la capacità di gestire un’impresa ed
il possesso di tutte le cognizioni tecniche necessarie per compiere le
operazioni sociali.
Non basta, dunque, la diligenza dell’uomo medio, ma occorre la
diligenza del buon amministratore ed il livello di diligenza dovuto sarà tanto
più elevato quanto maggiori saranno le dimensioni e la complessità
dell’impresa gestita, nonché le capacità individuali richieste
all’amministratore.
Riguardo al secondo elemento indicato, il legislatore ha ritenuto
opportuno circoscrivere la responsabilità degli amministratori non esecutivi,
al fine di evitare che nei loro confronti si creino delle aree di responsabilità,
come avveniva in passato. Sotto la vigenza della disciplina precedente,
infatti, era frequente che agli amministratori deleganti (non esecutivi) fosse
attribuita una responsabilità per fatti dei delegati, a titolo di “culpa in
vigilando”, sia in relazione ad uno specifico evento sia con riguardo al
generale andamento della gestione. Nella sostanza, veniva spesso a
configurarsi una sorta di responsabilità per fatto altrui, che poneva a carico
dei soggetti deleganti gran parte dei fatti imputati ai soggetti delegati.
La nuova disciplina ha dunque eliminato il riferimento al “dovere di
vigilare sul generale andamento della gestione” per limitare la responsabilità
dei deleganti qualora essi, pur venuti a conoscenza di fatti pregiudizievoli
per la società, non abbiano “fatto quanto potevano per impedirne il
compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze, fermo quanto
disposto dall’art. 2381, terzo comma c.c. 25 ”. L’amministratore delegante
sarà dunque responsabile per il pregiudizio arrecato alla società soltanto nel
caso in cui egli non sia intervenuto sui fatti a lui resi noti da parte del
soggetto delegato in adempimento del dovere di informazione posto dall’art.
2381, terzo comma c.c.
L’articolo 2381 c.c. impone infatti agli amministratori delegati un dovere
di informazione e prevede per gli amministratori deleganti l’obbligo di
gestione e dell’amministrazione dell’impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono
essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio
calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione”.
25
Il terzo comma dell’art. 2381 c.c. prevede ora, anche se per implicito, un preciso
dovere di informazione al consiglio di amministrazione da parte dei soggetti deleganti sulla
gestione della società.
11
Simona Franzoni
“agire” in modo informato, riconoscendo dunque a questi ultimi il poteredovere di chiedere ai soggetti delegati ogni informazione sull’andamento
della gestione.
La norma richiede pertanto che venga alimentato un flusso di
informazioni che consenta agli amministratori di disporre di tutti i dati e le
notizie necessari per un’adeguata conoscenza della gestione dell’impresa:
un flusso informativo “standard” (quello previsto ai sensi dei commi terzo e
quinto dell’articolo 2381 c.c.) e un flusso, per così dire, “aggiuntivo” (quello
previsto ai sensi del sesto comma dell’articolo 2381 c.c., su richiesta degli
amministratori non esecutivi 26 ). Ciò configura una stretta interdipendenza
fra il dovere di acquisire le informazioni e la funzione di controllo
sull’andamento della gestione, rimessa agli amministratori deleganti.
In merito al terzo punto è necessario fare riferimento all’art. 2380-bis
c.c., a norma del quale “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione
dell’oggetto sociale”.
Il secondo e terzo comma del medesimo articolo prevedono inoltre che
l’amministrazione della società possa essere affidata anche a non soci e che
nel caso in cui l’amministrazione venga affidata a più persone queste
costituiscano il consiglio di amministrazione.
Il consiglio di amministrazione, se lo statuto o l’assemblea lo
consentono, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo
composto da alcuni dei suoi componenti, o direttamente ad un o più di essi.
Il Consiglio determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di
esercizio della delega, potendo sempre impartire direttive agli organi
delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Inoltre, spetta al
consiglio: valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza
dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società;
esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società, qualora
vengano elaborati; valutare sulla base della relazione degli organi delegati, il
generale andamento della gestione.
Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e
riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la
periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni centottanta
giorni, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile
evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro
26
“Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore
può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla
gestione delle società”. Art. 2381, c. 6, D.Lgs. 6/03.
12
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate
(quinto comma).
La responsabilità del Consiglio nella definizione degli obiettivi strategici
della società e nel raggiungimento dei medesimi era già previsto, a titolo
volontario per le società quotate, nel Codice di Autodisciplina emanato nel
1999 da Borsa Italiana e rivisitato nel 2002. Con tale documento il Comitato
per la Corporate Governance ha fornito un importante contributo alla
precisazione del ruolo del Consiglio di Amministrazione, in particolare per
ciò che attiene alla sua composizione ed al riparto di funzioni tra esso e gli
amministratori delegati.
Al punto 1.1 del Codice di Autodisciplina, si attesta infatti che “le società
quotate sono guidate da un Consiglio amministrazione che si riunisce con
regolare cadenza e che si organizza ed opera in modo da garantire un
effettivo ed efficace svolgimento delle proprie funzioni”. Al successivo
punto 1.2, tra le funzioni attribuite a tale organo, si evidenziano quelle
relative a:
a) l’esame e l’approvazione dei piani strategici, industriali e finanziari
della società e della struttura societaria del gruppo di cui essa sia a
capo;
b) (….)
f) la verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo ed
amministrativo generale della società e del gruppo predisposto dagli
amministratori delegati.
Un ulteriore aspetto rilevante che emerge dal Codice è relativo alla
responsabilità del Consiglio sul sistema di controllo interno 27 . Infatti, il
punto 9.2 prevede che “il consiglio di amministrazione ha la responsabilità
del sistema di controllo interno, del quale fissa le linee di indirizzo e verifica
periodicamente l’adeguatezza e l’effettivo funzionamento, assicurandosi che
i principali rischi aziendali siano identificati e gestiti in modo adeguato”28 .
In tema di responsabilità degli amministratori è doveroso citare anche
quanto previsto dalla nuova disciplina del conflitto di interessi contenuta
27
“Il sistema di controllo interno è l’insieme dei processi diretti a monitorare
l’efficienza delle operazioni aziendali, l’affidabilità dell’informazione finanziaria, il rispetto
di leggi e regolamenti, la salvaguardia dei beni aziendali”. Codice di Autodisciplina –
Edizione rivisitata luglio 2002; Punto 9.1.
28
A completamento di quanto già affermato nel Codice, si è realizzata nell’aprile 2003,
una “Guida al sistema di controllo di gestione” con lo scopo di fornire uno standard di
riferimento per le società in via di quotazione affinché progettino sistemi di controllo posti
a diretta salvaguardia della finalità di creazione di valore economico. E’ peraltro, opportuno
sottolineare che i principi richiamati nella guida posso essere interpretati anche come un
utile termine di confronto e un’occasione di autodiagnosi anche per le società già quotate.
13
Simona Franzoni
nell’art. 2391c.c. 29 , che configura l’affermazione dei principi di trasparenza
e di correttezza quali valori fondamentali per un efficace governo d’impresa.
Tale orientamento risulta confermato nella stessa Relazione al D. Lgs.
6/03 30 , nella quale si afferma che gli obblighi di fedeltà, lealtà e disclosure
devono essere alla base di qualsiasi incarico di amministrazione societaria:
l’amministratore, in qualità di “gestore di un patrimonio altrui”, non può
approfittare della sua posizione per conseguire vantaggi diretti o indiretti.
Il primo comma dell’articolo 2391 c.c. pone a carico dell’amministratore
l’obbligo di dare notizia di qualunque interesse egli abbia nell’effettuare una
data operazione societaria, sia anche un interesse per conto di terzi, e senza
che necessariamente debba esistere un conflitto con l’interesse della società.
Deve essere data notizia, dunque, anche di interessi irrilevanti 31 , potenziali
o potenzialmente in conflitto con quelli della società. Spetterà poi al
Consiglio di amministrazione motivare adeguatamente, nella deliberazione,
le ragioni e la convenienza dell’operazione per la società (art. 2391 c.c., 2
comma). In questo modo l’amministratore interessato risulta obbligato a
fornire agli organi di amministrazione e di controllo tutti i dettagli che
permettano di valutare la sussistenza o meno di un conflitto, anche ai fini
dell’ammissione al voto dell’interessato, e in genere la convenienza
economica dell’operazione per la società.
La prescrizione in oggetto risulta particolarmente innovativa e conferma
l’enfatizzazione dei concetti di trasparenza e lealtà della Riforma. In
precedenza, la norma semplicemente obbligava l’amministratore a dare
notizia del conflitto di interessi, senza che vi fosse la necessità di dare ampia
comunicazione e spiegazione dell’esistenza di ogni interesse.
29
Il nuovo articolo 2391 c.c., “Interessi degli amministratori”, prevede che:
“l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni
interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società,
precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore
delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo
collegiale. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di
amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società
dell’operazione.
30
Trattasi della relazione al D.Lgs. 6/03, sulla riforma organica della disciplina delle
società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.
31
Si ritiene che un conflitto sia irrilevante quando esso non sia produttivo di danno per
la società (normalmente, cioè, quando l’operazione sia prevista a normali condizioni di
mercato). Si veda D.U. Santossuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p.
143. La ratio di tale obbligo di trasparenza, anche per i casi di conflitti irrilevanti o
inesistenti, risiede, infatti, nella considerazione del legislatore di non voler lasciare al
soggetto portatore di un dato interesse il giudizio sulla rilevanza e/o confliggenza del suo
interesse medesimo in una certa operazione.
14
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Il penultimo comma dell’art. 2391 c.c. stabilisce che l’amministratore
risponda dei danni derivanti alla società dalla sua azione od omissione.
Un’ulteriore novità dell’attuale disciplina attiene all’oggetto del
risarcimento, che non è più costituito dalle “perdite”, bensì, più
correttamente, dall’intero danno derivato alla società dall’azione o
dall’omissione dell’Amministratore. Quest’ultimo sarà, quindi, obbligato a
risarcire la società sia sotto il profilo del danno emergente, sia sotto quello
del lucro cessante, secondo il principio generale vigente nel nostro
ordinamento.
L’ultimo comma dell’art. 2391 c.c., estende la responsabilità
dell’amministratore anche ai casi nei quali egli, venendo meno ad un
obbligo di lealtà verso la società, abbia utilizzato a vantaggio proprio, o di
terzi, dati notizie od opportunità di affari che la società avrebbe potuto
sfruttare a proprio beneficio. In questo caso, sarà onere della società provare
che i dati, le notizie e le opportunità di affari sono stati appresi
dall’amministratore nell’esercizio del proprio incarico 32 .
I sindaci sono inoltre responsabili solidalmente con gli amministratori per
i fatti o le omissioni di questi ultimi quando il danno non si sarebbe prodotto
se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
I sindaci, secondo la nuova disciplina prevista dal D.Lgs. 6/2003, devono
adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla
natura dell’incarico. Sono inoltre, secondo l’art. 2407 c.c., responsabili della
verità dello loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui
documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Tra i diversi doveri posti in capo al collegio sindacale, in base all’art.
2403 c.c. vi sono, oltre la vigilanza sull’osservanza della legge e dello
statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, la vigilanza
sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile
adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Inoltre, il collegio sindacale, purché ciò sia disciplinato nello statuto, può
esercitare il controllo contabile per le società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio e che non siano tenute alla redazione del
bilancio consolidato. In tal caso il collegio sindacale è costituito da revisori
contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia 33 .
32
Tale disciplina si applicherà anche ai sistemi di amministrazione e controllo di tipo
dualistico e monistico. Infatti, per quanto attiene il sistema dualistico, l’articolo 2409
undecies c.c. richiama espressamente l’applicazione dell’articolo 2391 c.c. per le
deliberazioni del consiglio di gestione, mentre per il sistema monistico l’articolo 2391 è
richiamato dall’articolo 2409-noviesdecies.
33
In base infatti all’art. 2409-bis c.c., il controllo contabile sulla società è esercitato da
un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro istituito presso il
Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il
15
Simona Franzoni
Le medesime funzioni attribuite al collegio sindacale dall’art. 2403 nel
sistema ordinario, sono in capo al consiglio di sorveglianza con il sistema
dualistico. Diverso è invece il ruolo del Comitato per il controllo sulla
gestione previsto per il sistema monistico, laddove si prevede che tale
organo vigili, non solo sull’adeguatezza della struttura organizzativa della
società e del sistema amministrativo e contabile ma anche sull’adeguatezza
del sistema di controllo interno, nonché sulla sua idoneità a rappresentare
correttamente i fatti di gestione.
Per le società quotate il ruolo del Comitato per il controllo sulla gestione
viene riconosciuto al collegio sindacale e al consiglio di sorveglianza 34 ,
secondo quanto previsto dall’149 del Decreto Draghi (D.Lgs. 58/98).
Infatti, tra i doveri del collegio sindacale è prevista la vigilanza:
- sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo;
- sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
- sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli
aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema
amministrativo-contabile nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel
rappresentare correttamente i fatti di gestione.
La medesima disciplina vale per il consiglio di sorveglianza, secondo
quanto previsto dall’art. 149, comma 4-bis, introdotto con il D.Lgs. 37/2004
(Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 58 del 1998) e non si
applica al comitato per il controllo sulla gestione secondo il comma 4-ter 35 ,
probabilmente perché già previsto con la disciplina ordinaria.
controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori
contabili, la quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell'attività di
revisione prevista per le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati ed alla
vigilanza della Commissione nazionale per le società e la borsa. Lo statuto delle società che
non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non siano tenute alla redazione del
bilancio consolidato può prevedere che il controllo contabile sia esercitato dal collegio
sindacale. In tal caso il collegio sindacale è costituito da revisori contabili iscritti nel
registro istituito presso il Ministero della giustizia.
34
A seguito della modifica introdotta con il Decreto Legislativo 37 del 6 febbraio 2004
“Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la
riforma del diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo unico
dell'intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998”.
35
Art.9.78 (Modifiche all’articolo 149 del decreto legislativo numero 58 del 1998). – 1.
All’articolo 149 del decreto legislativo numero 58 del 1998 sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) (…);
b) dopo il comma 4 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “4-bis. Al consiglio di
sorveglianza si applicano i commi 1, 3 e 4. Almeno un componente del consiglio di
sorveglianza partecipa alle riunioni del consiglio di gestione. 4-ter. Al comitato per il
controllo sulla gestione si applicano i commi 1, limitatamente alla lettera d), 3 e 4”.
16
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Inoltre, in base all’articolo 150, del D.Lgs. 58/98, parzialmente rivisto
secondo il disposto dell’art. 9, comma 79, del D.Lgs. 37/2004, gli
amministratori riferiscono tempestivamente al collegio sindacale, secondo le
modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale,
sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico,
finanziario e patrimoniale effettuate dalla società o dalle società controllate.
In particolare essi sono tenuti a riferire in merito ad operazioni nelle quali
abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal
soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento. Tale obbligo è
adempiuto, nel sistema dualistico, dal consiglio di gestione nei confronti del
consiglio di sorveglianza, mentre in quello monistico dagli organi delegati
nei confronti del comitato per il controllo sulla gestione.
Il collegio sindacale è dunque chiamato, per le società quotate, oltre alla
vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione,
all’accertamento dell’esistenza di procedure orientate al conseguimento
degli obiettivi aziendali. A tal fine il D.Lgs. 58/98 introduce per la prima
volta nella legislazione italiana, l’espressione “sistema di controllo
interno” 36 , al quale il legislatore attribuisce un’importanza particolare,
riconoscendolo come attività autonoma, essenziale per assicurare la qualità
del funzionamento del sistema gestionale e pertanto oggetto di specifica
attenzione da parte dell’organo di vigilanza.
3.2. La responsabilità degli amministratori verso gli stakeholder
Prima di analizzare gli aspetti di responsabilità giuridica degli
amministratori nei confronti delle specifiche tipologie di stakeholder, si
ritiene opportuno indicare, quale comportamento responsabile dell’impresa
nei confronti di qualsiasi interlocutore, il rispetto del principio di
trasparenza previsto dalla norma per la redazione del bilancio.
Secondo quanto previsto dall’art. 2423 c.c. “gli amministratori devono
redigere il bilancio d’esercizio, costituito dalla stato patrimoniale, dal conto
economico e dalla nota integrativa. Il bilancio deve essere redatto con
chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
36
La legge Draghi non definisce in alcun modo questa espressione limitandosi all’uso
della terminologia corrente che a sua volta genera, nel gergo comune, interpretazioni
diverse e conflittuali. L’esigenza, dunque, di dare un indirizzo possibilmente univoco
all’interpretazione dell’espressione “sistema di controllo interno” al fine di porre il Collegio
Sindacale nella possibilità di svolgere compiutamente la propria attività, ha consentito
l’organismo – Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, di
elaborare due guide a supporto del collegio sindacale, emanate la prima nel 1998 “Principi
ci comportamento del collegio sindacale nelle società di capitali con azioni quotate nei
mercati regolamentati” e la seconda nel 2001 “ Guida operativa sulla vigilanza del sistema
di controllo interno”.
17
Simona Franzoni
patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio”. Ai fini della rappresentazione veritiera e corretta delle
informazioni economico-finanziarie la medesima norma prevede che “se le
informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono
sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire
le informazioni complementari necessarie allo scopo”. Ancora, nel caso in
cui l’applicazione di una disposizione relativa alla redazione del bilancio
risulti “incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la
disposizione non deve essere applicata”.
Emerge molto chiaramente come la norma abbia disposto l’assunzione di
valori di trasparenza al fine di modificare possibili atteggiamenti delle
imprese orientati, da un lato ad adottare politiche comunicazionali
rispondenti ad esigenze di fittizio sostenimento della crescita di valore
dell’impresa emittente, dall’altro alla legittimazione di risultati idonei a
garantire il minor prelievo fiscale possibile.
Tuttavia, il fatto che la norma imponga una rappresentazione veritiera e
corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società, non
garantisce l’efficacia della comunicazione economico-finanziaria, che tende
a riflettere le caratteristiche culturali dominanti nell’impresa 37 .
Nonostante aumentino le attese conoscitive provenienti dall’ambiente,
nell’impresa, in particolare in quella medio-piccola, tende a prevalere una
cultura di reticenza, che determina atteggiamenti di sfiducia e di scarso
interesse per i messaggi quantitativo-monetari che la stessa produce e
diffonde.
37
A seguito di una ricerca, svolta dall’Università di Brescia, che si è proposta di
verificare il grado di maturità esistente in termini di comunicazione economica ricorrendo
ad un correlato empirico di una settantina di aziende di medio-piccole dimensioni, è emerso
che: “ancora oggi, la maggior parte delle imprese analizzate non ha recepito il bilancio
come uno strumento di comunicazione, bensì come un mero adempimento normativo.
Infatti, documenti come la nota integrativa e la relazione sulla gestione, non contengono
tutte quelle informazioni quantitative e qualitative utili per consentire il pieno
apprezzamento della situazione economica globale. Allo stato attuale, in relazione ai
risultati emersi dal gruppo di imprese analizzato, si evince che il bilancio è dunque poco
significativo per l’operatore che intende avere una visione di sintesi globale della situazione
aziendale, dato lo scarso valore informativo del messaggio veicolato(….). Purtroppo, in
Italia sono ancora pochi i bilanci che soddisfano tutti i punti menzionati, infatti, il ritardo
nell’informativa societaria è imputabile, in particolare, alla prevalenza di aziende di piccola
e media dimensione, alla scarsa sensibilità all'informativa di bilancio, al ritardo nel
recepimento del ruolo comunicazionale del bilancio e ad una frequente interferenza di
carattere fiscale dell'informativa”. S. Franzoni, Integrazione tra valori di bilancio,
informazioni quantitative e qualitative, in D. M. Salvioni (a cura di), L’efficacia della
comunicazione economico-finanziaria e l’analisi della concorrenza, Giappichelli Editore,
Torino, 2002, p. 144.
18
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Ad oggi il bilancio non è ancora pienamente concepito come uno
strumento di comunicazione. Documenti quali la nota integrativa e la
relazione sulla gestione non contengono tutte quelle informazioni
quantitative e qualitative utili per consentire il pieno apprezzamento della
situazione economica globale.
Affinché la comunicazione economico-finanziaria recuperi efficacia è
necessario invece che il concetto della trasparenza trovi sempre maggior
diffusione. La diffusione dei valori di trasparenza favorirebbe, infatti, la
creazione di un insieme di comportamenti responsabili, orientati alla
divulgazione di messaggi tra loro coerenti, incentrati sulla costante
rappresentazione dei fenomeni caratterizzanti la dinamica aziendale. Del
resto, un’informazione trasparente, neutra, chiara, trasmessa all’esterno
agevola la qualificazione dell’immagine dell’impresa, creando potenzialità
di acquisizione dei consensi.
Si analizzano di seguito, gli aspetti di responsabilità giuridica degli
amministratori nei confronti di specifiche tipologie di stakeholder: i
creditori sociali, i singoli soci ed i terzi, i concorrenti, i clienti/consumatori,
i lavoratori, la Pubblica amministrazione e la collettività.
La responsabilità verso i creditori sociali
La disciplina degli amministratori verso i creditori della società per
azioni è rimasta sostanzialmente immutata con l’introduzione del D.Lgs.
6/2003.
I presupposti dell’azione di responsabilità dei creditori sociali sono: da
un lato “l’inosservanza (da parte degli amministratori) degli obblighi
inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”, dall’altro il
fatto che “il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei
loro crediti”.
La responsabilità verso i singoli soci ed i terzi
L’art. 2395 c.c. è stato modificato nel 2003 (D.Lgs. 6/2003) soltanto per
quanto attiene al termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione
individuale di responsabilità, non essendo stato modificato il presupposto
dell’azione stessa, consistente nel compimento da parte degli amministratori
di un atto illecito che abbia direttamente danneggiato il singolo socio o il
terzo.
La responsabilità nei confronti dei concorrenti
Il rapporto di concorrenza prevede, secondo la definizione più
accreditata, la presenza di due soggetti che offrono sullo stesso mercato beni
o servizi idonei a soddisfare, anche in via succedanea, gli stessi bisogni o
bisogni simili. Ciò equivale a dire che vi è rapporto di concorrenza qualora
19
Simona Franzoni
due imprenditori si rivolgano alla stessa clientela e gli atti dell’uno
influenzino il comportamento dell’altro.
La violazione dei principi di correttezza professionale fra due soggetti in
rapporto di concorrenza genera gli “atti di concorrenza sleale” idonei,
secondo quanto previsto dall’art. 2598 c.c., a creare confusione con i
prodotti e con l’attività di un concorrente o a determinare il discredito ed a
danneggiare l’altrui azienda.
La norma prevede pertanto che la sentenza che accerta atti di concorrenza
sleale ne inibisca la continuazione e dia gli opportuni provvedimenti
affinché ne vengano eliminati gli effetti (art.2599 c.c.). In caso di atti
concorrenza compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto anche al
risarcimento dei danni.
La responsabilità nei confronti dei clienti/consumatori
La responsabilità nei confronti dei clienti significa far sì che questi ultimi
trovino soddisfazione nell’acquisto del bene prodotto dall’impresa, che, a
sua volta per essere competitiva, deve realizzare le soluzioni più confacenti
alle esigenze del cliente. In tal senso, risultano essenziali: una
comunicazione commerciale aderente alla realtà, chiara e comprensibile; lo
sviluppo di consistenti capacità di innovazione e di adattamento ai mutevoli
bisogni espressi dal mercato; l’assunzione di comportamenti onesti ed equi,
ecc. 38
Per la tutela dei diritti, le Istituzioni hanno contribuito al miglioramento e
al rafforzamento della posizione dei clienti/consumatori, anche per il
positivo concorso di molte norme emanate dall'Unione Europea, mediante
l’approvazione e l'entrata in vigore della legge 281 del 30 luglio 1998 che ha
istituito il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) e ha
legittimato le associazioni dei consumatori ad agire a tutela degli interessi
collettivi.
La responsabilità nei confronti dei lavoratori
La responsabilità degli amministratori si estende anche nei confronti dei
prestatori di lavoro. Agli stessi deve essere garantita una retribuzione
idonea, tale da consentire “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36,
Costituzione). Inoltre, la legge impone al datore di lavoro l’obbligo di
individuare e di valutare i rischi connessi ai luoghi di lavoro e alle mansioni
svolte, al fine di creare le condizioni per garantire la sicurezza e la salubrità
dei lavoratori. L’amministratore, secondo la Legge 626 del 1994 (e
successive modifiche), è tenuto, infatti, all’osservanza delle misure generali
38
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Salvioni D.M., Corporate Governance e
Responsabilità d’impresa in Symphonya, Istei, Milano, n. 2/2004.
20
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
di tutela previste dalla natura dell’attività aziendale ovvero alla prevenzione
e al contenimento sistematico dei rischi.
La responsabilità amministrativa verso la Pubblica Amministrazione
Il D.Lgs. n. 231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una specifica
forma di responsabilità a carico di società, con riferimento ad alcuni reati
contro la Pubblica Amministrazione, primi fra tutti la corruzione e la truffa
ai danni dello Stato 39 .
Le figure di reato per le quali si prevede la responsabilità della Società
per illecito amministrativo, sono:
• corruzione di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio
(compresa l’istigazione alla corruzione);
• concussione (adesione alla richiesta illegale avanzata da pubblico
ufficiale o da incaricato di un pubblico servizio);
• malversazione a danno dello Stato o di altro Ente pubblico (ad es.
finanziamenti pubblici destinati dall’impresa a finalità diverse rispetto
a quelle per le quali i finanziamenti sono stati erogati);
• truffa a danno dello Stato o di altro Ente pubblico (compresa la truffa
aggravata per il conseguimento, da parte dell’impresa, di
finanziamenti pubblici);
• frode informatica a danno dello Stato o di un Ente pubblico (ad es.
alterazione del funzionamento di un sistema informatico o telematico
dello Stato o di un Ente pubblico per procurarsi un ingiusto profitto).
Con riguardo alle responsabilità citate è da ricordare che:
• la responsabilità per la Società si manifesta quando il reato sia
commesso nell’interesse o a vantaggio della Società stessa da:
1. “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di
amministrazione o di direzione” della Società o “di una sua unità
organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”, nonché
“persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo”
della Società;
2. “persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei
soggetti” indicati al punto precedente;
• la responsabilità della Società è esclusa se quest’ultima può provare
che:
39
È rilevante sottolineare che il D.L.vo 231/2001 affronta solo una parte delle
fattispecie di reato previste dalla legge delega 300/2000, in attuazione delle direttive
internazionali di riferimento. Nell’iter legislativo alcuni importanti ambiti (ad es. il reato
ambientale) sono stati stralciati ed, in pratica, rinviati a successiva normazione. È però
opinione comune che le previsioni introdotte dal Decreto qui interpretato possano essere
successivamente riprese anche in relazione alle sopracitate fattispecie di reato.
21
Simona Franzoni
1. “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima
della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di
gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello
verificatosi” 40 ;
2. “il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei
modelli” è stato affidato ad un “organismo” della Società “dotato di
autonomi poteri di iniziativa e di controllo”;
3. “le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i
modelli di organizzazione e di gestione”;
4. “non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza” da parte del
citato organismo.
La responsabilità della società nei confronti della Pubblica
Amministrazione pare assumere natura amministrativa solo in via formale,
poiché di fatto si sostanzia in una vera e propria responsabilità penale,
tenuto conto che l’accertamento degli illeciti amministrativi della società è
rimesso allo stesso giudice penale (chiamato a conoscere i reati dai quali gli
illeciti dipendono) e si svolge secondo le regole proprie del processo penale.
Il fatto che determinate forme di condotta legate alla “gestione aziendale”
riguardino il diritto penale, comporta che gli effetti prodotti da
comportamenti illeciti dei propri dipendenti si riversino sull’azienda
(applicazione alla società di sanzioni pecuniarie o addirittura interdittive,
con la revoca di licenze ed autorizzazioni). Per evitare tali effetti la società
dovrebbe essere in grado di evidenziare e documentare sia che sono state
adottate tutte le misure utili per prevenire ogni forma di reato, sia che il
proprio dipendente è stato abile nell’eludere, con la sua condotta
intenzionale, i modelli organizzativi e gestionali adottati dall’azienda
medesima.
La responsabilità nei confronti della collettività
Considerato che l’agire delle aziende si sviluppa in interazione continua e
imprescindibile con l’ecosistema, attraverso l’impiego di risorse destinate a
qualsiasi processo di produzione, è necessario che si generi una relazione tra
impresa ed ambiente e che essa venga gestita consapevolmente e con
responsabilità.
L’impresa è chiamata quindi ad assumere comportamenti responsabili nei
confronti della collettività mediante il rispetto dell’ambiente e la
salvaguardia dei territori ove le imprese stesse sono inserite.
40
Allo scopo di meglio definire le caratteristiche dei modelli organizzativi, di gestione e
controllo da poter ritenere idonei alla prevenzione dei reati, Confindustria ha emanato il 16
aprile 2002, le linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e
controllo ex D.Lgs. n. 231/2001.
22
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
3.3. La responsabilità socio-ambientale
Accanto all’evoluzione normativa in materia di responsabilità giuridica
d’impresa, la Commissione Europea è intervenuta con comunicazioni e
raccomandazioni volte a sensibilizzare le imprese all’assunzione di
responsabilità in materia ambientale e sociale.
La responsabilità ambientale
L’esigenza di imporre ai soggetti che svolgono un’attività comportante il
rischio di causare danni all’ambiente l’assunzione di un comportamento
maggiormente informato alla prudenza e responsabilità, ha portato la
Commissione della Comunità Europea a pubblicare nel febbraio 2000 il
Libro Bianco avente ad oggetto “la responsabilità per danni all’ambiente”.
Il Libro Bianco delinea la struttura di un futuro sistema di responsabilità
comunitario per i danni all’ambiente mirato ad affermare il principio “chi
inquina paga”: “ciò significa che quando un’attività effettivamente dà luogo
a danni, il soggetto che ha il controllo dell’attività (l’operatore) che inquina
deve pagare i costi per riparare il danno”.
Il Libro esamina infatti le diverse possibilità per definire un regime di
responsabilità per danni all’ambiente che possa essere applicato a livello
comunitario al fine di migliorare l’applicazione dei principi sanciti con il
trattato CE 41 e l’attuazione del diritto ambientale comunitario, garantendo
un adeguato ripristino dell’ambiente.
Al Libro Bianco si è affiancata la Raccomandazione della Commissione
Europea del 30 maggio 2001 con la quale gli Stati membri sono stati esortati
ad attivarsi affinché le imprese nazionali, soggette alla IV e VII direttiva
CE, adottino le disposizioni contenute nella Raccomandazione relative alla
rilevazione, valutazione e divulgazione delle spese ambientali 42 , nonché agli
oneri ed ai rischi ambientali. Tali disposizioni dovrebbero incentivare le
imprese ad un comportamento più responsabile ed esercitare quindi un
effetto preventivo di tutela ambientale. Affinché si possa realizzare il
rispetto ecologico mediante l’assunzione da parte delle imprese di precipue
responsabilità ambientali è infatti necessario che l’ambiente entri nel
sistema delle decisioni, nella strategia e nelle misurazioni d’azienda.
41
Art.174, paragrafo 2 del trattato CE: “la politica della Comunità in materia
ambientale (…) è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul
principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul
principio «chi inquina paga».”
42
Si rinvia a C. Mio, A. Giornetti, Bilancio e ambiente, Egea, Milano, 2002.
23
Simona Franzoni
La responsabilità sociale
Parallelamente al tema ambientale, ha assunto notevole rilievo la politica
sviluppata dall’Unione Europea a sostegno della responsabilità sociale delle
imprese, definita nel Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese” della Commissione Europea del luglio
2001, come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle
preoccupazioni sociali e ambientali nello loro operazioni commerciali e nei
loro rapporti con le parti interessate”, posto che un comportamento
responsabile è la premessa di un successo durevole.
Adottando comportamenti socialmente responsabili, le imprese intendono
gestire il cambiamento in modo consapevole sul piano sociale, cercando di
trovare un compromesso equilibrato tra le esigenze e i bisogni delle parti
interessate secondo modalità che siano accettabili da tutti.
La Commissione Europea ha affermato che “se le mutazioni saranno
gestite con responsabilità e consapevolezza, l’impatto a livello
macroeconomico sarà sicuramente positivo. La responsabilità sociale delle
imprese può contribuire, così, entro il 2010, al raggiungimento dell'obiettivo
strategico fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, vale a
dire “diventare l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica
del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da
un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una
maggiore coesione sociale” e potrà inoltre servire a rafforzare la strategia
europea di sviluppo sostenibile”.
Il Libro verde si propone di lanciare un ampio dibattito sugli strumenti
attraverso i quali promuovere la responsabilità sociale delle imprese a
livello sia europeo che internazionale, e in particolare sulle modalità utili
per sfruttare al meglio le esperienze esistenti, incoraggiando lo sviluppo di
prassi innovative, migliorando la trasparenza e rafforzando l’affidabilità
della valutazione e della convalida delle varie iniziative realizzate in
Europa.
Nel 2002, la Commissione europea ha presentato la Comunicazione
relativa alla Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle
imprese allo sviluppo sostenibile. Tale Comunicazione si rivolge alle
Istituzioni europee, agli Stati membri, alle parti sociali, alle associazioni
d’impresa e dei consumatori, nonché alle singole imprese e ad altre parti
interessate, in quanto soltanto grazie ad un impegno congiunto sarà possibile
sviluppare e applicare la strategia europea di promozione della
Responsabilità sociale d’impresa.
Infine il Governo italiano, in occasione del semestre di Presidenza
Italiana dell’Unione Europea, ha voluto offrire un contributo allo sviluppo
del dibattito sulla Responsabilità sociale d’impresa.
24
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Il Progetto CSR-SC promosso dal Ministero Italiano del Lavoro e delle
Politiche Sociali sul tema della Corporate Social Responsibility (CSR) si
propone di fornire un contributo al dibattito per la definizione di un
“framework europeo per la CSR”, come auspicato dalla Commissione
Europea.
La proposta italiana si fonda su un approccio volontario alla CSR ed ha
come obiettivo principale quello di promuovere una cultura della
responsabilità all’interno del sistema industriale e di accrescere il grado di
consapevolezza delle imprese sulle tematiche sociali, ambientali e della
sostenibilità.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il Progetto CSR-SC
ha voluto anche fornire una risposta efficace e concreta alle crescenti istanze
informative che provengono da diverse categorie di stakeholder sulla CSR.
In questo senso, il Governo punta a garantire maggiore chiarezza e
trasparenza nella comunicazione aziendale sulle iniziative realizzate in
ambito di CSR, a tutela e vantaggio dei consumatori e dei cittadini.
Caratteristica distintiva del Progetto CSR-SC è l’attenzione dedicata alle
piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono, come è noto, una
componente fondamentale del tessuto industriale nazionale. La sfida che il
Governo si propone, in linea con gli obiettivi fissati a livello Europeo, è
quella di coinvolgere tali aziende nelle pratiche di CSR, promuovendo la
diffusione di adeguati strumenti gestionali ed accrescendo la
consapevolezza circa i potenziali vantaggi competitivi derivanti da
comportamenti attivi in ambito di CSR 43 .
Al fine di favorire l’adesione al Progetto CSR-SC, il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali ha predisposto delle Linee Guida dirette a
facilitare forme di autovalutazione interna da parte delle imprese e la
compilazione del Social Statement 44 . L’intento perseguito è quello di
supportare il management aziendale nell’implementazione di social
43
Inoltre, al fine di sensibilizzare le piccole-imprese alla cultura della responsabilità, è
stato diffuso nel luglio 2005 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un volume
che porta il titolo “Responsabilità Sociale delle Imprese – Esempi di buone pratiche
italiane” dove sono descritti 30 casi di buone pratiche: “esempi di una imprenditorialità che
ha deciso di intraprendere il percorso della sostenibilità con l’adozione di comportamenti
socialmente responsabili”.
44
Il Social Statement è un documento attraverso cui l’impresa comunica agli
stakeholder le proprie performance sociali, ambientali e di sostenibilità. Si basa su un set
modulare e flessibile di CSR performance indicator, la cui struttura si articola, in
particolare, in funzione della classe dimensionale di appartenenza dell’azienda che adotta,
ossia decide di redigere, il Social Statement. Il documento è frutto dell’analisi dei principali
standard e iniziative nazionali, europee e internazionali (GRI, SA8000, AA1000, QRES,
SEAN, GBS, SIGMA Project, London Benchmarking Group, The Copenhagen Centre,
Wertemanagment System ZFW, SERS, Finetica).
25
Simona Franzoni
performance indicator 45 , utili per orientare i processi strategici e decisionali
e per omogeneizzare le modalità di rendicontazione e comunicazione verso
terzi 46 .
Nello scenario attuale, la responsabilità sociale d’impresa si manifesta
attraverso l’assunzione di due comportamenti differenti. Il primo prevede
l’attuazione di politiche e di interventi mirati su determinate problematiche
sociali avvertite come rilevanti. L’impresa destina, ad esempio, una
percentuale del proprio fatturato alla lotta contro talune malattie, alla
salvaguardia del patrimonio storico ambientale, ecc.. Nella fattispecie
l’impresa assume volontariamente un’obbligazione sociale nei confronti
della collettività di cui si sente compartecipe: trattasi di un’obbligazione
sociale che si aggiunge alle logiche strutturali e strategiche dell’impresa
stessa senza porle necessariamente in discussione.
La seconda linea di comportamento vede nella responsabilità sociale una
componente strutturale del modo di essere e di fare impresa. A partire da
tale presupposto, la relazione tra l’impresa e l’ambiente di riferimento
risulta talmente profonda che la responsabilità viene considerata parte
integrante ed essenziale nei processi di governo della gestione dell’impresa
medesima. Pertanto, secondo quest’ultima accezione, l’assunzione di
responsabilità sociale non è elemento che si aggiunge, ma è dimensione
strutturale della vita dell’impresa, istituto economico-sociale che, nel
realizzare la sua tipica missione produttiva, inevitabilmente esercita un
influsso su una molteplicità di soggetti, creando valore per ciascuno di
essi 47 .
45
Si rinvia per un maggior dettaglio circa la descrizione degli indicatori all’appendice –
Social Statement e Set di Indicatori – del Progetto CSR-CS elaborato dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, nel 2004.
46
Si precisa tuttavia a riguardo che il Social Statement non prevede indicatori utili alla
valutazione dei comportamenti aziendali per ciò che attiene alla responsabilità legale
d’impresa.
47
“Il termine sociale, sovente associato alla responsabilità aziendale, può, in tal senso,
risultare da un lato ridondante in quanto è presumibile aspettarsi che l’impresa risponda
delle proprie azioni in primo luogo alla società, e dall’altro fuorviante perché richiama alla
mente un’idea di assistenzialismo, ossia di attività prestata al fine di aiutare materialmente
o moralmente qualcuno, che in realtà non riguarda l’agire di impresa”. Arrigo E.,
Responsabilità aziendale in economia di scarsità. Il caso Olivetti, in Symphonya, Istei,
Milano, n. 2/2004.
26
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
4. Le relazioni tra responsabilità e cultura d’impresa
L’attenzione alle norme non deve costituire un mero adempimento
formale per l’azienda, ma deve rappresentare un’opportunità per migliorare
e perfezionare i propri comportamenti secondo correttezza.
Dal corretto contemperamento delle attese legittime di tutti gli attori
sociali, dalla capacità di traduzione delle stesse in adeguate decisioni ed
azioni, dall’attivazione di idonei processi di comunicazione, dipendono le
possibilità di crescita equilibrata dell’impresa per tempi non brevi. Il
convergere su principi di equo soddisfacimento delle attese degli
stakeholder identifica il grado di responsabilità globale che l’impresa ha
assunto.
La realizzazione di comportamenti responsabili e l’ottenimento di
risultati coerenti con le attese, implicano un orientamento diffuso ai valori di
equità, correttezza, trasparenza; ciò presuppone una cultura aziendale forte e
condivisa, fondata su principi etici. In effetti, l’orientamento all’efficacia
globale, al soddisfacimento delle attese economiche e non, e dunque
l’assunzione di precipue responsabilità, si realizza tanto più efficacemente
quanto più tutti coloro che lavorano nell’impresa sono consapevoli di tale
finalità, la condividono e collaborano attivamente fra loro affinché essa
possa trovare piena attuazione, in un clima organizzativo che li
responsabilizza e li valorizza 48 .
La cultura d’impresa rappresenta a tutti gli effetti un elemento di
coesione, una variabile idonea ad agevolare omogeneità di comportamenti
responsabili anche a fronte di dispersione nello spazio delle unità operative
e di separazione tra organi e funzioni. Ne deriva che l’efficace realizzazione
di una gestione finalizzata e responsabile può risultare significativamente
orientata da una cultura improntata a corretti principi economici, socioambientali e di legalità, che sottendono alla responsabilità globale
d’impresa.
È dunque indispensabile che i soggetti che compongono il gruppo di
controllo di un’impresa esercitino responsabilmente il proprio ruolo,
facendosi, prima di tutto, portatori di attese di sviluppo duraturo
dell’impresa e subordinando al soddisfacimento pieno di tali attese il
conseguimento di ogni altro obiettivo.
Lo stesso coordinamento tra organi di governance ed organizzazione e
l’efficacia dei messaggi trasmessi risultano agevolati se innestati in una
48
Per le condizioni di efficacia del sistema aziendale si rinvia a: D.M. Salvioni,
Efficacia aziendale, processi di governo e risorse immateriali, in D.M. Salvioni (a cura di),
Corporate Governance, controllo di gestione e risorse immateriali, Franco Angeli, Milano,
2004.
27
Simona Franzoni
realtà con valori forti e condivisi, improntati all’equo contemperamento di
tutte le attese, nel pieno rispetto dell’ambiente. In tale ambito assumono
precipuo rilievo i presupposti di correttezza, di trasparenza del management
e dei gruppi di controllo, di rigore amministrativo, di capacità del
management di coinvolgere i vari interlocutori da cui dipende il dispiegarsi
del disegno strategico perseguito. Dal corretto combinarsi nel tempo di tali
elementi dipende l’evoluzione culturale e la connessa responsabilità
dell’impresa rispetto alle dinamiche esterne ed interne.
La diffusione dei valori fondamentali di uno specifico contesto culturale
aziendale risulta essere un elemento cruciale dal punto di vista organizzativo
e strategico e rappresenta un’importante competenza propria degli organi di
governo.
In tale ambito, può assumere rilevanza la definizione e la diffusione di:
codici etici, carta dei valori, cioè di “strumenti organizzativi appositamente
concepiti per consolidare una cultura d’impresa eticamente ispirata o per
cambiare una cultura aziendale dimenticata dei principi di correttezza e
trasparenza” 49 .
Con il codice etico l’impresa enuncia i valori sui quali si fonda la sua
cultura, dichiara la sua responsabilità verso ciascuna categoria di
stakeholder e dunque orienta i comportamenti di ogni membro
dell’organizzazione ad assumere atteggiamenti conformi ai principi etici
d’impresa.
La carta dei valori è diretta ad esplicitare i valori condivisi e ad unire le
varie componenti organizzative sotto un’unica identità aziendale.
Inoltre, nelle realtà complesse può assumere rilievo la presenza di organi,
quali il Comitato etico o l’Ethics officer, con funzioni di promozione e
attivazione di iniziative orientate ad accrescere la consapevolezza e
l’importanza dell’etica in tutti i dipendenti. Naturalmente, affinché i codici
di comportamento producano reali effetti, è auspicabile che tali organi
operino in stretta collaborazione con gli organi di controllo interno.
Gli organi di controllo interno potrebbero, ad esempio, verificare che il
corretto sviluppo delle decisioni di gestione e l’adeguato orientamento al
raggiungimento degli obiettivi siano compatibili con la condotta etica
d’impresa.
In effetti, i valori d’impresa – rappresentativi della cultura – sono
riconducibili a: le politiche, le pratiche manageriali, le decisioni
organizzative, la scelta dei prodotti e dei servizi, ecc. Pertanto, i valori
d’impresa trovano riscontro negli obiettivi aziendali e nelle modalità assunte
49
V. Coda, Codici etici e liberazione dell’economia, in AA.VV., Codici etici e cultura
di mercato, atti del Workshop ISVI, Milano, 1993.
28
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
per il loro perseguimento 50 . In tale contesto, un ruolo del tutto particolare è
assunto dal sistema di controllo della gestione, quale strumento
riconducibile al governo dei comportamenti responsabili aziendali per il
migliore raggiungimento delle condizioni di efficacia.
In sintesi, la cultura d’impresa produce effetti profondi ed estremamente
pervasivi sull’organizzazione, che hanno un impatto rilevante sulla stessa
responsabilità aziendale ed il suo orientamento di fondo. Ciò implica che
l’impresa che intenda attuare comportamenti responsabili si interroghi ed
intervenga sul proprio disegno strategico, per porre in essere strumenti
(codici di comportamento), individuare attori (Comitato etico, Ethics officer,
ecc.), attivare processi di controllo interno e dunque adottare soluzioni
coerenti da monitorare nel tempo, perché solo nel tempo si potranno
cogliere i risultati di una condotta responsabile, sia dal punto di vista
dell’impresa, che da quello degli stakeholder.
Del resto, il concetto di responsabilità globale d’impresa, individuato in
una condotta aziendale che discende da una forte e coesa cultura d’impresa,
ricerca un’armonizzazione con le aspettative di tutti i diversi soggetti che a
vario titolo sono interessati dal comportamento dell’impresa, per porre in
essere un modello di crescita e di sviluppo che “risponda alle necessità del
presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di
soddisfare le proprie” 51 .
5. L’indagine empirica
Il presente paragrafo introduce i risultati di una ricerca che la scrivente ha
effettuato tra gennaio-marzo 2005 52 , su un ampio campione di imprese
presenti sul territorio della provincia di Brescia, al fine di comprendere il
reale grado di sensibilità e di interesse delle tematiche inerenti alla
responsabilità, alla cultura ed al sistema di controllo d’impresa.
Grazie al supporto di Apindustria, associazione che dal 1962 riunisce le
piccole e medie imprese presenti nel territorio bresciano, è stato possibile
raggiungere circa mille aziende, alle quali è stato somministrato a mezzo fax
un questionario composto da circa quindici domande a risposta chiusa. Il
50
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: S. Franzoni, La cultura d’impresa nei
processi di governo, in D.M. Salvioni, (a cura di), Corporate Governance, controllo di
gestione e risorse immateriali, Franco Angeli, Milano, 2004.
51
Si tratta della più nota e largamente accettata definizione di sviluppo sostenibile
diffusa nel 1987, con l’emanazione del Rapporto Bruntland dalla World Commission on
Environment and Development (WCED). Tale definizione verrà poi ribadita con forza dalla
Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro e di Kyoto.
52
Si desidera ringraziare per la collaborazione nella ricerca e nella raccolta dei dati la
Dott.ssa Francesca Mangerini.
29
Simona Franzoni
tasso di risposta è stato pari a circa il 10%, per un totale di centouno
imprese 53 .
5.1. Il sistema industriale bresciano
La provincia di Brescia risulta essere un’area connotata da
un’elevatissima concentrazione di attività produttive: con 99.688 imprese
presenti sul territorio, riveste infatti, la sesta posizione nella graduatoria a
livello nazionale 54 . Il 25,3% delle aziende bresciane opera nel settore del
commercio, il 18,1% in quello industriale, il 14,7% in quello delle
costruzioni, il 12,8% in quello agricolo e il 29,1% in altro 55 .
I principali elementi sui quali si sviluppa la struttura industriale bresciana
sono essenzialmente riconducibili a quelli che hanno caratterizzato lo
sviluppo industriale italiano. Si fa riferimento in particolare a:
• la dimensione prevalentemente medio-piccola delle aziende;
• la forte connotazione territoriale delle attività produttive;
• la capacità di soddisfare le esigenze di varietà che caratterizzano la
domanda;
• il modello dominante di proprietà, controllo e gestione delle iniziative
imprenditoriali, prevalentemente di carattere familiare.
Lo sviluppo del tessuto industriale bresciano si è manifestato a partire dal
1980. La struttura industriale della provincia di Brescia è costituita quasi
esclusivamente da imprese di piccole, se non addirittura piccolissime
dimensioni. La maggioranza di queste opera con impianto unico e con un
numero medio di dipendenti inferiore alle nove unità per impianto. Il
modello prevalente della proprietà delle imprese bresciane è quello di tipo
familiare.
In generale si tratta di imprese che operano in settori che possono
definirsi “frammentati”, nei quali cioè le singole imprese possiedono una
quota di mercato relativamente modesta e non hanno pertanto grandi
possibilità di influenzare il comportamento della concorrenza.
Nonostante l’imponente sviluppo che ha caratterizzato l’industria
bresciana, la distribuzione territoriale delle attività non è stata tale da
alterare la struttura sociale ed urbanistica della provincia.
Le aziende hanno infatti mantenuto forti connotazioni territoriali ed
esistono zone nella Provincia “specializzate” in alcune produzioni: si tratta
di agglomerati costituiti da nuclei di imprese che svolgono la medesima
attività produttiva o produzioni tra loro collegate (a monte o a valle), ovvero
53
Si ringrazia tutte le aziende che hanno contributo a dare valore alla ricerca grazie alle
risposte dei questionari pervenuti.
54
Camera di Commercio di Brescia, 2002.
55
Camera di Commercio di Brescia, 2002.
30
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
attività di supporto, prive di legami diretti di tipo tecnico-produttivo.È
questo il caso dell’area Camuno-Sebina caratterizzata da una preminenza di
aziende che si occupano di lavorazioni metallurgiche; dell’area della Val
Trompia e della Val Sabbia, nelle quali prevalgono produzioni meccaniche e
lavorazione dei metalli; della zona della Bassa Bresciana e di Palazzolo
sull’Oglio, il cui settore prevalente è quello delle produzioni tessili e
dell’abbigliamento.
Il settore connesso alla filiera della trasformazione e lavorazione dei
metalli costituisce tuttora, in termini di addetti, il più rilevante sbocco
occupazionale della provincia, seguito da quello della trasformazione del
tessile. In merito a tali attività l’industria bresciana ha intrapreso, nel corso
degli anni, un significativo processo di diversificazione: sul territorio
provinciale è possibile infatti rinvenire tutte le fasi della lavorazione dei
metalli, da quelle di trasformazione negli impianti siderurgici e metallurgici,
a quelle di trasformazione nelle fonderie e negli stampaggi, a quelle di
realizzazione di una grande varietà di prodotti merceologicamente legati alla
filiera.
In merito ai risultati economici raggiunti dalla provincia nel 2002, si
sottolinea come il 2,3% del valore aggiunto prodotto dall’economia
nazionale derivi dalle attività del sistema imprenditoriale bresciano. Si tratta
di un risultato importante che colloca Brescia al quinto posto nella
produzione di valore aggiunto a livello nazionale, dopo Milano, Roma,
Torino e Napoli.
Per quanto attiene invece al valore pro-capite, la provincia di Brescia, pur
facendo registrare un dato nettamente superiore alla media nazionale
(24.000 Euro contro 20.000 Euro), si colloca piuttosto al di sotto della
media lombarda.
5.2. Le aziende analizzate
L’indagine condotta si basa sulle informazioni fornite da centouno
aziende che hanno risposto al questionario inviato a tutte le imprese iscritte
all’Associazione Piccole e Medie Industrie di Brescia (circa mille unità). Le
imprese che hanno aderito alla ricerca presentano la seguente
composizione 56 :
56
Tale classificazione è mutuata con riferimento alle quattro “definizioni” di impresa
fornite dall’Unione Europea a seconda della loro dimensione:
- microimprese: aziende che occupano meno di dieci dipendenti;
- piccole imprese: aziende indipendenti con meno di cinquanta dipendenti ed un fatturato
annuo non superiore a sette milioni di Euro o uno stato patrimoniale annuo che non
supera i cinque milioni di Euro;
31
Simona Franzoni
- 26% è costituito da micro-imprese;
- 55% è costituito da piccole imprese;
- 19% è costituito da organizzazioni di medie dimensioni.
La governance dell’impresa è affidata per il 53% alla prima generazione
di imprenditori, i cosiddetti fondatori. Le organizzazioni oggetto d’indagine,
sono in prevalenza imprese metalmeccaniche, seguite da quelle tessili e da
quelle che si occupano delle lavorazioni di plastica e gomma. La
distribuzione percentuale dei settori di appartenenza è rappresentata nella
Figura 1.
Figura 1 – Settori in cui operano le imprese analizzate
Chimico
2%
Grafica
1%
Informatica
2%
Alimentare
2%
Lapidei
1%
Legno
2%
Plastica Gomma
4%
Pelli
1%
Non
classificabili
4%
Tessile
4%
Cartotecnico
1%
Calzaturiero
1%
-
-
Metalmeccanica
75%
medie imprese: aziende indipendenti che hanno un numero di dipendenti compreso tra i
cinquantuno e i duecentocinquanta e un fatturato annuo non superiore i quaranta milioni
di Euro o un totale di bilancio non superiore ai ventisette milioni di Euro;
grandi imprese: aziende con più di duecentocinquanta dipendenti, con fatturato annuo
superiore ai quaranta milioni di Euro o un totale di bilancio superiore ai ventisette
milioni di Euro.
32
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
5.3. I risultati dell’indagine
L’indagine si propone di verificare il grado di diffusione e la sensibilità
alla responsabilità sociale.
Come si evince dalla Tabella 1, le risposte pervenute evidenziano che il
57,73% delle imprese affrontano la tematica attinente alla “responsabilità
sociale d’impresa” come mero adempimento normativo e il 63,92% in
termini di soddisfacimento delle attese economiche, sociali e ambientali dei
diversi portatori d’interesse (si precisa che 20 imprese, pari al 20,62%,
hanno contrassegnato sia la prima che la seconda risposta). Il 7,22% delle
imprese rispondenti interviene in tema di responsabilità sociale attraverso
politiche mirate su determinate problematiche sociali (ad esempio,
destinando una percentuale del fatturato alla lotta contro talune malattie
oppure alla salvaguardia del patrimonio storico ambientale, ecc.) e l’8,25%
ricorre alla certificazione ambientale.
Tabella 1 – Come le imprese affrontano la tematica della responsabilità
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 97*
56
57,73
62
63,92
7
7,22
8
1
8,25
1,03
Adempiere agli obblighi di legge
Soddisfare le attese economiche, sociali ed ambientali dei
diversi portatori d’interesse (clienti, fornitori,
dipendenti,…)
Realizzare politiche ed interventi mirati su determinate
problematiche sociali (beneficenza)
Ricorrere alla certificazione ambientale ISO14000
Altro
(*) Quattro imprese non hanno fornito risposte a questa domanda.
I risultati non sono particolarmente soddisfacenti, in particolare se si
considera che il 30% delle imprese (29 su 97) ha fornito come unica risposta
al significato della responsabilità sociale il mero adempimento all’obbligo di
legge e soltanto il 35% (34 su 97) la soddisfazione delle attese economiche,
sociali ed ambientali dei diversi portatori di interesse.
Si è poi indagato sulle valenze attribuite alla comunicazione interna ed
esterna dei propri risultati aziendali: la mancata divulgazione di
informazioni da parte delle imprese non consente, infatti, agli stakeholder di
apprezzare le modalità di assunzione delle responsabilità, non agevolando in
tal modo l’ottenimento di consensi e dunque di risorse.
33
Simona Franzoni
Il risultato emerso è soddisfacente: si è rilevato che il 90% (90 su 101)
delle imprese ha attribuito alla comunicazione esterna un peso alto e medioalto (90 su 101); il restante 10% un peso medio-basso e basso (11 su 101). È
altrettanto significativo il dato relativo all’importanza che viene data alla
comunicazione interna: circa l’88% delle imprese (89 su 101) ha attribuito
alla medesima un peso alto e medio-alto.
Alle imprese è stato dunque chiesto se effettivamente comunicano i
propri risultati aziendali e in caso affermativo, con quali modalità, oltre alla
pubblicazione obbligatoria del bilancio d’esercizio. I risultati non sono
positivi: solo il 50% delle imprese indagate ha fornito una risposta
affermativa (50 su 101).
Come si evince dalla Tabella 2, tra le 50 imprese che affermano di
comunicare i propri risultati aziendali, il 12% ricorre ad assemblee aperte al
pubblico, il 70% utilizza strumenti di rendicontazione sociale (non si fa
riferimento alla pubblicazione del bilancio sociale, ma al bilancio
ambientale, obbligatorio per la certificazione ambientale ISO14000), l’8%
ricorre al sito web e il 28% prevede altre modalità, rivolte specificamente
all’interno: assemblee o riunioni.
Tabella 2 – In che modo le imprese comunicano i risultati aziendali
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
Assemblee aperte al pubblico
Rendicontazione sociale (bilancio sociale, bilancio
ambientale, ecc.)
Sito web
Altro
N. IMPRESE
% su 50
6
12
35
70
4
14
8
28
L’analisi dei dati non è positiva, in specie se si confrontano i dati della
Tabella 2 con le precedenti analisi:
- delle 90 imprese che hanno dichiarato l’importanza della
comunicazione aziendale, solo il 56% (50 su 90) utilizza specifici
strumenti di comunicazione per la diffusione dei risultati aziendali;
- delle 62 imprese che affrontano la tematica della responsabilità sociale
come la “soddisfazione delle attese dei propri stakeholder”, il 35% (22
su 62) non comunica i propri risultati aziendali né all’esterno né
all’interno.
Emerge con tutta evidenza come le informazioni ottenute dall’indagine
non siano tra loro coerenti. La convinzione delle imprese che la
comunicazione sia un processo aziendale rilevante, dovrebbe infatti trovare
34
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
un reale riscontro nei comportamenti delle medesime, orientati alla
diffusione dei risultati ottenuti. La traduzione di tale affermazione nei
comportamenti richiede la presenza di una cultura aziendale fondata su
principi etici e sui valori di trasparenza.
L’indagine è dunque proseguita chiedendo alle imprese di esprimersi sul
concetto di cultura di impresa, sui valori diffusi nella propria organizzazione
e sulle modalità di diffusione dei medesimi.
Le risposte più diffuse indicano la cultura d’impresa come “la
preparazione professionale dei collaboratori” e “il risultato di un processo
congiunto di apprendimento” (Tabella 3). Si vuole, tuttavia, sottolineare che
sono ancora poche le aziende, circa il 34%, che hanno attribuito al concetto
di cultura il significato “i nostri valori” e ancora meno, pari al 18,37% le
imprese che l’hanno definita “come facciamo le cose in azienda”. È ancora
debole dunque la convinzione che sono gli individui coinvolti nella vita
dell’impresa e guidati nelle scelte e nelle azioni da determinati valori,
variamente radicati nell’esperienza, nelle tradizioni e nelle modalità di
operare dell’organizzazione che creano ed esprimono la cultura d’impresa.
Tabella 3 – Come le imprese definiscono la cultura d’impresa
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 98*
Come facciamo le “cose” in azienda
18
18,37
Riti e rituali
3
3,06
Il clima dell’impresa
Il sistema di premi
La preparazione professionale dei collaboratori
Il risultato di un processo congiunto di apprendimento
I nostri valori
Altro
8
2
40
36
33
2
8,16
2,04
40,82
36,73
33,67
2,04
(*) Tre imprese non hanno fornito risposte a questa domanda.
Si è in seguito approfondito il concetto di cultura, intesa come l’insieme
dei valori, nonché degli atteggiamenti e degli schemi interpretativi che
permeano l’organizzazione, condizionandone i comportamenti, la coesione e
le potenzialità di crescita.
I valori considerati come maggiormente presenti dal gruppo di imprese
oggetto di indagine sono rappresentati, come si evince dalla Tabella 4, dalla
qualità e dal servizio al cliente. Non vengono invece considerati di pari
importanza i valori di “competitività”, “innovazione” ed “eccellenza”
35
Simona Franzoni
fortemente integrati ai primi. Seguono poi, l’onestà, la flessibilità e la
tempestività. È da evidenziare che nella tabella dei valori non è stato
contemplato quello relativo alla trasparenza e che nessuna delle imprese
indagate ha indicato tale valore nella voce “altro”.
Tabella 4 – Quali sono i valori diffusi nelle imprese censite
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 100*
Cordialità
40
40
Informalità
14
Formalità
Onestà
Competitività
Innovazione
Formazione
Servizio al cliente
Tempestività
Eccellenza
Qualità
Flessibilità
Comunicazione
Altro
3
53
37
38
35
75
44
5
75
50
30
4
14
3
53
37
38
35
75
44
5
75
50
30
4
(*) Un’impresa non ha fornito risposta a questa domanda.
In considerazione della prevalente accezione di cultura d’impresa e
coerentemente ai valori affermati, la formazione dovrebbe rivestire un ruolo
rilevante all’interno delle imprese analizzate. Si è pertanto indagato in
merito all’esistenza di piani formativi rivolti al personale, e i risultati non
sembrano confermare le affermazioni suesposte.
Il 70% delle imprese (71 su 101) ha fornito risposta affermativa,
indicando le giornate di formazione rivolte al personale. I destinatari della
formazione sono soprattutto i dirigenti, con 3,05 giornate all’anno contro le
2,21 degli impiegati e le 0,28 degli operai. Occorre tuttavia evidenziare che
sono 34 le imprese in cui il personale non ha fruito di alcuna giornata di
formazione nell’ultimo anno ed 11 le imprese il cui personale ha avuto a
disposizione un monte ore di formazione annuo inferiore ad otto. Inoltre,
delle 71 imprese che sostengono di predisporre piani di formazione, 8 non
hanno realizzato, nell’ultimo anno, alcuna giornata di formazione.
36
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
Un ulteriore dato che indebolisce la coerenza tra le affermazioni espresse
dalle imprese sull’importanza della comunicazione aziendale ed il reale
processo comunicazionale attivato dalle medesime nelle gestioni operative,
è rappresentato dal fatto che solo il 30% delle imprese (30 su 100) ha
indicato la comunicazione come valore aziendale.
L’indagine è proseguita analizzando le modalità adottate dalle imprese
oggetto di indagine per trasferire i valori e la cultura d’impresa.
L’87% utilizza lo strumento dalle assemblee/riunioni per la trasmissione
dei propri valori. In particolare, sono 68 le imprese che adottano tale
soluzione in via esclusiva, le altre 20 utilizzano al contempo altri strumenti
quali: l’assemblea, il comunicato-stampa, la carta dei valori e/o il codice
etico ed il sito web (Tabella 5).
Tabella 5 – Con quali strumenti sono trasferiti i valori d’impresa
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 101
Comunicati stampa e affissioni
26
25,74
Assemblee/riunioni
88
Sito web
Carta dei valori/codice etico
Altro
3
4
15
87,13
2,97
3,96
14,85
I dati che emergono dalla Tabella 5 non risultano positivi: vi è uno scarso
utilizzo della carta dei valori e/o di codici etici, predisposti solo dal 4% delle
imprese analizzato, ed un ricorso ancor più limitato al Web, potenziale
strumento per la diffusione delle informazioni.
L’utilizzo dell’assemblea e/o riunione rappresenta lo strumento che
meglio risponde alle esigenze per la trasmissione dei valori tra i membri
dell’organizzazione. Come si evince dalla Tabella 6, il 47,52% delle
imprese ricorre a tale strumento per facilitare l’incontro tra dirigenti e
collaboratori e il 45,45% per sensibilizzare i collaboratori nell’impiego di
determinate modalità operative.
Risulta significativa anche un’ulteriore modalità utilizzata dalle imprese
per trasferire i valori nella propria realtà, ossia l’assunzione di decisioni
strategiche coerenti con i valori aziendali e la traduzione delle stesse in
obiettivi operativi.
In tale ambito il controllo di gestione, in quanto processo con funzioni di
apprendimento ed orientato a guidare il cambiamento culturale, può rivestire
uno specifico rilievo.
37
Simona Franzoni
Il controllo di gestione rappresenta cioè il veicolo per eccellenza per
consolidare la cultura esistente e/o per trasfondere una nuova cultura in
un’organizzazione, conferendo all’impresa omogeneità di valori,
simbologia, linguaggio e supportando il processo di definizione,
monitoraggio e valutazione delle strategie in linea con i valori aziendali e la
traduzione delle stesse in obiettivi operativi. I comportamenti responsabili
degli individui risulterebbero in tal modo orientati verso obiettivi condivisi,
espressivi dei valori aziendali, opportunamente strutturati e diffusi, diretti
anche a ridurre eventuali tensioni interne.
Tabella 6 – Come vengono trasmessi i valori all’interno dell’organizzazione
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 101
Incontri tra dirigenti e collaboratori
Sensibilizzazione dei collaboratori mediante la spiegazione
di precise modalità operative
Assunzione delle decisioni strategiche in linea con i valori
aziendali e traduzione delle stesse in obiettivi operativi
Altro
48
47,52
46
45,54
45
43,55
3
2,97
L’indagine ha pertanto considerato il significato attribuito dalle imprese
al sistema di controllo della gestione e le valenze attribuite a tale
meccanismo per veicolare la cultura d’impresa.
Le imprese che ritengono che il sistema di controllo della gestione
rappresenti un meccanismo in grado di influenzare la cultura d’impresa sono
pari al 77% (circa 77 su 101); 11 imprese hanno espresso invece un parere
contrario e 13 non hanno fornito risposta.
Tabella 7 – Il controllo di gestione rappresenta un meccanismo in grado di
veicolare la cultura d’impresa
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 88*
SI
77
87,5
NO
11
12,5
(*) Tredici imprese non hanno fornito risposte a questa domanda.
38
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
È opportuno sottolineare che, nonostante sussista una percentuale
rilevante di imprese convinta che il sistema di controllo possa veicolare la
cultura d’impresa, non così rilevante è il significato che le medesime
imprese attribuiscono a tale sistema, quale meccanismo in grado di
“orientare i comportamenti”. Tale definizione è stata espressa infatti solo da
circa il 25% delle imprese (25 imprese su 101), delle quali solo 8 hanno
risposto in via esclusiva; altre 8, pur affermando che il controllo della
gestione rappresenta uno strumento volto ad orientare i comportamenti,
hanno dichiarato che non è idoneo a veicolare la cultura d’impresa.
La lettura di tali dati permette di affermare che sono molto poche le
imprese che dimostrano di aver maturato una consapevolezza in merito alla
valenza del sistema, quale meccanismo idoneo al governo dei
comportamenti ed alla trasmissione dei valori aziendali tra i membri
dell’organizzazione. La maggior parte delle imprese concepisce invece il
controllo della gestione come “l’analisi dei costi” o “l’elaborazione di
rapporti di gestione” (Tabella 8).
Tabella 8 – Il significato di controllo della gestione
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
N. IMPRESE
% su 101
Analisi dei costi
72
71,29
Orientamento dei comportamenti
25
24,75
Elaborazioni di rapporti di gestion
Altro
38
12
37,62
11,88
Le imprese sono state inoltre chiamate ad esprimersi in merito agli
elementi che caratterizzano l’efficacia dei sistemi di controllo della gestione
(Tabella 9). Tra le risposte suggerite, quelle che hanno trovato maggior
riscontro sono state: il “monitoraggio costante degli obiettivi” (scelta da 72
imprese), “la tempestività delle azioni correttive”, (scelta da 61 imprese) e
“la definizione di precise responsabilità gestionali” (scelta da 49 imprese).
Dall’analisi emerge inoltre che solo 7 imprese su 101, quindi circa il 7%
del campione considerato, ha contrassegnato contemporaneamente la
risposta “definizione di precise responsabilità gestionali”, “flusso di
informazioni qualitative e quantitative” e “monitoraggio costante degli
obiettivi”, quali elementi rilevanti per l’efficacia del sistema di controllo.
I risultati ottenuti paiono evidenziare quanto il sistema di controllo sia
ancora incentrato su logiche di verifica dell’attività operativa, con enfasi
sulle componenti di analisi dei costi, dei risultati di breve periodo e dei
39
Simona Franzoni
connessi aspetti di rilevazione e di misurazione dei valori. D’altra parte,
occorre ricordare che le aziende considerate sono per lo più di dimensioni
medio-piccole e che si trovano in una fase iniziale di un percorso di
sviluppo.
Tabella 9 – Gli elementi che caratterizzano l’efficacia di un sistema di
controllo della gestione
RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple)
La definizione di precise responsabilità gestionali
Un flusso di informazioni qualitative e quantitative
monetarie adeguate e tempestive
Il monitoraggio costante degli obiettivi
La tempestività nell’intraprendere azioni correttive
Altro
N. IMPRESE
% su 101
49
48,51
15
14,85
72
61
1
71,29
60,40
0,99
Dallo studio realizzato emerge un contesto aziendale ancora molto
distante dal “nuovo” concetto di impresa responsabile delineato nel
paragrafo 2. Infatti, anche se, i dati raccolti confermano una nuova
sensibilità al tema della responsabilità, tale concetto stenta a trovare
riscontro nei comportamenti aziendali. Probabilmente, le norme o le linee
guida di condotta richieste dalle Istituzioni pubbliche rappresentano ancora
oggi un mero adempimento formale, e non sono considerate un’opportunità
per migliorare e perfezionare i comportamenti aziendali.
Nelle realtà indagate si percepisce una cultura d’impresa debole,
illustrata con affermazioni spesso non coerenti, a volte contraddittorie.
Deboli sono inoltre gli strumenti utilizzati dall’impresa per diffondere i
propri valori affinché gli stakeholder possano apprezzare le modalità di
assunzione della responsabilità d’impresa.
È dunque necessario, che l’impresa che intende attuare comportamenti
responsabili, si interroghi ed intervenga sul proprio disegno strategico, per
porre in essere strumenti, individuare attori, attivare processi di controllo
interno. Ciò nella consapevolezza della reale essenza di una condotta di
responsabilità orientata allo sviluppo sostenibile e, nell’ulteriore
consapevolezza, che tale condotta abbisogna di una cultura d’impresa
efficace, in quanto volta a trasferire nei comportamenti le modalità ottimali
di soddisfazione delle attese degli stakeholder.
40
Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa
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Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
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