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Dal consumatore al produttore, perché la customizzazione guida il mercato del web
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Dal consumatore al produttore,
perché la “customizzazione” guida il
mercato del web
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di Alberto Magnani | 4 maggio 2015
Times Square, New York. I clienti di Foot Locker a caccia di
un paio di New Balance, le storiche sneacker di Boston,
possono scegliere tra una gamma di modelli un po' più vasta
della media: 48.000.000.000.000.000. Per non perdersi tra
gli zeri, 48mila miliardi. Magazzini sconfinati? No, un display
grande quanto una tv: è il customization kiosk, il chiosco per
la customizzazione installato nel negozio di Manhattan per
soddisfare gli amanti del brand con un prodotto che calzi – è il
caso di dirlo – su misura. Il cliente entra, digita colori e
Il negozio Foot Locker di
materiali preferiti, riceve le scarpe che fanno per sé nel giro di
Times Square a New York
6-10 giorni lavorativi. L'attrazione fa effetto, ma il concept
rientra da anni nelle corde del commercio digitale: customizzazione del prodotto,
l'ingranaggio finale di una catena che parte dal marketing e arriva alle tecniche più raffinate
di profilatura del cliente. «Grazie agli analytics le aziende hanno la possibilità di
personalizzare l'esperienza vissuta dai propri clienti, arrivando persino alla
customizzazione di un prodotto, ossia a realizzare un prodotto su misura – spiega Michele
Raballo, responsabile Commerce Accenture Digital.
L'obiettivo è dare un servizio che sia il più possibile rispondente alle aspettative individuali,
passando indifferentemente dalla vetrina di un sito web al punto vendita fisico». Tra i
marchi che hanno cavalcato il fenomeno, negli ultimi tre decenni, basterebbe citarne uno:
Amazon. Il gigante americano dell'e-commerce, fondato da Jeff Bezos a Seattle 21 anni fa, è
cresciuto fino a ricavi da 5,5 miliardi di dollari e un carrello (digitale) senza pari nel retail
online degli Stati Uniti. Tanto che, oggi, basta uno smartphone per sfogliare un catalogo
che include gioielli ed alimentari,software e videogame, senza contare le incursioni nella
produzione hardware (dall'e-reader Kindle al Fire Phone) all'apparato di servizi di cloud
computing.
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Dai big data ai prodotti on the demand, i tanti volti della “customizzazione”
Jeff Bezos a parte, la personalizzazione dell'esperienza è una delle molle per l'evoluzione
smart delle aziende. Di tutti settori e tutte le dimensioni, visto l'impatto di un servizio che
permette sia di sfruttare i Big Data per una profilatura degli utenti sia di spingersi alla
fabbricazione on demand di prodotti ideati online e sfornati dalle stampanti 3d. La filiera
digitale offre (almeno) due vantaggi: «Da un lato, come già detto, si crea un'esperienza che
è perfettamente in linea con quello che desidera il cliente. Dall'altro si limita la dispersione
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2015-05-04/dal-consumatore-produttore-p...
05/05/2015
Dal consumatore al produttore, perché la “customizzazione” guida il mercato del we... Pagina 2 di 3
di energie e finanze, focalizzando l'attività di marketing solo sugli individui che hanno
maggiore probabilità di essere interessati ».
Gli sbocchi, nel concreto? «Le aziende hanno oggi a disposizione un patrimonio di dati
legati ai propri clienti, dovrebbero usarlo per adottare strategie mirate di digital marketing,
rivolgendosi con un maggior grado di precisione all'utente, fornendogli tutte le
informazioni di cui ha bisogno - spiega Raballo – Non sono ammesse distrazioni tuttavia:
l'ascolto ed il dialogo devono rimanere costanti sui vari punti di contatto, i touchpoint».
Infine, l'ipotesi più suggestiva: richiedere il prodotto e vederlo “stampato” dal vivo, come le
scarpe di Times Square o qualsiasi accessorio per l'abbigliamento e il lifestyle: dagli occhiali
da sole alle camice, con alcuni “extra” come le vacanze («Forse uno dei prodotti più
customizzati») e i macchinari di precisione. Ma nel complesso, spiega Raballo, «Si tratta
ancora di prodotti di fascia medio-alta e che riguardano sopratutto l'immagine, anche
perché la realizzazione deve essere riassorbita nel prezzo. Come nel caso del fashion».
Pubblicità e contenuti digitali, un mercato da 8 miliardi
Se si parla di penetrazione delle vendite digitali “dirette”, la percentuale viaggia ancora su
margini modesti: dal 2% al 10% a seconda del mercato. Ma se l'attenzione si sposta sulle
influenze del web sugli acquisti? Il tetto sale fino al 50%, con picchi in tutti i settori – dalla
moda al food – dove l'immagine conta più della media. L'Italia sta facendo qualche passo in
avanti, se si considera la crescita della sola pubblicità digitale: su del'8,5% dal 2013 al 2014,
per un mercato stimato da Assinform a più di 8,2 miliardi di euro. Ma i ritardi restano: «Il
mercato italiano ha delle potenzialità elevatissime se si parla dell'immagine, del brand. Il
problema sono le resistenze 'culturali' in azienda e una certa mancanza di
strategianell'ambito digitale: si ragiona ancora oggi molto spesso solo sul breve periodo,
non sul lungo. Ma non dovremmo dimenticare che l'immagine dell'azienda sul web
equivale a come l'azienda si presenta. E alla sua capacità di attrarre clienti».
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TAG: Michele Raballo, Jeff Bezos, Accenture, Amazon, Stati Uniti d'America, Internet
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05/05/2015