L RAZZISMO IN EUROPA. NASCITA E SVILUPPO DI UN DELIRIO

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L RAZZISMO IN EUROPA. NASCITA
E SVILUPPO DI UN DELIRIO MENTALE
di SEBASTIANO GRANATA
INTRODUZIONE Il termine "razza" ha diversi significati, tutt'oggi non del tutto distinti l'uno
dall'altro, usato sin dal Rinascimento per denotare tratti caratteristici di gruppi sia umani che
animali. "Razzismo" si riferisce ad una visione del mondo che riconduce il comportamento ed
il carattere degli uomini alla "razza" cui si asserisce che l'individuo o il gruppo appartenga.
L'influenza del razzismo nell'epoca moderna deriva dal fatto che esso è divenuto una specie di
religione secolare, basata sulla scienza e sulla storia.
E' possibile tracciare l'evoluzione del razzismo attraverso ben definite fasi storiche. I
fondamenti teorici furono gettati durante il Settecento e la prima metà dell'Ottocento. A partire
dalla seconda metà dell''800 sino alla fine della prima guerra mondiale il razzismo andò
crescendo d'intensità, assumendo un più netto e definito orientamento. Tra la prima e la
seconda guerra mondiale stabilì collegamenti con i movimenti politici di massa europei
riuscendo, su buona parte del continente, a tradurre in pratica le teorie razziste. Infine, dopo la
seconda guerra mondiale, i razzisti continuarono ad agitarsi, ma furono sopraffatti dalla
reazione contro i loro stessi crimini.
Le concezioni razzistiche nel 700 e nel primo 800.
Il risveglio romantico della storia, nel'700, fu d'importanza basilare
per lo sviluppo dell'ideale razziale. Furono allora postulate le leggi
dello sviluppo organico, poi trasferite all'antropologia e alla
linguistica, le quali dovevano avere entrambe un ruolo determinante
nello sviluppo del pensiero razzistico. Mentre per Montesquieu e
Buffon lo sviluppo storico era condizionato da fattori ambientali
come geografia e clima, le differenze tra i popoli (puramente
casuali) e la concezione "organica" della storia scavavano un abisso
profondo tra gli uomini e tra le nazioni, abisso che, si affermava,
non era prodotto delle umane vicende, ma rivelava un piano divino.
Si consideri, ad esempio, la concezione elaborata da Herder (17441803), che doveva avere vasta eco in tutta Europa. La natura e la
storia sono le forze creative dell'Universo. La spontaneità naturale,
istintiva, è alla radice delle caratteristiche di ciascun popolo nel suo
cammino attraverso il tempo. Oltre che nella letteratura del passato,
I 'negri' visti dal razzismo
il popolo si esprime altrettanto schiettamente nella lingua nazionale
fascista
e nella poesia popolare. L'individuo esiste solo come parte di un
(manifesto di Boccasile,
Volk (insieme indissolubile di popolo e nazione) così concepito.
1944)
Nella concezione herderiana la nazionalità veniva dunque ad
assumere una dimensione estetica, storica e linguistica che ne faceva un'entità separata da
qualsiasi forma transitoria di organizzazione politica. Il fatto che il "Volk organico" avesse la
prevalenza sullo stato si dimostrò decisivo per tutto il successivo pensiero razzistico. Herder, non
credeva, tuttavia, nella supremazia nazionale, poiché, come illuminista, l'amore per il proprio Volk
non gli impediva di rispettare tutti gli altri.
L'insistenza di Herder sul linguaggio come espressione di un passato comune accomunò un'intera
generazione di filologi a cavallo tra '700 e '800, i quali respingevano però in massima parte gli
interessi umanistici di Herder per concentrarsi invece sulla ricerca scientifica delle affinità
genetiche tra le lingue. Le esame comparato delle lingue, sia antiche che moderne, condusse a
postulare una protolingua comune (arioeuropeo), importata in Europa dall'Asia all'epoca delle
migrazioni dei popoli "ariani".
E' in questo stato di cose che appare per la prima volta il termine "ariano". Sennonché la
ricerca scientifica delle parentele linguistiche indusse assai presto alla formulazione di giudizi di
valore, venendo così a saldarsi con la visione organica della storia tanto popolare tra i romantici.
Poiché la lingua esprimeva l'esperienza di un popolo, si pensava che il passato degli ariani, i quali
avevano dato all'Europa le sue lingue, riflettesse la supposta superiorità dell'Europa
contemporanea. Attraverso la linguistica i romantici trovarono un legame con la preistoria ariana
dei popoli germanici. I linguisti descrissero gli ariani come forti e virili contadini, dalla sana vita
familiare. La scienza linguistica dava così origine ad in mito storico; la ricerca scientifica
conduceva ad avanzare pretese di superiorità morale. La lingua divenne un indice di vera
spiritualità e della continuità con un passato incontaminato.
In sé, il concetto di "razza" derivava dall'antropologia piuttosto che dalla storia o dalla linguistica.
Fu l'antropologia settecentesca a dare inizio ad una classificazione delle razze. Linneo (17071778) e Buffon (1707-1788) suddivisero i popoli a seconda del colore, della dimensioni e della
forma del corpo. Si asseriva quindi che le somiglianze in tal modo scoperte costituivano appunto
la "razza". Ma anche quest'impostazione puramente "scientifica" conduceva poi a giudizi sul
carattere e sul temperamento degli uomini; parimenti si supponeva che l'apparenza esteriore e le
misure fisiche dell'uomo simboleggiassero le qualità spirituali.
L'anatomista olandese P. Camper indagò la tipologia razziale mettendo a confronto le misure
facciali e cefaliche dei negri e delle scimmie. Tali misure stabilivano una progressione ordinata:
dalla scultura greca, come forma ideale che si rivelava nelle razze europee, fino ai negri la più
bassa delle specie umane. L'associazione di una supposta antropologia scientifica con criteri
estetici si rivelò fondamentale per lo sviluppo del razzismo, che a partire dall''800, prese ad
elaborare "tipi ideali".
F. J. Gall fondò la frenologia sul principio che le predisposizioni morali e intellettuali degli
uomini potevano essere determinate attraverso la configurazione dei loro crani.
Le misure del cranio divennero essenziali, per la c.d. "biologia
razziale", allo scopo di determinare il "tipo ideale". Sebbene in un
antropologia siffatta l'osservazione scientifica fosse intrecciata con
giudizi estetici e morali, durante il'700 rimasero in primo piano i
fattori ambientali. Ma quei pensatori che si preoccupavano di
esaltare lo sviluppo storico "organico" di un popolo, però, avevano
già negato l'importanza dei fattori ambientali, Essi ricevendo un
potente sostegno da Kant, che si servì del concetto antropologico
unicamente per staccarlo dall'influenza del clima o della geografia.
La purezza di una razza era essenziale e doveva essere mantenuta
nonostante le circostanze esterne. Per Kant, i Negri e i Bianchi
costituivano razze separate dato che non era mai accaduto che si
mescolassero nel corso della storia. Kant, comunque, non postulò
mai la superiorità di una razza su tutte le altre: come Herder, egli
apparteneva all'illuminismo.
Una volta che l'importanza dei fattori ambientali era stata messa in
dubbio in nome della purezza razziale, gli antropologi iniziarono ad Una vecchia versione
occuparsi sempre più dell'origine delle razze. Alcuni credevano,
italiana
seguendo il racconto della Genesi, ad un'origine comune di tutte le dei Protocolli dei Savi di
razze (monogenisti), mentre altri ritenevano che le differenze fisiche Sion
tra gli uomini fossero troppo grandi per essere ricompresse in
un'unica specie (poligenismo). Questa concezione fu sostenuta dapprima nel'700 da coloro che
volevano sbarazzarsi del pensiero religioso e biblico, per diventare poi, nell''800, un mezzo
ulteriore cui ricorrere per distinguere una razza pura da tutte le altre. Gli antropologi, così come
gli storici e i linguisti, ipotizzarono la presenza di un'essenza ereditaria, manifestatesi nelle
peculiarità visibili che contrassegnano i membri di una razza.
Queste idee venivano diffuse attraverso una serie di società culturali, come la Société
Ethnologique di Parigi (1839), la quale proclamava che le razze dovevano essere distinte per
"organizzazione fisica, carattere morale e intellettuale, e tradizioni storiche". La supposta identità
di razza e di cultura era anche sulla base del programma dell'Ethnological Society di Londra
(1834). Antropologi e linguisti avevano già preparato la strada ad una corrente che considerava
tutte le razze straniere come occupanti una qualche posizione intermedia tra gli uomini e le
scimmie. Dalla metà dell''800 in poi molte società scientifiche, come l'Anthropological Society di
Londra (1863), assunsero atteggiamenti nettamente razzistici verso i popoli che erano oggetto
delle loro ricerche. Uomini come J. Hunt adottarono l'argomento poligenista secondo cui le suture
craniche del Negro si chiudono prima di quelle dell'uomo bianco, limitando così il suo sviluppo
mentale. Il razzismo prendeva slancio fra i popoli europei radicandosi saldamente in una parte
della popolazione colta e istruita.
SVILUPPO DELL'IDEOLOGIA RAZZISTICA SINO ALLA GRANDE GUERRA.
L'Essai sur l'inégalité des races humaines (1853-1855) del conte A. de Gobineau è basato
sull'antropologia e la linguistica quali si erano venuti sviluppando verso la metà del secolo, alle
quali egli aggiunse un'accentuazione politica e culturale: le sue teorie razziali miravano a spiegare
gli sconvolgimenti sociali e politici del suo tempo. Nelle sue mani il razzismo divenne una
spiegazione della decadenza dell'età moderna e, sotto
quest'aspetto, egli preannuncio lo sfruttamento politico che del
razzismo si sarebbe fatto in tempi successivi. Gobineau temeva da
un lato la formazione di un governo centralizzato e dall'altro il
prepotere del volgo. Insieme, questi due fattori stavano, infatti,
distruggendo la vera nobiltà e libertà. La chiave per spiegare questo
sviluppo stava in un mondo costituito da razze superiori e razze
La differenza fra razze in
inferiori.
uno
A tal proposito Gobineau classificò le razze nere, gialle e bianche a
studio comparativo del sec. seconda della struttura sociale e della società che avevano prodotto.
XVIII
Le razze gialle si erano mostrate abili nel commercio e
nell'industria, ma incapaci di guardare al di là di siffatte conquiste materiali. Le razze nere erano
incapaci di produrre società stabili ed erano sempre bisognose di controllo esterno. Soltanto la
razza bianca rappresentava tutto ciò che egli riteneva nobile: una superiore spiritualità, l'amore per
la libertà e un codice personale fondato sull'onore. Gobineau si servì di tale classificazione
"scientifica" delle razze allo scopo di delineare un modello per la sua epoca. Il libro ebbe scarsa
popolarità e influenza, ma resta significativo come indicazione del successivo orientamento del
razzismo nel quale tendevano ormai ad emergere giudizi e valutazioni di natura esplicitamente
non scientifica. Così Klemm divise l'umanità in razze attive e passive.
Questo tema venne divulgato più tardi in Geschlecht und Charakter di O. Weininger (1903), nel
quale si dava ad intendere che gli Ebrei erano la razza femminile e passiva mentre l'ariano era
mascolino e creativo. Il libro di Weininger divenne un punto di riferimento della successiva
letteratura razziale. Un altro contemporaneo di Gobineau, C. G. Carus, fece progredire
ulteriormente il pensiero razzista verso la costruzione di una mistica razziale. Carus, come P.
Camper prima di lui, si concentrò sulla ricerca dei tipi razziali ideali, determinati dalla forza
mistica del sole.
Il tipo ariano ideale aveva una pelle chiara, mentre i capelli biondi e gli occhi azzurri
riflettevano la forza vitale simboleggiata dal sole. Idee del genere si dirigevano contro le razze che
non partecipavano al tipo ideale. Nella seconda metà dell''800 un razzismo di questa sorta venne
applicato dai tedeschi nei confronti dei francesi e viceversa, ma fu soprattutto l'antisemitismo ad
alimentare le idee razzistiche. La ragione di ciò era semplice: gli Ebrei sembravano rappresentare
una cultura straniera nel cuore dell'Europa. Finché gli Ebrei erano stati costretti a vivere nei ghetti,
pochi autori avevano mostrato interesse per loro, ma, con l'emancipazione ebraica all'inizio
dell''800, l'atteggiamento cambiò. L'emancipazione era stata concessa sulla base del presupposto
che gli Ebrei si sarebbero liberati di quelle che l'illuminismo aveva considerato le loro qualità
negative: la preferenza per le attività commerciali e le superstizioni della loro religione. Non
appena gli Ebrei, però, ottennero il diritto di cittadinanza e cominciarono a competere con
successo nelle attività economiche e nella vita sociale, i loro nemici, li accusarono di perseverare
nelle loro abitudini "ebraiche" malgrado l'emancipazione.
Un tale sentimento antiebraico non doveva però condurre necessariamente al razzismo poiché
c'erano coloro che continuavano a credere che il "buon ebreo" potesse liberarsi delle sue qualità
"giudaiche". Coloro invece che credevano nelle differenze razziali cominciarono a patrocinare la
guerra razziale. Nella seconda metà del secolo, il darwinismo dette un fondamento scientifico alle
idee di guerra e di lotta e, una volta di più, gli atteggiamenti irrazionali maturati in precedenza si
dimostrarono più importanti della teoria scientifica alla quale pretendevano di collegarsi. Il
darwinismo sociale proclamò che la sopravvivenza dei più idonei, insieme col diritto della forza,
costituiva il principio in base al quale governare la vita degli uomini e degli Stati.
La razza doveva dimostrarsi abbastanza "idonea" da vincere la lotta. I libri assai popolari del
darwinista E. Haeckel propagandarono l'idea secondo cui la storia biologica di un individuo deve
ricapitolare in forma abbreviata l'evoluzione biologica dei suoi antenati.
Il principio della sopravvivenza dei più idonei aizzava una razza contro l'altra. In maniera
abbastanza tipica, il giornalista tedesco W. Marr intitolò il suo libro Der Sieg des Judenthums über
das Germanenthum (1867): gli ebrei hanno intrapreso una guerra contro i
tedeschi e sono sul punto di riportare la vittoria finale attraverso la
dominazione economica; è una guerra di razze e pertanto nessun
compromesso è possibile. In libri influenti come Politiche
Antropologie (1903) L .Woltmann sosteneva le guerre di conquista
sul fondamento della necessità di sopravvivenza della razza; a ciò
associava la tradizionale prova linguistica della superiorità ariana.
Tali prove di superiorità ariana s' incrociavano con giudizi estetici,
dal momento che solo gli ariani, diceva Woltmann, riproducevano le Gruppo di militari delle SS
"proporzioni assolute della bellezza architettonica" secondo il
seguono una lezione di
paradigma greco. C'era poco da stupirsi se la "razza tedesca era stata biologia
scelta per dominare la terra".
Questo tema era anche al centro di Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts (1899) di H. S.
Chamberlain: i tedeschi erano i salvatori della storia mondiale e i portatori della cultura
occidentale; tutte le conquiste culturali dei tempi moderni testimoniavano la fiamma del loro
spirito, uno spirito temprato attraverso una lotta incessante. Gli ariani esistevano in mezzo a "un
caos di razze", ma c'era una razza che era rimasta pura ed era la principale antagonista nella lotta
senza fine per la sopravvivenza. Gli Ebrei erano incapaci di pensiero e di cultura superiore, erano
caratterizzati da una ferrea volontà di potenza priva di qualsiasi profondità metafisica. La guerra
razziale di Chamberlain era una guerra totale, che poteva terminare soltanto con lo sterminio o con
la vittoria. Gli ariani avevano bisogno di un condottiero allo scopo di trionfare sugli Ebrei, e verso
la fine della propria vita Chamberlain credette di averlo trovato in Hitler. Il libro di Chamberlain è
un classico del pensiero razzistico; esso non ebbe solo vasta diffusione ma rappresentò la summa
del razzismo ottocentesco.
Anche il popolare Rembrandt als Erzieher (1890) di J. Langbehn concorse a favorire l'adozione di
una religione razziale.
Per Langbehn lo spirito vitale discendeva dal cosmo del Volk. Il razzismo veniva trasformato
in un misticismo basato sui movimenti occultistici. Langbehn non era solo, poiché a Monaco,
dopo la fine del secolo, un intero gruppo di filosofi "cosmici" formulò idee simili. Per loro, il
sangue ariano possedeva una particolare qualità che l'univa al mondo extrasensibile e gli
consentiva di riflettere il cosmo. Coloro che vennero a contatto con questo razzismo mistico avanti
la prima guerra mondiale dovevano farsene sostenitori nel dopoguerra. Tra questi Hitler fu
certamente il più importante. La creazione dell'ariano non fu più discussa, da questi razzisti, in
termini di poligenismo, ma fu considerata come il prodotto di una gestazione divina, una scossa
elettrica prodotta dalla forza vitale del cosmo. Ci furono, però, altri razzisti che tentarono di
mantenere il contatto con i fondamenti scientifici del razzismo. Il darwinismo sociale favorì
l'interesse all'eugenetica; la razza pura doveva, infatti, riprodursi nel modo giusto, per assicurarsi
la sopravvivenza nella lotta universale dell'uomo e della natura.
In Inghilterra Fr. Galton credeva che la natura stessa assicurasse la sopravvivenza dei più idonei, e
che l'interferenza umana per proteggere il debole e l'infermo avrebbe portato al declino della
razza. G. Vacher de Lapouge (L'Aryen. Son rôle sociale, 1890) associò l'asserita necessità di un
eugenetica con l'ideale, sostenuto da Gobineau, della superiorità ariana. Ma fu soprattutto in
Germania che una siffatta eugenetica razziale divenne popolare. Sistemi furono escogitati per
permettere agli ariani di riprodursi in condizioni ideali. Il culmine di questo sviluppo si ebbe nella
Germania nazista, con il tentativo delle SS di assicurare la purezza razziale attraverso
l'accoppiamento controllato di autentici e selezionati partners ariani. Programmi del genere
prevedevano anche l'eutanasia, che i nazisti dovevano praticare in seguito. Divenne un luogo
comune dell'eugenetica razziale il principio che, nell'interesse della sopravvivenza razziale, il
malato incurabile, il pazzo o il fisicamente deforme dovessero essere sterminati.
Attraverso l'eugenetica, lo stereotipo ariano divenne una "profezia che si autoadempie": se la
razza non lo rifletteva, allora le sue fila dovevano essere purificate finché il tipo ideale non
prevalesse. In Francia il cattolicesimo frappose ostacoli al pieno sviluppo delle dottrine razziali,
specialmente tra le classi medie e superiori. L'antisemitismo era stato un fenomeno di sinistra
piuttosto che di destra sin dai tempi dei primi socialisti. L'ebreo era il simbolo dello sfruttatore
della classe lavoratrice, idea che doveva perdurare ancora
durante l'affare Dreyfus. E. Drumont, il cui France juive(1886) rese
popolare l'antisemitismo, evidenziò quest'aspetto della supposta
cospirazione ebraica per dominare la Francia. Egli scriveva sullo
sfondo del fallimento della Compagnia del Canale di Panama, in cui
erano coinvolti gli Ebrei. Gli antidreyfusiani come Drumont e M.
Barrés parlarono della razza francese come antitetica alla razza
ebraica, pur rimanendo attenti a rendere verbalmente omaggio alla
religione ebraica.
Bimbo disabile tedesco
Il giudaismo non doveva essere toccato, anche se gli Ebrei moderni
destinato ai crematori di
avevano perduto ogni caratteristica religiosa nella loro spinta verso
Hitler
il potere economico e politico. Essi sostenevano che l'ebreo usava le
dottrine marxiste della guerra di classe allo scopo di distruggere il tessuto della nazione. I
lavoratori erano l'anima della Francia, e il capitalismo finanziario che li opprimeva e disuniva
faceva parte dell'universale cospirazione ebraica. In Germania E. Dühring in Die
Judenfrage(1880) sostenne idee analoghe e patrocinò un'economia socialista basata sul principio
dell'autosufficienza nazionale. Abbastanza tipicamente, però, il suo socialismo si combinava con
esplicito razzismo, che guardava agli antichi dei germanici, che dovevano infondere nei tedeschi il
senso dell'unità nazionale e il coraggio per eliminare gli ebrei. Un simile appello al misticismo
razziale, di regola mancava in Francia. In Europa tutti i fautori di un socialismo nazionale
guardavano ai lavoratori come all'anima della nazione o almeno come una sua parte significativa,
includendo l'operaio nella stessa categoria del contadino, che il razzismo aveva già esaltato per
aver preservato i propri legami con le radici storiche della razza.
I contadini avevano infatti resistito al mutamento e avevano conservato una presunta purezza.
L'operaio doveva, adesso, fare altrettanto. Un siffatto socialismo nazionale era fortissimo in
Francia avanti la prima guerra mondiale: in Europa centrale e in Germania l'epoca del suo trionfo
doveva venire dopo il 1918. Il principale contributo francese al razzismo durante la seconda metà
del XIX secolo, in realtà, furono i Protocolli dei Savi di Sion, un falso fabbricato nel mezzo
dell'affare Dreyfus. Questi Protocolli erano spacciati per il verbale di una riunione segreta dei capi
dell'ebraismo internazionale nel corso della quale si sarebbe programmata la conquista del mondo
attraverso l'astuzia e la forza. L'effettiva fabbricazione dei Protocolli avvenne a Parigi per ordine
del capo della Ochrana russa. Come membro della destra russa, egli aveva accettato in pieno le
idee razziste, che dalla Germania erano emigrate verso Oriente. La stesura del testo fu però dovuta
ai francesi. Tale documento sembrò ribadire le teorie della cospirazione, che erano diventate parte
integrante del pensiero razziale e dovevano poi essere accettate da tutti i razzisti dopo la prima
guerra mondiale.
L'Italia costituì un'area di ristagno del pensiero razzista. Il cattolicesimo da un canto e il
nazionalismo umanistico esemplificato da G. Mazzini dall'altro posero forti barriere allo sviluppo
del razzismo. Certamente, l'antisemitismo cattolico esisteva in Italia come in Francia, ma non
arrivò a formare una tradizione razzista.
La più efficace alleanza tra razzismo e nazionalismo si realizzò nell'Europa centrale e orientale. In
molte nazioni, come l'Ungheria, la Romania e la Polonia, gli ebrei costituivano il settore più
"visibile" della classe media commerciale, e tutti i fattori-sopra discussi- cui si richiamavano i
fautori di un socialismo nazionale potevano entrare in gioco. La presenza di una cultura dei ghetti
urbani incoraggiava poi la credenza nelle differenze razziali. Per di più, era poi sopravvenuta
bruscamente in alcune nazioni, come in Germania, la rivoluzione industriale, e le idee razziste
contribuivano a mantenere una coesione nazionale che la lotta di classe sembrava sul punto di
distruggere.
Inoltre, tutte queste nazioni avevano territori irredenti da rivendicare. Il nazionalismo era
una fortezza assediata all'interno e all'esterno, e il razzismo poteva essere adoperato per
giustificare l'esclusività e la superiorità etnica. Un siffatto nazionalismo si risolveva, in pratica, in
continui tentativi di annullare l'emancipazione ebraica. In Germania sorse, durante i due ultimi
decenni dell''800, tutta una serie di partiti e gruppi antisemiti. Alcuni, come il Partito cristianosociale di A. Stoecker, che ebbe una certa importanza tra il 1878 e il 1890, erano conservatori e
basavano il proprio antisemitismo sull'ortodossia protestante. Ma altri, come la Lega contadina
dell'Assia(1887-1894) di O. Boeckel e le varie leghe antisemite fondate da uomini come
l'infaticabile Th. Fritsch, erano di orientamento socialnazionale e razzista. Il culmine fu raggiunto
nel 1893, quando i gruppi uniti dell'antisemitismo raccolsero qualcosa come 116.000 voti, dopo di
che cominciò il loro rapido declino.
Più importante fu l'alleanza del Partito conservatore tedesco con le Soldato coloniale italiano
forze antisemite (Programma di Tivoli, 1892). Sebbene i
porta la civiltà in Africa
conservatori pensassero inizialmente che occorreva escludere gli
ebrei perché la Germania era uno stato cristiano, un'influente fazione del partito divenne razzista
attraverso i suoi legami con l'Associazione dei grandi proprietari terrieri, che aveva diffuso il
razzismo per molti anni. Sino alla prima guerra mondiale i conservatori non fecero appello alla
violenza; tranne che nella Russia zarista, dove ai pogrom faceva ricorso di quando in quando la
politica governativa, gli appelli alla violenza si limitavano a gruppi periferici.
DA IDEOLOGIA A MOVIMENTO DI MASSA. RAZZISMO E FASCISMI
Prima del 1918 il razzismo trovò un terreno favorevole anche in diverse piccole sette, che si
facevano guerra l'un l'altra. Si trattava di che sette continuavano la tradizione mistica piuttosto che
quella "scientifica" del razzismo, interessandosi all'ariano come creatura del sole, ai suoi legami
col cosmo, e traendo il proprio tipo ideale da fantasie del genere anziché dall'antropologia o dalla
linguistica. Lanz von Liebenfels, per esempio, destinò la sua rivista, che vendeva per le strade di
Vienna, espressamente alla razza bionda: al titolo "Ostara"( la dea germanica della primavera)
seguiva, infatti, la dicitura "Zeitschrift für Blonde". E a Vienna dovette leggerla anche Hitler, il
cui razzismo proveniva da fonti di questo tipo. Esso si basava sulla paura del misterioso e
dell'ignoto; come ci racconta in Mein Kampf, Hitler divenne, infatti, un antisemita dopo aver visto
gli ebrei dell'Europa orientale nei loro strani abiti per le strade di Vienna. Lo scontro di culture,
cui abbiamo accennato sopra, ebbe una parte notevole nel fornire all'incolto e ingenuo provinciale
una visione del mondo.
La fine della prima guerra mondiale vide l'attuazione attiva del razzismo in Europa. Sebbene il
pensiero razzista non mutasse in maniera significativa, dopo il 1918 parecchi nuovi fattori
contribuirono a fornirgli una giustificazione. La psicologia cominciava a porre in risalto le
differenze razziali: non la psicologia di Freud, ma, per esempio, quella associata con Jung in
Europa. La psicologia di Jung tendeva a sconfinare in un simbolismo mistico: e l'accento posto su
archetipi immutabili assumeva facilmente connotazioni razziali.
Il successo della rivoluzione bolscevica aggiunse un'importante dimensione alla dinamica del
pensiero razzista. I profughi della destra russa diffusero in Europa occidentale i Protocolli dei Savi
di Sion, e il bolscevismo fu considerato come un esempio del successo della cospirazione
mondiale ebraica.
Tuttavia, tra le novità del razzismo dopo la guerra, l'elemento cruciale fu rappresentato dalla sua
crescita come movimento di massa. In Europa il razzismo come movimento di massa tentò
realmente di conquistare il potere. L'antropologia e la linguistica continuarono a svolgere un certo
ruolo, ma quello che venne alla ribalta fu l'elemento mistico del razzismo.
Esso si prestava meglio al simbolismo associato con la propaganda e le riunioni di massa.
Hitler credeva in una "scienza segreta" che era la vera conoscenza; Himmler, per esempio, credeva
nel "Karma" e pensava di essere la reincarnazione di Enrico il Leone.
La giusta guida della razza si esprimeva in un capo che la rappresentasse, riunendo nella sua
persona tutte le qualità associate col "mito" appassionato della superiorità razziale. In teoria c'era
uguaglianza tra le persone, ma in pratica si stabiliva la disuguaglianza, dovuta alla gerarchia delle
funzioni che ciascun membro della razza adempiva su ordine del capo. Le riunioni di massa
naziste(e quelle di tutti i movimenti simili nell'Europa centrale e orientale) simboleggiavano
questo modello politico e divennero in realtà lo scenario di una liturgia che alla fine soppiantò le
istituzioni del governo rappresentativo. Il nazionalsocialismo, infine, introdusse un ciclo di nuove
feste nazionali basate sul mistico
passato razziale, sul simbolismo solare e sugli eroi caduti. Come
movimento di massa, il razzismo si appropriò per i suoi scopi della
tradizionale liturgia cristiana: il responsorio cristiano si trasformò
negli scambi corali tra la massa e il capo; la "confessione di fede
razzista" era solennemente recitata.
I nazisti delle SA cantavano apertamente del sangue ebraico che
doveva gocciolare dal coltello, e i capi dei movimenti razzisti in
I piccoli fascisti
altre nazioni richiedevano lo sterminio piuttosto che l'esclusione
generosamente
degli ebrei. L'intensificarsi della violenza condusse anche a una
fanno la doccia al 'povero
sempre maggiore "disumanizzazione" del nemico. La strada era
negretto'
stata preparata dagli atteggiamenti razzisti verso le razze primitive,
che erano ritenute più vicine alle scimmie che all'uomo. In maniera abbastanza tipica D Eckart,
che fu il mentore di Hitler nel periodo del suo ingresso nella vita politica dopo la prima guerra
mondiale, proclamava che nessun popolo della terra avrebbe lasciato gli ebrei in vita se avesse
potuto vedere ciò che erano e ciò che volevano. Hitler accettò pienamente questo punto di vista, e
sentenziò anch'egli che il tipo umano inferiore era più vicino alle scimmie che alle razze superiori.
Allo scopo di incoraggiare i suoi uomini al genocidio, Himmler paragonava gli ebrei a cimici e
topi, animali nocivi che dovevano essere sterminati. Alla documentazione provvedeva la
propaganda di massa, che mostrava le "tipiche" facce ebraiche accompagnata da didascalie
indicanti la scarsa rassomiglianza dei volti così ritratti con quelli degli esseri umani. La
schematizzazione inerente a tutto il pensiero razzista giungeva così alle sue estreme conseguenze:
gli stereotipi prendevano il posto degli uomini e delle donne reali.
Le conseguenze del razzismo si manifestarono pienamente nel modo di attuazione del genocidio,
modo contraddistinto da una sistematicità burocratica che spogliava le vittime di ogni loro
caratteristica individuale.
Le tappe più importanti nella preparazione al genocidio sono facilmente individuabili. Essenziali
furono le "leggi di Norimberga"(1935), poiché non solo legalizzarono la separazione degli ebrei,
ma chiarirono in modo esplicito chi dovesse essere considerato ebreo, ciò che il pensiero razzista
precedente non aveva definito con sufficiente precisione giuridica.
Alla fase giuridica seguì poi l'arianizzazione dell'economia e la spinta all'emigrazione. Lo scoppio
della guerra e le vittorie militari naziste fecero maturare il momento della "soluzione finale" della
questione ebraica. Essa era stata preparata da lungo tempo; ora la guerra forniva uno schermo
dietro al quale era possibile tradurla in pratica. Inoltre, le vittorie militari avevano portato altri
milioni di ebrei sotto il controllo nazista. Il 31 luglio 1941 H. Goering affidò al Sicherheitsdienst
di R. Heydrich la preparazione e l'esecuzione del genocidio.
Il primo passa fu ancora una volta l'isolamento degli ebrei, conseguito questa volta non per via
giuridica, ma mediante la loro concentrazione, nell'Europa orientale, in ghetti di nuova istituzione.
Nell'Europa occidentale il campo di transito prese spesso il posto del ghetto.
Da questi luoghi di raccolta gli ebrei venivano deportati nei campi di sterminio. L'esecuzione
stessa dei massacri avveniva nel modo più impersonale possibile. In principio furono impiegati
plotoni di esecuzione ma, ben presto, si fece ricorso ai gas, in carri mobili appositamente
attrezzati(1941). Infine, venne istituita la camera a gas(1942), accolta con sollievo da coloro che
erano coinvolti nella soluzione finale, data che essa evitava ai carnefici il contatto diretto con le
proprie vittime, le quali venivano preparate alla sottomissione dalle guardie attraverso una vera e
propria guerra psicologica consistente nell'umiliazione costante, nell'incoraggiamento alla rivalità
e all'odio tra le vittime stesse e al mantenimento di un atteggiamento di sottomissione mediante la
concessione di favori che potevano significare la sopravvivenza. I nazisti tentarono di ridurre gli
ebrei allo
stereotipo dell'ideologia razzista, ma questa tattica fallì: i costanti
tentativi di trasformare il razzismo in una profezia che si auto
adempie non produssero né un'ideale ariano né uno stereotipo
ebraico.
Il genocidio degli ebrei fu accompagnato dall'applicazione di una
politica diversa nei confronti dei popoli slavi, i quali dovevano
essere mantenuti nel loro stato di primitivismo e analfabetismo,
Il soldato italiano invia al
sprovvisti di qualsiasi cultura."Gli slavi- affermava Hitler- sono
paese
tenuti a lavorare per noi. Coloro di cui non abbiamo bisogno
possono anche morire [.]. L'istruzione è pericolosa. Sarà sufficiente un ricordo della sua vita
africana
che possano contare fino a cento[.]. Ogni persona istruita è un
nostro futuro nemico[.]. Quanto ai viveri non ne avranno più dello stretto necessario. Noi siamo i
padroni. Veniamo prima noi". Si applicarono a questo riguardo le teorie razziste sui popoli
primitivi e ancora una volta, attraverso l'uso della forza, il mito tentò di diventare realtà.
I nazisti cercarono appoggi alla loro politica razziale nei governi dell'Europa orientale, che ad
eccezione dell'Ungheria, erano saliti al potere in seguito alle vittorie tedesche. I dittatori
conservatori, tuttavia, indietreggiarono o tergiversarono di fronte alle richieste naziste di
deportazione degli ebrei.
In Occidente la resistenza fu più netta in quanto il razzismo non aveva mai messo radici
profonde prima dell'instaurazione del predominio nazista su tutti i movimenti fascisti. Nell'Europa
occidentale il fascismo aveva preso come modello l'Italia, e il fascismo italiano non fu razzista
fino al 1938. Quando Mussolini additò, infine, una politica razzista, ciò si verificò in parte perché
cercava di dare un nuovo slancio al suo regime ormai logoro, e in parte anche per le pressioni dei
suoi nuovi alleati nazisti. Ad ogni modo i fascisti italiani dovevano ora andare a cercare una
tradizione razzista autoctona, di cui non c'erano che scarse tracce. La maggior parte degli scrittori
razzisti italiani, come per es. G. Preziosi, si limitarono semplicemente ad adattare il razzismo
straniero al passato romano dell'Italia. Non appena comunque il fascismo italiano divenne partner
più debole dell'alleanza dell'Asse e Mussolini stesso ebbe adottato una politica razziale, tutto il
fascismo europeo divenne razzista.
Il razzismo come elemento della politica di governo cadde largamente in discredito dopo la
seconda guerra mondiale. Lo stereotipo ha continuato a informare la mentalità di molti: è accaduto
di nuovo che la struttura corporea e l'aspetto esteriore siano associati alla vera moralità e agli
ideali razziali in campo estetico. Le leggendarie "radici storiche" hanno continuato a formare una
parte del nazionalismo moderno.
Il razzismo dunque è definito dalla storia che lo ha prodotto. Dai suoi inizi ancorati al terreno
scientifico e storiografico nel'700 esso è diventato, verso la metà dell''800, una visione del mondo
pienamente sviluppata. I razzisti hanno celebrato il proprio trionfo nel periodo tra le due guerre
mondiali, spacciandosi come difensori dei valori tradizionali. Chi può escludere che, ove tali
valori( per es. la moralità o la nazionalità) siano in pericolo, il razzismo si erga ancora una volta a
loro protettore?
Le guerre degli anni 90 nell'ex Jugoslavia hanno in parte dimostrato questa affermazione.
Non può destare stupore che neppure gli orrori scatenati dal razzismo sull'umanità abbiano
distrutto gli atteggiamenti da esso creati: la verità è che un movimento di tale potenza e influenza
lascia la sua impronta sulla storia per molte generazioni.
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