Oliviero-monografia definitivo

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Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Ferrara
5
FRANCESCO OLIVIERO
LA RIDUZIONE DEL PREZZO
NEL CONTRATTO DI COMPRAVENDITA
Jovene editore
2015
DIRITTI D’AUTORE RISERVATI
© Copyright 2015
ISBN 978-88-243-2361-1
JOVENE EDITORE
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n. 248. È consentita la fotocopiatura ad uso personale di non oltre il 15% del
volume successivamente al versamento alla SIAE di un compenso pari a
quanto previsto dall’art. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633.
Printed in Italy Stampato in Italia
Per Annagiulia
INDICE
Abbreviazioni ................................................................................................... p.
XI
Introduzione ..................................................................................................... » XIII
CAPITOLO PRIMO
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
NELLA COMPRAVENDITA ROMANA
E IL SUO SVILUPPO STORICO
1. Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in
Roma antica e l’editto degli edili curuli ...................................................
2. (Segue) L’actio quo minoris propter vitium o aestimatoria ........................
3. L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema edilizio
4. L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana .....................
5. L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune ..................................
6. L’azione estimatoria da Pothier al code Napoléon e al codice civile
italiano del 1865 .........................................................................................
7. La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e
BGB ............................................................................................................
8. La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano .................................
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92
CAPITOLO SECONDO
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA
DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
1. La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per
il compratore: i c.d. “vizi giuridici” ..........................................................
2. (Segue) Le difformità materiali ..................................................................
3. L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto
di ridurre il prezzo .....................................................................................
4. (Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale .............
5. La funzione della riduzione del prezzo: la conservazione dell’equilibrio
sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al
momento della conclusione del contratto .................................................
» 105
VIII
INDICE
6. La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale .......................................................................................................... p. 111
7. La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse .......................................................................................................... » 123
CAPITOLO TERZO
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
E LE CONSEGUENZE DERIVANTI DALL’ESERCIZIO
DEL RELATIVO DIRITTO
1. Premessa .....................................................................................................
2. I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del prezzo ....
2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione ...............................................................................................
2.2. I metodi di calcolo “assoluti” ...........................................................
2.3. I metodi di calcolo “relativi” o “proporzionali” ..............................
2.4. La riduzione del prezzo secondo equità ...........................................
3. La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali” .....................................................................
4. L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della
quantificazione della riduzione del corrispettivo .....................................
5. Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi
anche a causa di un comportamento colposo del compratore ................
5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore ........................
6. Riduzione del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale
7. La riduzione del corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato .
7.1. L’eccezione di inadempimento ..........................................................
7.2. La clausola solve et repete .................................................................
7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto
all’importo del prezzo risultante dalla riduzione .............................
8. La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato
in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione ....
9. Gli obblighi restitutori aggiuntivi .............................................................
» 135
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140
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183
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» 220
CAPITOLO QUARTO
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI STRUMENTI
DI TUTELA CONTRATTUALE DELL’ACQUIRENTE
1. Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto
nel sistema codicistico della garanzia per vizi .......................................... » 229
1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi
di tutela: premessa ............................................................................. » 229
IX
INDICE
2.
3.
4.
5.
1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha
diritto alla sola riduzione del prezzo ................................................
1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi
in cui entrambi risultano esperibili ...................................................
Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484
e 1489 c.c. ..................................................................................................
La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo ......................................
3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del
contratto ............................................................................................
3.2. L’ininfluenza di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto ...
3.3. L’esercizio stragiudiziale e giudiziale del diritto alla riduzione del
prezzo. La sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Duarte
Hueros e il potere/dovere del giudice di disporre d’ufficio la riduzione ...............................................................................................
Il rapporto fra riduzione del prezzo e altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nella Convenzione di Vienna ..................................
4.1. I presupposti di esperibilità dei singoli mezzi di tutela del compratore ................................................................................................
4.2. La riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela del compratore caratterizzato dalla sfera applicativa più ampia. I rapporti
sostanziali e processuali fra i rimedi .................................................
La riduzione del prezzo nel quadro del crescente favor per i mezzi di
tutela del compratore che non provocano lo scioglimento del rapporto
contrattuale..................................................................................................
p. 233
» 248
» 263
» 271
» 271
» 293
» 308
» 321
» 321
» 331
» 337
CAPITOLO QUINTO
GLI SPAZI CONCESSI ALL’AUTONOMIA PRIVATA
1. Premessa .....................................................................................................
2. La derogabilità del metodo di calcolo e l’esclusione pattizia del diritto
alla riduzione del prezzo ...........................................................................
2.1. La Convenzione di Vienna ................................................................
2.2. Le vendite fra professionisti e consumatori .....................................
2.3. Il codice civile ....................................................................................
3. La derogabilità della disciplina legale della riduzione del prezzo attraverso pattuizioni concluse posteriormente alla manifestazione del
difetto .........................................................................................................
4. L’offerta di riduzione del corrispettivo che non ne determini l’importo
o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali” .........................................................................
» 343
»
»
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343
347
350
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» 367
X
INDICE
CAPITOLO SESTO
RIDUZIONE DEL PREZZO
E RISARCIMENTO DEL DANNO
1. Premessa .....................................................................................................
2. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nella garanzia per vizi ....
3. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nell’ipotesi di difetti
giuridici dell’attribuzione patrimoniale ....................................................
4. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nelle vendite di beni
di consumo .................................................................................................
5. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nella Convenzione
di Vienna ....................................................................................................
6. L’autonomia della riduzione del prezzo rispetto al risarcimento del
danno: perdurante importanza e crescente utilità del rimedio estimatorio ............................................................................................................
p. 369
» 370
» 388
» 393
» 417
» 424
ABBREVIAZIONI
Organi giudicanti
G. di p.
Pret.
Trib.
App.
Cass.
sez. I, II, ...
sez. un.
C. cost.
Corte giust. UE
ÖstOGH
OLG
BGH
SAP
Giudice di pace
Pretura
Tribunale
Corte di Appello
Corte di cassazione civile
Prima sezione, seconda sezione, …
Sezioni unite
Corte costituzionale
Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Oberster Gerichtshof austriaco
Oberlandesgericht
Bundesgerichtshof tedesco
Suprema Audiencia Provincial
Elenco delle sigle e delle abbreviazioni più frequentemente utilizzate
BGB
c.c.
c.c. 1865
c.c.f.
c.c.s.
c.p.c.
c.co. 1882
c.cons.
c.p.
c.nav.
CISG
d.c.c.
disp. prel.
disp. att.
disp. trans.
l.
l. cost.
codice civile tedesco del 1900
codice civile italiano del 1942
codice civile italiano del 1865
codice civile francese
codice civile spagnolo
codice di procedura civile
codice di commercio italiano del 1882
codice del consumo italiano (d. legisl. 6 settembre 2005, n. 206)
codice penale italiano
codice della navigazione
Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili
dell’11 aprile 1980
codice civile olandese
disposizioni sulla legge in generale
disposizioni di attuazione del codice civile italiano
disposizioni transitorie del codice civile italiano
legge
legge costituzionale
XII
l. fall.
d.l.
d. legisl.
d.m.
LUVI
r.d.
r.d.l.
SoGA
T.U.
art.
artt.
lett. a)
ivi
cit.
sub
n.
nn.
nt.
p.
s.
ss.
v.
cfr.
ABBREVIAZIONI
legge fallimentare
decreto legge
decreto legislativo
decreto ministeriale
Convenzione de L’Aja sulla vendita internazionale di beni mobili
del 1° luglio 1964
regio decreto
regio decreto legge
Sale of Goods Act 1979
Testo Unico
articolo
articoli
lettera/e a) …
luogo o luogo e data di pubblicazione appena citati nella stessa
nota
opera o sentenza già citate
nel commento all’art. …
numero
numeri
nota/e
pagina/e
seguente
seguenti
vedi
confronta
INTRODUZIONE
La riduzione del prezzo è un mezzo di tutela che il compratore può
esperire sia a fronte della manifestazione di difetti materiali nella cosa
compravenduta (art. 1492 c.c.) sia nell’ipotesi in cui questa risulti parzialmente altrui (art. 1480 c.c.) ovvero gravata da oneri o diritti di terzi
che ne limitino il godimento (art. 1489 c.c.) ovvero ancora venga fatta oggetto di evizione parziale (art. 1484 c.c.).
Essa, pertanto, si rivela un rimedio niente affatto esclusivo della c.d.
garanzia per vizi, manifestando viceversa l’attitudine a costituire uno
strumento di tutela comune ad una pluralità di ipotesi di “inesattezza”
del risultato traslativo del contratto di compravendita. Tale osservazione
trova peraltro riscontro anche al di fuori della disciplina della compravendita dettata dal codice civile, giacché la riduzione del prezzo è contemplata quale mezzo di reazione del compratore nei confronti dei “difetti di conformità” della res vendita sia dalla Convenzione di Vienna
dell’11 aprile 1980, in materia di contratti di compravendita internazionale di merci, sia dalla dir. 1999/44/CE, relativa alle c.d. vendite di beni
di consumo.
Nonostante ciò, nella nostra letteratura la trattazione e l’approfondimento delle regole che presiedono alla c.d. actio quanti minoris è stata
sostanzialmente limitata alle opere di carattere generale in materia di
vendita o ai commenti alle singole disposizioni di legge che la prevedono,
mentre sembra mancare – contrariamente a quanto si riscontra non solo
in relazione alla risoluzione ma altresì alla sostituzione o alla riparazione
– un’indagine precipuamente dedicata all’analisi e alla ricostruzione sistematica della natura, dei presupposti, dei caratteri e della funzione del
rimedio estimatorio in sé e per sé considerato, nonché alla disamina del
rapporto corrente fra questo e gli altri mezzi di tutela del compratore. In
ragione di ciò, la riduzione del prezzo ha finito per rimanere un mezzo di
tutela dai caratteri per molti versi incerti, anche a cagione di un dettato
normativo molto scarno, il quale ha lasciato in ombra e irrisolti molti
problemi – si pensi, ad esempio, alla natura giuridica del diritto del compratore, al rapporto intercorrente fra la riduzione del prezzo e il diritto al
risarcimento del danno, alla quantificazione della riduzione –, frustrando
XIV
INTRODUZIONE
le finalità dell’istituto e schiudendo le porte (come dimostra la consultazione dei repertori) alla massiccia applicazione del rimedio risolutorio.
L’opportunità di procedere ad una ricerca siffatta emerge con ancor
maggiore evidenza ove dall’analisi del diritto interno si allarghi lo sguardo
verso le esperienze giuridiche a noi vicine e all’evoluzione del diritto
contrattuale europeo. Ponendosi in tale prospettiva non è, invero, arduo
verificare come le ultime decadi mostrino, da un canto, il progressivo tramonto della centralità della risoluzione nell’economia dei mezzi di reazione ai difetti (materiali e giuridici) della res vendita e, dall’altro, il crescente favore di cui gode la riduzione del prezzo, accanto all’“esatto
adempimento” nelle forme della sostituzione e della riparazione della
cosa.
Scomparsa nel BGB, in favore della previsione del Rücktrittsrecht, a
seguito dell’approvazione del Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts
entrato in vigore il 1° gennaio 2002, fortemente compressa nelle possibilità di esercizio e comunque assai diversamente concepita nella Convenzione di Vienna, relegata a un ruolo ancillare e secondario dalla direttiva
1999/44/CE e dalle relative normative nazionali di attuazione, la risoluzione del contratto quale mezzo di tutela del compratore di beni non
conformi tende sempre più nettamente a essere riservata alle ipotesi connotate da particolare gravità e in relazione alle quali i rimedi che consentono la conservazione del rapporto contrattuale non abbiano consentito
al compratore di ottenere idonea tutela.
Viceversa, la riduzione del prezzo – seppur affiancata dal diritto al
ripristino della prestazione – è stata conservata quale rimedio generale attivabile a fronte di qualsiasi difetto sia nel sistema delineato dalla CISG
sia nel quadro della gerarchia dei rimedi disegnata dalla dir. 1999/44/CE;
di recente, inoltre, essa si è vista attribuire un ruolo assai rilevante nel
contesto di importanti riforme legislative che hanno interessato gli ordinamenti inglese e francese. Da un lato, infatti, il britannico Consumer
Rights Act 2015 ha accolto la riduzione del corrispettivo quale rimedio
generale offerto al consumatore che concluda «contracts for goods, digital
contents and services» esercitabile qualora la prestazione del professionista risulti non conforme al contratto. Dall’altro, il Projet d’Ordonnance
portant Réforme du droit des Contrats, du régime général et de la preuve
des Obligations, presentato dal Ministero della Giustizia francese nei
primi mesi del 2015 e attualmente in discussione, prevede l’introduzione
nel Code civil di una disposizione generale (art. 1223) in materia di riduzione del corrispettivo, la quale accorda al creditore di qualsivoglia
prestazione in forza di un contratto sinallgmatico il diritto di accettare
«une exécution imparfaite du contrat et réduire proportionnellement le
INTRODUZIONE
XV
prix» come rimedio generale esperibile a fronte di una «inexécution du
contrat».
Muovendo dalla considerazione e dalla valorizzazione di siffatte importanti innovazioni, la presente indagine si propone di analizzare le fattispecie di riduzione del corrispettivo rintracciabili nella disciplina del
contratto di compravendita attualmente vigente nel nostro ordinamento
(sia a livello del codice civile, sia nel c.d. codice del consumo, sia nel contesto della disciplina di diritto uniforme apprestata dalla Convenzione di
Vienna) al fine di procedere a ricostruire i caratteri, la natura, la funzione
e gli effetti che sono propri di tale mezzo di tutela, nonché a definire il
suo ambito di applicazione e i rapporti che corrono fra questo e gli altri
rimedi concessi all’acquirente.
Il lavoro prenderà le mosse dall’analisi dell’evoluzione storica della
riduzione del prezzo relativa alla c.d. garanzia per vizi cosicché, partendo
dalla sua progenitrice romana, sarà possibile dare conto dell’evoluzione
che ne ha contrassegnato il rilevante ampliamento del campo di applicazione sino a consegnarci l’attuale assetto disciplinare. E ciò, non per sterile omaggio alla tradizione, ma in quanto dall’elaborazione della scienza
giuridica romana e dall’analisi della lunga parabola che dalle tutele di diritto onorario si snoda sino al codice civile del 1942, alla Convenzione di
Vienna del 1980 e alla direttiva 1999/44/CE, passando attraverso la sistemazione giustinianea, l’opera di Pothier, la Pandettistica e le codificazioni europee ottocentesche, è possibile trarre utili indicazioni e spunti
da impiegare nell’indagine del diritto positivo.
Successivamente, si procederà all’analisi della disciplina della riduzione del prezzo concessa sia per difetti materiali sia per difformità giuridiche dell’attribuzione traslativa, a mezzo della quale sarà possibile non
soltanto chiarire la tipologia di effetti giuridici scaturenti dal suo esercizio e la natura giuridica dello stesso diritto del compratore di ridurre il
corrispettivo, ma soprattutto individuare un fondamento giustificativo
comune alle diverse fattispecie e così ricostruire l’unitaria funzione della
tutela estimatoria, identificandola nella proporzionale conservazione
dello scambio alterato dal trasferimento di un bene non conforme. Nel
trattare tali aspetti, peraltro, non ci si spingerà sino ad affrontare la
vexata quaestio della natura della responsabilità del venditore giacché, da
un canto, come autorevole dottrina ha avvertito, «suggestioni storiche e
concettuali [hanno contribuito] a rendere questo problema uno dei momenti di più incerta comprensione nello studio della vendita» (C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 699),
la cui indagine necessiterebbe di un approfondimento ad esso esclusivamente dedicato e, dall’altro, e soprattutto, tale problematica riveste
XVI
INTRODUZIONE
un’importanza complessivamente secondaria in relazione all’oggetto del
nostro studio.
Mettendo a frutto le conclusioni raggiunte in merito alla funzione
propria del rimedio e al suo fondamento giustificativo, si procederà poi
ad analizzare i possibili metodi di determinazione della riduzione del corrispettivo e a identificare, pur nell’incertezza del dato normativo, in
quello c.d. relativo o proporzionale il criterio unitario valevole per tutte
le fattispecie.
La trattazione proseguirà con l’analisi delle conseguenze giuridiche
derivanti dall’esercizio della quanti minoris, in particolar modo indagando i profili restitutori e indennitari ad essa legati e dando conto del
differente atteggiarsi degli effetti del rimedio a seconda che il corrispettivo sia o meno già stato pagato dal compratore in misura superiore all’importo risultante dalla decurtazione del prezzo originariamente pattuito.
Proseguendo, nei Capitoli 4 e 5, specifica attenzione sarà dedicata,
dapprima, all’analisi dei presupposti che consentono al compratore – in
ciascuna delle fattispecie considerate – di far valere la tutela estimatoria
e alla definizione dei rapporti che corrono fra questa e gli altri mezzi di
tutela dell’acquirente di beni difettosi o giuridicamente irregolari; successivamente, verranno indagati i margini di cui dispone l’autonomia privata per integrare la disciplina legale nonché per derogarvi.
Infine, si procederà a chiarire i rapporti sussistenti fra la riduzione
del prezzo e il risarcimento del danno. Evidenziata la differente funzione
svolta da ciascuno dei due mezzi di tutela, si troverà conferma della correttezza e dell’opportunità della scelta dei legislatori continentali e dei
più recenti progetti sovranazionali di confermare l’autonomia della tutela
estimatoria rispetto a quella risarcitoria. La riduzione del prezzo, infatti,
si rivelerà essere strumento maggiormente duttile rispetto all’azione di
danni, essendo caratterizzata da un ambito di applicazione in concreto
più ampio – prescindendo dall’elemento della colpa del venditore – e in
evidente espansione nei testi normativi e nei progetti di legislazione più
recenti, nonché da notevoli semplificazioni sul piano probatorio e da una
minor dipendenza dall’accertamento giurisdizionale.
CAPITOLO PRIMO
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
NELLA COMPRAVENDITA ROMANA
E IL SUO SVILUPPO STORICO
SOMMARIO: 1. Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in Roma
antica e l’editto degli edili curuli. – 2. (Segue) L’actio quo minoris propter vitium o
aestimatoria. – 3. L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema
edilizio. – 4. L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana. – 5. L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune. – 6. L’azione estimatoria da Pothier al
code Napoléon e al codice civile italiano del 1865. – 7. La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e BGB. – 8. La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano.
1.
Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in
Roma antica e l’editto degli edili curuli
La genesi storica dell’azione di riduzione del corrispettivo suole farsi
risalire allo ius honorarium dei magistrati edili di Roma antica, i quali approfittarono dello ius edicendi1 loro attribuito per concedere al compratore di talune specie di beni affetti da vizi materiali due azioni che la tradizione ha designato con l’appellativo di “edilizie”, a mezzo delle quali
poteva essere posto nel nulla lo scambio (actio redhibitoria) ovvero po1 Gai
Instit. 1.6: «Ius autem edicendi habent magistratus populi romani; sed amplissimus
est in edictis duorum praetorum, urbani et peregrini, quorum in provinciis iurisdictionem praesides earum habent; item in edictis aedilium curulium, quorum iurisdictionem in provinciis populi Romani quaestores habent». Sullo ius edicendi si consultino in primo luogo i classici studi
di M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, in Mélanges P. Meylan, I, Lausanne,
1963, p. 173 ss. (pubblicato anche in ID., Ausgewählte Schriften, II, Napoli, 1976, p. 477 ss.)
e di O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig,
1907, passim. V., inoltre, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, Padova, 1955, p. 109 ss.;
M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, München, 1971, p. 558 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, Storia
del diritto romano, Napoli, 1957, p. 149 ss. E. BETTI, Iurisdictio praetoris e potere normativo,
in Labeo, 1968, p. 16 ss.; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte, I, München, 1988, p. 479
s.; E. JOBBE-DUVAL, Les ‘decreta’ des magistrats pourvus de la ‘iurisdictio contentiosa inter privatos’, in Studi in onore di Pietro Bonfante, III, Milano, 1930, p. 187 ss.
2
CAPITOLO PRIMO
teva essere conseguita una riduzione del prezzo pagato (actio aestimatoria o quanti minoris2).
Il diritto romano arcaico non apprestava alcuna tutela per il caso di
sussistenza di vizi materiali nella res empta, in accordo con la tralatizia
massima «caveat emptor!»3, a mente della quale – poiché la vendita avveniva in presenza di entrambe le parti e del bene contrattato4, di cui l’acquirente aveva modo di prendere visione e che solitamente veniva contestualmente consegnato5 – doveva ritenersi rientrare nella diligenza del
compratore l’esame dell’oggetto acquistato, senza che potessero rilevare
eventuali difetti occulti. Secondo l’approccio romano pre-classico, infatti,
il compratore, avendo avuto la possibilità di ispezionare l’oggetto acqui2 Si veda infra, al par. 2, per le opportune precisazioni con riferimento all’esatta denominazione dell’actio nell’epoca romana.
3 Sulla regola che addossava al compratore il rischio circa le qualità della cosa compravenduta nel diritto romano arcaico, v. in generale H.H. JAKOBS, Gesetzgebung im Leistungsstörungsrecht - Zur Ordnung des Recht der Leistungsstörungen im Bürgerlichen Gesetzbuch und
nach Einheitlichem Kaufrecht, Paderborn, 1985, p. 128 s.; sul punto cfr. anche le osservazioni
di H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in
Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, Frankfurt am Main, 1984, p. 55 ss., ove ampia analisi
dell’influsso del punto di vista romano circa l’allocazione dei rischi della compravendita sul
diritto posteriore.
Nel senso dell’inesistenza, nel diritto civile romano, di una responsabilità generale oggettiva per i vizi occulti della cosa venduta, v. altresì V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1954, p. 353 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241;
F. SCHULZ, Einführung in das Studium der Digesten, Tübingen, 1916, p. 118; U. KORTH,
Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 22, il quale ritiene che il fondamento di tale regola
e del connesso accollo del rischio in ordine alle qualità della cosa venduta in capo al compratore si basi «auf der Wertung, dass dem Verkäufer die Verwendungszwecke, die der Käufer
mit der Kaufsache verfolgt, nicht zu interessieren brauchen. Es ist Angelegenheit des Käufers,
die Tauglichkeit der Kaufsache für die beabsichtigte Verwendung zu untersuchen».
4 R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition,
Cape Town-Wetton-Johannesburg, 1990, p. 307, con riferimento all’idea dominante nei sistemi arcaici, discorre apertamente di una vendita che avviene davanti agli occhi dei contraenti (Kauf vor Augen) e richiama il motto proverbiale germanico «Wer die Augen nicht
auftut, der tue [tut, in una versione alternativa] den Beutel auf» nonché il similare «qui
n’ouvre pas yeux doit ouvrir la bourse». Richiama lo stesso motto anche H. HONSELL, Von den
aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für
Wolfgang Kunkel, cit., p. 56.
5 Nei primi quattro secoli dalla nascita di Roma, la compravendita si è progressivamente evoluta da uno stadio di vendita reale caratterizzata dallo scambio immediato della res
e del corrispettivo pecuniario, nelle forme della mancipatio per le res mancipi e mediante il ricorso a una duplice traditio per quelle nec mancipi, a un successivo strutturarsi quale vendita
obbligatoria attuata mediante una doppia stipulatio, per poi, infine, essere regolata dal II secolo a.C. quale contratto consensuale a effetti obbligatori (cfr. per tutti A. BURDESE, Manuale
di diritto privato romano, Torino, 1993, p. 451). Pertanto, prima del raggiungimento di questo ultimo stadio, la compravendita aveva quale carattere indefettibile e qualificante proprio
la presenza e il trasferimento materiale immediato del bene che ne era oggetto.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
3
stato durante la contrattazione, non poteva in alcun modo dolersi di
eventuali vizi del medesimo, in quanto la diligenza che l’ordinamento
presumeva egli possedesse avrebbe dovuto consentirgli di ravvisarli
prima del perfezionamento dello scambio.
Agli occhi del giurista moderno, la rigidità di tale costruzione appare evidente, giacché essa dava luogo a un ingiustificato vantaggio per i
venditori, i quali erano pressoché totalmente affrancati da qualsivoglia
responsabilità rispetto alle qualità del bene venduto. Peraltro, tale assetto
disciplinare si giustificava in relazione alla concezione della vendita tipica
della mentalità e dell’elaborazione giuridica romana. Il giurista romano,
infatti, considerava la compravendita eminentemente quale contratto
avente ad oggetto un bene specifico6, il cui trasferimento si perfezionava
in presenza delle parti e, soprattutto, sulle cui qualità il venditore non
poteva in alcun modo influire, trattandosi di una res specifica e non fungibile, normalmente non da lui costruita.
La tutela del compratore nel diritto romano arcaico faceva essenzialmente perno sulla possibilità per costui di esaminare il bene prima del
perfezionamento dell’acquisto, sicché – come si è accennato – sarebbe
stato possibile riconoscere l’esistenza di eventuali vizi, in conseguenza dei
quali l’emptor avrebbe potuto determinarsi a desistere dal contrarre ovvero a chiedere un adeguamento del prezzo in ragione del minor valore
che la res possedeva a cagione dei difetti riscontrati7. Peraltro, tale “tutela” aveva carattere esclusivamente preventivo e, oltre a dipendere fortemente dal grado della diligenza effettivamente impiegata dal compratore
nell’esaminare il bene, non era di alcuna utilità ove i difetti di questo non
fossero visibili neppure con un’accurata ispezione ovvero si manifestassero esteriormente soltanto in un tempo successivo alla consegna.
Se la regola di fondo addossava senz’altro al compratore il rischio
circa le qualità della cosa venduta, il sistema romano era peraltro perve6 Si noti, infatti, come – secondo un’opinione accreditata – nel diritto romano, fino a
tutto il periodo classico, la vendita di cosa generica non costituisse affatto un contratto tipico
consensuale di vendita, ma venisse rivestita delle forme della stipulatio, i cui formulari solitamente prevedevano che il venditore si obbligasse a dare una cosa di qualità media traendola
dal genus. Cfr., sul punto, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 121
ss.; A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 2. System des Kaufs nach gemeinem Recht,
Leipzig, 1876, p. 331 ss. In argomento si vedano anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili
curuli, cit., p. 241 nota 1 e, ampiamente, B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di
C. Fadda e P.E. Bensa, Torino, 1925, p. 528 ss.
7 È bene notare subito la simmetria esistente fra il profilo rimediale che emergerà dallo
ius honorarium degli edili curuli e le possibilità che il pensiero giuridico romano ricollega alla
conoscenza da parte del venditore dei vizi della cosa: da un lato, sciogliersi dal vincolo o non
dargli vita e, dall’altro, ottenere la riduzione del prezzo della compravendita in via successiva
ovvero anticipata.
4
CAPITOLO PRIMO
nuto gradualmente ad ammettere la possibilità di trasferire tale rischio in
capo al venditore attraverso l’assunzione, da parte di quest’ultimo, della
garanzia in ordine alla qualità del bene, mediante una stipulazione aggiunta e distinta rispetto al contratto di vendita. È stato, infatti, dimostrato8 come pattuizioni di garanzia riguardanti le caratteristiche della res
che formava oggetto del contratto, lungi dall’essere eccezionali, erano in
realtà diffuse nella prassi commerciale, la quale conosceva un nutrito
elenco di formule impiegate a tal fine. Nell’epoca più antica, esse si atteggiavano quali dicta in mancipio o nuncupationes pronunciate all’atto
della mancipatio, mentre successivamente fu adottato lo schema delle stipulationes accessorie al contratto di compravendita, con le quali il venditore garantiva l’assenza di determinati vizi o la presenza di date qualità9.
Peraltro, tali formule non legittimavano affatto una pretesa del compratore alla consegna di un bene che possedesse le qualità promesse o
fosse libero dai vizi in ordine ai quali la garanzia era stata concessa, bensì
costituivano soltanto il fondamento di una richiesta risarcitoria per
l’eventualità in cui la cosa si rivelasse priva delle qualità o delle specifiche
caratteristiche oggetto della garanzia10. Si trattava, quindi, di una mera
assunzione, da parte del venditore, del rischio circa la ricorrenza di determinate qualità del bene, del tutto coerente con l’assunto per cui costui
non poteva assumere alcuna obbligazione riguardo alla sussistenza o
meno di determinate qualità nel bene oggetto dello scambio11, potendo
8 Per tutti, É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen
und römischen Recht, München, 1997, p. 165 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 353 ss.; R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of
the Civilian Tradition, cit., p. 310.
9 Cfr. A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, cit., p. 458.
10 In questo senso V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 357; R.
ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p.
310; H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München, 1969, p. 65 s.
11 La scienza giuridica romana non giudicava, infatti, possibile che l’accordo delle parti
avesse ad oggetto anche le qualità della cosa venduta, giacché la stessa poteva essere contrattata soltanto nella condizione in cui si trovava. Il venditore, infatti, non avrebbe potuto obbligarsi a prestare una cosa avente caratteristiche diverse da quelle che il bene negoziato possedeva, in quanto si sarebbe obbligato a compiere una prestazione impossibile: in altre parole, la cosa su cui cadeva il consenso contrattuale poteva già possedere determinate
caratteristiche ovvero non possederle, sicché nessun impegno obbligatorio del venditore era
concepibile in ordine alla presenza di determinate qualità nel bene venduto. V. in proposito i
rapidi cenni contenuti in G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir.
civ., 2001, I, p. 876 e ID., Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, ivi, 2004, I, p.
224. La tesi secondo cui l’accordo contrattuale non si estenderebbe alle qualità della cosa, la
quale, una volta individuata temporalmente e spazialmente, comprende tutte le qualità da
essa possedute, senza che le parti possano proporsi che l’oggetto abbia determinate qualità o
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
5
– al più – obbligarsi a corrispondere all’acquirente una somma di denaro
per il caso in cui la res fosse viziata ovvero non presentasse le caratteristiche promesse12.
La regola per cui il venditore era chiamato a rispondere dei vizi o
delle mancanze di qualità della cosa soltanto ove avesse garantito riguardo alla loro assenza o sussistenza13 progressivamente venne ad ammorbidirsi in sede di interpretazione bonae fidei del contratto di compravendita, affermandosi la responsabilità dell’alienante anche con riferimento ai vizi dolosamente taciuti14, ma trovò un reale temperamento
normativo soltanto in diritto classico, allorché furono introdotte l’actio ex
empto e le azioni edilizie.
Queste seconde risalgono, come noto, agli editti emanati dagli aediles curules, approssimativamente a partire dal II secolo a.C.15, con riferimento dapprima alle vendite di schiavi e successivamente di giunon abbia taluni difetti, è stata vigorosamente sostenuta anche dalla moderna dottrina. Nell’ampio novero degli AA. intervenuti nel dibattito, vanno ricordate le autorevoli prese di posizione di E. ZITELMANN, Irrtum und Rechtsgeschäft, Leipzig, 1879, p. 437 ss.; W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 1, Münster, 1948 e ID., Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, Darmstadt,
1975; L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in
Riv. dir. comm., 1953, p. 11 ss., nonché i recenti contributi di M.J. SCHERMAIER, Die Bestimmung des wesentlichen Irrtums von der Glossatoren bis zum BGB, Wien, 2000, p. 661 ss. e P.
REDEKER, Beschaffenheitsbegriff und Beschaffenheitsvereinbarung beim Kauf, München, 2012,
passim.
12 É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 173 ss.; W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 57 s.; U. KORTH, Minderung beim Kauf, p. 22, ove si richiama
C. BALDUS, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen
Kaufrecht, in Orbis Iur. Rom. (OIR), 1999, p. 32 ss.
13 Per tutti, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 353 ss.; H.H.
JAKOBS, Gesetzgebung im Leistungsstörungsrecht, cit., p. 129.
14 Cfr. D. 19. 1. 13 pr.: «[…] si […] sciens [vitium] reticuit et emptorem decepit, omnia
detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei […]».
15 Secondo taluni, i quali fanno leva su taluni passi plautini, la giurisdizione degli edili
curuli potrebbe essere datata anche a partire dal III secolo a.C. (cfr., ad esempio, R. MONIER,
La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, Paris, 1930, p. 21 ss. e A. DE SENARCLENS, La date de l’édit des édiles de mancipiis vendundis, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, IV, 1923, p. 393 ss.; L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, Milano, 1994, p. 11 ss.). Per un’opinione più prudente, supportata dall’osservazione secondo cui i passi del Mercator, del Miles Gloriosus e della
Mostellaria – cui si rifà la dottrina poc’anzi citata – si riferiscono con ogni probabilità al diritto greco (v. i rilievi di L. WENGER, Die Quellen des römisches Rechts, Wien, 1953, p. 224),
è invece certa la vigenza dell’editto de mancipiis vendundis soltanto dal 168 a.C., potendosene
trarre argomento da un passo di Aulo Gellio (Noctes Atticae, 17, 6, 2): in questo senso, per
tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 90 ss. Per É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 128 s., invece, le fonti non consentono di giungere ad una datazione attendibile dell’editto de mancipiis vendundis, potendo le testimonianze sicure essere
anche di molto posteriori all’effettiva introduzione dello stesso.
6
CAPITOLO PRIMO
menti16. All’edilità spettavano la cura annonae e la cura urbis, le quali contemplavano la vigilanza sui mercati; agli edili curuli spettava, inoltre, la
giurisdizione in materia di contratti conclusi nei mercati17, sicché essi furono indotti a prestare a tali contratti una considerevole attenzione, la
quale si tradusse anche nella concessione di speciali azioni volte a regolamentare gli scambi in maniera difforme dallo ius civile.
Si venne creando, così, una branca dello ius honorarium18 costituita
da un editto annuale19 il quale fu successivamente confermato negli anni
successivi sino a divenire tralatizio e fu oggetto di complessiva sistemazione ad opera di Salvio Giuliano20. Tale editto comprendeva una vasta
congerie di disposizioni, raccolte in varie rubriche, fra cui – ai fini della
presente trattazione – rivestono speciale importanza quelle de mancipiis
vendundis e de iumentis vendundis – le più risalenti nel tempo21 –, giac16 Per iumentum, secondo l’opinione dominante, si intendeva l’animale che dorso domatur (G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 76, ove si riporta la conforme opinione
di Cuiacio): pertanto iumenta erano cavalli, asini, muli e tutti gli equini in genere. In realtà,
questo secondo editto, almeno stando al tenore letterale dell’elogium, doveva applicarsi anche
alle pecorae, come suggerito da D. 21, 1, 38, 5: «Idcirco elogium huic edicto subiectum est, cuius
verba haec sunt: “quae de iumentorum sanitate diximus, de cetero quoque pecore omni venditores faciunto”».
17 Sulle competenze degli edili curuli si rimanda a M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, cit., p. 173 ss. e, oltre alle opere generali citate alla nota 1, alle specifiche trattazioni di F. SERRAO, Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime, in Mercati permanenti e
mercati periodici nel mondo romano. Atti degli Incontri capresi di Storia dell’economia antica
(Capri, 13-15 ottobre 1997), Bari, 2000, p. 37 ss. e W. KUNKEL - R. WITTMAN, Staatsordnung
und Staatspraxis der römischen Republik, II, Der Magistratur, München, 1995, p. 478. Si veda,
inoltre, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 361.
18 Per vero, una parte degli interpreti (ad esempio, E. VOLTERRA, Un’ipotesi intorno all’originale greco del libro siro-romano di diritto, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei,
VIII serie, 1953, p. 30 ss.; ID., Intorno all’editto degli edili curuli, in Scritti in onore di Ugo
Borsi, Padova, 1955, p. 1 ss.; ID., Ancora sull’editto degli edili curuli, in Iura, 1956, p. 141 ss.)
ha messo in dubbio la riconducibilità degli editti edilizi allo ius honorarium, ma l’opinione è
oggi nettamente minoritaria: sul tema v., infatti, M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen
Ädilen, cit., p. 181; M. TALAMANCA, L’arra nella compravendita in diritto greco e in diritto romano, Milano, 1953, p. 40; A. GUARINO, L’editto edilizio e il diritto onorario, in Labeo, 1955,
p. 295 ss.; ID., Ancora sull’editto edilizio, in Labeo, 1956, p. 352 ss.
19 Nelle pagine che seguono, la trattazione del diritto edilizio in materia di responsabilità del venditore per vizi materiali del bene sarà condotta unitariamente con riferimento sia
all’Editto de mancipiis vendundis, più antico e notevolmente più ampio, sia a quello de iumentis vendundis. I riferimenti alla disciplina specifica di ciascun editto saranno tendenzialmente limitati ai punti di divergenza e alla precisazione dei rispettivi ambiti di applicazione.
20 L’attribuzione dell’opera di sistemazione dell’editto a Salvio Giuliano è anch’essa tralatizia, ma le fonti invero tacciono sul punto. Cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria,
Padova, 2000, p. 5.
21 Sul periodo di emanazione dell’editto e delle sue singole rubriche si rimanda senz’altro alla già citata approfondita trattazione di G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit.,
p. 90 ss., il quale aderisce all’opinione dominante secondo cui le fonti suffragano l’ipotesi che
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
7
ché tramite esse venne introdotto per la prima volta il principio della responsabilità oggettiva del venditore per i vizi occulti del bene venduto e
vennero concesse actiones in factum intese a sanzionare la presenza di
vizi: l’actio redhibitoria, volta a porre nel nulla lo scambio, e l’actio aestimatoria, diretta ad ottenere la riduzione del corrispettivo pagato.
Tali provvedimenti, in primo luogo, imposero ai venditori l’obbligo
di rendere noti22 gli eventuali vizi dello schiavo o dell’animale venduto
previsti dall’editto23 e considerarono i contravventori oggettivamente responsabili24 nel caso in cui tali vizi si manifestassero posteriormente al
le disposizioni inerenti al servus vitiosus fossero già state emanate nella prima metà del II
secolo a.C. (con successive integrazioni), mentre la rubrica de iumentis vendundis risalirebbe
alla seconda metà del I secolo a.C.
22 Sull’obbligo di denunzia del venditore nell’editto e la c.d. responsabilità ex reticentia
cfr. M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, cit., p. 558 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili
curuli, cit., p. 6 ss.; O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1927, p. 555 ss. (ora ristampata come ID., Das Edictum perpetuum: ein Versuch
zu seiner Wiederherstellung, Pamplona, 2008); J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in
rechtshistorischer Sicht, in Archiv für die civilistische Praxis (AcP), 2005, p. 68 s.; C. BALDUS,
Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht,
cit., p. 35 ss.; R. ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., p. 311 ss.; in una prospettiva originale, v. le recenti ricerche di É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 127 ss.;
EAD., Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für
Sachmängel, in M.J. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und
die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, München, 2003, p. 32; da ultima, si consulti N.
DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano, 2004, p. 79 ss.
23 L’editto imponeva la dichiarazione non di tutti i vizi, ma soltanto di quelli espressamente contemplati. Costituivano vizi rilevanti ai fini dell’editto de mancipiis vendundis e, pertanto, dovevano essere dichiarati dal venditore: tutti i vizi corporali (cioè i difetti fisici, purché tali da limitare le abilità dello schiavo: G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p.
8), tre vizi dell’animo (ovvero l’essere il servus fugitivus o erro o l’avere costui tentato il suicidio) e tre vizi giuridici (servus noxa non solutus, schiavo reo di capitalis fraus o inviato a lottare contro le belve). Al venditore di iumenta era parimenti imposta la dictio dei vizi, la quale
però – trattandosi di animali – non risentiva della distinzione fra vitia animi e vitia corporis.
È opinione prevalente che l’elencazione dei vizi redibitori fatta dai due editti fosse tassativa e
rappresentasse «una previa definizione degli interessi tutelabili dal tribunale edilizio» (così N.
DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, Padova, 2007, p. 472,
la quale conclude che «i margini per una valutazione in concreto diretta a dilatare le singole
categorie e farvi rientrare anche ipotesi nuove erano piuttosto circostanziati»).
24 Il venditore rispondeva, infatti, dell’esistenza del vizio a prescindere dal fatto che
fosse edotto o meno riguardo a questa: cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p.
6 s.; É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 32 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., 18 s. Si
veda, nelle fonti, Cicerone, De officis, 3, 17, 71: «Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de
furtis praestat edicto aedilium». L’opinione non era peraltro unanime fra gli studiosi meno recenti, taluni dei quali hanno spiegato la responsabilità in parola in termini di Rechtsirrtum
(M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, cit., p. 560 nota 52) o di Irrtumschutz (F. HAYMANN,
Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, Berlin, 1912, p. 30).
8
CAPITOLO PRIMO
perfezionamento dello scambio. In tal modo, fu introdotta una forma di
garanzia implicita per i vizi dello schiavo, la quale veniva meno soltanto
ove il compratore avesse rinunziato alle azioni concesse, mediante un
patto contemporaneo o successivo25, ovvero fosse stato a conoscenza del
difetto ancorché non dichiarato26.
La responsabilità dell’alienante non era fondata sul dato di fatto della
obiettiva esistenza di vizi nel bene, bensì sorgeva soltanto ex reticentia
qualora uno o più dei difetti previsti dall’editto si fossero concretamente
manifestati pur non essendo stati dichiarati al tempo della vendita.
Questo assetto fu voluto dagli edili al fine di reprimere le possibili
frodi dei venaliciarii, cui concedeva facili scappatoie la disciplina di ius
civile, la quale al tempo si limitava a concedere l’actio ex empto al solo
compratore che fosse riuscito a dimostrare il dolo della controparte, ovverosia che questa fosse stata a conoscenza del difetto e avesse scientemente omesso di dichiararlo27.
Con un inciso posteriore28, il testo edittale si spinse oltre nella tutela
delle aspettative dell’emptor, concedendo le medesime azioni previste per
il caso di violazione dell’obbligo di dichiarare i vizi anche nelle diverse
ipotesi di false o inesatte dichiarazioni29 o promesse30 da parte del vendi25 D. 2, 14, 31: «Pacisci contra edictum aedilium omnimodo licet, sive in ipso negotio
venditionis gerendo convenisset sive postea».
26 L’acquisto del bene viziato avvenuto nonostante la conoscenza del difetto da parte
del compratore avrebbe dato luogo a una tacita rinunzia ai diritti spettanti a costui in ragione
della presenza del vizio, sicché il venditore era ammesso ad esercitare la relativa eccezione al
fine di sottrarsi alla responsabilità su di lui gravante.
27 Rendendosi doverosa la denunzia dei vizi, per il venditore non era più possibile
sottrarsi alla responsabilità limitandosi a professare la propria ignoranza riguardo a questi:
«[…] dummodo sciamus venditorem, etiamsi ignoravit ea quae aediles praestari iubent, tamen
teneri debere. Nec est hoc iniquum: potuit enim ea nota habere venditor; neque enim interest
emptoris, cur fallatur, ignorantia venditoris an calliditate» (D. 21. 1. 1. 2).
28 L’estensione della responsabilità del venditore di cui si sta per dire nel testo appare
già compiuta nel periodo tardo-repubblicano: cfr. N. DONADIO, La tutela del compratore tra
actiones aediliciae e actio empti, Milano, 2004, p. 141 nota 1.
29 Il novero delle dichiarazioni costituenti i c.d. dicta è puntigliosamente individuato da
Ulpiano nel passo riportato in D. 21, 1, 19 pr.-2: esso comprende anche le semplici enunciazioni di qualità («quod verbo tenus pronuntiatum est»), a nulla rilevando il fatto che queste
avvengano senza il ricorso a formule sacramentali (sicché danno luogo a dicta anche i nudi
sermones).
30 Nello stesso passo citato alla nota precedente Ulpiano definisce altresì l’ampio perimetro delle promissiones, le quali comprendono così le formali stipulazioni come le pollicitationes (o nudae promissiones): in questo senso è chiaro l’insegnamento di M. KASER, Unlautere
Warenanpreisungen beim römischen Kauf, in Festschrift für Heinrich Demelius, Wien, 1973,
p. 129 s., ove si legge che dicta e promissa abbraccerebbero «alle förmlichen oder formlose
Zusicherungen».
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
9
tore sulle qualità dello schiavo31, purché le stesse non fossero state fatte
ad nudam laudem, ma si fossero tradotte in stipulationes o promissiones32.
Inoltre, lo stesso ambito oggettivo di rilevanza dei difetti fu allargato: infatti, ai fini di tale successiva previsione furono rese rilevanti le promesse
aventi ad oggetto qualsiasi qualità o mancanza di qualità dello schiavo,
sia qualora vertessero su quelle in ordine alle quali l’editto prescriveva i
dicta, sia ove avessero riguardo a caratteristiche diverse ed ulteriori33.
La disciplina voluta dagli edili conobbe altresì una sorta di clausola
generale volta a reprimere eventuali comportamenti diretti a frodare le
disposizioni dell’editto, essendo concessa la relativa tutela nei confronti
di chiunque «adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur»34.
Come si è accennato poc’anzi, le due actiones concesse dagli edili al
compratore a fronte della violazione degli obblighi così imposti al venditore sono state consegnate alla tradizione con i nomi di redhibitoria ed
aestimatoria.
L’esperimento della prima comportava l’imposizione all’attore-compratore, da parte del magistrato, dell’onere35 di redhibere36 lo schiavo o
31 Sulla
responsabilità derivante in capo al venditore sulla base di dicta e promissa in ordine alle qualità del bene cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p.
366 s.; R. ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., p. 315; O. KALTER, Dicta et promissa. Die
Haftung des Verkäufers wegen Zusicherungen für die Beschaffenheit der Kaufsache im klassischen römischen Recht, Utrecht, 1963, p. 40 ss.; É. JAKAB, Praedicere und cavere beim
Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 133 ss.; EAD., Cavere und
Haftung für Sachmängel. Zehn Argumente gegen Berthold Kupisch, in É. JAKAB - W. ERNST,
Kaufen nach römischen Recht. Antikes Erbe in den europäischen Kaufrechtsordnungen, Heidelberg, 2008, p. 134 s.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 26 ss.; L. MANNA,
‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’,
cit., p. 95 ss.; N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit.,
p. 141 ss. Per osservazioni generali sul punto, H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59.
32 Le promesse rilevanti al fine dell’insorgenza della responsabilità del venditore erano,
pertanto, soltanto quelle in forza delle quali nasceva in capo al venditore un praestare oportere secondo il diritto civile: in questo senso già si esprimeva Cuiacio e sul punto è concorde
la moderna dottrina romanistica (per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit.,
p. 26 e 29).
33 Si veda, per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 29.
34 L’esegesi del passo in questione (con il quale si chiude D. 21, 1, 1, 1) ha costituito per
lungo tempo una questione assai controversa: nel testo si aderisce all’ipotesi interpretativa
avanzata da G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 34 ss. e di recente sostenuta anche da L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, cit., p. 139 ss. Per É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf.
Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 138 s. si tratterebbe, invece, di una
mera “clausola di stile”.
35 Cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 47.
36 L’azione, infatti, non prende il nome dal fine che il compratore persegue attraverso il
suo esperimento – ovvero la restituzione del prezzo o la liberazione dall’obbligo di corri-
10
CAPITOLO PRIMO
l’animale, a fronte del cui adempimento il venditore era tenuto alla restituzione del prezzo37. La prestazione che incombeva in capo al compratore aveva carattere indivisibile e non poteva essere sostituita dall’eventuale rimborso del valore in denaro. L’azione, pertanto, era inesperibile
in tutti i casi in cui la redibizione fosse divenuta impossibile per fatto dell’attore, come avveniva qualora il mancipium fosse morto per fatto di costui38, manomesso ovvero su di lui fossero stati costituiti diritti reali a favore di terzi. Al contrario, l’editto considerava avvenuta la redibizione
ove questa fosse divenuta impossibile per fatto non imputabile al compratore, come accadeva ove l’animale o lo schiavo fossero morti per una
circostanza casuale.
sponderlo – ma dal comportamento che costituisce l’onere imposto all’emptor al fine di raggiungerlo. È in tal senso la chiara definizione ulpianea riportata in D. 21, 1, 21, secondo cui
«redhibere est facere, ut rursus habeat venditor quod habuerit, et quia reddendo id fiebat, idcirco
redhibitio est appellata quasi redditio». Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 239. Come correttamente avverte N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza
delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni
delle parti, cit., p. 507, la redibizione «rappresentava […] il mezzo per la realizzazione di un
fine più complesso, cioè il ripristino della situazione precedente alla conclusione del contratto».
37 Secondo l’opinione che sembra godere di maggior credito (v. ancora G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 139 e p. 174 ss.; per una panoramica delle varie tesi si
rinvia a V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 371 ss. e, più di recente,
a L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis
vendundis’, cit., p. 223 ss.), ove il venditore non avesse ottemperato all’obbligo di restituzione
del prezzo pagato, sarebbe stato condannato in simplum (quanti ea res sit) in età classica, e in
duplum nella Compilazione giustinianea. D. 21, 1, 45, che prevede la condanna in duplum,
costituisce, peraltro, uno dei punti più controversi della dottrina dell’actio redhibitoria, sicché
la riferita opinione è stata di recente sottoposta ad un pregevole vaglio critico da L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 1 ss. e particolarmente p. 22 ss. e da N. DONADIO, La
tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 308 ss. Si veda infra nel testo e in nota.
38 In tal caso, infatti, le fonti lo considerano vivo e non redibito (pro vivo habendus); sul
tema della redibizione dello schiavo defunto, per fatto del compratore ovvero per causa a lui
non imputabile, v. H. HONSELL, Mortuus redhibetur, in Festschrift für Peter Schwerdtner zum
65. Geburtstag, München, 2003, p. 575 ss.; P. MADER, Mortuus redhibetur? Eine Untersuchung
zum aedilizischen Sachmängelrecht, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS),
1984, p. 206 ss.; R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian
Tradition, cit., p. 330 ss.; L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 39 ss., nonché l’ampia trattazione di R. LEDERLE, Mortuus redhibetur. Die Rückabwicklung nach Wandlung im
römischen Recht, Berlin, 1983, passim. Di recente, nella nostra letteratura, si veda l’interessante
rassegna storica sull’impossibilità della redibizione e sui principi accolti in proposito dai maggiori codici europei presente in E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 101 ss.
e EAD., «Sinallagma rovesciato» e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2008, p. 95 ss. Sul perimento fortuito
nella vendita di cosa viziata nel vigente diritto italiano può consultarsi R. OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata, Padova, 2004, passim.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
11
La restituzione del mancipium comportava anche l’onere di restituire «quod venditioni accessit»39, ovvero ciò che si fosse acquistato quale
cosa accessoria dello schiavo40, gli acquisti in natura o in danaro effettuati
dal medesimo nonché le relative azioni41.
L’onere di restituzione del bene e degli accessori non costituiva,
però, l’unica prestazione incombente in capo al compratore a seguito
dell’esercizio dell’actio redhibitoria in quanto costui era altresì tenuto ad
una prestazione pecuniaria in favore del venditore ove post venditionem
il bene avesse subito deterioramenti a lui imputabili42.
Il giudizio redibitorio comportava dapprima l’invito all’attore ad
adempiere alle prestazioni ora menzionate e, a seguito dell’effettiva esecuzione delle stesse, l’esortazione al venditore convenuto alla restituzione
del prezzo e degli accessori43, ove il medesimo fosse già stato pagato, ovvero alla liberazione dell’attore44, nel caso in cui non fosse stato ancora
corrisposto45. Inoltre, egli doveva tenere indenne il compratore dalle
spese necessarie per la cura dell’oggetto acquistato e da quelle non necessarie ma da lui stesso autorizzate46, purché sostenute dopo la litis con39 D. 21, 1, 23, 1: «Iubent aediles restitui et quod venditioni accessit et si quas accessiones
ipse praestiterit, ut uterque resoluta emptione nihil amplius consequatur, quam non haberet, si
venditio facta non esset». Anche con riferimento a tali accessori, l’impossibilità di restituzione
derivante da fatto del compratore comportava l’impossibilità della condanna del venditore.
40 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 147 porta l’esempio del peculio in
relazione allo schiavo che ne sia dotato ovvero del bambino rispetto all’ancella madre.
41 Cfr. A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 127.
42 D. 21, 1, 23, pr.: «Cum autem redhibitio fit, si deterius mancipium sive animo sive corpore ab emptore factum est, praestabit emptor venditori, ut puta si stupratum sit aut saevitia
emptoris fugitivum esse coeperit: et ideo, inquit Pomponius, ut ex quacumque causa deterius
factum sit, id arbitrio iudicis aestimetur et venditori praestetur. Quod si sine iudice homo redhibitus sit, reliqua autem quae diximus nolit emptor reddere, sufficiat venditori ex vendito actio».
43 Come bene osserva N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni
nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p.
506, «se il convenuto […] restituiva il pretium con gli accessori o liberava la controparte dal
relativo obbligo si realizzava una situazione assimilabile sotto il profilo degli effetti finali a
quella che si determinava, su un diverso piano, per contrarius consensus delle parti».
44 Secondo G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 152 tale liberazione non
richiedeva una forma particolare, bensì poteva avvenire mediante qualsiasi modalità di remissione contemplata dal diritto positivo.
45 D. 21, 1, 25, 9: «Praeterea in edicto adicitur sic: “et quanta pecunia pro eo homine soluta accessionisve nomine data erit, non reddetur: cuiusve pecuniae quis eo nomine obligatus
erit, non liberabitur”».
46 D. 21, 1, 27: «Debet autem recipere pecuniam, quam dedit pro eo homine, vel si quid
accessionis nomine. Dari autem non id solum accipiemus, quod numeratur venditori, ut puta
pretium et usuras eius, sed et si quid emptionis causa erogatum est. Hoc autem ita demum deducitur, si ex voluntate venditoris datur: ceterum si quid sua sponte datum esse proponatur, non
12
CAPITOLO PRIMO
testatio, mentre le spese per gli alimenti allo schiavo non costituivano oggetto di un obbligo restitutorio in quanto dovevano ritenersi compensate
dall’utilità procurata dal mancipium nel periodo di tempo trascorso
presso il compratore47.
Ove il venditore, convenuto nel giudizio redibitorio, non avesse ottemperato alle obbligazioni restitutorie su di lui gravanti, l’opinione maggioritaria ritiene che il giudice lo avrebbe condannato nel quanti ea res
erit, come confermato da numerosi passi delle fonti48. Nella Compilazione, peraltro, si affermò la diversa regola per cui il resistente temerario
avrebbe dovuto essere condannato a pagare il doppio del prezzo e degli
accessori, mentre la condanna sarebbe rimasta in simplum in ordine agli
interessi e al risarcimento degli eventuali danni provocati dalla cosa al
compratore49.
L’azione redibitoria poteva essere esperita soltanto entro sei mesi,
decorrenti non già dalla scoperta del vizio50 bensì dalla consegna, ma
computando soltanto i mesi utili, ovvero quelli durante i quali il compratore avesse avuto la possibilità di agire51.
imputabitur: neque enim debet quod quis suo arbitrio dedit a venditore exigere. Quid ergo, si
forte vectigalis nomine datum est, quod emptorem forte sequeretur? Dicemus hoc quoque
restituendum: indemnis enim emptor debet discedere». Cfr. R. ZIMMERMANN, The Law of
Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p. 317; G. IMPALLOMENI,
L’editto degli edili curuli, cit., p. 153.
47 D. 21, 1, 30, 1: «Quas impensas necessario in curandum servum post litem contestatam
emptor fecerit, imputabit: praecedentes impensas nominatim comprehendendas pedius: sed cibaria servo data non esse imputanda aristo, nam nec ab ipso exigi, quod in ministerio eius fuit».
Gli interpreti (per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 153) negano che il
compratore potesse legittimamente richiedere al venditore la restituzione delle spese sostenute per gli alimenti somministrati allo schiavo in quanto queste si sarebbero compensate con
l’utilità che lo schiavo procurava al compratore nelle more fra l’acquisto e la redibizione,
mentre le fonti paiono più decisamente fondare la compensazione sul mero fatto dell’essere
lo schiavo in ministerio eius (sc. emptoris), sicché probabilmente deve concludersi nel senso
che la restituzione delle spese per gli alimenti non fosse mai dovuta, neppure laddove il mancipium non si fosse rivelato di alcuna utilità per il compratore, anche a cagione dei vizi che lo
attingevano.
48 Cfr. D. 21, 1, 23, 8 (nec amplius quam pretio condemnabitur); D. 21, 1, 31; ma anche,
fuori sede, D. 5, 3, 20, 19, ove si legge: «[…] si res sit redhibita, hic utique et hereditaria est et
pretium non veniet quod refusum est». Sul quantum della condanna e sulla classicità di D. 21,
1, 45 (ove la condanna è stabilita, come si dirà nel testo, in duplum), cfr. É. JAKAB, Praedicere
und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 232.
49 Sulla vicenda dell’interpretazione di D. 21, 1, 45 si rimanda senz’altro ai testi citati
alla nota 37.
50 In questo senso, invece, R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente
romaine, cit., p. 61 s., sulla scia di Cuiacio.
51 Non si computava, pertanto, il tempo durante il quale il compratore fosse stato assente dal suo domicilium ovvero absens reipublicae: L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria,
cit., p. 43 nota 9 e V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 369.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
2.
13
(Segue) L’actio quo minoris propter vitium o aestimatoria
«Aediles aiunt52: “qui iumenta vendunt, palam recte dicunto, quid in
quoque eorum morbi vitiique sit, utique optime ornata vendendi causa fuerint, ita emptoribus tradentur. Si quid ita factum non erit, de ornamentis
restituendis iumentisve ornamentorum nomine redhibendis in diebus sexaginta, morbi autem vitiive causa inemptis faciendis in sex mensibus, vel
quo minoris cum venirent fuerint, in anno iudicium dabimus”. […]». Così
D. 21, 1, 38 pr. riporta la formula dell’editto perpetuo giulianeo, ove gli
edili concedevano al compratore di giumenti affetti da vizi non soltanto
la redibitoria, ma pure un’azione quo minoris (propter vitium), esperibile
entro un anno53.
La stessa azione, progenitrice dell’azione di riduzione del prezzo
oggi vigente nel nostro e in molti ordinamenti europei, non è, invece,
contemplata nella clausola dell’editto de manicipiis vendundis54, ma di
essa si fa parola in taluni frammenti del medesimo, ove è indifferentemente appellata come azione quanto minoris55, quanti minoris56 ovvero
aestimatoria57, tanto che lo stesso Ulpiano (D. 21, 1, 31, 1658) la considerava senz’altro applicabile anche con riferimento alle vendite di schiavi.
52 Il
passo del Digesto riportato (D. 21, 1, 38 pr.) costituisce l’introduzione del secondo
libro del commentario ulpianeo all’editto degli edili: ciò spiega la presenza della consueta formula “aediles aiunt”.
53 V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 380 s.; É. JAKAB, Diebische sklaven, marode Balken, cit., p. 34 s.; H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen
zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59. Anche
in questo caso il computo del termine annuale entro il quale l’azione poteva essere esperita
era condotto con riferimento all’anno utile, come chiarito alla nota 51.
54 Riprodotta in D. 21, 1, 1, 1: «Aiunt aediles: “qui mancipia vendunt certiores faciant
emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto. Quodsi mancipium adversus
ea venisset, sive adversus quod dictum promissumve fuerit cum veniret, fuisset, quod eius praestari oportere dicetur: emptori omnibusque ad quos ea res pertinet iudicium dabimus, ut id mancipium redhibeatur. Si quid autem post venditionem traditionemque deterius emptoris opera familiae procuratorisve eius factum erit, sive quid ex eo post venditionem natum adquisitum fuerit, et si quid aliud in venditione ei accesserit, sive quid ex ea re fructus pervenerit ad emptorem,
ut ea omnia restituat. Item si quas accessiones ipse praestiterit, ut recipiat. Item si quod mancipium capitalem fraudem admiserit, mortis consciendae sibi causa quid fecerit, inve harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit, ea omnia in venditione pronuntianto: ex his enim
causis iudicium dabimus. Hoc amplius si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur,
iudicium dabimus”».
55 Così in D. 21, 1, 19, 6; D. 21, 1, 31, 10-16; D. 21, 1, 43, 6; C. 4, 58, 2.
56 Si vedano D. 21, 1, 18 pr.; D. 21, 1, 31, 5; D. 21, 1, 38, 13; D. 21, 1, 47 pr.
57 Oltre al già citato D. 21, 1, 18 pr., compare in D. 21, 1, 43, 6; D. 21, 1, 44, 2 e D. 21,
1, 48, 2.
58 D. 21, 1, 31, 16: «Si quis egerit quanto minoris propter servi fugam, deinde agat propter morbum, quanti fieri condemnatio debeat? Et quidem saepius agi posse quanto minoris du-
14
CAPITOLO PRIMO
Il silenzio serbato dalla clausola dell’editto più antico circa l’azione
oggi comunemente conosciuta come estimatoria ha costituito fonte di
gravi dubbi e perplessità circa la classicità dell’azione, dubbi i quali sono
accresciuti dalla molteplicità di nomi utilizzati per riferirsi ad essa, dato
che nel diritto romano classico l’esatta indicazione dell’azione che veniva
proposta costituiva elemento cardine del processo59. Le riferite perplessità hanno portato la scienza romanistica a interrogarsi circa l’effettiva
origine e il periodo d’introduzione dell’azione, addirittura inducendo il
Monier60 a ritenere che la medesima fosse una creazione dei compilatori.
Su questo aspetto, peraltro, conviene intrattenersi brevemente in quanto
da esso si potranno trarre importanti indicazioni in ordine alla natura
dell’azione in diritto romano, le quali potranno essere utilmente messe a
partito nella comprensione dell’evoluzione storica dell’istituto.
Ad avviso del Bechmann61 l’azione in parola sarebbe stata introdotta
quale azione in factum esperibile soltanto nel contesto delle vendite di
giumenti, per poi venire applicata analogicamente alle vendite di schiavi,
una volta entrata nell’uso62. In un ordine di idee non molto dissimile, il
Vincent63 ha sostenuto che soltanto l’editto de iumentis avrebbe conosciuto l’azione estimatoria intesa quale azione di arricchimento, volta a
riequilibrare le prestazioni delle parti in ragione della diminuita utilità
della cosa derivante dalla presenza del vizio, mentre la rubrica sulle vendite di schiavi avrebbe concesso soltanto un’azione risarcitoria, l’actio
quanti emptoris intersit, diretta ad imporre al venditore una stipulazione
di adeguamento del contratto. Altri64, ancora, ha avanzato l’ipotesi che i
bium non est, sed ait Iulianus id agendum esse, ne lucrum emptor faciat et bis eiusdem rei
aestimationem consequatur».
59 In questo senso V. ARANGIO RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 382.
60 R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 170 ss. La
tesi del Monier non è rimasta senza seguito: si veda, ad esempio, F. SCHULZ, Classical roman
law, Oxford 1951, p. 537 ss., il quale pure considera la quanti minoris un’azione introdotta
da Giustiniano. L’opinione è stata vigorosamente contrastata da A. PEZZANA, Classicità dell’actio aestimatoria, in Arch. giur., CXL, 1951, p. 53 ss.; F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS),
1952, p. 234 ss.; A. GIFFARD, L’action édilicienne ‘quanti minoris’ (Dig. 21, 1, 38, pr.; 13, 14),
in Rev. Hist. de Droit français et étranger, 1931, p. 682 ss.
61 A. BECHMANN, Der kauf nach gemeinem Recht. 1. Geschichte des Kaufs im romischen
recht, Leipzig, 1876, p. 410 ss.
62 Secondo il Bechmann, questa tesi spiegherebbe l’assenza della previsione espressa
dell’azione estimatoria nella clausola della rubrica più antica (D. 21, 1, 1, 1), in quanto essa
non era concessa allorché l’editto de mancipiis fu emanato, e al contempo darebbe ragione
dell’applicazione della stessa in varie parti del medesimo editto, ove si deve presumere fu aggiunta a cagione della sua intervenuta applicazione successiva in analogia con quanto concesso dall’editto de iumentis.
63 Cfr. H. VINCENT, Le droit des édiles. Études historique et économique des prescriptions
édilicennes sur la vente et la garantie, Paris, 1955, p. 199 ss. e 210 ss.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
15
campi di applicazione delle azioni edilizie nell’editto più risalente non fossero coincidenti, in quanto l’actio redhibitoria avrebbe potuto essere esperita soltanto laddove il mancipium fosse affetto da morbus – da intendersi
quale vizio di particolare gravità – mentre l’actio quanti minoris avrebbe
potuto applicarsi sia per il caso più grave di morbus sia per l’eventualità di
meri vitia65.
Invero, malgrado le indubbie perplessità ingenerate dalla presenza
di plurime denominazioni dell’azione e dalla previsione espressa della
stessa soltanto nel contesto della clausola dell’editto posteriore, le ricostruzioni appena accennate sono apparse non fondate agli studiosi moderni66. Da un canto, infatti, la classicità dell’actio aestimatoria è confermata proprio dalla doppia denominazione, giacché appare assai improbabile che i compilatori abbiano inteso introdurre una nuova azione e le
abbiano al contempo conferito denominazioni differenti67: ponendo attenzione al fatto che in un certo numero di luoghi al nome aestimatoria
viene fatta seguire la locuzione «id est quanti minoris», può trarsi un argomento per suffragare la tesi della classicità del rimedio il quale, nato in
età classica68 con il nome di actio aestimatoria – in quanto implicava la
64 Vedi O. KARLOWA, Römische
65 Si noti, incidentalmente, che
Rechtsgeschichte, II, Leipzig, 1901, p. 1291 ss.
il diritto greco conosceva un’azione di natura simile alla
redibitoria, la quale era esperibile soltanto propter morbus (sul punto v. F. PRINGSHEIM, The
greek law of sale, Weimar, 1950, p. 489 s.), sicché la tesi del Karlowa condurrebbe a ritenere
che l’assetto di fondo della redibitoria nel diritto romano classico rispecchiasse quello del diritto greco. Tale ordinamento, però, non conosceva affatto un’azione simile all’aestimatoria:
per tutti, D. MACDOWELL, The law in classical Athens, London, 1978, p. 139, ove si riferisce
che, nel caso di compravendita di uno schiavo affetto da vizi non dichiarati dal venditore, il
compratore poteva soltanto «[to] return the slave and demand his money back».
66 Si veda, infatti, la confutazione delle congetture degli interpreti citati convincentemente operata da G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 195 s. e 211 ss. Più di recente, cfr. altresì N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio
venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 ss., sulla
cui opinione si dirà poco oltre nel testo.
67 In questo stesso senso, F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 243 s., il quale ritiene assai improbabile l’accadimento in quanto non vi è traccia,
nella Compilazione, di un altro caso in cui un istituto di introduzione giustinianea abbia ricevuto una duplice denominazione; similmente, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto
romano, cit., p. 384.
68 La classicità dell’azione è confermata dall’Aulo Gellio, il quale nelle Noctes Atticae,
4, 2, 5, riferendo l’opinione di Celio Sabino sui rapporti fra morbus e vitium, fa riferimento
ad un giudizio in cui è richiesto il calcolo della diminuzione di valore di uno schiavo (quanto
ob id vitium minoris fuerit), giudizio il quale non può che essere quello estimatorio. Se ne
deve concludere che, almeno all’epoca del principato di Adriano e Antonino Pio, l’azione era
conosciuta e applicata. Tale testo, assai noto, non è certo l’unico a suffragare la conclusione
qui propugnata. Si vedano, infatti, nello stesso senso, C. 4, 58, 2 (cum proponas servum, quem
pridem comparasti, post anni tempus fugisse, qua ratione eo nomine cum venditore eiusdem congredi quaeras, non possum animadvertere: etenim redhibitoriam actionem sex mensum tempori-
16
CAPITOLO PRIMO
necessità dell’aestimatio69 –, è stato accolto nella Compilazione, ove se
n’è in parte mutato il nome. D’altro canto, inoltre, l’idea secondo cui
l’azione quanti minoris sarebbe stata introdotta per la prima volta nell’ordinamento romano attraverso il più recente editto de iumentis per poi
essere estesa analogicamente ai casi regolati dall’editto sugli schiavi è
smentita dal tenore letterale di quest’ultimo70, il quale sembra bensì ignorare l’azione nella clausola di apertura, ma fa ad essa espresso riferimento
nella terza rubrica, e vi si riferisce senza porre alcuna distinzione fra morbus e vitium, come invece preteso dal Karlowa. Si può, dunque, concordare con l’opinione secondo cui le testimonianze riguardanti l’azione
estimatoria suffragano l’idea della sua emersione a livello della giurisdizione edilizia attorno alla fine dell’età repubblicana, ovvero nello stesso
periodo a cui si ritiene risalga l’estensione dell’azione redibitoria contro i
dicta et promissa del venditore71.
Verificata la classicità dell’azione e dimostratane l’applicazione anche alle vendite di mancipia72, la nostra attenzione deve volgersi a due
questioni tra loro fortemente legate: da un lato, la ragione dell’assenza
della previsione espressa della quanti minoris nella clausola dell’editto sugli schiavi e, dall’altro lato, l’origine di detta azione. A quest’ultimo proposito, merita senz’altro adesione la ricostruzione proposta dall’Impallomeni73, il quale – sulla scia del Pringsheim74 – ravvisa nell’azione de qua
bus vel quanto minoris anno concludi manifesti iuris est), proveniente dalla Costituzione di
Gordiano risalente all’anno 239 d.C., nonché D. 21, 1, 31, 5 e D. 21, 1, 31, 10 ove si analizzano i problemi derivanti dal concorso di azione redibitoria ed estimatoria ove al compratore
o al venditore succedano più eredi (su questi ultimi testi cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der
aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 282 ss.).
69 Come si preciserà meglio infra, l’azione estimatoria comportava una stima dell’incidenza del vizio sul valore del bene in relazione al prezzo convenuto dalle parti, mentre la redibitoria si sostanziava in una mera condemnatio parametrata rigidamente al prezzo pagato o
convenuto.
70 In questo senso v., infatti, O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner
Wiederherstellung, cit., p. 561 nota 4, sulla base del tenore letterale di D. 21. 1. 31. 16.
71 N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 s.
72 Così anche, nella letteratura germanica, pur con qualche diversità di accenti, H.
HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59; ID., Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien
zum römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 73; É. JAKAB, Praedicere und cavere beim
Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 130 (la quale, pur sostenendo la tesi qui accolta, ritiene non possa raggiungersi alcuna ragionevole certezza circa
l’esatta età di introduzione dell’azione in discorso); J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in
rechtshistorischer Sicht, cit., p. 68 ss.
73 Vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 197 ss.
74 Cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 260 ss. Il
Pringsheim, però, giunge alla non accettabile conclusione secondo cui l’aestimatoria sarebbe
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
17
un’azione di arricchimento, sorta quale evoluzione della redibitoria e
concessa anche allorché quest’ultima non fosse più esperibile75.
Pertanto, l’aestimatoria costituirebbe una trasformazione della redhibitoria dovuta alla considerazione che spesso nella pratica degli affari il
compratore potrebbe avere interesse a trattenere il bene acquistato, nonostante il vizio che lo colpisce, a fronte di una diminuzione del prezzo
che compensi la minore utilità o il minor valore del bene. Gli edili, in una
prima fase, avrebbero concesso il rimedio caso per caso, invitando il giudice ad emettere una condanna pari all’aestimatio vitii nei confronti del
venditore, e successivamente lo avrebbero accolto nell’editto, rendendolo non più eccezionale e accordandolo con una speciale disposizione
seguita dalla formula processuale76.
Una volta individualizzata, l’azione estimatoria è divenuta in tutto
alternativa alla redibitoria77, almeno per il periodo di sei mesi in cui le
due azioni concorrevano, mentre costituiva l’unico mezzo di tutela disponibile per il compratore dopo lo spirare del termine semestrale. Nella
concezione romana, la quale era propensa a ritenere che il traffico mercantile non tollerasse garanzie eccessivamente protratte nel tempo, la
concessione della quanti minoris costituiva un’eccezione accettabile proprio in quanto non era diretta a porre nel nulla lo scambio dopo un periodo di tempo ormai cospicuo, bensì soltanto a rimediare all’ingiusto arricchimento del venditore.
Invero, le fonti suffragano l’ipotesi che l’azione estimatoria sia stata
concessa dagli edili approssimativamente nel medesimo periodo in cui si
fece strada l’applicazione del rimedio redibitorio nei confronti dei falsi
stata fin dall’inizio prevista dalla clausola dell’editto de mancipiis vendundis insieme alla redhibitoria e non con un’apposita, successiva disposizione dello stesso editto (nello stesso senso
O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, cit., p. 561). Tale
conclusione è smentita dal fatto che il iudicium dabimus della clausola dell’editto (D. 21, 1, 1,
1) è riferito letteralmente alla sola redibitoria (contrariamente a quello contenuto in D. 21, 1,
38 pr., relativo all’editto sui giumenti). Non infirma quanto sostenuto D. 21, 1, 23, 5 (haec actiones quae ex hoc edicto oriuntur etiam adversus heredes omnes competunt) se solo si considera che l’edictum cui si fa riferimento non è – come vuole il Pringsheim – la sola clausola
dell’editto (cioè D., 21, 1, 1, 1), ma quest’ultimo nella sua interezza. Peraltro, questa posizione del Pringsheim contrasta con il riconoscimento, fatto dallo stesso illustre Autore, per
cui in un primo momento gli edili avrebbero concesso la sola redibitoria: si vedano, sul
punto, le perplessità mostrate da V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit.,
p. 391.
75 Si ricordi, infatti, che l’actio redhibitoria poteva essere esperita soltanto entro sei
mesi, mentre il termine per l’actio quanti minoris era di un anno (v. supra nel testo).
76 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 198 s.
77 Il iudicium dabimus di D. 21, 1, 38 pr., relativo all’editto de iumentis, vuole appunto
suggerire l’alternatività delle due azioni. In tal senso, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili
curuli, cit., p. 199.
18
CAPITOLO PRIMO
dicta e promissa del venditore, attorno alla fine del I secolo a.C. Sia l’emersione del nuovo mezzo di tutela, sia l’ampliamento di quello più risalente oltre il primigenio ambito applicativo avvennero, pertanto, allorché
la compravendita aveva ormai abbandonato le forme solenni delle epoche più remote per strutturarsi definitivamente quale contratto consensuale ad effetti obbligatori. Ciò spiega perché la clausola dell’editto più
antico non faccia menzione dell’azione volta alla riduzione del prezzo,
giacché questa si è imposta in una fase successiva rispetto alle applicazioni più risalenti del provvedimento riguardante i mancipia.
Com’è stato acutamente messo in luce da una ricerca recente78, non
è casuale che l’affermarsi dell’actio aestimatoria sia avvenuto contemporaneamente al mutare della natura della emptio venditio, giacché nella
«più giovane azione edilizia si prende in considerazione la mancata realizzazione dell’assetto di interessi sottostante al contratto e […] assume
rilevanza l’esigenza di garantire una certa proporzionalità, sul piano economico, tra le prestazioni principali dei contraenti»79. Allorché la compravendita viene definitivamente a strutturarsi quale contratto consensuale, in cui le forme solenni cedono il passo all’espressione della volontà
delle parti, proprio quest’ultima acquista un rilievo decisivo, riverberandosi sulle stesse pretese azionabili dal compratore, il quale può esigere
che il processo edilizio gli garantisca “un giusto equilibrio” tra la propria
prestazione pecuniaria e quella della controparte, in relazione al valore
della cosa oggetto del contratto.
Proprio in quanto funzionale alla conservazione di tale equilibrio fra
le prestazioni delle parti, il fulcro dell’actio aestimatoria è costituito dalla
quantificazione dell’incidenza del vizio, la c.d. aestimatio vitii (o rei),
sulle cui modalità di calcolo i giuristi romani hanno avuto nel tempo un
atteggiamento che appare prima facie non sempre coerente80, ma che vedremo poter essere spiegato sulla base dei rapporti fra azione edilizia e
78 N.
DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 ss.
79 Le parole fra caporali sono tratte da N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza
delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni
delle parti, cit., p. 519.
80 Tale apparente incoerenza induce U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 27 ad affermare l’inesistenza di una regola precisa per la Minderungsberechnung in diritto romano.
Nella letteratura classica v. A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs
nach gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 163 ss. e G. HANAUSEK, Die Haftung des Verkäufers
für die Beschaffenheit der Waare nach römischem und gemeinem Recht mit besonderer Berücksichtigung des Handelsrechts, I, Berlin, 1883, p. 128. Come si vedrà a breve nel testo, l’apparente antinomia fra i testi della Compilazione può essere risolta sulla base dell’analisi dell’evoluzione storica dell’istituto.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
19
azione civile e del progressivo affermarsi dell’importanza della volontà
contrattuale delle parti.
Nella maggioranza dei testi confluiti nella Compilazione la stima del
vizio è effettuata secondo un criterio oggettivo e assoluto, parametrandola al deprezzamento subito dalla res vendita in conseguenza della presenza del vizio81, senza che venga in considerazione il prezzo convenuto
dalle parti82. La concreta liquidazione della somma di denaro che il venditore doveva restituire non soltanto era oggettivamente parametrata alla
diminuzione del valore dello schiavo, senza considerazione del prezzo
pagato dal compratore, ma – secondo un’opinione accreditata nella dottrina germanica83 – addirittura aveva subito un processo di standardizzazione, in esito al quale a ciascuna qualità o mancanza di qualità era ricollegata un’unità di valore, sicché la quantificazione della riduzione avveniva in maniera automatica attraverso l’applicazione di tali standards84.
Peraltro, un’attenta lettura delle fonti rivela come il criterio oggettivo “assoluto” costituisca bensì la sicura base di partenza per l’aestimatio85, ma a esso i giuristi romani abbiano affiancato un temperamento
volto a garantire che il compratore non si arricchisca indebitamente ai
danni del venditore per effetto dell’esperimento dell’azione e, in particolare, che questa non comporti la condanna di quest’ultimo a una presta81 Si vedano D. 21, 1, 31, 16 (Si quis egerit quanto minoris propter servi fugam, deinde
agat propter morbum, quanti fieri condemnatio debeat? Et quidem saepius agi posse quanto minoris dubium non est, sed ait Iulianus id agendum esse, ne lucrum emptor faciat et bis eiusdem
rei aestimationem consequatur) e D. 21, 2, 32, 1 (Ergo et illud procedit, quod iulianus libro
quinto decimo digestorum scribit. Egit, inquit, quanti minoris propter fugam servi, deinde agit
propter morbum: id agendum est, inquit, ne lucrum faciat emptor et bis eiusdem vitii aestimationem consequatur. Fingamus emptum decem, minoris autem empturum fuisse duobus, si tantum fugitivum esse scisset emptor: haec consecutum propter fugam mox comperisse, quod non
esset sanus: similiter duobus minoris empturum fuisse, si de morbo non ignorasset: rursus consequi debebit duo: nam et si de utroque simul egisset, quattuor esset consecuturus, quia eum
forte, qui neque sanus et fugitivus esset, sex tantum esset empturus. Secundum haec saepius ex
stipulatu agi poterit: neque enim ex una stipulatione, sed ex pluribus agitur). Sul punto, v. le
osservazioni di H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 73 ss. e 86 ss. e U.
VON LÜBTOW, Zur Frage der Sachmängelhaftung im römischen Recht, in Studi in onore di Ugo
Enrico Paoli, Firenze, 1956, p. 494.
82 Per questo motivo, ad avviso di M. KASER, Das römische Privatrecht, I, cit., p. 558 s.,
l’azione estimatoria concessa dagli edili non darebbe luogo a una vera e propria riduzione del
prezzo pagato quanto piuttosto a un rimborso parametrato alla diminuzione del valore del
bene in ragione del difetto.
83 Cfr. W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 125 e É. JAKAB, Praedicere und
cavere, cit., p. 10.
84 Rimaneva, però, salva la possibilità di una correzione della valutazione ove l’uso delle
unità di valore conducesse ad esiti aberranti, secondo quanto si sta per dire nel testo.
85 Nello stesso senso, v. C. BALDUS, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz
bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht, cit., p. 44.
20
CAPITOLO PRIMO
zione pari al prezzo convenuto, giacché ciò lo colpirebbe non soltanto
nell’ingiustificato arricchimento ottenuto attraverso la vendita di una res
viziata, ma pure nella sua possibilità di riappropriarsi di tale res, così producendosi conseguenze più gravi di quelle della stessa azione redibitoria86.
Pertanto, sebbene la regola generale sia nel senso che la condanna
debba essere pari alla diminuzione del valore di mercato della res, il criterio oggettivo viene mitigato al fine di evitare che esso possa condurre a
richiedere al venditore il pagamento in favore del compratore di una
somma pari o superiore al prezzo di vendita giacché, data la natura di
azione di arricchimento della quanti minoris, essa non può tradursi in
una condanna in misura tale da azzerare il prezzo dovuto, in quanto questo rappresenta il limite dell’arricchimento del venditore. Tale assetto
trova una chiara manifestazione anche nella previsione inerente al plurimo esperimento dell’azione per differenti vizi del bene: in tal caso, infatti, l’editto ammette bensì il ripetuto esercizio dell’actio aestimatoria,
ma sancisce che la somma delle condanne inflitte all’alienante non possa
superare la misura del prezzo convenuto, come previsto nei citati D. 21,
1, 31, 16 e D. 21, 2, 32, 1.
La Compilazione offre, però, l’esempio di almeno un passo in cui
l’aestimatio vitii è condotta prescindendo totalmente dal criterio oggettivo “assoluto”, sembrando risolversi in un’indagine soggettiva volta a
quantificare la somma da restituirsi da parte del venditore nella misura
della differenza fra il prezzo convenuto e quello che il compratore sarebbe stato disposto a pagare ove avesse avuto contezza dell’esistenza del
vizio. In particolare, in D. 19, 1, 13, pr.-187 la condanna è stabilita nella
86 Cfr. D. 21, 1, 43, 6, ove si dichiara esperibile l’azione estimatoria anche laddove la
stessa comporti la condanna del venditore al pagamento di una somma pari al prezzo di vendita dello schiavo, ma si precisa altresì che «reddito mancipio pretium recipiatur»: su questo
passo cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 290 ss. e G.
IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 204 s.
87 D. 19, 1, 13, pr.-1 adotta chiaramente un criterio di calcolo soggettivo, riferito a
quanto il compratore avrebbe pagato se fosse stato a conoscenza del vizio: «Iulianus libro
quinto decimo inter eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans
fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse
scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione
emptor traxerit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem,
sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum. Item qui furem vendidit aut fugitivum, si quidem sciens, praestare debebit, quanti emptoris interfuit non decipi: si vero ignorans vendiderit, circa fugitivum quidem tenetur, quanti minoris empturus esset, si eum esse fugitivum scisset, circa furem non tenetur: differentiae ratio
est, quod fugitivum quidem habere non licet et quasi evictionis nomine tenetur venditor, furem
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
21
minor somma che l’emptor avrebbe pagato ove fosse stato al corrente del
difetto, ritenuta normalmente pari al rapporto fra il valore che la res
avrebbe avuto ove non viziata e quello effettivo moltiplicato per il prezzo
convenuto88: in tal modo la diminuzione del prezzo viene a coincidere
con l’incidenza che il vizio possiede sul valore che le parti hanno attribuito alla cosa in sede di conclusione dello scambio.
Tale passo, però, come suggerito anche dalla sedes materiae, pare riferirsi alla riduzione del prezzo conseguibile non già attraverso l’esperimento dell’azione edilizia, bensì a mezzo dell’azione contrattuale ex
empto, la quale – in quanto azione di buona fede – era fortemente legata
al regolamento di interessi che le parti avevano inteso raggiungere nella
conventio sicché in essa trovava tutela proprio – potremmo dire – l’interesse del compratore alla conservazione della “proporzione” fra le prestazioni raggiunta nel contratto. Sull’argomento torneremo infra, nei paragrafi seguenti; per il momento, appare sufficiente notare come gli edili
imponessero invece una parametrazione del quantum della riduzione che
prescindeva dal prezzo pattuito.
Un’apparente antinomia nelle fonti si ritrova altresì nell’individuazione del tempo con riferimento al quale doveva essere effettuata la stima
del vizio al fine di quantificare la condanna del venditore. Infatti, sebbene nel Digesto la maggioranza dei passi89 faccia riferimento al momento della litis contestatio, se ne rinvengono altri, come la clausola dell’editto sui giumenti (D. 21, 1, 38 pr.) in cui la stima è connessa a quo miautem habere possumus». Il passo, contenuto nella sedes materiae dedicata all’actio empti, secondo G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 251 ss., doveva in origine essere riferito alle azioni edilizie. Sembra invece più corretto ritenere che la riduzione del prezzo qui
contemplata sia quella ottenibile a mezzo dell’azione contrattuale: cfr. infra nel testo e, pur
con diversità d’accenti, N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni
nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit.,
p. 462 nota 9.
88 In questo senso H. VINCENT, Le droit des édiles. Études historique et économique des
prescriptions édilicennes sur la vente et la garantie, cit., p. 266 ss. e G. IMPALLOMENI, L’editto
degli edili curuli, cit., p. 203 (il quale però si esprime in senso dubitativo), sulla scia di A.
HELLWEG, Über die Berechnung der Presiminderung bei der Actio quanti minoris, in Archiv für
die civilistiche Praxis (AcP), 1876, p. 35 ss.
89 Si vedano, ad esempio, D. 21, 1, 31, 5 (quanti minoris is homo sit) e D. 21, 1, 38, 13
(si forte iugum mularum sit, quarum altera vitiosa est, non ex pretio tantum vitiosae, sed ex
utriusque erit componendum, quanti minoris sit). Probabilmente nello stesso senso il già citato
D. 21, 1, 43, 6, ove però si fa riferimento all’esperimento della quanti minoris il quale, però,
sfoci nella redibitoria in quanto la stima del vizio supera il prezzo: «Aliquando etiam redhiberi
mancipium debebit, licet aestimatoria, id est quanto minoris, agamus: nam si adeo nullius sit
pretii, ut ne expediat quidem tale mancipium domini habere, veluti si furiosum aut lunaticum
sit, licet aestimatoria actum fuerit, officio tamen iudicis continebitur, ut reddito mancipio pretium recipiatur».
22
CAPITOLO PRIMO
noris cum venirent (sc. iumenta) fuerint, sicché parrebbe darsi rilevanza al
momento della conclusione della vendita90, mentre Celio Sabino propendeva per il riferimento al tempo della condanna del convenuto, giacché
solo in tale istante avrebbe potuto essere determinato l’effettivo arricchimento del venditore91.
Peraltro, il contrasto delle fonti sembra essere indice di un progressivo affinamento della quanti minoris: in principio la magistratura edile,
in conformità alla natura di arricchimento dell’azione in parola, doveva
aver riconnesso la valutazione del vizio al tempo della conclusione del
contratto, per poi progressivamente affermare la diversa regola per cui
l’aestimatio vitii aveva quale riferimento temporale la proposizione dell’azione, regola che poi è stata recepita nel diritto giustinianeo92.
3.
L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema edilizio
Come già si è ricordato in apertura del presente capitolo, alle importanti acquisizioni del diritto onorario appena descritte, per un certo
periodo di tempo, ha fatto da contraltare una tendenziale indifferenza
dello ius civile rispetto all’esigenza di tutelare gli acquirenti di cose che si
rivelavano affette da vizi occulti o mancanti di determinate qualità93: la
tutela del compratore, infatti, era fondamentalmente affidata a strumenti
90 Cfr. l’analisi di D. 21, 1, 38 pr. condotta in J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in
rechtshistorischer Sicht, cit., p. 69 s. Nel senso della valutazione al tempo della conclusione del
contratto di compravendita è anche F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti
minoris, cit., p. 270.
91 Il pensiero di Celio Sabino è riferito dall’Aulo Gellio, Noctes Atticae, 4, 2, 5, ove la
stima del vizio è riferita a «quanto ob id vitium minoris erit». Il passo è ritenuto non autentico
da F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 269, secondo cui anche Celio avrebbe fatto riferimento a quanto minoris fuerit, mentre ne sostengono l’attendibilità, pur manifestando talune diversità di pensiero sull’evoluzione storica del profilo in discorso, O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II, cit., p. 1299 e G. IMPALLOMENI, L’editto
degli edili curuli, cit., p. 207.
92 Così, ancora, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 210, il quale richiama
la diversa opinione di A. PEZZANA, Classicità dell’actio aestimatoria, cit., p. 60 ss. secondo cui
il riferimento al tempo della conclusione del contratto e quello al momento della litis contestatio non porterebbero mai a risultati differenti dal punto di vista della stima del vizio. Si
noti, per incidens, che tale opinione potrebbe trovare sicuro accoglimento ove la stima fosse
sempre condotta attraverso il riferimento agli standards di valore di cui si è detto poco sopra
nel testo, benché anche in tal caso non sia impossibile che mutamenti e oscillazioni del mercato possano portare a una revisione degli standards la quale si riverberi in valutazioni differenti a seconda del tempo a cui esse siano riferite.
93 Valga ancora una volta, per tutti, il riferimento a V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita
in diritto romano, cit., p. 354 ss. Nella recente manualistica cfr. M. MARRONE, Istituzioni di
diritto romano, Palermo, 2006, p. 466.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
23
pattizi, consistenti in assunzioni di garanzia da parte del venditore in ordine alle caratteristiche della res che formava oggetto del contratto, rilasciate sotto forma di dicta in mancipio o nuncupationes pronunciate all’atto della mancipatio, o, in epoca più tarda, di vere e proprie stipulationes.
Tale assetto venne a mutare, però, almeno a partire dalla metà del I
secolo a.C., allorché nel contesto del iudicium empti venne introdotta
l’actio ex empto propter vitium94, azione di buona fede che consentiva al
compratore di convenire il venditore il quale, sapendo che l’acquirente
attribuiva importanza determinante95 a una data qualità dell’oggetto o all’assenza di un vizio del medesimo e conoscendo che tale qualità non era
invece presente ovvero che il vizio sussisteva, non informava il compratore della circostanza96.
94 Ne troviamo traccia in D. 19, 1, 4 pr.: «Si servum mihi ignoranti, sciens furem vel
noxium esse, vendideris, quamvis duplam promiseris, teneris mihi ex empto, quanti mea intererit scisse, quia ex stipulatu eo nomine agere tecum non possum antequam mihi quid abesset», e
in D. 19, 1, 13 pr.: «Iulianus libro quinto decimo inter eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum
vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto
minoris essem empturus, si id ita esse scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia
detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni
corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum». Questo secondo passo è, però, ritenuto da taluni interpolato laddove concede l’azione ex empto quanti minoris: i compilatori, infatti, nella loro
opera di fusione del diritto civile e del diritto onorario, attraverso la quale l’actio ex empto ha
assunto la medesima causa petendi e i medesimi petita delle azioni edilizie, sarebbero pesantemente intervenuti sui testi di età classica (fra cui quello de quo) al fine di legittimare la sussunzione dei rimedi edilizi all’interno dell’azione ex empto, intesa quale azione generale volta
a far valere la responsabilità oggettiva del venditore per i vizi occulti della cosa venduta. In
questo senso già R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p.
154 s.; F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p.
154 e, nella nostra dottrina, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 ss. Sul
punto, però, non vi è concordia di vedute: v. il paragrafo seguente.
95 Precisa, correttamente, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 242 che il
fatto «che il compratore desse decisiva importanza all’assenza di un vizio era cosa presunta,
per cui il venditore era sempre tenuto, perché considerato in dolo, allorché, conoscendo il
vizio, non lo avesse denunciato».
96 Gli interpreti non sono concordi nel ravvisare il fondamento dell’esperibilità dell’azione ex empto da parte del compratore: secondo taluni, infatti, tale fondamento doveva essere ravvisato nel dolo del venditore, il quale – a conoscenza della decisiva importanza attribuita dal compratore alla presenza di determinate qualità o all’assenza di certi vizi – tacesse
tali circostanze alla controparte (così G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 242);
secondo una diversa ricostruzione, invece, la responsabilità ex empto non si fonderebbe sul
dolo del venditore, bensì sull’inadempimento dell’obbligo di denunzia del vizio che incombe
in capo a questi in forza del dovere di buona fede, data la riconoscibilità dell’errore del compratore (per tutti, A. BECHMANN, Der kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach
gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 191 ss.).
24
CAPITOLO PRIMO
Tale azione, secondo l’opinione maggioritaria, si fondava sulla violazione dell’obbligo di buona fede in contrahendo97 da parte del venditore
e, coerentemente, non poneva nel nulla il contratto, ma comportava soltanto l’obbligo di risarcire il danno patito dal compratore nella misura
dell’interesse negativo98.
Un simile assetto non ha, peraltro, avuto lunga vita giacché Ulpiano
in D. 19. 1. 11. 399 scrive che «redhibitionem quoque contineri empti iudicio et Labeo et Sabinus putant et nos probamus», così riconoscendo che
almeno dal I secolo d.C. nel iudicium empti fosse possibile domandare la
redibizione, mentre una testimonianza giulianea100 ha indotto le più recenti indagini romanistiche101 a desumere che l’azione contrattuale potesse avere come oggetto altresì la riduzione del prezzo proporzionale al
minor pregio della res vendita.
A fronte di tale acquisizione, è necessario procedere ad analizzare i
rapporti fra l’azione edilizia e quella civile al fine di comprendere le analogie e le differenze fra le medesime e verificare i caratteri dell’actio aestimatoria che la Compilazione ha accolto e consegnato alla tradizione.
Il rapporto fra le azioni edilizie e l’actio empti esercitata per i vizi
della cosa costituisce un tema classico della letteratura romanistica, all’interno della quale il dibattito non è tuttora sopito. L’opinione preva97 Cfr.
V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 239 ss. e F. PRINGSDas Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 240. Sulla responsabilità del venditore che abbia dolosamente taciuto i vizi del bene o l’assenza di qualità ritenute fondamentali dal compratore v. anche R. ZIMMERMANN, The law of Obligations, cit., p. 308 ss.
98 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 244 nel solco dei primi due Autori
citati alla nota precedente nonché della tesi di F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die
Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p. 63 ss.
99 Sono favorevoli ad affermare la classicità del passo citato e di D. 19. 1. 11. 5:
É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung
für Sachmängel, cit., p. 40; EAD., Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im
griechischen und römischen Recht, cit., p. 232; M. TALAMANCA, voce Vendita (diritto romano),
in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, p. 445; D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen
Recht des Schadenersatzes, Köln-Graz, 1962, p. 140 ss. Contra, G. IMPALLOMENI, L’editto degli
edili curuli, cit., p. 241 ss. e 265 ss. e W. FLUME, Zum römischen Kaufrecht, in Zeitschrift der
Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS), 1934, p. 328 ss., ad avviso dei quali i testi in parola sarebbero stati pesantemente interpolati dai compilatori giustinianei.
100 Cfr. D. 19. 1. 13. pr.-1 già citato alla nota 87.
101 Si vedano, infatti, É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen
Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 38 ss.; L. VACCA, Ancora sull’estensione
dell’ambito di applicazione dell’actio empti in età classica, in EAD., Vendita e trasferimento
della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Materiali per un corso di diritto romano,
Torino, 1997, p. 244 s.; H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 103 s.
L’opinione non trovava invece seguito nella dottrina più risalente: per tutti, v. F. PRINGSHEIM,
Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 249.
HEIM,
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
25
lente nella dottrina pandettistica dell’Ottocento102, pur in un quadro ricostruttivo non del tutto omogeneo, tendeva a configurare una pressoché
totale assimilazione fra i due ordini di rimedi già in epoca classica, inquadrando la responsabilità edilizia quale elemento naturale del negozio
di scambio e assimilandone l’ambito di applicazione a quello dell’azione
contrattuale di buona fede. In tale ricostruzione la responsabilità edilizia
per i vizi della cosa era fatta derivare direttamente dal contratto, quale
suo effetto naturale, e si affermava l’estensione delle azioni estimatoria e
redibitoria alle compravendite aventi ad oggetto qualsiasi tipologia di
bene. In particolare, i rimedi edilizi e contrattuali erano visti come concorrenti e il potere del giudice di pronunciare la redibizione o la diminuzione del prezzo convenuto all’interno del iudicium empti era spiegato
quale manifestazione dilatata della condanna al risarcimento del danno103.
Da questo quadro di fondamentale consenso si è allontanato per
primo Moritz Wlassak, il quale ha posto l’accento della propria ricostruzione sulla specificità della giurisdizione spettante agli edili, limitata –
come si è avvertito nel par. 1 – alle vendite di mancipia e di iumenta concluse nei mercati, al fine di mettere in dubbio la fungibilità fra rimedi
edilizi e azione civile di buona fede104. Secondo Wlassak, l’azione civile
avrebbe avuto un campo di applicazione diverso e distinto rispetto a
quello delle actiones aediliciae, in quanto queste seconde avrebbero trovato applicazione soltanto alle compravendite di giumenti e schiavi concluse nei mercati, mentre la prima avrebbe potuto essere invocata per
tutte le altre vendite: soltanto attraverso progressivi affinamenti e adattamenti giurisprudenziali dell’actio empti, sulla base dei medesimi presupposti e con effetti assimilati alle azioni edilizie, queste ultime sarebbero
state estese oltre i limiti della giurisdizione speciale, finendo per determinare la trasformazione dell’«aedilitische Sonderrecht» in «gemeinen bür102 Cfr. B. WINDSHEID, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt am Main, 1906, p.
684 ss.; J. BARON, Pandekten, Leipzig, 1896, p. 530 ss.; ma v. anche G.F. PUCHTA, Vorlesung
über das heutige römische Recht, Leipzig, 1855, p. 226 ss. Nella letteratura novecentesca ammettono, pur nel quadro di ricostruzioni non del tutto assimilabili a quelle della Pandettistica, l’esperibilità dell’azione ex empto propter vitium anche al di fuori dei casi di dolo, almeno a partire dal II secolo d.C., M. TALAMANCA, voce Vendita (diritto romano), cit., p. 445;
H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 83 ss.; D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadenersatzes, Köln-Graz, 1962, p. 140 ss.
103 Cfr. B. WINDSHEID, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, cit., p. 685 ss.; J. BARON, Pandekten, cit., p. 530. Diversamente, G.F. PUCHTA, Vorlesung über das heutige römische Recht,
cit., p. 226 ss. riteneva che actio empti e azioni edilizie costituissero rimedi cumulabili fra loro,
sicché attraverso la prima poteva conseguirsi il risarcimento del danno mentre soltanto mediante l’actio redhibitoria concessa dagli edili il compratore poteva ottenere la risoluzione del
contratto.
104 M. WLASSAK, Zur Geschicte der negotiorum gestio, Jena, 1879, p. 167 ss.
26
CAPITOLO PRIMO
gerlichen Recht». Il risultato ultimo dell’evoluzione dell’azione civile sarebbe stato, pertanto, quello di un vero e proprio «Übergang honorarischer Sätze in das Civilrecht»105, attraverso il quale l’actio empti avrebbe
consentito la sussunzione nello ius civile dei rimedi introdotti dagli edili
per le vendite sottoposte alla loro giurisdizione particolare.
Che l’azione contrattuale abbia costituito il mezzo attraverso il quale
si realizzò la generalizzazione dell’applicazione delle azioni edilizie, superando il loro tradizionale ambito di applicazione, è tesi che deve, però,
fare i conti con la natura di buona fede dell’azione in parola, con la quale
è difficilmente conciliabile una diretta applicazione dei rimedi speciali106.
Più in generale, inoltre, la dottrina romanistica dei primi anni del Novecento ha messo fortemente in discussione l’assunto secondo cui l’applicazione generalizzata di redhibitoria ed aestimatoria sarebbe stata raggiunta già nel periodo classico, in quanto tale conclusione si sarebbe posta in palese contraddizione con il reale tenore delle fonti e soprattutto
con la considerazione che la responsabilità sancita dagli edili si basava
sulla ricorrenza di cause di redibizione analiticamente individuate e insuscettibili di estensione al di fuori dell’ambito di applicazione dell’editto107. Invero, secondo questa corrente di pensiero, soltanto con la
Compilazione giustinianea la responsabilità per i vizi della cosa avrebbe
assunto le sembianze di naturale negotii diretto a garantire al compratore
il diritto di porre nel nulla lo scambio o di riavere una parte del prezzo
pagato in ragione dei vizi del bene acquistato, mentre in diritto classico i
rimedi concessi dagli edili avrebbero avuto lo scopo di concedere un’eccezionale rilevanza all’errore del compratore circa talune qualità della
cosa venduta108. La concessione dell’azione contrattuale per i vizi della
105 M. WLASSAK, Zur Geschicte der negotiorum gestio, cit., p. 168. In termini simili, benché partendo da un punto di vista ormai consapevole dei risultati della critica interpolazionistica, cfr. H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 81 s. Sulla ricostruzione
di Wlassak si leggano le pagine di N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 7 ss.
106 A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht, III, cit., p. 175. Sul punto v. anche
M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, cit., p. 177, il quale sottolinea come, nel
contesto dell’actio empti, sarebbe stato al più possibile che il magistrato imitasse i contenuti
delle azioni edilizie, ma giammai avrebbe potuto farne applicazione diretta.
107 Così F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache,
cit., p. 39.
108 Si veda ancora F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der
Kaufsache, cit., p. 39 e A. PEZZANA, Recensione a G. Impallomeni, L’editto degli edili curuli, in
Iura, 1956, p. 261, il quale scrive di errore sulla determinazione causale, normalmente irrilevante. Contra, nel senso di una responsabilità oggettiva, cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli
edili curuli, cit., p. 19 ss. e É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen
Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 32 ss. sui quali v. infra nel testo.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
27
cosa, invece, avrebbe avuto luogo in un periodo più tardo e si sarebbe
basata sulla sussistenza del dolus in contrahendo del venditore109.
Più di recente, partendo dall’assunto ormai incontrastato secondo
cui l’editto degli edili curuli avrebbe trovato applicazione per tutto il periodo classico soltanto alle vendite concluse nei mercati e aventi ad oggetto schiavi e giumenti, un’ampia parte della dottrina110 ha ritenuto che
l’emptor, nell’eventualità in cui il venditore avesse taciuto i vizi della cosa
venduta, avrebbe potuto esperire, da un canto, l’azione redibitoria o estimatoria, diretta ad assicurare lo scioglimento del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo pattuito, e dall’altro, l’actio empti, con la quale
poteva ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto del dolo della
controparte, nel limite dell’interesse negativo. La coesistenza dei due ordini di rimedi avrebbe consentito una tutela completa della posizione del
venditore, poiché costui avrebbe potuto scegliere tra il conseguimento
della redibizione o della riduzione del corrispettivo e l’ottenimento del
risarcimento dei danni subiti in conseguenza della sussistenza del vizio111.
Invero, anche quest’ultima ricostruzione sembra tradire una scarsa
attenzione per l’ambito di applicazione e la specificità della iurisdictio degli edili, la quale aveva quale campo di applicazione le compravendite di
schiavi e di animali concluse nei mercati. Almeno in principio, e con ogni
probabilità sino a Giustiniano, soltanto rispetto a tali contrattazioni furono esperibili le actiones aediliciae, sicché deve concludersi che al di
fuori di tale ambito di applicazione il compratore di cosa viziata potesse
contare sul solo rimedio contrattuale di buona fede. Ne consegue che,
nell’epoca classica e post-classica, non poteva affatto dirsi sussistente una
concorrenza di rimedi edilizi e civili per le medesime fattispecie, ma –
tutt’al contrario – il ricorso all’actio empti era possibile soltanto ove fosse
esclusa l’applicazione delle disposizioni edilizie. Tale conclusione è, peraltro, confortata dai numerosi passi del Digesto in cui l’esperibilità dell’azione contrattuale di buona fede per i vizi della cosa venduta era affermata bensì anche per le vendite oggetto della regolamentazione edili109 È
stato notato come una debolezza della tesi ora ricordata sia la sua inconciliabilità
con il passo di D. 21, 1, 1, 1 in cui gli edili promettevano il loro iudicium anche per l’eventualità di dolo del venditore, giacché essa avrebbe dovuto costituire campo di applicazione
dell’azione contrattuale. In tal senso N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 20, ove ampia ricostruzione del pensiero dell’Haymann.
110 Vedi, fra i tanti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 360; B. BIONDI, Studi sulle actiones
arbitrariae e l’arbitrium iudicis, Palermo, 1912, p. 136 ss.
111 Per un’efficace ricostruzione del pensiero degli autori citati alla nota precedente si
consulti N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 22
ss. e spec. p. 27, la cui impostazione critica, come si vedrà, è da noi accolta nel testo.
28
CAPITOLO PRIMO
zia, ma soltanto con riguardo alle ipotesi in cui non fosse concretamente
possibile il ricorso alle azioni redibitoria ed estimatoria112. Ne costituiva
esempio l’esercizio dell’actio empti con riferimento alla responsabilità
dell’alienante per la mancata dichiarazione dei vitia nei casi in cui il vizio
non fosse riconducibile alle qualità elencate dall’editto: l’espressa enumerazione dei vizi rilevanti ai fini dell’editto comportava l’inapplicabilità
dei rimedi di diritto onorario in tutti i casi in cui il vizio effettivamente
manifestatosi non fosse compreso nel novero di quelli presi in considerazione dagli edili, sicché divenne progressivamente sempre più frequente
il ricorso all’azione contrattuale, all’interno del cui giudizio era possibile
un’ampia valutazione dei doveri incombenti sul venditore in forza della
clausola di buona fede, tale da consentire la tutela delle legittime aspettative dell’emptor anche rispetto a qualità della cosa non contemplate
dall’editto113.
L’assetto di fondo non era destinato a cambiare neppure a seguito
della concessione delle azioni edilizie anche per l’eventualità di false promesse o dichiarazioni circa le qualità della cosa venduta: invero, tali rimedi potevano essere esperiti in ogni caso in cui la res empta, al momento della conclusione del contratto, non presentasse le qualità oggetto
delle promesse e delle dichiarazioni114 del venditore, ma non già allorché
il contrasto fra i dicta e promissa del venditore e la condizione della cosa
venisse a manifestarsi successivamente al perfezionamento dello scambio,
salvo che tali difformità fossero la conseguenza di una condizione preesistente all’espressione del consenso contrattuale.
Soltanto con Giustiniano l’ambito di applicazione delle azioni edilizie fu ampliato a tutte le compravendite, a prescindere dall’oggetto delle
stesse: esse furono ricondotte all’interno del sistema dell’actio empti, la
112 Cfr.
N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit.,
p. 37 ss.
113 Ne costituisce esempio significativo la concessione dell’azione ex empto relativamente alla vendita di schiavi affetti da vizi corporali non compresi nell’elencazione edittale
(sui quali cfr. ancora N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio
empti, cit., p. 105 ss., ove ampia analisi dei passi contenuti in D. 21, 1, 9 e D. 21, 1, 3, e 324)
ovvero da vitia animi, sulla cui rilevanza l’atteggiamento della giurisprudenza, almeno a partire dal periodo del Principato, era progressivamente di sempre maggiore chiusura.
114 Promesse e dichiarazioni che parrebbero rilevare anche se anteriori alla conclusione
del negozio e non soltanto ove siano contestuali alla medesima, come sembra di poter dedurre da D. 21, 1, 20, ove il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale delle azioni
redibitoria ed estimatoria è identificato nel giorno in cui si è verificata la promessa o il dictum
(si vero ante venditionis tempus dictum intercesserit, deinde post aliquot dies interposita fuerit
stipulatio, caelius sabinus scribit ex priore causa, quae statim, inquit, ut veniit id mancipium, eo
nomine posse agere coepit), in contrasto con il principio per cui “contra non valentem agere
non currit praescriptio”.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
29
quale venne a sommare in se stessa le caratteristiche dei rimedi edilizi e
dell’azione civile. Come efficacemente descritto da Kaser115, l’esito di tale
contaminazione fu quello di consentire al compratore, mediante l’esercizio dell’azione contrattuale, l’ottenimento – oltre che del risarcimento del
danno – anche della riduzione del prezzo e della risoluzione del contratto.
A seguito di tale approdo, l’azione civile venne ad ampliarsi «in
estensione e arricchirsi in intensità»116, da un canto, venendo a comprendere anche le ipotesi in cui il venditore non fosse in mala fede riguardo
alla presenza dei vizi e, dall’altro, inglobando in sé i rimedi edilizi, i quali
videro il proprio ambito di applicazione esteso alla vendita di ogni tipo
di merce117.
4.
L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana
Prima di passare all’esame dell’evoluzione della riduzione del corrispettivo nel periodo successivo alla Compilazione giustinianea, merita sin
d’ora precisare taluni punti che rivestono particolare importanza ai fini
dell’identificazione dei tratti fondamentali dell’istituto e, in particolare,
della sua funzione.
Come si è accennato in fine del par. 2, la quantificazione della riduzione del prezzo conseguente all’esercizio dell’azione edilizia è tendenzialmente operata attraverso il riferimento a «quanto ob id vitium minoris
[fu]erit», cosicché essa non sembra prendere in alcuna considerazione il
valore attribuito alla res dalle parti, bensì soltanto quello oggettivo della
stessa118. L’ammontare della decurtazione, infatti, prescinde da ogni considerazione attinente al valore soggettivamente attribuito alla res dalle
parti, essendo rappresentato dalla differenza fra il valore obiettivo che la
stessa avrebbe posseduto ove fosse stata integra e quello effettivo derivante dalla presenza dei vizi119.
115 Secondo
l’autorevole studioso, infatti, in esito a tale evoluzione la menzione autonoma dei due rimedi edilizi rimase quale omaggio alla tradizione da parte dei compilatori:
così M. KASER, Das römisches Privatrecht, II, München, 1975, p. 393 s.
116 Sono parole di C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, Milano,
1979, p. 423.
117 Sul punto v. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 397.
118 Così, infatti, H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 75: «Für die Klassiker war die Berechnung der Preisminderung ganz unproblematisch. Sie erstatteten dem Käufer die Differenz zwischen dem Wert der
mangelhaften Sache und dem Wert, den sie im mangelfreien Zustand hätte». Sul punto v. altresì
D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadenersatzes, cit., p. 123 s.
119 Nello stesso senso, v. U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 27, il quale scrive che
in generale, con riferimento all’actio quanti minoris, «die Höhe des Erstattungsanspruchs
30
CAPITOLO PRIMO
Allorché trattano della riduzione del corrispettivo ottenibile attraverso l’azione contrattuale, invece, le fonti paiono adottare un diverso
approccio, che si riverbera in un differente criterio di calcolo. La diminuzione del prezzo conseguente all’esercizio dell’actio empti, infatti, è valutata sulla base dell’interesse specifico dell’acquirente e della volontà
manifestata dalle parti nel contratto di vendita, come dimostra il fatto
che essa è determinata tenendo conto del rapporto fra il pretium pattuito
e il valore della merce. «Qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum,
quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem»: così si esprime il
già citato D. 19, 1, 13, pr.-1, con il quale si consente che, attraverso l’azione contrattuale, al compratore sia assicurata una somma di denaro
pari al minor prezzo che egli avrebbe pagato qualora fosse stato al corrente dei vizi del bene.
Com’è evidente, pur dovendosi fare fondamentalmente affidamento
sulla formula dell’azione120, alla riduzione del corrispettivo risultante dal
ricorso alla tutela onoraria e a quella ottenibile a mezzo dell’azione civile
è attribuito un contenuto assai diverso che, da un lato, si riconnette alla
differente rilevanza della volontà delle parti nell’economia dello scambio
e, dall’altro, potrebbe essere indice di una diversa finalità pratica dei due
rimedi.
Sotto il primo punto di vista, infatti, è stato persuasivamente messo
in luce121 come l’introduzione della quanti minoris nell’Editto sia sostanzialmente avvenuta nel medesimo periodo in cui la compravendita romana veniva ad assumere i caratteri di contratto consensuale ad effetti
obbligatori, abbandonando le antiche forme basate sulla mancipatio e la
traditio, e l’azione redhibitoria era estesa sino ad abbracciare anche le
false dichiarazioni e promesse del venditore122. L’actio aestimatoria, pertanto, nasce proprio allorché la conventio fra le parti inizia a costituire il
fondamento delle attribuzioni patrimoniali originate dalla compravendita, ma si struttura ancora quale azione volta principalmente a evitare
ergebe sich aus einer objectiven Wertdifferenz», sicché la pretesa restituroria conseguente al
suo esperimento è pari alla differenza fra il prezzo di vendita pattuito e il valore effettivo della
res viziata. Così anche A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs
nach gemeinem Recht, cit., p. 161.
120 Così ancora H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum
römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 74.
121 Cfr. N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio
venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a
cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, cit.,
p. 462 e 518 s.
122 V. supra, par. 2.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
31
indebite locupletazioni e comportamenti fraudolenti del venditore più
che a ristabilire l’equilibrio contrattuale perturbato. Sotto questo secondo punto di vista, il passo decisivo è compiuto nel contesto dell’azione contrattuale, laddove la conventio svolge un ruolo centrale e
quanto si richiede al giudice è di intervenire sulla «mancata realizzazione
dell’assetto di interessi sottostante al contratto»123, adeguando la prestazione pecuniaria non già secondo valori obiettivi ma allineandola all’importo del prezzo che il compratore avrebbe corrisposto qualora avesse
conosciuto la sussistenza dei difetti della cosa.
Peraltro, pur condividendo l’identificazione delle linee di sviluppo
cui abbiamo appena fatto cenno, riteniamo che esse possano essere lette
e spiegate in maniera più convincente. Invero, come suggerito da Cuiacio124 e Windscheid, sembra plausibile ritenere che il contrasto rintracciabile nelle fonti in ordine al contenuto – e, conseguentemente, alla funzione del rimedio estimatorio – sia più apparente che reale, potendo essere spiegato con il fatto che i frammenti più remoti «presuppongono la
coincidenza del prezzo col vero valore della cosa»125. Invero, ove si consideri che, da un canto, l’economia di Roma antica non conosceva un
processo produttivo industrializzato e, dall’altro, gli scambi presi in considerazione dall’Editto avevano riguardo a beni specifici e sostanzialmente non fungibili, discorrere – come oggi appare, invece, normale –
delle eventuali divergenze fra valore reale e prezzo convenuto appare una
superfetazione.
Se si condivide tale osservazione, non può che dissentirsi dall’idea
secondo la quale, in materia di riduzione del corrispettivo, l’esperienza
giuridica romana non abbia assunto, anche al tempo di Giustiniano, un
atteggiamento unitario126, riproducendo nella Compilazione la diversa
strutturazione descritta poc’anzi. Al contrario, il Digesto testimonia di un
approccio sostanzialmente coerente della giurisprudenza romana, evoluto e maturato nel corso del tempo.
Se nelle prime applicazioni della quanti minoris, basate sulle regole
dell’Editto, essa è vista operare quale mezzo di tutela contro comportamenti fraudolenti dei venaliciarii con riferimento a vendite in cui il
123 Cfr. N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio
venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a
cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, cit.,
p. 519.
124 J. CUIACIUS, Cuiacii Opera, IV, Parisiis, 1784, p. 814. Contra, ACCURSIO, Glossa ordinaria, Venezia, 1606, p. 2129.
125 Cfr. B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit.,
p. 523 nota 1.
126 Così, invece, U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 29.
32
CAPITOLO PRIMO
prezzo pattuito tendenzialmente coincide con il valore della res, nell’evoluzione successiva essa viene evocata anche al di fuori dei confini originari e, mettendo a frutto la mutata sensibilità nei confronti dell’importanza delle pattuizioni intercorse fra le parti e del risultato pratico che le
stesse si propongono di raggiungere con la conclusione del contratto, generalizza altresì il contenuto dell’actio, identificandolo con la minor
somma che l’emptor avrebbe pagato qualora avesse conosciuto il vizio.
Tale somma coincide senz’altro con il minor valore effettivo del bene,
qualora già il prezzo iniziale coincidesse con il valore della res esente da
difetti, mentre in caso contrario scaturisce da una riduzione del corrispettivo convenuto proporzionale al rapporto fra i due valori. Ne consegue che l’antinomia fra le due differenti formule è soltanto apparente, costituendo soltanto un indizio nel senso dell’evoluzione dell’istituto. Peraltro, seppur apparente, tale contrasto ha un’origine letterale, sicché
esso – sommandosi alle forti incertezze che hanno contrassegnato i rapporti fra tutele edilizie e azione contrattuale, di cui abbiamo detto al par.
3 – si è riverberato sull’elaborazione teorica successiva alla Compilazione, sino a giungere alle codificazioni moderne.
5.
L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune
Nel periodo medievale e nell’epoca del diritto comune, la tutela del
compratore nei confronti dei vizi della cosa venduta permane in larga
parte legata all’assetto tramandato dalla Compilazione giustinianea, ma è
contrassegnato da talune lievi evoluzioni legate in modo particolare all’emergere dei diritti locali e all’influenza del diritto naturale.
Una prima tendenza che si segnala è quella verso la progressiva sempre più pronunciata commistione dell’ambito applicativo dell’azione
contrattuale e delle tutele edilizie, già iniziata in epoca alto-medievale127:
benché permanga concordia circa l’invocabilità di queste ultime soltanto
in relazione alle pattuizioni che comportino il trasferimento del diritto di
proprietà a titolo oneroso128, le fonti testimoniano di un graduale abbandono dell’idea secondo cui le azioni onorarie hanno quale proprio campo
127 In
argomento v. G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa,
trad. it. a cura di P. Cappellini e M.C. Dalbosco, Padova, 1999, p. 65, i quali appunto rimarcano come in tale periodo la responsabilità per vizi del venditore venga «lentamente svincolata dai fondamenti […] tipici del diritto antico (ius civile, diritto edittale) e riunificata sotto
un’unica fattispecie legale, il cui presupposto è generalmente indicato nel vitium».
128 J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, Colonia Allobrogum, 1762, ad D. 21, 1, 19, pr., n. 7; W.A. LAUTERBACH, Collegium Pandectarum, II, Tubingae, 1784, ad D. 21, 1, n. 4.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
33
d’elezione le sole vendite aventi ad oggetto i beni contemplati dall’Editto. A cagione della spiccata somiglianza degli apparati di tutela disegnati dai compilatori per l’azione contrattuale e per le azioni edilizie e nel
quadro di vivaci discussioni circa l’esatta identificazione dell’assetto perseguito da costoro, si fa infatti strada la tendenza all’estensione delle seconde a tutte le compravendite129, a prescindere dalla res che ne costituisce l’oggetto130.
Anche con riferimento ai difetti rilevanti ai fini della concessione
della risoluzione e della riduzione del prezzo, pur rifacendosi fondamentalmente alle fonti romane, i giuristi dell’epoca del diritto comune incidono in maniera rilevante. Da un canto, essi ampliano la rilevanza dei vitia animi in relazione alle vendite di animali131 e, dall’altro, procedono a
precisare il concetto di vizio redibitorio, ribadendo che questo rileva soltanto ove impedisca o diminuisca in maniera apprezzabile l’uso del
bene132 e operando una valutazione concreta del pregiudizio subito dal
compratore in conseguenza del difetto133.
129 In questo senso è emblematico il pensero di H. DONELLO, Opera omnia, X, Commentariorum in selectos quosdam titulos Digestorum volumen primum, Lucae, 1766, ad D. 21,
1, laddove il giurista francese distingue fra cause generali e cause speciali di redibizione, identificando queste ultime con quelle sancite dall’Editto in relazione alle vendite di schiavi e di
iumenta, mentre quelle generali, relative a qualsiasi oggetto, consisterebbero nella presenza di
vizi taciuti dal venditore o nell’assenza di qualità dichiarate esistenti, nella mancata prestazione della garanzia stipulatoria da parte del venditore o nella conclusione del pactum
displicentiae.
130 J. CUIACIUS, Paratitla in Novem Libros Codicis Justinianei repetitae praelectionis, in
ID., Cuiacii Opera. Pars prima, tom. 2, Venetiis, 1758, ad C. 4, 58, n. 7; J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 49.
131 P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie
1999/44/EG, München, 2003, p. 73, il quale scrive che tale operazione è avvenuta «prendendo spunto sia dal fatto che nelle fonti romane, nel commento all’editto de jumentiis vendundis, non si limita specificamente la garanzia ai vizi fisici, sia da alcuni passi, in cui sembra
venire in considerazione l’indole della bestia venduta», come D. 21, 1, 43 pr.
132 J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21,
1, 7; H. DONELLO, Opera omnia, X, Commentariorum in selectos quosdam titulos Digestorum
volumen primum, cit., ad D. 21, 1, c. 1301. Si consideri che, con particolare riferimento all’esperienza giuridica dell’area germanica, le fonti romane vennero sottoposte a interpretazioni
restrittive, in coerenza con l’idea tipica del diritto di quei luoghi secondo cui la responsabilità
dell’alienante per i vizi della res vendita dovesse essere rigidamente circoscritta. Tale risultato
venne raggiunto, in particolare, esaltando il ruolo dell’ispezione del bene: il compratore, infatti, era onerato di una particolare cura nell’esame della cosa, espressione del generale principio “Caveat emptor”: in argomento, v. R. HÜBNER, Grundzüge des deutschen Privatrechts,
Leipzig, 1930, p. 579.
133 In questo senso v. M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, Kiel, 1965,
p. 63 s.
34
CAPITOLO PRIMO
Un più pronunciato scardinamento dell’assetto giustinianeo ha
avuto luogo, peraltro, proprio con riferimento all’aspetto che più interessa in questa sede, ovvero quello relativo ai mezzi di tutela posti a disposizione del compratore. Benché gli strumenti de quibus rimangano
fondamentalmente l’actio ex empto e le azioni edilizie134, il corso del
tempo porta in dote talune rilevanti limitazioni all’operatività della redibitoria e una rinnovata attenzione al profilo attinente al quantum della riduzione del corrispettivo ottenibile a mezzo dell’estimatoria.
Sul primo versante, è interessante notare come – per l’operare congiunto delle discipline statutarie locali e delle influenze giusnaturalistiche
– risoluzione e diminuzione del prezzo si evolvano progressivamente
dalla pressoché totale alternatività dell’epoca romana verso un assetto
che le subordina alla ricorrenza di presupposti in parte non coincidenti.
Come noto, l’epoca medievale ha conosciuto una notevole fioritura
di statuti locali, diretti in particolare a regolamentare con norme speciali
le compravendite di animali concluse nei mercati pubblici135: in tali corpora normativi, trova accoglimento non soltanto una concezione rigorosa
del vitium vicina a quella tipica del diritto consuetudinario tedesco136, ma
altresì una diffusa tendenza a controbilanciare l’esclusione della risolubilità del contratto137 per i vizi meno gravi con la concessione dell’azione
134 Cfr.
P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER,
Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie
1999/44/EG, cit., p. 85.
135 In argomento v. M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p.
18 ss. e H. COING, Europäisches Privatrecht. 1500-1800. Band I. Älteres Gemeines Recht,
München, 1985, p. 451 ss.
136 Cfr. G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa, cit., p. 174 i
quali richiamano l’affermazione di J. Schilter, secondo cui «la gravosa responsabilità prevista
in via generale dall’“Editto” non trovava applicazione davanti ai tribunali tedeschi». Peraltro,
ciò accadeva soltanto qualora con riferimento all’oggetto della vendita sussistessero particolari disposizioni statutarie, altrimenti trovando applicazione il diritto comune romano: sul
punto, v. W.L. KLEMPT, Die Grundlagen der Sachmängelhaftung des Verkäufers im Vernunftrecht und Usus modernus, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz, 1967, p. 52.
137 A ciò si aggiunga il fatto che anche il termine entro il quale la redhibitoria può
essere esercitata, pur normalmente identificato nei sei mesi imposti dalle fonti romane, è
frequentemente ridotto a pochi giorni dalle regole statutarie. Peraltro, come notano M.
KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher
Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 55 e P.M. VECCHI, La garanzia
nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 82, la limitazione
temporale ha spesso mera sostanza probatoria, in quanto non infirma la possibilità di esperire le azioni edilizie ma inverte soltanto l’onere della prova della sussistenza del vizio al
tempo della vendita.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
35
estimatoria138, alla quale pertanto è ascritta una più ampia area di operatività. In esito a tale evoluzione viene a profilarsi una nuova distinzione
fra Hauptmängel, vizi di carattere più grave e di intensità tale da menomare qualsiasi interesse dell’acquirente nei confronti della cosa, che legittimano pienamente il ricorso alla tutela redibitoria, e Nebenmängel,
vizi che diminuiscono il valore e l’utilità del bene senza renderlo inservibile, legittimando soltanto «un intervento del giudice per ristabilire l’equilibrio contrattuale»139.
Nel pensiero giusnaturalistico, d’altro canto, istanze dirette a differenziare progressivamente la sfera di operatività dei rimedi concessi all’acquirente avevano cominciato a premere sull’interpretazione dei testi
romani sulla base della preminente considerazione data all’interesse concreto del compratore. Con un’argomentazione che trova le proprie radici
nel pensiero di Grozio140, gli studiosi successivi mettono in luce come
l’accesso all’actio redhibitoria postuli l’inutilità della cosa per il compratore, il quale non l’avrebbe acquistata qualora fosse stato a conoscenza
del vizio, mentre la quanti minoris è diretta a garantire che costui ottenga
la restituzione della parte di corrispettivo che non avrebbe pagato ove
fosse stato al corrente del difetto141. In ragione di ciò, l’acquirente è considerato legittimato a restituire la cosa e sciogliere il vincolo contrattuale142 soltanto qualora l’oggetto sia a tal punto viziato da dar luogo a un
138 Si
vedano, infatti, M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 56
e P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf
in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p.
80 s., il quale ultimo scrive che nelle ipotesi di vitia diversi da quelli espressamente previsti
dagli statuti ovvero di vizi contemplati ma rimediabili, si fa largo nella pratica «la tendenza a
non lasciare il compratore completamente privo di tutela, ma a riconoscergli almeno l’azione
per la riduzione del prezzo, anche in considerazione delle spese che deve sostenere per le
cure dell’animale».
139 P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie
1999/44/EG, cit., p. 81.
140 Cfr. A.M. HONORÉ, The History of Aedilitian Actions from roman to roman-dutch
Law, in D. DAUBE, Studies on the roman Law of Sales, Oxford, 1959, p. 145, con riferimento
a U. GROZIO, The Jurisprudence of Holland, I, trad. a cura di Lee, Aalen, 1953, p. 375.
141 In argomento, v. R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations, Oxford, 1996, p. 325 s. e
P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf
in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit.,
p. 86 s.
142 Le conseguenze derivanti dalla domanda redibitoria sono le medesime che erano
state identificate dalla giurisprudenza romana: da un canto, il compratore restituisce la res vendita, i suoi frutti ed accessori e, dall’altro, il venditore deve restituire il corrispettivo incamerato e gli interessi nonché rimborsare alla controparte le spese effettuate per il contratto (cfr.
J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 21).
36
CAPITOLO PRIMO
incommodum maximum143 mentre ove, nonostante il difetto, egli l’avrebbe comunque acquistata, giacché essa offre un’utilità, seppur deminuta, può fare ricorso soltanto alla tutela estimatoria144.
In tale assetto, pertanto, la riduzione del prezzo viene ad assumere
un ruolo assai rilevante, concorrendo con la redibitoria per i vizi più
gravi e ponendosi quale rimedio essenziale al fine del “riequilibrio” delle
fattispecie in relazione alle quali il difetto concretamente sussistente non
sia tale da legittimare l’azzeramento dello scambio ovvero il termine semestrale per l’esercizio della tutela più radicale sia già trascorso. Proprio
in considerazione del fatto che l’aestimatoria è concessa nelle ipotesi in
cui compratore avrebbe comunque acquistato la cosa, anche qualora ne
avesse conosciuta la reale condizione, ma avrebbe pattuito un prezzo inferiore, un’ampia parte degli interpreti identifica l’oggetto dell’azione
nella somma corrispondente alla parte di corrispettivo che l’acquirente
non avrebbe pagato145, così ricollegando la misura dell’aestimatio vitii all’incidenza proporzionale del vizio sul prezzo del bene, rifacendosi alla
formula tramandataci con riferimento all’azione contrattuale romana.
Tale tendenza non è rimasta, però, incontrastata, dovendo confrontarsi con quella, tipica della scuola del diritto naturale, verso l’interpretazione della garanzia per vizi quale mezzo di mantenimento di un’aequalitas di tipo oggettivo fra prestazione e controprestazione146: sulla base di
simili considerazioni, i giusnaturalisti147 hanno identificato la riduzione
143 Così
J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad
D. 21, 1, 1 e D. 21, 1, 21, ove riferisce dell’uso invalso di deferire all’acquirente, che intenda
agire per la redibizione, il giuramento riguardante il fatto che egli non si sarebbe determinato
a comprare la res qualora ne avesse conosciuto la difettosità.
144 Peraltro, come sottolineato da M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der
Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert,
cit., p. 67, l’estimatoria è ritenuta comunque esercitabile anche nel caso di vizio di rilevante
gravità che legittimerebbe la domanda di risoluzione.
145 In tal senso si veda J. VOET, Commentarius ad Pandectas, I, Coloniae Allobrogum,
1769, ad D. 21, 1 n. 5.
146 G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa, cit., p. 174, i quali
notano come tale approccio caratterizzi profondamente il giusnaturalismo razionalistico.
147 Cfr. ad esempio W.A. LAUTERBACH, Collegium Pandectarum, II, cit., ad D. 21, 1, n.
30. Nota, peraltro, P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 92 come tale concezione dei giusnaturalisti si ponga in dissonanza
con l’opinione dei giuristi medievali, i quali propendevano per identificare nell’actio empti il
rimedio diritto ad assicurare al compratore il pagamento di un prezzo parametrato sull’effettivo valore del bene (v. E. SCHRAGE, Die Gewährleistung beim Kauf im Mittelalter, in
M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung
der Richtlinie 1999/44/EG, München, 2003, p. 63 ss.).
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
37
del prezzo cui ha diritto l’acquirente con la somma rappresentativa del
minor valore obiettivo della res vendita.
Tali divergenze sono soltanto in parte figlie del più volte evocato
(apparente) contrasto fra le fonti, giacché proprio le varie correnti di
pensiero hanno piegato il dato letterale ambiguo al fine di renderlo funzionale alla propria opzione di fondo. Ne consegue che, in questa stagione, l’elaborazione teorica non sembra concentrarsi sulla funzione e sul
contenuto della quanti minoris, piuttosto asservendone l’inquadramento
a più ampie scelte di fondo. Una maggiore attenzione alle questioni più
squisitamente tecniche e un’analisi delle fonti meno influenzata dall’apriorismo connota, invece, l’elaborazione teorica successiva, che procediamo ad analizzare nei prossimi due paragrafi.
6.
L’azione estimatoria da Pothier al code Napoléon e al codice civile
italiano del 1865
Per l’influenza che ha avuto sulla codificazione civile francese e, di
riflesso, sul codice civile italiano del 1865, l’opera di Robert Joseph
Pothier merita una speciale attenzione, benché – come si dirà poco oltre
– proprio in relazione all’azione estimatoria l’elaborazione del grande
giurista d’Orleans sia stata parzialmente disattesa dal Code Napoléon.
Per quanto attiene al sistema della garanzia per vizi, Pothier compendia i due distinti aspetti delle tutele edilizie e dell’azione contrattuale
facendo ricorso a un’unica figura, l’obligation de faire avoir la chose utilement, il cui inadempimento legittima il compratore a risolvere il contratto, ridurre il prezzo ovvero chiedere il risarcimento del danno148. Così
facendo, egli pragmaticamente affranca i mezzi di tutela conseguenti alla
dazione di cosa viziata dalle difficoltà giustificative che ne connotavano
le origini, ancorandoli saldamente sul terreno dell’inadempimento dell’obbligazione149. Ciò che interessa in questa sede, però, non è tanto il
148 R.J.
POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura
di A. Bazzarini, Venezia, 1834, n. 202.
149 È appena il caso di sottolineare come tale reductio ad unum e la connessa scelta di
fondare la giustificazione delle azioni edilizie e risarcitoria attraverso il riferimento al rapporto obbligatorio sia stata ritenuta dogmaticamente discutibile da una rilevante parte degli
interpreti del XX secolo: per i rilievi che sono stati mossi a tale concezione v., ad esempio, W.
FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 46 ss.; L. MENGONI, Profili di una revisione della
teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 3 ss.; C. CASTRONOVO, Problema e sistema
del danno da prodotti, cit., p. 423. Secondo quest’ultimo, peraltro, «l’operazione di Pothier
[…] sta a dimostrare come l’opera di sistemazione dogmatica talora disdegnata come adiafora
e incapace di produrre esiti propri nella utilizzazione concreta degli istituti costituisca una
38
CAPITOLO PRIMO
profilo attinente al fondamento della responsabilità del venditore, quanto
piuttosto quello relativo ai presupposti della stessa e ai mezzi di tutela
posti a disposizione dell’acquirente.
Con riferimento al primo punto, Pothier afferma, da un canto, l’applicazione delle azioni edilizie a tutte le vendite150 e, dall’altro, la non
completa coincidenza dei presupposti legittimanti l’accesso alla risoluzione e alla riduzione del prezzo, giacché – seppure in generale rimarchi
che «ne’ medesimi casi e per le stesse cause per le quali compete l’azione
Redibitoria, può aver luogo anche l’azione Estimatoria» – egli precisa altresì che quest’ultima compete al compratore anche «per altre cause per
le quali non competerebbe» la prima, esemplificate con il riferimento a
“pesi” che gravano sulla cosa e che, se fossero stati conosciuti dal compratore prima della conclusione del contratto, lo avrebbero indotto a pagare un corrispettivo minore151. In tal modo, la quanti minoris viene
estesa anche ad imperfezioni dell’attribuzione patrimoniale che esulano
dal concetto di “vizio materiale”, abbracciando fattispecie assimilabili a
quelle cui fa riferimento il nostro attuale codice civile all’art. 1489152.
Nel definire i contenuti dell’azione estimatoria, Pothier fa espresso
riferimento all’obbligo del venditore di restituire al compratore (o di
astenersi dall’esigere) una parte del prezzo pari a «quanto meno si giudicherà che il compratore avrebbe pagata la cosa se avesse conosciuti i vizii ed i pesi della cosa, per la quale è stata promossa l’azione»153.
Nonostante l’assetto della garanzia per vizi del codice civile francese
sia fortemente tributario dell’elaborazione del giurista di Orléans, proprio con riferimento all’azione quanti minoris si registra una divergenza
fra il testo di legge e l’adozione del metodo di calcolo tramandato dalla
formula recenziore del Digesto, che abbiamo visto essere operata da
Pothier. L’art. 1644 c.c.f., infatti, sancisce che in presenza di vizi nella res
vendita «l’acheteur a le choix de rendre la chose et de se faire restituer le
prix, ou de garder la chose et de se faire rendre une partie du prix, telle
qu’elle sera arbitrée par experts». In tal modo, il legislatore francese si
delle componenti dalle quali dipende il modo specifico di atteggiarsi della soluzione del problema e rimanga perciò momento ineliminabile dell’attività del giurista» (p. 418).
150 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura
di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 7 s.
151 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura
di A. Bazzarini, cit., p. 32.
152 Infatti, il giurista d’Orléans fa riferimento proprio all’ipotesi in cui l’immobile acquistato risulti gravato da una servitù prediale, rientrante nell’ampia nozione di «cosa gravata
da oneri o da diritti di godimento di terzi» di cui all’odierno art. 1489 c.c.
153 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura
di A. Bazzarini, cit., p. 47.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
39
esime dal prendere posizione in ordine al contenuto dell’azione e, addirittura, sottrae la determinazione della decurtazione al potere del giudice,
ritenendosi comunemente che questi non possa sostituirsi agli esperti154.
Sebbene anche il codice italiano del 1865 si distacchi dalla lezione di
Pothier e non prenda un’esplicita posizione in ordine al contenuto dell’azione di riduzione del prezzo, l’art. 1501 c.c. 1865 consente al compratore
di cosa viziata la scelta fra «rendere la cosa e farsi restituire il prezzo» e
«ritenerla [e] farsi restituire quella parte di prezzo, che sarà determinata
dall’autorità giudiziaria», senza imporre il ricorso all’ausilio peritale.
Può, pertanto, ben dirsi che il codice francese del 1804 e quello italiano del 1865, che anche in materia di garanzia per vizi ne riproduce in
larga parte i contenuti e le scelte di fondo, con riferimento alla quanti minoris assumano un atteggiamento di totale apertura nei confronti della
sua estensione a ogni compravendita, a prescindere dall’oggetto della
medesima, ma rinuncino a prendere posizione sul contenuto stesso del
mezzo di tutela, operando un mero rinvio alla determinazione periziale o
giudiziale, senza procedere all’individuazione dei criteri determinativi da
applicare nello svolgimento di tale operazione155.
7.
La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e BGB
L’analisi della traiettoria storica che precede l’emanazione del codice
civile italiano del 1942 non può prescindere dalla considerazione dell’elaborazione teorica dell’Ottocento di area germanica, caratterizzata da
una pronunciata e feconda discussione su due importanti aspetti che rivestono particolare interesse in questa sede, ovverosia l’identificazione,
da un canto, del rapporto sussistente fra il concetto di “vizio materiale”
e quello di “errore” sulle qualità e correlativamente fra i rispettivi strumenti di tutela nonché, dall’altro, dell’“interesse” tutelato dall’actio
quanti minoris.
154 Così, ancora di recente, Cass. fr., 10 novembre 1999, in Bull. Civ., 1999, n. 217.
155 Su questo punto si veda quanto si dirà nel corso del Capitolo 3. Peraltro, fin d’ora
è opportuno avvertire che il legislatore francese ha modificato l’art. 1644 c.c.f. a mezzo dell’art. 10, Loi n° 2015-177 del 16 febbraio 2015 «relative à la modernisation et à la simplification du droit et des procédures dans les domaines de la justice et des affaires intérieures», il
quale ha eliminato il riferimento alla determinazione da parte degli esperti. Al contempo, il
Projet d’Ordonnance portant Reform du Droit des Contrats, du régime général et de la preuve
des Obligations, presentato nei primi mesi del 2015 e di cui si prevede l’approvazione entro
la fine del medesimo anno, prevede l’introduzione nel Code civil di una disposizione generale
in materia di riduzione del prezzo (art. 1223) avente il seguente tenore: «Le créancier peut
accepter une exécution imparfaite du contrat et réduire proportionnellement le prix. S’il n’a pas
encore payé, le créancier notifie sa décision dans les meilleurs délais».
40
CAPITOLO PRIMO
Prima di addentrarci nell’analisi di tali aspetti, però, è opportuno accennare allo sviluppo legislativo che già nel 1811 aveva condotto alla codificazione austriaca, la quale in materia di vizi materiali ha adottato le
azioni edilizie tramandateci dalla tradizione romana, affiancandole però
alla pretesa all’esatto adempimento mediante Verbesserung. Con specifico
riferimento alla tutela estimatoria, il § 932 ABGB recupera parte delle tendenze del diritto comune, tracciandone un ambito applicativo differente
rispetto a quello tipico della redibitoria: l’accesso a quest’ultima, infatti, è
circoscritto ai soli casi più gravi, mentre allorché il difetto della res vendita
non ne impedisca il normale uso il compratore deve contentarsi della riduzione del corrispettivo156. Il codice austriaco non prende, però, posizione circa i contenuti della riduzione del prezzo, limitandosi a sancire la
possibilità dell’acquirente di ottenere una «angemessene Minderung».
I fondamenti e la sostanza della riduzione del prezzo hanno costituito, invece, oggetto di approfondimento da parte di taluni dei più importanti giuristi germanici dell’Ottocento.
Nella teoria dell’errore esposta nel System des heutigen Römischen
Rechts, Savigny asserisce che, di regola, l’Irrthum im Beweggrunde non
reagisce in alcun modo sull’efficacia e la validità della dichiarazione di
volontà157, ma aggiunge che tale principio soffre un’eccezione proprio
con riferimento alle azioni concesse al compratore in relazione ai vizi
della cosa, le quali pertanto avrebbero il carattere di strumenti di tutela
contro la decisione di concludere il contratto causata da una falsa rappresentazione della realtà158. In tale quadro, l’azione estimatoria è intesa
come avente lo scopo di ridurre il corrispettivo pattuito sulla base dell’errore dell’acquirente sulle qualità della res vendita e quindi non è volta
alla realizzazione del vermögensmäßige Interesse di costui – consistente
nel fatto che la cosa possieda effettivamente le qualità che egli si era rap156 Cfr. § 932 ABGB (testo in vigore fino al 31 dicembre 2001): «(1) Ist der die Gewährleistung begründende Mangel von der Art, daß er nicht behoben werden kann und daß er
den ordentlichen Gebrauch der Sache verhindert, so kann der Übernehmer die gänzliche
Aufhebung des Vertrages, wenn hingegen der Mangel den ordentlichen Gebrauch nicht
verhindert oder wenn er behoben werden kann, entweder eine angemessene Minderung des
Entgelts oder die Verbesserung oder den Nachtrag des Fehlenden fordern. In allen Fällen haftet
der Übergeber für den verschuldeten Schaden. (2) Eine unerhebliche Minderung des Wertes
kommt nicht in Betracht».
157 F.C. VON SAVIGNY, System des heutigen Römischen Rechts, III, Berlin, 1840, p. 112
ss. e 354 ss.
158 Secondo Savigny, infatti, le azioni edilizie sono strettamente connesse «mit der Lehre
vom Irrthum, worin er als positive Ausnahme erscheint von der Regel, nach welcher der
Irrthum kein Einfluß auf die Gültigkeit der Verträge hat» (F.C. VON SAVIGNY, System des
heutigen Römischen Rechts, III, cit., p. 358 s.)
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
41
presentato – né, pertanto, la determinazione del quantum della decurtazione può essere operata attribuendo al compratore le utilità equivalenti
al suo Erfüllungsinteresse159.
È appena il caso di notare come l’accostamento delle discipline in
materia di vizi e di errore fosse già stato positivizzato dall’ALR prussiano
del 1794, il cui § 329 (I, 5) faceva rinvio alla regolamentazione in materia
di errore sulle qualità della cosa normalmente presupposte160 o espressamente pattuite fra le parti, contenuta ai §§ 81 e 82 (I, 4)161, in relazione
all’ipotesi in cui la cosa venduta si rivelasse non conforme162. Tale scelta
aveva, peraltro, innescato notevoli problemi di coordinamento fra le
norme generali menzionate e quelle dettate per la garanzia in materia di
compravendita giacché, da un canto, le prime sancivano l’invalidità della
dichiarazione di volontà mentre le seconde presupponevano la vincolatività del negozio163 e, dall’altro, il rinvio in parola non conteneva alcun
criterio che guidasse l’interprete nell’applicazione dei mezzi di tutela dichiarati applicabili. Ciò aveva condotto il Reichsgericht, dopo lunghe incertezze, ad affermare che la disciplina comune in materia di errore potesse (e dovesse164) essere invocata soltanto nel tempo anteriore alla consegna della cosa, ovvero allorché questa non fosse mai stata effettuata,
mentre a seguito della traditio avrebbero trovato applicazione esclusiva
delle regole speciali sui vizi165.
Peraltro, l’impostazione adottata da Savigny, pur trovando un certo
favore, non è rimasta indiscussa. Una diversa ricostruzione delle tutele
edilizie, affrancata dal tema dell’errore, è offerta da Mommsen, secondo
il quale esse debbono essere intese come volte a sanzionare la mancata
informazione del compratore in ordine alle deficienze qualitative del
bene. In particolare, pur essendo possibile un’espressa pattuizione in ordine a determinate caratteristiche, l’acquirente non potrebbe giammai
vantare una pretesa in ordine alle qualità della res vendita, sicché le
159 Cfr.
160 Tali
U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 31.
qualità, peraltro, dovevano essere essenziali: cfr. F. FÖRSTER - M.F. ECCIUS,
Preußisches Privatrecht, I, Berlin, 1892, p. 159.
161 § 81 (I, 5) ALR: «Irrthum in solchen Eigenschaften der Person oder Sache, welche
dabey gewöhnlich vorausgesetzt werden, entkräftet ebenfalls die Willenserklärung». § 82 (I, 5)
ALR: «Doch besteht dieselbe, wenn der Irrende durch eignes grobes oder mäßiges Versehen
seinen Irrthum veranlaßt hat».
162 § 329 (I, 5) ALR: «Fehlen der Sache solche Eigenschaften, die dabey gewöhnlich
vorausgesetzt werden, so finden die Vorschriften des vierten Titels §. 81. 82. Anwendung».
163 In questo senso, infatti, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai
fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 347.
164 Secondo la pronuncia del Reichsgericht di cui stiamo per dire, infatti, non si dava alcuna concorrenza fra tutele di diritto comune e azioni speciali in materia di compravendita.
165 Cfr. RG 11 maggio 1885, in RGZ 13, p. 281 ss.
42
CAPITOLO PRIMO
azioni edilizie non sono dirette alla tutela dell’interesse an der Leistung
der Kaufsache mit den zugesicherten Eigenschaften166, ma soltanto a consentire al compratore di non rimanere vincolato a un contratto formatosi
sotto l’influenza di un comportamento scorretto del venditore167. In tale
quadro il contenuto dell’azione quanti minoris è identificato con «eine
verhältnismäßige Reduction des Kaufpreises»168, recuperando il criterio
determinativo tipico dell’azione contrattuale romana169.
Pertanto, nonostante il diverso fondamento ascritto alla responsabilità del venditore, Mommsen e Savigny sono concordi nel negare che l’azione sia funzionale rispetto al riconoscimento al compratore delle utilità
che egli avrebbe potuto conseguire qualora il bene fosse stato privo di
vizi e le riconoscono un identico oggetto, determinato in riferimento alla
difettosità della controprestazione170.
A entrambe queste ricostruzioni si oppone quella di Jhering, secondo il quale, mentre l’azione redibitoria – ponendo nel nulla il contratto – tutelerebbe l’interesse negativo del compratore, quella estimatoria sarebbe diretta a far valere il positive Vertragsinteresse171. Tale opinione, peraltro, è rimasta isolata giacché la maggior parte degli interpreti
germanici della fine del XIX secolo è concorde nel ritenere che l’actio
quanti minoris trovi il proprio fondamento nel fatto che il compratore ha
pagato un determinato prezzo in ragione dell’aspettativa che la res vendita possedesse determinate caratteristiche o fosse esente da vizi, sicché
esso risulta “sproporzionato” e irragionevole qualora tali caratteristiche
non sussistano ovvero i difetti siano presenti172.
166 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem
Interesse, Braunschweig, 1855, p. 280 ss.
167 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem
Interesse, cit., p. 282: «das Aedilicische Edict beim Verkäufer keine Verpflichtung zur Präestation gewisser Eigenschaften, sondern nur die Verpflichtung zur Anzeige gewisser Mängel
auflegt».
168 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Erste Abtheilung: Die Unmöglichkeit
der Leistung in ihrem Einfluß auf obligatorische Verhältnisse, Braunschweig, 1853, p. 197.
169 Infatti, secondo Mommsen, «das Recht der theilweisen Zurückforderung des Kaufpreises sich allein darauf gründet, daß der Käufer, wenn der Mangel angezeigt wäre, die Sache
nicht zu dem bedungenen, sondern nur zu einem geringeren Preise gekauft hätte»: F. MOMMSEN,
Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem Interesse, cit., p. 282.
170 Nello stesso senso, nel quadro di un confronto fra le teorie di Mommsen e Savigny,
U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 33, il quale così conclude: «Dann aber ist der
Minderungsbetrag aus der Differenz zwischen dem vereinbarten und dem in Hinsicht auf die
fehlerhafte Kaufsache hypothetischen, niedrigeren Kaufpreis zu ermitteln».
171 R. VON JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadenserstatz bei nichtigen oder nicht
zur Perfection gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, p. 17.
172 Si veda, infatti, A. HELLWEG, Über die Berechnung der Preisminderung bei der actio
quanti minoris, cit., p. 35 ss., laddove si legge: «Die actio quanti minoris geht nicht auf das
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
43
In questo senso si pronuncia Windscheid, il quale sostiene che «la
ragione alla diminuzione di prezzo tende appunto alla diminuzione del
prezzo d’acquisto, cioè della somma convenuta precisamente nella compra di cui è caso. Essa non tende alla rifusione del valore, che la cosa ha
in meno per causa del vizio, giusta l’estimazione oggettiva»173. Come già
abbiamo avuto modo di dire, secondo questo illustre Autore, il più volte
ricordato contrasto esistente nelle fonti romane circa il contenuto dell’azione – che si riverbera nel criterio determinativo dell’aestimatio vitii e
che numerosi problemi ha posto all’elaborazione dottrinale successiva –
sarebbe sostanzialmente frutto del fatto che le fonti romane presuppongono la coincidenza del prezzo vero con il valore della cosa, sicché i risultati delle due formule – “quanti minoris res fuerit” e “quanto minoris
empturus fuerit” – vengono a coincidere174.
Il ruolo di rimedio volto a tutelare l’interesse del compratore alla
prestazione sarebbe svolto, secondo l’opinione maggioritaria, dall’azione
contrattuale, la quale nell’evoluzione teorica tende ad abbandonare i plurimi contenuti che la caratterizzavano nelle fonti romane, assumendo un
connotato spiccatamente risarcitorio e venendo soppiantata – per quanto
attiene agli effetti risolutori e alla riduzione del corrispettivo – dall’applicazione dei rimedi edilizi per tutte le compravendite, conformemente alla
prevalente concezione del tempo, secondo cui siffatta estensione sarebbe
stata già rinvenibile nel diritto romano post-classico e giustinianeo.
Proprio alla ricostruzione propugnata da Windscheid si riallaccia
sostanzialmente la codificazione civile germanica del 1896, il cui § 459
aF175, collocato in apertura dell’Untertitel intitolato alla Gewährleistung
wegen Mängel der Sache, dispone che «Der Verkäufer einer Sache haftet
dem Käufer dafür, daß sie zu der Zeit, zu welcher die Gefahr auf den Käufer übergeht, nicht mit Fehlern behaftet ist, die den Wert oder die Tauglichkeit zu dem gewöhnlichen oder dem nach dem Vertrage vorausgesetzten
Gebrauch aufheben oder mindern» e correlativamente concede (§ 462
Erfüllungsinteresse, es soll durch sie dem Käufer nicht gewährt werden, was er haben würde,
falls der Fehler oder der Mangel nicht vorhanden wäre, sondern sie geht nur auf die Minderung
des Kaufpreises, d.h. der Gegenleistung; es soll dem Käufer vom Kaufpreis zurückerstattet
werden, was er aus Unkenntnis des Fehlers zuviel gezahlt hat» (p. 40).
173 B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit.,
p. 523.
174 B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit.,
p. 523 nota 1.
175 Con l’abbreviazione “aF” (alte Fassung), di comune impiego nella letteratura tedesca, si intende fare riferimento – qui e in tutti i successivi luoghi del presente scritto – al testo della codificazione germanica precedente alla profonda riforma operata con la Schuldrechtsmodernisierung del 2002. Le disposizioni modificate o inserite con tale importante “novella” verranno invece indicate con l’abbreviazione “nF” (neue Fassung).
44
CAPITOLO PRIMO
aF176) all’acquirente della res difettosa i rimedi della Wandlung e della
Minderung177. Il BGB, pertanto, adotta le tipiche azioni edilizie, affermandone l’applicazione a tutte le compravendite, a prescindere dall’oggetto delle medesime, e concede – in alternativa a queste – l’azione risarcitoria (§ 463 aF) per i vizi dolosamente taciuti e per le carenze riguardanti qualità promesse.
In forza del § 472 aF il compratore di cose viziate può ottenere una
riduzione del corrispettivo pattuito nella misura del rapporto fra il valore
della cosa viziata e quello che essa avrebbe posseduto ove fosse stata
esenta da vizi. In tal modo, coerentemente con quanto suggerito da
Windscheid, il legislatore germanico adotta un criterio relativo che possiede l’attitudine a regolare tutte le ipotesi, comprese quelle in cui fra il
prezzo convenuto e il valore effettivo della res vendita non vi sia coincidenza. Può, pertanto, concludersi che l’ordinamento germanico ha portato a compimento non soltanto l’ampliamento dell’ambito di operatività
delle tutele edilizie e la precisazione dei contorni dei rapporti fra queste
e il rimedio risarcitorio, ma ha altresì superato il contrasto (apparente,
come abbiamo visto) delle fonti in ordine al contenuto dell’azione estimatoria, propendendo per la sua determinazione in relazione al prezzo
che il compratore avrebbe pagato qualora fosse stato conscio della difettosità dell’attribuzione patrimoniale del venditore.
8.
La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano
Nel confermare l’applicazione della riduzione del prezzo a tutte le
compravendite, l’art. 1492 del codice civile italiano del 1942 si è sostanzialmente posto in una linea di piena continuità con la codificazione previgente. Peraltro, contrariamente a quanto accaduto nell’esperienza ger176 § 462 aF: «Wegen eines Mangels, den der Verkäufer nach den Vorschriften der §§ 459,
460 zu vertreten hat, kann der Käufer Rückgängigmachung des Kaufes (Wandelung) oder
Herabsetzung des Kaufpreises (Minderung) verlangen».
177 Peraltro, anche prima della Schuldrechtsmodernisierung del 2002, il § 480, I, BGB
concedeva al compratore di cosa generica il diritto di pretendere, in alternativa alle ordinarie
azioni redibitoria ed estimatoria, l’esatto adempimento mediante sostituzione del bene
(Nachlieferung). Ma sulla ratio di tale differenziazione e sull’esclusiva applicazione della disposizione richiamata con riferimento al Gattungskauf, cfr. STAUDINGER/H. HONSELL, sub
§ 480, 12. Aufl., Berlin, 1978, passim; K. HERBERGER, Rechtsnatur, Aufgabe und Funktion der
Sachmängelhaftung nach dem Bürgerlichen Gesetzbuch, Berlin, 1974, p. 95 ss.; PALANDT/H.
PUTZO, sub § 480, 61. Aufl., München, 2002, passim. Nella nostra letteratura, per un’agile sintesi dei diversi assetti vigenti in Germania prima e dopo la Schuldrechtsmodernisierung del
2002 e informazioni sul dibattito che ha condotto al superamento dell’articolazione originaria, cfr. C. RINALDO, La sostituibilità del bene nella vendita di species al consumatore. Italia e
Germania: due ordinamenti a confronto, in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 533 ss.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
45
manica, il nostro legislatore non ha preso posizione in relazione al delicato problema inerente all’oggetto della quanti minoris e, pertanto, alla
quantificazione della decurtazione del corrispettivo, cui la disposizione
non dedica alcun cenno, essendo altresì venuta meno l’indicazione secondo la quale questa avrebbe dovuto costituire oggetto di determinazione da parte dell’autorità giudiziaria (art. 1501 c.c. 1865).
Il codice attualmente vigente ha sostanzialmente adottato lo strumentario di tutele del compratore nei confronti dei vizi della res vendita
che già caratterizzava la garanzia contemplata dalla codificazione abrogata, attribuendo a costui l’alternativa fra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo e confermandone l’applicazione a ogni compravendita, a prescindere dall’oggetto della medesima.
Al contempo, il rimedio178 estimatorio è stato apertis verbis impiegato non soltanto per disciplinare le conseguenze dell’evizione parziale
(art. 1484 c.c.)179, ma altresì le fattispecie di parziale altruità della cosa
178 Come noto, quella rimediale è una categoria che è pervenuta agli ordinamenti continentali da quelli di common law, presso i quali il “rimedio” è inteso quale strumento di soddisfazione di un bisogno di tutela, per lo più legato al verificarsi di una violazione di un interesse
riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico (cfr. S. MAZZAMUTO - A. PLAIA, I rimedi nel
diritto privato europeo, Torino, 2012, p. 1 ss.; A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa
dir. priv., 2005, p. 341 ss.; ID., La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 13 ss.; F. PIRAINO,
Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, p. 178 ss.). L’adozione dell’ottica rimediale, secondo i suoi più autorevoli sostenitori, si traduce nell’idea secondo cui «dominante
è l’aspetto riguardante la disponibilità del rimedio (in occasione di un torto ricevuto) mentre
l’interesse protetto ne rappresenterà soltanto il posterius (ubi remedium ibi ius)» (A. DI MAJO,
La tutela civile dei diritti, cit., p. 15).
È, peraltro, opportuno avvertire sin d’ora come il termine “rimedio” nella presente
trattazione non verrà impiegato nel senso stretto e tecnico in cui viene utilizzato, fra gli altri,
dagli Autori citati poc’anzi giacché, da un canto, la presente ricerca si pone quale obiettivo
non soltanto la complessiva indagine della riduzione del prezzo in sé e per sé considerata ma
altresì quello di porre in luce la forte omogeneità delle singole fattispecie di lesione di interessi protetti che consentono di esercitare l’“azione” estimatoria e, dall’altro, quest’ultima
forma di tutela è storicamente estranea proprio agli ordinamenti nei quali si è formata la categoria rimediale, sicché potrebbe apparire improprio assumere tale ottica nell’analisi di un
tema squisitamente tipico della tradizione giuridica continentale.
Sia pertanto consentito l’impiego del termine “rimedio” nel corso della presente trattazione quale mero sinonimo di “forma di tutela” o “mezzo di tutela”, emancipato dall’adozione di una categoria imperniata sulla riconosciuta precedenza del rimedio rispetto al diritto.
179 Invero, già l’art. 1493 c.c. 1865 prevedeva, in relazione a questa ipotesi, il diritto del
compratore al “rimborso” di una parte del prezzo pagato («Se nel caso di evizione di una
parte del fondo venduto non si è sciolta la vendita, il compratore sarà rimborsato dal venditore del valore della parte colpita dall’evizione secondo la stima al tempo dell’evizione, e non
in proporzione del prezzo totale della vendita, tanto se la cosa venduta sia aumentata, quanto
se sia diminuita di valore»). Tale disposizione, peraltro, adottava esplicitamente un metodo di
determinazione della parte di corrispettivo da restituire che si ispirava ai c.d. criteri assoluti
(cfr. in argomento il par. 2 del Capitolo 3).
46
CAPITOLO PRIMO
venduta (art. 1480 c.c.) e quelle in cui sussistano oneri o diritti di terzi
che limitano il godimento del bene da parte dell’acquirente (art. 1489
c.c.)180. Anche con riferimento a tali fattispecie, però, non è stata dettata
una precisa metodologia di computo della riduzione, né si è provveduto
a disciplinare il contenuto dell’azione di danni con essa concorrente.
Alla normativa codicistica, in tempi ormai non più recenti, si sono
aggiunti due importanti provvedimenti caratterizzati da un campo di applicazione speciale, i quali hanno dettato una regolamentazione settoriale
proprio con riferimento alla responsabilità del venditore per difetti della
cosa, discostandosi sotto molti aspetti dalla disciplina comune della vendita regolata dal codice civile.
Il primo di questi provvedimenti, che del secondo ha costituito l’archetipo e la principale fonte ispiratrice, è costituito dalla Convenzione di
Vienna dell’11 aprile 1980, in materia di contratti di compravendita internazionale di merci181. Tale convenzione appresta una disciplina articolata dei contratti di compravendita di beni mobili conclusi fra parti
aventi la loro sede d’affari in Stati differenti (art. 1, comma 1 CISG) e diretti a soddisfare finalità estranee al consumo finale (art. 2 CISG) e contempla una dettagliata e unitaria regolamentazione delle fattispecie di
inadempimento delle parti, imperniata – per quanto specificamente attiene al venditore – sull’obbligo di consegnare beni conformi alle pattuizioni contrattuali e sulla previsione di un apparato di mezzi di tutela del
compratore che arricchisce la tradizionale alternativa fra risoluzione del
contratto (art. 49 CISG) e riduzione del prezzo (art. 50 CISG) con l’espressa previsione del diritto all’adempimento, alla sostituzione o alla riparazione della cosa (art. 46 CISG), alla sospensione dell’esecuzione (art.
71 CISG) e al risarcimento del danno (art. 45 e artt. 74 ss. CISG).
Il secondo provvedimento intervenuto in materia sul finire del secolo scorso è rappresentato dalla dir. 1999/44/CE182, che costituisce una
180 Con riferimento all’ipotesi in cui il fondo alienato fosse gravato da servitù non apparenti non dichiarate, l’art. 1494 c.c. 1865 prevedeva che qualora queste fossero «di entità tale
da far presumere che il compratore, ove ne fosse stato avvertito, non lo avrebbe comprato, egli
può domandare lo scioglimento del contratto, quando non prescelga di contentarsi di un’indennità». Com’è immediato riconoscere, il legislatore del 1865 faceva riferimento al concetto
di “indennità”, senza precisarne le modalità di calcolo, ma soprattutto disciplinava soltanto
una ben precisa fattispecie di limitazione del godimento – consistente nella presenza di servitù
prediali non dichiarate – attinente a un “fondo”, e non a qualsiasi tipologia di res vendita.
181 Intendiamo riferirci, ovviamente, alla “United Nations Convention on Contracts for
the International Sale of Goods”, adottata a Vienna l’11 aprile 1980 e ratificata dall’Italia con
legge 11 dicembre 1985, n. 765. D’ora innanzi tale testo normativo sarà citato come “CISG”
o come “Convenzione di Vienna”.
182 Si tratta della dir. 1999/44/CE del 25 maggio 1999 del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa a «taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», che gli
Stati membri erano tenuti a recepire negli ordinamenti interni entro il 1° gennaio 2002.
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
47
misura di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, adottata
nel quadro della realizzazione del “mercato interno” e al fine di «tutelare
gli interessi dei consumatori», a mezzo della quale le istituzioni europee
hanno inteso ammodernare i diritti nazionali, ritenuti in molti casi «inadatti alle realtà economiche attuali di produzione e commercializzazione
di massa»183, dettando un corpus di regole moderne ed efficienti destinate
a imporre al venditore-professionista l’obbligo di consegnare beni
conformi al contratto (art. 2, dir. 1999/44/CE) e a delineare il regime di
responsabilità di costui nei confronti dell’acquirente-consumatore in caso
di inadempimento del predetto obbligo (art. 3, dir. 1999/44/CE), attraverso la previsione di un sistema fortemente influenzato da quello della
Convenzione di Vienna.
In esito alla ratifica della CISG e al recepimento della direttiva in
materia di vendite di beni di consumo, il nostro ordinamento è pertanto
connotato da più statuti di responsabilità del venditore fra loro assai differenti, tutti destinati a consentire al compratore di ottenere tutela a seguito del trasferimento di un bene affetto da difetti materiali. Da un
canto, infatti, le disposizioni generali in materia di “garanzia per vizi”
(artt. 1490 ss. c.c.) sono applicabili tendenzialmente alla generalità delle
compravendite, hanno riguardo a ipotesi di responsabilità ritenute per lo
più non riconducibili all’inadempimento di una obbligazione e consentono all’acquirente la scelta fra risolvere il contratto e ottenere una riduzione del prezzo pattuito; dall’altro, con riferimento alle vendite di beni
di consumo184 concluse da consumatori con professionisti, gli artt. 129 e
130 c.cons. – in attuazione degli artt. 2 e 3, dir. 1999/44/CE – sanciscono
una chiara responsabilità per inadempimento, la quale consente all’acquirente, in primo luogo, di far valere le pretese alla regolarizzazione
della prestazione e, in via sussidiaria, di ridurre il corrispettivo pattuito o,
purché il difetto del bene non abbia carattere minore, di sciogliere il contratto; dall’altro ancora, in relazione ai contratti di compravendita stipulati senza finalità di consumo con riferimento ai quali ricorrano i requisiti
183 Così la Relazione alla Proposta di direttiva del
184 Invero, come reso evidente dall’art. 1, par. 2,
1996, in COM (1995) 520 def., p. 5.
lett. c) e d), la dir. 1999/44/CE e le
corrispondenti norme di attuazione trovano applicazione a tutti e soltanto i negozi di scambio che obbligano una parte (il “venditore”) a fornire all’altra un bene di consumo verso la
prestazione di un corrispettivo (cfr. G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 24), così delinenando un campo di applicazione che
esorbita dai limiti deducibili dall’art. 1470 c.c., per abbracciare anche la somministrazione, il
contratto d’opera e l’appalto aventi ad oggetto beni di consumo (G. DE CRISTOFARO, Difetto
di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 31 s.; H. EHMANN - U. RUST, Die
Verbrauchsgüterkaufrichtlinie - Umsetzungsvorschläge unter Berücksichtigung des Reformentwurfs der deutschen Schuldrechtskommission, in JZ, 1999, p. 856).
48
CAPITOLO PRIMO
di applicazione sanciti dall’art. 1 CISG185, gli artt. 35 ss. della Convenzione di Vienna prevedono una responsabilità del venditore per l’inadempimento dell’obbligazione di conformità, la quale comporta la soggezione del medesimo all’articolata serie di rimedi sanciti dall’art. 45
della medesima Convenzione, cui si è accennato poc’anzi e connotata da
uno spiccato sfavore per la risoluzione del contratto (art. 49 CISG).
Nel quadro di tale multiforme atteggiarsi degli apparati rimediali
posti a disposizione del compratore cui siano trasferiti beni affetti da difetti materiali, va notato come i due più recenti provvedimenti normativi
abbiano pienamente confermato a favore di costui la concessione del rimedio estimatorio, che anzi appare connotato ormai non soltanto dalla
generalità dell’ambito di applicazione – potendo essere esercitato in relazione a qualsiasi difetto di conformità della res vendita, ancorché non caratterizzato da una gravità tale da integrare un vizio redibitorio ai sensi
dell’art. 1492 c.c. – ma altresì da una spiccata prevalenza nei confronti
della risoluzione, la quale risulta riservata alle sole ipotesi connotate da
maggiore gravità e in relazione alle quali i rimedi che consentono la conservazione del rapporto contrattuale non abbiano consentito al compratore di ottenere idonea tutela.
Peraltro, se il diritto uniforme ha provveduto a dettare un’analitica
disciplina della quanti minoris – e, in particolare, delle sue modalità di
calcolo – altrettanto non può dirsi invece della dir. 1999/44/CE e delle
disposizioni interne di recepimento, le quali hanno semplicemente affermato la titolarità del rimedio in capo all’acquirente di beni difettosi, limitandosi a prevedere che la decurtazione del corrispettivo sia “adeguata” o “congrua”.
Le profonde diversità che caratterizzano le singole disposizioni che
accordano al compratore di beni difettosi il rimedio estimatorio richiedono pertanto di procedere all’analisi di tali disposizioni al fine di verificare quali siano la natura e la funzione del mezzo di tutela in discorso e,
in particolare, se sia possibile delineare un regime di disciplina unitario
del medesimo e delle conseguenze del suo esperimento. A tale riflessione
saranno dedicati i prossimi due Capitoli, mentre nei successivi si indagherà il rapporto corrente fra la riduzione del corrispettivo e gli altri
mezzi di tutela del compratore di beni difettosi.
Prima di iniziare tale indagine, però, crediamo doveroso dedicare almeno un cenno al delicato profilo attinente alla natura giuridica della re185 Art. 1 CISG: «La presente Convenzione è applicabile ai contratti di compravendita
di merci tra parti che hanno stabile organizzazione in Stati diversi: a) se tali Stati sono Stati
contraenti; o b) se le norme di diritto internazionale privato sfociano nell’applicazione della
legge di uno Stato contraente»
LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO
49
sponsabilità del venditore, che si confronta, da un canto, con le riflessioni condotte con riferimento all’art. 1490 e, ancor prima, agli apparati
di tutela del compratore di derivazione romanistica succedutisi nel nostro e negli ordinamenti vicini, in relazione ai quali per lungo tempo è
stato vigorosamente negato che la “garanzia per vizi” possa essere ricondotta all’inadempimento di un’obbligazione186 e, dall’altro, con la chiara
opzione adottata dalla CISG e dalla dir. 1999/44/CE nel senso di gravare
l’alienante dell’obbligo di consegnare al venditore beni conformi al contratto187.
Riteniamo peraltro che il persistente dibattito riguardante tale profilo non impedisca di valorizzare la fondamentale unitarietà della riduzione del prezzo quale mezzo di reazione all’inattuazione della c.d. lex
contractus188, dia luogo quest’ultima all’inadempimento di un’obbligazione ovvero costituisca l’inesecuzione di un precetto negoziale non tutelato nella forma del diritto di credito. Invero, come messo acutamente in
luce da autorevole dottrina, «il rapporto di corrispettività, il sinallagma,
corre non sempre e necessariamente fra due obbligazioni, ma, ancor più
in generale, fra due attribuzioni patrimoniali: una delle due parti, cioè, o
anche ciascuna delle due, può, invece di assumere obbligazioni, trasferire
186 Nell’impossibilità di fornire indicazioni esaustive e limitandoci per il momento agli
Autori italiani, fra i tanti cfr., pur con diversità di accenti, L. MENGONI, Profili di una revisione
della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 11 ss.; C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, cit., p. 418 ss.; A. DI MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano,
1967, p. 300 ss.; C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1989, p. 82; A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, p. 529 ss.; S. MAZZAMUTO, Equivoci e concettualismi
nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita di beni di consumo, in Europa dir.
priv., 2004, p. 1029 ss. Più ampie indicazioni saranno fornite nei Capitoli seguenti, nei luoghi
opportuni.
187 Sul punto si vedano fin d’ora, con riferimento alla Convenzione di Vienna, KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, München, 2011, Rn. 60 ss.; H.M.
FLECHTNER, Excluding CISG Article 35(2) Quality Obligations: The “Default Rule” vs. The “Cumulation” View, in International Arbitration and International Commercial Law: Synergy, Convergence and Evolution. Liber Amicorum in Honor of Professor Eric Bergsten, Alphen aan den
Rijn, 2011, p. 571 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht,
Berlin, 2013, Rn. 17 ss.; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 35 CIGS, 2. Aufl.,
München, 2011, Rn. 11 ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, 6. Aufl.,
München, 2013, Rn. 12 ss., e, in relazione alla dir. 1999/44/CE e alle norme di recepimento
della medesima, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore,
cit., p. 47 ss.; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa e dir. priv., 2002, p. 20; E. CORSO, sub art. 1519-ter, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 54 s.; G. AMADIO, Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 240. Contra, peraltro, A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., p. 525 ss.
188 In proposito, v. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 229 ss.
50
CAPITOLO PRIMO
all’altra un proprio diritto, e trasferirlo come effetto del semplice consenso, senza che per ciò venga meno la natura di contratto corrispettivo;
sempre purché fra le due attribuzioni patrimoniali corra, appunto, il particolare nesso di corrispettività, la quale ultima, poi, a mio avviso, è […]
da intendere nel senso di sinallagmaticità, secondo il significato tradizionale di questo termine»189.
Poiché gli strumenti di tutela del compratore rispetto ai difetti del
bene costituiscono mezzi di tutela proprio nei confronti dei difetti che
connotano la “prestazione” del venditore e la natura della “garanzia” assunta dall’alienante – come vedremo – tendenzialmente non reagisce sui
caratteri della tutela estimatoria, nel prosieguo della presente ricerca faremo riferimento al fenomeno della presenza di difformità fra il risultato
traslativo atteso e quello concretamente prodottosi impiegando (almeno
con riferimento alle fattispecie regolate dal codice civile) le nozioni di
inattuazione o difettosità dell’“attribuzione patrimoniale” e di violazione
della “lex contractus”.
189 Cfr.
D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 303.
Condivide il pensiero di Rubino anche L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla
garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 17.
CAPITOLO SECONDO
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA
DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
SOMMARIO: 1. La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione
patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per il compratore: i c.d.
“vizi giuridici”. – 2. (Segue) Le difformità materiali. – 3. L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto di ridurre il prezzo. – 4. (Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale. – 5. La funzione della riduzione
del prezzo: la conservazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al momento della conclusione del contratto. – 6. La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale. – 7. La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse.
1.
La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per il
compratore: i c.d. “vizi giuridici”
Nata nell’epoca romana classica quale mezzo di tutela del compratore nei confronti dei vizi materiali occulti della res vendita e passata attraverso una lunga, travagliata e non sempre lineare evoluzione, che abbiamo tratteggiato nel Capitolo precedente, nel moderno diritto italiano
la riduzione del prezzo – come si è visto – non costituisce più un rimedio
esclusivamente legato alla c.d. garanzia per vizi, tramandataci dalle fonti
romane.
È lo stesso codice civile del 1942 a prevedere che il compratore
possa fare ricorso alla tutela estimatoria non soltanto quando gli siano
trasferiti beni difettosi, ma altresì allorché abbia acquistato una cosa rivelatasi parzialmente altrui (art. 1480 c.c.) o sulla quale gravano oneri o
diritti di godimento a favore di terzi (art. 1489 c.c.) ovvero qualora abbia
subito la parziale evizione della stessa (art. 1484 c.c.).
La prima di tali fattispecie ha quale presupposto il fatto che il venditore fosse titolare della cosa venduta «solo in parte», ciò che secondo l’opinione più accreditata ha luogo non soltanto allorché egli abbia alienato
come interamente propria una cosa che, in realtà, gli apparteneva soltanto
52
CAPITOLO SECONDO
in relazione a una porzione materiale1, ma altresì qualora fosse proprietario soltanto di una quota (indivisa) del bene2. Al pari della risoluzione del
contratto, anche la riduzione del prezzo può essere invocata sia qualora al
momento della stipulazione del contratto il compratore fosse ignaro della
parziale altruità della cosa, sia allorché ne fosse invece consapevole, dovendosi soltanto – in questo secondo caso – attendere il decorso del termine pattuito o giudizialmente fissato entro il quale il venditore avrebbe
dovuto procurare l’acquisto anche della parte aliena3. Non sembra infatti
1 Secondo l’opinione tradizionale, invece, sarebbe soltanto questo l’ambito applicativo
della disposizione: cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 180 ss., secondo i quali «da un punto di vista astratto
la vendita di cosa comune come propria può considerarsi […] vendita di cosa parzialmente
altrui, giacché una fetta di essa, per quanto non ancora determinata, spetta al venditore. Ma
in termini strettamente giuridici, sino a che perdura lo stato di indivisione, la fetta ancora non
esiste e pare inevitabile l’assimilazione del negozio alla vendita di cosa totalmente altrui» (corsivo originale); D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 375
ss., ad avviso del quale la disciplina di tale forma di vendita sarebbe peculiare, in quanto finché dura la comunione «il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di alcuna singola parte materiale della cosa [e pertanto] egli può sempre chiedere, anche subito, la risoluzione del contratto […] senza che rilevi indagare se avrebbe stipulato il contratto se avesse
saputo della comunione. Se invece preferisce attendere lo scioglimento della comunione, e
poi, nella divisione, la cosa viene assegnata per intero al suo dante causa, si applica l’art. 1479
1° comma, e rimangono precluse tanto la risoluzione quanto la semplice riduzione del prezzo.
Se […] la cosa viene assegnata per intero ad un altro condividente, la vendita diventa di cosa
interamente altrui, e spetta la risoluzione ex art. 1479 c.c. Se viene assegnata solo in parte al
venditore, da tal momento comincia ad applicarsi l’articolo 1480» (p. 379). Nel senso di
escludere l’applicazione dell’art. 1480 c.c., e quindi della riduzione del prezzo, alla vendita
come propria di una cosa che appartenga al venditore soltanto per una quota indivisa v. altresì Cass. 10 marzo 1981, n. 1341 e G. BRANCA, sub art. 1103, in ID., Comunione. Condominio degli edifici, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 138 ss.
2 Così Cass. 12 gennaio 2005, n. 387, la cui massima recita: «La disciplina di cui all’art.
1480 c.c. comprende sia la vendita per intero di una parte materiale della cosa di cui l’alienante assuma di essere proprietario (communio pro diviso), sia l’ipotesi di vendita da parte di
un comproprietario, di una cosa di proprietà comune pro indiviso; per contro, la vendita di
un bene interamente (e non parzialmente) di proprietà altrui, è regolata dall’art. 1479 c.c.».
In dottrina, cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 777
s., ad avviso del quale «la possibilità della divisione e dell’incerta vicenda dell’assegnazione
non esclude la parzialità dell’attribuzione traslativa al momento del contratto e l’attualità dell’inesatto adempimento del venditore. Di fronte a questo inesatto adempimento s’impone
l’immediata tutela del compratore appunto, secondo la regola della vendita di cosa parzialmente altrui, senza dovere attendere a tempo indefinito lo scioglimento della comunione»
(corsivo dell’Autore); G. CAPOZZI, Dei singoli contratti. I, Milano, 1988, p. 119 s.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 409, il quale scrive che «la ratio
dell’art. 1480 c.c. è presente in entrambe le fattispecie, le quali presentano un dato comune,
l’inesattezza dell’attribuzione traslativa», la quale giustifica un trattamento omogeneo; A. RIZZIERI, La vendita obbligatoria, Milano, 2000, p. 383. Propende per un’applicazione analogica
dell’art. 1480 c.c. alla fattispecie in argomento G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt.
CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 392 s.
3 In questo senso v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
53
necessario dedurre dal riferimento della legge al fatto che l’uno o l’altro
rimedio trovano applicazione a seconda che debba «ritenersi, secondo le
circostanze, che [il compratore] non avrebbe acquistato la cosa senza
quella parte di cui non è divenuto proprietario» che l’applicazione della
disposizione presupponga l’ignoranza dell’acquirente in ordine all’alienità
della res4: a nostro avviso, tale giudizio riguarda invero l’attitudine del
soggetto non già in relazione al fatto che la cosa nella sua interezza non sia
divenuta immediatamente di sua proprietà, bensì con riferimento al fatto
che questa non gli sia stata trasferita nonostante la controparte abbia assunto un impegno in tal senso, ciò che equivale a dire al momento stesso
della conclusione del contratto, in caso di ignoranza della parziale altruità,
ovvero entro il termine stabilito, in caso di “mala fede”.
Sia in caso di buona fede sia ove abbia conoscenza del fatto che ha
condotto al venir meno dell’acquisto o all’accertamento del mancato acquisto5, l’acquirente può far valere la riduzione del prezzo o – in alternativa – la risoluzione del contratto anche qualora subisca la parziale evizione della cosa acquistata. Tradizionalmente il fondamento di questa
viene ricondotto a tre differenti tipologie di fatti, rispettivamente di tipo
rivendicatorio, espropriativo o risolutorio.
Ricorre un’evizione rivendicatoria allorché un terzo, a seguito di un
giudizio petitorio, ottenga l’accertamento giudiziale del proprio diritto
sul bene, il quale pertanto non è mai stato acquistato dal compratore6.
Ma dà luogo a un fatto evizionale altresì la perdita, per opera del
terzo, del diritto che ab initio era stato effettivamente trasmesso dal venditore: tale perdita può conseguire così ad espropriazioni come al venir
meno del titolo in virtù del quale il dante causa ha acquistato quanto poi
4 Così, invece, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja
- Branca, cit., p. 179.
5 Cfr. G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 409; P. GRECO
- G. COTTINO, sub art. 1483, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981,
p. 190 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 409; C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 836 ss.; Cass. 10 ottobre 2011, n.
20877; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20165, la quale esattamente ha reputato che «gli effetti della
garanzia per evizione, che sanziona l’inadempimento da parte del venditore dell’obbligazione
di cui all’art. 1476 c.c., conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato
e, quindi, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del
compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto»; Cass. 24
aprile 1993, n. 4853. Contra, peraltro, E. RUSSO, Evizione e garanzia, Napoli, 1986, p. 233 ss.
6 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 651; C.M. BIANCA, La
vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 842; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt.
CNN Perlingieri, cit., p. 396.
54
CAPITOLO SECONDO
ha alienato all’evitto. Nel primo caso ha luogo una c.d. evizione espropriativa, la quale può derivare da un procedimento di esecuzione forzata,
dovuto al fatto che la garanzia reale o il pignoramento operato da un
terzo creditore possono essere opposti al compratore7: in tal caso, il trasferimento coattivo del bene a favore dell’aggiudicatario segna il momento della lesione del diritto dell’acquirente e legittima l’esperimento
dei relativi mezzi di tutela. L’espropriazione rilevante ai fini della garanzia per evizione può altresì derivare da un provvedimento amministrativo8 il quale, dopo che il bene compravenduto sia stato almeno oggetto
di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera programmata in data anteriore alla vendita, ne avochi la proprietà all’ente pubblico procedente9.
L’evizione risolutoria consegue, invece, al venir meno con effetto retroattivo del titolo in virtù del quale l’alienante ha acquistato il diritto successivamente alienato al compratore, come può accadere in caso di annullamento, risoluzione o rescissione del negozio ovvero di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, le quali siano opponibili all’acquirente10.
La rilevanza del fatto evizionale si fonda, secondo una risalente lezione11, sulla preesistenza della causa che vi ha dato luogo rispetto alla
conclusione del contratto: in sostanza, il compratore può esercitare i ri7 Costituisce fatto evizionale riconducibile a questa categoria anche la sentenza di esecuzione forzata in forma specifca dell’obbligo di contrarre ottenuta da un terzo promissario
acquirente dello stesso bene che trascriva il preliminare o la domanda di esecuzione ex art.
2652, n. 2 c.c. o la stessa sentenza ex art. 2932 c.c. prima che il compratore abbia trascritto il
proprio acquisto: v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 845.
8 Oltre alla più classica fattispecie descritta nel testo, l’evizione espropriativa derivante
da provvedimento amministrativo può avere luogo in forza di ordini amministrativi di distruzione del bene fondati sull’irregolarità giuridica dello stesso: v. C.M. BIANCA, La vendita e la
permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 847, il quale porta ad esempio le distruzioni di beni previste dalle leggi speciali in materia edilizia in aderenza al dettato dell’art. 872 c.c.
9 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 421; G. D’AMICO, La
compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 399; Cass. 12 luglio 1965, n. 1467; Cass. 26
giugno 1987, n. 5639, la quale ha inoltre chiarito che soggiacciono alla disciplina dell’evizione
anche le fattispecie in cui questa avvenga in esecuzione di un vincolo o di un peso riconducibile a quelli previsti dagli artt. 1489 o 1482 c.c. (su quest’ultimo punto, v. però la contraria
opinione di E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, p. 50)
10 G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 398; D. RUBINO,
La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 661 s.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 849 s. Secondo A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 422, alle ipotesi cennate nel testo si aggiungono «quelle in cui il venditore, e
conseguentemente il compratore (per il principio “resoluto iure dantis”), perda il diritto in
conseguenza dell’esercizio (in via stragiudiziale) da parte di un terzo di poteri il cui esercizio
sia munito di effetti opponibili erga omnes, come accade, ad esempio, nei casi di esercizio di
retratti ex lege con efficacia c.d. reale, di riscatto convenzionale o di prelazione societaria».
11 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 674; G. D’AMICO,
La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 400; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt.
Cicu - Messineo, cit., p. 416. In giurisprudenza, v. Cass., sez. un., 26 gennaio 1995, n. 945.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
55
medi previsti dalla legge soltanto12 qualora la pretesa fatta valere dal
terzo trovi fondamento in una situazione che al tempo del trasferimento
del diritto era già esistente, mentre non rientrano nell’area di operatività
della garanzia le fattispecie nelle quali la perdita del diritto avviene per
effetto di una causa successiva13.
Come abbiamo detto poc’anzi, il compratore è legittimato a far valere la quanti minoris qualora l’evizione non riguardi l’intera cosa ma soltanto una sua parte, materiale o ideale, e debba ritenersi – in applicazione del criterio dettato dall’art. 1480 c.c. – che avrebbe comunque concluso il contratto qualora avesse saputo di non poter integralmente
acquistare il bene14.
Infine, la riduzione del corrispettivo, sempre in alternativa al rimedio risolutorio, può essere invocata allorché il venditore fosse effettivamente titolare della cosa venduta e il compratore non sia privato da terzi
del proprio diritto ma questo risulti gravato da oneri o da diritti reali o
personali non apparenti15 che limitano il godimento, che il primo non ha
dichiarato e che egli non conosceva16. La fattispecie cui fa riferimento
l’art. 1489 c.c., di non immediata collocazione concettuale17, conferisce
12 Secondo
Cass. 14 aprile 2011, n. 8536, però, è comunque rilevante ai fini della garanzia per evizione la condotta inadempiente tenuta dal venditore in tempo successivo al contratto, valorizzando proprio il fatto che questi è sempre tenuto per il fatto proprio ai sensi
dell’art. 1487, comma 2 c.c. Nello stesso senso v. Cass. 21 marzo, 1989, n. 1403.
13 Non dà pertanto luogo a evizione il fenomeno della doppia alienazione immobiliare
con prevalenza del secondo acquirente che abbia trascritto il proprio acquisto per primo: A.
LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 416. Contra, valorizzando il fatto proprio del venditore, Cass. 21 marzo, 1989, n. 1403. In dottrina, sostengono la rilevanza quali
fatti evizionali pure di quelli che trovano causa in avvenimenti successivi al trasferimento del
diritto E. RUSSO, Evizione e garanzia, cit., p. 240 ss. e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta,
in Tratt. Vassalli, cit., p. 838 ss.
14 Per tutti, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 407 s.:
la risoluzione può essere chiesta dal compratore solo in quanto risulti che egli non avrebbe
acquistato la cosa senza la parte di cui è rimasto evitto.
15 Tale carattere va valutato nel senso che l’esistenza dei pesi sul bene deve poter essere
rilevata in base al mero esame della cosa: cfr. per tutti D. RUBINO, La compravendita, in Tratt.
Cicu - Messineo, cit., p. 700 e Cass. 8 aprile 2013, n. 8500.
16 A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 433.
17 Secondo C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 797 si tratterebbe di un’ipotesi di inesattezza giuridica dell’attribuzione traslativa (aderisce G. D’AMICO,
La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 420); A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt.
Cicu - Messineo, cit., p. 434 precisa che in ogni caso questa non è riconducibile all’area della
vendita di cosa altrui e alla garanzia per evizione, come dimostra il fatto che in relazione a
queste la mala fede del compratore non è mai impeditiva della tutela (similmente, D. RUBINO,
La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 694); E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, cit., p. 139 ss. ritiene che l’art. 1489 c.c. faccia perno sul “vizio” del
diritto alienato.
56
CAPITOLO SECONDO
rilevanza a ipotesi in cui sussiste un’inesattezza giuridica dell’attribuzione
traslativa, riconducibili sia all’eventualità in cui il compratore venga a conoscenza del diritto del terzo soltanto a seguito del perfezionamento del
negozio sia a quella in cui quest’ultimo faccia valere un’azione diretta all’accertamento del proprio diritto o del vincolo gravante sull’oggetto del
contratto (c.d. evizione limitativa)18. L’ampio riferimento a “diritti” e
“oneri” di titolarità di terzi rende assai ampio il novero di ipotesi che ricadono nell’ambito di applicazione della previsione normativa de qua,
evocando questa così oneri e limitazioni di godimento di natura privatistica19 come quelli di carattere pubblicistico20.
18 Cfr.
E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, cit., p. 12 ss.; A. LULa vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 434, il quale ritiene che il secondo
comma faccia riferimento alla c.d. evizione limitativa e il primo alla semplice scoperta del diritto da parte dell’acquirente; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p.
871 ss. Anche la giurisprudenza appare prevalentemente orientata in questo senso: v. ad
esempio Cass. 18 novembre 1967, n. 2778 («al fine di rendere operativa la garanzia di cui all’art. 1489 c.c. non è necessario che l’onere, di cui è gravata la cosa venduta, sia accertato giudizialmente, qualora esso risulti, sia pure in modo diverso, con assoluta certezza e senza possibilità di contestazione»); Cass. 12 giugno 1975, n. 2343 («nell’ipotesi prevista dall’art. 1489
c.c. (cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi), la garanzia sorge anche dalla sola
esistenza di pesi o diritti reali o personali sulla cosa, senza che occorra che il terzo abbia già
fatto valere il proprio diritto»); Cass. 11 maggio 1984, n. 2980. Contra, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 704, secondo il quale la tutela del compratore
apprestata dall’art. 1489 c.c. presupporrebbe sempre ed indefettibilmente un accertamento
giudiziale o un riconoscimento da parte del venditore del diritto del terzo o dell’onere.
19 Fra i diritti del terzo di natura privatistica rilevanti ai fini dell’art. 1489 c.c. rientrano
senz’altro l’usufrutto, le servitù, la superficie, gli usi civici, gli oneri reali, l’enfiteusi, la locazione, l’affitto e il diritto di godimento della casa coniugale assegnata al coniuge separato o
divorziato, mentre in linea di principio non costituisce una restrizione del godimento il fatto
che la cosa sia stata concessa in comodato a un terzo, giacché il diritto del comodatario non
è opponibile all’acquirente (cfr. Cass. 9 agosto 1968, n. 2840: «l’acquirente di un immobile
non può risentire pregiudizio dall’esistenza di un comodato, anche se concluso dal venditore
per un tempo corrispondente alla durata della vita del comodatario, giacché, per effetto del
trasferimento in suo favore, il compratore acquista ipso iure il diritto di far cessare il godimento da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa»). Peraltro si è
rilevato che, qualora il comodatario non adempia all’obbligo di restituzione del bene, sarebbe
impedito l’adempimento dell’obbligazione di consegna da parte del venditore, sicché l’acquirente ben potrebbe far valere la relativa tutela (v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in
Tratt. Vassalli, cit., p. 797 nota 1).
20 In tal senso v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 435, il quale
anzi rimarca come proprio con riferimento a questi secondi l’art. 1489 c.c. abbia dimostrato
una ragguardevole attitudine espansiva, la quale si è tradotta in una imponente applicazione
giurisprudenziale.
Secondo la tesi oggi prevalente, l’inesattezza giuridica di cui all’art. 1489 c.c. si produce
allorché la presenza di un vincolo o di un onere incide sul “normale contenuto legale” del diritto oggetto del contratto di vendita, non costituendo una limitazione della proprietà solitamente connessa al tipo di bene venduto: in questo senso, C.M. BIANCA, La vendita e la perMINOSO,
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
57
La tutela del compratore, peraltro, non consegue alla mera presenza21 nella res vendita di diritti o pesi siffatti, giacché questi rilevano a
condizione di menomare effettivamente il godimento di costui22, incidendo sui poteri o sulle facoltà che costituiscono il contenuto del diritto
compravenduto23. Pertanto, ben può dirsi che, mentre l’art. 1480 e l’art.
muta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 807 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 440. Secondo una più risalente impostazione (che si ritrova in D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 689 ss.), invece, i vincoli pubblicistici rilevanti ex art.
1489 c.c. sarebbero solo quelli imposti da provvedimenti concreti e specifici della pubblica
amministrazione, i quali si applicano a singoli beni determinati.
In applicazione del criterio discretivo ricordato per primo, sono stati ricondotti alla fattispecie de qua, fra l’altro, gli oneri e i pesi derivanti da “atti d’obbligo” in materia urbanistico-edilizia (Cass. 30 gennaio 1987, n. 881), gli oneri reali, le servitù militari, i vincoli di bonifica e di miglioramento fondiario, i vincoli idrogeologici e forestali (Cass. 22 maggio 1973,
n. 1501), nonché quelli d’interesse storico, artistico e paesistico (Cass. 20 maggio 1976, n.
1801; Cass. 4 ottobre 2004, n. 19812). Particolarmente discussa è invece la questione relativa
alla possibilità di far valere le tutele apprestate al compratore dall’art. 1489 c.c. qualora le limitazioni e i vincoli derivino da piani regolatori generali o particolareggiati, da piani urbanistici comunali o da altri strumenti di programmazione edilizia e urbanistica ad essi assimilabili, giacché la giurisprudenza tende a escludere tali vincoli dalla garanzia in argomento (Cass.
23 febbraio 2012, n. 2737; Cass. 10 luglio 1991, n. 7639), salvo che il venditore abbia espressamente garantito l’insussistenza dei vincoli (Cass. 12 aprile 1983, n. 2581), mentre la dottrina
– sulla base della considerazione secondo la quale non può ritenersi che l’eventuale conoscibilità del peso mediante la consultazione di atti o registri pubblici possa dirsi soddisfare il requisito di “apparenza” – ritiene debba applicarsi anche in questo caso il criterio di “normalità” della limitazione (A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 443 s., il
quale peraltro segnala come, nel caso di compravendita di terreni, il problema risulti pressoché superato in ragione dell’obbligo – sancito dall’art. 30 t.u. edilizia – di allegare agli atti
traslativi di tali tipologie di beni il certificato di destinazione urbanistica, il quale contiene le
indicazioni urbanistiche riguardanti la cosa oggetto del negozio).
Sono invece certamente esclusi dal novero delle limitazioni rilevanti quelle disposte dalla
legge o da regolamenti integrativi con riferimento a tutti i beni appartenenti a una determinata
categoria, come quelle in tema di distanze legali fra costruzioni o di vedute (per tutti, C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 814 s.). Del pari irrilevanti sono gli
oneri tributari che gravano sul bene in forza dell’imposizione tributaria ordinaria.
21 C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 797 s. e P. GRECO G. COTTINO, sub art. 1489, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981,
p. 224 ss.
22 Il termine “godimento”, pur dovendo essere inteso in senso tecnico, può ritenersi
comprensivo altresì del potere di disposizione della cosa: D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 687 e A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 435.
23 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 687: «l’art. 1489
richiede non che il diritto del terzo attribuisca a costui un godimento della cosa, ma che diminuisca il godimento del proprietario. Quindi, se fossero configurabili diritti diversi da
quelli di godimento e da quelli di garanzia, ma che diminuiscano il godimento del proprietario ed abbiano efficacia assoluta, o comunque estendentesi anche contro il terzo acquirente
della cosa, anch’essi rientrerebbero nell’art. 1489; ma per il nostro ordinamento positivo è
difficile che possano presentarsene».
58
CAPITOLO SECONDO
1484 c.c. si preoccupano di garantire la corrispondenza “quantitativa”
fra il diritto contrattato e quello effettivamente acquistato dal compratore, l’art. 1489 c.c. è volto ad assicurare che il diritto trasferito «si presenti qualitativamente conforme al “contenuto” (in termini di utilità attribuite al suo titolare, ossia di facoltà di godimento che ineriscono alla
situazione soggettiva trasferita) che normalmente ha il diritto che ha formato oggetto del contratto di vendita»24.
Anche la garanzia prevista da quest’ultima disposizione, in ogni
caso, legittima il compratore a risolvere il contratto ovvero a ridurre il
prezzo di vendita non già a sua scelta, ma in ragione dell’esito del giudizio evocato dall’art. 1480 c.c., sicché lo scioglimento del contratto potrà
aversi soltanto se risulta che il compratore non avrebbe comprato la cosa
ove fosse stato a conoscenza dell’esistenza del diritto o dell’onere che ne
limita il godimento.
2.
(Segue) Le difformità materiali
Abbandonando ora l’area dei “vizi del diritto” e ponendo mente a
quella delle difformità materiali, notiamo subito due consistenti differenze.
In primo luogo, il combinato disposto degli artt. 1480, 1484 e 1489
c.c. sembra legittimare la conclusione che tutti i “vizi del diritto” che si
traducono in una menomazione parziale – e non integrale – dell’acquisto
permettano al compratore di ottenere la riduzione del corrispettivo pattuito, mentre la disciplina codicistica della garanzia per vizi accorda
espressamente a costui la quanti minoris soltanto nelle ipotesi in cui sussistano vizi che rendano la cosa inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in maniera apprezzabile il valore (art. 1492 c.c.) e non invece
in quelle ipotesi in cui la cosa si riveli priva delle qualità promesse o essenziali all’uso cui è destinata (art. 1497 c.c.)25.
24 G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 419 s. (corsivo
dell’Autore).
25 Invero, il richiamo alla disciplina generale sulla risoluzione per inadempimento – la
quale non contempla espressamente il mezzo di tutela de quo – si ritiene deponga nel senso
che gli unici mezzi di tutela accordati al compratore di beni privi della qualità essenziali o
promesse siano la risoluzione del prezzo e il risarcimento del danno. Cfr. Cass. 8 marzo 2013,
n. 5845, la quale ha negato l’esperibilità della quanti minoris nel contesto di una vendita di
azienda, argomentando dal fatto che l’avviamento (che si assumeva mancante o inferiore al
pattuito) sarebbe una qualità immateriale dell’azienda, sicché la fattispecie avrebbe dovuto ritenersi regolata dall’art. 1497 c.c. Escludono che l’art. 1497 c.c. consenta il ricorso alla riduzione del prezzo anche P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 314 e Cass. 10 gennaio 1981, n. 247, secondo i quali
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
59
Inoltre, sebbene la riduzione del prezzo, in entrambe le ipotesi, prescinda dalla sussistenza della colpa o del dolo del venditore, è immediato
notare come l’art. 1492 c.c., in materia di garanzia per vizi, consenta all’acquirente di scegliere liberamente fra redibitoria ed estimatoria, mentre le altre disposizioni poc’anzi ricordate pongono una rigida alternativa
fra i due tipi di tutela, in ragione dell’esito del giudizio circa l’atteggiamento che l’acquirente avrebbe avuto nei confronti del contratto qualora
avesse saputo ex ante che non avrebbe acquistato per intero la cosa o che
non l’avrebbe acquistata libera da pesi o diritti di terzi.
Entrambe le discrasie appena delineate sono, peraltro, più apparenti
che reali.
La prima, in particolare, si basa sulla formulazione testuale dell’art.
1497 c.c. che la dottrina più attenta da tempo ormai interpreta senza limitarsi ad una esegesi letterale. Il codice civile vigente ha scelto – come
noto – di perpetuare la dicotomia “vizio”-“mancanza di qualità”, tentando una difficile definizione dei rispettivi ambiti di operatività, circa i
quali così la dottrina come la giurisprudenza avevano manifestato e continuano ancor’oggi a manifestare molti dubbi e oscillazioni. All’origine
della complessa sistemazione della materia tentata dal legislatore del
1942 vi era il tentativo di porre rimedio a un problema pratico sorto nella
vigenza del codice del 1865 in conseguenza dell’estrema severità dei termini di prescrizione della garanzia per vizi.
L’art. 1498 della codificazione abrogata forniva la definizione del vizio redibitorio, facendo riferimento ai vizi o ai difetti occulti che rendono
la cosa «non atta all’uso cui è destinata, o che ne diminuiscono l’uso in
modo che se il compratore gli [sic] avesse conosciuti, o non l’avrebbe
comprata o avrebbe offerto un prezzo minore», mentre l’art. 1500 concedeva all’acquirente la «scelta di rendere la cosa e farsi restituire il
prezzo, o di ritenerla e di farsi restituire quella parte di prezzo, che sarà
determinata dall’autorià giudiziaria»26. In entrambi i casi, la proposizione
del rimedio soggiaceva a termini decisamente brevi, pari ad un anno
dalla consegna per gli immobili e a tre mesi per le cose mobili27 (art. 1505
c.c. 1865), sempre decorrenti dal medesimo istante. A ciò si aggiunga che
però sarebbe pur sempre possibile per l’acquirente «agire per il risarcimento del danno sotto
forma di una proporzionale riduzione del prezzo». Su questo aspetto v. L. CABELLA PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, p. 219. Sul punto si tornerà infra nel testo.
26 Il venditore era altresì soggetto alla domanda risarcitoria, la quale poteva essere esperita ove egli fosse stato a conoscenza dei vizi (art. 1502 c.c. 1865).
27 Per le compravendite che avessero ad oggetto animali il termine de quo era addirittura ridotto a 40 giorni.
60
CAPITOLO SECONDO
l’art. 70 c.comm. 1882 prescriveva altresì un termine di denunzia dei vizi
per le compravendite di merci e derrate provenienti da altra piazza di soli
due giorni, salva soltanto l’ipotesi in cui «un maggior tempo [fosse] necessario per le condizioni particolari della cosa venduta o della persona
del compratore» (art. 70, comma 2 c.comm. 1882). Solo qualora il vizio
fosse stato occulto, il termine sarebbe decorso dalla scoperta dello stesso.
L’estrema brevità dei termini aveva avuto due evidenti precipitati:
da un canto, gli interpreti erano indotti ad affermare che il termine di
prescrizione delle azioni edilizie non potesse decorrere sino a che non si
fossero create le condizioni idonee a consentire all’acquirente di venire a
conoscenza del difetto28 nonché a sfruttare al massimo l’elasticità consentita dal secondo comma dell’art. 70 c.comm.29 e, dall’altro, il contenzioso giudiziario era segnato dal sempre più frequente ed evidente tentativo dei compratori di rifuggire dalla disciplina dei vizi, invocando la sussistenza di patologie di ordine qualitativo che rendessero la cosa
appartenente addirittura a un genere differente rispetto a quello pattuito
ovvero invocando la carenza di caratteristiche specificamente promesse30.
Invero, il codice civile del 1865 e quello di commercio del 1882 non
dettavano alcuna regola espressa riguardo ai difetti di qualità della cosa
venduta31, sicché l’ordinamento taceva in ordine alle patologie del bene
di tipo qualitativo. Tale situazione d’incertezza e di mancata definizione
legislativa ha costituito terreno fertile per il fiorire di una ricostruzione
dei confini delle due fattispecie la quale ha finito per accreditare una
nozione di vizio di tipo rigidamente oggettivo, in cui l’essenza del difetto
si ricollegava all’inadeguatezza del bene rispetto alla sua normale destinazione32, anche al fine di ricondurre al concetto di mancanza di qua28 Cfr. L. TARTUFARI, Della vendita e del riporto, in Il codice di commercio commentato,
Torino, 1915, p. 275 e App. Genova, 28 gennaio 1884, in Foro it., 1884, I, c. 234 ss.
29 Si veda A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I. Parte generale, Milano, 1920,
p. 424 ss.
30 R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, Torino, 1906, p. 324 osserva come le liti vertenti sulla conclusione di contratti di compravendita si appuntassero per la maggior parte sull’applicabilità al caso di specie della decadenza prevista per i vizi redibitori: «davanti ai nostri
tribunali la lotta impegnata tra compratore e venditore si riduce al sapere se si debba o no
aver riguardo al termine di decadenza al quale le azioni edilizie sono sottomesse: gli altri
caratteri dell’azione passano in genere in seconda linea per la poca importanza loro».
31 Così R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 195.
32 La pietra di paragone dell’idoneità della cosa all’uso, e pertanto al fine di vagliare
l’assenza di vizi, era costituita, infatti, non già dall’uso che la parte soggettivamente intendesse
fare della cosa, bensì dall’uso ordinario della stessa, dalla sua «normale destinazione» (sono
parole di R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 195). I rimedi apprestati dalla garanzia
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
61
lità33 un più ampio novero di fattispecie contrassegnate dalla carenze di
pregi promessi o di caratteristiche da ritenersi essenziali per l’uso del
bene.
Queste ultime ipotesi di difformità del risultato traslativo, di cui la
legge non faceva alcuna menzione, si riteneva soggiacessero alla disciplina
dell’inadempimento di diritto comune34, con la conseguenza che non solo
era possibile richiedere l’esatto adempimento della prestazione35 ma soprattutto il termine prescrizionale delle relative pretese era quello ordinario trentennale, per le vendite civili (ai sensi dell’art. 2131 c.c. 1865), o
decennale, per quelle commerciali (ex art. 917 c.comm. 1882).
Proprio la sussistenza di un regime di tutela dell’acquirente così
profondamente differenziato ha acuito il dibattito inerente al discrimine
fra le tipologie di difetto materiale e reso ancor più ardua l’identificazione dei rispettivi ambiti di operatività delle due nozioni, in quanto la rigidità dei termini di prescrizione delle azioni edilizie e di decadenza dalla
per vizi, quindi, potevano essere invocati soltanto ove si provasse la delusione dell’affidamento del compratore in ordine all’idoneità della res rispetto all’utilizzo ordinario ovvero
l’oggettivo minor valore derivante dall’esistenza del vizio. In quest’ottica, la considerazione
dell’inidoneità all’uso avuto soggettivamente di mira dall’acquirente poteva avere ingresso
soltanto a condizione che questo avesse costituito oggetto di apposito patto fra le parti, ma
non seguiva affatto la disciplina dei vizi redibitori, bensì avrebbe costituito un normale inadempimento contrattuale, con conseguente applicazione delle tutele di diritto comune. In
proposito, cfr. L. TARTUFARI, Della vendita e del riporto, in Il codice di commercio commentato,
cit., p. 257 ss.; A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I. Parte generale, cit., p. 401 ss.;
F. DEGNI, La compravendita, Padova, 1939, p. 240 ss.
33 La mancanza di qualità, peraltro, rilevava a prescindere dallo stato soggettivo dell’acquirente, il quale – in ragione della sussistenza di una specifica pattuizione sul punto –
avrebbe potuto agire in giudizio anche ove fosse stato consapevole della stessa nel momento
di conclusione del contratto, mentre la disciplina dei vizi redibitori conteneva l’espressa previsione dell’esenzione da responsabilità del venditore per l’ipotesi in cui i vizi fossero apparenti o laddove il compratore «avrebbe potuto da se stesso conoscer[li]» (art. 1499 c.c. 1865).
In questo senso, V. ANGELONI, Clausole di garanzia nelle compre-vendite commerciali, Napoli,
1924, p. 42 s., il quale spiega la tesi in discorso argomentando dal fatto che nessun onere di
previa ispezione della cosa o di diligenza in senso lato può essere addossato al compratore
laddove egli riceva «un’esplicita assicurazione» (sono parole dell’Autore) del venditore in ordine alla corrispondenza della cosa a quanto pattuito.
34 La giurisprudenza sul punto è assai ricca: ex plurimis, v. Cass., 26 novembre 1886, in
Foro it. - Rep., 1889, Vendita, n. 510; App. Milano, 11 dicembre 1893, in Foro it. - Repert.,
1893, Vendita, n. 556; App. Milano, 4 agosto 1890, in Foro it. - Repert., 1892, Vendita, n. 609;
Cass. Palermo, 5 aprile 1894, in Foro it., 1894, I, c. 674 ss.; Cass. Torino, 2 luglio 1906, in Riv.
dir. comm., 1906, II, p. 481 ss. In dottrina, A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I, cit.,
p. 357 ss.; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, IV, Le obbligazioni, Milano, 1926, p.
150 ss.; C.L. GASCA, Trattato della compra-vendita, s.d. (ma 1905), p. 839 s.
35 Sul punto v. A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I, cit., p. 357 ss. e R. CALVO,
Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina
codicistica sulle garanzie, cit., p. 197.
62
CAPITOLO SECONDO
garanzia per inosservanza dell’onere di denunzia così come la descritta
possibilità di richiedere l’esatto adempimento della prestazione per l’eventualità di difetto di qualità fungevano da forza propulsiva per l’allargamento indiscriminato del concetto di mancanza di qualità o di consegna di cosa diversa, al fine di emancipare la tutela del compratore dalle
strettoie della garanzia redibitoria36.
La giurisprudenza e la dottrina del tempo, pur con le difficoltà dovute a una ridda di ipotesi pratiche37 non facilmente riconducibili all’una
o all’altra categoria, nel tentativo di perseguire una razionale e organica sistemazione della materia, che evitasse il ricorso a concezioni ancorate alla
“giustizia del caso concreto”, erano pervenute gradualmente a identificare
la “mancanza di qualità” nella dazione di un bene non materialmente viziato, apparentemente conforme al contratto e ciononostante differente rispetto a quello dovuto in ragione dell’assenza di caratteristiche intrinseche che conferiscono al bene pregi significativi38, espressamente negoziati
o sottintesi quali essenziali poiché connaturati al singolo scambio39. L’ina36 Di
tale tendenza era consapevole la più autorevole dottrina, la quale tentava di ravvisare un bilanciamento fra la forza pervasiva del concetto di mancanza di qualità e la necessità che essa non vanificasse l’attenzione al profilo della sicurezza e speditezza del commercio
al quale l’apparato rimediale di derivazione romanistica faceva conseguire «le brevi prescrizioni e le severe decadenze» (F. CARNELUTTI, Il vizio redibitorio nel contratto di lavoro, in Riv.
dir. comm., 1910, I, p. 531, ove l’illustre A. manifesta l’opinione che tali caratteri delle azioni
redibitorie sarebbero connaturali alla società moderna, caratterizzata dalla rapidità dei commerci, mancando di considerare che essi sono invece il portato di una risalente tradizione,
che nell’antichità prevedeva termini ancor più severi), attraverso il risalto conferito all’aspetto
dell’onere della prova gravante sul compratore e consistente nella dimostrazione della sussistenza del vizio al momento della conclusione del contratto (così, ad esempio, R. FUBINI, La
teoria dei vizi redibitorii, Torino, 1906, p. 498). App. Lucca, 16 maggio 1902, in Giur. it.,
1902, I, c. 424 ss. esattamente notava come la scarsa perspicuità della differenziazione fra le
due fattispecie incoraggiasse ed esasperasse il tentativo sistematico di dedurre la mancanza di
conformità a fronte di qualsiasi difetto materiale dei beni compravenduti, così dando luogo a
una sorta di “fuga dalla garanzia”.
37 Si vedano, ad esempio, quelle efficacemente compendiate da R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica
sulle garanzie, cit., p. 199 s.: consegna di cavallo da tiro in luogo di cavallo da corsa oppure
di età diversa da quella prevista, consegna di caffè di marca diversa, consegna di vino da tavola adulterato, e così via.
38 Così R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 200.
39 In questo senso, cfr. R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 331; V. ANGELONI,
Clausole di garanzia nelle compre-vendite commerciali, cit. p. 9 s. Proprio questa equiparazione fra caratteristiche pattuite espressamente e qualità essenziali in ragione della destinazione del bene (efficace è l’esempio delle stoffe acquistate dal sarto, le quali si dovevano ritenere implicitamente qualificate come stoffe non soltanto perfette, ma adatte per l’uso nella
fabbricazione di abiti) costituisce l’antecedente dal quale è derivata, come si vedrà infra nel
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
63
dempimento cui questa fattispecie dà luogo era ritenuto radicale e pertanto più grave rispetto all’ipotesi di vizio materiale, in quanto si traduceva nell’acquisto di una cosa diversa da quella che l’acquirente intendeva
conseguire e su cui si era formato il consenso40.
Peraltro, questo tendenziale consensus di fondo41, volto ad accreditare una bipartizione fra vizio redibitorio – soggetto alle decadenze previste dagli abrogati artt. 1505 c.c. 1865 e 70 c.co. 1882 – e mancanza di
qualità – costituente illecito contrattuale, emancipato dalle richiamate
decadenze –, sussisteva soltanto – e in linea meramente tendenziale – in
ordine alla definizione teorica42 delle due fattispecie, rimanendo però
precario e disomogeneo nella relativa applicazione pratica.
Le ambiguità e le aporie di tale assetto si sono, poi, riverberate sulle
scelte del legislatore del 1942, il quale ha preso atto del “diritto vivente”
tentando, con esiti solo parzialmente felici, una razionalizzazione dell’orientamento dominante. La scelta di fondo dei codificatori, come noto, è
stata nel senso di riproporre la dicotomia fra vizio e mancanza di qualità,
prevedendosi, però, che quest’ultima sia sottoposta non già alla disciplina della “garanzia” ma «alle disposizioni generali sulla risoluzione per
testo, l’equiparazione fra mancanza di qualità essenziali e assenza di qualità promesse, contenuta nell’attuale art. 1497 c.c.
40 Così, in effetti sembra pronunciarsi F. CARNELUTTI, Il vizio redibitorio nel contratto di
lavoro, cit., p. 529, ove è palese l’idea della contiguità fra mancanza di qualità e consegna di
cosa diversa.
41 A tale impostazione si sono, peraltro, contrapposte talune pronunce di legittimità (in
particolare, v. Cass. Roma, sez. un., 19 agosto 1902, in Foro it., 1902, I, c. 1245 ss.), le quali
si mostrarono nettamente contrarie alla costruzione della bipartizione de qua e tentarono,
pertanto, di accreditare una nozione omnicomprensiva di vizio, tale da ricomprendere qualsiasi imperfezione materiale e i difetti di qualità, i quali – in tale ottica – avrebbero dato luogo
non già a un inesatto adempimento ma appunto a un vizio redibitorio. Così facendo, la Cassazione romana tentò di forgiare una nozione di vizio tale da riassumere tutte le ipotesi di
«difetto occulto per cui la cosa venduta non serve all’uso al quale sarebbe destinata, d[ando]
luogo all’azione redibitoria, [con] inevitabile applicazione del termine stabilito nell’art. 1505
per l’esercizio della suddetta azione redibitoria» (così Cass. Roma, 18 settembre 1905, in Riv.
dir. comm., 1905, II, p. 105 ss.): il vizio veniva così ritenuto concetto capace di regolare le deficienze materiali come le carenze qualitative, elidendo le difficoltà connesse alla bipartizione
del sistema delle inesattezze materiali. La posizione della giurisprudenza romana, però, fu
aspramente criticata dalla dottrina (per tutti, V. ANGELONI, Clausole di garanzia nelle comprevendite commerciali, cit., p. 47; R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 323; A. ASQUINI,
Vendita su campione, in Riv. dir. comm., 1920, II, p. 509) e venne rapidamente abbandonata
dopo la riunificazione della suprema magistratura civile avvenuta nel 1923 (Cass. 11 aprile
1924, in Corte Cass., 1924, I, c. 596 ss.; Cass. 31 ottobre 1924, in Foro it., 1925, I, c. 398 ss.).
42 Si è ritenuto che i vizi consistano in imperfezioni materiali o anomalie strutturali
derivanti da difetti di formazione, fabbricazione o conservazione della cosa, mentre le qualità
atterrebbero anch’esse alla struttura materiale o alla funzionalità del bene ma costituirebbero
attributi esprimenti la funzionalità, l’utilità e il pregio del bene.
64
CAPITOLO SECONDO
inadempimento» e, al contempo, sancendo che il rimedio risolutorio apprestato a tutela del compratore in tale eventualità sia assoggettato allo
stesso termine decadenziale e prescrizionale che caratterizza le azioni edilizie (art. 1497, comma 2, c.c.).
La “mancanza di qualità” cui si riferisce l’art. 1497 c.c. comprende
sia le carenze attinenti alle qualità promesse sia quelle riguardanti qualità
della cosa venduta da considerarsi «essenziali per l’uso cui è destinata».
In tal modo, si è recepito a livello legislativo quanto la giurisprudenza e
la dottrina maggioritarie avevano finito per identificare nel sistema previgente, contrapponendo alla fattispecie del vizio, ricondotta ai rimedi speciali di derivazione romanistica, quella della mancanza di qualità, la quale
– concepita quale vero e proprio inadempimento del venditore – consente il ricorso ai rimedi ordinari contro l’inesatta esecuzione della prestazione, pur con i limiti derivanti dall’applicazione dei termini previsti
dall’art. 1495 c.c.
Sennonché, come spesso accade allorché muove dall’intenzione di
risolvere problemi di ordine interpretativo, con la codificazione della fattispecie di “mancanza di qualità”43 il legislatore ha fatto esercizio di pessima dogmatica, non solo in quanto ha affiancato e sottoposto allo stesso
regime la mancanza di qualità promesse e quella di qualità essenziali44,
ma soprattutto poiché ha inteso porre una distinzione fra vizi e mancanza
di qualità essenziali45.
Memore delle difficoltà sorte sotto il vigore della codificazione abrogata, ha ricondotto a una sola disciplina sia le carenze che hanno ad oggetto qualità sulle quali le parti hanno espressamente raggiunto un accordo e, pertanto, rispetto alle quali è sorto – a carico del venditore –
uno specifico impegno obbligatorio46, sia quelle che attengono a caratte43 Di
tale disposizione, a ragione, L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla
garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 scrive descrivendola quale
una fra «le più infelici del nostro codice». Sebbene non concordiamo con l’esegesi che ne
compie l’illustre Autore, ne consideriamo senz’altro condivisibile il giudizio, per le ragioni
che stiamo per esporre nel testo. Circa l’oscurità dell’art. 1497 si è espresso anche D. RUBINO,
La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 891, ad avviso del quale esso è «così semplice in apparenza, così fertile di complicazioni nella sostanza».
44 Nota, infatti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 890 s.
come la mancanza di qualità promesse dia luogo a una difformità fra requisiti promessi e caratteristiche effettive della res vendita, ma – contrariamente a quella di qualità essenziali – non
presupponga un’imperfezione della cosa con riferimento alle sue qualità normali.
45 Contesta la fondatezza di una simile distinzione, non ravvisando differenze ontologiche apprezzabili fra gli uni e le altre, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 470.
46 P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca,
cit., p. 304 rilevano, appunto, che l’art. 1497 si basa sul presupposto che la prestazione da
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
65
ristiche qualitative del bene da ritenersi normalmente “essenziali” per
l’uso a cui è destinata. Deve però obiettarsi che, a tutto concedere, soltanto nel primo caso sembra giustificarsi, nel sistema adottato dal codice
civile del 1942, il ricorso alla responsabilità generale per inadempimento,
sussistente in ragione dell’espressa o implicita promessa circa l’esistenza
di determinate qualità, la cui violazione conduce coerentemente all’inadempimento di un’obbligazione ex contractu, ma non altrettanto può
dirsi della seconda ipotesi, laddove si sottopone a identica regolamentazione una fattispecie assai differente, in cui la responsabilità del venditore è sostanzialmente fondata sull’inattuazione del contratto, al pari di
quella scaturente dalla garanzia per vizi.
Tale assetto non può che apparire incoerente e, com’è stato acutamente sostenuto47, esige un’interpretazione “ortopedica” che, consapevole delle radici storiche dell’attuale materiale normativo, porti a compimento il poco riuscito tentativo di sistematizzazione tentato dal legislatore del 1942. Questi aveva intuito la necessità «di unificare il regime dei
vizi e della mancanza di qualità, onde eliminare le incertezze applicative
che si erano profilate sotto il vecchio codice soprattutto in ordine ai termini per l’esercizio dei rimedi»48, ma dopo aver parificato tale aspetto
della disciplina è rimasto a metà del guado, non cogliendo l’intima contraddizione logica in cui era incappata la tesi dominante, volta ad accreditare la sussistenza di un titolo di responsabilità diverso in relazione ai
vizi redibitori, da un canto, e alla mancanza di qualità essenziali, dall’altro, pur a fronte dell’identità delle due fattispecie da un punto di visto
ontologico.
Invero, posta tale identità, non è dato comprendere per quale motivo l’apparato di tutela debba essere così consistentemente divaricato,
come suggerisce il testo normativo e sostiene l’opinione tradizionale49, al
punto da attribuire una diversa rilevanza all’elemento soggettivo50 e da
parte del venditore di una qualità differente da quella contrattata costituisca un fatto di inadempimento contrattuale. Contra, L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla
garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 22, il quale ritiene comunque sempre non possibile
l’assunzione di un impegno obbligatorio in relazione alle qualità della cosa.
47 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 469 s. Sull’indistinguibilità fra vizio e mancanza di qualità essenziali, nonché sulla conseguente irrazionalità
della concezione di un regime di tutela differenziato, v. anche C.M. BIANCA, La vendita e la
permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 899 ss.
48 A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 473.
49 Cfr., ad esempio, G.B. FERRI, La vendita in generale, in Tratt. Rescigno, XI, Torino,
1984, p. 558 e P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 312 s.
50 In proposito, esemplari sono Cass. 21 gennaio 2000, n. 639 e Cass. 24 maggio 2005,
n. 10922, le quali si esprimono nel senso che, a differenza dell’azione di risoluzione fondata
66
CAPITOLO SECONDO
negare la praticabilità del rimedio estimatorio nelle ipotesi di cui all’art.
1497 c.c.51, ipotesi nelle quali peraltro viene riconosciuto – contrariamente a quanto ritiene l’opinione tradizionale in tema di garanzia per
vizi52 – il diritto di agire per l’esatto adempimento.
sulla garanzia per vizi, quella di cui all’art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via
generale dall’art. 1453 c.c. (essendo richiamate espressamente le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento), postula che l’inadempimento posto alla base della domanda
di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell’alienante e non abbia
scarsa importanza (art. 1455 c.c.), tenuto conto dell’interesse della parte non inadempiente.
51 Secondo F. CARNELUTTI, Tutela giudiziale del compratore nei casi vizi e mancanza di
qualità della merce, in Riv. dir. proc., 1953, II, p. 191 ss. far valere la riduzione del corrispettivo nell’ipotesi di mancanza di qualità non sarebbe possibile in quanto tale rimedio costituisce un’eccezione alla forza di legge del contratto, ancor più grave rispetto alla risoluzione in
quanto costringe la controparte ad accettare un mutamento del regolamento d’interessi piuttosto che lo scioglimento dell’originario patto, e quindi non può essere applicata oltre le ipotesi in cui è espressamente prevista. In senso negativo si pronuncia anche G. AMORTH, In tema
di compravendita: mancanza di qualità, mancanza di colpa e garanzia, in Riv. dir. civ., 1960, I,
p. 392. Favorevole all’applicazione della quanti minoris anche alla mancanza di qualità è
invece G.M. CASTELLINI, Consegna di aliud pro alio, mancanza di qualità e vizi della cosa, in
Riv. dir. comm., 1960, II, p. 363 ss.
52 È nota la chiusura della giurisprudenza in relazione a questo profilo: cfr. infatti Cass.
5 agosto 1985, n. 4382 (qualora la cosa venduta sia affetta da vizi, il compratore non può avvalersi, anche nel concorso di colpa del venditore, dell’azione di esatto adempimento, alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., dato che l’obbligazione principale del venditore non ha per oggetto neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta); Cass. 4 settembre 1991, n. 9352; Cass. 13
novembre 2012, n. 19702 (la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss.
c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od
alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o
della actio redhibitoria. Ne consegue che il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere
dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in
particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o
qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene); Cass. 18 gennaio 2013, n. 1269. La dottrina, invece, è divisa fra quanti condividono l’atteggiamento giurisprudenziale (ad esempio, L. MENGONI - F. REALMONTE, voce Disposizione (atto di), in Enc.
dir., XIII, Milano, 1964, p. 190; L. MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 25;
G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 137 ss.; F. MARTORANO, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Napoli, 1959, p. 37 ss. e 110 ss.; A. DI
MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 305 ss.) e coloro che, invece, ammettono
l’azione di esatto adempimento (fra gli altri, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu Messineo, cit., p. 825 ss.; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in Comm.
Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 277 ss.; R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella
vendita, Torino, 2014, p. 56 ss.). Ritiene che l’ammissione della pretesa del compratore all’esatto adempimento ponga l’interprete «di fronte alla scelta drammatica tra rispettare la lettera
della legge disattendendo, però, le soluzioni più confacenti alla realtà socio-economica o valorizzare questa ultima ma procedere ad interpretazioni contra legem», C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, p. 225.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
67
Pertanto, ci sembra doveroso concordare con quell’autorevole voce
dottrinale la quale sostiene che – poiché la distinzione fra vizi e mancanza di qualità si risolve in un’inutile e dannosa superfetazione, volta a
distinguere fenomeni ontologicamente sovrapponibili – anche alle fattispecie ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 1497 c.c. debba trovare integrale applicazione la disciplina della garanzia prevista dagli artt.
1490-1495 c.c.53. Se – come crediamo corretto – si conviene su questa osservazione di fondo, non può che considerarsi errata, per quanto specificamente rileva in questa sede, la posizione di chiusura riguardo all’ammissibilità dell’azione di riduzione del prezzo nelle ipotesi di carenze
qualitative della res empta astrattamente riconducibili al concetto di
“mancanza di qualità”54. Infatti, affermata la piena equiparazione del regime di tutela, deve coerentemente ammettersi che la tutela estimatoria
53 Si veda A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 474 s., il quale così
si esprime: «a nostro modo di vedere, differenze apprezzabili di disciplina tra vizi e mancanza
di qualità non appaiono giustificate. Già la sostanziale omogeneità, dal punto di vista ontologico, tra vizi e mancanza di qualità essenziali non può non costituire, di per se stessa, un argomento determinante a favore della completa parificazione delle rispettive forme di tutela.
Non ci si può certo nascondere che il testo dell’art. 1497 c.c. deporrebbe per una conclusione
di segno opposto; l’argomento letterale, tuttavia, deve cedere di fronte ad una osservazione
che, sotto il profilo logico, appare – pensiamo – insuperabile. […] La mancanza di qualità
(essenziali o promesse) […] postula necessariamente una responsabilità del venditore fondata
sull’inattuazione o, meglio, sull’inesatta attuazione del risultato traslativo, secondo quanto la
legge ha previsto esplicitamente con riferimento ai vizi redibitorî. Si impone quindi l’estensione delle norme degli artt. 1490-1495 c.c. al fenomeno previsto dall’art. 1497». Condivide
la tesi di Luminoso, di recente, E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni
di consumo, Milano, 2010, p. 235.
Ricostruisce in maniera sostanzialmente unitaria la disciplina dei difetti materiali della
res vendita, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 892, il quale sostiene che le resistenze nei confronti dell’equiparazione di vizi e mancanze di qualità sarebbero immotivate in quanto «occorre prendere atto che le azioni di risoluzione e di riduzione
del prezzo per i vizi sono esse stesse espressione di rimedi generali a tutela del contraente,
salva l’operatività di abbreviati termini di decadenza e di prescrizione». Dubita dell’utilità di
distinguere le fattispecie di “vizio” e “mancanza di qualità”, propendendo per un’omogeneità
di disciplina anche F. MACARIO, voce Vendita, I. Profili generali, in Enc. giur. Treccani, XXXII,
Roma, 1994, p. 24 s.
Pur sulla base di una differente ricostruzione, sostiene la necessità di assoggettare alla
medesima disciplina mancanza di qualità e vizi anche L. MENGONI, Profili di una revisione
della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., cit., p. 21 ss. Lo stesso
D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 892 ss., pur partendo dal dato
testuale, tende a una sostanziale equiparazione del regime di tutela.
54 Si vedano, con riguardo a questo aspetto, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in
Tratt. Vassalli, cit., p. 850, ad avviso del quale l’opinione contraria all’ammissibilità dell’estimatoria nei casi di mancanza di qualità non terrebbe «conto, tra l’altro, della generalità del rimedio nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive» nonché del fatto che «la riduzione
del prezzo è un rimedio limitato rispetto a quello più radicale della totale risoluzione del contratto» e D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 891 s.
68
CAPITOLO SECONDO
possa essere attivata così nell’ipotesi di vizi redibitori come in quella di
mancanza di qualità.
Si rivela, pertanto, fallace la tesi volta a dedurre dall’art. 1497 c.c. un
argomento nel senso che la riduzione del corrispettivo non costituirebbe
un rimedio potenzialmente applicabile a tutte le fattispecie in cui l’inattuazione del risultato traslativo dipenda dalla sussistenza di difformità
materiali del bene. Al contrario, deve affermarsi che, con riferimento a
questa tipologia di difetti come in relazione a quelli di tipo giuridico, la
quanti minoris può essere sempre esperita dal compratore.
Tale conclusione, cui si può pervenire non senza sforzi interpretativi
a cagione dell’irresolutezza del legislatore del 1942 e della discutibile e
ambigua formulazione letterale delle disposizioni analizzate, è peraltro
assolutamente pacifica in relazione alla disciplina del difetto di conformità della cosa venduta contenuta nella Convenzione di Vienna del 1980
e nella dir. 1999/44/CE, le quali indirettamente confermano la correttezza di quanto qui sostenuto.
Come noto, infatti, tali provvedimenti – superando le farraginose distinzioni fra vizi, mancanza di qualità, aliud pro alio (e, in radice, lo stesso
problema del rapporto fra questi e l’ordinaria responsabilità contrattuale) – hanno accolto il concetto di “difetto di conformità”, il quale ha
natura unitaria e riassuntiva di tutte le diverse tipologie di difetti e carenze qualitative materiali dai quali la cosa può risultare affetta55. E il ba55 In proposito il consenso è unanime: per tutti, cfr. A. LUMINOSO, La compravendita,
Torino, 2011, p. 330 ss.; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle
“garanzie” nelle vendite di beni di consumo, Napoli, 2007, p. 11, il quale esalta il ruolo di
uniformazione della nozione, «la cui intensità è tale da contenere tanto il vizio corporale,
quanto il difetto di qualità e la consegna di cosa non idonea all’uso»; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 127 ss.; ID., La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt.
contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1014, il quale pure si esprime nel senso che nel difetto di
conformità si prestino a essere «ricomprese tutte le ipotesi di inesattezza “materiale” della
prestazione (di dare e/o facere) cui il professionista è tenuto in virtù del contratto concluso
con il consumatore»; P. SCHLESINGER, Le garanzie nelle vendite di beni di consumo, in Corriere
giur., 2002, p. 561; S. MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, p. 296; M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa
nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 229 s. Nella letteratura germanica, v. altresì MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 434, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 6 ss.; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 434, 14. Aufl., Berlin, 2004,
Rn. 29 ss.; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 434, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 8 ss.; H.P. WESTERMANN, Das neue Kaufrecht einschließlich des Verbrauchsgüterkauf, in JZ, 2001, p. 532; P.
SCHLECHTRIEM, Das geplante Gewährleistungsrecht im Licht der Kaufrechtsrichtlinie, in W. ERNEST - R. ZIMMERMANN, Zivilrechtswissenschaft und Schuldrechtsmodernisierung, Tübingen,
2001, p. 214; H.C. GRIGOLEIT - C. HERRESTHAL, Grundlagen der Sachmängelhaftung im
Kaufrecht, in JZ, 2003, p. 118 ss.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
69
gaglio omogeneo di tutele dell’acquirente apprestato così dalla CISG
come dalla direttiva, come meglio si dirà nel Capitolo 4, pone la riduzione del prezzo quale rimedio bensì tendenzialmente sussidiario rispetto
all’esatto adempimento ma invocabile a fronte di qualsiasi difetto di
conformità, anche “non essenziale” (art. 49 CISG) o “di lieve entità” (art.
130, comma 10 c.cons.).
Con specifico riferimento alla disciplina applicabile alle vendite di
beni di consumo, l’unitarietà della fattispecie del difetto di conformità
consente di considerarvi annoverate tutte le carenze qualitative e quantitative56 della prestazione, ivi compresi i difetti la cui gravità renda il bene
consegnato del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economicosociale propria della cosa dedotta in contratto ovvero lo privino radicalmente delle capacità funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente. Ne consegue che tutte quelle ipotesi che la giurisprudenza
italiana tradizionalmente riconduce alla nozione di aliud pro alio57, consistenti nell’attribuzione in proprietà di una cosa inidonea ad assolvere la
destinazione economico-sociale della res vendita prevista nella pattuizione contrattuale e quindi incapace di soddisfare i concreti bisogni che
hanno indotto l’acquirente a contrarre58, possono senz’altro essere considerate ricomprese nell’unitaria disciplina dettata nel codice di settore59.
56 Nel
senso della rilevanza anche delle deficienze quantitative della prestazione dell’alienante, cfr. R. CALVO, Dalla nozione mista di vizio all’art. 1519-ter, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 284 ss.;
G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti
dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1014. Pertanto, nella disciplina
del codice di settore, la consegna di beni in quantità inferiore a quanto pattuito comporta
non già l’inadempimento dell’obbligazione di consegna (come invece, secondo quanto si dirà
poco infra, accade in relazione alla disciplina del codice civile), bensì di quella di conformità
degli stessi alle previsioni contrattuali.
57 Cfr., fra le tante, le già citate Cass. 19 ottobre 1994, n. 8537; Cass. 13 gennaio 1997,
n. 244; Cass. 23 marzo 1999, n. 2712; Cass. 23 febbraio 2001, n. 2659; Cass. 25 settembre
2002, n. 13925; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202; Cass. 18 maggio 2011, n. 10916.
58 Cfr. per tutti A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 471. In giurisprudenza v., fra le tante, Cass. 23 marzo 1999, n. 2712; Cass. 14 gennaio 1998, n. 272; Cass.
19 gennaio 1995, n. 593.
59 In questo ordine di idee v. G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E.
GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli,
cit., p. 1015; S. PATTI, Sul superamento della distinzione fra vizi e aliud pro alio nella direttiva
1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 623 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 336
ss.; G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita
e delle garanzie dei beni di consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 76 s.; M. GIROLAMI,
sub art. 129, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2010, p. 826 ss.; A.
NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa
dir. priv., 2003, p. 530. Nel senso che, invece, la nozione di difetto di conformità non
70
CAPITOLO SECONDO
Ciò non varrebbe, invece, secondo taluni, riguardo alle diverse ipotesi di
c.d. aliud pro alio in senso stretto (c.d. Identitäts-aliud), laddove la consegna da parte del venditore di cosa diversa da quella effettivamente alienata integra un inadempimento totale dell’obbligazione di consegna, ponendosi pertanto al di fuori dell’ambito oggettivo di applicazione della
disciplina della garanzia di conformità60. Peraltro, secondo altri interpreti, la potenzialità omnicomprensiva del concetto di “difetto di conformità” consentirebbe di dissentire dall’opinione appena riferita, giacché
pure nelle ipotesi in cui, al consumatore che abbia acquistato una cosa
specifica, venga consegnato un bene diverso da quello che ha costituito
oggetto del contratto ovvero, al consumatore che abbia comprato una
cosa individuata soltanto nel genere, sia procurato un bene appartenente
a un genere diverso, ricorre senz’altro un inadempimento dell’obbligazione di «conformità dei beni al contratto»61.
potrebbe elidere l’autonoma rilevanza della consegna di cosa diversa si sono pronunciati
A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa e dir. priv.,
2002, p. 20 e E. GABRIELLI, Aliud pro alio e difetto di conformità nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. priv., 2003, p. 670 ss., il quale muove dal presupposto dell’incompatibilità
della disciplina introdotta dalla direttiva con la fattispecie dell’aliud pro alio. Di recente,
scrive E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni di consumo, cit., p. 329
che, anche a seguito dell’introduzione della disciplina di settore «il giurista italiano continuerà, in ogni caso, a considerare e applicare l’aliud pro alio come insostituibile e vitale figura
della tradizione giuridica».
60 Così anche A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 337, nt. 52; R. CALVO, Dalla nozione mista di vizio all’art. 1519-ter, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni
di consumo, cit., p. 169; V. PIETROBON, La direttiva 1999/44 del Parlamento europeo e del Consiglio e i problemi del suo inserimento nel diritto italiano, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di
Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, Padova, 2002, p. 287, il quale propende per
la contrarietà di una opposta soluzione all’art. 8 della direttiva, laddove essa manifesta il
favore per le previsioni di maggior vantaggio per il consumatore previste dagli ordinamenti
interni.
61 G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p.
130 s., il quale richiama la conforme opinione espressa dagli interpreti con riguardo all’affine
previsione contenuta nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili
del 1980 (per la quale, v. ex multis STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35, in Wiener UNKaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 9; W. POSCH, sub art. 35, in M. SCHWIEMANN, Praxiskommentar
zum Allgemeinen Bürgerlischen Gesetzbuch samt Nebengesetz, Wien, 1997, p. 1072; P. GRECO
- G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 232, i quali
pongono in luce – pur scrivendo in data anteriore all’emanazione e alla trasposizione della direttiva 1999/44/CE – come l’imposizione dei termini di decadenza e prescrizione del diritto
previsti dalla CISG anche all’acquirente di aliud pro alio non possa di per sé essere considerata pregiudizievole per il compratore, il quale vedrà sì compressi i termini per agire, ma troverà una sensibile semplificazione nell’assenza dell’onere probatorio in ordine all’effettiva
sussistenza della dazione di cosa diversa); A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni
di consumo, cit., p. 38; P.M. VECCHI, sub art. 1519-ter, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MO-
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
71
Va comunque notato come la nozione di difetto di conformità accolta dall’art. 129 c.cons., in adesione alle scelte del legislatore comunitario, abbia funzione riassuntiva di tutte e soltanto le carenze materiali,
quantitative e qualitative, della prestazione dovuta al compratore, non
abbracciando invece quelle di carattere giuridico, le quali sono pertanto
destinate a rimanere regolate dalla generale disciplina del codice civile62.
In relazione alle vendite internazionali di merci concluse fra imprenditori, la Convenzione di Vienna adotta un concetto di “difetto di
conformità” (art. 36) di tenore assimilabile, facendo riferimento alle ipotesi in cui le cose consegnate si rivelino di «quantità, qualità [o] genere»
(art. 35) differenti rispetto a quanto stabilito nelle pattuizioni contrattuali63 o non soddisfino i criteri di conformità sanciti dal secondo comma
SCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit.,
p. 156 ss.; G. PISCIOTTA, Scambio di beni di consumo e modelli codicistici di protezione dell’acquirente, cit., p. 120. Tale soluzione, peraltro, è stata espressamente accolta nell’ambito della
riforma del codice civile tedesco, il cui § 434, comma 3 così si esprime: «einem Sachmangel
steht es gleich, wenn der Verkäufer eine andere Sache oder eine zu geringe Menge liefert».
62 In tal senso è orientata la prevalente dottrina: v. infatti A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 338; M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006,
I, p. 234, nt. 12, la quale mette condivisibilmente in luce come il sistema rimediale previsto
dall’art. 130 c.cons. appaia, già prima facie, modulato per ovviare a difetti materiali del bene,
essendo quantomeno difficile prospettare, ad esempio, la riparazione di un bene evitto in
quanto originariamente altrui, o “viziato” dalla presenza di garanzie reali o vincoli derivanti
da pignoramento o sequestro di cui all’art. 1482 c.c. o da situazioni che comunque ne diminuiscano il libero godimento (art. 1489 c.c.); G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 141 ss.; G. CIAN, Presentazione del Convegno, in
AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, cit., p. 10;
contra, P.M. VECCHI, sub art. 1519-ter, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 164 ss., il quale trae
conforto per la propria posizione dall’osservazione dell’attuazione della direttiva in Austria e
in Germania. Nonostante, in proposito, non sussistano veri e propri ostacoli testuali o sistematici (come dimostra, d’altronde, la scelta “unificante” operata dal legislatore germanico
con la Schuldrechtsmodernisierung), sembra di poter aderire all’opinione dominante in ragione dell’estraneità delle problematiche attinenti ai vizi giuridici ai temi affrontati nei lavori
preparatori della direttiva 1999/44/CE, la quale anche nella Relazione alla Proposta del 1996
viene sempre designata quale provvedimento volto a fornire la «base fondamentale dei diritti
dei consumatori relativi alla qualità e conformità dei beni comprati». Nel senso che i vizi giuridici non rientrerebbero nella nuova disciplina dettata dalla direttiva, perché di scarso rilievo
nella tipologia di contrattazioni di cui trattasi, v. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella
vendita di beni di consumo, cit., p. 20.
63 Nel senso, pacifico, che «la volontà delle parti [costituisca] il primo criterio alla luce
del quale valutare la conformità della merce» e che le «determinazioni […] dei contraenti
[…] assumono rilievo anche laddove siano soltanto implicite», v. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 105 e C.M. BIANCA, sub art. 35, in ID., Convenzione di
72
CAPITOLO SECONDO
dell’art. 3564. Pertanto, anche in questo caso, può ribadirsi come il concetto di “mancanza di conformità”65 sia tendenzialmente riassuntivo di
tutte le possibili fattispecie di “anomalie” qualitative e quantitative66
della res oggetto del contratto, essendo idoneo a ricomprendere così le
Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p.
147, il quale scrive che «i beni devono essere conformi a quanto stabilito nel contratto e solo
quando manca la determinazione contrattuale trovano applicazione i criteri della Convenzione […i quali] hanno dunque un ruolo suppletivo rispetto all’accordo delle parti».
64 Secondo tale disposizione, il cui contenuto è per molti versi assimilabile a quello dell’art. 2, comma 2 dir. 1999/44/CE (in tal senso, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al
contratto e diritti del consumatore, cit., p. 80 ss., ove ampia disamina delle singole presunzioni;
M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 272), «salvo
diverso accordo tra le parti i beni non sono conformi al contratto se non: (a) sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; (b) sono idonei allo specifico uso
esplicitamente o implicitamente portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto, salvo che le circostanze mostrino che il compratore non ha fatto affidamento sulla competenza o sulla capacità di valutazione del venditore o che non era da
parte sua ragionevole farvi affidamento; (c) possiedono le qualità dei beni che il venditore ha
presentato al compratore come campione o modello; (d) sono disposti o imballati secondo il
modo usuale per beni dello stesso tipo o, in difetto di un modo usuale, in un modo che sia
adeguato per conservare e proteggere i beni». In argomento, v., fra i tanti, KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, München, 2011, Rn. 60 ss.; H.M. FLECHTNER, Excluding CISG Article 35(2) Quality Obligations: The “Default Rule” vs. The “Cumulation” View, in International Arbitration and International Commercial Law: Synergy, Convergence and Evolution. Liber Amicorum in Honor of Professor Eric Bergsten, Alphen aan den
Rijn, 2011, p. 571 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht,
Berlin, 2013, Rn. 17 ss.; R.F. HENSCHEL, Conformity of Goods in International Sales. An analysis of Article 35 in the United Nations Convention on the International Sale of Goods, Copenhagen, 2005; ID., Conformity of Goods in International Sales Governed by CISG Article 35:
Caveat Venditor, Caveat Emptor and Contract Law as Background Law and as a Competing
Set of Rules, in Nordic Journal of Comm. Law, 2004, p. 2 ss. dell’estratto; C.M. BIANCA, sub
art. 35, in ID., Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili.
Commentario, cit., p. 148 ss.; M. BIN, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna
sulla vendita internazionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 755 ss.; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 35 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 11 ss.; SCHLECHTRIEMSCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 12 ss.; S. JANSEN, Price
reduction under the CISG: a 21st Century Perspective, cit., p. 330 ss.
65 Secondo l’opinione unanime, tale concetto deve essere interpretato in maniera autonoma e include tutte le caratteristiche rilevanti dei beni compravenduti. Lo stesso elenco contenuto al comma 1 dell’art. 35 – in forza del quale il venditore è tenuto a consegnare beni
conformi di quantità, qualità, genere e imballaggio corrispondenti a quanto previsto in contratto – è ritenuto non tassativo, ma meramente esemplificativo (STAUDINGER/U. MAGNUS, sub
art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 7 ss.; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S.
KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 13).
66 L’art. 35 CISG, contrariamente all’art. 33, comma 2 LUVI, neppure richiede che il
difetto di conformità, per essere rilevante, debba necessariamente possedere carattere materiale: v. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 15.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
73
ipotesi di vizio in senso stretto, come quelle di mancanza di qualità67 ovvero di consegna di cosa radicalmente diversa68.
Il diritto convenzionale uniforme della compravendita, peraltro, pur
non ricomprendendoli nel concetto di “difetto di conformità”, disciplina
anche i difetti giuridici dell’attribuzione patrimoniale del venditore, prevedendo all’art. 41 CISG che questi ha l’obbligo di «consegnare beni liberi da ogni diritto o pretesa di terzi, salvo che il compratore acconsenta
a ricevere i beni soggetti a tale diritto o pretesa». Anche con riferimento
a tali fattispecie, peraltro, nonostante i dubbi avanzati da parte della dottrina69, non sembra dubbio che debba trovare applicazione il generale
strumentario di tutela dell’acquirente definito dall’art. 45 CISG e, pertanto, anche il rimedio estimatorio.
Invero, non solo non sembra che dal riferimento alle sole ipotesi di
“difetto di conformità” contenuto nell’art. 50 CISG possa desumersi per
ciò solo l’inapplicabilità della riduzione del corrispettivo al di fuori di
tale ipotesi di inadempimento, ma ci sembra che una simile tesi sia inconciliabile con il fatto che l’art. 45 CISG legittima il compratore a far
valere tutti indifferentemente «i diritti previsti dagli artt. da 46 a 52» in
ogni ipotesi in cui «il venditore non adempie delle sue obbligazioni derivanti dal contratto o dalla Convenzione». A ciò si aggiunga che l’art. 44
67 C.M.
BIANCA, sub art. 35, in ID., Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 147.
68 In tal senso, v. A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 505; M. BIN, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, cit., p. 756. KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 13 si esprime nel senso
che, in conseguenza dell’unitarietà del concetto di non conformità, non vi è alcuna necessità
di procedere a distinzioni fra le varie forme di difettosità materiale note a molte esperienze
giuridiche nazionali: «Art. 35 does not distinguish between the delivery of “defective goods”
and the delivery of “different goods”, i.e. between peius and aliud or different types of aliud
(capable and incapable of being approved by the buyer), as does for example the Austrian law.
Neither is a distinction made between ordinary characteristics of the goods and specific warranties as to their particular characteristics, i.e. between Sacheigenschaft and Zusicherung, as is
done for example under Swiss law. Furthermore, Art. 35 does not distinguish between vice caché and vice apparent, like the French law, between conditions and warranties, as is done under
English law, or express and implied warranties, as is done under US law». Nello stesso senso,
v. SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, cit., Rn. 4.
69 Dubbi in ordine all’applicabilità dell’art. 50 CISG a fronte dei c.d. defects in title
sono stati avanzati sulla base dell’osservazione secondo cui tale disposizione farebbe espressamente riferimento soltanto ai casi in cui «i beni non sono conformi al contratto» e non già
a quelli in cui non sia adempiuto l’obbligo derivante dall’art. 41: in questo senso v. FERRARIKIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 41 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 11; MÜNCHKOMM-BGB/B. GRUBER, sub art. 41 CISG, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 23; seppur in termini dubitativi, KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 41 CIGS, München,
2011, Rn. 38.
74
CAPITOLO SECONDO
CISG – nel regolare le conseguenze della mancata tempestiva denunzia
così del difetto di conformità come del “difetto del titolo” – consente
sempre l’esercizio della riduzione del prezzo e del risarcimento anche in
mancanza della denunzia purché il compratore abbia «una ragionevole
giustificazione» per non aver agito conformemente agli artt. 39 e 43: sembra pertanto difficilmente controvertibile la conclusione secondo cui,
poiché la riduzione del prezzo è percorribile, in tale ipotesi, anche in carenza di denunzia, non si vede come potrebbe non esserlo in generale70.
Possiamo pertanto concludere che, anche a fronte dell’inadempimento dell’obbligo di consegnare beni liberi da diritti e pretese di terzi,
il compratore può invocare senz’altro la tutela estimatoria ai sensi dell’art. 50 CISG 71.
Sembra, così, trovare conferma l’idea che la riduzione del prezzo costituisca un mezzo di tutela del compratore che questi può far valere, in
linea di principio, nei confronti di qualsiasi tipo di difetto materiale della
res vendita e di ogni forma di difetto giuridico del diritto acquistato che
non si traduca nella totale perdita della titolarità della cosa.
La conclusione cui siamo giunti esige tuttavia di essere ulteriormente precisata. Da un lato, in quanto la disciplina di diritto comune
della vendita rivela due – seppur secondarie e facilmente spiegabili – “eccezioni”. Dall’altro, perché è necessario chiarire quale incidenza rivesta,
nell’economia del mezzo di tutela de quo, l’interesse del compratore relativamente all’attribuzione patrimoniale difettosa, così ricollegandoci a
quanto avevamo osservato in apertura del presente paragrafo in ordine al
fatto che ai sensi degli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. al compratore non
sembra essere assicurata una piena libertà di scelta dell’azione estimatoria, come invece accade all’art. 1492 c.c.
70 Né
ha pregio la tesi secondo la quale tale argomento non sarebbe conclusivo giacché
«on the one hand, it mentions the remedy of price reduction explicitly for defects in title but at
the same time provides that the possibility to reduce the price exists “in accordance with Art. 50”
which only refers to non-conforming goods» (KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL,
sub art. 44 CIGS, München, 2011, Rn. 3). Infatti, oltre a quanto già abbiamo avuto modo di
notare circa la assoluta mancanza di vincolatività del riferimento espresso ai soli difetti di
conformità nell’art. 50, sembra opportuno notare come il rinvio contenuto nell’art. 44 sembri
riguardare le modalità di attuazione della riduzione e non già i presupposti in presenza dei
quali la medesima può essere invocata.
71 In questo senso, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 41 CIGS, in Wiener UN
Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 26 («Im Ergebnis ist die Minderung auch bei Rechtsmängeln zu
gewähren. Ein grundlegender sachlicher Unterschied zwischen Rechts- und Sachmängeln, der
den Auschluss der Minderung bei Rechtsmängeln fordert, ist nicht zu erkennen. Auch im
Übrigen stellt die Konvention Sach- und Rechtsmängel ganz weitgehend gleich. Ferner kann wenn auch in seltenen Fällen - ein Bedürfnis für den Minderungsanspruch speziell bei Rechtsmängeln bestehen»); W.A. ACHILLES, Kommentar zum UN-Kaufrechtsübereinkommen (CISG),
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
75
In primo luogo, è doveroso segnalare come – se quanto sin qui argomentato suffraga la tesi della generale applicabilità della riduzione del
corrispettivo a tutte le ipotesi in cui si verifichi un difetto dell’attribuzione patrimoniale cui è tenuto il venditore – qualche dubbio possa probabilmente essere avanzato in relazione alle ipotesi in cui, in una vendita
cui trovi applicazione esclusivamente la disciplina del codice civile, abbia
luogo la consegna di un aliud ovvero di una quantità di merce inferiore a
quella convenuta in contratto. Infatti, contrariamente a quanto abbiamo
appena veduto in relazione alla Convenzione di Vienna e alle norme in
materia di vendite di beni di consumo, la disciplina della garanzia per
vizi di cui agli artt. 1490 ss. c.c. non trova applicazione né alle ipotesi di
carenza quantitativa della merce, né alle patologie qualitative traducentisi
nella prestazione di una cosa radicalmente diversa da quella pattuita.
L’inesattezza quantitativa della prestazione del venditore, infatti, nel
sistema codicistico della compravendita è inquadrata non già quale vicenda di inattuazione dell’attribuzione patrimoniale convenuta, bensì –
salvo che l’inadeguatezza della quantità si traduca in un difetto della res72
– come inesatto adempimento dell’obbligazione di consegna (art. 1477
c.c.): di massima, pertanto, essa legittima il compratore non già al ricorso
alle azioni edilizie, ma agli ordinari rimedi contrattuali nei confronti dell’inadempimento73.
sub art. 50, 2. Aufl., München, 2014, Rn. 2; A.M. GARRO - A.L. ZUPPI, Compraventa internacional de mercaderías, Buenos Aires, 1992, p. 171; R. LOEWE, Internationales Kaufrecht, Wien,
1989, p. 72.
72 Scrive esattamente D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 904
che «a seconda della cosa e delle parti di essa le cui dimensioni risultano inadeguate, tale difetto può consistere in un vizio (ad esempio, insufficiente spessore dei muri o insufficiente
profondità delle fondamenta) […] oppure in una mancanza di qualità (essenziale per l’uso
normale o promessa) o più precisamente nel difetto del grado dovuto di una data qualità (es.,
scarpe confezionate su misura ma troppo strette, numero di vani dell’edificio inferiore al
normale)».
È bene ricordare, inoltre, che in tema di vendita di beni immobili la discrepanza fra
“quantità contrattata” e “quantità effettiva” riceve una speciale disciplina, imperniata sulla
rettifica del corrispettivo (art. 1537 ss. c.c.). Tale disciplina, peraltro, da un canto, non trova
applicazione qualora la quantità assurga a qualità promessa ex art. 1497 c.c. (così A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 254 e P. GRECO - G. COTTINO, sub art.
1537-41, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 494) e, dall’altro, fa riferimento a un’ipotesi in cui non ricorre né la consegna di una porzione inferiore a
quella effettivamente alienata, né una vendita di cosa parzialmente altrui, bensì soltanto un
errore di calcolo (v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 103 ss. e
A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 254 s.).
73 Per tutti, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 499. Ne
consegue che la legittimazione dell’acquirente a far valere la tutela estimatoria, in relazione a
questa ipotesi come a quella di consegna di un c.d. Identitäts-aliud del quale diremo subito
infra nel testo, dipende dalla risposta che si ritenga corretto fornire al più ampio quesito circa
76
CAPITOLO SECONDO
Altrettanto può dirsi per il caso in cui il venditore consegni al compratore un oggetto diverso da quello sul quale si è formato il consenso
delle parti, giacché in tal caso – secondo l’impostazione del nostro codice
civile – si è in presenza non già di una difformità fra il risultato traslativo
programmato e quello effettivamente prodottosi, bensì dell’inattuazione
dell’obbligo di trasferire il potere di fatto sulla cosa oggetto del contratto74. Ove, invece, l’aliud pro alio si sostanzi nell’attribuzione in proprietà di un bene radicalmente inidoneo ad assolvere la destinazione ecola natura di mezzo di tutela generale contro l’inadempimento di obbligazioni (derivanti da
contratti sinallagmatici) della riduzione del corrispettivo. Il tema esula dai limiti della presente trattazione, volta a indagare il rimedio nella sua applicazione nel contesto del contratto
di vendita, ma è doveroso sottolineare come – nonostante la mancanza di una disposizione
che la preveda espressamente – non siano rare le prese di posizione favorevoli a considerare,
de iure condito, la quanti minoris quale rimedio di carattere generale: in tal senso si esprimono
C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 356; ID., La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 954; A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, I, 1, in Comm.
Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 36. In giurisprudenza, un certo favore per l’applicazione della riduzione del corrispettivo quale rimedio di carattere “generale”, proprio facendo leva sull’idea che questa costituisca un mezzo di tutela di ordine generale, si può scorgere nel filone inaugurato da Cass., sez. un., 27 febbraio 1985, n. 1720 la quale, con riguardo
a un preliminare di vendita di immobile da costruire, realizzato con vizi o difformità incidenti
sul solo valore ovvero su modalità del godimento di ordine secondario, ha ritenuto che «il
promissario acquirente, a fronte dell’inadempimento del promittente venditore, non resta
soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve
della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di
concludere il contratto definitivo, a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo, contestualmente e
cumulativamente, la riduzione del prezzo, tenuto conto che il particolare rimedio offerto dal
citato art. 2932 c.c. non esaurisce la tutela della parte adempiente, secondo i principi generali
dei contratti a prestazioni corrispettive, e che una pronuncia del giudice, che tenga luogo del
contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l’interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non
sia eluso da fatti ascrivibili al promittente».
L’applicazione della riduzione del prezzo alla specifica fattispecie del difetto quantitativo si ritrova in Cass. 6 novembre 1991, n. 11834, secondo la quale «anche nella vendita di
cose di genere quali gli animali che siano indicati in contratto con riferimento al loro numero,
il difetto di qualità può costituire “vizio” se si riferisca alle dimensioni, peso, misura, o alle caratteristiche dei singoli capi (“corpora certa”); quando invece gli animali, pur avendo le caratteristiche pattuite, vengano consegnati in numero inferiore a quello convenuto, il venditore
incorre in inadempimento parziale ed il compratore ha diritto, a seconda delle particolarità
concrete, o alla consegna del quantitativo mancante o alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, ferma restando l’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c.,
senza che a dette azioni siano applicabili le condizioni ed i termini di cui all’art. 1495 c.c.».
74 Così A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 476 s. e G. D’AMICO,
La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 459. Nel senso che la fattispecie in
discorso concreta un inadempimento dell’obbligazione contrattuale di consegna v. altresì
D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 910 ss.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
77
nomico-sociale della cosa dedotta in contratto75 deve convenirsi con la
migliore dottrina secondo cui ricorre non già un inadempimento regolato
dalle regole generali in materia di risoluzione e di risarcimento del
danno76, rilevante soltanto in presenza di una colpa dell’alienante77, bensì
la realizzazione di un’attribuzione patrimoniale differente da quella programmata, la cui gravità è tale da poter essere equiparata a un’inattuazione totale. Pertanto, a questa seconda – e più frequente – ipotesi di
consegna di cosa diversa, deve trovare applicazione «una tutela modellata su quanto previsto dagli artt. 1479 e 1480 c.c., alla cui stregua [il
compratore] avrà diritto a chiedere la risoluzione del contratto (o la riduzione del prezzo)78 a prescindere dalla colpa del venditore […] e usufruendo del termine di prescrizione ordinaria»79.
Rimane pertanto confermato che tutte le fattispecie che danno
luogo a un’imperfetta esecuzione dell’attribuzione traslativa legittimano
75 Corre
l’obbligo di precisare che, nell’assumere la posizione che stiamo per esprimere,
muoviamo dal presupposto incontrovertibile dell’ormai piena cittadinanza nel sistema codicistico della compravendita della categoria dell’aliud quale consegna di cosa assolutamente inidonea a soddisfare le esigenze sottese all’impiego che tipicamente si fa della res oggetto del
contratto. Ciò, peraltro, non ci impedisce di manifestare la netta preferenza per l’impostazione unitaria adottata dalla Convenzione di Vienna e dalla dir. 1999/44/CE, giacché la speculazione volta a sceverare le varie tipologie di difetto materiale ha già mostrato la sostanziale
inanità dello sforzo diretto a separare concetti riferentisi a realtà ontologicamente identiche.
76 Così, invece, la giurisprudenza e la dottrina prevalente. Cfr. infatti, in luogo di molte,
Cass. 18 maggio 2011, n. 10916; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202; Cass. 30 luglio 2004, n. 14586;
Cass. 3 agosto 2000, n. 10188; Cass. 28 gennaio 1997, n. 844; Cass. 19 gennaio 1995, n. 593.
In dottrina, v. ad esempio G.B. FERRI, La vendita in generale, in Tratt. Rescigno, XI, cit., p.
246 ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 949; E. GABRIELLI, La
consegna di cosa diversa, Napoli, 1987, p. 5; C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi e difetti di
qualità della cosa venduta, in D. VALENTINO (a cura di), I contratti di vendita, II, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, p. 1127.
77 In tal senso è particolarmente ferma la posizione dei nostri tribunali: si veda, oltre
alle sentenze citate alla nota precedente, Cass. 30 marzo 2006, n. 7561, la cui massima ha il
seguente tenore: «La vendita di aliud pro alio […] configura una ipotesi di inadempimento
contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle
qualità promesse, che integrano la fattispecie dell’inesatto adempimento; nel primo caso al
compratore spetta l’azione generale di risoluzione contrattuale per inadempimento, con conseguente rilevanza della colpa ai fini del giudizio di inadempimento, mentre negli altri casi,
operando la speciale garanzia di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c., la colpa rileva soltanto ai fini
dell’eventuale risarcimento dei danni».
78 Ciò, peraltro, in tanto potrà verificarsi in quanto, nonostante la radicale inidoneità
della res trasferita a servire agli scopi che tipicamente caratterizzano la cosa dedotta in contratto, l’accipiens ritenga comunque di poter trarre un’utilità dalla medesima. Sul punto v.
infra nel testo.
79 Le parole fra virgolette sono tratte da G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt.
CNN Perlingieri, cit., p. 459, il quale riprende l’opinione espressa da A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 286.
78
CAPITOLO SECONDO
l’accipiens a fare ricorso alla quanti minoris: le stesse (potenziali) eccezioni che abbiamo or ora identificato, in relazione alle ipotesi di consegna di una quantità di cose inferiore a quella dovuta e di c.d. Identitätsaliud, possono e debbono infatti spiegarsi osservando come, nel sistema
della garanzia, questi casi non diano luogo a un’inattuazione dell’attribuzione patrimoniale ma a un mero inadempimento dell’obbligo di consegna.
Acclarata la natura generale del rimedio estimatorio con riferimento
a questa tipologia di inesecuzione del programma contrattuale, deve peraltro essere chiarito il punto relativo alla rilevanza dell’interesse del
compratore, giacché abbiamo avuto modo di notare come le disposizioni
in tema di difetti giuridici contenute nel nostro codice civile leghino l’esperibilità della riduzione del corrispettivo all’esito positivo del giudizio
inerente all’interesse di questi nei confronti dell’acquisto qualora egli
fosse stato al corrente del difetto medesimo, mentre una simile valutazione non è evocata né dall’art. 1492 c.c., né dall’art. 130 c.cons., né dall’art. 50 CISG, i quali ammettono l’esercizio della quanti minoris a prescindere da simili valutazioni. Ciò parrebbe adombrare la possibilità che
soltanto in relazione ai difetti materiali la riduzione del prezzo costituisca
una via sempre percorribile per l’acquirente insoddisfatto, mentre tanto
non varrebbe qualora sia il diritto trasferito a essere “viziato”.
Sembra, però, opportuno soppesare con attenzione l’incidenza del
giudizio evocato dall’art. 1480 c.c., onde evitare di attribuirgli un peso
eccedente rispetto agli scopi che il legislatore ha perseguito nel dettare la
relativa regola. Questa, invero, non ha affatto lo scopo di restringere il
campo di applicazione del rimedio estimatorio ma – al contrario – quello
di segnare il perimetro della risoluzione del contratto, circoscrivendola
alle sole ipotesi in cui le circostanze del caso concreto facciano ritenere
che quel compratore (e non il compratore medio)80 «non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario» (art.
1480 c.c.). La limitazione all’esperibilità della risoluzione così imposta,
infatti, è stata ritenuta una sorta di specificazione del generale criterio di
importanza dell’inadempimento81 di cui all’art. 1455 c.c., ed è precisa80 Così,
infatti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375
nota 46.
81 Si noti, incidentalmente, che il criterio in discretivo in argomento presenta una palese somiglianza con quello che – ai sensi dell’art. 1419, comma 1 c.c. – presiede all’estensione della nullità parziale all’intero contratto (lo notano, ad esempio, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394 nota 1039 e A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 46). Contrariamente a quanto accade in relazione a tale fattispecie,
peraltro, nell’ipotesi che qui interessa il giudizio riguarda soltanto l’attitudine del compratore
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
79
mente volta a evitare che lo scambio possa essere posto nel nulla anche
qualora l’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale non debba considerarsi di gravità tale da far venir meno l’interesse del compratore all’acquisto82.
La prospettiva dalla quale occorre guardare alla regola posta dall’art.
1480 c.c., pertanto, è opposta rispetto a quella che il confronto con la disciplina dedicata ai difetti materiali parrebbe suggerire: non di una restrizione all’esercizio dell’estimatoria si tratta, ma del mero “negativo” della
regola diretta a riservare la risoluzione alle sole ipotesi di maggior gravità.
E ciò è confermato dal fatto che la dottrina è chiara nell’affermare che
«anche quando avrebbe diritto alla risoluzione del contratto il compratore, se lo preferisce, può limitarsi a chiedere una semplice riduzione del
prezzo»83. D’altronde, nel consentire la risoluzione soltanto qualora
debba «ritenersi, secondo le circostanze, che [l’acquirente] non avrebbe
acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario»,
l’art. 1480 c.c. esprime chiaramente sia la necessità che la domanda di risoluzione sia supportata da elementi che consentano di dedurre la carenza
di interesse del compratore in relazione all’adempimento parziale, sia la
connessione dell’alternativa rimediale alla sola considerazione dell’interesse di tale soggetto. In ciò differenziandosi dalla regola codificata dall’art. 1419, comma 1 c.c., invero, quella qui analizzata non conferisce alcuna rilevanza all’interesse del venditore, il quale può pertanto certamente opporsi alla risoluzione invocando la sussistenza di un interesse
della controparte nei confronti dello scambio pur a fronte del difetto, ma
di certo non ha titolo per contestare la richiesta di riduzione del prezzo allegando, viceversa, la carenza di interesse della controparte. Deve, infatti,
essere considerato che – seppur si atteggia quale giudizio imperniato sull’astratta attitudine del compratore nei confronti del difetto effettivamente
manifestatosi – quello di cui all’art. 1480 c.c. è un giudizio che ben difficilmente può condurre a negare la sussistenza di tale interesse a fronte
dell’inequivoca volontà del compratore di conservare lo scambio, ottenendo la decurtazione del corrispettivo pattuito, manifestata attraverso
l’esercizio della quanti minoris, anziché della risoluzione.
Possiamo pertanto concludere che, a dispetto del differente tenore
e non già quella di entrambe le parti del contratto. Questa osservazione ci tornerà utile a
breve nel testo.
82 In questo senso v. ancora D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 375 s.
83 Così D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377 e, più di
recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394.
80
CAPITOLO SECONDO
delle disposizioni analizzate84, la valutazione in ordine alla scelta di esercitare la riduzione del corrispettivo a fronte della sussistenza di un’inesatta attribuzione patrimoniale sia rimessa interamente alla libera scelta
del compratore, il quale la farà valere allorché – nonostante il difetto –
abbia interesse al conseguimento e alla conservazione della prestazione
contrattuale eseguita dalla controparte.
3.
L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto di
ridurre il prezzo
L’indagine fin qui condotta ci consegna la riduzione del corrispettivo quale generale mezzo di reazione a fronte dei vizi giuridici o materiali manifestati dall’attribuzione patrimoniale, che consente al compratore, interessato a trattenere la res nonostante il difetto, di ottenere una
corrispondente modificazione della prestazione pecuniaria dovuta, giustificata dall’inesatta esecuzione del contratto da parte del venditore.
Stando alla denominazione stessa del rimedio, potrebbe ritenersi
che il suo contenuto si esaurisca, appunto, nella mera decurtazione del
corrispettivo pattuito85. Tale conclusione è, però, certamente fallace.
Come è stato posto in luce soprattutto dagli studiosi di area germanica86, la riduzione del prezzo spiega infatti i propri effetti su entrambe le
84 Tale differente tenore, sia detto incidentalmente, produce assai più penetranti effetti
in ordine alla possibilità per il compratore di esercitare il rimedio risolutorio: si pensi, ad
esempio, al fatto che questa soggiace ai medesimi presupposti dell’estimatoria ai sensi dell’art.
1492 c.c., mentre è subordinata al giudizio di carenza di interesse al contratto parzialmente
inadempiuto nelle fattispecie di cui agli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c.
85 Nella nostra dottrina, in effetti, si tende a porre esclusivamente l’accento su questo
aspetto: cfr., ad esempio, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit.,
p. 451 e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 953, i quali fanno riferimento soltanto alla decurtazione del corrispettivo pattuito volta a mantenere inalterato il
rapporto di equivalenza tra cosa e prezzo.
86 In relazione al § 441 BGB, cfr., già nei commentari, MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 17; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, 14. Aufl., Berlin, 2014, Rn. 38 s., i quali si riferiscono agli effetti della Minderung come “Umgestaltung des Kaufvertrags”. Il punto è ben messo in luce in R. GAIER, Die
Minderungsberechnung im Schuldrechtsmodernisierungsgesetz, in ZRP, 2001, p. 340, il quale fa
appunto riferimento al «Charakter der Minderung als Vertragsanpassung»; S. PIEGSA, Teilleistungsstörungen bei Verträgen über mehrere körperliche gegenstände, Berlin, 2005, p. 210 ss.;
U. KORTH, Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 56 ss.; J. BASEDOW (a cura di), Die
Reform des deutschen Kaufrechts: Rechtsvergleichendes Gutachten des Max-Planck-Instituts für
ausländisches und internationales Privatrecht im Auftrag des Bundesministerium der Justiz,
Köln, 1988, p. 72 s.
La medesima opinione si può ritrovare negli scritti relativi all’art. 50 CISG: a titolo di
esempio, possono consultarsi SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, 6.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
81
attribuzioni patrimoniali cui le parti si impegnano in forza del contratto,
non limitandosi a modificare l’importo della prestazione pecuniaria dovuta dal compratore, ma incidendo altresì sui contenuti della prestazione
dovuta dal venditore. A seguito dell’esperimento della tutela estimatoria,
infatti, l’acquirente esprime la propria volontà di accettare definitivamente la res vendita con le qualità materiali e giuridiche che essa ha effettivamente manifestato di possedere – dal momento che i contenuti e le
caratteristiche della prestazione traslativa sono diversi da quelli originariamente risultanti dalle pattuizioni e dalle norme di legge – sicché anche
il contenuto dell’impegno contrattuale dell’alienante viene modificato,
venendo egli ad essere gravato dal dovere di trasferire non già un bene
conforme alle pattuizioni negoziali87, bensì il bene con le qualità che esso
ha effettivamente rivelato.
Due precisazioni sono, peraltro, necessarie.
In primo luogo, tale modificazione del contenuto contrattuale è circoscritta al solo difetto effettivamente denunziato dal compratore e in relazione al quale è esercitata la riduzione del prezzo, mentre per il resto il
venditore rimane gravato dal generale obbligo di procurare un bene
esente da difetti. Con ciò intendiamo dire che l’adattamento del programma negoziale indotto dall’esercizio della quanti minoris comporta
solo ed esclusivamente la modifica di quanto dovuto in base al contratto
in relazione alla qualità giuridica o materiale rivelatasi mancante, in vista
della quale il rimedio è stato fatto valere, ma non si estende a tutti gli
eventuali difetti che dovessero eventualmente manifestarsi in futuro88
(ovvero si siano manifestati ma non siano stati invocati a fondamento
della quanti minoris). L’eventuale successiva manifestazione di difetti ulteriori, pertanto, darà luogo ad altrettante fattispecie di responsabilità del
Aufl., München, 2013, Rn. 1, il quale esattamente scrive che «die Minderung ist somit weder
Schadenersatz noch partielle Vertragsaufhebung, sondern Vertragsanpassung», e M. HIRNER, Der
Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-BernBruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000, p. 191 ss.
87 In questo senso, v. C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im
Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag,
München, 2002, p. 29 ss., il quale scrive che con l’esercizio della Minderung il compratore rinunzia «auf die Vollwertigkeit der Sache gegen Rückzahlung eines Teils des Kaufpreises». Così
anche U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 57: riferendosi all’ipotesi della vendita di un
quadro rivelatosi opera di un allievo di Picasso, piuttosto che di quest’ultimo, egli scrive che
«infolge der Ausübung der Minderungsposition durch den Käufer ist der Kaufvertrag auch
dahingehend angepasst, dass das Bild in seiner tatsächlichen Beschaffenheit nunmehr die
geschuldete Kaufsache ist. Die Minderung führt somit auch zu einer Modifikation der vom
Verkäufer versprochenen Leistung».
88 Sul punto, v. il par. 6 del Capitolo 3, ove sarà affrontato amplius il tema del ripetuto
esperimento della riduzione del corrispettivo in relazione a plurimi difetti della res vendita.
82
CAPITOLO SECONDO
venditore, che consentiranno alla controparte di esercitare i mezzi di tutela che riterrà opportuni.
In secondo luogo, ci sembra necessario tenere conto delle perplessità che l’idea di un mutamento dell’obbligo gravante sul venditore in
forza del contratto di vendita può sollevare presso coloro i quali ritengono che la garanzia per vizi e per evizione prevista dal codice civile non
si traduca affatto in un obbligo dell’alienante di trasferire alla controparte una cosa dotata di determinate caratteristiche o, comunque, esente
da vizi materiali o giuridici, sulla base dell’assorbente considerazione secondo cui non potrebbe assumersi un impegno obbligatorio in relazione
a una realtà di fatto che sussiste o meno, non potendo questa essere influenzata dal comportamento umano89. Non sembra, peraltro, che tale
impostazione sia inconciliabile con quanto sosteniamo. E non lo è proprio perché anche coloro che negano la sussistenza in capo al venditore
di un obbligo di procurare all’acquirente un bene non difettoso non contestano che tale risultato costituisca nondimeno oggetto del vincolo negoziale, che dovrà dirsi inadempiuto sotto il profilo dell’inadeguatezza
dell’attribuzione patrimoniale operata qualora la res vendita presenti un
vizio redibitorio o giuridico90. Se le qualità della cosa, pur ritenendosi
non suscettibili di costituire oggetto di obbligazione, concorrono ciononostante alla definizione dei caratteri dell’attribuzione patrimoniale dovuta in base al contratto, accedendo a questa ricostruzione può comunque concludersi – così rendendo omnicomprensiva la proposta definizione degli effetti del rimedio – che la riduzione del corrispettivo, anche
qualora si ritenga che non incida su un obbligo assunto dal venditore,
modifica senz’altro il suo complessivo impegno contrattuale.
Identificare il modo di operare della quanti minoris nell’adattamento del contenuto contrattuale equivale ad affermare che la natura
giuridica degli effetti che questa produce deve essere ricondotta a uno
specifico fenomeno che coinvolge, alterandolo, l’iniziale programma negoziale e che non sembra riconducibile, almeno prima facie, ad altri istituti o principi, che appaiono ad essa almeno superficialmente affini e che
sono stati talvolta invocati al fine di descriverne il proprium.
In particolare, se non v’è dubbio – come meglio diremo nel par. 5 –
che la riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela contro l’inesatta
attribuzione patrimoniale possa trovare la propria remota giustificazione
nel principio dell’arricchimento ingiustificato91, è altrettanto vero che la
89 Per questa tesi, v. gli Autori citati alla nota 186 del Capitolo 1.
90 Cfr. per tutti L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla
garanzia per i vizi
nella vendita, in Riv. dir. comm., cit., p. 16 s.
91 D’altronde, tale era l’idea sulla base della quale l’azione si affermò nell’ordinamento
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
83
tutela estimatoria non si esaurisce in una mera applicazione dell’azione di
arricchimento. Non solo perché quest’ultima nel diritto civile vigente costituisce un mezzo di tutela sussidiario, il quale trova applicazione soltanto «quando il danneggiato [non] può esercitare un’altra azione per
farsi indennizzare del pregiudizio subito»92 (art. 2042 c.c.) ma anche, e
soprattutto, perché la riduzione del prezzo non si limita a provocare il
mero adeguamento del prezzo bensì – come abbiamo visto poco supra –
dà luogo pure, e correlativamente, alla modifica della prestazione incombente sul venditore, la quale viene a coincidere con la prestazione dell’oggetto difettoso.
Pertanto, il mero richiamo al principio dell’arricchimento senza
causa non sembra fornire una spiegazione appagante alla previsione e al
funzionamento tipico della tutela estimatoria, la quale senz’altro consente la rimozione dell’indebito lucro che il venditore trarrebbe ove potesse conservare l’intero prezzo pattuito pur a fronte dei difetti rivelati
dalla res vendita, ma il cui contenuto – come meglio vedremo nel Capitolo 3 – non coincide con l’“arricchimento” del venditore, cui espressamente è limitata la misura dell’indennizzo conseguibile a mezzo dell’actio
de in rem verso (art. 2041 c.c.)93. A ciò si aggiunga che l’accostamento
sembra smentito altresì dalla differente natura che la tesi assolutamente
dominante ascrive al debito dell’arricchito e a quello del venditore verso
romano. Sull’originaria natura di azione di arricchimento dell’actio aestimatoria concessa
dagli edili curuli cfr. Capitolo 1.
92 Sulla sussidiarietà dell’azione ex art. 2041 c.c., oltre agli ormai classici scritti di P.
TRIMARCHI, L’arricchimento senza causa, Milano, 1962, p. 41 ss., P. SCHLESINGER, voce Arricchimento (Azione di), in Nov. D., I, 2, Torino, 1958, p. 1004 ss., A. TRABUCCHI, voce Arricchimento (Azione di), in Enc. dir., III, Milano, 1959, p. 74 ss., v. ex plurimis U. BRECCIA, L’arricchimento senza causa, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1999, p. 1010 ss.; A. DI MAJO, La tutela
civile dei diritti, Milano, 2004, p. 325 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 834 ss.; P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, in Tratt. Sacco,
Torino, 2008, p. 68 ss.; A. ALBANESE, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, p. 332 ss.; E. MOSCATI, voce Arricchimento (Azione di) nel diritto civile, in Dig.
disc. priv. - sez. civ., I, Torino, 1987, p. 458 ss.; F. GIGLIO, La actio de in rem verso nel sistema
del codice civile, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 266 ss.; P. SIRENA, Note critiche sulla sussidiarietà
dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 105 ss.;
B. NICHOLAS, Unjust enrichment and subsidiarity, in Studi in memoria di Gino Gorla, III, Milano, 1994, p. 2037 ss.; L. BARBIERA, Arricchimento mediato e sussidiarietà dell’azione, in Contratti, 2004, p. 116 ss.; A. VENTURELLI, Sulla specificità e residualità dell’azione di ingiustificato
arricchimento: inutilità di un rimedio?, in Danno e resp., 2003, p. 865 ss.; D. CARUSI, Una fonte
(inesauribile?) di equivoci: la sussidiarietà dell’azione di arricchimento, in Giur. it., 2014, p.
1098 ss. (a commento di Cass. 2 agosto 2013, n. 18502).
93 Scrive C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 832 che l’indennizzo cui
ha diritto il soggetto che agisce con l’azione di arricchimento «è determinato nella minor misura tra il valore del bene perduto dall’impoverito […] e il valore del vantaggio conseguito
dall’arricchito».
84
CAPITOLO SECONDO
il quale sia fatta valere la riduzione del prezzo: mentre il primo è pacificamente inquadrato quale debito di valore soggetto a rivalutazione automatica sin dal giorno dell’arricchimento94, il secondo ha – per unanime
opinione – natura di debito di valuta95.
Persuasivo non è neppure l’accostamento che, negli anni ’80 del secolo scorso, è stato tentato da parte di certa dottrina germanica96, la
quale ha proposto di considerare la riduzione del prezzo quale ipotesi di
responsabilità precontrattuale derivante dalla conclusione di un contratto valido97, foriera di un obbligo risarcitorio limitato al c.d. interesse
negativo, osservando che il compratore – a seguito della conclusione del
94 Cfr.
Cass. 16 novembre 1993, n. 11296: l’indennizzo dovuto per arricchimento senza
causa a norma dell’art. 2041 c.c., in quanto diretto a reintegrare una diminuzione patrimoniale, configura un debito di valore e non di valuta, per cui esso va liquidato alla stregua dei
valori monetari in atto al momento della pronuncia e il giudice deve tener conto della svalutazione monetaria intervenuta fino al momento della decisione, anche di ufficio, indipendentemente dalla prova della sussistenza di un specifico pregiudizio dell’interessato, dipendente
dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. Cass. 12 settembre 1992,
n. 10433: la somma dovuta a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa produce, dal
giorno del verificarsi dell’arricchimento, interessi compensativi […]; essi decorrono dalla
data della perdita del godimento del bene, senza che occorra che il creditore sia liquido ed
esigibile. Cass. 11 febbraio 2002, n. 1884, secondo cui l’indennizzo previsto dall’art. 2041
c.c., anche se l’arricchimento consiste in un risparmio di spesa e il correlativo depauperamento in attività od erogazioni, rientra tra i debiti di valore, per tali dovendosi intendere
quelli aventi ad oggetto non la erogazione già in origine di una entità pecuniaria per se stessa
oggettivamente rilevante, determinata o determinabile, ma la prestazione di un quid monetario corrispondente a un valore reale, tendenzialmente finalizzato a reintegrare il patrimonio
dell’avente diritto.
95 Cass. 29 gennaio 2013, n. 2060: l’obbligazione del venditore di restituire parte del
prezzo, conseguente all’accoglimento dell’actio quanti minoris, ha natura non di debito di valore ma di valuta, trattandosi non di un’obbligazione risarcitoria ma di un rimborso a favore
dell’acquirente, in quanto derivante dal venir meno […] della causa dell’obbligazione di pagamento dell’intero prezzo. V. altresì C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli,
cit., p. 974, nonché Cass. 6 febbraio 1989, n. 724 e Cass. 6 febbraio 1985, n. 846. Cfr. amplius
il par. 8 del Capitolo 3.
96 Si vedano, in particolare, gli scritti di H. STOLL, laddove l’A. esprime l’opinione secondo cui i rimedi edilizi verrebbero legittimati dall’esistenza di un danno all’affidamento
provocato dalla promessa di prestazione del venditore, e – nel caso specifico della Minderung
– la pretesa riconosciuta al compratore altro non sarebbe che un rimedio tipizzato con il
quale l’interesse contrattuale negativo viene affermato e tutelato. Sul punto cfr. H. STOLL, Anmerkung zu BGH, Urteil v. 10.12.1986 - VIII ZR 349/85, in JZ, 1987, p. 518 ss. e ID., Die bei
Nichterfüllung nutzlosen Aufwendungen des Gläubigers als Maßtab der Interessenbewertung.
Eine rechtsvergleichende Studie zum Vertragsrecht, in Festschrift für Konrad Duden, München,
1977, p. 641.
97 La proposta interpretativa in discorso si pone, peraltro, nel solco della tesi già avanzata da R. VON JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadenserstatz bei nichtigen oder nicht zur
Perfection gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, p. 17, in ordine alla quale si veda
il Capitolo 1.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
85
contratto di vendita e della consegna di un bene viziato – subisce un
danno risarcibile, in quanto si ritrova ad essere obbligato al pagamento
di un prezzo eccessivo rispetto alle qualità effettive del bene conseguito.
Infatti, qualora il compratore avesse conosciuto le reali condizioni e
qualità della res vendita – ove ciò non lo avesse determinato addirittura
ad astenersi dal contrarre – di certo lo avrebbe almeno indotto a concludere il contratto a condizioni differenti rispetto a quelle effettivamente pattuite sul presupposto dell’integrità e della regolarità dell’attribuzione patrimoniale circa la quale il venditore ha assunto l’impegno
contrattuale98.
Secondo tale ricostruzione, la riduzione del prezzo darebbe luogo
alla riparazione del danno così prodottosi, il quale verrebbe appunto risarcito attraverso la decurtazione di parte del corrispettivo o la restituzione di questa. Inteso in tal senso, il rimedio che ci occupa dovrebbe garantire al compratore di essere posto in una situazione economicamente
equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato ove (non avesse concluso il contratto o, rectius) lo avesse concluso conoscendo fin dal principio l’esistenza del difetto99.
Tale ricostruzione si rivela inappagante nel descrivere la natura della
riduzione del prezzo100 in quanto, a tacer d’altro101, non spiega la prevista
possibilità del compratore di richiedere, oltre al rimedio in parola, altresì
il risarcimento del danno102 e trascura di considerare come la tutela dell’interesse negativo – come meglio si vedrà – non si esaurisca affatto nella
98 La tesi de qua, pertanto, riconduce sostanzialmente la garanzia a un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, fondata sulla mancata informazione del compratore in ordine
alle qualità del bene compravenduto. Tale tesi è stata sostenuta anche nella nostra letteratura:
sul punto v. il Capitolo 6.
99 Così H. STOLL, Anmerkung zu BGH, Urteil v. 10.12.1986 - VIII ZR 349/85, cit.,
p. 519.
100 Nel senso che la Wandlung e la Minderung sarebbero irriconducibili a ipotesi di
responsabilità risarcitoria, v. altresì W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, cit., p. 185.
101 Anche in questo caso, ad esempio, dovremmo notare la singolarità di un’ipotesi di
risarcimento del danno con riferimento alla quale è pacifica la ritenuta sussistenza di un debito di valuta, e non già di valore.
102 In argomento v. il Capitolo 6, ove sarà fatta oggetto di specifica attenzione, fra l’altro, la disciplina del risarcimento del danno richiesto in aggiunta rispetto alla riduzione del
prezzo. La ricostruzione di Stoll, non a caso, si è formata sulla base del diritto della compravendita tedesco anteriore alla riforma del 2002: in tale regime, infatti, il compratore di
una cosa viziata o priva di qualità garantite poteva ottenere il risarcimento del danno – indipendentemente dalla colpa del venditore – soltanto in alternativa alla risoluzione del contratto e alla riduzione del prezzo, e non già in aggiunta a tali rimedi, e soltanto in tre ipotesi
determinate, circa le quali si veda, per tutti, K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. II Band:
Besonderer Teil. 1. Halbband, München, 1986, p. 58 ss.
86
CAPITOLO SECONDO
diminuzione del corrispettivo convenuto103, bensì comprenda altresì tutte
le spese sostenute dal compratore in conseguenza del contratto e risultate
inutili in ragione della presenza e della manifestazione del vizio nella
cosa.
Ove si noti che tutti indistintamente i sistemi di tutela del compratore fatti oggetto di considerazione nella presente indagine consentono al
compratore deluso di far valere, oltre alla riduzione del prezzo, anche il
diritto al risarcimento del danno (artt. 1480 e 1494 c.c.; art. 135 c.cons.;
art. 45 CISG), non può che apparire problematico ammettere che lo
stesso rimedio estimatorio sia contraddistinto da una funzione risarcitoria. Invero, qualora si ritenga che i referenti normativi appena richiamati
evochino altrettante ipotesi di pieno risarcimento del danno, esteso al
c.d. interesse positivo104, non solo sarebbe palesemente eterodosso ritenere che una medesima fattispecie sia posta dalla legge a fondamento di
due tipologie di responsabilità risarcitoria differenti, ma sarebbe certamente inammissibile il cumulo di poste risarcitorie che l’esercizio combinato dell’uno e dell’altro rimedio renderebbe possibile105. Ove, al contra103 Anche a questo aspetto sarà dedicata attenzione nel Capitolo 6. Per il momento, si
veda la sintetica trattazione di A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, I, 1, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 403 ss.
104 In questo senso si colloca l’unanime opinione relativamente al risarcimento del
danno previsto in favore del compratore dalla Convenzione di Vienna del 1980 (per tutti, v.
STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 74 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 2; del
resto è lo stesso art. 74 CISG a chiarire che la pretesa del danneggiato si identifica in una
somma «equal to the loss, including loss of profit, suffered by the other party as a consequence
of the breach»), nonché quella nettamente prevalente con riferimento al rimedio risarcitorio
accordato dagli artt. 1480 e 1494 c.c. (cfr. ad esempio A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu
- Messineo, cit., p. 492; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., 978; Cass.
7 marzo 2007, n. 5202). Per quanto attiene, infine, alla pretesa risarcitoria che può essere
fatta valere dal consumatore in forza della generale previsione di cui all’art. 135 c.cons., la valorizzazione della stretta derivazione dell’apparato di tutela accolto dalla dir. 1999/44/CE
dalla CISG e la sussistenza di un preciso obbligo del venditore di trasferire alla controparte
beni conformi alle pattuizioni contrattuali non può che deporre nel senso che l’obbligo risarcitorio sia volto a reintegrare il patrimonio dell’acquirente per l’intero interesse positivo (cfr.
G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI (a cura di),
I contratti del consumatore, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1053).
105 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA,
Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 220 ss. e p. 249
ss., il quale sottolinea come «la funzione del risarcimento è di reintegrare il patrimonio del
creditore nella misura del pregiudizio effettivamente e concretamente sofferto [sicché …] la
prestazione risarcitoria non deve mettere il danneggiato in una condizione migliore di quella
in cui si sarebbe trovato in mancanza di fatto lesivo. […]» (p. 221 s.). Ove si noti che il risarcimento dell’interesse positivo comporta il riconoscimento al danneggiato dei vantaggi che
avrebbe ottenuto dalla regolare esecuzione del contratto, mentre quello negativo lo pone in
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
87
rio, si ritenga che anche la responsabilità risarcitoria sia limitata all’interesse negativo, parrebbe priva di qualsivoglia giustificazione la scelta di
attribuire all’acquirente due mezzi di tutela di contenuto sostanzialmente
identico, benché contraddistinti da differenti denominazioni.
Ne dobbiamo, pertanto, desumere che l’inquadramento della quanti
minoris quale azione risarcitoria volta a procurare il risarcimento dell’interesse contrattuale negativo del compratore risulta insoddisfacente ed è
smentito dallo stesso tenore delle disposizioni che compongono i sistemi
di tutela di costui nei confronti di attribuzioni patrimoniali difettose.
Profondendo un lodevole sforzo nel tentativo di addivenire a una
soddisfacente qualificazione dell’oggetto del nostro studio – e, in particolare, della riduzione del prezzo coniata all’interno del sistema della garanzia di ascendenze romanistiche –, gli studiosi germanici hanno altresì
proposto di ricondurre la riduzione del prezzo a un’ipotesi normativamente qualificata di reazione alla “perturbazione106 del fondamento negoziale”107 (la c.d. Störung des Geschäftsgrundlage108, oggi codificata nel
una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato ove non avesse concluso il contratto o lo avesse fatto a condizioni differenti, non può che risultare evidente come il contemporaneo riconoscimento di tali utilità patrimoniali dia luogo a una tutela “esorbitante”, irrispettosa del principio che esige la corrispondenza fra misura del danno risarcibile e quantum dell’obbligo risarcitorio.
106 Come acutamente osserva P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des
Geschäftsgrundlage, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello
per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 103, «il legislatore ha preferito, con riguardo alla “caduta” – il termine usuale, in dottrina e in giurisprudenza, era appunto questo del Wegfall, dello Zweckfortfall –, un vocabolo filologicamente più
generico, che evoca l’idea del turbamento della situazione negoziale […]: Störung indica,
appunto, un turbamento, un disturbo, che peraltro non arriva alla distruzione».
107 Vedi K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, München-Berlin, 1963,
p. 20 ss., il quale mette in luce la correlazione fra concezione oggettiva del vizio e fondamento
negoziale. Peraltro, proprio l’affermarsi della concezione mista di vizio nel nuovo § 434 BGB
(v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi
alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 207, p. 62 s.) sembra contribuire a far sorgere
gravi dubbi sulla possibilità di fondare su tali premesse la ricostruzione della riduzione del
prezzo.
108 Nell’impossibilità di fornire un’esauriente indicazione della sterminata bibliografia
in tema di fondamento negoziale, circa la quale si rimanda senz’altro ai commenti al § 313 nF
BGB contenuti nei principali commentari, debbono essere ritenute essenziali le ormai classiche trattazioni di P. OERTMANN, Die Geschäftsgrundlage. Eine neuer Rechtsbegriff, Leipzig,
1921, passim; K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 15 ss. nonché D.
MEDICUS, Vertragsauslegung und Geschäftsgrundlage, in Festschrift für Werner Flume, Köln,
1978, p. 629 ss. e F. WIEACKER, Gemeinschaftlicher Irrtum der Vertragspartner und Clausula
rebus sic stantibus, in Festschrift Wilburg, Graz, 1965, p. 229 ss. Per una sintesi successiva alla
codificazione avvenuta con la riforma del diritto delle obbligazioni del 2002 cfr. ancora
K. LARENZ - M. WOLF, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, München, 2004, p. 697 ss. e
88
CAPITOLO SECONDO
codice civile germanico al § 313 nF BGB109). Come noto, il “fondamento
negoziale” è costituito dall’insieme di quelle circostanze che – pur non
formando oggetto della pattuizione raggiunta dalle parti – costituiscono
la base che le parti hanno avuto presente o si rappresentavano nel regolamentare i propri rapporti e che esprimono un presupposto necessario
affinché tale regolamento possa essere attuato conservando il significato
proprio della pattuizione medesima110. Qualora tali circostanze presupposte si siano rivelate differenti da quanto creduto, ovvero siano mutate
successivamente alla conclusione del contratto, in maniera talmente incisiva che le parti non avrebbero concluso il contratto o lo avrebbero concluso con un differente contenuto, ove avessero conosciuto le reali circostanze ovvero avessero previsto i mutamenti di queste, può essere richieD. MEDICUS, Allgemeiner Teil des BGB, 10. Aufl., Heidelberg-München-Landsberg-FrechenHamburg, 2010, p. 352 ss. Nella dottrina italiana si veda la convincente sintesi di R. CALVO,
La «codificazione» della dottrina del fondamento negoziale (contributo allo studio del nuovo
§ 313 BGB), in Contr. e impr. Europa, 2004, p. 770 ss.
Come noto, la riforma del diritto delle obbligazioni del 2002 non ha accolto la netta bipartizione fra subjektive e objektive Geschäftsgrundlage, proposta da Larenz (cfr. K. LARENZ,
Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, München, 1989, p. 391 ss.), secondo il quale la
prima avrebbe avuto luogo allorché le parti si fossero erroneamente rappresentate l’esistenza
o il futuro venire in essere di determinate circostanze formanti il presupposto della negoziazione, mentre la seconda si sarebbe verificata in relazione alle circostanze che, pur non
avendo costituito oggetto di una specifica rappresentazione delle parti, alla stregua del senso
della concreta contrattazione rappresentavano il presupposto necessario perché il regolamento negoziale potesse essere attuato conservando il senso medesimo dell’operazione contrattuale (HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 313 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 2).
Così la prima come la seconda sono ricomprese nella lata nozione accolta nel § 313 nF BGB,
il quale sancisce altresì un unitario regime di disciplina, imperniato sull’adeguamento del
regolamento negoziale e, in alternativa, sul diritto di recesso.
109 Il § 313 BGB recita: «(1) Haben sich Umstände, die zur Grundlage des Vertrags
geworden sind, nach Vertragsschluss schwerwiegend verändert und hätten die Parteien den
Vertrag nicht oder mit anderem Inhalt geschlossen, wenn sie diese Veränderung vorausgesehen
hätten, so kann Anpassung des Vertrags verlangt werden, soweit einem Teil unter Berücksichtigung aller Umstände des Einzelfalls, insbesondere der vertraglichen oder gesetzlichen
Risikoverteilung, das Festhalten am unveränderten Vertrag nicht zugemutet werden kann. (2)
Einer Veränderung der Umstände steht es gleich, wenn wesentliche Vorstellungen, die zur
Grundlage des Vertrags geworden sind, sich als falsch herausstellen. (3) Ist eine Anpassung des
Vertrags nicht möglich oder einem Teil nicht zumutbar, so kann der benachteiligte Teil vom
Vertrag zurücktreten. An die Stelle des Rücktrittsrechts tritt für Dauerschuldverhältnisse das
Recht zur Kündigung».
110 Su questo punto v. JAUERNIG/A. STADLER, sub § 313 BGB, 15. Aufl., München, 2014,
Rn. 3 (Geschäftsgrundlage sind die „zur Grundlage des Vertrags gewordenen Umstände“); MÜNCHKOMM-BGB/T. FINKENAUER, sub § 320, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 3 (il quale sottolinea
la distinzione fra Grundlage e Inhalt del negozio: Bestimmte Umstände oder Vorstellungen
sind „noch nicht“ „eigentlicher“ Vertragsinhalt geworden, aber „doch schon“ Vertragsgrundlage);
G. CIAN, Relazione introduttiva, in ID. (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un
modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 19 s.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
89
sto che il contratto sia corrispondentemente adeguato. L’adeguamento in
discorso peraltro non consegue al mero verificarsi della situazione appena descritta ma si verifica su impulso della parte111 e soltanto qualora
non possa ragionevolmente pretendersi112 che questa – avuto riguardo
alle circostanze del caso concreto – resti vincolata al contratto così come
originariamente stipulato.
Sulla base di tali premesse, l’ipotesi ricostruttiva avanzata dal Larenz
identifica nella Minderung una specifica applicazione della pretesa all’adattamento contrattuale conseguente al “turbamento” del fondamento
negoziale. Invero, ad avviso dell’illustre Autore, le parti del contratto di
vendita di regola si rappresentano un oggetto avente determinate qualità
e concludono il negozio avendo riguardo proprio a tale oggetto e alle caratteristiche che confidano esso possegga, ma «la previsione tipica della
legge non contempla l’estensione della volontà delle parti al modo di essere dell’oggetto»113, giacché il legislatore mostra di considerare valida la
111 Cfr. HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 313 BGB, cit., Rn. 19: «Rechtsfolge der
Störung der Geschäftsgrundlage ist vorrangig der Anspruch auf die interessengerechte Anpassung des Vertrages an die tatsächlich bestehenden Verhältnisse nach dem Maßstab der Zumutbarkeit für die Parteien und unter weitestmöglicher Berücksichtigung ihres Vertragswillens».
Tale pretesa deve tradursi in un atto di parte: già i lavori preparatori della riforma del 2002,
infatti, chiariscono come «die Störung der Geschäftsgrundlage ist nicht mehr von Amts wegen,
sondern nur noch auf Einrede der benachteiligten Partei zu berücksichtigen» (BT-Drucks
14/6040, p. 175). Le parti possono senz’altro accordarsi stragiudizialmente onde modificare i
termini delle pattuizioni fra di loro intercorrenti, ma si tende a ritenere che non sussistano
veri e propri Neuverhandlungspflichten der Parteien (v. B. DAUNER-LIEB, Prozessuale Fragen
rund um § 313 BGB, in NJW, 2003, p. 924 ss.; nel senso, invece, secondo cui il § 313 nF BGB
potrebbe essere inteso nel senso di porre in sostanza un “obbligo di rinegoziare” si esprime
P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des Geschäftsgrundlage, in G. CIAN (a
cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle
obbligazioni e dei contratti?, cit., p. 107).
112 Il concetto cui si fa riferimento è quello di Unzumutbarkeit: non ogni mutamento
del fondamento negoziale, ancorché di entità considerevole, può condurre alla richiesta di
Anpassung del regolamento negoziale (e ancor più allo scioglimento del contratto a seguito
del Rücktritt), bensì soltanto quello che renda il sacrificio patrimoniale imposto a una delle
parti non esigibile in base a una considerazione basata sulla buona fede e che tenga in considerazione l’interesse di entrambe le parti del contratto (MÜNCHKOMM-BGB/T. FINKENAUER,
sub § 320, cit., Rn. 76 s.). In altre parole, il giudizio inerente alla Unzumutbarkeit attiene alla
sfera che la nostra esperienza giuridica designa con il termine “inesigibilità” e riguarda ipotesi nelle quali la pretesa che il contraente pregiudicato dalla “perturbazione del fondamento
negoziale” esegua il contratto secondo le modalità inizialmente pattuite «si color[a] di abusività» (così P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des Geschäftsgrundlage, in G.
CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo
delle obbligazioni e dei contratti?, cit., p. 107).
113 L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita,
cit., p. 13, riportando il pensero di Larenz.
90
CAPITOLO SECONDO
vendita di cosa viziata nonostante l’assenza delle qualità che le parti si
erano rappresentate114.
A rigore, infatti, secondo Larenz la manifestazione di volontà relativa a un oggetto descritto secondo determinate caretteristiche, in realtà
insussistenti, dovrebbe dare luogo a un’impossibilità originaria della prestazione, e quindi alla nullità del contratto115. In ragione del fatto che la
legge mostra di considerare invece valida ed efficace la vendita avente ad
oggetto un bene viziato o privo delle qualità che le parti si erano rappresentate, deve concludersi che tali qualità non rientrino nel contenuto
della pattuizione contrattuale, ma ne costituiscano soltanto la Grundlage.
Proprio per questo motivo, quindi, il fondamento delle azioni edilizie
non potrebbe che essere rintracciato sul piano extracontrattuale, giacché
le qualità del bene debbono ritenersi estranee alla pattuizione intercorsa
fra le parti e, pertanto, tali azioni non possono essere considerate come
aventi radice nel contratto.
L’inquadramento della riduzione del corrispettivo quale mezzo di
reazione alla Störung des Geschäftsgrundlage rappresentata dalla sussistenza di difetti della res vendita muove altresì dalla considerazione che
l’effetto conseguente all’esercizio della quanti minoris consiste proprio
nell’adattamento del contratto al manifestarsi della diversità fra situazione presupposta e realtà effettiva, così come quello tipicamente conseguente al prodursi della fattispecie di cui al § 313 nF BGB è l’Anpassung
del regolamento pattizio inizialmente concluso.
Nonostante tale rilevante analogia funzionale, la tesi ora illustrata
appare già prima facie inconciliabile con la natura della responsabilità del
venditore sancita dalla dir. 1999/44/CE in materia di vendita di beni di
consumo e dalla Convenzione di Vienna in relazione alla vendita internazionale di beni mobili, le quali inequivocabilmente considerano le qualità
della cosa oggetto del contratto non già come die außvertragliche Grundlage des Kaufvertrags, oggetto di un’erronea rappresentazione da parte
dei contraenti – come preteso dalla teoria in discorso – bensì come una
parte della definizione dell’oggetto contrattuale116.
114 Cfr. K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 117 ss.
115 Così K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 118 s.
116 Nell’uno e nell’altro caso, infatti, il venditore è gravato da un preciso obbligo,
discendente dal contratto di vendita, di procurare alla controparte un bene avente le caratteristiche convenute ovvero, in mancanza di un’espressa pattuizione relativamente alle stesse, che
possegga le qualità definite dalle “presunzioni” sancite dall’art. 2, par. 2 della dir.
1999/44/CE (recepito nell’ordinamento italiano all’art. 129 c.cons.) e dall’art. 35 CISG. L’affermazione dell’esistenza di tale obbligo non può che escludere la riconducibilità delle caratteristiche qualitative del bene alla sfera extracontrattuale. Si noti, incidentalmente, che anche
coloro (come, ad esempio, A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
91
Ma neppure con riferimento alla normativa codicistica – la quale, secondo le tesi più fedeli all’impostazione tradizionale della garanzia, sarebbe ancorata all’idea che dal contratto non possa scaturire l’obbligo
del venditore di procurare una cosa avente determinate caratteristiche117
– sembra possa apprezzarsi la giustificazione de qua. Com’è stato autorevolmente sostenuto, infatti, la riduzione del prezzo, così come la risoluzione, trova pur sempre il proprio fondamento nel contenuto precettivo
del contratto, giacché la garanzia costituisce un effetto negoziale118 del
contratto di vendita: è proprio l’inadempimento della lex contractus – dia
o meno questa luogo all’inadempimento di una specifica obbligazione,
non importa – a legittimare il compratore a far valere gli strumenti di tutela concessigli119. La riconducibilità dell’azione estimatoria all’adattamento del contratto conseguente alla “perturbazione del fondamento negoziale”, infatti, ruota attorno all’idea fondamentale secondo cui la soggettiva rappresentazione delle caratteristiche qualitative della res vendita
non potrebbe giammai divenire precetto negoziale, in quanto non sarebbe logicamente concepibile un impegno obbligatorio relativamente a
tali elementi. Ma anche ammettendo che la differente opzione esplicitamente adottata dalla disciplina di tutela del compratore apprestata dal
diritto uniforme della compravendita e dalla direttiva in materia di vendita di beni di consumo non possa essere considerata conclusiva in ordine alla possibilità di dedurre in obbligazione le qualità dei beni compravenduti, la conclusione cui giunge la tesi propugnata da Larenz sembra non tenere conto del fatto che l’obbligazione non costituisce l’unico
ed esclusivo tramite attraverso il quale le parti possono assumere un impegno contrattuale vincolante, giacché la lex contractus abbraccia così gli
impegni obbligatori come quelli quelli non mediati da un rapporto di decategorie dogmatiche, cit., p. 531 ss.) che contestano la scelta del legislatore europeo (e della
Convenzione) di rendere le caratteristiche qualitative del bene oggetto di una obbligazione del
venditore – sulla base della considerazione secondo cui l’impegno obbligatorio non potrebbe
essere concepito in relazione al modo di essere di una cosa con riferimento alla quale l’alienante non compie alcuna attività poietica – non giungono ad escludere che tali elementi siano
estranei al regolamento negoziale, ritenendo piuttosto che essi penetrino nella lex contractus,
impegnando il venditore, sebbene non sul piano obbligatorio, bensì su quello della “garanzia”.
117 Di recente, sul tema, v. l’ampio studio di P. REDEKER, Beschaffenheitsbegriff und
Beschaffenheitsvereinbarung beim Kauf, München, 2012, ove approfondita analisi del tema relativo (non soltanto al concetto di “qualità della cosa”, ma altresì) alla possibilità che tali
“qualità” costituiscano oggetto di una pattuizione fra le parti del contratto di vendita.
118 Per tutti L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi
nella vendita, cit., p. 13.
119 In tal senso si veda il già più volte citato saggio di L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 12 ss.
92
CAPITOLO SECONDO
bito/credito120. E, a sua volta, il concetto di sinallagma contrattuale non
si esaurisce nel rapporto di corrispettività fra due prestazioni dedotte in
obligatione, ma – come già abbiamo visto – abbraccia le complessive attribuzioni patrimoniali derivanti dal negozio121. Pertanto, la spiegazione
della validità della vendita a dispetto della difettosità del bene non deve
necessariamente fare appello all’esclusione delle qualità dal contenuto
del regolamento negoziale, potendo essere più semplicemente ritrovata
nel fatto che queste non costituiscono oggetto di obbligazione e, a sua
volta, il rigido sillogismo che deduce dall’impossibilità di concepire un
impegno obbligatorio in relazione alle qualità della cosa la collocazione
di queste sul terreno del fondamento negoziale extracontrattuale appare
poggiare su premesse affatto incontrovertibili.
Ne consegue che il tentativo di accreditare la riduzione del corrispettivo quale mezzo di reazione al venir meno del fondamento extracontrattuale della pattuizione sembra tradire la stessa natura contrattuale
dell’apparato rimediale posto a disposizione del compratore e, pertanto,
non può trovare accoglimento.
4.
(Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale
Mentre la definizione della natura giuridica della vicenda che origina dall’esercizio della riduzione del corrispettivo non ha ricevuto particolare attenzione nella nostra dottrina, come abbiamo avuto modo di verificare nel par. precedente ha costituito invece un tema decisamente più
frequentato da parte della civilistica tedesca. Di recente, all’interno di
questa è stato operato un ulteriore tentativo ricostruttivo che accosta la
quanti minoris a un Teilrücktritt122 (recesso parziale)123, ciò che appare
pienamente consonante con il carattere di unilateralità che connota l’adattamento contrattuale derivante dalla scelta di far valere il rimedio, il
quale prescinde in toto dalla eventuale contrarietà del venditore alla conservazione dello scambio nei termini risultanti dall’esercizio del mezzo di
tutela de quo.
120 Cfr.
L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella
vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 s. e, ancor prima, W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und
Kauf, Münster, 1948, p. 41 ss.
121 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 303.
122 Si vedano, ad esempio, P. SCHLECHTRIEM - M. SCHMIDT-KESSEL, Schuldrecht. Allgemeiner Teil, Tübingen, 2005, p. 102; MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6.
Aufl., München, 2012, Rn. 240.
123 Cfr. poco infra nel testo per le opportune chiarificazioni terminologiche.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
93
L’opinione in parola ha avuto una certa fortuna nella letteratura germanica, tanto che nelle stesse opere di carattere manualistico e nei commentari non è raro riscontrare la descrizione del rimedio regolato dal §
441 nF BGB quale specifica applicazione del Teilrücktritt disciplinato dal
§ 323, comma 1 nF BGB124, ovvero vedere evidenziata l’equivalenza funzionale125 dei due rimedi, entrambi diretti a provocare la parziale liberazione del “compratore-recedente” dal vincolo obbligatorio relativo al
prezzo su di lui gravante in forza dell’originaria pattuizione, a fronte
della parziale inesecuzione della prestazione del venditore. L’opinione
sembra poi trovare ulteriore credito nell’ordinamento germanico ove si
noti come il diritto del compratore alla Minderung sia sostanzialmente
subordinato ai medesimi presupposti cui è ancorata l’attribuzione del
Rücktrittsrecht (§ 437 nF BGB)126.
Tale tesi, peraltro, può essere ritenuta – rinviando al luogo appropriato l’analisi del profilo attinente alla natura dell’atto di esercizio del rimedio estimatorio – una sorta di sviluppo moderno di quella più risalente, avanzata da certa dottrina, secondo la quale la riduzione del corrispettivo costituirebbe «nichts anderes als eine teilweise Wandlung»127. A
ciò si aggiunga come anche nella nostra letteratura, nel contesto della più
approfondita indagine che è stata dedicata al tema dell’impugnazione
parziale del negozio128, le fattispecie di riduzione del prezzo offerte dalla
disciplina codicistica della vendita siano esplicitamente considerate quali
esempi di risoluzione parziale del contratto129.
Si riscontra pertanto, nel nostro come nell’ordinamento tedesco, un
tentativo ricostruttivo che sostanzialmente equipara le conseguenze mo124 Si
veda SOERGEL-KOMM/B. GSELL, sub § 323 BGB, 13. Aufl., Stuttgart, 2005, Rn.
169.
125 Cfr.
C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag, cit., p. 30.
126 § 437 nF BGB. Rechte des Käufers bei Mängeln. «Ist die Sache mangelhaft, kann der
Käufer, wenn die Voraussetzungen der folgenden Vorschriften vorliegen und soweit nicht ein
anderes bestimmt ist, 1. nach § 439 Nacherfüllung verlangen, 2. nach den §§ 440, 323 und 326
Abs. 5 von dem Vertrag zurücktreten oder nach § 441 den Kaufpreis mindern […]».
Ai sensi della disposizione de qua, pertanto, il compratore può chiedere l’esatto adempimento, esercitare il Rücktritt o ridurre il prezzo per il solo fatto della manifestazione del difetto. Così il recesso come la decurtazione del corrispettivo, però, possono essere ottenuti soltanto qualora la domanda di esatto adempimento rimanga senza esito ovvero si ricada nelle
ipotesi previste dai §§ 323 e 440 nF BGB.
127 Sono parole di W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, cit., p. 136, il quale si pone
nel solco dell’opinione già espressa da P. KRÜCKMANN, Die Voraussetzung als virtueller Vorbehalt, in Archiv für die civilistische Praxis (AcP), 1929, p. 93.
128 Ci riferiamo alla nota indagine di A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., passim.
129 Si veda A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 44 ss. e p. 48 ss.
94
CAPITOLO SECONDO
dificative del regolamento negoziale derivanti dall’esercizio della quanti
minoris a quelle prodotte da uno scioglimento parziale del vincolo contrattuale avente origine nella sua parziale inattuazione.
Data l’importanza del tema e dei suoi risvolti applicativi, e in ragione delle non trascurabili differenze che connotano l’ordinamento tedesco e quello italiano, sembra opportuno anzitutto procedere a un chiarimento, che è insieme terminologico e logico-sistematico, per poi valutare la fondatezza dell’accostamento fra i due istituti, dapprima dando
conto di talune perplessità avanzate dalla dottrina tedesca e successivamente analizzando il quadro emergente dal diritto italiano.
Nel vigente diritto tedesco, l’accostamento della Minderung al recesso parziale (Teilrücktritt) si giustifica in quanto con la Schuldrechtsmodernisierung del 2002 il legislatore germanico ha scelto di ricondurre il
diritto del compratore di risolvere il contratto a fronte della manifestazione di difetti di conformità al più generale diritto, spettante alla parte
di ogni contratto a prestazioni corrispettive, di risolvere il contratto con
un atto unilaterale stragiudiziale (Rücktrittsrecht) in caso di mancata o
inesatta esecuzione delle prestazioni dovute dalla controparte130.
Per quanto riguarda il diritto italiano, invece, il termine “recesso”
evoca – secondo un’accreditata distinzione, ormai penetrata nella nostra
tradizione131 – tre differenti tipologie di rimedi, che svolgono rispettivamente una funzione “liberatoria”, di “autotutela” e di “pentimento”132.
130 Vedi infatti, in luogo di molti, MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6.
Aufl., cit., Rn. 1 ss. e D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner Teil, 19. Aufl., cit.,
p. 227 ss., i quali appunto pongono l’accento sulla scelta di politica legislativa con la quale il
legislatore germanico ha assoggettato a una disciplina unitaria il potere del contraente di un
contratto a prestazioni corrispettive di sciogliere il contratto a fronte dell’inesecuzione della
prestazione da parte dell’altro contraente, attribuendo al primo il diritto potestativo di recesso dal contratto.
131 Le indagini cui va ascritto gran parte del merito di aver posto in luce la rilevante polifunzionalità del recesso nel nostro ordinamento sono quelle di G. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985, spec. p. 13 ss., i cui risultati possono ritrovarsi
anche in ID. - F. PADOVINI, voce Recesso (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 36
ss., e di G. DE NOVA, voce Recesso, in Dig. disc. priv. - sez. civ., XVI, Torino, 1997, p. 316 ss.
132 Per questa tripartizione si veda V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano,
2001, p. 550, il quale scrive che «chiamiamo recessi di liberazione quelli dati alla parte per
consentirle di sottrarsi a un vincolo contrattuale che diversamente peserebbe in modo intollerabile sulla sua libertà: come accade, tipicamente, con i contratti di durata a tempo indeterminato» (p. 550), mentre sono recessi di autotutela quelli che consentono alla parte «di reagire contro eventi sopravvenuti che minacciano i suoi interessi contrattuali» (p. 551) e, infine,
vanno sotto il nome di recessi di pentimento «quelli che la legge dà a una parte, senza vincolarli ad alcun presupposto, ma solo perché ritiene opportuno – in una logica di speciale protezione della parte – consentire a questa di cambiare idea rispetto al contratto già concluso»
(p. 553).
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
95
Nell’accostare la riduzione del prezzo al diritto di recesso, gli interpreti germanici hanno peraltro riguardo al Rücktritt133, cioè a quello che,
adottando la tripartizione appena ricordata, noi dovremmo chiamare “recesso di autotutela”, attraverso il quale la parte fedele reagisce a un
evento sopravvenuto che minaccia la corretta esecuzione del rapporto
contrattuale: ne consegue che è a questa tipologia di mezzi di tutela che
dobbiamo rivolgere la nostra attenzione nel valutare la fondatezza della
tesi in esame134, a nulla rilevando in questa sede i recessi “liberatori”135 e
“di pentimento”136.
Venendo a valutare la fondatezza della tesi sopra riportata, non è affatto arduo – com’è stato autorevolmente notato137 – scorgere fra la
quanti minoris, da un lato, e il recesso parziale, dall’altro, un’evidente
133 In argomento, in luogo di molti, v. A. DI MAJO, La nuova disciplina della risoluzione
del contratto (Rücktritt), in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 109 ss.,
il quale nota come – contrariamente a quello italiano – il sistema tedesco appartenga all’area
degli ordinamenti che «affidano la risoluzione del contratto alla volontà (unilaterale) del contraente (risoluzione per mezzo di recesso)».
134 Il recesso liberatorio, infatti, nell’esperienza giuridica tedesca prende il nome di
Kündigung mentre a quello “di pentimento”, come noto, ci si riferisce con il termine Widerruf.
135 Possono essere ricondotti a tale categoria, a mero titolo esemplificativo, i diritti di
recesso attribuiti dagli artt. 1569 (che consente il recesso, subordinato a un congruo preavviso, a ciascuna delle parti di un contratto di somministrazione stipulato a tempo indeterminato), 1596, comma 2 (che nella locazione a tempo indeterminato fissa la regola dell’automatico rinnovo allo spirare del termine stabilito dall’art. 1574 c.c., prevedendo però che ciascuna delle parti possa evitare tale rinnovo recedendo dal contratto nel termine fissato dal
contratto o dagli usi), 1810 (che prevede l’obbligo di restituzione immediata della cosa data
in comodato senza determinazione della durata al momento in cui – con un atto qualificabile
come recesso – il comodante manifesti la relativa volontà), 1845 (in forza del quale, nell’apertura di credito a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto,
mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di
quindici giorni), 1855 c.c. (che sancisce la medesima regola in relazione alle operazioni bancarie regolate in conto corrente).
136 Questa categoria conta taluni esempi nel codice civile, specialmente in relazione a
contratti in cui rileva l’intuitus personae (artt. 1671, 1723, 2227, 2237, comma 1 c.c.), ma vede
le ipotesi di maggiore rilevanza nella legislazione di protezione dei consumatori: si vedano,
quali tipici esempi, l’art. 52 c.cons. (che concede al consumatore un periodo di quattordici
giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dai locali commerciali), l’art.
125-ter t.u.b. (che prevede il diritto del consumatore di recedere dal contratto di credito al
consumo entro quattordici giorni dalla sua conclusione) e l’art. 73 c.cons. (in forza del quale
al consumatore è concesso «un periodo di quattordici giorni, naturali e consecutivi, per recedere, senza specificare il motivo, dal contratto di multiproprietà, dal contratto relativo a prodotti per le vacanze di lungo termine, dal contratto di rivendita e di scambio»).
137 C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag, cit., p. 29 ss.
96
CAPITOLO SECONDO
analogia funzionale, giacché l’una e gli altri sono diretti a reagire all’attuazione soltanto parziale della prestazione di una parte, componendo il
conflitto e ripristinando l’equilibrio così alterato138 attraverso l’opportuna modificazione del complesso delle pattuzioni iniziali. Al di là di tale
analogia, però, la legittimità del richiamo all’istituto del Teilrücktritt è
stata revocata in dubbio nella letteratura tedesca sulla base dell’assunto
secondo cui tale ultimo istituto trova espressamente applicazione nelle
sole ipotesi di adempimento quantitativamente inesatto, mentre le fattispecie di riduzione del prezzo per vizi materiali della cosa o conseguenti
alla presenza di diritti di terzi sul bene presuppongono l’inesattezza qualitativa dell’attribuzione patrimoniale139.
Invero, in forza del § 323, comma 5 BGB, la parte fedele di un contratto a prestazioni corrispettive può esercitare il diritto di recesso parziale – indipendentemente dalla colpa della controparte140 – in ragione
del fatto che questa ha eseguito una Teilleistung (ovvero una prestazione
parziale) e non già una prestazione che, sebbene qualitativamente difettosa, sia completa. Infatti, il primo periodo della disposizione de qua –
nel regolare le conseguenze dell’esecuzione di una prestazione mera138 Così
descrive in linea generale i caratteri dell’impugnazione parziale A. GENTILI, La
risoluzione parziale, cit., p. 2.
139 In questo senso v. U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 94 ss., il quale conclude
che soltanto in senso atecnico la riduzione del prezzo può essere qualificata quale recesso
parziale, giacché quest’ultimo può essere invocato qualora la prestazione ineseguita sia divisibile e l’inadempimento abbia carattere quantitativo e non già ove questo abbia natura qualitativa. Inoltre aggiunge: «der Sachproblem der Aufspaltung des Leistungsgegenstandes durch
einen Teilrücktritt stellt sich bei der Minderung nicht. Die Minderung führt nicht zu einer
gegenständlichen Aufteilung des Leistungssubstrats. Der Käufer akzeptiert mit der Minderung
vielmehr die nach dem Vertrag mangelhafte Kaufsache gegen Herabsetzung des Kaufpreises als
geschuldete Leistung. Der Kaufgegenstand bleibt unverändert» (p. 99).
Dubbi analoghi a quelli espressi da Korth si ritrovano altresì in A. PEUKERT, § 326 Abs.
1 S. 2 BGB und die Minderung als allgemeiner Rechtsbehelf, in Archiv für die civilistische
Praxis (AcP), 2005, p. 438 s.
140 Cfr. C.W. CANARIS, Il programma obbligatorio e la sua inattuazione: profili generali. Il
nuovo diritto delle Leistungsstörungen, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht
tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova,
2004, p. 42 s.: «a norma del § 323, comma 1°, BGB il diritto di recesso presuppone fondamentalmente soltanto che la prestazione sia esigibile, che il creditore abbia concesso al debitore un termine congruo per eseguire la prestazione, e che il termine in questione sia inutilmente scaduto. […] Si può recedere dal contratto a prescindere dalla circostanza che la causa
del recesso sia o meno imputabile al debitore. In particolare, la possibilità di risolvere il contratto non è affatto subordinata alla sussistenza di una colpa del debitore. […] Questa modificazione ha reso possibile assoggettare a una disciplina unitaria tutti i diritti di recesso di
fonte legale [ed è stato possibile] sostituire la Wandelung (e cioè la risoluzione del contratto
per i vizi della cosa), che costituiva in precedenza un istituto autonomo, con l’unitario e generale Rücktrittsrecht, e ricondurla alla disciplina di quest’ultimo».
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
97
mente parziale – si preoccupa proprio di stabilire che in tal caso «kann
der Gläubiger vom ganzen Vertrag nur zurücktreten, wenn er an der Teilleistung kein Interesse hat»141, mentre il secondo periodo della stessa,
avuto riguardo all’ipotesi in cui la prestazione sia stata genericamente
eseguita in modo non conforme al contratto, si limita a stabilire che «il
creditore non può risolvere [scil. per intero] il contratto con il proprio
atto unilaterale, qualora la violazione dell’obbligo sia di scarso rilievo»142.
Sembra pertanto possibile scorgere nella norma in questione la conferma
del fatto che nell’attuale diritto tedesco l’inesatta esecuzione della prestazione comporta di regola il diritto della parte fedele di recedere dall’intero contratto, ma non già quello di farlo soltanto pro parte, salvo che l’inesattezza abbia carattere quantitativo e il creditore abbia interesse alla
prestazione parziale143.
141 In argomento v. MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., cit., Rn. 201
s., ove si pone l’accento sul fatto che soltanto la divisibilità della prestazione consente il
recesso parziale: «Ein Teilrücktritt ist ausgeschlossen, wenn die Leistung des Schuldners aus
technischen oder rechtlichen Gründen oder nach dem übereinstimmenden Willen der Parteien
unteilbar ist, da unter diesen Voraussetzungen eine Aufspaltung des Vertrags in einen erfüllten
und in einen nichterfüllten Vertrag ausscheiden muss».
142 Precisa pertanto MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., cit., Rn.
197 che «da das Gesetz für den Fall der Schlechterfüllung (Sach- oder Rechtsmangel) eine
eigenständige Regelung vorsieht, ist die Schlechterfüllung kein Unterfall der Teilerfüllung iS des
gesetzlichen Sprachgebrauchs». La precisa differenziazione fra la fattispecie regolata dal primo
periodo del comma 5 del § 323 BGB e quella di cui al secondo periodo è affermata altresì da
D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner Teil, 19. Aufl., München, 2010, p. 230 s.
e da S. LORENZ, Arglist und Sachmangel - Zum Begriff der Pflichtverletzung in § 323 Absatz V
2 BGB, in NJW, 2006, p. 1925, il quale precisa anche le differenti conseguenze derivanti dalla
quantitative Teilleistung rispetto alla Schlechtleistung e afferma che, in questo secondo caso,
ove pertinente, sarà possibile non già l’esercizio del recesso parziale bensì quello della Minderung.
143 Cfr. HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 323 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 13
e BECKOK BGB/H. SCHMIDT, sub § 323 BGB, in Beck-Online, Rn. 42: «Mit der Vorschrift, die
ausschließlich die quantitative, nicht hingegen die qualitative Teilleistung regelt, hat der
Gesetzgeber im Kern die Wertungen der §§ 325 Abs 1 S 2, 326 Abs 1 S 3 aF übernommen».
Esattamente nello stesso senso anche C.W. CANARIS, Il programma obbligatorio e la sua inattuazione: profili generali. Il nuovo diritto delle Leistungsstörungen, in G. CIAN (a cura di), La
riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e
dei contratti?, cit., p. 44, il quale appunto precisa che l’inadempimento qualitativo legittima il
compratore a recedere dall’intero contratto, purché la violazione dell’obbligo (Pflichtverletzung) non sia irrilevante, mentre l’inadempimento quantitativo consente a costui di recedere
dall’intero contratto ovvero soltanto parzialmente a seconda che abbia o meno interesse alla
parziale esecuzione del contratto: «così, ad esempio, se il debitore, anziché consegnare le 100
bottiglie di vino dovute, ne consegna soltanto 70, il creditore può sciogliere il contratto soltanto con riferimento alle trenta bottiglie non consegnate, e può scioglierlo integralmente (e
quindi con riferimento a tutte le 100 bottiglie di vino) soltanto se non ha alcun interesse a ricevere (soltanto) settanta bottiglie».
98
CAPITOLO SECONDO
Come accennato, mettendo a frutto tali conclusioni generali sul terreno della compravendita, si è pertanto sostenuto che soltanto in senso
atecnico sarebbe possibile accostare riduzione del corrispettivo e recesso
parziale144, giacché è ben vero che il profilo funzionale dei due rimedi
presenta indubbie analogie, ma è altrettanto innegabile che il campo di
applicazione della seconda è legislativamente ristretto ai soli casi in cui la
prestazione sia naturalisticamente, giuridicamente o per volontà delle
parti divisibile e l’inesatto adempimento consista nella carenza quantitativa della prestazione.
Simili ostacoli, come vedremo a breve, sembrano invece non sussistere in relazione all’ordinamento italiano, sebbene una completa sovrapposizione fra l’uno e l’altro mezzo di tutela appaia comunque non fondata sul piano del diritto positivo.
In primo luogo dobbiamo però precisare che, contrariamente a
quanto accade nel diritto tedesco, il nostro sistema di diritto comune
contrattuale non contempla un generale potere di recesso di fonte legale
azionabile in conseguenza dell’inesattezza o della parzialità dell’adempimento di una parte: tale diritto, invero, è bensì concesso (dall’art. 1464
c.c.) alla parte fedele – peraltro proprio in alternativa alla riduzione del
prezzo – nell’ipotesi in cui la prestazione della controparte si riveli parzialmente impossibile ed egli non abbia interesse a conseguirla soltanto
pro parte, ma in generale così l’inattuazione (totale o parziale) del contratto derivante da inadempimento come quella conseguente alla totale
impossibilità della prestazione sono governate dal rimedio risolutorio
(artt. 1453 e 1463 c.c.). Inoltre, la disciplina generale del contratto sembra non offrire alcun esempio di fattispecie di “recesso parziale”. Ne
consegue che la nostra analisi deve giocoforza tener conto delle specificità del nostro ordinamento e, pertanto, la valutazione della fondatezza
della proposta interpretativa poc’anzi ricordata deve avvenire in aderenza al seguente interrogativo: la riduzione del prezzo dà luogo a una vicenda di adattamento contrattuale di tenore assimilabile a quanto consegue alla risoluzione parziale del contratto?
Come già abbiamo avuto modo di anticipare, una risposta positiva a
tale interrogativo è stata fornita proprio da un’approfondita indagine dedicata all’impugnazione parziale del negozio, nel contesto della quale le
fattispecie di riduzione del prezzo offerte dalla disciplina codicistica della
vendita sono prese in considerazione quali esempi di risoluzione parziale
del contratto145. Peraltro, i risultati di tale indagine accreditano senz’altro
144 Cfr. nota 139.
145 Si veda A. GENTILI,
La risoluzione parziale, cit., p. 44 ss. (ove si tratta della vendita
di cosa parzialmente altrui) e p. 48 ss. (relativamente alla vendita di cosa affetta da vizi redibitori).
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
99
la conclusione secondo cui la quanti minoris costituisce una vicenda di
adattamento del contenuto negoziale funzionalmente corrispondente alla
risoluzione parziale, sostanzialmente suggerendo che la riduzione del
corrispettivo costituisca null’altro che una specifica ipotesi di quest’ultima fattispecie, la quale si affianca e giustappone, ad esempio, alla risoluzione parziale dei contratti di durata (art. 1458 c.c.) o a quella conseguente all’impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione in relazione alla quale non venga meno l’interesse creditorio (art. 1464 c.c.).
Non legittimano, invece, la piena identificazione dell’una e dell’altra
fattispecie, giacché nell’ottica adottata dall’Autore la risoluzione parziale
è vista proprio quale vicenda funzionale, attinente alla composizione di
un conflitto, che mira a ripristinare l’equilibrio alterato dalla incompleta
esecuzione del contratto attraverso una parimenti parziale impugnazione
del medesimo, sicché l’argomentazione è volta proprio a evidenziare l’affinità degli effetti delle vicende analizzate onde desumerne i caratteri comuni. In questa sede, invece, a noi interessa comprendere se per il nostro
diritto positivo riduzione del corrispettivo e risoluzione parziale costituiscano effettivamente il medesimo rimedio oppure – come abbiamo visto
essere proprio dell’ordinamento tedesco – ferma l’analogia funzionale,
possiedano natura e ambito di operatività distinti.
Le disposizioni che consentono al compratore l’esercizio della
quanti minoris, invero, sembrano subito smentire la possibilità di ravvisare nella natura qualitativa o quantitativa dell’imperfetta esecuzione
della prestazione un preciso spartiacque fra questa e la risoluzione parziale: non v’è dubbio, infatti, che la vendita di cosa in parte altrui e l’evizione parziale non diano luogo a una carenza qualitativa dell’attribuzione
patrimoniale, bensì proprio alla mancanza quantitativa di una parte (in
senso materiale o giuridico) della stessa146. Eppure l’art. 1480 c.c. è
146 Cfr. in proposito il par. 1. Può anzi ricordarsi che la più rigida esegesi dell’art. 1480
c.c. (per la quale v. ad esempio P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 180 ss.) riconduce alla fattispecie in parola le sole ipotesi in
cui il venditore alieni come interamente propria una cosa che gli appartiene soltanto per una
porzione materiale. Ora, in tale ipotesi non sembra dubbio che il difetto che legittima la riduzione del prezzo abbia carattere non già qualitativo bensì quantitativo, avendo riguardo
alla sussistenza di un’attribuzione patrimoniale la cui “misura” si rivela inferiore rispetto a
quanto pattuito. Ma anche qualora – come noi crediamo corretto – si ricomprenda nel novero delle fattispecie regolate dall’articolo citato pure quelle in cui il venditore sia bensì proprietario dell’intera cosa ma soltanto per una quota indivisa, non sembra possa dirsi sussistere
un’inesattezza puramente “qualitativa” del risultato traslativo, anche in questo caso venendo
trasferito un diritto sul bene che è connotato da un contenuto differente (comproprietà, invece di proprietà esclusiva) proprio in quanto di ampiezza diversa. Non sembra, pertanto,
dubbio che la riduzione del prezzo accordata in relazione alla vendita di cosa parzialmente
altrui abbia riguardo a un’ipotesi di inesecuzione del contratto di natura “quantitativa”.
100
CAPITOLO SECONDO
chiaro nel qualificare come “riduzione del prezzo” il mezzo di tutela offerto alla disponibilità del compratore; e lo qualifica in tal senso dopo
aver concesso, in alternativa, la totale “risoluzione” del contratto.
L’indizio così offerto dalla disciplina delle patologie della vendita si
colora di una forza argomentativa decisamente rilevante ove si noti come
la medesima scelta terminologica sia stata compiuta dal legislatore anche
nell’art. 1464 c.c., in sede di disciplina delle conseguenze che l’impossibilità parziale spiega nei confronti del rapporto contrattuale: anche in
questo caso, infatti, pur derivando da una causa per definizione non imputabile al contraente, l’inesecuzione che coinvolga soltanto una frazione
della prestazione pattuita consente all’altro contraente non già di ottenere una risoluzione parziale, bensì «una corrispondente riduzione della
prestazione da ess[o] dovuta». E ciò, nonostante dottrina e giurisprudenza non dubitino che la disposizione de qua – al pari del § 323, comma
5 BGB – faccia riferimento primariamente proprio all’impossibilità che
dia luogo a una carenza quantitativa della prestazione147.
147 Al fine di definire i caratteri dell’impossibilità parziale ex art. 1464 c.c., infatti, si
tende a fare riferimento al concetto elaborato in sede di diritto delle obbligazioni, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 1258 c.c.: cfr. F. DELFINI, sub art. 1463-1464, in ID., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2003, p. 26 il quale
scrive che «il codice vigente, introducendo [la sezione II del] capo XIV del titolo II del libro
IV, che si apre con l’art. 1463, ha inteso regolare esclusivamente le conseguenze sul contratto
a prestazioni corrispettive dell’estinzione di una delle obbligazioni per impossibilità della prestazione secondo l’art. 1256 c.c.: in altre parole, il legislatore ha dettato qui una disciplina che
presuppone quella di cui agli artt. 1256 ss. c.c., facendo rinvio al concetto di impossibilità liberatoria ivi tratteggiato, che la dottrina del contratto trova indagato dalla dottrina dell’obbligazione»; nello stesso senso, v. anche R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA,
Il contratto, II, in Tratt. Sacco, Torino, 2004, p. 688, secondo cui le fattispecie di impossibilità
di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c. fanno riferimento non a «una generica figura di impossibilità,
sibbene [al]la figura della liberazione dipendente dall’impossibilità, regolata dagli artt. 1256
e 1258». Ne consegue che l’impossibilità parziale deve essere primariamente identificata proprio con quella che «dà luogo ad una modificazione quantitativa della prestazione» (C.M.
BIANCA, Diritto civile 4. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 539). L’opinione prevalente, pertanto, è nel senso di ritenere che si dia impossibilità parziale allorché la prestazione – in
quanto divisibile – sia quantitativamente incompleta, benché composta da una frazione dell’intero qualitativamente corrispondente al dovuto (in questo senso, v. P. PERLINGIERI, sub art.
1258, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 518 s. e U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 1991, p. 746). Peraltro, si tende a ritenere che, ferma la
riferibilità certa e diretta della disciplina degli artt. 1258 e 1464 c.c. all’impossibilità che colpisca la prestazione rendendola attuabile soltanto in misura minore rispetto al dovuto, l’equiparazione dell’impossibilità parziale al deterioramento della res operata dall’art. 1258, comma
2 c.c. consenta di ritenere che la disciplina sancita dalla disposizione in materia di risoluzione
debba trovare applicazione altresì alle ipotesi in cui la prestazione, a seguito della sopravvenienza, sia alterata in senso qualitativo (cfr. L. CABELLA PISU, sub art 1464, in EAD., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2002, p. 146; A. FONDRIESCHI, L’impossibilità sopravvenuta, in D. MAFFEIS - A. FONDRIESCHI - C. ROMEO, I modi di
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
101
Il nostro diritto positivo sembra pertanto smentire l’idea secondo la
quale la risoluzione parziale atterebbe alle sole ipotesi in cui l’imperfetta
attuazione della prestazione riguardi il profilo quantitativo, mentre la riduzione del prezzo conseguirebbe alla presenza di difetti materiali. A rigore, infatti, la terminologia impiegata dal nostro legislatore parrebbe
piuttosto accreditare la tesi che quest’ultimo mezzo di tutela possa essere
invocato nell’una come nell’altra ipotesi di inattuazione parziale del contratto mentre alla “risoluzione” parziale stricto sensu sono ricondotte le
ipotesi in cui gli effetti dello scioglimento del rapporto non siano integrali ma riguardino le sole prestazioni non ancora eseguite (come nel
caso della risoluzione dei contratti di durata ai sensi dell’art. 1458 c.c.)148
ovvero il vincolo di una sola delle parti (come statuito dall’art. 1459 c.c.
e dall’art. 1466 c.c. per i contratti plurilaterali in cui la prestazione della
parte inadempiente o quella divenuta impossibile non debbano considerarsi essenziali)149.
Tale assetto pare suggerire che il legislatore del 1942 abbia inteso riferire la risoluzione parziale alle sole ipotesi in cui avvenga la caducazione, seppure soltanto frazionaria, del titolo che sorregge e giustifica le
attribuzioni patrimoniali delle parti del contratto e, conseguentemente, si
estinzione delle obbligazioni, in Tratt. Sacco, Torino, 2012, p. 285; C.M. BIANCA, Diritto civile
5. La responsabilità, cit., p. 403, il quale scrive che «ipotesi simile a quella dell’impossibilità
parziale è l’ipotesi del sopravvenuto deterioramento della cosa dovuta. Anche qui il creditore
può conservare un apprezzabile interesse all’adempimento, giustificandosi pertanto l’applicazione analogica della regola dettata per l’impossibilità parziale»).
148 In relazione a questa fattispecie v. R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE
NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 668, il quale scrive che «la risoluzione per tratti
di tempo razionalmente determinati è un prototipo della risoluzione frazionaria di un contratto»; A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 23 ss.; S. PAGLIANTINI, La risoluzione nei
contratti di durata, Milano, 2006, p. 234 ss. In giurisprudenza, la disposizione che limita alle
sole prestazioni ancora non eseguite gli effetti della risoluzione del contratto è espressamente
considerata quale ipotesi paradigmatica di risoluzione parziale, dalla quale è dedotta l’ammissibilità della risoluzione parziale relativa ai contratti ad esecuzione istantanea il cui oggetto
«sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità»: cfr. Cass. 2 luglio 2013, n. 16556;
Cass. 20 maggio 2005, n. 10700; Cass. 21 dicembre 2004, n. 23657; Cass. 15 aprile 2002, n.
5434; Cass. 3 giugno 1991, n. 6244.
149 Considera un’ipotesi di risoluzione parziale quella relativa al venir meno del vincolo
in capo a una delle parti del contratto plurilaterale Cass. 14 aprile 2011, n. 8404. In lettaratura, sul punto cfr. R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in
Tratt. Sacco, cit., p. 626, ove si legge che in forza dell’art. 1459 c.c. «nei contratti plurilaterali
l’inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre,
salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale» e che
i contratti plurilaterali si caratterizzano per il fatto che «le prestazioni parziali [sono] a carico
di soggetti diversi», al cui inadempimento consegue una «risoluzione frazionaria» del contratto (p. 668).
102
CAPITOLO SECONDO
abbia il venir meno di una parte dei rapporti nascenti dal contratto, mentre in relazione a quelle in cui tali rapporti seguitano a rimanere in vita,
seppur qualitativamente o quantitativamente mutati nel loro contenuto,
ha preferito qualificare il rimedio diversamente, come riduzione della
controprestazione. In altri termini, soltanto quella attinente ai rapporti di
durata e ai contratti plurilaterali è vera risoluzione (parziale), seppur riguardante soltanto una parte degli effetti del negozio, in quanto elide
non una parte della prestazione ma una o più prestazioni autonome.
Sebbene tale scelta terminologica possa probabilmente essere ritenuta potenzialmente fuorviante ove si condivida l’idea – manifestata da
talune recenti ricerche – secondo la quale la risoluzione non darebbe
luogo a una dissoluzione del rapporto contrattuale bensì a una «trasformazione dell’originario assetto di interessi»150, non sembra che la distinzione operata dal legislatore possa dirsi non trovare un solido addentellato in una realtà ontologica effettivamente differente. Infatti, mentre le
fattispecie alle quali il codice civile riserva la qualificazione di “risoluzione” sono contraddistinte da un mutamento del programma negoziale
che si sostanzia nel venir meno della prestazione di una parte (artt. 1459
e 1466 c.c.) ovvero degli obblighi incombenti su tutti i contraenti, salvi
soltanto quelli che hanno già avuto esecuzione (art. 1458 c.c.), quelle
espressamente ricondotte alla “riduzione del corrispettivo” si traducono
soltanto nel mutamento del contenuto del programma negoziale, fermi e
inalterati così i soggetti del rapporto contrattuale come il numero e la natura delle prestazioni facenti capo alle parti.
D’altronde, secondo le tesi maggioritarie in dottrina e giurisprudenza, la risoluzione è contraddistinta proprio dall’estinzione o dall’eliminazione del rapporto contrattuale151 in relazione al quale si sia verifi150 Sono
parole di E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 335. Si leggano altresì A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti
in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 261 ss.; ID., voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1328; C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798 ss.
151 Tali sono infatti gli effetti che la risoluzione possiede nel nostro ordinamento secondo la maggior parte degli interpreti, pur se non è difficile notare una certa ambiguità di
fondo, dovuta alla frequente “sovrapposizione” fra eliminazione del rapporto e venir meno
del titolo: cfr. A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2001, p. 716; C.M. BIANCA,
Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 314; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE
NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 669; A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO
- U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 15 (la risoluzione «ha l’unica funzione di rimuovere l’assetto di interessi disposto con il negozio») e p. 216 (ove si discorre di «vicenda eliminativa del regolamento contrattuale»); sostanzialmente in tal senso anche G. SICCHIERO, sub art. 1458, in ID., La risoluzione per inadempimento, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2007, p. 687 (che fa riferi-
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
103
cata l’alterazione del sinallagma. Se si condivide tale tesi, una risoluzione
“in senso proprio e stretto”, ancorché parziale, può aversi allorché i rapporti costituiti attraverso il negozio vengano effettivamente meno; ma
non può darsi risoluzione allorché questi mutino soltanto di contenuto.
Sebbene – come abbiamo dimostrato – la riduzione del prezzo non si limiti affatto a provocare la mera decurtazione della prestazione del soggetto che la fa valere152, lasciando intatta la prestazione della controparte,
è evidente che al suo esercizio non consegue che una rideterminazione
delle attribuzioni patrimoniali cui le parti sono tenute in forza del contratto, sicché è necessario concludere che essa si colloca al di fuori della
fattispecie di risoluzione, almeno stricto sensu intesa.
Anche al nostro ordinamento, pertanto, è estranea la piena assimilazione degli effetti prodotti dalla riduzione del prezzo e dalla risoluzione
del contratto, le quali mostrano un’analogia funzionale ma non possono
dirsi coincidenti, proprio in ragione della differente incidenza sul programma negoziale. La quanti minoris, infatti, esorbita dal concetto di risoluzione, avendo bensì riguardo a fattispecie di inesatta esecuzione dell’attribuzione patrimoniale, dal punto di vista qualitativo o quantitativo,
da parte di un contraente ma provocando, quale effetto, la decurtazione
dell’importo della prestazione pecuniaria facente capo all’altro contraente
e la riconduzione di quanto dovuto dall’inadempiente a quanto effettivamente prestato, senza dar luogo alla caducazione – e al conseguente obbligo restitutorio, ove già (inesattamente) eseguita – della prestazione dovuta dalla parte nei confronti della quale è esercitato il rimedio.
Muovendo da tale constatazione, possiamo desumere due importanti conseguenze sul piano applicativo.
In primo luogo, come meglio vedremo al par. 6, affermare che risoluzione parziale e riduzione del prezzo – seppur funzionalmente affini –
costituiscono due rimedi differenti, che danno luogo a vicende del rapporto contrattuale di contenuto non coincidente, consente all’interprete
di escludere che la disciplina della riduzione del corrispettivo debba esmento all’“annientamento” del contratto). Nello stesso senso si muovono i dicta giursprudenziali: v., fra le tante, Cass. 15 gennaio 2007, n. 738; Cass. 17 luglio 2002, n. 10737; Cass.
20 agosto 1999, n. 8793; Cass. 20 maggio 1997, n. 4465, le quali tutte fondano le obbligazioni
restitutorie conseguenti alla risoluzione sul venir meno del rapporto contrattuale (e, con esso,
della causa delle stesse).
152 Come già si è accennato alla nota 85, la nostra dottrina tende invece a sostenere che
tale sia l’effetto della quanti minoris: particolarmente esplicativo è quanto scrive C.M. BIANCA,
Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 356, secondo il quale «la riduzione del prezzo è una
forma di rettifica del contratto che incide esclusivamente sulla prestazione ridotta. Il ricorso
a tale rimedio non dà quindi luogo alla restituzione o alla diminuzione della prestazione inesatta».
104
CAPITOLO SECONDO
sere desunta da quella generale valevole per la risoluzione. Invero, esprimendo proprie caratteristiche che lo rendono irriconducibile a un semplice esempio di risoluzione parziale, deve riconoscersi che il rimedio
estimatorio è governato da logiche proprie, sicché le lacune di disciplina
positiva che lo caratterizzano andranno colmate avendo riguardo alla peculiare natura e funzione dello stesso e non mediante la supina e acritica
applicazione di regole e principi dettati in materia di risoluzione.
In secondo luogo, la conclusione cui siamo appena pervenuti può
trovare un immediato precipitato dal punto di vista pratico in relazione a
quelle ipotesi in cui l’oggetto del contratto di vendita sia costituito da
una pluralità di cose alienate verso un corrispettivo unitario e una o più
soltanto di queste presentino un difetto materiale, siano colpite da diritti
di terzi o oneri che ne limitino il godimento o si rivelino parzialmente altrui o, ancora, siano oggetto di evizione pro parte. Con riferimento a tali
fattispecie, la giurisprudenza tende a fare applicazione del concetto di risoluzione parziale, affermando che «la risoluzione parziale del contratto,
esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c. per i contratti ad esecuzione
continuata o periodica, è possibile anche per il contratto ad esecuzione
istantanea, quando il relativo oggetto sia rappresentato – secondo la valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per
violazione di legge o vizi logici – non da un’unica cosa infrazionabile, ma
da più cose aventi propria individualità, quando, cioè, ciascuna di queste,
separata dal tutto, mantenga un’autonomia economico-funzionale, che la
renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti o di negoziazione
distinti»153. Cosa ci consente di distinguere fra riduzione del prezzo e risoluzione parziale relativa soltanto alle cose rivelatesi difettose?
Poiché la riduzione del prezzo dà luogo alla successiva coincidenza
fra quanto prestato e quanto dovuto e, correlativamente, non provoca il
sorgere di obblighi restitutori per l’acquirente, di risoluzione parziale
sembra necessario discorrere soltanto allorché costui non abbia intenzione di conservare il singolo elemento della complessiva res, adeguando
il corrispettivo dovuto – altrimenti dandosi luogo alla quanti minoris –,
ma al contempo non voglia provocare la risoluzione integrale del negozio. La precisazione è lungi dal costituire una superfetazione: mentre la
riduzione, con la sola eccezione di quella concessa dall’art. 1492 c.c., può
essere fatta valere per il solo fatto dell’esistenza di un difetto, la risoluzione parziale obbedisce alle logiche che presiedono a quella totale e,
pertanto, in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 1480, 1484, 1489 c.c.,
153 In questo senso si esprime la già citata Cass. 2 luglio 2013, n. 16556. V. anche le
altre pronunce citate alla nota 148.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
105
130 c.cons. e 49 CISG postula la sussistenza dei relativi, più stringenti,
presupposti, seppure da valutarsi in relazione al singolo oggetto.
Ciò posto, ove il compratore opti per la tutela estimatoria, come già
ammoniva Pothier154, l’aestimatio vitii – ferma l’applicazione dei metodi
di determinazione che saranno illustrati nel prossimo Capitolo – deve essere condotta tenendo conto dell’incidenza del difetto sul valore complessivo delle cose alienate, e non già soltanto su quello della res nella
quale si è manifestato.
5.
La funzione della riduzione del prezzo: la conservazione dell’equilibrio
sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al
momento della conclusione del contratto
I risultati cui siamo pervenuti sinora hanno consentito di descrivere
la natura degli effetti che la riduzione del prezzo spiega sul contratto di
compravendita, che abbiamo potuto identificare nella decurtazione del
prezzo, da un canto, e nell’adattamento del contenuto negoziale volto a
modellare l’attribuzione patrimoniale dovuta dal venditore sulle caratteristiche effettivamente rivelate dalla res vendita, dall’altro.
Ciò che ancora è rimasto nelle pieghe del nostro discorso è la relazione che corre fra la modificazione del programma negoziale e l’adeguamento della misura del corrispettivo.
Come abbiamo avuto modo di dire155, l’adattamento contrattuale
prodottosi a seguito dell’esercizio della riduzione del prezzo comporta,
da parte del compratore, l’accettazione dell’attribuzione originariamente
difettosa quale prestazione conforme al contratto, sicché l’effetto che si
produce è equivalente a quello che si sarebbe avuto ove il contratto fin
dall’origine avesse previsto che la cosa venduta presentasse il difetto manifestatosi in essa156.
Per tale via, il rimedio estimatorio dà luogo alla contemporanea tutela così del concreto interesse del compratore a conservare la prestazione, benché difettosa, come del potenziale interesse di segno eguale e
contrario ascrivibile al venditore. In relazione all’acquirente, però, tale
154 R.J.
POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura
di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 47: «Si osservi che se trattasi per esempio di una coppia di
mule, l’una delle quali sia viziosa, la minorazione del prezzo dovrà esser desunta non solamente sopra la viziosa, ma sopra entrambe. Poiché, essendo state comperate entrambe per un
solo prezzo, questo non debb’essere separato; ma deesi conoscere quanto meno valeva la coppia quando fu venduta, e non la sola mula che era viziosa».
155 Cfr., in particolare, il par. 3 del presente Capitolo.
156 Così U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 57 s.
106
CAPITOLO SECONDO
interesse è concreto e attuale, giacché abbiamo veduto come la decisione
circa l’esercizio del rimedio sia sostanzialmente rimessa all’incondizionata volontà dell’acquirente157, mentre con riferimento al venditore si assiste a una sorta di presunzione assoluta di perdurante sussistenza dell’interesse al mantenimento del contratto158 anche per il caso di difettosità della cosa venduta, sicché la decisione negoziale di alienare rimane
ferma pure a seguito del mutamento di contenuto del negozio. Potremmo pertanto dire che alla parte fedele è consentito mantenere in vita lo
scambio, mutandone unilateralmente i contenuti, mentre la controparte
inadempiente è sostanzialmente costretta a subire la relativa decisione.
Pacifico che i contenuti dell’adeguamento del corrispettivo non possono essere stabiliti dall’acquirente a proprio arbitrio, il fatto che la riduzione costituisca un mutamento del programma negoziale rimesso all’iniziativa di una sola parte e (in via sostanzialmente esclusiva) alla valutazione che questa compia relativamente al proprio interesse nei confronti
dell’inesatto adempimento ricevuto rende vieppiù imprescindibile l’individuazione del fondamento di tale diritto e delle sue modalità di attuazione.
Ove, peraltro, si osservi che la riduzione del prezzo è legittimata dall’alterazione del sinallagma funzionale del contratto, a cagione della
quale il compratore si troverebbe a dover eseguire la propria intera prestazione pecuniaria pur avendo ricevuto un’attribuzione patrimoniale
inesatta, non è difficile intuire come ciò darebbe luogo a un vantaggio irragionevole per la parte inadempiente, la quale conseguirebbe proprio
quanto inizialmente convenuto, pur avendo eseguito una prestazione minus quam perfecta. Si verificherebbe pertanto – almeno in senso descrittivo – un arricchimento ingiustificato del venditore.
Ma il principio dell’arricchimento senza causa può svolgere in questa sede, per l’appunto, soltanto un mero ruolo descrittivo, giacché ciò
che consente al compratore di esercitare la tutela estimatoria è, più propriamente, il mutamento del rapporto di corrispettività fra le rispettive
prestazioni contrattuali: invero, il carattere sinallagmatico dei contratti si
basa su un reciproco sacrificio patrimoniale, giacché le prestazioni delle
parti sono legate da un vincolo di interdipendenza, in forza del quale in
157 La
riduzione del prezzo, infatti, salvi soltanto i casi in cui costituisce rimedio sussidiario (art. 130 c.cons.) o subordinato al “right to cure” del venditore (artt. 45 ss. CISG), è oggetto di una libera scelta del compratore (cfr. parr. 1 e 2 del presente Capitolo). Peraltro, anche nelle ipotesi in cui ha natura subordinata o sussidiaria, una volta verificatisi i presupposti
che fanno venir meno le ragioni di priorità dei rimedi primari, la quanti minoris – al contrario della risoluzione del contratto – può essere esercitata a prescindere da qualsiasi considerazione riguardo alla gravità del difetto, sulla base della mera volontà dell’acquirente.
158 In questo stesso senso v. ancora U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 58.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
107
tanto l’una assume su di sé un determinato impegno in quanto l’altra faccia altrettanto. Ne consegue che la prestazione di una parte è, e rimane,
legata non soltanto all’esistenza originaria, ma anche al perdurare della
prestazione corrispondente della controparte e quindi all’esecuzione
della medesima.
Se è così, non può che desumersene che la riduzione del prezzo è
volta proprio a salvaguardare, ripristinandolo, il sinallagma funzionale
del negozio. La presenza del difetto nella prestazione del venditore, infatti, altera i termini dello scambio e richiede che il medesimo sia rimosso
dal contraente inadempiente ovvero che la controprestazione sia “adeguata” alle effettive caratteristiche della prima: tale adeguamento, unito
alla definitiva accettazione dell’attribuzione irregolare, costituisce il proprium della quanti minoris. Pur nella totale carenza, a livello legislativo,
di un’indicazione delle regole che presiedono alla determinazione della
riduzione del prezzo, il fatto che esso sia diretto alla conservazione di
uno scambio che ha ad oggetto il trasferimento di una cosa non corrispondente al programma obbligatorio verso il corrispettivo di un prezzo
ridotto consente di escludere che questo persegua finalità risarcitorie159,
e di evidenziarne piuttosto la finalità di riequilibrio delle prestazioni facenti capo alla parti del contratto attraverso un adattamento dell’originario oggetto negoziale: questo, infatti, non può essere diretto a far acquisire a entrambe le parti quanto avrebbero avuto diritto di ricevere in base
alle pattuizioni originarie, già per l’assorbente ragione che l’acquirente
accetta una prestazione difettosa.
Reagendo all’alterazione del sinallagma, la riduzione del prezzo mira
a ripristinarlo: tale ripristino avviene attraverso la fissazione di una nuova
misura del corrispettivo la quale possa dirsi rispettosa dell’iniziale rapporto di corrispettività che le parti avevano fissato al momento della conclusione del negozio. Invero, come attenta dottrina ha posto in luce160, la
decisione delle parti del contratto di compravendita di scambiare la
159 In questo senso, invece, si pronuncia D. RUBINO, L’appalto, in Tratt. Vassalli, Torino,
1980, p. 516. L’opinione è diffusa negli ordinamenti di common law, laddove il mezzo di
tutela in parola riscuote scarsa fortuna e tende a essere ricondotto a una voce inclusa nel risarcimento del danno: non a caso, la trattazione della relativa previsione nel diritto inglese
(Section 53 (3) SoGA 1979) è condotta da P.S. ATIYAH - J.N. ADAMS - H. MACQUEEN, Atiyah’s
Sale of Goods, Harlow, 2010, p. 539 nel paragrafo dedicato ai Damages for breach of condition
or warranty.
160 Secondo C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im
Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 6, l’accordo fra
le parti pone un rapporto soggettivo di equivalenza fra le prestazioni scambiate «weil die
Parteien sich für deren Austausch entschieden haben und jede Partei dadurch zum Ausdruck
bringt, dass die Erlangung der Gegenleistung ihr die Erbringung der eigenen Leistung wert ist».
108
CAPITOLO SECONDO
“cosa” contro il “prezzo” si traduce nell’inequivoca affermazione di un
rapporto di soggettiva equivalenza fra le prestazioni contrattuali facenti
capo alle parti161, le quali mostrano appunto di essere ciascuna disponibile a eseguire la propria prestazione in cambio di quella promessa dall’altro contraente. Allorché l’attribuzione patrimoniale del venditore si riveli differente rispetto a quanto pattuito, il rapporto di identità di valore
fra le reciproche prestazioni, che le parti hanno liberamente fissato con il
contratto nell’esercizio della loro autonomia privata, è compromesso. La
difettosa esecuzione del rapporto contrattuale da parte dell’alienante, a
prescindere da ogni considerazione sull’imputabilità della medesima,
“perturba” l’equilibrio contrattuale fissato, facendo venir meno quel rapporto di identità di valore sul quale le parti avevano fondato il proprio
consenso162.
A fronte di tale “perturbazione”, la legge consente all’acquirente di
ridurre la prestazione pecuniaria, in quanto la res vendita ha perduto la
propria corrispondenza di valore rispetto a questa. Ne consegue che la riduzione del corrispettivo costituisce precisamente uno strumento di tutela dell’equilibrio fra le attribuzioni patrimoniali delle parti del contratto di vendita; essa non è però volta a ristabilire un equilibrio fra valori oggettivi – ciò che significherebbe sostituire alla volontà delle parti
una volontà eteronoma – bensì un equilibrio soggettivo che esprima il
medesimo rapporto di valore che le parti avevano raggiunto e fissato al
tempo della conclusione del contratto nell’esercizio della loro autonomia
privata163. Il sinallagma perturbato è, infatti, il risultato delle valutazioni
che soggettivamente le parti hanno condotto circa la convenienza dello
scambio e non può essere sconvolto dall’applicazione di criteri di equivalenza oggettiva.
D’altronde, il nostro diritto contrattuale è dominato dal principio
secondo cui le parti sono libere di fissare il contenuto del contratto e, in
particolare, non si dubita che i contraenti possano di norma procedere in
piena autonomia alla fissazione del prezzo dei beni e, conseguentemente,
161 Efficacemente
è stato scritto che «die Parteien ihre beiderseitigen Leistungen als
wertgleich gelten lassen wollen»: v. SOERGELKOMM-BGB/BALLERSTEDT, sub vor § 459 BGB,
Stuttgart, 1967, Rn. 15. A questa idea aderisce anche K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts,
II, 1, München, 1986, p. 68.
162 C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 6 s.
163 Cfr. ad esempio M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000, p.
57, il quale precisa che «durch die Minderung soll das infolge der mangelhafte Lieferung
gestörte Äquivalenzverhältnis zwischen dem vereinbarten Kaufpreis und dem Wert der sache auf
entsprechend niedrigerem Niveau aufrechterhalten bzw. wiederhergestellt werden».
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
109
del rapporto di corrispettività fra prestazioni164. Tali regole non conoscono, infatti, che eccezionali limitazioni, le quali sono basate sull’oggettiva eccessività del sacrificio assunto da una parte rispetto all’altra, conseguente all’approfittamento di una situazione di particolare debolezza
di un contraente, come accade in tema di rescissione per lesione (art.
1448 c.c.)165, ovvero su motivazioni attinenti alla disciplina del mercato,
come nelle ipotesi in cui il legislatore procede con la fissazione di prezzi
imposti (art. 1339 c.c.) ovvero obbliga taluni soggetti a contrarre a uguali
164 Tale
assetto è assai ben definito dall’affermazione secondo cui «i soli contraenti
sono i giudici del valore delle cose», che si ritrova in G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, IV,
Torino, 1939, p. 143 s.
A partire dalla codificazione napoleonica, il moderno diritto privato – con talune rilevanti eccezioni che hanno caratterizzato in particolare il periodo fra le due guerre mondiali
(cfr. O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli scambi e la rescissione del contratto
per lesione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 328 ss.) – ha sostanzialmente abbandonato l’attenzione al problema dell’equità degli scambi e del c.d. “giusto prezzo”, particolarmente caro
alla Patristica e alla dottrina del diritto naturale (sul punto, v. ad esempio, W. TRUSEN, Äquivalenzprinzip und gerechter Preis im Spätmittelalter, in Festgabe für Günther Küchenhoff, Göttingen, 1967, p. 247 ss. e il cit. O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli scambi e la
rescissione del contratto per lesione, p. 319, ove rammenta come il diritto medioevale e moderno sia stato condizionato dall’idea del “giusto prezzo” e come forte sul punto sia stata l’influenza di San Tommaso, il quale, «riprendendo la teoria aristotelica […], raccomandava l’equità negli scambi, perché conforme a legge divina e dichiarava solo sopportabili lievi sproporzioni fra le prestazioni, in vista dell’imperfezione umana»), facendo spazio alle istanze
borghesi dirette a promuovere il libero scambio e imperniate sul dogma della volontà e dell’autonomia privata. Gli scopi e i limiti della presente trattazione non consentono, né esigono,
l’analisi di tale evoluzione storica e di politica del diritto, riguardo alla quale in questa sede è
necessario e sufficiente prendere atto dell’ormai radicata libertà delle parti di fissare tendenzialmente senza vincoli il corrispettivo di alienazione dei beni. In tal senso, non è senza importanza la chiara opzione manifestata anche da parte del legislatore europeo con la dir.
1993/13/CEE, il cui art. 4, comma 2 sancisce che «la valutazione del carattere abusivo delle
clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile». Su quest’ultima disposizione e sulle sue implicazioni v. ampiamente M. FARNETI, La vessatorietà delle clausole principali nei contratti del consumatore, Padova, 2009.
165 Questa infatti può essere invocata soltanto laddove la lesione sia ultra dimidium e
comunque non conduce all’imposizione di un diverso contenuto contrattuale bensì allo scioglimento del vincolo.
L’eccezionalità della rescissione e la sua “eterodossia” nel contesto delle scelte di fondo
che connotano il nostro ordinamento sono bene espresse dalla valutazione con la quale notoriamente si chiude quella che, a tutt’oggi, è la più ampia analisi dedicata all’istituto nella nostra letteratura: «pur dopo aver tentato di dare all’istituto una sistemazione, pur dopo averne
visto l’ampio […] campo di applicazione, si deve ancora ripetere che non si sa come sia nato,
non si sa cosa sia, non si sa cosa ci stia a fare» (G. MIRABELLI, La rescissione del contratto per
lesione, Napoli, 1962, p. 413). Per una inquadramento della rescissione quale mezzo di protezione del contraente debole, v. però O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli
scambi e la rescissione del contratto per lesione, cit., p. 310 ss.
110
CAPITOLO SECONDO
condizioni con chiunque, in ragione della loro posizione di monopolisti
(art. 2597 c.c.).
Invero, se le parti hanno il pieno potere di determinare liberamente,
nell’esercizio dell’autonomia privata, la misura del prezzo e il rapporto
proporzionale di valore fra questo e la cosa venduta non si vede per
quale ragione il rapporto così fissato debba subire un intervento “correttivo” eteronomo a seguito del verificarsi di un difetto funzionale del sinallagma, mentre è in linea di principio escluso in sede di conclusione
del contratto. Ne consegue che la riduzione del prezzo, essendo volta a
rivolta a ristabilire il sinallagma funzionale fra le prestazioni, non può che
operare attraverso la conservazione, pur a seguito del verificarsi di eventi
perturbatori, dell’equilibrio stabilito liberamente dalle parti fra le prestazioni contrattuali che gravano sulle stesse in forza del contratto. Essa,
pertanto, è diretta a conservare l’equivalenza soggettiva delle prestazioni
oggetto del scambio166.
Tale conclusione, peraltro, è l’unica compatibile con l’irrilevanza
della volontà del contraente inadempiente con riferimento alla modificazione del contenuto negoziale: invero, qualsiasi modificazione diretta a
imporre a costui un rapporto contrattuale avente caratteristiche differenti da quelle originarie darebbe luogo a un vulnus nei confronti del
principio della forza di legge del contratto (art. 1372 c.c.), sicché l’ammissibilità di una modificazione avente tale natura riposa nel fatto che la
riduzione del prezzo ha luogo attraverso la conservazione del rapporto di
valore fra le prestazioni che i contraenti avevano pattuito sin dal principio. Tale conservazione, infatti, impone bensì al venditore un contratto
differente da quello originariamente stipulato, ma gli consente di conservare la medesima proporzione fra le reciproche attribuzioni cui ha prestato il proprio consenso al tempo della conclusione del contratto.
Riconoscere che tale è il contenuto della tutela estimatoria consente
di porre le necessarie basi al fine di identificare le regole che presiedono
166 Quest’ultima
lettura, di recente, raccoglie numerosi consensi nella dottrina germanica: cfr. C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 5 ss.; ID., Die Behandlung nicht
zu vertretender Leistungshindernisse nach § 275 Abs. 2 BGB beim Stückkauf, in JZ, 2004, p.
219 ss.; S. LORENZ, Vertragserhaltung im Kaufrecht, in Festschrift für Hans Wolfsteiner, Köln,
2008, p. 134 ss.; A. PEUKERT, § 326 Abs. 1 S. 2 BGB und die Minderung als allgemeiner Rechtsbehelf, cit., p. 479. Con riferimento allo Schuldrecht abrogato v. altresì K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts, II, 1, cit., p. 68, il quale discorre apertamente di un «Prinzip der subjektiven Äquivalenz» immanente al diritto della compravendita e qualifica la Minderung quale
mezzo diretto a ripristinarlo (si ricordi però come Larenz in precedenza – come abbiamo
avuto modo di vedere (par. 3) – riconducesse al perturbamento della Geschäftsgrundlage il
fondamento della tutela estimatoria); F. PETERS, Praktische Probleme der Minderung bei Kauf
und Werkvertrag, in Betriebs Berater (BB), 1983, p. 1951.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
111
alla determinazione del quantum della riduzione, alle quali dedicheremo
la nostra attenzione nel Capitolo 3.
6.
La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale
Identificati, nelle pagine che precedono, gli effetti e la funzione della
riduzione del prezzo – sostanzialmente riconducibili alla modificazione
del contenuto del rapporto contrattuale volta a conservare l’equilibrio sinallagmatico che le parti avevano originariamente concordato, perturbato dalla successiva manifestazione del difetto – dobbiamo ora occuparci del distinto profilo direttamente attinente alla natura della corrispondente situazione giuridica facente capo al compratore.
La tradizione romanistica ci consegna l’apparato di tutela edilizio
sotto la qualifica di “azioni”, così la redhibitoria come l’aestimatoria costituendo oggetto di actiones che il compratore poteva esperire convenendo il venditore dinanzi al magistrato, il quale a sua volta imponeva
alle parti l’esecuzione delle prestazioni necessarie, rispettivamente, a
reintegrare – per quanto possibile – lo status quo ante il contratto, ovvero
a rimettere parzialmente il debito relativo al prezzo, ove non ancora
adempiuto, o a restituire una porzione del corrispettivo già versato167.
Le numerose disposizioni oggi vigenti nell’ordinamento italiano che
concedono al compratore la tutela estimatoria non fanno invece alcuna
menzione della natura di “azione” della riduzione del prezzo. Le norme
del codice civile in materia di compravendita, invero, si limitano a sancire
che, al ricorrere dei presupposti volta per volta richiesti, l’acquirente
possa «ottenere» tale riduzione (art. 1480 c.c.), ovvero «domandar[la]»
(art. 1490 c.c.), mentre l’art. 130 c.cons. attribuisce al consumatore un
non meglio definito «diritto ad una riduzione adeguata del prezzo»
(comma 3); la medesima locuzione già compare all’art. 3, comma 2 dir.
1999/44/CE, il cui comma 5, però, consente al consumatore di «chiedere
una congrua riduzione del prezzo». Infine, nell’ipotesi in cui nel bene
venduto si manifestino difetti di conformità, il più chiaro referente normativo in materia – rappresentato dalla Convenzione di Vienna del 1980
– prevede che «the buyer may reduce the price», senza fare alcun riferimento al concetto di “azione”.
La scarsa perspicuità e l’assoluta eterogeneità delle espressioni utilizzate rende tutt’altro che agevole la qualificazione della situazione giuridica
167 Sulla genesi e la natura delle azioni edilizie in Roma classica, si vedano i primi tre
paragrafi del Capitolo 1.
112
CAPITOLO SECONDO
che, nelle varie ipotesi di volta in volta considerate, permette all’acquirente di un bene “difettoso” di trattenerlo, pagando però un corrispettivo
decurtato. In ragione di ciò, e in particolare del fatto che i singoli dettati
normativi sono fra loro assai divergenti, sollevano problemi differenti e richiedono di essere calati nel rispettivo contesto, appare opportuno procedere ad un’analisi separata di ciascun corpus normativo.
Questa può convenientemente prendere le mosse dall’art. 50 della
Convenzione di diritto uniforme, in relazione al quale sussiste unanimità
di vedute fra gli interpreti nel senso di ritenere che il diritto del compratore possa essere esercitato con atto168 unilaterale e stragiudiziale169, che
non necessita di alcuna manifestazione di adesione da parte del venditore, né di una sua collaborazione nell’attuazione del diritto, essendo immediatamente produttiva degli effetti modificativi del contenuto contrattuale170, sicché si propende per la qualificazione della riduzione del
prezzo quale diritto potestativo del compratore171.
Conclusioni di identico tenore, peraltro, possono trarsi con riguardo
alla quanti minoris contemplata dalla direttiva 1999/44/CE. Infatti, nonostante l’ambiguo dettato del comma 5 dell’art. 3 della versione italiana
della direttiva – il quale fa riferimento al diritto del consumatore di «ri168 Trova un certo favore la tesi secondo la quale, ex art. 50 CISG, il compratore «does
not have to make a separate declaration of price reduction to the seller before he resorts to the
price reduction remedy»: così, ad esempio, C. SHIN, Declaration of price reduction under the
CISG article 50 price reduction remedy, in 25 Jour. Law&Comm., 2005-2006, p. 352.
169 In questo senso, v. infatti, ex plurimis, E.E. BERGSTEIN - A.J. MILLER, The remedy of
reduction of price, in Amer. Jour. Comp. Law, 1979, p. 263; F. ENDERLEIN, Rights and Obligations of the Seller under the UN Convention on Contracts for the International Sale of Goods,
in P. VOLKEN - P. SARCEVIC, International Sale of Goods: Dubrovnik Lectures, New YorkLondon-Rome, 1986, p. 197; P.A. PILIOUNIS, The Remedies of Specific Performance, Price
Reduction and Additional Time (Nachfrist) Under the CISG: Are These Worthwhile Changes or
Additions to English Sales Law?, in Pace Int’l Law Review, 2000, p. 31; S. JANSEN, Price
reduction under the CISG: a 21st Century Perspective, in Journal of Law & Commerce, 2014,
p. 343 ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, 6. Aufl., München, 2013,
Rn. 1 e 4 ss.; R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti
di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 236; KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CIGS, München, 2011, Rn. 4; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 3; STAUDINGER/U.
MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 1 ss. e 15 ss.; Cour de
Justice de Genève, 15 novembre 2002, in CISG-online n. 853.
170 Per tutti, SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., Rn. 1.
171 Cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 15
(«Die Minderung ist ein Gestaltungsrecht, das der Käufer mit seiner Erklärung ausübt»); R. DE
NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 236; B. AUDIT, La vente internationale de marchandises. Convention des Nations-Unies du 11 avril 1980, Paris, 1990, p. 134; OLG München,
2 marzo 1994, in CISG-online n. 108.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
113
chiedere»172 la riduzione del corrispettivo173 –, è comune l’intendimento
della riduzione del prezzo quale diritto potestativo che consente al compratore di modificare il contenuto contrattuale attraverso una propria
manifestazione unilaterale di volontà stragiudiziale174 e sottratta a vincoli
di forma175. L’impiego del verbo «richiedere», infatti, si spiega «in ragione di una forza attrattiva [esercitata] sul piano linguistico dai rimedi
primari sui secondari»176, giacché i primi costituiscono oggetto di una
172 L’impiego
del verbo «richiedere», infatti, suggerisce l’idea che la produzione degli
effetti giuridici del mezzo di tutela non avvenga in forza del mero atto del compratore ma necessiti dell’opera di un terzo soggetto, quale il giudice, ovvero del consenso della controparte.
173 Invero, la versione della direttiva in lingua francese si esprime in maniera differente:
«En cas de défaut de conformité, le consommateur a droit […] soit à une réduction adéquate du
prix ou à la résolution du contrat en ce qui concerne ce bien, conformément aux paragraphes 5
et 6. […] Le consommateur peut exiger une réduction adéquate du prix». Simile al testo italiano
sono invece il testo tedesco e quello inglese, secondo cui rispettivamente «the consumer may
require an appropriate reduction of the price» e «der Verbraucher kann eine angemessene
Minderung des Kaufpreises […] verlangen».
174 È appena il caso di puntualizzare come, ovviamente, tale dichiarazione possa anche
sostanziarsi nella proposizione di una domanda giudiziale, ma ciò che vuole mettersi in luce
nel testo è il fatto che tale ultima modalità di esercizio non è affatto necessaria, gli effetti della
riduzione del prezzo potendo prodursi indifferentemente attraverso una manifestazione di volontà stragiudiziale, trattandosi di un diritto potestativo esercitabile mediante un atto unilaterale del consumatore, il cui compimento vale di per sé solo a decurtare il corrispettivo pattuito.
Pur avvertendo l’ambiguità del dettato normativo della direttiva, propendono per la qualificazione della riduzione del prezzo quale diritto potestativo del compratore P. SCHLECHTRIEM,
Die Anpassung des deutschen Rechts an die Klausel-Richtlinie und den Richtlinienvorschlag
zum Verbraucherkaufrecht, in ZfSR, 1999, p. 344 (ad avviso del quale tale soluzione troverebbe un forte argomento in ragione dell’opzione in questo senso da parte della Convenzione
di Vienna, la quale ha costituito il modello di riferimento per la dir. 1999/44/CE); H. EHMANN
- U. RUST, Die Verbrauchsgüterkaufrichtlinie - Umsetzungsvorschläge unter Berücksichtigung
des Reformentwurfs der deutschen Schuldrechtskommission, in JZ, 1999, p. 859; U. MAGNUS,
sub art. 3 dir. 1999/44, in GRABITZ-HILF, Das Recht der Europäischen Union, 40. Aufl., München, 2009, Rn. 56; GRUNDMANN-BIANCA-EU-KAUFRECHT/C.M. BIANCA, sub art. 3, München,
2002, Rn. 66. Nel senso che il testo della direttiva non consentirebbe di raggiungere una
conclusione univoca circa la natura della situazione soggettiva di cui è titolare il compratore
v. G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 199.
Secondo S. LEIBLE, Kaufvertrag, in M. GEBAUER - T. WIEDMANN, Zivilrecht unter europäischem
Einfluss, Stuttgart, 2005, Rn. 80, invece, il consumatore ai sensi dell’art. 3, dir. 1999/44/CE
sarebbe reso titolare di una Anspruch alla riduzione del corrispettivo.
175 In questo senso, v. ancora U. MAGNUS, sub art. 3 dir. 1999/44, in GRABITZ-HILF, Das
Recht der Europäischen Union, cit., Rn. 79; P. SCHLECHTRIEM, Die Anpassung des deutschen
Rechts an die Klausel-Richtlinie und den Richtlinienvorschlag zum Verbraucherkaufrecht, cit.,
p. 344; GRUNDMANN-BIANCA-EU-KAUFRECHT/C.M. BIANCA, sub art. 3, cit., Rn. 66 ss.
176 Così, giustamente, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di
beni di consumo, cit., p. 418, i quali peraltro manifestano tale opinione con riferimento al testo dell’art. 1519-quater c.c., a mezzo del quale il legislatore italiano aveva inizialmente rece-
114
CAPITOLO SECONDO
pretesa, la quale esige una “richiesta” dell’acquirente, cui deve seguire un
comportamento attuativo da parte del venditore. Tale comportamento
“collaborativo”, invece, non è affatto necessario nell’ipotesi in cui sia
fatta valere la riduzione del prezzo (o la risoluzione), sicché non di vera
e propria “richiesta” può parlarsi ma dell’esercizio di un diritto potestativo.
Una contraria opinione è stata manifestata nell’esperienza inglese,
laddove è diffusa la convinzione secondo la quale «the buyer is entitled
only to require the seller to reduce the purchase price and not to reduce the
price himself»177. Secondo tale tesi, pertanto, la riduzione del prezzo sarebbe oggetto di una richiesta del consumatore rivolta al professionista,
il quale ultimo dovrebbe procedere a quantificare la decurtazione appropriata, così ponendo sulla controparte l’onere «of showing that the
reduction offered is not appropriate»178.
Sennonché una simile ricostruzione, nonostante possa effettivamente trovare un addentellato nella lettera della legge inglese, appare palesemente incompatibile con l’obiettivo della dir. 1999/44/CE di apprestare un adeguato livello di tutela del consumatore179, in quanto fa dipendere l’attuazione del rimedio da un comportamento collaborativo del
professionista, attribuendo a quest’ultimo il potere di formulare una proposta di quantificazione della riduzione e gravando il consumatore dell’onere di argomentarne ed eventualmente dimostrarne l’insufficienza,
con ciò rendendo assai più probabile la necessità di un intervento giudiziale. Ove si tenga in considerazione come la disciplina de qua sia volta a
regolare i rapporti fra acquirenti e venditori di beni di consumo, aventi
spesso un ridotto valore, l’idea secondo la quale l’atto di esercizio della
pito l’art. 3, dir. 1999/44/CE. Peraltro, data la pressoché totale coincidenza delle due disposizioni, non sembra che tale circostanza possa infirmare la correttezza di tale osservazione.
177 Cfr. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 706, il quale sostiene tale tesi
facendo leva essenzialmente su un argomento letterale tratto dalla Section 48C del SoGA
1979, ove si prevede che il compratore «may require the seller to reduce the purchase price of
the goods in question […] by an appropriate amount». Il legislatore inglese, invero, ha
pedissequamente trasposto la direttiva in materia di vendite di beni di consumo operando un
copy-out della locuzione che – come anticipato alla nota 173 – è possibile riscontrare nella
versione inglese della stessa.
Anche a seguito dell’emanazione del Consumer Rights Act 2015, il diritto inglese continua criticabilmente a foggiare il “right to a price reduction” come il diritto del consumatore
«to require the trader to reduce by an appropriate amount the price the consumer is required to
pay under the contract, or anything else the consumer is required to transfer under the contract»:
così la Section 24 del recentissimo provvedimento in tema di protezione del consumatore.
178 Così, appunto, M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 706 s.
179 Cfr. A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 91 e L.
GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI
- P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 418.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
115
quanti minoris dovrebbe avvenire attraverso un complesso procedimento
nel quale, all’iniziale richiesta del compratore, dovrebbe seguire una
quantificazione da parte dell’alienante, suscettibile di contestazione giudiziale, o – ancor peggio – dovrebbe rivestire indefettibilmente la forma
della domanda giudiziale, si traduce nella frapposizione di ostacoli rilevanti all’esercizio del diritto attribuito al consumatore dalla dir. 1999/
44/CE, che ne compromettono senz’altro l’effettività180, sicché riteniamo
non possano essere sollevati dubbi circa la natura di diritto potestativo
esercitabile con un atto stragiudiziale della riduzione del prezzo accordata dall’art. 3 del provvedimento europeo.
Raggiunta tale conclusione, non sembra che diversamente possa opinarsi con riferimento all’art. 130 c.cons.181.
In primo luogo, essa è imposta da elementari ragioni di coerenza,
laddove si consideri che la norma interna è largamente ricalcata su quella
180 Invero, un argomento in questo senso può essere rintracciato nella recentissima
Corte giust. UE 4 giugno 2015, in causa C-497/13, Froukje Faber, la quale – nell’affermare
che l’obbligo di denuncia di cui il consumatore risulta gravato ai sensi dell’art. 5, par. 2, dir.
1999/44/CE non può «spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità» (punto 62), che «non si può esigere che il consumatore
produca la prova che effettivamente un difetto di conformità colpisce il bene che ha acquistato» (punto 63) e che, in generale, «uno Stato membro non può istituire obblighi tali da
rendere impossibile o eccessivamente difficile per il consumatore esercitare i diritti che attinge dalla direttiva» (punto 64) – offre rilevanti e univoci indizi nel senso che l’esercizio dei
diritti attribuiti al consumatore dalla direttiva in materia di vendite di beni di consumo non
possa essere subordinato alla necessaria proposizione di una domanda giudiziale (la quale,
per definizione, richiede che l’attore formuli in maniera tecnica ed esaustiva, avvalendosi dell’assistenza di un avvocato, le proprie richieste) ovvero soggiacere all’iniziativa determinativa
da parte del venditore. È, invero, evidente come nell’una e nell’altra ipotesi l’esercizio del diritto di ridurre il prezzo verrebbe a essere reso eccessivamente difficile, a cagione dell’onerosità e della durata del procedimento giurisdizionale ovvero della sostanziale rimessione alla
discrezionalità della “parte forte” della concreta attuazione del rimedio.
181 Nel senso che il diritto del consumatore di ridurre il prezzo ai sensi dell’art. 130
c.cons. (e – prima dell’emanazione del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 – dell’art. 1519-quater
c.c.) abbia natura di diritto potestativo esercitabile da costui mediante atto unilaterale anche
stragiudiziale v., ad esempio, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di
beni di consumo, Padova, 2003, p. 443 s.; G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo,
in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, cit., p. 1047; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, Padova,
2002, p. 90; E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 123; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir.
cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 848; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID.,
La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 457. Ma contra,
nel senso della necessaria proposizione della domanda giudiziale, v. A. LUMINOSO, La vendita,
in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 602, il quale ribadisce l’isolata opinione già espressa in A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine al D. Lgs. n. 24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO,
Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 101 ss.
116
CAPITOLO SECONDO
comunitaria, sicché valgono per la prima le medesime considerazioni che
abbiamo appena avanzato riguardo alla seconda.
In secondo luogo, e soprattutto, tale soluzione è comunque imposta
dalla necessità di interpretare il diritto interno in maniera conforme alla
disciplina europea: invero, una volta stabilito che l’effettività della tutela
del consumatore sostanzialmente esige che i rimedi concessigli nei confronti dei difetti di conformità della res vendita possano essere esercitati
prescindendo dal ricorso all’autorità giudiziaria e da atti formali, si deve
ritenere che anche la riduzione del corrispettivo accordata dall’art. 130
c.cons. abbia natura di diritto potestativo esercitabile a mezzo di un atto
unilaterale stragiudiziale.
Assai più complessa si palesa, invece, la questione relativa alla qualificazione giuridica del diritto alla riduzione del prezzo previsto dalle
norme del codice civile in materia di compravendita, riguardo alle quali
– come abbiamo accennato – è diffusa l’opinione, legittimata dall’origine
storica del mezzo di tutela, secondo cui si tratterebbe di un’“azione”
spettante al venditore, da esercitarsi a mezzo della (necessaria) proposizione di una domanda giudiziale182.
È a nostro avviso, peraltro, possibile rintracciare taluni indici che
paiono rendere meno scontata l’attendibilità della tesi tradizionale.
È senz’altro ben vero che almeno183 l’espressione impiegata dal legislatore nell’art. 1492 c.c. – a mente della quale il compratore può «domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del
prezzo» – pare legittimare l’idea che, da un canto, redibitoria ed estimatoria condividano pienamente il profilo attinente alla natura dell’atto giuridico di esercizio – e, in proposito, è noto come l’opinione nettamente
maggioritaria ritenga che il codice del 1942 abbia all’evidenza optato per
la configurazione della risoluzione quale mezzo di tutela essenzialmente
“giudiziale”184 – e, dall’altro, tale atto si sostanzi in una “domanda”, così
182 In questo senso si esprimono, fra i tanti, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt.
CNN Perlingieri, cit., p. 445; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 270; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli,
cit., p. 953 («questo rimedio – ancora tradizionalmente indicato come azione estimatoria – è
rimesso ad un potere dell’acquirente, che si esercita in via giudiziaria per il tramite della sentenza»).
183 Più neutro, da questo punto di vista, è il verbo utilizzato dall’art. 1480 c.c., secondo
il quale il compratore può «ottenere» la riduzione del prezzo, giacché esso non fa alcun riferimento al concetto di “domanda giudiziale”, né implica di necessità l’intervento del giudice,
pur potendo essere inteso nel senso che l’ottenimento della decurtazione del corrispettivo necessiti di un quid pluris rispetto al solo atto dell’acquirente.
184 In generale, sulla natura giudiziale della risoluzione e per l’inquadramento delle fattispecie di c.d. risoluzione di diritto (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.) quali “eccezioni” alla regola
generale, v. ex plurimis C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 292; V. ROPPO,
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
117
immediatamente evocando la necessità che l’effetto risolutivo o modificativo del contratto sia prodotto dall’autorità giudiziaria. E non sembra
dubbio che, ponendosi nel solco di tale linea argomentativa, dovrebbe
coerentemente negarsi qualsiasi effetto alla manifestazione di volontà del
compratore di far valere la risoluzione o la riduzione del corrispettivo
che non sia affidata alla proposizione di una domanda giudiziale.
Che, però, ciò corrisponda all’intendimento del legislatore può a nostro avviso essere revocato in dubbio ove si valorizzi il disposto dell’art.
1492, comma 2 c.c., il quale pone la nota regola185 secondo cui «la scelta
[scil. fra risoluzione e riduzione del prezzo] è irrevocabile quando è fatta
con la domanda giudiziale». La migliore dottrina186 non ha mancato di
osservare che, come meglio si dirà nel Capitolo 4, una regola siffatta implica che una scelta fra le due azioni sia possibile non soltanto a mezzo di
un atto processuale, ma altresì mediante un atto stragiudiziale, con l’unica differenza che «finché la scelta sia stata fatta con atto stragiudiziale,
anche se comunicato al venditore mediante notifica, il compratore può
Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 940 e p. 962 ss.; M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, Torino, 2006, p. 1738; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. UTET, Torino, 1980, p. 612; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione del contratto, in Nov. D., XVI, Torino,
1969, p. 140; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, passim. Non
sono mancati, tuttavia, taluni tentativi volti a contestare la natura essenzialmente giudiziale
della risoluzione: si vedano, ad esempio, A. KLITSCHE DE LA GRANGE, Risoluzione per inadempimento e potestà del giudice, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 29 ss. e, di recente, M. PALADINI,
L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, Milano, 2013, p. 41 ss.
Con riferimento alla risoluzione concessa dagli artt. 1480 e 1492 c.c. la necessità che la
manifestazione della volontà di risolvere il contratto di vendita si traduca nella proposizione
di una domanda giudiziale è pacificamente affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza assolutamente maggioritarie: fanno espresso riferimento all’“azione” di risoluzione, ad esempio,
P. GRECO - G. COTTINO, sub artt. 1492-94, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 267 s.; Cass. 29
luglio 2013, n. 18202; Cass. 3 giugno 2008, n. 14665; Cass. 27 settembre 2007, n. 20332; Cass.
21 giugno 2005, n. 13294; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1434. Secondo C.M. BIANCA, La vendita
e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 948 ss. la risoluzione di cui all’art. 1492 c.c. non costituirebbe un rimedio speciale ma un’applicazione della generale azione di risoluzione prevista
dall’art. 1453 c.c. e, come questa, potrebbe essere sostituita dall’esercizio mediante diffida
stragiudiziale o secondo il meccanismo regolato dall’art. 1456 c.c. (l’illustre A., con riferimento alla risoluzione ex artt. 1479 e 1480 c.c., a p. 755 s. scrive altresì che «la menzione
della richiesta di risoluzione sembrerebbe presupporre l’azione in giudizio. Deve tuttavia
escludersi che la formula normativa sia intesa a restringere l’esercizio del rimedio solutorio
alla sola forma della domanda giudiziale. […] Quindi il compratore può risolvere il contratto
mediante diffida o mediante comunicazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa»).
Da ultimo, si veda la revisione critica dell’orientamento tradizionale operata da M. PALADINI,
L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, cit., p. 123 ss. e p. 129 ss.
185 In ordine alla quale v. amplius il par. 1.3 del Capitolo 4.
186 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809, da cui sono
tratte le parole fra virgolette.
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CAPITOLO SECONDO
revocarla in un secondo momento, del pari stragiudizialmente o con la
domanda giudiziale, e passare all’altra azione». Ma delle due, l’una: o
l’atto di esercizio ha natura necessariamente giudiziale, e allora un’eventuale dichiarazione di volontà che non rispetti tale requisito non solo non
dà luogo a una scelta irrevocabile, ma non costituisce neppure una
“scelta”, giacché è del tutto inidonea a far valere il rimedio; oppure alla
manifestazione di volontà stragiudiziale può essere ricollegato l’effetto di
“scelta” del relativo mezzo di tutela, che può dirsi effettivamente proposto, con il corollario per cui deve intendersi conseguentemente interrotto
il corso della prescrizione187.
Poiché la legge espressamente sancisce l’irrevocabilità della scelta
«quando è fatta con la domanda giudiziale», dobbiamo dedurre che una
valida scelta possa essere operata altresì in via stragiudiziale, solo non
dandosi luogo – in tale ipotesi – all’effetto di irrevocabilità. Ma potendosi comunque ritenere espressa, con l’atto del compratore, la volontà di
far valere il relativo diritto.
E d’altronde, il codice civile conosce nella parte generale del contratto un’ipotesi di “riduzione del corrispettivo” riguardo alla quale la
dottrina non pare dubitare della sufficienza di un atto stragiudiziale del
compratore al fine del definitivo prodursi della modificazione del contenuto del programma negoziale. Ci riferiamo alla riduzione della controprestazione contemplata dall’art. 1464 c.c. per l’ipotesi in cui la prestazione di una parte sia divenuta parzialmente impossibile e l’altra conservi
ciononostante un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
La più accreditata lettura di tale fattispecie è, infatti, nel senso di
conferire alla parte creditrice della prestazione divenuta parzialmente impossibile una scelta sostanzialmente libera, in quanto rimessa alla valutazione che questa ritiene di operare con riferimento alla permanenza o
meno di un interesse all’adempimento188, ancorché necessariamente par187 E, infatti, in questo senso si pronuncia coerentemente lo stesso D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 847, il quale scrive che «se viene chiesta stragiudizialmente solo la riduzione del prezzo, solo per la prescrizione di questa azione comincia a
decorrere un nuovo anno da tal momento; ed è vero che poi si può cambiare e chiedere giudizialmente la risoluzione, ma purché ancora non colpita dalla prescrizione, che non era stata
interrotta dalla richiesta stragiudiziale di riduzione del prezzo», in quanto domanda diversa.
188 Cfr. Cass. 19 settembre 1975, n. 3066, secondo la quale «l’eventuale equiparazione
economica dell’impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione contrattuale alla sua impossibilità totale non è rimessa alla valutazione del giudice di merito, bensì a quella del contraente interessato»; nello stesso senso, Cass. 8 marzo 1960, n. 430, pressoché identicamente
massimata. In dottrina v. però S. PAGLIANTINI, voce Risoluzione del contratto per impossibilità
sopravvenuta, in Enc. giur. Sole24ore, XIII, Milano, 2007, p. 679, ad avviso del quale il concetto di “apprezzabilità dell’interesse” all’esecuzione parziale equivarrebbe a quello di “non
scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c.; nel senso che la valutazione dell’interesse all’ese-
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
119
ziale. Tale scelta, in particolare, può essere pacificamente esercitata a
mezzo di una dichiarazione stragiudiziale del creditore, non essendo affatto necessario introdurre a tal fine una domanda giudiziale189.
Se così è, possono con sicurezza dirsi superate le tesi volte ad accreditare la riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela essenzialmente
giudiziale sulla base dell’asserita necessità che della determinazione della
decurtazione sia investita l’autorità giudiziaria o, comunque, un soggetto
terzo. Proprio il fatto che la disposizione generale in tema di impossibilità parziale sopravvenuta nei contratti sinallagmatici consenta di dar
luogo alla decurtazione della controprestazione in forza di un atto stragiudiziale non può che confermare l’idea secondo la quale la tutela estimatoria, anche per il nostro codice civile, non postula indefettibilmente
il ricorso all’autorità giudiziaria, potendo essere esercitata altresì a mezzo
di atti stragiudiziali immediatamente produttivi di effetti.
D’altro canto, potrebbe mettersi in dubbio la pertinenza – ai fini
cuzione parziale della prestazione debba avvenire in maniera oggettiva – e non soggettiva,
come invece ritiene compatta la giurisprudenza – v. anche M. TAMPONI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Tratt. contratti
Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1798.
189 Cfr. G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. UTET, cit., p. 647 («è prevista, in tale ipotesi, una iniziativa della controparte, cui si attribuisce una facoltà di scelta tra
la riduzione della prestazione in proporzione del minor valore della prestazione impossibile,
ovvero lo scioglimento del vincolo contrattuale»); A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p.
35 s.; F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1988, p. 467; F. DELFINI, sub artt. 1463-1464, in ID., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 33; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 1010; in giurisprudenza,
v. la chiara massima di Cass. 17 luglio 1987, n. 6299 («il creditore che a norma dell’art. 1464
c.c. in tema di impossibilità parziale della prestazione, accetta la prestazione ridotta, acquista
il diritto ad eseguire in misura proporzionalmente ridotta anche la propria controprestazione,
senza necessità di ricorrere al giudice, il cui intervento si rende necessario solo se sorge contestazione»), nonché, fra le tante, Cass. 14 marzo 1997, n. 2274 e Cass. 12 luglio 1991, n.
7754. In questo senso v. già A. DALMARTELLO, voce Risoluzione del contratto, in Nov. D., XVI,
cit., p. 129 ss., il quale scrive che la fattispecie di cui all’art. 1464 c.c. – contrariamente a
quella di cui all’art. 1463 c.c. – non dà luogo ad alcun effetto risolutivo automatico, ma fonda
un potere di scelta tra due rimedi alternativi.
Peraltro, anche coloro i quali ritengono che – a torto del tenore letterale dell’1464 c.c.
(il quale fa riferimento al “diritto” della parte alla riduzione del prezzo) – la riduzione della
controprestazione derivante dall’impossibilità parziale abbia luogo in via automatica, limitandosi «la scelta del creditore all’alternativa del recesso» (L. CABELLA PISU, sub art. 1464, in
Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2002, p. 155; nello stesso senso paiono collocarsi
C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 403 e R. SACCO, I rimedi sinallagmatici,
in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 688), finiscono per ammettere che
«configurare la riduzione del corrispettivo come una riduzione automatica parziale del contratto non toglie che, di fatto, sia necessaria almeno un’iniziativa stragiudiziale della parte creditrice per far valere la riduzione» (così proprio L. CABELLA PISU, sub art. 1464, in Comm.
Scialoja - Branca, cit., p. 156).
120
CAPITOLO SECONDO
della risoluzione della questione che ci occupa – degli argomenti che è lecito trarre dall’art. 1464 c.c. sulla base della considerazione per cui tale
disposizione è diretta a disciplinare la fattispecie di impossibilità parziale
della prestazione mentre (come noto) è discussa la natura della responsabilità del venditore nelle ipotesi di cui agli artt. 1480, 1484, 1489 e 1492
c.c. sicché – acquisita la dimostrazione del fatto che il nostro codice civile contempla casi in cui la riduzione del prezzo prescinde in toto dal
necessario esercizio di una domanda giudiziale a ciò diretta – potrebbe
non apparire legittimo operare un diretto “trapianto” delle soluzioni valevoli per l’una nelle altre.
Non sembra opportuno, però, sopravvalutare la portata da ascrivere
a siffatta considerazione.
In primo luogo, può notarsi come – qualora si acceda alla ricostruzione che fonda la garanzia per vizi sull’impossibilità di assumere un impegno obbligatorio in ordine alle qualità della res vendita, giacché in quest’ultima l’assenza di vizi non può dipendere da un comportamento del
venditore ma è una caratteristica della cosa in sé, sulla quale l’agire dell’alienante non può avere influenza alcuna190 – la manifestazione del vizio
materiale o giuridico dovrebbe essere inquadrata quale ipotesi di inattuazione del contratto derivante da un’impossibilità della prestazione la
quale, pur essendo legata a cause che preesistono rispetto alla conclusione
del negozio, si palesa soltanto posteriormente a questa, dando luogo a una
sorta di conoscenza sopravvenuta dell’impossibilità parziale originaria (e
inizialmente ignota alle parti) della prestazione, il cui regime si presta ad
essere assimilato a quello dell’impossibilità parziale sopravvenuta191.
Ma anche qualora si ritenga, coerentemente con l’opinione ormai
prevalente, che le fattispecie di inesatta esecuzione dell’attribuzione patrimoniale da parte del venditore diano luogo a una responsabilità per
“inadempimento del contratto” di vendita, derivante all’imperfetta esecuzione del risultato traslativo, non sembra che l’argomento a favore
della ricostruzione della riduzione del corrispettivo quale diritto potestativo esercitabile a mezzo di un atto unilaterale stragiudiziale, che abbiamo ritenuto possibile ravvisare nell’art. 1464 c.c., venga in alcun
modo infirmato.
Invero, deve considerarsi come gli unici indici espliciti che è possibile rintracciare a livello del nostro sistema di diritto contrattuale in relazione alla natura della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il
contraente legittimato a provocare la decurtazione della propria presta190 Si vedano gli Autori citati alla nota 186 del Capitolo 1.
191 Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, sub art. 1346, in ID., Dei contratti
loja - Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 354.
in generale, in Comm. Scia-
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
121
zione, in ragione dell’imperfetta esecuzione di quella della controparte,
depongano univocamente nel senso della sussistenza di un diritto potestativo e della sufficienza dell’atto unilaterale stragiudiziale del contraente, sicché darebbe luogo a un’inaccettabile sovvertimento dei canoni
ermeneutici avallare la nota tesi secondo cui, data l’origine storica del rimedio, l’esercizio della quanti minoris richiederebbe indefettibilmente la
proposizione della domanda giudiziale.
Come scritto poc’anzi, la sufficienza dell’atto di esercizio stragiudiziale deve essere dedotta, a contrariis, dall’art. 1492, comma 2 c.c., il
quale, nel prescrivere che l’irrevocabilità dell’atto di esercizio di uno dei
rimedi edilizi abbia luogo «quando [questo] è fatto con la domanda giudiziale», non può che essere inteso nel senso di ammettere che un efficace esercizio dell’estimatoria possa avvenire altresì al di fuori del processo192. Ma soprattutto, non sembra lecito trascurare il fatto che la fattispecie di riduzione del corrispettivo che presenta maggiori analogie con
quelle oggetto del nostro studio e regolata a livello di parte generale del
contratto – ovverosia quella che consegue all’impossibilità parziale ex art.
1464 c.c. – è pacificamente interpretata nel senso di non postulare affatto
alcuna attività processuale della parte interessata.
Sottovalutare tali indici normativi, in favore di uno sterile ossequio
alla tradizione che assegna soltanto al giudice il compito di provocare, con
sentenza costitutiva, la risoluzione del contratto dovuta alla mancata o
inesatta esecuzione della prestazione, escludendo il potere di scioglimento
con atto stragiudiziale, e affermare che l’imprescindibilità dell’intervento
giudiziale sarebbe giustificata dall’esigenza ineludibile di un accertamento
processuale della sussistenza di un vizio e di una quantificazione giudiziale della somma da ridurre – oltre a non tenere conto del fatto che attenta dottrina ha da tempo evocato l’opportunità di rimeditare tale impostazione anche con riferimento alla risoluzione per inadempimento193 –
192 Sul punto v. amplius il Capitolo 4.
193 Da ultimo cfr. M. PALADINI, L’atto unilaterale
di risoluzione per inadempimento, cit.,
p. 41 ss. il quale ritiene possibile «suprare il dogma della natura giudiziale della risoluzione»
(p. 2), fondando un sicuro potere sostanziale di risoluzione (p. 47 ss.). Più in generale, la
necessità di rimeditare il ruolo centrale tradizionalmente attribuito alla domanda giudiziale
nell’impugnativa del contratto per inadempimento e il connesso ruolo meramente ancillare riservato alle fattispecie di risoluzione stragiudiziale è stato avvertito dalla dottrina processualistica (cfr., ad esempio, A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela costitutiva, in Riv. dir. proc.,
1991, p. 78 ss.; I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela
costitutiva, Milano, 1998, spec. p. 305 ss.) e non ha mancato di trovare sostenitori anche nella
dottrina civilistica (si vedano, infatti, R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il
contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 646 ss.; M. DELLACASA - F. ADDIS, Inattuazione e risoluzione: i rimedi, in Tratt. contratto Roppo, V, 2, Milano, 2006, p. 171 ss.; G. DE NOVA (a cura
di), Recesso e risoluzione nei contratti, Milano, 1994).
122
CAPITOLO SECONDO
postula un acritico e supino appiattimento della disciplina della riduzione
del corrispettivo su quella dell’altra azione edilizia, a discapito degli unici
chiari argomenti che è possibile dedurre dal diritto positivo.
Sembra, pertanto, opportuno riconoscere come anche in relazione
alla tutela estimatoria concessa al compratore dagli artt. 1480, 1484, 1489
e 1492 c.c. sia preferibile ritenere che – coerentemente, del resto, con la
linea evolutiva che verremo via via a rintracciare nel corso della presente
indagine a livello del diritto dell’Unione europea e dei diritti nazionali a
noi vicini – l’atto di esercizio della quanti minoris possa essere efficacemente affidato alla manifestazione di volontà unilaterale stragiudiziale
del compratore, avendo il diritto di ridurre il prezzo natura di diritto potestativo ad esercizio non necessariamente giudiziale.
Ciò acclarato, deve precisarsi come la dichiarazione di riduzione del
corrispettivo non richieda affatto l’impiego di forme solenni194, potendo
questa rivestire qualsiasi forma, purché idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà del consumatore di provocare la decurtazione del
corrispettivo pattuito195, salvo ovviamente il caso in cui la riduzione del
corrispettivo sia richiesta in relazione a vendite aventi per oggetto il trasferimento di diritti reali su beni immobili196. Né, come meglio avremo
194 Questa è, infatti, l’opinione nettamente prevalente sia con riferimento alla disciplina
consumeristica sia in relazione a quella in materia di vendite internazionali di merci: cfr., fra
i tanti, G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I
contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1047; L. GAROFALO A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 418 ss.; R. OMODEISALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 848 (secondo il
quale «occorre ammettere che pure l’esercizio dei rimedi secondari possa avvenire anche tramite una semplice dichiarazione stragiudiziale, a forma libera (e di carattere recettizio), rivolta dal consumatore al venditore»); F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di
cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 463 s.; KRÖLL-MISTELIS-PERALES
VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 29 («The declaration has no requirements as to
form. As to its content, it must clearly and unambiguously state that the buyer wishes to reduce
the purchase price but need not include the technical term “price reduction”»); M. HIRNER, Der
Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 294 ss. («Die Erklärung
der Minderung ist an keine bestimmte Form gebunden; sie kann sowohl schriftlich als auch
mündlich erfolgen»); STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit.,
Rn. 15; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 3.
195 Non è dubbio che, al riguardo, rileverà pure una manifestazione di volontà espressa
per facta concludentia, purché univoca: cfr., per tutti, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN,
sub § 441 BGB, cit., p. 311: «die Minderung kann auch konkludent geltend gemacht werden,
insbesondere durch das verlangen einer teilweisen Kaufpreisrückzahlung».
196 Nell’eventualità in cui la riduzione del corrispettivo sia esercitata in relazione a un
contratto di vendita avente ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale
su un bene immobile, invero, la quanti minoris incide direttamente sulla determinazione
dell’oggetto di un negozio per il quale la legge prescrive l’adozione della forma scritta (art.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
123
modo di dire nel Capitolo 3, è necessario che tale dichiarazione contenga
la determinazione dell’entità della riduzione “richiesta” dal consumatore:
nonostante il silenzio serbato sul contenuto della dichiarazione da tutte
le disposizioni cui abbiamo rivolto la nostra attenzione non consenta di
ravvisare elementi decisivi sul punto, si vedrà come nel senso della sufficienza della mera manifestazione di volersi avvalere del diritto di ridurre
il prezzo militi il fatto che questa, ove priva della quantificazione da parte
dell’alienante, è integrata dall’applicazione delle regole legali che presiedono a detta determinazione197.
7.
La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse
Fra i molti problemi lasciati irrisolti dalla insufficiente regolamentazione che il codice civile, il codice del consumo e la Convenzione di
Vienna dedicano alla tutela estimatoria, meritano speciale attenzione
quelli che sorgono nell’ipotesi in cui la parte venditrice ovvero la parte
acquirente siano soggettivamente complesse198, onde valutare quali particolarità caratterizzino l’esercizio e le conseguenze della riduzione del
prezzo in tali ipotesi199.
1350 c.c.). Pertanto, in accordo con quanto la prevalente opinione (v., per tutti, C.M. BIANCA,
Diritto civile 3. Il contratto, Milano, 2010, p. 736 e – in giurisprudenza – Cass. 7 gennaio
1984, n. 131; Cass. 15 maggio 1998, n. 4906; Cass. 14 novembre 2000, n. 14730; Cass. 6 aprile
2009, n. 8234) ritiene relativamente ai c.d. atti connessi a negozi solenni, pare opportuno concludere che la manifestazione di volontà del compratore di ridurre il prezzo debba rivestire
la foma scritta.
197 Si veda amplius il par. 3 del Capitolo 3.
198 Al contrario, il codice civile tedesco dedica a questa eventualità una specifica previsione (al comma 2 del § 441 nF BGB): «Sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des
Verkäufers mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder gegen alle erklärt
werden». Tale soluzione, peraltro, è opposta a quella accolta dall’abrogato § 474, comma 1, il
quale sanciva la possibilità di esercitare la Minderung anche da parte di ciascuno o nei confronti di ciascuno, senza prevedere la necessità di un esercizio concorde da parte di tutti i
soggetti o verso tutti i soggetti componenti la parte plurisoggettiva. Per la Wandlung vigeva,
invece, la diversa regola dell’indivisibilità, prevista dal § 467 aF attraverso il rinvio alla generale regola sull’Unteilbarkeit del diritto di recesso contenuta nel § 356 aF BGB.
La previsione dell’abrogato § 474 non era rimasta immune da critiche: essa, infatti, da
un canto, poneva una distinzione fra riduzione del prezzo e risoluzione non facilmente spiegabile da punto di vista dogmatico, e dall’altro, in applicazione del principio contenuto nel §
356, sanciva (al comma secondo) l’impossibilità di esercitare la Wandlung per tutti gli altri
soggetti componenti la parte acquirente laddove uno di essi avesse optato esperito la Minderung, con ciò ponendo un ulteriore fattore di asimmetria fra i due rimedi.
199 Sembra opportuno avvertire come in dottrina si sia scritto che la riduzione del
prezzo rientra fra i mezzi di tutela di «dubbia la compatibilità con i contratti plurilaterali» (G.
VILLA, Inadempimento e contratto plurilaterale, Milano, 1999, p. 230). Non sembra, invece,
124
CAPITOLO SECONDO
La fattispecie in discorso ricorre allorché il trasferimento del diritto
di proprietà o di un altro diritto, che costituisce oggetto del contratto di
compravendita, avvenga in favore e/o ad opera di più soggetti i quali agiscano congiuntamente, dando vita ad un’unitaria vicenda traslativa200. I
limiti della presente indagine non consentono, né richiedono, che il concetto di parte plurisoggettiva sia ulteriormente precisato, essendo sufficiente rimarcare come esso si riferisca in sostanza all’ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale abbia come autori e/o come destinatari una pluralità di soggetti, i quali formano un centro unitario di interessi201.
possa essere revocata in dubbio l’applicabilità del mezzo di tutela de quo alle compravendite
in cui venditore e/o compratore siano composti da più soggetti, dovendosi soltanto valutare
quali conseguenze ciò comporti sulle modalità di esercizio e sul modo di operare del rimedio.
Ciò, peraltro, è indirettamente confermato dal fatto che – come si è riferito alla nota precedente – un ordinamento giuridico vicino al nostro dedica al tema un’espressa regolmentazione (cfr. § 441, comma 2 BGB), così attestando l’assenza di ragioni ostative all’esercizio
della tutela estimatoria in caso di vendita con parti plurisoggettive.
200 L’oggetto del contratto di compravendita, pertanto, è determinato con riferimento a
una o più res considerate in maniera unitaria e non scindibile ancorché in comproprietà fra
più soggetti o di proprietà esclusiva di soggetti diversi. Al fine di verificare la ricorrenza della
fattispecie in discorso è necessario che si analizzi il regolamento negoziale al fine di verificare
se l’oggetto del contratto sia stato considerato come un unicum inscindibile, il quale soltanto
nella sua interezza soddisfa l’interesse della controparte, che di norma di obbliga a pagare un
unico corrispettivo complessivo, ovvero quale somma di res eventualmente anche separabili
senza che ciò faccia venir meno l’utilità della prestazione per l’acquirente.
201 In questa sede, pertanto, ci limitiamo a ricordare come l’opinione maggioritaria in
dottrina e in giurisprudenza sia nel senso che l’agire della parte plurisoggettiva si traduca in
una dichiarazione di volontà unitaria, direttamente imputabile alla parte nel suo complesso, e
non già ai singoli membri (così, fra gli altri, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit., p.
142, il quale scrive che «la parte (o centro d’interessi) può essere semplice o complessa, secondo che sia composta di una sola, o di più persone che manifestano la volontà, concorrenti
tutte insieme a costituire l’atto che ne è la risultante»; A. PALAZZO, voce Comunione, in Dig.
disc. priv. - sez. civ., III, Torino, 1988, p. 171; G. OSTI, voce Contratto, in Nov. D., IV, Torino,
1959, p. 473; C. FADDA, Parte generale con speciale riguardo alla teoria del negozio giuridico.
Lezioni raccolte da Gonario Are, Napoli, 1909, p. 280 ss.; N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano, I, Milano, 1910, p. 304; Cass. 14 aprile 1999, n. 239, la quale fa riferimento alla
«volontà negoziale unitaria» dei contraenti; Cass. 7 luglio 1993, n. 7481, ove si legge che «la
promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al
bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che
fanno capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi – salvo che l’unico documento
predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di
scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di
forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all’inadempimento di uno di essi – costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà
negoziale. Ne consegue che, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si
forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare»), ma
non mancano opinioni dissonanti, volte a negare che le dichiarazioni di volontà dei singoli
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
125
Allorché tale fattispecie si verifica, la riduzione del corrispettivo
viene a poter essere esercitata da più soggetti e/o contro più soggetti, ciò
che solleva il problema della scindibilità o meno dell’esercizio del diritto,
in relazione alla possibile coesistenza di interessi diversi in capo a ciascuno di costoro. Invero, anche qualora si riconosca come i soggetti componenti la parte plurisoggettiva siano titolari di un interesse comune al
tempo della conclusione del contratto, sembra d’altro canto non potersi
escludere «che tale comunione d’interessi sia appunto limitata all’attuazione del rapporto medesimo [e] che possa venir meno allorché l’equilibrio degli interessi, dei rischi e delle previsioni inerenti alla vicenda contrattuale venga alterato o rivoluzionato da avvenimenti»202 che legittimano
la caducazione o la modificazione del contenuto del rapporto negoziale.
Pertanto, per quanto attiene alla parte acquirente, non sembra peregrino
immaginare che – soprattutto in relazione alle fattispecie in cui la tutela
estimatoria è alternativa rispetto a quella risolutoria – i singoli soggetti che
la compongono possano giungere a divergenti valutazioni in ordine alla
sorte dello scambio, sicché deve certamente essere rigettata la frettolosa
conclusione che intenda dedurre la necessaria collettività dell’atto di esercizio dell’impugnativa dall’interesse comune all’instaurazione del rapporto203, giacché la rilevanza di tale interesse si esprime e si esaurisce nel
momento stesso in cui il rapporto contrattuale è stato instaurato.
Il tema, pertanto, evoca la necessità di valutare quale considerazione
l’ordinamento conceda a questa possibile eterogeneità degli interessi di
membri della parte complessa diano luogo a un unico atto giuridico (si vedano, ad esempio,
L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, II, Milano, 1948, p. 25; F. CARRESI, Gli atti plurisoggettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, II, p. 1254, secondo il quale «in ogni caso di alienazione della cosa comune, essendo la proprietà un diritto divisibile, si avranno tanti atti,
eventualmente collegati fra loro, quanti sono i condomini, e non già un unico atto con pluralità di soggetti»; S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 60, il quale scrive che «gli atti posti in essere dai membri di una parte complessa integrano la figura che la dottrina definisce come “atto collettivo”, formula la quale
non sta ad indicare un atto giuridicamente unico, bensì una pluralità di atti giuridici distinti
accomunati dal fatto che essi consistono in approvazioni del medesimo testo; un fascio di dichiarazioni parallele, ciascuna delle quali: a) non è indirizzata dall’autore agli autori delle altre, ma soltanto all’altra parte […]; b) è necessaria per produrre effetti nella sfera giuridica
dell’autore (e non per produrre effetti nella sfera giuridica degli altri membri)»). Sul tema
della complessità soggettiva della parte negoziale e sulla distinzione fra contratto plurilaterale
e contratto con parti soggettivamente complesse v. inoltre i cenni contenuti in T. ASCARELLI,
Il contratto plurilaterale, in Saggi giuridici, Milano, 1949, p. 270; G. DE FERRA, Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, Milano, 1967, p. 24; M. DE CRISTOFARO, Sulla contitolarità del
rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 296 ss.; V. CAREDDA, Le obbligazioni ad
attuazione congiunta, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 455 ss.
202 G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, p. 162.
203 Nello stesso senso, G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, cit.,
p. 162 s.
126
CAPITOLO SECONDO
cui sono portatori i compratori che compongono una parte plurisoggettiva qualora costoro non concordino sulla scelta di far valere la quanti
minoris. Non sembra, infatti, possa sussistere alcun dubbio circa il fatto
che la riduzione del prezzo è validamente ed efficacemente esercitata ove
la relativa manifestazione di volontà sia emessa congiuntamente da tutti i
coacquirenti, mentre non è affatto chiaro, almeno prima facie, se sia possibile un esercizio frazionato del mezzo di tutela da parte di alcuni soltanto e, ove lo sia, quali conseguenze si produrrebbero sulle situazioni
giuridiche di cui sono portatori gli altri componenti della parte plurisoggettiva e la controparte alienante.
Con riguardo alle vendite internazionali cui trova applicazione la
Convenzione di Vienna del 1980, in dottrina è stata avanzata la tesi secondo cui ciascun singolo coacquirente potrebbe far valere la riduzione
del corrispettivo nei confronti della controparte, così vincolando tutti gli
altri, in ragione dell’efficacia immediatamente modificativa del rapporto
che connota l’esercizio del rimedio204. In altre parole, ogni componente
della parte plurisoggettiva sarebbe legittimato ad esercitare la riduzione
del corrispettivo per conto di tutti, così disponendo (irreversibilmente)
della sfera giuridica di coloro che siano rimasti inerti. Una simile tesi, peraltro, rieccheggia quella che nella nostra esperienza giuridica è stata argomentata in relazione alla legittimazione all’esercizio individuale delle
azione di adempimento e di risoluzione sulla base delle regole dettate dagli artt. 1292, 1296 e 1319 c.c.205.
204 Cfr.
WILL, sub art. 50, in C.M. BIANCA - M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, cit., p. 374, alla cui tesi presta adesione R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M.
BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 243 s. Gli AA. citati – i quali chiariscono altresì che, per le medesime ragioni, la dichiarazione dell’unico compratore rivolta a uno dei più venditori produrrebbe effetto nei confronti di tutti i covenditori – giustificano la soluzione in ragione dell’immediato
effetto modificativo del contratto attribuito alla dichiarazione di riduzione del prezzo e alle
necessità inerenti alle transazioni commerciali internazionali, «che altrimenti andrebbero incontro ad incertezze e ritardi». La stessa De Nictolis, peraltro, limita la portata dell’affermazione ora riferita alle ipotesi in cui la prestazione sia indivisibile, mentre laddove questa sia divisibile ritiene maggiormente «conforme ad equità» ritenere che il singolo compratore sia abilitato a disporre del rapporto contrattuale limitatamente alla propria quota, dando così luogo
a una riduzione parziale del prezzo.
205 In argomento, v. D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma,
1968, p. 211; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 450 s.; E.
ENRIETTI, Della risoluzione del contratto, in W. D’AVANZO, Delle obbligazioni in generale e dei
contratti in generale, in Comm. D’Amelio - Finzi, Firenze, 1948, p. 804. Contra, G. DE FERRA,
Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, cit., p. 12 ss., il quale contesta la possibilità di
trarre argomenti dall’art. 1296 c.c.; più di recente, G. VILLA, Inadempimento e contratto plurilaterale, cit., p. 166 ss., il quale fa leva sulla regola sancita dall’art. 1453, comma 2 c.c.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
127
Sennonché, l’una e l’altra si espongono a obiezioni di non trascurabile momento. Seguendo le tesi appena riportate, infatti, si perverrebbe
ad ascrivere al singolo la legittimazione all’esercizio del diritto di ridurre il
corrispettivo per conto di tutti, mentre proprio il richiamo alla disciplina
in materia di obbligazioni solidali – e in particolare agli artt. 1300 e 1301
c.c. – pone in luce in maniera evidente «come il singolo […], se può pretendere l’adempimento dell’intera prestazione, non è legittimato a disporre dell’intero credito»206. A ciò si aggiunga che le opinioni cennate finiscono per comprimere in maniera assai pronunciata l’autonomia privata
degli altri componenti della parte acquirente, i quali si vedono definitivamente vincolati agli effetti del mezzo di tutela esercitato – eventualmente
anche a loro insaputa – da uno soltanto207, così portando un grave vulnus
al generale principio di parità di trattamento fra concreditori208.
Poiché, come abbiamo avuto modo di verificare nei paragrafi precedenti, la quanti minoris si sostanzia in una forma di disposizione209 del206 Così, esemplarmente, F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974, p. 285 (il corsivo nel testo è nostro). Contra, come accennato alla nota precedente,
D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni
divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 210 s. e G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., p. 441 ss., il quale ultimo limita il campo di applicazione della
propria tesi alle ipotesi in cui sia indivisibile la prestazione e/o la controprestazione.
207 Scriveva persuasivamente che l’idea di consenire a uno soltanto dei componenti
della parte plurisoggettiva di vincolare gli altri facendo applicazione del principio di priorità
temporale del mezzo di tutela esercitato «ripugna […] a un’elementare esigenza di equità»
già E. BETTI, Risoluzione di affitto solidale per licenza di un solo affittuario?, in Temi emiliana,
1924, I, c. 325.
208 Anche questa obiezione è condivisa da F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente
complessa, cit., p. 285 nota 71. Peraltro, secondo S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, cit., p. 290 ss., la tesi secondo cui la risoluzione per inadempimento,
quale atto di disposizione del rapporto, deve essere domandata da tutti i membri della parte
complessa non potrebbe essere accolta in quanto, in radice, costoro non sarebbero affatto titolari di un unico debito e di un unico credito, ma di un fascio parallelo di rapporti giuridici
direttamente imputabili ai singoli soggetti e non alla “parte plurisoggettiva”.
209 Ai fini che qui interessano, la nozione di atto dispositivo deve essere intesa quale
«atto negoziale di autonomia privata, che ha il valore e il significato di un esercizio della facoltà di disposizione relativa a un diritto o in genere a una determinata posizione soggettiva»,
secondo la nota definizione datane da R. NICOLÒ, sub art. 2901, in ID., Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1953, p. 225
ss. In argomento, cfr. altresì U. NATOLI-L. BIGLIAZZI GERI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (Le azioni surrogatoria e revocatoria), Milano, 1974, p. 70 s.; L. MENGONIF. REALMONTE, voce Disposizione (atto di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189 ss. Nel
senso che la quanti minoris non darebbe luogo a una disposizione del rapporto che fa capo
alla parte acquirente, cfr. peraltro F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa,
cit., p. 294 nota 85, il quale però assume tale posizione partendo dall’inesatta premessa secondo cui il mezzo di tutela in discorso inciderebbe soltanto sul debito relativo al prezzo (e
non, come abbiamo dimostrato nel corso del presente Capitolo, altresì sul contenuto dell’attribuzione patrimoniale dovuta dal venditore).
128
CAPITOLO SECONDO
l’intero rapporto, a mezzo della quale le prestazioni dovute dall’una e dall’altra parte vengono modificate rispetto all’originaria pattuizione, non
sembra possa ammettersi un suo esercizio da parte di uno con effetti vincolanti per tutti. Incidentalmente, peraltro, sembra di poter giungere a
una conclusione di segno opposto con riferimento alla pretesa all’esatto
adempimento, laddove colui che agisce si limita ad esigere, quale componente della parte plurisoggettiva, la rituale esecuzione del programma obbligatorio210: ne consegue che, nell’ipotesi di vendite di beni di consumo e
di vendite internazionali di merci cui trova applicazione la Convenzione
di Vienna, le pretese volte ad ottenere la regolarizzazione della prestazione possono essere efficacemente azionate anche dal singolo coacquirente.
Raggiunta la conferma dell’impraticabilità della via che ascrive a ciascun singolo coacquirente la legittimazione individuale ad esercitare la riduzione del corrispettivo (così come la risoluzione) “per l’intero”, passiamo a sottoporre a scrutinio di ammissibilità la diversa ipotesi relativa
alla possibilità di esercitare la tutela estimatoria pro quota, lasciando intatta la facoltà degli altri coacquirenti di far valere un diverso rimedio. A
tal proposito, non può sfuggire come consentire a ognuno dei soggetti
che compongono la parte acquirente plurisoggettiva di decidere in piena
autonomia quale dei mezzi di tutela offertigli dalla legge far valere – anche eventualmente ricorrendo ciascuno a rimedi diversi – possa dare
luogo a risultati insostenibili, come accadrebbe qualora un coacquirente
esigesse la decurtazione del prezzo e l’altro ottenesse la risoluzione del
contratto211. Non a caso, infatti, anteriormente alla riforma del diritto
delle obbligazioni del 2002, il § 474 BGB aF212 consentiva bensì che –
nell’ipotesi di pluralità di venditori o di compratori – la Minderung fosse
esercitata da ciascuno o contro ciascuno, ma precisava che, una volta che
uno dei coacquirenti avesse domandato la decurtazione del corrispettivo,
la Wandlung doveva ritenersi esclusa per tutti. Tale disposizione, vivacemente criticata in dottrina, attribuiva bensì una legittimazione disgiuntiva all’esercizio pro quota della tutela estimatoria, ma al contempo vi ricollegava una generalizzata efficacia preclusiva della risoluzione, considerata viceversa “indivisibile”. È, peraltro, evidente che una previsione di
210 La pretesa all’esatto adempimento, infatti, non comporta alcuna disposizione del
rapporto, ma costituisce soltanto specificazione del generale «diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione» che l’art. 1292 c.c. attribuisce a ciascun creditore in solido.
211 È, infatti, evidente che un’ipotesi di questo tipo darebbe luogo a notevoli inconvenienti per il venditore: cfr. infra nel testo.
212 § 474 aF BGB: «(1) Sind auf der einen oder der anderen Seite Mehrere betheiligt, so
kann von jedem und gegen jeden Minderung verlangt werden. (2) Mit der Vollziehung der von
einem der Käufer verlangten Minderung ist die Wandelung ausgeschlossen». In argomento, v.
STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 474, 12. Aufl., München, 1978, passim.
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
129
tale tenore finiva per imporre a tutti i coacquirenti la riduzione del corrispettivo, in quanto la scelta in tal senso di uno soltanto interdiceva l’accesso alla risoluzione per tutti gli altri: la regola appariva senz’altro minus
quam perfecta, tant’è che essa è stata radicalmente abbandonata con la
Schuldrechtsmodernisierung.
Riportando l’attenzione sul nostro ordinamento, pertanto, a noi
pare che gli effetti dispositivi insiti nella riduzione del corrispettivo non
siano compatibili con un suo esercizio divisibile, in quanto esso verrebbe
a porre sul venditore le conseguenze del venir meno della convergenza di
interessi degli acquirenti e della diversità di valutazione in ordine al
mezzo di tutela preferito: invero, non sembra corretto ritenere che l’autonomia dei coacquirenti nella scelta del rimedio possa essere spinta sino
a consentire la frustrazione dell’interesse del venditore, il quale potrebbe
venir posto nella situazione di dover sia rimborsare parzialmente il corrispettivo a taluni sia farsi carico degli effetti della parziale risoluzione invocata da altri. Per tale via, infatti, si giungerebbe all’incoerente risultato
di tutelare il possibile diverso interesse dei componenti della parte plurisoggettiva a fronte del manifestarsi del difetto dell’attribuzione patrimoniale scaricandone le conseguenze sulla parte venditrice, la quale di regola non ha, a sua volta, alcun interesse a riacquistare la titolarità della
cosa venduta soltanto in parte213.
L’incoerenza appena messa in luce può essere evitata soltanto a
mezzo dell’individuazione di criteri di prevalenza di un mezzo di tutela
sull’altro ovvero affermando la necessità che l’esercizio della riduzione
del corrispettivo avvenga da parte di tutti i componenti della parte plurisoggettiva.
A nostro avviso, la prima opzione non può trovare accoglimento
non soltanto giacché, ove il criterio in parola fosse identificato nella mera
priorità di esercizio di uno fra i mezzi di tutela da parte di alcuno dei
coacquirenti, si tradurrebbe nella medesima soluzione le cui criticità abbiamo poc’anzi messo in luce, ma altresì in quanto il ricorso a criteri
come quelli dettati dagli artt. 1492, comma 2 c.c.214 o 46, comma 1
CISG215 è escluso già per l’assorbente motivo che essi sono volti a tutelare
il venditore contro possibili mutamenti d’opinione della controparte e
non sembra che tali ragioni di tutela possano essere dilatate sino a pri213 Secondo G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 171 predicare la divisibilità dell’esercizio delle azioni edilizie equivarrebbe a costringere il venditore
a vedersi restituire solo la titolarità di una quota della res vendita, cioè a vedersi imporre uno
stato di contitolarità con i coacquirenti che optino per la sola riduzione del prezzo. Nello
stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 854 nota 166.
214 In argomento cfr. Capitolo 4, par. 1.3.
215 Sul quale v. Capitolo 4, par. 4.2.
130
CAPITOLO SECONDO
vare della facoltà di scelta del rimedio i coacquirenti che abbiano tenuto
un contegno inerte.
Sembra, pertanto, che numerosi indizi depongano nel senso che le
vendite con parti soggettivamente complesse richiedano che la volontà di
esercitare il diritto alla riduzione del corrispettivo debba essere manifestata da parte di tutti i coacquirenti216. Non è, peraltro, affatto necessario
che tale manifestazione abbia luogo contemporaneamente da parte di
tutti i compratori o nei confronti di tutti i venditori, né che sia contenuta
in un’unica dichiarazione, ma – traducendosi in un atto complesso eguale
– la produzione degli effetti della riduzione avverrà soltanto allorché (ai
sensi dell’art. 1334 c.c.217) l’ultima manifestazione di volontà giunga «a
conoscenza» della parte venditrice218.
L’inammissibilità della legittimazione disgiuntiva all’esercizio della
riduzione del corrispettivo trova, d’altra parte, un argomento ulteriore
nella natura di diritto potestativo che crediamo caratterizzi il mezzo di
tutela in discorso, giacché comunemente si ritiene che l’atto di esercizio
di diritti potestativi sia indivisibile. In questo senso, non a caso, si
esprime l’unanime dottrina germanica in relazione al § 441 nF BGB219, il
quale dispone che «sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des
216 In questo senso, nella nostra dottrina, si esprime D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 854, il quale scrive che «se vi sono più compratori congiuntamente, o più eredi di un unico compratore, la scelta fra redibitoria e quanti minoris è indivisibile: non potrebbe qualcuno far valere la prima e qualche altro la seconda; ciò anche se la
cosa, acquistata in comune, sia stata poi materialmente divisa fra i vari compratori prima dell’esercizio della garanzia». Della stessa opinione è G. GORLA, La compravendita e la permuta,
in Tratt. Vassalli, cit., p. 171. È, peraltro, meritevole di segnalazione il fatto che lo stesso
Rubino altrove (D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 211) ammetta, in
generale, l’esercizio individuale dell’azione di risoluzione dell’intero contratto. Nel senso che
«ciascun componente la parte complessa sia legittimato a proporre l’azione redibitoria o a
chiedere la riduzione del prezzo» si pronuncia anche G. DE FERRA, Sulla contitolarità del
rapporto obbligatorio, cit., p. 126.
217 Nel caso di vendite di merci cui trova applicazione la Convenzione di Vienna del
1980, il termine di rilevanza della dichiarazione è segnato dall’art. 27 CISG, che opta per il
principio della trasmissione. Cfr. amplius Capitolo 4, par. 4.2 e bibliografia ivi citata.
218 Da questo detto consegue linearmente che la manifestazione di volontà di uno soltanto dei compratori non è idonea a interrompere il corso della prescrizione, sicché, ove
l’ultima dichiarazione pervenga a conoscenza del venditore posteriormente al compiersi della
prescrizione, questa si compirà riguardo a tutti. Sembra, invece, che la denunzia del difetto
– ove necessaria – possa essere efficacemente posta in essere da ciascuno dei coacquirenti,
con effetti per tutti.
219 In proposito cfr. altresì BT-Drucks 14/6040, p. 235: «Auf Grund der Ausgestaltung
der Minderung als Gestaltungsrecht kann die Vorschrift des bisherigen § 474 nicht beibehalten
werden. Vielmehr ist – wie in § 351 RE (bisher § 356) für den Rücktritt – eine Unteilbarkeit
der Minderung vorzusehen. Bei der Beteiligung Mehrerer soll die Minderung deshalb nicht auf
Einzelne beschränkt werden; sie kann nur einheitlich erklärt werden».
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
131
Verkäufers mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder
gegen alle erklärt werden»220.
Argomenti in senso contrario, a nostro avviso, non sono deducibili
dall’art. 1507 c.c. che, in ipotesi di vendita congiuntiva di una cosa indivisa cui acceda un patto di riscatto, consente a ciascun covenditore di
esercitare «il diritto di riscatto sopra la quota che [gli] spettava» e attribuisce al compratore il diritto di rifiutare il riscatto parziale. Parte della
dottrina ha ritenuto di dedurre da tale disposizione che «la parte complessa non può essere considerata, nei rapporti esterni, come un unum e
che, pertanto, si debba ammettere non solo la possibilità di impugnare
l’intero contratto da parte di tutti i partecipanti, ma altresì riconoscere a
ciascuno di essi il potere di impugnare il contratto viziato per quanto concerne la sua quota, senza e pure contro il parere degli altri partecipanti»221. Invero, da tempo la più attenta dottrina ha messo in luce come
il c.d. potere di riscatto convenzionale non si traduca affatto – contrariamente alla risoluzione e alla riduzione del corrispettivo – in un atto dispositivo (avente effetti modificativi o estintivi) del diritto comune ai più
covenditori222, ma si sostanzi in un diritto potestativo di “riappropriazione” del diritto alienato223 il quale, «pur trovando il suo presupposto
nell’atto di vendita […], deve essere considerato autonomamente»224.
Proprio per questo motivo la legge ascrive ai covenditori non un unico diritto di riscatto da esercitarsi in via congiuntiva per la totalità della cosa,
ma tanti distinti diritti quanti sono i componenti la parte alienante225, con220 La dottrina tedesca riconduce alla natura giuridica di diritto potestativo – attribuita
alla Minderung dalla riforma dello Schuldrecht del 2002 – la previsione dell’indivisibilità attiva
e passiva dell’esercizio del rimedio sancita dal citato § 441, comma 2, nF BGB. Cfr., per tutti,
A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, in Staudingers Kommentar zum BGB, cit., Rn. 6, la quale
precisa altresì che non rileva, ai fini della disposizione de quibus, la divisibilità o meno dell’oggetto della vendita, e MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441, cit., Rn. 6, il
quale scrive che «die Beteiligung mehrerer Personen auf Verkäuferseite ist unter dem Gesichtspunkt der Minderung als Gestaltungsakt in erster Linie vom Prinzip der Einheitlichkeit der
Gestaltungswirkung geprägt».
221 Il virgolettato è tratto da G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, p. 170 s. (corsivi originali).
222 Vigoroso avversario della tesi in discorso è F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 282, nota 63, il quale appunto mette in risalto le profonde differenze
correnti fra gli atti dispositivi del rapporto con parti plurisoggettive e l’ipotesi regolata dall’art. 1507 c.c., dalla quale, pertanto, ritiene impossibile trarre indicazioni utili per ricostruire
la disciplina dei primi.
223 In questo senso v. A. LUMINOSO, sub art. 1500, in ID., La vendita con riscatto, in
Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 95 ss., 106 ss. e 172 ss.
224 Così, esattamente, U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle
lezioni, III, Milano, 1963, p. 72 s.
225 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1507, in ID., La vendita con riscatto, in Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 448.
132
CAPITOLO SECONDO
temperando l’interesse di costoro e quello dell’acquirente a non vedersi
convertire l’oggetto dell’acquisto dall’intera res a una quota soltanto concedendo a quest’ultimo il potere di rifiutare riscatto parziale226.
Piuttosto, un’ulteriore conferma della correttezza della conclusione
cui siamo giunti poc’anzi in ordine alla necessità dell’esercizio collettivo
degli atti che (come quelli diretti a provocare la riduzione del prezzo o la
risoluzione del contratto) sono volti a disporre degli effetti del negozio
può ritrovarsi – come suggerito da una nota ricerca227 – negli artt. 1726 e
1772 c.c., in forza dei quali rispettivamente è dichiarata priva di effetto la
revoca del mandato che non provenga da tutti i mandanti ed è devoluta
all’autorità giudiziaria la decisione in ordine alle modalità di restituzione
della cosa depositata qualora i più depositanti non raggiungano un accordo sul punto. Poiché la revoca del mandato e la richiesta di restituzione delle cose date in deposito si atteggiano quali atti di recesso228, le
cennate disposizioni possono essere considerate espressione di un generale principio di necessaria collettività degli atti di disposizione dei rapporti contrattuali facenti capo a parti plurisoggettive229.
L’indivisibilità della riduzione del corrispettivo si riflette, com’è ovvio, sul profilo relativo alla titolarità del rimedio. Infatti, in ragione della
legittimazione congiuntiva che lo caratterizza, l’accesso alla tutela estima226 In tal senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 1070;
A. LUMINOSO, sub art. 1500, in ID., La vendita con riscatto, in Comm. Schlesinger, cit., p. 449 s.
227 F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 221 ss.
228 In relazione alla revoca del mandato, la natura di recesso unilaterale è affermata, fra
gli altri, da R. CALVO, Il mandato, in P. SIRENA, I contratti di collaborazione, in Tratt. contratti
Rescigno - Gabrielli, Torino, 2011, p. 246; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in
Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1984, p. 453 s.; M. GRAZIADEI, voce Mandato, in Dig. disc. priv.
- sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 180; G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione,
in Tratt. Vassalli, Torino, 1952, p. 182 s.; in giurisprudenza, cfr. Cass. 11 agosto 2000, n.
10739; sulla richiesta di restituzione delle cose depositate cfr. A. DE MARTINI, voce Deposito
(diritto civile), in Nov. D., V, Torino, 1960, p. 515; F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 222.
229 In tal senso si esprime F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit.,
p. 223, il quale scrive: «Posto, dunque, che le norme in esame riguardino altrettante ipotesi
di recesso, è agevole constatare come il problema a cui dà luogo la sussistenza di una pluralità di mandanti ovvero di deponenti venga risolto in modo, per così dire, parallelo. Dette
norme prevedono, cioè, una soluzione generale uniforme, che consiste in un esercizio collettivo del recesso». Tale soluzione generale si giustifica quale riflesso del carattere strutturale
del rapporto. Lo stesso Busnelli precisa altresì che la possibiità di revoca individuale del mandato nelle ipotesi di giusta causa e la competenza dell’autorità giudiziaria per il caso di mancato accordo fra i depositanti costituiscono “soluzioni sussidiarie” la cui giustificazione riposa
in «certi caratteri peculiari dei rapporti in questione: nel mandato, è la natura fiduciaria […]
ad esigere una particolare tutela del singolo co-mandante che abbia perduto, per “giusta
causa”, la fiducia nel mandatario, anche se a costui non sia venuta meno quella degli altri; per
il deposito a tempo indeterminato, occorre impedire che il mancato accordo dei co-deponenti
rischi di protrarre all’infinito la durata del rapporto».
LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
133
toria è possibile soltanto qualora le condizioni per il suo esercizio si verifichino per tutti i componenti della parte acquirente plurisoggettiva: pertanto, allorché la possibilità di esperire il rimedio si verifichi per uno soltanto dei coacquirenti ovvero venga meno anche per uno soltanto di essi
(ad esempio, in quanto uno o più di costoro vi abbia rinunziato) la possibilità di avvalersi della riduzione del prezzo – e, allo stesso modo, della
risoluzione del contratto – deve ritenersi preclusa riguardo a tutti230.
A seguito dell’esercizio congiuntivo della riduzione del corrispettivo,
qualora il prezzo sia già stato pagato in misura superiore all’ammontare risultante dalla decurtazione, sorge in capo alla parte venditrice un obbligo
restitutorio231 che, in applicazione dei principi generali ricavabili dall’art.
1294 c.c., ha natura parziaria dal lato attivo232 e solidale dal lato passivo233,
sicché ciascun coacquirente può pretendere soltanto il pagamento della
quota parte della riduzione corrispondente alla frazione di prezzo da lui
originariamente pagata, mentre – qualora anche la parte venditrice sia
composta da più soggetti, i quali congiuntamente abbiano operato l’attribuzione patrimoniale oggetto della vendita – ogni covenditore è tenuto a
corrispondere l’intera somma risultante dalla riduzione, in quanto l’impegno traslativo è stato assunto dalla parte in maniera unitaria.
A quest’ultimo proposito, posta la generale regola della solidarietà
dal lato passivo, la quale solitamente porta con sé il diritto di regresso nei
confronti dei condebitori, non è però senza importanza valutare se il difetto dell’attribuzione patrimoniale concretamente fatto valere dalla
parte acquirente sia causalmente ricollegabile a tutti i componenti della
parte venditrice ovvero a uno soltanto fra essi: non sembra, invero, che
possano essere parificate le diverse ipotesi in cui, ad esempio, la res vendita riveli un difetto materiale che la investa nel suo complesso – e in cui,
perciò, il difetto sia causalmente imputabile a tutti – e quella in cui la
parziale alienità della cosa sia dovuta al fatto che uno soltanto dei più co230 Una regola di tenore assimilabile vige nell’ordinamento tedesco con riferimento al
Rücktritt, in relazione al quale il § 351 BGB prevede espressamente: «erlischt das Rücktrittsrecht für einen der Berechtigen, so erlischt es auch für die übrigen». Nel senso che, nonostante
l’assenza di un’espressa disposizione in tal senso, altrettanto valga per la Minderung, trattandosi nell’uno e nell’altro caso di dichiarazioni di esercizio di diritti potestativi, v. MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441, cit., Rn. 6.
231 In argomento, v. Capitolo 3, par. 8.
232 Ne consegue che, come anticipato poc’anzi, gli atti interruttivi della prescrizione
eventualmente posti in essere da uno dei coacquirenti non giovano agli altri, non trovando
applicazione la regola di cui all’art. 1310 c.c.: cfr., infatti, Cass. 30 novembre 1962, n. 3239,
la quale afferma che il credito alla restituzione della parte di prezzo pagata in eccedenza «si
divide fra i più compratori della cosa».
233 Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 855.
134
CAPITOLO SECONDO
venditori era parzialmente proprietario (ovvero aveva costituito una servitù) del diritto trasferito.
Con riferimento a tali ipotesi, sembra corretto ritenere che, ferma la
solidarietà fra i componenti la parte venditrice nei confronti dei coacquirenti, l’imputabilità del difetto a uno soltanto possa risolversi nei rapporti
interni fra i condebitori solidali, in applicazione analogica del criterio di
ripartizione in ragione dell’incidenza della responsabilità di ciascuno
nella produzione del difetto dell’attribuzione patrimoniale234, sicché qualora tale difformità sia riconducibile in toto a uno soltanto dei covenditori, colui che abbia pagato l’intero potrà esercitare il regresso per l’intero ammontare della riduzione del corrispettivo nei confronti di costui.
Non sembra, infatti, che la riconducibilità del difetto all’“apporto”
di uno soltanto dei covenditori consenta di porre in secondo piano il
fatto che la parte alienante è una soltanto, così che la stessa responsabilità per vizi è ad essa direttamente riferibile235. Ne consegue che, laddove
il difetto dell’attribuzione patrimoniale sia riconducibile alla prestazione
traslativa di uno fra più covenditori, la riduzione del corrispettivo deve
essere esercitata esercitata nei confronti di tutti236, i quali assumeranno in
via solidale l’obbligazione restitutoria avente ad oggetto la parte di
prezzo pagata in più, ma il peso economico della stessa ricadrà interamente su colui alla cui prestazione sia riconducibile il vizio.
234 Il criterio in discorso è positivamente sancito dall’art. 2055 c.c. che, da un canto, dichiara la solidarietà fra coloro cui è imputabile il fatto dannoso e, dall’altro, consente il regresso «nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate». Tale disposizione è dettata in relazione all’ipotesi di illecito
aquiliano e trova applicazione allorché si verifichi «un unico evento dannoso» conseguente
alla condotta (anche indipendente) di più soggetti (cfr. F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974, p. 143 s.). Essa è, però, ritenuta espressiva di un più ampio
principio in forza del quale «se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine
di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi
che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento […], che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a
produrlo» (Cass. 9 novembre 2006, n. 23918 e Cass. 15 giugno 1999, n. 5946). Peraltro, nell’ipotesi trattata nel testo, il principio in parola è invocabile soltanto in via analogica giacché
la fattispecie fondante la responsabilità è imputabile non già a più autonomi centri d’interesse, ma a uno solo, composto di più soggetti, come accade nell’ipotesi di cui all’art. 1298
c.c., ove però si suppone che la fonte dell’obbligo abbia natura volontaria, come dimostra il
fatto che l’eccezione alla divisione fra tutti i diversi debitori è individuata nel fatto che l’obbligazione «sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi».
235 Nel medesimo senso, peraltro, militano anche considerazioni meramente pratiche,
giacché sarebbe senz’altro irragionevole pretendere che, al manifestarsi di un difetto, il compratore proceda alla valutazione della riconducibilità dello stesso al contributo dell’uno o dell’altro covenditore alla complessiva attribuzione patrimoniale operata a mezzo del contratto
di vendita.
236 Anche in questo caso, nello stesso senso depone il § 441 nF BGB, a mente del quale
l’estimatoria va esercitata nei confronti di tutti i componenti la parte plurisoggettiva.
CAPITOLO TERZO
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO
E LE CONSEGUENZE DERIVANTI DALL’ESERCIZIO
DEL RELATIVO DIRITTO
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del
prezzo. – 2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione. – 2.2. I metodi di calcolo “assoluti”. – 2.3. I metodi di calcolo “relativi”
o “proporzionali”. – 2.4. La riduzione del prezzo secondo equità. – 3. La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini
in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali”. –
4. L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della quantificazione della riduzione del corrispettivo. – 5. Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi anche a causa di un comportamento colposo del compratore. – 5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore. – 6. Riduzione
del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale. – 7. La riduzione del
corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato. – 7.1. L’eccezione di inadempimento. – 7.2. La clausola solve et repete. – 7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto all’importo del prezzo risultante dalla riduzione. – 8. La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato
in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione. – 9. Gli obblighi restitutori aggiuntivi.
1.
Premessa
Uno dei più evidenti segni della scarsa attenzione riservata dalla dottrina all’istituto cui è dedicato il presente lavoro, nonché dell’ancora circoscritta applicazione pratica del medesimo, è senz’altro costituito dal
mancato approfondimento delle problematiche sottese all’individuazione
del quantum di corrispettivo da ridurre1 in conseguenza della difettosità
della prestazione traslativa del venditore, segnatamente con riferimento al
1 La «scarsa attenzione della dottrina» per il profilo della quantificazione della riduzione
è messa in risalto anche da A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 253, il quale
nota come l’insufficiente considerazione di questo profilo possa riscontrarsi «anche nelle trattazioni dedicate all’impossibilità sopravvenuta, di cui la riduzione è elemento essenziale e caratteristico, [forse a causa dell’erroneo convincimento] che si tratti di un problema legato alla
casistica e risolubile secondo criteri pratici connessi al mercato ed al singolo contratto».
136
CAPITOLO TERZO
metodo di calcolo cui tale individuazione deve essere ancorata, alla rilevanza delle modalità di determinazione del valore del bene, al momento
temporale da considerare a questi fini e alle ulteriori variabili che possono
influenzare l’esatta quantificazione della somma oggetto di riduzione.
Proprio questi aspetti, invece, avrebbero dovuto sollecitare la riflessione degli interpreti, giacché su di essi il dettato normativo vigente nel
nostro ordinamento (e, invero, in molti ordinamenti europei2) è – come
già si è ricordato nell’Introduzione – pressoché silente: «adeguata» o
«congrua»3 deve essere, secondo l’art. 3 della dir. 1999/44/CE4 e l’art.
130 c.cons., la riduzione del prezzo spettante al consumatore cui sia stata
consegnata una cosa rivelatasi non conforme al contratto di vendita; ad
una riduzione del prezzo tout court, poi, fa riferimento il nostro codice
civile5, senza fornire al riguardo indicazione alcuna circa le modalità at2 Come si dirà amplius nel prosieguo del presente Capitolo, i codici francese (art. 1644
c.c.f., nel testo vigente sino al 18 febbraio 2015) e spagnolo (art. 1486 c.c.s.) prevedono che
il quantum della diminuzione del prezzo debba essere determinato da parte di “esperti” o
“periti”, senza fornire indicazioni in ordine alle regole cui costoro debbono attenersi nello
svolgimento del relativo incarico.
Da tale quadro di scarsa determinatezza delle regole che presiedono a questo aspetto
della riduzione del prezzo si distacca l’ordinamento tedesco, giacché sia il § 472 aF BGB sia
l’attuale § 441 nF BGB hanno provveduto a dettare un’esauriente disciplina, imperniata sul
c.d. metodo relativo. In argomento si veda infra nel testo.
3 Secondo le versioni in lingua inglese e tedesca, il consumatore ha diritto a una
«appropriate reduction of price» ovvero a una «angemessene Minderung». Parimenti, i testi
francese, spagnolo e portoghese fanno riferimento rispettivamente a «une réduction adéquate
du prix», a «una reducción adecuada del precio» e a «uma redução adequada do preço».
Sembra, pertanto, possibile concludere che il legislatore europeo, contrariamente alla
LUVI e alla CISG, non abbia esplicitamente dettato un vero e proprio metodo di calcolo della
riduzione del corrispettivo, limitandosi ad evocare la necessità che la medesima sia “adeguata” rispetto al difetto di conformità esistente, tanto che si è ritenuto (così A. FERRANTE, La
Reducción del Precio en la Compraventa, Cizur Menor, 2012, p. 136) che «la Directiva sobre
bienes de consumo […] no ofrece criterios sobre cómo operar la reducción del precio». Peraltro,
come si avrà modo di chiarire nel prosieguo del presente Capitolo, se può convenirsi circa il
fatto che la direttiva non contenga la formulazione di una precisa metodologia di computo
della diminuzione del corrispettivo, il riferimento espresso alla necessità che questa sia connotata dal requisito dell’«adeguatezza», unito alla considerazione della finalità del rimedio,
consente di pervenire comunque alla sua individuazione.
4 Nella propria opera di trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno, anche
sotto questo aspetto, il legislatore italiano è stato fedele al più rigoroso copy-out, addirittura
riproducendo la duplice qualificazione che compare nella versione in lingua italiana del testo
comunitario (commi 2 e 5 dell’art. 3 della dir. 1999/44/CE), puntualmente ripetuta nei
commi 2 e 7 dell’art. 130 c.cons., ove dapprima si fa riferimento alla «adeguatezza» della riduzione, per poi virare sulla caratterizzazione nel senso della sua «congruità». Non sembra
che ciò abbia alcuna conseguenza sul tema che ci occupa, rimanendo quale mera testimonianza della scarsa cura riposta nell’opera di recepimento dal nostro legislatore.
5 Si vedano infatti gli artt. 1480 c.c. («Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà
del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
137
traverso cui questa dovrebbe avvenire ovvero i parametri ai quali dovrebbe essere ancorata. Soltanto la disciplina di diritto uniforme indivdua, all’art. 50 CISG, una precisa metodologia di computo.
Nelle pagine che seguono, pertanto, si tenterà di dare un contributo
alla riflessione sul tema, delineando, anche attraverso l’impiego di raffronti comparatistici e il riferimento all’esegesi e all’applicazione di testi
normativi riguardo ai quali esiste una significativa riflessione (quali, in
particolare, il BGB, il SoGA 1979, la LUVI e la CISG), i possibili modelli
di calcolo della diminuzione del corrispettivo e individuando quello preferibile, in ragione della natura e della funzione del rimedio, identificate
nel Capitolo precedente.
2.
I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del prezzo
L’osservazione delle esperienze giuridiche dei Paesi europei e dei testi di diritto sovranazionale consegna all’interprete un caleidoscopio di
soluzioni diverse in merito alla metodologia di calcolo della riduzione del
prezzo derivante da vizi materiali o giuridici del bene compravenduto.
Già Ernst Rabel, nella sua opera dedicata alla compravendita, era
giunto alla conclusione che almeno tre modelli di diminuzione del corrispettivo potessero dirsi storicamente affermati6, ma assai più esteso è il
novero di possibili soluzioni alternative, le quali possono ulteriormente articolarsi in ragione del tempo e del luogo assunti quali punti di riferimento per il calcolo. Sembra, pertanto, opportuno passare in rassegna
tutte le metodologie di determinazione dell’adattamento del prezzo astrattamente configurabili, al fine di verificare quale (o quali) di esse conducano alla realizzazione del riequilibrio sinallagmatico del contratto alteradel contratto e il risarcimento del danno a norma dell’articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non
è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno»), 1489 c.c. («Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel
contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione
del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480») e 1492
c.c. («Nei casi indicati dall’art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione
del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano
la risoluzione»).
6 Cfr. E. RABEL, Das Recht des Warenkaufs, II, Berlin-Tübingen, 1958, p. 232, secondo
il quale due di questi sarebbero riconducibili al c.d. metodo assoluto e uno al c.d. metodo relativo. Il primo tipo di metodo assoluto consiste nella riduzione del prezzo nella misura corrispondente alla differenza fra valore ipotetico e valore reale del bene in conseguenza dei vizi;
il secondo, invece, decurta il corrispettivo pattuito sino a raggiungere l’importo del valore
reale del bene. Il metodo relativo, infine, comporta la riduzione del prezzo in misura proporzionale al rapporto fra valore vero del bene e valore di questo in assenza di difetti.
138
CAPITOLO TERZO
tosi in ragione della difettosa attuazione della prestazione del venditore,
che abbiamo visto essere la funzione propria dell’azione estimatoria7.
In primo luogo, l’incidenza della riduzione sul prezzo originario può
essere desunta dalle spese e dai costi che il compratore ha sopportato o
dovrà sopportare per la regolarizzazione (qualitativa o quantitativa) della
prestazione difettosa eseguita dal venditore (metodo A)8.
In secondo luogo, è possibile determinare l’ammontare della diminuzione del prezzo sottraendo al valore obiettivo al tempo della consegna del bene esente da vizi quello effettivo del bene non conforme (metodo B), come prescritto dalla Section 53 (3) del SoGA 19799, laddove
però la formula di calcolo è applicata al fine della determinazione della
misura del risarcimento del danno, giacché il diritto inglese non conosce
– salvo per quanto attiene ai provvedimenti di recepimento della direttiva 1999/44/CE10 – l’azione quanti minoris.
Qualora si dia rilevanza non al tempo della consegna, ma a quello
della conclusione del contratto, si darebbe luogo a una diversa specie di
metodo “assoluto” (che chiameremo metodo C), nel quale la riduzione
del corrispettivo è data dalla differenza fra tale valore teorico iniziale e il
reale valore dei beni trasferiti.
7 In proposito, si rinvia a quanto esposto
8 L’applicazione di questo criterio – che,
nel Capitolo 2.
come si avrà modo di illustrare infra, è assai
diffuso nella giurisprudenza spagnola – si sta facendo strada in numerose pronunce della nostra magistratura quale, ad esempio, Trib. Torino 6 marzo 2009, n. 1778, in Resp. civ. UTET,
2010, p. 491 s. (con nota di R. OMODEI SALÉ, Responsabilità del venditore per difetto di conformità e tutela del medesimo in seguito all’esercizio dei rimedi spettanti al consumatore, ivi, p.
493 ss.), riguardante una controversia fra un professionista e un consumatore, decisa con la
riduzione del prezzo dell’automezzo oggetto di causa in misura pari al costo delle opere necessarie per eliminare i difetti di conformità in esso riscontrati. Interrelazioni fra riduzione
del corrispettivo e spese necessarie al ripristino del bene viziato sembrano ravvisabili anche,
da ultimo, in Cass. 8 luglio 2014, n. 15563, resa in tema di appalto.
9 Il testo della Section 53 del SoGA 1979 è il seguente: «Remedy for breach of warranty.
(1) Where there is a breach of warranty by the seller, or where the buyer elects (or is compelled)
to treat any breach of a condition on the part of the seller as a breach of warranty, the buyer is
not by reason only of such breach of warranty entitled to reject the goods; but he may: (a) set up
against the seller the breach of warranty in diminution or extinction of the price, or (b) maintain an action against the seller for damages for the breach of warranty. (2) The measure of
damages for breach of warranty is the estimated loss directly and naturally resulting, in the
ordinary course of events, from the breach of warranty. (3) In the case of breach of warranty of
quality such loss is prima facie the difference between the value of the goods at the time of
delivery to the buyer and the value they would have had if they had fulfilled the warranty.
(4) The fact that the buyer has set up the breach of warranty in diminution or extinction of the
price does not prevent him from maintaining an action for the same breach of warranty if he has
suffered further damage. This section does non apply to a contract to which Chapter 2 of Part 1
of the Consumer Rights Act 2015 applies».
10 Cfr. la Section 48C SoGA, di attuazione della dir. 1999/44/CE nell’ordinamento
britannico e, oggi, la Section 24 del Consumer Rights Act 2015.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
139
Poiché il rimedio de quo è naturalmente finalizzato a ricreare quell’equilibrio fra le prestazioni del venditore e del consumatore che è stato
perturbato dalla presenza del difetto, il quale ha reso non più “adeguato”
il prezzo inizialmente convenuto, potrebbe altresì essere affacciata l’ipotesi di calcolo (metodo D) della diminuzione del corrispettivo articolata
nella sottrazione del valore dei beni non conformi dal prezzo iniziale pattuito fra le parti11.
Peraltro, le formule di calcolo accolte a livello legislativo nei pochi
provvedimenti che hanno affrontato tale fondamentale aspetto sono di
tipo proporzionale, e non assoluto, stabilendosi nell’art. 50 CISG che «il
compratore può ridurre il prezzo proporzionalmente alla differenza tra il
valore che i beni effettivamente consegnati avevano al momento della
consegna ed il valore che beni conformi avrebbero avuto in tale momento» (metodo E) mentre nel precedente art. 46 LUVI si statuiva che
«l’acquirente può ridurre il prezzo in proporzione al valore che la cosa
possedeva al momento della conclusione del contratto e a quello che essa
possiede a causa della mancanza di conformità» (metodo F).
Applicando sempre una metodologia proporzionale è, inoltre, possibile immaginare che la riduzione del corrispettivo che il compratore è
chiamato a corrispondere al venditore il quale abbia alienato beni non
conformi sia calcolata in ragione dell’incidenza percentuale della perdita
di valore dei beni trasferiti sul prezzo pattuito (metodo G).
Infine, è astrattamente possibile che l’abbattimento del prezzo dovuto venga rimesso a una valutazione equitativa del giudice (metodo H),
così come si prevede all’art. 1226 c.c. per la liquidazione del danno allorché non sia possibile provarne l’esatto ammontare.
Non costituisce, invece, un metodo di determinazione del quantum
della diminuzione del corrispettivo la rimessione del medesimo al giudizio di periti o esperti, come si prevede nel codice civile spagnolo (art.
1486 c.c.s.) e come prevedeva l’art. 1644 del Code Napoléon fino alla recentissima riformulazione, avvenuta con legge n. 2015-177 del 16 febbraio 2015, giacché tale rinvio non risolve il problema della modalità di
computo da adottare12, tali soggetti dovendo a loro volta ricorrere a un
11 Una simile operazione, va ricordato, non è sconosciuta all’esperienza storica in
quanto era prescritta nelle fonti romane riferentisi all’azione estimatoria originariamente concessa dagli edili curuli: si vedano, infatti, D. 21, 1, 31, 16 e D. 21, 2, 32, 1. Sul punto si rinvia
alla trattazione contenuta nel Capitolo 1, par. 2, nonché a H. HONSELL, Quod interest im
Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München, 1969, p. 73 ss. e
86 ss. e U. VON LÜBTOW, Zur Frage der Sachmängelhaftung im römischen Recht, in Studi in
onore di Ugo Enrico Paoli, Firenze, 1956, p. 494.
12 Invero, il codice spagnolo prevede sì il deferimento delle operazioni di determinazione a un “perito”, ma statuisce anche che tale determinazione deve realizzare una diminu-
140
CAPITOLO TERZO
formula di calcolo che sorregga e consenta di giustificare giuridicamente
e tecnicamente il loro responso.
2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione
Poiché la riduzione del prezzo costituisce un mezzo di tutela posto
nella disponibilità del compratore quale strumento di reazione alla scorretta esecuzione del contratto di compravendita, non sembra peregrino
immaginare che essa possa essere calcolata facendo riferimento alla
somma di denaro necessaria al fine di ottenere la regolarizzazione della
prestazione. Ciò, in particolare, qualora il bene oggetto del contratto riveli
la presenza di vizi qualitativi – da intendersi tanto come vizi in senso
stretto ex art. 1490 c.c., quanto come mancanze di qualità ai sensi dell’art.
1497 c.c. e come difetti di conformità nella nozione accolta dalla direttiva
1999/44/CE e dalla CISG – dovrebbe avvenire attraverso la diminuzione
del prezzo pattuito nella misura necessaria al fine di riparare la res, mentre nell’ipotesi in cui il difetto abbia natura quantitativa la riduzione del
corrispettivo dovrebbe essere operata nella quantità corrispondente alla
somma di denaro che il compratore dovrà impiegare onde ottenere sul
mercato l’acquisto della quantità di beni mancante. Qualora, infine, l’irregolarità dell’esecuzione del contratto sia relativa alle caratteristiche giuridiche dell’oggetto dello stesso, il quale si sia rivelato parzialmente altrui
(art. 1480 c.c.), sia stato oggetto di evizione parimenti parziale (art. 1483
c.c.) ovvero sia gravato da oneri o diritti di godimento di terzi (art. 1489
c.c.), la riduzione del prezzo dovrà garantire al compratore la decurtazione del prezzo pattuito in ragione della somma necessaria al fine di consentire l’acquisto dal terzo della “parte di diritto non trasferita” ovvero
allo scopo di evitare l’evizione parziale o di eliminare gli oneri e i diritti di
godimento gravanti sulla cosa.
Un simile modo di intendere la riduzione del corrispettivo non soltanto è astrattamente configurabile, ma a ben vedere ha trovato più di un
riscontro nell’applicazione pratica, particolarmente con riferimento alla
disciplina dei difetti qualitativi.
Se la giurisprudenza di legittimità ha per lungo tempo tenuto ben
distinte riduzione del corrispettivo, da un lato, e somme necessarie alla
zione “proporzionale” del prezzo. Pertanto, da un canto, si conferma come la rimessione ad
esperti non costituisca un criterio autonomo e, dall’altro, il legislatore spagnolo specifica un
parametro di riferimento ulteriore rispetto al puro riferimento alla “riduzione” operato da
quelli francese e italiano.
Sulla vincolatività o meno della determinazione operata dai consulenti tecnici negli
ordinamenti francese e, soprattutto, spagnolo cfr. A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la
Compraventa, cit., p. 166 ss.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
141
regolarizzazione della prestazione, dall’altro13, una sempre più frequente
parametrazione della prima sulla base dell’importo delle seconde si è
fatta strada in quella di merito.
Esemplare in tal senso è la decisione resa dal Tribunale di Torino il
6 marzo 200914 con riferimento ad una fattispecie in cui l’acquirente di
un’automezzo, dopo aver riscontrato nel medesimo numerosi difetti, ne
aveva più volte richiesto senza esito al venditore l’eliminazione, per poi
ripiegare sulla richiesta giudiziale di riduzione del prezzo pagato. Tale
domanda è stata accolta dal giudice, il quale ha provveduto alla sua determinazione riconoscendo al compratore una somma esattamente pari a
quella che il c.t.u. aveva stimato necessaria onde rimuovere i vizi del
bene. Di tenore pressoché identico è una sentenza del Tribunale di Firenze del 1° ottobre 2014, la quale, sempre in relazione alla vendita di un
autoveicolo affetto da vizi, ha riconosciuto la riduzione del corrispettivo
in favore dell’acquirente nella misura di euro 1760,80 oltre IVA, pari all’importo delle spese da affrontare per la loro eliminazione15.
Similmente, il Tribunale di Cassino16, nel decidere una controversia
relativa all’acquisto di un appartamento caratterizzato da numerose
difformità rispetto al capitolato di costruzione e da difetti di progettazione e realizzazione non sanati neppure dai tentativi di riparazione operati dall’impresa costruttrice, pur affermando di procedere alla determinazione del quantum di corrispettivo da ridurre in maniera equitativa, ne
determinava l’ammontare in una somma pari a tre volte quella indicata
dal consulente tecnico come sufficiente per effettuare le operazioni di ripristino, giustificando la propria decisione sulla base della considerazione per cui «gli interventi praticati e quelli praticabili non sono comunque idonei a risolvere in modo definitivo i difetti dell’immobile, che
dunque continuerà ad offrire una vivibilità limitata». Le spese di regolarizzazione della prestazione del venditore determinate in sede di consulenza tecnica sono pure poste a base della riduzione del corrispettivo accordata ex art. 1492 c.c., nuovamente dal Tribunale fiorentino17, in rela13 Esemplare, in tale senso, seppur resa con riferimento all’azione estimatoria esercitata
dal committente di un contratto di appalto è Cass. 14 marzo 1978, n. 1276, la cui massima
espressamente sancisce che «la riduzione del prezzo dell’appalto per difformità o vizi della
opera deve effettuarsi sottraendo dal prezzo convenuto una somma corrispondente – in base
ai prezzi contrattuali o, comunque, in base ai prezzi dell’epoca in cui era stato stipulato il
contratto – alla mancata equivalenza fra prezzo contrattuale e tipo di opera consegnata e non
già calcolando il costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti in base ai prezzi
correnti al momento della consulenza tecnica disposta dai giudici della controversia».
14 Cfr. nota 8.
15 Trib. Firenze, 1° ottobre 2014, in Pluris.
16 Si veda Trib. Cassino, 24 novembre 2014, in Pluris.
17 Cfr. Trib. Firenze, 30 settembre 2014, in Pluris.
142
CAPITOLO TERZO
zione alla fornitura di un macchinario per raffreddamento rivelatosi affetto da «gravi difetti di funzionamento, in particolare al nastro trasportatore e all’impianto di raffreddamento, che avevano di fatto impedito il
suo utilizzo». Proseguendo nell’esemplificazione, può infine ricordarsi
una recente sentenza del giudice di primo grado di Monza18, la quale ha
riconosciuto al compratore di un’abitazione dotata di impianti elettrici e
strutture deputate all’isolamento acustico e termico gravemente difettosi
una decurtazione del prezzo pattuito pari al 20% del prezzo in relazione
ai difetti insuscettibili di riparazione, oltre alla somma pari alle spese di
ripristino per quelli riparabili.
Le pronunce cui si è fatto riferimento costituiscono una chiara
espressione della diffusa tendenza della giurisprudenza di merito ad assicurare all’acquirente, attraverso la riduzione del prezzo, una somma di
denaro pari a quella necessaria al fine di garantirgli il conseguimento di
una prestazione immune da difetti. Peraltro, la sovrapposizione fra la diminuzione del corrispettivo cui è diretto il rimedio estimatorio e l’attribuzione delle somme necessarie per l’eliminazione delle difformità della
res, che da oltre dieci anni caratterizza la giurisprudenza di merito in materia di appalto, si è recentemente fatta strada anche in decisioni rese
dalla Corte di Cassazione in relazione a fattispecie di compravendita.
Invero, numerose massime manifestano l’attrazione della riduzione
del prezzo nell’orbita delle spese di ripristino anche laddove pure si afferma testualmente l’adozione del metodo di calcolo relativo adottato
dalla giurisprudenza tradizionale19.
Tale tendenza si palesa con particolare evidenza, come detto, nei
dicta relativi ai contratti d’appalto, ove con frequenza ormai considerevole
si legge che, allorché «sia proposta la sola azione di riduzione del prezzo
dell’appalto, il giudice di merito per determinare tale riduzione deve impiegare criteri obiettivi, consistenti nel raffronto del valore e del rendimento dell’opera pattuita con quelli dell’opera difettosamente eseguita;
tuttavia, non è escluso che, in base a motivato apprezzamento, la diffe18 Trib. Monza, 30
19 Nel senso che la
settembre 2014, in Pluris.
riduzione del corrispettivo nel contratto di appalto debba essere effettuata attraverso il raffronto del valore di mercato e del rendimento obiettivo dell’opera dedotta in contratto, da una parte, e il valore e il rendimento dell’opera difettosamente eseguita,
dall’altro, successivamente procedendosi al ricalcolo del corrispettivo pattuito in applicazione
della percentuale così ricavata, v. ad esempio Cass. 15 giugno 1976, n. 2236. Si veda, inoltre,
la già citata Cass. 14 marzo 1978, n. 1276, che esplicitamente rigetta la sovrapposizione fra riduzione del prezzo e spese di ripristino, nonché Cass. 17 aprile 1978, n. 1794, secondo cui «la
riduzione proporzionale del prezzo, prevista per il contratto di appalto dall’art. 1668 c.c., non
consente di ricalcolare il prezzo al di fuori del patto intercorso fra le parti, facendo ricorso ai
prezzi correnti, ma solo di operare una detrazione corrispondente al valore proporzionale dei
vizi o delle difformità dell’opera».
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
143
renza tra i predetti valori e rendimenti possa coincidere con il costo delle
opere necessarie per eliminare vizi e difformità»20, ovvero che «il committente [il quale], deducendo difformità dell’opera eseguita dall’appaltatore,
agisce per la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1668 c.c., ha l’onere di
provare il deprezzamento, non essendo questo un effetto necessario e costante delle difformità dell’opera, a meno che queste difformità non dipendano dall’impiego di materiali meno pregiati di quelli contrattualmente previsti o da altre cause che per la loro intrinseca natura incidono
sul pregio dell’opera; in tal caso la riduzione, che, di regola, deve essere
determinata in base al raffronto del valore e del rendimento dell’opera
pattuita con quelli dell’opera difettosamente eseguita, può anche farsi
coincidere con il costo delle opere necessarie per la eliminazione delle
difformità»21. In tal modo, benché si continui ad asserire che, in linea di
principio, la riduzione del corrispettivo deve essere calcolata moltiplicando il corrispettivo pattuito per il rapporto fra valore effettivo dell’opera realizzata e valore che questa avrebbe posseduto in assenza di difformità, in concreto essa viene a porsi quale surrogato della pretesa alla riparazione della cosa, in quanto la giurisprudenza tende ad assicurare al
committente, attraverso la decurtazione della prestazione pecuniaria, una
somma pari a quella necessaria a sostenere le spese ad essa relative.
Come accennato poc’anzi, di recente questa interpretazione del rimedio estimatorio ha travalicato i confini della materia dell’appalto – laddove l’assimilazione può probabilmente trovare una spiegazione proprio
nel diverso assetto dei mezzi di tutela offerti al committente22 – per ap20 In questo senso, v. Cass. 4 ottobre 1994, n. 8043. Similmente si sono pronunciate
Cass. 8 maggio 2008, n. 11409, secondo la quale «in tema di riduzione del prezzo d’appalto
ex art. 1668 c.c., l’accertamento del giudice di merito deve fondarsi su criteri obiettivi, consistenti nel raffronto tra il valore e il rendimento dell’opera pattuita con quello dell’opera eseguita in modo viziato, non potendosi escludere che, in base ad un motivato apprezzamento,
la differenza tra valore e rendimento possa coincidere con il costo delle opere necessarie per
eliminare vizi e difformità», Cass. 16 marzo 2011, n. 6181, che, sul presupposto secondo cui
«nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell’opera, può richiedere, a norma dell’art. 1668, comma 1, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a
spese dell’appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 cod.
civ., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il
danno derivante dalle difformità o dai vizi», ha ritenuto che la riduzione del prezzo tenda «a
conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il
sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi» e,
da ultimo, Cass. 8 luglio 2014, n. 15563.
21 Cfr. Cass. 10 gennaio 1996, n. 169 e Cass. 4 marzo 2003, n. 3190.
22 Riteniamo, infatti, che le conclusioni della S.C. siano influenzate dal fatto che l’art.
1668 c.c. consente al committente di ottenere non soltanto la risoluzione del contratto e la riduzione del corrispettivo, ma pure «che le difformità e i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore», con ciò attribuendogli il diritto di ottenere l’esatto adempimento della prestazione
144
CAPITOLO TERZO
prodare anche alla compravendita, come dimostra la pur isolata statuizione di Cass. 21 maggio 2008, n. 1285223, la quale, dopo aver declamato
solennemente che l’esercizio dell’actio quanti minoris comporta la riduzione del prezzo pattuito nella percentuale pari al rapporto fra valore effettivo del bene conseguente alla presenza dei vizi e valore del bene
esente da difetti, finisce per confermare la decisione di merito che aveva
determinato l’ammontare della decurtazione «nella misura pari al costo
sopportato dall’acquirente per liberare l’area fabbricabile acquistata dai
rifiuti solidi che la occupavano», così asseritamente procedendo a ristabilire «il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione
tenendo conto della entità della minore utilità e del minor valore effettivo» del bene compravenduto.
La tendenza in discorso, manifestatasi nella giurisprudenza del nostro Paese, non è peraltro totalmente priva di riscontri in altre esperienze
giuridiche e, segnatamente, suole presentarsi con frequenza laddove –
come accadeva fino ai primi mesi del 2015 nell’ordinamento francese e
come tuttora si verifica in quello spagnolo – l’aestimatio vitii è demandata dalla legge all’operato di tecnici, senza che però sia esplicitato il parametro sul quale questi ultimi debbono basarsi nell’effettuare le relative
valutazioni.
Con riferimento all’art. 1644 c.c.f., nella formulazione vigente sino
al febbraio 2015, sebbene l’opinione maggioritaria fra gli interpreti fosse
nel senso dell’applicazione di un metodo proporzionale di calcolo24, di
promessa dalla controparte. Qualora l’appaltatore medesimo non provveda in aderenza alle
richieste del committente, la giurisprudenza segnalata tende di frequente a garantire a quest’ultimo l’ottenimento della somma necessaria all’eliminazione dei difetti attraverso la riduzione del corrispettivo in pari misura, così peraltro dimenticando – come meglio si dirà infra
nel testo – di fare applicazione dell’art. 2931 c.c.
Sintomatica della commistione alla base del fraintenimento è Cass. 7 febbraio 1983, n.
1016, la cui massima recita: «La garanzia dell’appaltatore per le difformità ed i vizi della
opera si configura non come una garanzia in senso tecnico, ma come una esplicazione particolare della comune responsabilità per inadempimento, attuabile con la riduzione proporzionale del prezzo o con l’eliminazione delle carenze a spese dell’appaltatore, la quale, secondo
l’alternativa della legge, comporta per quest’ultimo l’obbligo di procedere direttamente ai lavori di correzione e riparazione, senza ulteriore compenso, restandone quindi escluso l’onore
di rimborsare al committente le spese di rifacimento; consegue che la domanda del committente di condanna dell’appaltatore al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi
dell’opera non costituisce una mera modalità esecutiva della richiesta di eliminazione dei vizi
bensì si inquadra nell’ambito dell’obbligo di riduzione del prezzo, assumendo il riferimento
ai vizi funzione parametrica della somma all’uopo richiesta».
23 La si veda pubblicata in Danno e resp., 2009, p. 161 ss., con commento di A. MASTRORILLI, Garanzia per vizi nella vendita e risarcimento in forma specifica: un rapporto controverso, ivi, p. 163 ss.
24 Cfr., ad esempio, Cass.fr., 23 marzo 1971; Cass.fr. 23 ottobre 1974; P. COËFFARD,
Garantie des vices cachés et «responsabilité contractuelle de droit commun», Poitiers, 2005,
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
145
recente è parsa affermarsi una certa propensione a liquidare la riduzione
del corrispettivo relativamente alla vendita di oggetti viziati identificandola con il «coût des travaux à exécuter pour remédier aux défauts cachés»25 ovvero con i costi di riparazione.
Simile operazione è, poi, massicciamente praticata nei tribunali spagnoli i quali spesso26, a dispetto del tenore letterale del código civil – il cui
art. 1486 fa espresso riferimento al diritto dell’acquirente di «rebajar una
cantidad proporcional del precio, a juicio de peritos» –, «asocian la reducción del precio con el saneamiento del vicio oculto del bien, es decir, con la
reclamación del importe necesario para su reparación»27. Peraltro, tale associazione, frequentissima in materia di compravendita di immobili28, è
in gran parte figlia del fatto che l’art. 1484 c.c.s. grava il venditore non
già della garanzia per vizi o dell’obbligo di consegnare beni conformi, ma
di un singolare obbligo di «saneamiento por los defectos ocultos que tuviere la cosa vendida», ciò che costituisce con ogni probabilità la base
della confusione fra il profilo della responsabilità dell’alienante e quello
della eliminazione dei difetti29.
Nonostante la discreta fortuna applicativa che il criterio di determinazione della riduzione del corrispettivo basato sull’equivalenza con le
spese di ripristino della conformità dell’attribuzione patrimoniale difettosa operata dal venditore ha incontrato in taluni ordinamenti vicini al
nostro30 e il recente favore mostrato da certa giurisprudenza italiana, rip. 34; C. ALBIGES, Le développement discret de la réfaction du contrat, in Mélanges M. Cabrillac, Paris, 1999, p. 3 ss.
25 Si vedano in questo senso Cass.fr., 1° febbraio 2006; App. Bordeaux, 20 ottobre
2005; App. Caen, 24 giugno 2003; Cass.be., 10 marzo 2011.
26 La tendenza cui si sta per accennare non è peraltro incontrastata, talune pronunce
facendo applicazione del criterio proporzionale, come richiesto dalla legge: A. FERRANTE, La
Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 154 s. Fanno applicazione del metodo proporzionale, ad esempio, SAP Barcellona, 28 aprile 2005, n. 262; SAP Barcellona 14 febbraio
2008, n. 82; SAP Madrid, 14 aprile 2005, n. 311.
27 Le parole fra virgolette sono tratte da A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la
Compraventa, cit., p. 152 ss., il quale – oltre a procedere a un’interessante rassegna giurisprudenziale, a cui si rinvia per più ampie informazioni – informa di come talune pronunce
ritengano superfluo il ricorso alla consulenza tecnica allorché la riparazione del bene sia già
stata effettuata, limitandosi a riconoscere al compratore la riduzione del corrispettivo nella
misura dell’importo già pagato per l’opera di ripristino.
28 Cfr. SAP Siviglia, 23 gennaio 2008, n. 37 e SAP Cantabria 18 marzo 2005, n. 87, relative alla quantificazione dell’azione estimatoria nella misura della somma necessaria a eliminare gli insetti che infestavano le travi in legno di un edificio. V. altresì SAP Barcellona 10
marzo 2006, n. 122; SAP Baleari 13 settembre 2002, n. 491; SAP Valladolid, 20 gennaio 2003,
n. 23, con le quali si è concessa una riduzione del prezzo di acquisto di immobili pari alla
spesa necessaria per l’esecuzione dei lavori di ripristino dell’immobile viziato.
29 Cfr. ancora A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 150 s.
30 Un’applicazione non sporadica di questo criterio è stata riscontrata anche nell’ordinamento svizzero: cfr. in argomento S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut
146
CAPITOLO TERZO
teniamo che persuasive ragioni evidenzino l’inidoneità – o, rectius, l’erroneità – del metodo de quo.
Invero, in primo luogo, va notato come attribuire al compratore una
somma di denaro pari a quella necessaria per la regolarizzazione della prestazione dell’alienante equivalga ad assicurare a costui non già un riequilibrio del rapporto sinallagmatico perturbato dalla difettosità di quest’ultima, bensì un vero e proprio risarcimento del danno in forma specifica31:
ciò esula senz’altro dalla funzione del rimedio estimatorio, che abbiamo
visto storicamente affermarsi con riferimento alla conservazione delle proporzioni dello scambio soggettivamente volute dalle parti, giacché l’attribuzione del diritto di vedersi rimborsate le spese di riparazione risulta totalmente indipendente dalla misura del prezzo pattuito, dalla gravità del
difetto (in quanto difetti assai lievi possono essere molto onerosi da riparare) e dall’incidenza dello stesso sul valore reale della cosa. La riduzione
del corrispettivo, in altre parole, non ha affatto la funzione di «assicurare
al contraente fedele vantaggi patrimoniali equivalenti a quelli che il medesimo avrebbe ottenuto dal contratto (in caso di sua regolare esecuzione),
ma di […] ristabilire l’originario rapporto (economico) di proporzionalità
tra le contrapposte prestazioni»32, sicché si esce certamente dall’ambito
del rimedio estimatorio per entrare in quello risarcitorio qualora si intenda garantire al compratore proprio (i mezzi che gli consentono di ottenere) l’esatta realizzazione del programma negoziale originario.
Quanto andiamo dicendo è confermato proprio dalla disposizione in
materia di appalto che per prima ha sperimentato l’attuale impropria parametrazione della quanti minoris, ovverosia l’art. 1668 c.c., il quale da un
canto concede al committente cui sia consegnata un’opera affetta da vizi
o difetti il diritto di farli eliminare «a spese dell’appaltatore» e, dall’altro,
gli consente di chiedere che «il prezzo sia proporzionalmente diminuito».
Ora, a parte il fatto che non si vede come la riduzione calcolata sulla base
delle spese di ripristino possa soddisfare il criterio di proporzionalità33, è
ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations
Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, Friburgo, 1994, p. 244 e decisioni ivi citate.
31 Nello stesso senso, v. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di
consumo, in Europa dir. priv., 2002, p. 12; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni
di consumo, Padova, 2002, p. 92; R. OMODEI SALÉ, Responsabilità del venditore per difetto di
conformità e tutela del medesimo in seguito all’esercizio dei rimedi spettanti al consumatore, in
Resp. civ. UTET, 2010, p. 502.
32 Sono parole di A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. I, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma,
1990, p. 158.
33 Salvo, ovviamente, che la proporzionalità – con una evidente petizione di principio –
non sia valutata proprio in relazione alla misura delle spese in discorso; ma, anche così
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
147
evidente come la norma in parola preveda due distinti mezzi di tutela, caratterizzati da effetti non coincidenti, essendo l’uno rivolto a procurare la
decurtazione del corrispettivo proporzionalmente al minor valore della
res, l’altro a ottenere che l’appaltatore ponga rimedio al difetto di conformità, provvedendo personalmente al ripristino ovvero sostenendone le
spese34. Non è, allora, difficile comprendere come predicare che l’aestimatio vitii35 debba (o possa di regola) coincidere con le spese necessarie
all’eliminazione dei difetti della cosa equivalga a obliterare il rimedio estimatorio, i cui effetti caratteristici si sovrapporrebbero a quelli conseguibili
– direttamente o attraverso il ricorso all’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 2931 c.c. – a mezzo di un distinto mezzo di tutela.
Ma l’erroneità di quello che abbiamo chiamato “metodo A” di determinazione della riduzione può essere messa in luce altresì dalla lettura
di una disposizione dettata in materia di garanzia per evizione, l’art. 1486
c.c., il quale prevede che «se il compratore ha evitato l’evizione della cosa
mediante il pagamento di una somma di danaro, il venditore può liberarsi da tutte le conseguenze della garanzia col rimborso della somma pagata, degli interessi e di tutte le spese». Ora, poiché si ritiene comunemente36 che tale regola trovi applicazione nei casi in cui l’acquirente riesca
ad evitare l’evizione (totale o parziale) tacitando il terzo con la dazione di
opinando, è chiaro che non di proporzionalità si tratterebbe bensì di coincidenza in valore
assoluto.
34 Quanto sostenuto nel testo non è peraltro influenzato dalla nota questione inerente
all’oggetto del diritto all’eliminazione del vizio: se, cioè, tale diritto comporti che il committente debba in prima istanza rivolgersi all’appaltatore e soltanto in ipotesi di suo diniego o di
sua inerzia possa esigere l’esecuzione ex art. 2931 c.c. (come a noi pare preferibile; così D.
RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., Dell’appalto, in Comm. Scialoja - Branca, BolognaRoma, 2007, p. 404 s. e C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento,
Milano, 2008, p. 293 ss.; in giurisprudenza, v. Cass. 21 febbraio 1996, n. 1334 e Cass. 29 maggio 1980, n. 3542) ovvero che l’appaltatore debba far fronte alle sole spese di eliminazione del
difetto, senza essere tenuto a procedervi personalmente (Cass. 18 aprile 2002, n. 5632; Cass.
10 gennaio 1996, n. 169; Cass. 27 febbraio 1991, n. 2110; Cass. 10 febbraio 1987, n. 1416;
Cass. 2 dicembre 1980, n. 6291; Cass. 28 marzo 1962, n. 639). Sul punto v. altresì L.A. SCARANO, Garanzia per vizi nei contratti di vendita e di appalto, in Nuova giur. civ. comm., 1998,
II, p. 261, il quale ritiene che la tutela prevista dall’art. 1668 c.c. sia riconducibile sostanzialmente al risarcimento del danno in forma specifica, sicché il committente potrebbe liberamente scegliere di pretendere che l’appaltatore gli rimborsi il costo della riparazione quale risarcimento per equivalente.
35 Anche il nomen storicamente attribuito all’operazione di determinazione della quantità di corrispettivo oggetto di riduzione sembra porsi in palese contrasto con l’idea dell’identificazione della medesima con i costi di riparazione: aestimatio vitii, infatti, significa
– come ognun può intendere – stima del vizio, cioè dell’incidenza dello stesso sul valore della
cosa, e non già stima della spesa relativa alle operazioni di rimozione del vizio.
36 Per tutti, v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 423
e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 862 ss.
148
CAPITOLO TERZO
una somma di denaro37 a titolo transattivo o ex art. 2858 c.c. o, ancora, secondo taluni38, trasferita quale corrispettivo dell’acquisizione dal terzo del
diritto di cui l’originario venditore non lo aveva reso titolare (c.d. evizione
invertita), non sembra dubbio che le utilità garantite al compratore dall’art. 1486 c.c. vengano a coincidere con quelle cui il medesimo avrebbe
diritto qualora la riduzione del prezzo – come pretende la giurisprudenza
analizzata poc’anzi – mirasse a tutelare il suo interesse al ripristino della
conformità dell’attribuzione patrimoniale. È, peraltro, evidente che così
non può essere, come dimostra il fatto che è pacifico fra gli interpreti che
la facoltà del venditore di liberarsi dalle «conseguenze della garanzia»
rimborsando la somma pagata, gli interessi e le spese null’altro è se non
una forfetizzazione del danno risarcibile subito dall’acquirente a causa del
trasferimento di una res suscettibile di (parziale o totale) evizione, tanto
che essa si pone quale alternativa alla liquidazione giudiziale del danno
medesimo39. Anche in questa ipotesi, quindi, la riduzione del prezzo calcolata secondo il metodo A indurrebbe a riconoscere all’acquirente utilità
pari a quelle che egli avrebbe ottenuto con la rituale esecuzione del contratto, mentre – come più volte abbiamo ripetuto – la funzione dell’azione
estimatoria è soltanto quella di garantire la conservazione dello scambio
nelle originarie proporzioni fissate dai contraenti.
Merita inoltre di essere evidenziato che l’accoglimento del criticato
metodo di computo renderebbe a dir poco ambiguo e confuso il rapporto fra il diritto alla riduzione del prezzo e quello al ripristino della
conformità mediante riparazione nell’ambito delle vendite mobiliari soggette alla dir. 1999/44/CE (e alla disciplina di attuazione della stessa) e
alla Convenzione di Vienna del 1980. Infatti, seguendo le orme delle pronunce analizzate poc’anzi, l’interprete potrebbe essere indotto a credere,
in sostanza, che i due rimedi citati siano in tutto coincidenti, salvo il fatto
che in un caso la riparazione è effettuata direttamente dal venditore e
nell’altro essa è materialmente eseguita da terzi, l’alienante sopportandone però l’onere economico sotto forma di decurtazione del corrispettivo inizialmente pattuito.
37 Ad avviso di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 863, la
tacitazione del terzo ai sensi dell’art. 1486 c.c. potrebbe avvenire anche a mezzo di una prestazione diversa dal denaro. Contra, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1486, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 210 ss.
38 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 727, il
quale propende per questa soluzione in quanto maggiormente tutelante per il venditore, il
quale in tal modo non si troverà esposto a eventuali “speculazioni” del compratore.
39 Si vedano, in argomento, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit.,
p. 863 e Cass. 26 febbraio 1976, n. 622, resa proprio con riferimento a una fattispecie di
evizione parziale evitata ex art. 1486 c.c.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
149
Infine, va evidenziato come – sempre con riferimento alle vendite
mobiliari cui trovano applicazione, rispettivamente, la disciplina di derivazione comunitaria e la CISG – si ritenga comunemente che il diritto al
ripristino della conformità – sostanziandosi nell’offerta al venditore di una
seconda opportunità di adempimento – consista soltanto nel diritto di
pretendere la consegna di un bene riparato o sostitutivo e non già nel diritto ad una somma di denaro di importo corrispondente alle spese personalmente e direttamente sostenute dal compratore per la riparazione o
la sostituzione40, riconoscendosi altresì che quest’ultima può costituire oggetto di una pretesa risarcitoria e non già della riduzione del prezzo41. Ne
consegue che tale pretesa, in ogni caso, richiede una quantificazione giudiziale e, qualora sia avanzata in relazione alla vendita di beni mobili da
un professionista a un consumatore, soggiace alle limitazioni derivanti
dalla gerarchia rimediale42 imposta dall’art. 130 c.cons.
Evidenziate le criticità sollevate dall’impropria identificazione posta
alla base del metodo di calcolo A, è opportuno proseguire la nostra analisi passando ad esaminare i c.d. criteri assoluti di determinazione della
riduzione del prezzo, rappresentati dai metodi B, C e D.
2.2. I metodi di calcolo “assoluti”
Applicando le metodologie di calcolo di tipo “assoluto”, l’aestimatio
vitii viene a coincidere con la differenza (metodi B e C) fra il valore
40 In
relazione alla disciplina attuativa della dir. 1999/44/CE, cfr., infatti, STAUDINMATUSCHE-BECKMANN, sub § 439, 14. Aufl., Berlin, 2014, Rn. 54 ss., la quale, dopo
aver osservato come nell’appalto il § 637 BGB espressamente consenta la Selbstvornahme
mentre in materia di compravendita manchi qualsiasi previsione in proposito, si esprime nel
senso che «Es ist daher davon auszugehen, dass ein Selbstvornahmerecht des Käufers grds nicht
besteht»; nello stesso senso, BECKOK/F. FAUST, sub § 439 BGB, in Beck-Online, Rn. 4 («Ein
Recht zur Selbstvornahme nach Art des § 637 kennt das Kaufrecht allerdings nicht. § 637 kann
[…] auch nicht analog angewendet werden») e Rn. 25 («Der Verkäufer kann daher die
Nacherfüllung nicht von der Zahlung der Kostenbeteiligung, sondern nur von ausreichender
Sicherheitsleistung dafür abhängig machen»). Con riferimento alla Convenzione di Vienna, v.
STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 46, in Wiener UN-Kaufrecht, Berlin, 2012, Rn. 65, il quale
scrive che «Der Verkäufer hat […] den Mangel real zu beseitigen», e SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 46, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 46, il quale ammette che il
compratore, se la riparazione da parte del venditore non è possibile o comporta costi irragionevoli, possa eliminare il difetto personalmente o mediante l’opera di terzi, rivalendosi sul
venditore, ma avverte che in tal caso si sarebbe fuori dall’ambito della riparazione, rientrandosi nel risarcimento del danno («Schlägt die Nachbesserung fehl, nimmt der Verkäufer diese
gemäss Art. 46 III oder Art. 48 nicht innerhalb angemessener Frist vor oder ist ihm dies nicht
zumutbar, kann der Käufer den Mangel selbst beheben oder durch Dritte beheben lassen und
dem Verkäufer die Kosten als Schadenersatz (Art. 45 I lit. b)) in Rechnung stellen»).
41 V., ad esempio, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II. Il regime delle
«garanzie» nelle vendite di beni di consumo, Napoli, 2007, p. 292 ss.
42 In proposito, v. amplius al par. 3 del Capitolo 4.
GER/A.
150
CAPITOLO TERZO
obiettivo della res, da un lato, e il valore reale da questa posseduto, dall’altro, ovvero (metodo D) fra il prezzo pattuito e tale ultimo valore.
Come già accennato, il primo criterio di computo trova un riscontro
a livello normativo nell’ordinamento inglese, laddove esso è posto a base
della determinazione del danno risarcibile spettante al compratore nel
caso di breach of warranty of quality: a tal proposito, la Section 53 SoGA,
dopo aver concesso al compratore di beni qualitativamente difettosi l’alternativa fra «(a) set up against the seller the breach of warranty in diminution or extinction of the price» e «(b) maintain an action against the seller for damages for the breach of warranty» e aver sancito che la misura di
tali danni è pari alla «estimated loss directly and naturally resulting, in the
ordinary course of events, from the breach of warranty», precisa che la perdita in argomento è «prima facie the difference between the value of the
goods at the time of delivery to the buyer and the value they would have
had if they had fulfilled the warranty»43. Ne consegue che, qualora abbia
già pagato il prezzo nel momento in cui il difetto qualitativo si rivela44,
l’acquirente può ottenere dalla controparte un ristoro a titolo di risarcimento del danno pari, in linea di principio, alle perdite patrimoniali direttamente e “fisiologicamente” indotte dalla violazione della garanzia,
ma il legislatore inglese prevede che esse normalmente coincidano con la
differenza fra il valore che i beni oggetto del contratto avrebbero avuto
al tempo della consegna e quello che effettivamente possedevano a causa
della violazione medesima. Solitamente tale differenza viene calcolata attraverso il riferimento ai valori di mercato45, mentre il riferimento ai costi di riparazione del bene, ove tale attività sia possibile, è ritenuto non
soddisfacente giacché la spesa per la riparazione può in molti casi essere
irragionevole rispetto alla gravità del difetto e alle sue stesse conseguenze
sul valore del bene46.
43 In argomento, v. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 692 ss. e P.S.
ATIYAH - J.N. ADAMS - H. MACQUEEN, Atiyah’s Sale of Goods, London, 2010, p. 543 s.
44 Cfr. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 695.
45 Il tema della riferibilità al prezzo di mercato, invero, «has divided the Court of Appeal
in two cases set seventy years apart» (M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 692), ovverosia
Slater v Hoyle & Smith (favorevole alla market rule) e Bence Graphics International Ltd v
Fasson UK Ltd (che, seppur a maggioranza, ha rigettato la regola in discorso). La portata del
caso Bence, però, si ritiene limitata ai casi in cui il venditore ha una dettagliata conoscenza del
fatto che il compratore provvederà alla rivendita dei beni fornitigli e delle modalità che impiegherà in tal senso: cfr. ancora M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 696, il
quale conclude la trattazione del tema affermando che «it is submitted that Bence should be
confined to cases of detailed knowledge of sub-sale activities and that, if it and Slater are
considered by a higher court in a case where they are considered to be in conflict, then Slater is
to be preferred».
46 M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 703.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
151
Come già si è accennato, poiché la riduzione del prezzo va operata
non su un valore teorico del bene esente da vizi, ma con riferimento al
prezzo concretamente pattuito fra le parti, potrebbe sembrare più persuasiva l’adozione di una differente variante delle metodologie assolute
di calcolo, in cui il valore del bene difettoso venga sottratto proprio al
corrispettivo contrattualmente fissato (metodo D), alla maniera di
quanto imponevano le più risalenti testimonianze storiche dell’actio
quanti minoris analizzate nel Capitolo 1. Un simile modo di procedere
sembra contare, peraltro, almeno un precedente giurisprudenziale anche nell’ordinamento italiano: infatti, stando alla massima di Cass. 14
marzo 1978, n. 1276, «la riduzione del prezzo dell’appalto per difformità o vizi della opera deve effettuarsi sottraendo dal prezzo convenuto
una somma corrispondente […] alla mancata equivalenza fra prezzo
contrattuale e tipo di opera consegnata […]», ciò che sembra proprio
suggerire la determinazione del nuovo corrispettivo attraverso la sottrazione del valore del “tipo di opera consegnata” da quello originariamente pattuito.
I criteri assoluti di determinazione del quantum della riduzione
sono, peraltro, tutti accomunati – compreso il metodo C, che differisce
dal metodo adottato dalla Section 53 (3) SoGA soltanto per il differente
momento temporale di riferimento per il rilievo del valore del bene – dall’effetto di perturbare il rapporto che le parti hanno instaurato fra le attribuzioni patrimoniali del contratto con le manifestazioni di volontà negoziale, in quanto introducono in esso l’elemento estraneo consistente
nel valore obiettivo della cosa compravenduta. Abbiamo avuto modo di
argomentare come il rimedio estimatorio sia volto a conservare lo scambio attraverso un adattamento del suo contenuto che, da un canto, faccia
corrispondere la misura dell’obbligazione di prezzo alle effettive qualità
o quantità dei beni negoziati (e non a quelle che le parti si erano rappresentate) e, dall’altro, non alteri la “convenienza economica” che lo scambio presentava nel suo originario assetto. È chiaro che l’impiego di metodologie di calcolo di tipo assoluto, se è bensì in grado di assicurare il
soddisfacimento della prima delle esigenze elencate, non consente di raggiungere risultati altrettanto soddisfacenti rispetto alla seconda, giacché
non sempre – in particolar modo nella vendita di beni infungibili – il
prezzo pattuito dalle parti coincide con l’effettivo valore del bene.
Due esempi possono contribuire a chiarire quanto andiamo affermando. In primo luogo, si immagini che Tizio e Caio concludano un
contratto di compravendita in forza del quale il primo aliena al secondo
il diritto di proprietà su un bene del valore obiettivo di 300 per il corrispettivo di 240 e che i difetti del bene in questione ne portino il valore a
152
CAPITOLO TERZO
180. Applicando il metodo B47, Caio avrebbe diritto di vedersi riconosciuta una riduzione del corrispettivo pari a 120, sicché egli si troverebbe
a pagare complessivamente 120, mentre, applicando il metodo D, l’aestimatio vitii risulterebbe pari a 60, dovendo pertanto egli corrispondere
alla controparte un totale di 180.
In secondo luogo, si immagini che Sempronio venda per 300 a Mevio il diritto di proprietà su un bene del valore obiettivo di 240, che a
causa dell’esistenza di un diritto personale di godimento non dichiarato
e opponibile all’acquirente (art. 1489 c.c.) si riduce a 180: ove si applichi
il modello accolto dal SoGA, Mevio avrebbe diritto di vedere ridotto
l’ammontare della propria obbligazione di prezzo sino a 240, dovendo
invece soltanto 180 qualora si ritenesse di applicare il criterio D.
Non v’è chi non veda come l’applicazione dell’uno e dell’altro metodo produca l’effetto di alterare significativamente il rapporto sinallagmatico fra le attribuzioni patrimoniali sancito al tempo della conclusione
del contratto. Nel primo esempio, infatti, inizialmente le parti avevano
convenuto un assetto in forza del quale il rapporto fra il valore obiettivo
delle attribuzioni era pari a 4/5, essendo tale il rapporto fra prezzo pattuito e valore reale del diritto, ma le riduzioni conseguenti al riscontro
delle reali condizioni della res contrattata alterano tale rapporto, fissandolo a 2/3 con il ricorso al metodo B e a 1 nell’ipotesi di applicazione del
criterio D. Nel secondo esempio, invece, l’iniziale rapporto di valore fra
le attribuzioni è pari a 5/4, ma la diminuzione del corrispettivo indotta
dalla presenza dei vizi scompagina tale assetto, rideterminando rispettivamente in 4/3 e 1 il rapporto medesimo.
L’applicazione del metodo D comporta, infatti, invariabilmente la
fissazione di un prezzo di vendita del bene viziato pari al suo valore effettivo, con ciò potendo forse costituire un idoneo criterio determinativo
allorché già la pattuizione iniziale fra le parti fosse informata alla stessa
equivalenza48, ma rivelando tutta la sua carica modificativa della convenienza dell’affare per l’una o per l’altra parte, in ogni altra occasione in
cui la corrispondenza in discorso non fosse originariamente sussistente.
Può, pertanto, concludersi che tale metodo non sia idoneo al fine di pervenire all’esatto computo del corrispettivo da ridurre in conseguenza
47 Non è necessario dedicare al metodo C un’analisi specifica in quanto, differendo dal
metodo B soltanto per il momento temporale di riferimento per l’individuazione del valore
obiettivo del bene, per esso valgono in toto le considerazioni che si riferiscono al metodo B.
48 È appena il caso di notare come la tendenziale equiparazione fra valore vero e corrispettivo di vendita con riferimento ai beni di consumo, operata da gran parte degli interpreti,
sia sovente smentita dall’esistenza di prezzi anche sostanzialmente differenti fra venditori
diversi e anche all’interno della stessa grande distribuzione organizzata.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
153
della difettosità dell’esecuzione del contratto da parte del venditore in
quanto esso, anziché adattare la misura dell’obbligazione di prezzo alle
reali caratteristiche del bene mantenendo inalterati il rapporto sinallagmatico e la convenienza dello scambio fissati dalla volontà negoziale, sterilizza quest’ultimi componenti riconducendo inevitabilmente lo scambio
alla rigida corrispondenza di valore fra le attribuzioni dei contraenti49.
Peraltro, pur non pervenendo a simili esiti perturbativi – che potremmo definire quasi impositivi di un’equivalenza “forzosa” – anche i
criteri determinativi identificati dalle lettere B e C risultano, ad un’attenta analisi, inaccettabili50. Infatti, se è vero che essi non hanno l’effetto
di ricondurre costantemente l’ammontare del corrispettivo al valore reale
della cosa contrattata, d’altra parte neppure conservano fra le attribuzioni patrimoniali quel rapporto di valore che vi hanno impresso le parti,
comunque producendo il risultato di alterarlo in misura tanto più significativa quanto maggiore è lo scostamento fra valore reale del bene dedotto in contratto e prezzo pattuito nonché fra il primo e il valore effettivo del bene “difettoso”51. Addirittura, qualora la differenza fra i due va49 È
appena il caso di notare che la metodologia di calcolo in discorso provoca risultati
inaccettabili in tutte le ipotesi in cui il prezzo pattuito in contratto, per la particolare tenuità
del difetto ovvero per la particolare convenienza della vendita per il compratore, sia inferiore
al valore del bene difettoso: in tali ipotesi, infatti, egli non dovrebbe vedersi riconosciuta alcuna riduzione nonostante la mancanza di conformità dei beni trasferiti.
50 Contra, S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les
contrats de vente internationale de marchandises, cit., p. 245 ss., il quale propende per l’applicazione di tale metodo di calcolo con riferimento al diritto svizzero (art. 205 OR: (1) Liegt ein
Fall der Gewährleistung wegen Mängel der Sache vor, so hat der Käufer die Wahl, mit der
Wandelungsklage den Kauf rückgängig zu machen oder mit der Minderungsklage Ersatz des
Minderwertes der Sache zu fordern. (2) Auch wenn die Wandelungsklage angestellt worden ist,
steht es dem Richter frei, bloss Ersatz des Minderwertes zuzusprechen, sofern die Umstände es
nicht rechtfertigen, den Kauf rückgängig zu machen. (3) Erreicht der geforderte Minderwert den
Betrag des Kaufpreises, so kann der Käufer nur die Wandelung verlangen), ritenendolo d’applicazione più semplice e sostenendo che «la méthode relative est justifiée par le fait que le
prix (P) peut être inférieur ou supérieur à la valeur objective de la chose sans défauts (V) (soit
P>V ou P<V); il est donc inconséquent de vouloir l’appliquer dans le seul cas où, justement, le
prix (P) est égal à la valeur de la chose convenue (V) (sot P=V)» (p. 246). Tale posizione, peraltro, appare quanto mai scarsamente meditata, giacché essa non già è in grado di «correggere lo squilibrio causato dal difetto senza intervenire sull’equilibrio (o lo squilibrio) che le
parti hanno liberamente voluto fra le loro prestazioni reciproche al tempo della conclusione
del contratto» bensì, tutt’al contrario, sostituisce allo squilibrio indotto dall’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale un nuovo squilibrio basato sull’introduzione di un correttivo della
manifestazione di volontà delle parti ispirato ad un’equivalenza oggettiva fra valore del diritto
e corrispettivo della sua alienazione. Sul punto rinviamo a quanto abbiamo già avuto modo di
argomentare nel corso del Capitolo 2.
51 Si consideri, infatti, il seguente esempio: qualora Tizio venda a Caio il diritto di proprietà di un immobile del valore di 300 per il prezzo di 200 e successivamente Caio subisca
154
CAPITOLO TERZO
lori da prendere in considerazione per l’aestimatio vitii sia maggiore del
prezzo pattuito (ciò che – lo riconosciamo – può rappresentare un’eventualità di remota verificazione, ancorché non certo impossibile), il ricorso
a tali metodi porterebbe all’assurda affermazione dell’esistenza di un credito del compratore nei confronti del venditore. Ne consegue, come
detto, che essi debbono essere considerati in linea di principio inidonei a
dare attuazione al rimedio estimatorio, piuttosto realizzando una funzione risarcitoria.
L’esigenza di conservazione dei rapporti di corrispettività fra le attribuzioni patrimoniali soggettivamente pattuiti dai contraenti conduce
inevitabilmente l’interprete a prendere in considerazione i c.d. metodi relativi o proporzionali (metodi E, F e G, secondo la classificazione che ne
abbiamo fatto), alla cui analisi passiamo pertanto a dedicarci.
2.2. I metodi di calcolo “relativi” o “proporzionali”
Come già abbiamo accennato, la Convenzione di Vienna del 1980, la
precedente Convenzione dell’Aja del 1964 e la codificazione tedesca del
1900 costituiscono esempi di testi normativi che hanno espressamente
accolto le metodologie di determinazione della riduzione del prezzo di
tipo proporzionale. Infatti, l’art. 50 CISG dispone che l’aestimatio vitii
sia operata attraverso la diminuzione del corrispettivo pattuito in misura
proporzionale «alla differenza tra il valore che i beni effettivamente consegnati avevano al momento della consegna ed il valore che beni
conformi avrebbero avuto in tale momento», mentre l’art. 46 LUVI sanciva la medesima regola facendo riferimento al tempo della conclusione
del contratto, esattamente come previsto dal § 472 aF BGB52 e dall’attuale § 441 nF BGB53.
un’evizione parziale che riduca il valore reale della porzione da lui conservata a 110, egli – applicando i metodi B e C – dovrebbe a Tizio un corrispettivo pari a 10. È lapalissiano osservare come i rapporti di valore fra le prestazioni delle parti risultino grandemente e irrimediabilmente variati, sostanzialmente costringendo il venditore a privarsi di un diritto a condizioni fortemente differenti rispetto a quelle pattuite.
52 § 472 aF [Berechnung der Minderung] (1) Bei der Minderung ist der Kaufpreis in dem
Verhältnisse herabzusetzen, in welchem zur Zeit des Verkaufs der Wert der Sache in mangelfreiem Zustande zu dem wirklichen Werte gestanden haben würde. (2) Findet im Falle des
Verkaufs mehrerer Sachen für einen Gesamtpreis die Minderung nur wegen einzelner Sachen
statt, so ist bei der Herabsetzung des Preises der Gesamtwert aller Sachen zugrunde zu legen. In
argomento cfr., per tutti, STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 472, 12. Aufl., München, 1978, Rn.
1 ss. e K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrecht. Band 2. Besonderer Teil. 1. Halbband, München,
1986, p. 57.
53 § 441 nF [Minderung] (1) Statt zurückzutreten, kann der Käufer den Kaufpreis durch
Erklärung gegenüber dem Verkäufer mindern. Der Ausschlussgrund des § 323 Abs. 5 Satz 2
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
155
Rinviando, per il momento, l’analisi delle questioni inerenti al
tempo e al luogo cui fare riferimento al fine dell’applicazione dei parametri di calcolo necessari all’impiego delle formule che abbiamo denominato E ed F, osserviamo piuttosto come l’adozione delle metodolgie di
calcolo in discorso abbia l’effetto di determinare il rapporto fra il prezzo
pattuito dalle parti per la vendita del bene e quello che dovrà essere corrisposto in esito all’esercizio del rimedio nell’esatta proporzione esistente
fra il valore oggettivo che la cosa avrebbe avuto qualora non fosse stata
difettosa e quello effettivo in ragione dell’incidenza del vizio. Attraverso
tale procedimento54, pertanto, è possibile realizzare quella che abbiamo
visto essere la funzione propria del rimedio estimatorio: conservare il
rapporto contrattuale, adeguandolo alla difettosità dell’attribuzione patrimoniale del venditore ma mantenendo fra questa e l’obbligazione di
prezzo quel rapporto di corrispettività soggettivamente fissato dalle
parti55 nell’esercizio della loro autonomia privata56, il quale – come si è
findet keine Anwendung. (2) Sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des Verkäufers
mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder gegen alle erklärt werden. (3) Bei
der Minderung ist der Kaufpreis in dem Verhältnis herabzusetzen, in welchem zur Zeit des Vertragsschlusses der Wert der Sache in mangelfreiem Zustand zu dem wirklichen Wert gestanden
haben würde. Die Minderung ist, soweit erforderlich, durch Schätzung zu ermitteln. (4) Hat der
Käufer mehr als den geminderten Kaufpreis gezahlt, so ist der Mehrbetrag vom Verkäufer zu
erstatten. § 346 Abs. 1 und § 347 Abs. 1 finden entsprechende Anwendung.
54 Invero, il calcolo proporzionale potrebbe essere sostituito dalla mera sottrazione del
minor valore obiettivo del bene in ragione del difetto, allorché (e soltanto allorché) il valore
della cosa esente da difetti coincida con il prezzo d’acquisto pattuito. Cfr. STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, 14. Aufl., Berlin, 2004, Rn. 16.
55 In altre parole, il metodo relativo consente di conservare – seppure diminuito in valore assoluto – lo stesso rapporto di convenienza o di svantaggiosità del contratto inizialmente
concluso.
56 Il valore della cosa esente da vizi (a) si rapporta al valore della cosa difettosa (b)
come il prezzo pattuito (p) si rapporta al prezzo ridotto (x). Ne consegue che il prezzo ridotto è pari al prodotto fra il valore del bene non conforme e il prezzo pattuito, diviso per il
valore del bene conforme. Ricavato il prezzo ridotto, la quantità di corrispettivo che deve essere sottratta all’originario prezzo è pari alla differenza fra quest’ultimo e il prezzo ridotto. In
questo senso, cfr. espressamente, fra i tanti, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441,
cit., Rn. 13 ss.; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München,
2012, Rn. 12 ss.; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, München, 2010, p.
58 s.; H. BROX - W.D. WALKER, Besonderes Schuldrecht, München, 2011, p. 64 s.; U. KORTH,
Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 34 ss., nonché KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 36 ss.; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 4 s.; R. DE NICTOLIS,
sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di
beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 238; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLERCHEN, sub art. 50, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 8 ss.; P. HUBER - A. MULLIS, The CISG. A new
textbook for students and practitioners, München, 2007, p. 199 s.
156
CAPITOLO TERZO
visto poc’anzi – sarebbe irrimediabilmente alterato qualora l’adattamento
dell’importo del corrispettivo avvenisse attraverso la decurtazione da
quest’ultimo del (minor) valore oggettivo del bene (metodo D), ovvero
mediante l’applicazione della differenza fra il valore che il bene avrebbe
avuto oggettivamente se non avesse presentato il difetto e il valore effettivo del bene viziato (metodo B e C)57.
In ragione di quanto appena osservato, riteniamo che il metodo “relativo” costituisca il criterio da adottare per il calcolo della riduzione del
prezzo per tutte le pertinenti fattispecie58 in cui il rimedio in parola è
concesso al compratore di res difettose dal codice civile59 e dal codice del
consumo60.
57 Tale metodo di calcolo – com’è risultato evidente dall’analisi condotta al par. precedente – altera la proporzione esistente fra le originarie prestazioni in tutte le ipotesi in cui il
prezzo pagato dal compratore non sia esattamente corrispondente al valore oggettivo del
bene: ove tale valore sia superiore al prezzo pagato, infatti, esso comporterebbe una riduzione
del corrispettivo più che proporzionale, sfavorendo il venditore; in caso contrario, la diminuzione sarebbe operata in misura inferiore alla proporzione iniziale, ledendo l’iniziale convenienza dell’affare per il compratore.
58 Tali fattispecie sono quelle individuate nel precedente Capitolo 2.
59 L’adozione di tale metodo è propugnata anche da D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375 s. (per la vendita di cosa parzialmente altrui, ove correttamente si rimarca come ciò che va preso in considerazione è il valore della parte acquistata e
non già la sua incidenza quantitativa rispetto all’intero) e p. 812 (in relazione alla garanzia per
vizi), ove si legge il seguente esempio: «se la cosa è stata comprata per 90 mentre effettivamente ne varrebbe 120 ove fosse in perfetto stato, e il vizio ne diminuisce il valore di un
terzo, la riduzione sarà non di 40 ma di 30 […] in quanto è giusto che il compratore conservi
proporzionalmente immutata la posizione di favore che in origine aveva creduto di acquisire
nel presupposto che la cosa fosse in buono stato». Similmente, C.M. BIANCA, La vendita e la
permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 850 s., ad avviso del quale «la riduzione del prezzo procede
in modo proporzionale al fine di salvaguardare il nesso di equivalenza soggettiva posto dalle
parti. In tal senso occorre accertare non quale valore abbia il bene difettoso ma in quale misura percentuale il difetto incida sul valore del bene integro: il prezzo deve allora essere diminuito in ragione della stessa percentuale». Di recente, cfr. G. D’AMICO, La compravendita.
I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 395 (in tema di cosa parzialmente altrui) e p. 451
(con riferimento all’estimatoria esperita ai sensi dell’art. 1492) In giurisprudenza, chiaramente in questo senso Cass. 26 marzo 1969, n. 981; Cass. 21 luglio 1984, n. 4278; Cass. 1°
febbraio 1995, n. 1153; Cass. 16 novembre 1978, n. 5297, la quale, però, si esprime nel senso
che, nei casi in cui non sia possibile l’identificazione della percentuale di riduzione del valore
nel suo preciso ammontare, il giudice del merito deve provvedere con valutazione equitativa,
a norma dell’art. 1226 c.c. Sul punto v. infra, par. 2.4.
60 Con riguardo alla disciplina consumeristica, a favore del metodo relativo si sono
espressi, tra gli altri, M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 285 e L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina
della vendita di beni di consumo, Padova, 2003, p. 444; contra, G. DE CRISTOFARO, La vendita
di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, Torino, 2005, p. 1048, ad avviso del quale gli aggettivi “adeguata” e
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
157
Con riferimento alla disciplina di fonte europea, peraltro, pur se la
direttiva non ha provveduto a esplicitare la preferenza per il metodo in
parola, è nostra opinione che l’imposizione del requisito di “adeguatezza” della riduzione del prezzo sia avvenuta proprio al fine di richiamare l’applicazione dell’unico criterio che produce una diminuzione del
corrispettivo convenuto tale da “adeguarne” la misura alle carenze presentate dall’attribuzione patrimoniale della controparte: tale adeguatezza,
infatti, altro non è che la fissazione di un prezzo che consenta la conservazione dell’equilibrio soggettivo dello scambio fissato delle parti, ciò
che richiede che il medesimo sia ribassato proporzionalmente all’incidenza dei difetti sul prezzo pattuito. Riteniamo infatti che non possa dirsi
“adeguata” o “congrua”, nel senso inteso dal legislatore comunitario, una
riduzione del corrispettivo che, prescindendo dalla volontà di entrambe
le parti, alteri il rapporto di corrispettività fra le attribuzioni patrimoniali
fissato dai contraenti. Ove così non fosse, non rimarrebbe che ritenere
che tali aggettivazioni siano volte ad evocare un giudizio equitativo, il
quale però darebbe adito a gravi incertezze, ambiguità e disparità di trattamento, contravvenendo all’obiettivo di armonizzazione perseguito dalla
direttiva 1999/44/CE e finendo di fatto per stimolare, anziché ridurre e
prevenire, il contenzioso giudiziario61.
“congrua”, utilizzati per definire la riduzione del prezzo, unitamente alla previsione secondo
cui nel calcolo della riduzione deve tenersi conto dell’uso del bene, «sembrano denotare la
volontà del legislatore di affidare la concreta determinazione della porzione di corrispettivo
da “decurtare” a una valutazione “equitativa”, da condursi volta per volta alla luce delle peculiari caratteristiche del singolo caso concreto, e quindi non effettuabile esclusivamente sulla
base di un unico, ben definito e predeterminato parametro di calcolo»; similmente motivata
è la contrarietà di A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Consumatori e subfornitura, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti,
V, Milano, 2014, p. 252, il quale pone particolare enfasi sul ruolo dell’indennità per l’uso del
bene. Ma sul punto si veda il par. 4 del presente Capitolo.
61 Secondo G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 513 «la
previsione secondo la quale la riduzione del prezzo deve essere “congrua”, potrebbe indicare
[…] che il rimedio previsto per la vendita di beni di consumo opera in modo diverso – ossia
non secondo il criterio della proporzionalità […] – rispetto al corrispondente rimedio codicistico». D’altra parte, lo stesso illustre Autore, è costretto a riconoscere come, così opinando,
non sia «agevole […] individuare quale possa essere questo diverso» modo, giacché criteri di
computo differenti da quello relativo portano inevitabilmente alla modificazione della «funzione del rimedio». Ritiene che il metodo di calcolo della riduzione del corrispettivo concessa
al consumatore dalla direttiva 1999/44/CE costituisca «un interrogativo aperto dalla disciplina europea», potendo le espressioni “adeguata” e “congrua” sottintendere l’abbandono
del metodo proporzionale, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 601.
Simili dubbi, peraltro, hanno motivo di esistere soltanto qualora non si condivida l’idea che
la funzione della riduzione del corrispettivo esiga, per le ragioni che abbiamo tentato di
ricostruire nel Capitolo 2 e nelle pagine precedenti, una determinazione proporzionale dell’aestimatio vitii.
158
CAPITOLO TERZO
Una volta identificato nel metodo “relativo” l’unico criterio di calcolo in grado di dare pratica attuazione alla finalità della riduzione del
corrispettivo, è necessario affrontare il tema – poc’anzi provvisoriamente
accantonato – inerente all’esatta definizione dei due termini della proporzione che, unitamente al prezzo convenuto, consentono di giungere
alla determinazione del prezzo ridotto: siamo chiamati, cioè, a riflettere
su cosa si debba intendere per “valore reale” o “effettivo” del bene
conforme e del bene non conforme, quale momento temporale debba essere considerato ai fini della loro rilevazione e quale riferimento spaziale
vada all’uopo preso in considerazione.
Quanto al primo profilo, non può dubitarsi che il valore rilevante ai
fini del calcolo debba essere quello oggettivo di mercato62, poiché il riferimento al valore d’affezione63, soggettivamente ricollegato dalle parti
alla cosa compravenduta, finirebbe per alterare la proporzione in tutti i
casi in cui quest’ultimo non sia correlato all’integrità delle cosa e alla sua
effettiva idoneità agli usi cui è destinata, bensì alla sua identità. La necessità di una valutazione oggettiva del valore del bene comporta, altresì,
che ai fini in parola nessun rilievo può essere attribuito al prezzo che il
compratore sarebbe stato disposto a pagare ove avesse conosciuto l’esistenza del difetto64, né al fatto che il venditore, qualora fosse stato a conoscenza del vizio, non avrebbe accettato la riduzione del prezzo o non
l’avrebbe accettata nella proporzione in cui essa è concretamente applicata. Il modo di operare del rimedio, infatti, è eminentemente oggettivo
e prescinde dalle considerazioni soggettive delle parti circa la conve62 Ciò, pertanto, equivale a dire che secondo tale parametro debbono essere determinati sia il valore del bene esente da difetti sia quello del bene effettivamente trasferito: ne consegue che, ad esempio, ove avvenga l’evizione parziale ovvero ricorra la vendita di una cosa
in parte altrui, nessun rilievo può attribuirsi al fatto che la porzione materiale della res rivelatasi altrui ovvero oggetto di evizione corrisponda a una frazione di quella che le parti avevano
dedotto in contratto: il valore della porzione effettivamente acquistata andrà dedotto dall’applicazione dei criteri di mercato, senza che possa in alcun modo procedersi a determinarne il
valore applicando la frazione cui si è fatto cenno al valore dell’intero o, ancor peggio, al
prezzo convenuto.
63 Sulla questione della rilevanza dell’Affektionsinteresse, v. MÜNCHKOMM-BGB/H.P.
WESTERMANN, sub § 441 BGB, cit., Rn. 13; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441,
cit., Rn. 17; F. PETERS, Praktische Probleme der Minderung bei Kauf- und Werkvertrag, in BB,
1983, p. 1951 s.
64 Ne consegue che, a nostro avviso, l’affermazione di D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 813, secondo cui «la riduzione […] deve in tutti i casi corrispondere al minor prezzo che il compratore avrebbe pattuito se avesse conosciuto i vizi già
alla conclusione del contratto», intanto può essere considerata corretta, in quanto essa venga
riferita non al prezzo che il compratore avrebbe concretamente pattuito nell’eventualità considerata, ma a quello che sarebbe stato fissato dalle parti, ove il vizio fosse stato conosciuto,
tenendo conto dell’incidenza percentuale del difetto sul valore oggettivo del bene.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
159
nienza dello scambio a seguito della modifica di questo, giacché esso si
attua attraverso la conservazione obiettiva della proporzione fra le rispettive attribuzioni.
Il valore oggettivo del bene cui si deve fare riferimento è costituito –
come è stato messo in luce da ampia parte della dottrina germanica65 – dal
valore di mercato (Verkehrswert) e non già dall’eventuale valore reddituale posseduto dalla cosa (Ertragswert). Peraltro, allorché il contratto di
vendita abbia ad oggetto beni, quali un’azienda ovvero case d’abitazione
destinate alla locazione, rispetto ai quali il valore reddituale costituisce parametro comune di valutazione66, il valore obiettivo del bene potrà
senz’altro essere desunto sulla base dell’Ertragswert ritraibile dalla cosa67.
Riguardo al momento temporale con riferimento al quale va operata
la rilevazione del valore della cosa, contrariamente a quanto accaduto a
seguito della Schuldrechtsmodernisierung del 2002 in Germania, allorché
il legislatore ha posto termine alla discussione sorta sotto la vigenza del
precedente § 472 aF BGB68 identificandolo in quello della conclusione
del contratto, il codice civile italiano serba in proposito il più rigoroso silenzio.
Nonostante ciò, a noi sembra che, sia con riferimento alle fattispecie
regolate dal codice civile sia in relazione a quelle cui trova applicazione la
disciplina consumeristica, il parametro temporale rilevante debba essere il
65 Cfr., ad esempio, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 19 ss.;
MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 13;
BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, in Beck-Online, Rn. 9; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 441, 15.
Aufl., München, 2014, Rn. 6.
66 STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 20 precisa, infatti, come
«die Rspr verkennt nicht, dass der Ertrag regelmäßig nur einer von mehreren Bewertungsfaktoren ist; doch ist die Ertragswertmethode bei Mietshäusern und Unternehmen heute vorherrschend».
67 Peraltro, a nostro avviso, laddove proprio il valore reddituale della cosa abbia costituito oggetto di un’espressa pattuizione fra le parti (ciò che, per inciso, sembra riguardare
principalmente contratti di vendita sottratti all’applicazione della disciplina consumeristica,
in ragione dell’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione di tale ultima normativa), esso
deve essere considerato come qualità promessa, rilevante ai sensi dell’art. 1497 c.c. ovvero
dell’art. 129, comma 2, lett. d), c.cons, sicché la mancata corrispondenza fra reddito promesso e reddito effettivo legittimerà senz’altro la riduzione del corrispettivo sulla base del valore reale del bene desunto anche attraverso il riferimento all’Ertragswert.
68 L’opinione maggioritaria era comunque già orientata nel senso della rilevanza del
momento di conclusione del contratto di vendita (cfr. la lapidaria affermazione di STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 472, cit., Rn. 9: «maßgeblicher Zeitpunkt für die Festsetzung des Wertverhältnisses ist der Verkauf»), e non per quello della consegna del bene. Nella letteratura italiana, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 812, nt. 108, pur nell’ottica, errata, della natura risarcitoria del rimedio. Nel senso qui propugnato parrebbe,
inoltre, la risalente Cass. 6 febbraio 1952, in Mass. Giur. it., 1952, c. 78, n. 286.
160
CAPITOLO TERZO
medesimo accolto dal BGB69, giacché è proprio nell’istante della conclusione del negozio che le parti danno vita al rapporto sinallagmatico fra le
attribuzioni patrimoniali e viene fissato il prezzo di vendita in rapporto al
quale deve essere operata la riduzione70. Invero, valorizzando il momento,
eventualmente non coincidente, della consegna del bene71, come invece
prescrive la CISG 72, si verrebbe a introdurre una potenziale distorsione
nel meccanismo di calcolo della diminuzione del corrispettivo, di talché
per il compratore – in ragione dell’eventualità che il valore, nelle more
della consegna, sia aumentato ovvero diminuito – può essere più o meno
conveniente esperire il rimedio: al contrario, nell’ottica della conservazione proporzionale dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, così
come il prezzo del bene non può che essere quello stabilito al tempo della
conclusione del negozio, altrettanto varrà in ordine al valore della cosa.
Peraltro, a nostro avviso, l’adozione del metodo proporzionale di calcolo che sopra si è illustrato consente di considerare tendenzialmente fungibili i due istanti della conclusione del contratto e della consegna, sicché
nei casi in cui la compravendita abbia ad oggetto merci ancora da fabbricare o comunque beni futuri potrà senz’altro farsi riferimento al tempo
69 Il
§ 441, comma 3, BGB, come si è visto, fa letterale riferimento proprio allo «Zeit
des Vertragsschlusses». Su questa indicazione v. STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub
§ 441, cit., p. Rn. 26.
70 Lo nota giustamente anche C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di
consumo, in Le nuove leggi civ. comm., 2006, p. 199.
71 In questo senso si vedano, rifacendosi al fatto che la conformità del bene deve essere
valutata al momento della consegna e non a quello della conclusione del contratto, le opinioni
espresse da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 447; E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo,
in Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 133; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La
vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger Busnelli, Milano, 2004, p. 459. Per la rilevanza
del momento della denunzia del difetto di conformità, infine, cfr. l’isolata opinione di M.G.
CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, La vendita di beni di consumo, cit., p. 286.
72 L’opzione per il momento della consegna è stata accolta dalla Convenzione di Vienna
del 1980, la quale sul punto ha adottato (su sollecitazione delle delegazioni di Norvegia e Finlandia, condivisa anche dal rappresentante francese) una soluzione difforme sia dal progetto
UNCITRAL sia dalla LUVI, entrambe volte a dare rilevanza al momento della conclusione
del contratto. La ragione di tale scelta si fonda, secondo gli Official Records, United Nations
Conference on Contracts for the International Sale of Goods, I, New York, 1981, p. 118, sulla
considerazione per cui il riferimento alla consegna renderebbe più semplice per il compratore
valutare la convenienza della riduzione del prezzo rispetto al rimedio risarcitorio e, inoltre,
eviterebbe il problema derivante dalla possibile inesistenza dell’oggetto al tempo del perfezionamento del vincolo negoziale. In argomento, v. l’approfondita disamina di A. FERRANTE,
La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 189 ss. nonché R. DE NICTOLIS, sub art. 50,
in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili.
Commentario, cit., p. 239.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
161
della consegna degli stessi. Infatti, salvo casi eccezionali73, l’eventuale
oscillazione del valore della cosa nel tempo compreso fra la stipulazione
del contratto e il ricevimento dell’oggetto acquistato da parte del compratore non altera il rapporto esistente fra il valore che questo possiede se integro e quello derivante dalla presenza del difetto di conformità74.
Il legislatore del 1942, al pari di quello comunitario, nessun indizio
ha poi fornito rispetto al luogo con riferimento al quale deve essere condotta la rilevazione del valore del bene ai fini del calcolo del quantum
della riduzione del corrispettivo. Il silenzio serbato sul punto dalle disposizioni vigenti nel nostro ordinamento rispecchia, peraltro, quello esistente nello stesso codice civile tedesco nonché nell’articolato della Convenzione internazionale in materia di Sale of Goods75.
Sul tema qui trattato, la letteratura riguardante la codificazione civile germanica sembra manifestare una preferenza per la rilevanza dell’Erfüllungsort 76, ancorché tale opzione non sia supportata da motivazioni. Invero, a fronte dell’inesistenza di dati letterali vincolanti nelle disposizioni considerate, si è ritenuto che la soluzione dovesse essere
ricercata dall’interprete attraverso la scelta fra cinque possibili soluzioni:
il luogo di conclusione del contratto, quello di destinazione dei beni che
ne costituiscono l’oggetto77, quello di consegna oppure, infine, quello in
cui si trovano la sede del compratore78 o del venditore. Benché anche in
questo caso, salvo eventi eccezionali, l’utilizzo del metodo di calcolo relativo consenta di concludere per una tendenziale equivalenza dei risultati raggiungibili attraverso l’applicazione dei diversi criteri appena elen73 In riferimento ai quali vale senz’altro la regola fondamentale che àncora la valutazione al momento della conclusione del negozio di compravendita.
74 In un ordine di idee assimilabile al nostro v. le osservazioni di F. BONELLI, La responsabilità per danni, in G. ALPA - M. BESSONE, La vendita internazionale, Milano, 1981, p. 298 s.,
nt. 81.
75 Riguardo a quest’ultima, peraltro, i già citati Official records registrano l’esistenza di
una approfondita discussione in merito all’identificazione del luogo rilevante ai fini de quibus,
nel corso della quale taluni Stati avevano proposto, senza esito, l’inserzione del riferimento
«al luogo della consegna della cosa» o «al luogo della sede ovvero della residenza del compratore». In argomento cfr. M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UNKaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000,
p. 392; R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di
vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 239;
76 Si vedano STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 27 e BECKOK/F.
FAUST, sub § 441 BGB, in Beck-Online, Rn. 9.
77 Con la locuzione “luogo di destinazione dei beni”, coniata con riferimento alla CISG
– laddove il trasporto delle merci compravendute costituisce un’eventualità assai frequente –
si designa il luogo nel quale il compratore utilizzerà il bene, onde distinguerlo dal luogo in cui
avviene la consegna in senso giuridico ai sensi dell’art. 31 CISG.
78 Lo esclude SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., Rn. 12.
162
CAPITOLO TERZO
cati, sembra di poter aderire alla tesi che, in relazione alle ipotesi in cui
la cosa debba essere trasportata, ricollega il valore del bene rilevante ai
fini della determinazione della riduzione del prezzo a quello che lo stesso
possiede nel luogo di destinazione, giacché «goods that have been dispatched to a particular place derive their economic value after dispatch from
their destination and not from the place of dispatch»79. L’opinione, resa
con riferimento alla disciplina dell’art. 50 CISG, si palesa tanto più condivisibile laddove si noti, ulteriormente, come il luogo di destinazione
coincida con lo spazio nel quale, normalmente, avverrà l’utilizzo del bene
sicché proprio tale luogo segna e definisce l’utilità della cosa per il compratore, la quale costituisce il parametro sul quale costui basa la propria
“disponibilità a pagare”, che si riverbera sulla determinazione del prezzo
d’acquisto. Né il fatto che la cosa non debba essere trasportata sembra
possa infirmare la correttezza di tale riferimento spaziale, benché in tal
caso taluni facciano riferimento al luogo della consegna80.
Piuttosto, sembra di poter avvertire che il criterio appena descritto
ben si attagli soltanto alle compravendite che abbiano ad oggetto beni il
cui utilizzo avvenga in un ben preciso luogo, risultando non pienamente
soddisfacente qualora invece – come nel caso di molti beni di consumo –
l’uso degli stessi avvenga prescindendo da una ben determinata collocazione spaziale: in tali ipotesi, pertanto, in considerazione della funzione
della riduzione del corrispettivo, riterremmo opportuno fare riferimento
al luogo del domicilio o della sede del compratore.
Prima di concludere l’analisi delle metodologie di calcolo di tipo relativo sembra necessario mettere in luce come il necessario riferimento al
valore reale dei beni contrattati81 e le articolate soluzioni che abbiamo
79 Sono parole di SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, New YorkOxford, 2010, p. 623. Nello stesso senso cfr. altresì STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50, in
Wiener UN-Kaufrecht, Berlin, 2012, Rn. 22 ove si legge: «beim Versendungskauf und beim
Verkauf auf dem Transport befindlicher Ware muß es aber auf die Wertverhältnisse am Bestimmungsort ankommen, an dem die Ware genutzt werden und für den kaufer ihren Wert haben
soll». Nel senso della rilevanza del luogo in cui si trova la sede del compratore, invece, v. B.
VON HOFMANN, Gewährleistungsansprüche im UN Kaufrecht, in P. SCHLECHTRIEM, Einheitliches
Kaufrecht und nationales Obligationenrecht, Baden Baden, 1987, p. 301.
80 Così si esprimono, con riferimento alla CISG, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti: cfr. OLG Graz 9 novembre 1995, in CISG-online n. 308; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub
art. 50, cit., Rn. 22; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., p. 623.
Sempre con riferimento al luogo di destinazione, invece, WILL, sub art. 50, in C.M. BIANCA M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, Milano, 1987, p. 373.
81 Speciale difficoltà riveste, in particolare, l’identificazione del valore effettivo della
prestazione difettosa, giacché – soprattutto per quanto attiene ai difetti materiali – di frequente non esiste un prezzo di mercato relativo agli oggetti viziati. Peraltro, con riferimento
all’ipotesi di consegna di un’auto avente un chilometraggio reale assai superiore a quello dichiarato, una recente pronuncia di merito (Trib. Trento 30-10-2014, in Pluris) ha accordato al
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
163
appena esposto riguardo al tempo e al luogo rilevanti ai fini della loro applicazione costituiscano un notevole appesantimento del procedimento
che conduce all’attuazione del rimedio della riduzione del corrispettivo,
spesso richiedendo conoscenze che trascendono quelle proprie dell’uomo
medio ed evocando indirettamente la necessità di un accertamento giudiziale o peritale82. Tali inconvenienti rivestono certamente un peso rilevante nella scelta del mezzo di tutela che il compratore si determina a far
valere, sicché non è inutile chiedersi se un differente metodo di calcolo
possa garantire il conseguimento del risultato della conservazione del rapporto sinallagmatico fra le prestazioni delle parti, tipico del metodo relativo, senza sollevare le problematiche applicative cui si è accennato.
Al primo dei quesiti così sollevati possiamo dare, senz’altro, risposta
positiva. Invero, il criterio di calcolo che in apertura del presente Capitolo abbiamo denominato “metodo G” garantisce il raggiungimento di
risultati identici a quelli cui conducono le metodologie relative senza richiedere la rilevazione dei due valori reali che esse invece pongono a fondamento del computo, limitandosi infatti a esigere che sia determinata
l’incidenza percentuale del difetto presentato dalla res sul valore che questa avrebbe avuto ove il difetto non fosse sussistito. Né si dica che tale
metodo “proporzionale puro”, nel richiedere la determinazione della
percentuale di incidenza del difetto sul valore del bene costringa, in sostanza, a operare i medesimi passaggi valutativi insiti nei metodi relativi,
giacché esso opera un’inversione logica per cui la percentuale di corrispettivo da ridurre non è dedotta dal rapporto fra i valori di mercato
bensì direttamente dal grado di incidenza del difetto. A noi pare, pertanto, che il metodo in discorso debba essere considerato perfettamente
compratore la riduzione del prezzo nella misura risultante dal valore di mercato della stessa,
facendo «applicazione del criterio di stima dell’usato indicato nell’allegata rivista specializzata
del settore». Invero, tale procedimento finisce per incorrere nello stesso errore che è alla base
dei metodi assoluti, imponendo alle parti un prezzo ridotto pari a quello di mercato e, pertanto, non necessariamente in grado di assicurare il rispetto del principio di equivalenza soggettiva delle reciproche attribuzioni patrimoniali, sicché intanto esso potrà essere concretamente applicato soltanto in quanto il prezzo originario del bene dedotto in contratto fosse
stato determinato proprio in maniera coincidente con quello di mercato (come spesso accade
per i contratti di vendita fra imprese aventi ad oggetto materie prime). Qualora ciò non sia
avvenuto, invece, sarà necessario fare ricorso al metodo relativo (come si dirà poco oltre) o a
quello proporzionale puro.
82 Simili osservazioni sono state avanzate anche da A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 274 s., il quale però, partendo da queste condivisibili affermazioni e pur accedendo all’idea dell’adozione del metodo proporzionale puro (v. infra nel testo), giunge a ritenere che la quantificazione della riduzione, in ragione della natura tecnica
della valutazione, «deberá operar necesariamente mediante una actividad de peritaje» (p. 275).
83 Nel senso dell’applicazione esclusiva del metodo proporzionale puro, v. invece A.
FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 275 ss.
164
CAPITOLO TERZO
fungibile83 con quello relativo che abbiamo poc’anzi indicato come l’unico idoneo a dare attuazione al rimedio estimatorio84. La sua pratica applicazione si renderà particolarmente utile laddove la modesta rilevanza
economica dello scambio sconsigli il ricorso a complesse e costose analisi
volte alla rilevazione del valore teorico del bene dedotto in contratto e
concretamente trasferito.
2.4. La riduzione del prezzo secondo equità
Nonostante nel paragrafo precedente siamo pervenuti all’identificazione della più soddisfacente metodologia di calcolo della riduzione del
prezzo, la quale si è dimostrata in grado non soltanto di conservare il
rapporto di valore fra le prestazioni rispetto al quale le parti hanno manifestato la propria volizione al tempo della conclusione del contratto,
ma altresì di porre il minor numero di problemi pratici riguardo alla materiale operazione di computo, non è inutile dedicare qualche ultima osservazione alla possibilità che la determinazione dell’incidenza del difetto
sull’ammontare del corrispettivo che il compratore è tenuto a pagare sia
rimessa ad una valutazione equitativa (metodo H).
Sgombriamo subito il campo da equivoci, puntualizzando come intanto possa farsi riferimento all’equità in quanto della stima del vizio sia
investita l’autorità giudiziaria, giacché, da un canto, qualora la riduzione
del corrispettivo avvenga a seguito dell’esercizio stragiudiziale del diritto
potestativo da parte dell’acquirente, egli provvede ad esprimere una valutazione dell’incidenza del difetto coerente con i criteri “legali” sopra
individuati e, dall’altro, anche qualora egli si limiti a manifestare la volontà di ridurre il prezzo omettendone l’esatta determinazione, deve rite84 Tale
metodo di calcolo conta almeno un precedente nella nostra giurisprudenza di legittimità, rappresentato da Cass. 16 novembre 1978, n. 5297, la cui massima recita come segue (il corsivo è nostro): «La riduzione del prezzo, prevista dall’art. 1492 c.c., va operata diminuendo il prezzo pattuito di una percentuale pari a quella che rappresenta la menomazione
che il valore effettivo della cosa subisce a causa dei vizi di essa». Il ricorso al metodo proporzionale puro si può ritrovare anche nel pensiero di un illustre Autore: cfr. A. LUMINOSO, La
vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410 (ove, con riferimento all’ipotesi di vendita di
cosa parzialmente altrui, si legge che «la riduzione del prezzo […] va operata attraverso una
diminuzione della somma dovuta nella stessa misura percentuale in cui decresce il valore
della proprietà del bene»), p. 450 (allorché, trattando della diminuzione del corrispettivo
spettante all’acquirente ai sensi dell’art. 1489 c.c., si rileva come questa vada «effettuata riducendo il prezzo contrattuale (non già il valore di mercato del bene) nella stessa percentuale
della diminuzione di valore del bene conseguente alla presenza della limitazione») e p. 489 (in
cui l’azione estimatoria ex art. 1492 c.c. è detta operare «come al solito, riducendo il prezzo
nella stessa misra percentuale in cui il difetto incide sul valore del bene integro, al fine di
mantenere inalterato l’iniziale rapporto di equivalenza tra cosa e prezzo contrattuale»).
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
165
nersi che la concreta definizione del quantum da ridurre debba essere
operata in aderenza a tali criteri85. Né di equità può parlarsi allorché l’aestimatio vitii sia – già al tempo della denunzia o in esito a una trattativa
più o meno articolata – operata concordemente dalle parti, giacché – così
facendo – esse esercitano la propria autonomia privata e non già danno
luogo a una valutazione ispirata all’equitas.
Non esiguo è il numero di decisioni giurisprudenziali che fanno appello alla valutazione equitativa del giudice al fine di determinare il
prezzo che il compratore è tenuto a pagare in conseguenza delle difformità presentate dall’oggetto del contratto. Un esempio particolarmente
significativo in questo senso è dato da Cass. 6 ottobre 2000, n. 13332, la
quale, partendo dal presupposto secondo cui la legge non imporrebbe –
almeno esplicitamente – particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta in conseguenza della riduzione del prezzo, ha
ritenuto che «il ricorso a criteri equitativi e al prudente apprezzamento
del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, [sia] consentito in questa materia sia in
conformità all’origine e alla tradizione storica dell’actio quanti minoris,
sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema
di risarcimento del danno»86.
Come si è avuto modo di osservare più volte in precedenza, l’idea
secondo cui il ricorso alla quantificazione equitativa sarebbe conforme
all’origine storica e alla funzione del rimedio estimatorio è radicalmente
priva di fondamento: l’analisi storica condotta nel Capitolo 1 rivela anzi
che fin dalla sua nascita essa ha conosciuto precise metodologie di calcolo dell’aestimatio vitii e gli stessi ordinamenti moderni non paiono fare
alcun esplicito appello a tale fonte determinativa. Ne consegue che in
nessun modo la tradizione dell’istituto può essere invocata al fine di imporre la quantificazione equitativa della riduzione del corrispettivo.
Piuttosto, con riferimento all’ordinamento interno, è proprio l’art.
1226 c.c. – seppur dettato per la differente materia risarcitoria – a rivelare quale ruolo possa rivestire la valutazione secondo equità con riferimento al tema che ci occupa. Così come tale disposizione consente il ricorso alla liquidazione del danno in aderenza al canone dell’equità in
tutte le ipotesi in cui sia impossibile provare l’esatto ammontare del
85 Cfr.
supra Capitolo 2 e, infra, par. 3 con riferimento all’ipotesi di esercizio del diritto
non accompagnato dalla determinazione della riduzione del corrispettivo da operare e circa
gli effetti di una dichiarazione di riduzione del prezzo difforme da quella cui condurrebbe
l’applicazione dei metodi “legali” di calcolo.
86 Identica è la statuizione contenuta in Cass. 25 ottobre 1974, n. 3156.
166
CAPITOLO TERZO
danno patito, di tale canone potrà farsi applicazione anche al fine della
rideterminazione del corrispettivo dovuto a seguito dell’esercizio del rimedio estimatorio nei casi in cui, nonostante il ricorso a consulenze tecniche e ad ogni pertinente mezzo di prova, non sia dato raggiungere una
certezza in ordine alla precisa incidenza da riconoscere al difetto sul valore della cosa e, correlativamente, sulla misura del prezzo pattuito. In altre parole, al criterio equitativo può riconoscersi cittadinanza soltanto
quale criterio secondario e suppletivo, la cui applicazione deve avere
luogo limitatamente alle ipotesi con riferimento alle quali «la percentuale
di riduzione non possa essere stabilita nel preciso ammontare»87.
Rimane soltanto da chiedersi se tanto possa dirsi anche con riferimento alla Convenzione di Vienna e sembra che l’interrogativo possa essere senz’altro sciolto in senso positivo: infatti, se è certo che nessuna formula di calcolo della riduzione del corrispettivo diversa da quella indicata all’art. 50 CISG può essere ammessa88, d’altro canto abbiamo
appena riconosciuto come il ricorso all’equità possa e debba avvenire soltanto allorché sia impossibile giungere a un risultato concludente attraverso l’impiego dei metodi ordinariamente applicabili, sicché il rigoroso
rispetto di tale canone applicativo non rischia in alcun modo di porsi in
contrasto con il diritto uniforme.
3.
La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali”
Una delle questioni applicative più rilevanti che si pongono, una
volta che sia stato riconosciuto al compratore il diritto di provocare la riduzione del corrispettivo a mezzo di una propria dichiarazione di volontà unilaterale stragiudiziale, è quella relativa agli effetti che debbono
ascriversi alla manifestazione di volontà di ridurre il prezzo non accompagnata da alcuna determinazione della sua misura89 e a quella che quan87 Le
parole fra virgolette sono tratte dalla già citata Cass. 16 novembre 1978, n. 5297,
la cui massima è riportata supra alla nota 84. Tale impossibilità, contrariamente a quanto ritenuto da Cass. 6 ottobre 2000, n. 13332 (citata poc’anzi nel testo), non va intesa come mera
notevole difficoltà «in relazione alle particolarità del caso, alle risultanze processuali, alle posizioni difensive delle parti» ma va identificata con la situazione in cui qualunque sforzo determinativo razionalmente proporzionato al valore della controversia sia infruttuoso o appaia
destinato a rivelarsi tale.
88 In tal senso v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 20; Pretore di
Locarno Campagna, 27 aprile 1992, in CISG-online n. 68.
89 Nel corso del presente paragrafo designeremo tale fattispecie come dichiarazione di
riduzione del prezzo “pura”.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
167
tifichi la riduzione indicando un importo diverso da quello che risulterebbe dall’applicazione dei criteri proporzionali che abbiamo visto essere
propri del rimedio estimatorio90.
L’importanza del tema non è affatto di poco momento, non essendo
certo necessario fare appello alla consultazione dei repertori per immaginare come, per l’influenza di numerosi fattori, i compratori che riscontrino difetti qualitativi, quantitativi o “giuridici” nei beni acquistati siano
frequentemente indotti a discostarsi, nell’operazione di stima del “vizio,”
dalla quantificazione che risulterebbe qualora fosse impiegato il metodo
di calcolo proporzionale ovvero a limitarsi a richiedere puramente e semplicemente la parziale decurtazione della somma da corrispondere.
In questa seconda evenienza, l’acquirente fa valere il mezzo di tutela
senza però procedere alla quantificazione dell’ammontare della pretesa
conseguente, ciò che a noi pare non possa in alcun modo inficiare validità ed efficacia della dichiarazione di esercizio del diritto potestativo91,
la medesima risultando integrata92 dall’operare dei criteri “legali” di calcolo, da un lato, sanciti dall’espresso dettato dell’art. 50 della Convenzione di Vienna e, dall’altro, implicitamente sottesi ai referenti normativi
di diritto interno in ragione di quanto detto poc’anzi. La dichiarazione
con la quale il compratore esprime la volontà di avvalersi del rimedio esti90 Questo
secondo tema non sembra avere riscosso attenzione nella nostra letteratura.
Ciò, peraltro, è legato al fatto che l’opinione dominante nella dottrina e nella giurisprudenza
del nostro Paese riguardo alla natura giuridica dell’atto di esercizio della riduzione del prezzo
consentita ai sensi degli artt. 1480, 1484, 1489 e 1492 c.c. è nel senso della sua qualificazione
quale diritto potestativo ad esercizio giudiziale (cfr. Capitolo 2), ciò che comporta l’avocazione al giudice della determinazione del quantum della riduzione e, quindi, riduce considerevolmente la rilevanza del tema posto nel testo.
91 Nello stesso senso, v. per tutti BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, Rn. 6, il quale appunto scrive che «Die Minderung muss in der Minderungserklärung nicht beziffert werden; es
genügt die Erklärung, „zu mindern“. Denn die Höhe der Minderung ergibt sich aus dem Gesetz».
92 Il meccanismo integrativo cui si fa riferimento nel testo è quello sancito nell’ordinamento italiano dall’art. 1374 c.c., «il quale prevede che, se le parti hanno lasciato delle lacune
nel regolamento negoziale, […] queste siano colmate, nell’ordine, attraverso la legge (suppletiva), gli usi e, in mancanza anche di questi ultimi, con l’equità» (G. CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, p. 196, oggetto di riproduzione anastatica Napoli,
2013). Tale regola, in forza del noto disposto dell’art. 1324 c.c., è applicabile altresì agli atti
unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, fra i quali rientra senz’altro l’atto di esercizio del diritto potestativo di riduzione del corrispettivo. Benché il criterio determinativo della
riduzione del corrispettivo non sia espressamente sancito a livello legislativo dal codice civile
e da quello del consumo, cionondimeno può dirsi operante l’intergrazione in discorso in considerazione del fatto che – come abbiamo visto nella pagine che precedono – l’adozione del
metodo relativo di calcolo è sostanzialmente necessitata dalla funzione stessa della quanti minoris e, quindi, può dirsi penetrata nell’ordinamento per il solo fatto della previsione legislativa del rimedio estimatorio.
168
CAPITOLO TERZO
matorio, esercitando il relativo diritto potestativo riconosciutogli, può
avere, in sostanza, un contenuto semplice o complesso, a seconda che costui si limiti a manifestare la propria determinazione di ricorrere alla riduzione del corrispettivo ovvero, oltre a fare ciò, proceda altresì a fissare
l’ammontare della decurtazione. Non sembra, quindi, possibile ritenere
che la dichiarazione “pura” sia improduttiva di effetti giacché l’ordinamento prevede una apposita regolamentazione del calcolo dell’aestimatio
vitii e la relativa lacuna dell’atto negoziale di esercizio del diritto di diminuzione del prezzo può e deve essere colmata attraverso l’applicazione di
tale regolamentazione: pertanto la dichiarazione “pura” produce interamente e senza eccezioni tutti gli effetti tipici della riduzione del prezzo93.
Differente è la situazione che si produce nell’eventualità in cui l’acquirente, pur procedendo a quantificare la riduzione, lo faccia – dolosamente, colposamente o anche senza colpa, ciò non rilevando in questa
sede – in una misura diversa da quella che risulterebbe dall’applicazione
dei più volte menzionati criteri; quando ciò accade, l’esercizio del relativo diritto potestativo avviene secondo modalità difformi rispetto a
quelle normali, ciò che potrebbe indurre l’interprete a concludere frettolosamente nel senso che la dichiarazione di volontà del compratore sia
radicalmente improduttiva di effetti. Una simile conclusione non è, però,
ragionevole. Come risulta dal fatto che la quantificazione dell’ammontare
della riduzione può anche mancare, la dichiarazione de qua è scomponibile in due distinti enunciati, di cui il secondo (la quantificazione, appunto) è accessorio rispetto al primo, sicché – facendo applicazione del
principio di conservazione degli atti negoziali, alla cui stregua utile per
inutile non vitiatur – essa, a dispetto dell’intento manifestato dall’acquirente, non potrà far soggiacere il venditore alla riduzione del corrispettivo dovuto nella misura desiderata dal dichiarante, ma neppure sarà totalmente improduttiva di effetti.
93 È
appena il caso di notare come nella letteratura inglese in materia di riduzione del
prezzo, con riferimento alla Section 48C SoGA (e altrettanto, con ogni probabilità, avverrà in
relazione alla recente Section 24 del Consumer Rights Act 2015) si tenda a ritenere (cfr. M.G.
BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 706 s.) che la stima del difetto sia per intero rimessa all’iniziativa del venditore mentre sul compratore gravi l’onere della prova dell’errata quantificazione della riduzione. Come già scritto in precedenza, nel Capitolo 2, a noi pare che una simile opinione, benché possa trovare un addentellato nel fatto che il dettato letterale della disposizione citata fa riferimento al diritto del compratore non già di ridurre il prezzo ma di
richiedere al venditore «to reduce the purchase price of the goods in question to the buyer by an
appropriate amount», contrasti palesemente con il principio di effettività del diritto comunitario e con le finalità di tutela del consumatore della direttiva 1999/44/CE, pregiudicando
fortemente la posizione di quest’ultimo il quale viene gravato dell’onere di una prova per lui
assai difficile da assolvere.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
169
Deve ritenersi, in particolare, che – fermo il prodursi degli effetti tipicamente propri dell’esercizio del diritto94 – la fissazione dell’aestimatio
vitii in misura diversa da quella legale abbia sostanzialmente il significato
di una proposta di conclusione di un accordo relativo alla determinazione consensuale della decurtazione, facendo sorgere in capo al venditore un’obbligazione restitutoria provvisoriamente illiquida ovvero rendendo temporaneamente tale l’obbligazione di prezzo che l’acquirente
debba ancora adempiere totalmente. Qualora la controparte accetti95 la
proposta in discorso, le parti daranno luogo alla liquidazione pattizia
della riduzione del corrispettivo, la quale avrà luogo nell’esatto ammontare fissato in forza del patto96. Ove, invece, egli rifiuti espressamente la
determinazione effettuata dal compratore così come allorché, più radicalmente, contesti l’esistenza del difetto dell’attribuzione patrimoniale o
la spettanza della riduzione del prezzo ovvero ancora richieda il pagamento dell’intero prezzo o proponga una decurtazione in misura diversa,
l’accordo in ordine alla liquidazione pattizia della riduzione non si perfezionerà, sicché esso verrà sostituito dall’operare dei criteri determinativi
legali. Peraltro, come avremo modo di approfondire nel corso del Capitolo 4, tale contegno potrà anche consentire all’acquirente di esercitare
un diverso mezzo di tutela.
4.
L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della
quantificazione della riduzione del corrispettivo
Nel regolare le conseguenze restitutorie dell’esperimento dei rimedi
sussidiari, l’art. 130, comma 8 c.cons. prevede che la determinazione del94 Pertanto, tale dichiarazione è pienamente atta a interrompere il decorso del termine
prescrizionale.
95 Tale accettazione può essere esplicita, ma anche essere dedotta implicitamente dal
contegno del venditore, il quale – ad esempio – si limiti a pretendere il residuo prezzo nella
misura risultante dalla decurtazione proposta dal compratore.
96 Deve ritenersi che tale conseguenza si produca anche nella (peraltro, crediamo, non
frequente) ipotesi in cui – pur non manifestando un’espressa adesione – il venditore non faccia constare in alcun modo il proprio dissenso rispetto alla determinazione del quantum della
riduzione proposto dal compratore, giacché, date le circostanze e il fatto che l’attuazione del
rimedio fatto valere da costui non può rimanere indefinitamente sospesa a causa del contegno
assunto dal venditore, il dovere di buona fede gravante su quest’ultimo lo onera di far constare la propria posizione. D’altronde, da tempo, la dottrina e la giurisprudenza sono propense a valutare la “concludenza” del silenzio serbato da un contraente in relazione alle ipotesi in cui, in ragione della vigenza di un rapporto già instaurato e del dovere di buona fede,
questi deve considerarsi “onerato” del dovere di far constare la propria volontà rispetto a
quanto espresso dalla controparte (cfr. V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano,
2001, p. 202 s. e Cass. 16 marzo 2007, n. 6162).
170
CAPITOLO TERZO
l’importo della riduzione del prezzo – al pari della quantificazione della
somma da restituire in caso di risoluzione – debba avvenire tenendo
conto anche dell’«uso del bene»97.
La disposizione appare, già prima facie, quantomeno originale, dal
momento che di una simile previsione non v’è traccia non soltanto nella
disciplina codicistica delle garanzie per vizi98 ed evizione, ma neppure in
quella, assai più articolata, contenuta nell’art. 50 CISG. Di più: non è affatto chiaro per quale motivo nella determinazione del quantum della riduzione del corrispettivo dovrebbero rilevare, quali fattori da portare in
detrazione sull’importo della riduzione calcolato in base al metodo adottato, i vantaggi ritratti dal consumatore dall’utilizzo della cosa nelle more
fra la consegna e l’esperimento del rimedio o l’eventuale diminuzione di
valore della stessa in ragione dell’uso99, giacché ciò comporterebbe l’obbligo per il compratore di “indennizzare” il professionista per l’uso di un
bene che gli appartiene100 (e del quale non intende perdere la disponibi97 Come si dirà amplius nel testo, la disposizione de qua è stata introdotta dal legislatore
italiano sulla base del quindicesimo Considerando della direttiva 1999/44/CE, il quale riconosceva agli Stati membri la facoltà di «prevedere che il rimborso al consumatore può essere
ridotto, in considerazione dell’uso che quest’ultimo ha fatto del bene dal momento della consegna».
98 In proposito, la consultazione del progetto ministeriale del Libro delle obbligazioni
consente di riscontrare come originariamente, con riferimento alla sola risoluzione conseguente all’operare della garanzia per vizi, esso contenesse una disposizione (l’art. 332) la
quale faceva obbligo al compratore di «restituire la cosa con gli utili ricavati nel frattempo»,
al contempo onerando il venditore di restituire il prezzo con gli interessi legali dal giorno del
pagamento. In proposito v. le osservazioni di A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e
obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 334 s.
L’art. 1493, comma 2 c.c., invece, prevede soltanto che, a seguito della risoluzione, «il
compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi», nulla disponendo per l’uso, la diminuzione di valore e i deterioramenti (v. P. GRECO - G. COTTINO, sub
art. 1492-1494, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 269) sia in
caso di risoluzione, sia in quello di riduzione del prezzo. Sul punto si tornerà infra nel testo.
99 Secondo A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 92,
il computo della riduzione del prezzo dovrebbe avvenire tenendo conto soltanto del primo
correttivo, consistente nelle utilità conseguite dal consumatore attraverso l’uso del bene; su
una linea di pensiero non dissimile, v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di
consumo, in Le nuove leggi civ. comm., 2006, p. 228 e A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di
beni di consumo», in Europa dir. priv., 2003, p. 455. Ad avviso di F. BOCCHINI, sub art. 1519quater, in ID., La vendita di cose mobili, cit., p. 457 s. e M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater,
in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 288, invece, dovrebbe tenersi conto altresì della perdita di valore del bene conseguente all’utilizzo del medesimo da parte del consumatore.
100 Né è destinato a ritornare nella sfera giuridica dell’alienante a seguito dell’esperimento della riduzione del prezzo, contrariamente a quanto accadrebbe qualora l’acquirente si
determinasse ad esercitare l’azione di risoluzione del contratto.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
171
lità) e il cui utilizzo, pertanto, è avvenuto in maniera pienamente legittima101, quale esplicazione del diritto dell’acquirente sul bene.
Per vero, il valore d’uso del bene, unitamente ai frutti che il medesimo abbia prodotto102, costituisce tipicamente oggetto delle obbligazioni
restitutorie che possono scaturire dalla risoluzione o dall’invalidità di un
contratto traslativo103 già eseguito104. Una disciplina di questo segno, infatti, è espressamente prevista dall’art. 84 CISG105, il quale – nel regolare
gli effetti dell’avoidance of the contract – pone a carico del compratore
l’obbligo di restituire «all benefits which he has derived from the goods or
part of them»106, comunemente interpretato quale completamento107 degli
obblighi restitutori primari sanciti dall’art. 81, comma 2 della medesima
Convenzione.
Volgendo lo sguardo ai diritti nazionali, si può riscontrare come una
disciplina di contenuto analogo sia vigente in Germania, laddove la
101 Lo
notano, ex plurimis, anche E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Artt. 1519-bis
- 1519-nonies. Della vendita di beni di consumo, cit., p. 134; C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID.,
La vendita di beni di consumo, cit., p. 229, il quale ritiene che «la disposizione [sia] di difficile comprensione»; L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V.
MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 450 ss., ad avviso dei quali la decisione del legislatore italiano di imporre tale
considerazione dell’uso della cosa è stata «un’infelice iniziativa»; R. OMODEI-SALÈ, sub art.
130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 849 s.
102 L’uso del bene si distingue dalla percezione dei frutti per il fatto di non consistere
nell’acquisizione di utilità distinte ed autonome rispetto alla res.
103 Deve essere avvertito come, nei contratti che non trasferiscono all’accipiens il godimento del bene e la facoltà di acquisirne i frutti (si pensi, ad esempio, al deposito), il problema della restituzione di tali utilità non si ponga nei medesimi termini che si vengono esponendo nel testo, giacché la pretesa alla restituzione di queste non scaturisce dalla sopravvenuta inefficacia del titolo, bensì dall’originaria assenza di legittimazione all’appropriazione
dei frutti e al godimento della cosa da parte di costui.
104 Sul tema cfr. da ultimo E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 318
ss. e p. 396 ss.
105 Con riferimento a tale disposizione v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 84 CIGS, in
Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013; J.O. HONNOLD, Uniform Law for International Sales under the 1980 United Nations Convention, The Hague, 1999, p. 515 ss.; M. BRIDGE, The Nature
and Consequences of Avoidance of the Contract Under the United Nation Convention on the
International Sale of Goods, in International Law Review of Wuhan University, 2008-2009,
p. 118 ss.
106 Cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 84 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin,
2013, Rn 14.
107 Espressivamente, J.O. HONNOLD, Uniform Law for International Sales under the
1980 United Nations Convention, cit., p. 515 definisce le obbligazioni sancite dall’art. 84
CISG come «ancillary to the obligations of each party», mentre I. SCHWENZER - C. FOUNTOULAKIS - M. DIMSEY, International Sales Law. A Guide to the CISG, Oxford-Portland, 2012, p.
617 mettono in evidenza che «the purpose of the rule is to reinstate the parties in the economic
position in which they were before exchanging performances».
172
CAPITOLO TERZO
Schuldrechtsmodernisierung ha codificato nel § 346, comma 1 nF BGB108
un’ampia e stringente regola restitutoria volta a ripristinare lo status quo
ante la conclusione del contratto, a mente della quale «Hat sich eine Vertragspartei vertraglich den Rücktritt vorbehalten oder steht ihr ein gesetzliches Rücktrittsrecht zu, so sind im Falle des Rücktritts die empfangenen
Leistungen zurückzugewähren und die gezogenen Nutzungen herauszugeben». Tale disposizione ha portata generale, in quanto risulta applicabile
ad ogni ipotesi di restituzione di beni per effetto dell’esercizio del diritto
di recesso109, e con riferimento ai beni di uso quotidiano (Güter des täglichen Gebrauchs) è stata specificata dalla prassi attraverso l’elaborazione di un semplice criterio di calcolo dell’indennità, in forza del quale
la stessa va determinata tenendo conto della durata dell’uso del bene
fatto dall’acquirente e del rapporto fra prezzo lordo dello stesso e presumibile sua vita utile110.
Nell’ordinamento italiano, il legislatore ha regolato questo aspetto
delle obbligazioni restitutorie conseguenti alla risoluzione soltanto con
riferimento alle vendite di beni di consumo, al citato art. 130, comma 8
c.cons., e a quelle con pagamento rateale cui accede la clausola di riserva
della proprietà111, con riferimento alle quali ultime si prevede che, «se la
108 Prima della Riforma del diritto delle obbligazioni, peraltro, un’analoga disciplina
trovava sede nel § 347 aF BGB, il quale – dopo aver regolato al comma 1 la responsabilità per
deterioramento del bene, perimento fortuito dello stesso e altre cause di impossibilità di restituzione del medesimo – al comma 2 si occupava appunto della pretesa relativa alla compensazione per l’uso della res: «1. Der Anspruch auf Schadensersatz wegen Verschlechterung,
Unterganges oder einer aus einem anderen Grunde eintretenden Unmöglichkeit der Herausgabe
bestimmt sich im Falle des Rücktritts von dem Empfange der Leistung an nach den Vorschriften, welche für das Verhältnis zwischen dem Eigentümer und dem Besitzer von dem Eintritte
der Rechtshängigkeit des Eigentumsanspruchs an gelten. 2. Das gleiche gilt von dem Anspruch
auf Herausgabe oder Vergütung von Nutzungen und von dem Anspruch auf Ersatz von Verwendungen». Tale disciplina, però, si riferiva espressamente alle sole ipotesi di recesso convenzionale, mentre quella attualmente vigente si applica a tutte le ipotesi di recesso, anche di
fonte legale. Un ampio raffronto fra la regolamentazione anteriore alla Schuldrechtsmodernisierung e quella entrata in vigore il 1° gennaio 2002 può leggersi in R. ZIMMERMANN, Restitution after Termination for Breach of Contract: German Law after Reform 2002, in A. BURROWS
- A. RODGER, Mapping the Law. Essays in Memory of Peter Birks, Oxford, 2006, p. 323 ss.
109 Cfr. MÜNCHKOMM-BGB/R. GAIER, sub § 346, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 23 s.
110 Il metodo di calcolo esposto nel testo si può ritrovare in MÜNCHKOMM-BGB/R.
GAIER, sub § 346, cit., Rn. 26 ss.; D. KAISER, Die Rechtsfolgen des Rücktritts in der Schuldrechtsreform, in JZ, 2001, p. 1066; HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 346 BGB, 8. Aufl.,
München, 2014, Rn. 13. Tale criterio è utilizzato altresì dalla giurisprudenza: cfr., ad esempio,
BGH 26 giugno 1991, VIII ZR 198/90, in NJW, 1991, p. 2484 ss.
111 Ad avviso di A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie,
in Studi in onore di Auletta, II, cit., p. 342 la disciplina apprestata dall’art. 1526 c.c. «ha lo
specifico compito di precisare il contenuto dell’obbligazione restitutoria dell’accipiens in rela-
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
173
risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore»,
costui è tenuto a corrispondere all’alienante, fra l’altro, «un equo compenso per l’uso della cosa». Tali previsioni sono volte a garantire al venditore un’indennità parametrata al mero godimento del bene e non già
legata all’effettiva sussistenza di un suo deterioramento dovuto all’uso112.
La disciplina generale dedicata dall’art. 1493 c.c. agli effetti dell’esperimento dell’azione redibitoria, invece, non fa alcuna menzione di un
simile obbligo dell’acquirente113, limitandosi a imporre quello di restituzione della cosa, salvo che la stessa sia perita in conseguenza dei vizi
(comma 2). Ciò non ha peraltro impedito alla giurisprudenza e a parte
della dottrina114 di concludere che «gli effetti restitutori previsti, nell’ambito della garanzia per vizi della cosa venduta, dall’art 1493 c.c. [debbano comprendere] non solo […] la restituzione della cosa e dei suoi
frutti, ma anche […] l’accredito al possessore di determinati rimborsi, in
zione ad una fattispecie (la vendita con riserva della proprietà) avente tipicamente ad oggetto
beni rispetto ai quali è per definizione inutilizzabile il tradizionale criterio dei frutti». Analogamente, E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 416, la quale mette in evidenza come la
regola di restituzione del godimento sia prevista, nel nostro ordinamento, da due discipline
speciali caratterizzate dal fatto che «il contratto, in entrambi i casi, è naturalmente rivolto alla
commercializzazione di beni di consumo».
112 In questo stesso senso v. E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 417; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012, p. 132, il quale correttamente ritiene che «il riferimento al termine “equità” implica non certo una mitigazione dell’importo, quanto la necessità di identificare tale somma attraverso la complessiva valutazione di diversi parametri: il
tempo trascorso, l’uso che è stato fatto, la deperibilità del bene e il prezzo identificato per la
vendita» (contra, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1526, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja
Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 447, nota 3 e Cass. 2001, n. 4208, secondo cui la legge non
impone una rigida correlazione all’entità del godimento, sicché la valutazione andrebbe condotta con riferimento al margine di guadagno che il concedente si riprometteva di trarre dall’esecuzione del contratto). La giurisprudenza, peraltro, propende per ricondurre all’equo
compenso di cui all’art. 1526 c.c. le pretese relative non soltanto alla remunerazione del godimento del bene, ma altresì al deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come
nuovo e al logoramento causato dall’uso: cfr., fra le più recenti, Cass. 10 settembre 2010, n.
19287; Cass. 8 gennaio 2010, n. 72; Cass. 23 maggio 2008, n. 13418; Cass. 13 gennaio 2005,
n. 574. Va, però, precisato come l’equo compenso costituisca «la contropartita dell’uso e del
naturale deterioramento della cosa, dipendente dal tempo trascorso, mentre per l’ulteriore
deprezzamento dovuto a cause fuori dall’ordinario soccorre il risarcimento del danno»: così
già Cass. 20 ottobre 1956, n. 3767.
113 Come accennato, il progetto ministeriale del Libro delle obbligazioni prevedeva,
peraltro, all’art. 332 che a seguito della risoluzione il compratore dovesse «restituire la cosa
con gli utili ricavati nel frattempo». La disposizione non è stata poi accolta nel testo definitivo del c.c.
114 L’opinione conta adesioni soprattutto nella manualistica e nella trattatistica. Fra i
molti, v. R. SACCO, Le risoluzioni per inadempimento, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, in
Tratt. Sacco, Torino, 2004, p. 669 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 949;
F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 1008.
174
CAPITOLO TERZO
relazione al suo stato soggettivo di buona o di mala fede»115, fondando
tali obblighi sul principio dell’indebito, mentre altra parte degli interpreti ritiene che il dovere di restituzione relativo all’uso della res, così
come quello dei frutti, derivi direttamente dalla necessità che anche la
fase delle restituzioni contrattuali rispetti il principio di equilibrio sinallagmatico fissato dal contratto e alterato dall’inadempimento116.
In ragione della difficoltà di conciliare l’effetto conservativo dello
scambio derivante dalla riduzione del prezzo con la previsione del computo «dell’uso del bene» nella determinazione dell’importo della riduzione del prezzo117, taluni – a fronte del dettato dell’art. 130, comma 8
c.cons. – hanno suggerito di intendere quest’obbligo come limitato al
solo vantaggio concretamente tratto dall’uso della cosa, non comprensivo
dell’eventuale diminuzione di valore della stessa118, sicché in tal modo la
previsione potrebbe essere ritenuta espressione del principio dell’ingiustificato arricchimento119. Sennonché, non si vede di quale arricchimento
privo di causa venga a godere il consumatore che utilizzi la cosa viziata e
successivamente pretenda la riduzione del prezzo di vendita, giacché l’utilizzo del bene costituisce oggetto di una sua legittima facoltà in ragione
della proprietà che vanta sullo stesso e, ciò che più conta, a seguito del115 Il
testo riportato fra parentesi è estratto dalla massima ufficiale di Cass. 6 dicembre
1972, n. 3533, la quale fa riferimento agli artt. 2033, 2040 e 1149 c.c. Contra, però, Cass. 19
maggio 1969, n. 1745, la quale, facendo leva sulla possibile compensazione fra i vantaggi
ritratti dall’uso e il risarcimento spettante al compratore per «l’impossibilità di un uso pieno
e normale della cosa», ha ritenuto che «per effetto della garanzia cui è tenuto il venditore, il
compratore di cosa affetta da vizi, il quale si avvalga del rimedio risolutorio, è esonerato così
dalla restituzione dei frutti eventualmente percepiti prima della domanda come dal pagamento di un corrispettivo per il godimento diretto della cosa, sia oppur no derivato deterioramento dalla marginale utilizzazione resasi in ipotesi possibile malgrado la sua inidoneità all’uso previsto». Peraltro, va notato come la pronuncia giunga all’affermazione appena riportata senza tenere conto che, mentre l’effetto restitutorio cui è connesso l’indennizzo per l’uso
del bene deriva dall’esperimento dell’azione redibitoria e quindi sorge sulla base dell’oggettiva presenza del vizio e del fatto che l’accipiens ha adoperato il bene, il credito da risarcimento del danno in capo a costui ha quale differente – e non invariabilmente ricorrente –
presupposto la sussistenza della colpa del venditore: ne consegue che tale (parziale o totale)
compensazione può ricorrere in concreto ma può anche non verificarsi affatto, qualora l’alienante provi di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.
116 Cfr. ancora E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 408 ss.
117 Rectius, con il riconoscimento al venditore di un diritto di credito avente ad oggetto
un indennizzo per il godimento che l’acquirente abbia ritratto dalla cosa.
118 Così, come accennato, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 92 s.
119 In questo senso, infatti, A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E.
MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», cit., p.
455, ad avviso del quale la disposizione de qua «non impone alcun indennizzo per la perdita
di valore […], ma applica un regola di restituzione dell’arricchimento».
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
175
l’esperimento del rimedio, questo non deve essere restituito al professionista120.
Invero, la previsione contenuta nel comma 8 dell’art. 130 c.cons. è
stata introdotta dal legislatore italiano approfittando della facoltà concessa dal 15° Considerando della direttiva 1999/44/CE, ai sensi del quale
gli Stati membri sono autorizzati a disporre che i rimborsi al consumatore possano essere «ridott[i] in considerazione dell’uso […] del bene»
dal momento della consegna, nonché a dettare regole sulle modalità di
attuazione della risoluzione121. Proprio la lettura del Considerando nel
suo complesso sembra avvalorare la tesi secondo cui il riferimento
espresso dal legislatore comunitario debba intendersi limitato alla sola
risoluzione del contratto, con riguardo alla quale la regola che impone al
consumatore di indennizzare il venditore delle utilità ricavate dall’uso
del bene (così come delle eventuali perdite di valore che la cosa abbia
subito in conseguenza dell’impiego, ove si ritenga di accogliere tale interpretazione122) può trovare spiegazione nell’utilità che il compratore
ritrae da un bene il quale, a seguito dell’esperimento del rimedio, ritorna nella titolarità dell’alienante123, nonché nell’impossibilità per il
venditore di commerciare la cosa come “nuova” – o, comunque, come
avente la medesima vetustà o le medesime caratteristiche funzionali ed
estetiche che possedeva al tempo del primo contratto – a seguito della
restituzione.
Ove si consideri, da un canto, che il Considerando della direttiva
detta una duplice regola, la cui applicazione è espressamente limitata alla
sola risoluzione del contratto soltanto con riferimento alla parte di questa che consente la regolazione a livello di legislazioni nazionali delle mo120 Lo pone in luce, giustamente, G. DE NOVA, in AA.VV., L’acquisto di beni di consumo,
Milano, 2002, p. 3.
121 Tale è, infatti, il significato da attribuire all’espressione «accordi dettagliati con i
quali può essere disciplinata la risoluzione», la cui natura di errata trasposizione linguistica
del testo inglese («detailed arrangements whereby rescission of the contract is effected may be
laid down in national law») appare lapalissianamente non appena venga confrontata con i testi in lingua francese (ove compare la dizione: «les modalités de résolution du contrat»), spagnola (che richiama «las modalidades de resolución de los contratos») o tedesca (laddove il riferimento è a «die Regelungen über die Modalitäten der Durchfürung der Vertragsauflösung»).
122 Per la quale, oltre agli Autori già citati alla nota 99, cfr. altresì L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI,
Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 422.
123 Nel senso che questa costituirebbe la ragione della simile previsione contenuta nell’art. 1526, comma 1, c.c. v., per tutti, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1526, in IID., Vendita,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 446 s. Per un collegamento fra l’art. 130, comma 8 c.cons.
e l’art. 1526, comma 1, c.c. v. A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», cit., p. 455.
176
CAPITOLO TERZO
dalità specifiche delle conseguenze dell’esperimento di tale rimedio e,
dall’altro, che l’estensione della restante parte della previsione anche alla
riduzione del prezzo conduce a risultati palesemente incompatibili con la
logica sottesa a questo secondo mezzo di tutela124, deve a nostro avviso
concludersi nel senso della contrarietà alla direttiva della scelta operata
dal Governo italiano in sede di attuazione125.
Tale conclusione, peraltro, appare tanto più ragionevole alla luce
delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia CE,
17 aprile 2008, C-404/06, Quelle126, con la quale la Corte di Lussemburgo si è pronunciata in ordine alla compatibilità con l’art. 3 della di-
124 Cfr. infra testo e note.
125 Nello stesso senso v. S.
CHERTI, L’art. 3 della direttiva 1999/44/CE al vaglio dei giudici comunitari: l’elevato livello di protezione dei consumatori come criterio di interpretazione
privilegiato della normativa consumeristica, in www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com, p. 32.
126 Nella nostra letteratura, con riferimento a tale pronuncia si vedano, oltre al contributo citato alla nota precedente, G. CAPILLI, La direttiva sulla vendita dei beni di consumo al
vaglio della Corte di giustizia, in Contratti, 2008, p. 734 ss.; A. DE FRANCESCHI, La sostituzione
del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE, 17 aprile 2008, C404/06), in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 559 ss.; L. MANGIARACINA, La gratuità della sostituzione
del prodotto difettoso nella direttiva 1999/44/CE: la normativa tedesca al vaglio della Corte di
giustizia, in Europa dir. priv., 2009, p. 191 ss.; R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella
vendita, Torino, 2014, p. 185 s.
Fra i commenti apparsi nel panorama europeo, senza pretesa di completezza, cfr. M.
DUPONT, Le consommateur n’est pas tenu d’indemniser le vendeur d’un bien de consommation
défectueux pour l’usage qu’il en a fait jusqu’à son remplacement, in Droit de la consommation,
2008, p. 77 ss.; G. PIGNARRE - L.F. PIGNARRE, A propos de la gratuité du remplacement d’un
bien non conforme, in Recueil Dalloz, 2008, p. 2637 ss.; C. SCHNEIDER - F. AMTENBRINK,
«Quelle»: The possibility, for the seller, to ask for a compensation for the use of goods in replacement of products not in conformity with the contract, in Revue européenne de droit de la consommation, 2008, p. 301 ss.; G. SCHULZE, Kein Nutzungsersatz bei Ersatzlieferung: Anmerkung
zu EuGH, Urteil vom 17.4.2008, C-404/06 - Quelle, in GPR, 2008, p. 128 ss.; S. LORENZ,
Anmerkung zu EuGH, U. v. 17.4.2008–Rs. C-404/06, in Deutsches Autorecht, 2008, p. 330 ss.;
T. MÖLLERS - A. MÖHRING, Recht und Pflicht zur richtlinienkonformen Rechtsfortbildung bei
generellem Umsetzungswillen des Gesetzgebers, in JZ, 2008, p. 919 ss.; H. OFNER, Kein Nutzungsentgelt für den Verkäufer bei Austausch der nicht vertragsgemäßen Sache, in ZfRV, 2008,
p. 57 ss.; S. HERRLER - L. TOMASIC, Keine Nutzungsersatzpflicht im Fall der Neulieferung, in
BB, 2008, p. 1245 ss.; P.S. FISCHINGER, Kein Wertersatz für Nutzung vertragswidrigen Verbrauchsguts, in EuZW, 2008, p. 310 ss.; M. PARDO LEAL, Derecho del vendedor a exigir al consumidor una indemnización por el uso de un bien en caso de sustitución de bienes que no so conformes (Sentencia «Quelle AG» de 17 de abril de 2008, asunto C-404/06), in Revista electrónica
de Derecho del Consumo y de la Alimentación, 2008, n. 18, p. 29 ss.; O. MÖRSDORF, Verpflichtung des Käufers zur Zahlung eines Nutzungsentgelts im Rahmen der Neulieferung einer
mangelhaften Kaufsache, in ZIP, 2008, p. 1409 ss.; B. JUD, (Kein) Nutzungsersatz beim
Austauschanspruch - Erste Entscheidung des EuGH zum neuen Gewährleistungsrecht, in Aktuelles zum Bau- und Vergaberecht. Festschrift zum 30-jährigen Bestehen der Österreichischen
Gesellschaft für Baurecht, Wien, 2008, p. 215 ss.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
177
rettiva 1999/44/CE di una disposizione nazionale127 la quale accordi al
venditore, che abbia provveduto alla sostituzione del bene non
conforme, il diritto di pretendere dal consumatore un indennizzo pecuniario di ammontare corrispondente alle utilità che quest’ultimo abbia
tratto dal bene originariamente consegnato. Dopo avere affermato che «il
legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della
conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della
tutela garantita al consumatore dalla direttiva», con ciò escludendo «la
possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore
nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino
della conformità» medesima128, la sentenza afferma altresì che tale conclusione non può essere infirmata dalla facoltà, concessa ai legislatori nazionali ai sensi del 15° Considerando, di prevedere che il rimborso a favore del consumatore possa essere limitato in considerazione dell’uso che
127 Come
noto, la fattispecie con riferimento alla quale è stata sollevata la domanda di
pronuncia pregiudiziale (BGH, 16 agosto 2006, VIII ZR 200/05) da parte della Corte di Giustizia riguardava la disciplina della sostituzione del bene difettoso prevista dal BGB, il cui §
439, comma 4 nF («Liefert der Verkäufer zum Zwecke der Nacherfüllung eine mangelfreie Sache, so kann er vom Käufer Rückgewähr der mangelhaften Sache nach Maßgabe der §§ 346 bis
348 verlangen») sancisce l’obbligo del compratore, a fronte dell’adempimento della Nacherfüllung mediante consegna di un bene nuovo da parte del venditore, di restituire il bene
originariamente ricevuto «secondo le disposizioni dettate in materia di recesso», le quali –
come già si è detto supra nel testo – prescrivono (fra l’altro) l’obbligo di versare al venditore
un indennizzo per le utilità ritratte dal godimento del bene rivelatosi viziato nel tempo in cui
questo è stato presso il compratore.
128 Il legislatore tedesco, a seguito della pronuncia in argomento, è intervenuto sulla disciplina vigente mediante la novellazione del § 474 nF BGB, il quale ora prescrive che alle
compravendite di beni mobili concluse da professionisti con consumatori il § 439, comma 4
nF si applica esentando il compratore dall’obbligo di indennizzo per il godimento del bene o
la diminuzione di valore. Tale modificazione è stata introdotta dapprima al comma 2 del
§ 474 nF BGB, ad opera dell’art. 5 del Gesetz zur Durchführung des Übereinkommens vom 30.
Oktober 2007 über die gerichtliche Zuständigkeit und die Anerkennung und Vollstreckung von
Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen und zur Änderung des Bürgerlichen Gesetzbuchs
del 10 dicembre 2008; a seguito della riformulazione del § 474 BGB operata dal Gesetz zur
Umsetzung der Verbraucherrechterichtlinie und zur Änderung des Gesetzes zur Regelung der
Wohnungsvermittlung del 20 settembre 2013, la previsione è ora contenuta al comma 5 del
medesimo paragrafo.
Come correttamente nota A. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme»
al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE, 17 aprile 2008, C-404/06), cit., p. 567, in
virtù dei descritti interventi oggi l’ordinamento tedesco conosce, «per quanto riguarda il
regime delle restituzioni in caso di sostituzione del bene viziato, […] due diversi statuti: l’uno
concernente le vendite di beni di consumo, in cui il consumatore vanterà la pretesa di sostituzione del bene viziato senza l’obbligo di sostenere qualsivoglia onere economico, e l’altro
dedicato a tutte le rimanenti fattispecie di compravendita, in relazione alle quali pare dunque
oggi a maggior ragione doversi ammettere la pretesa del venditore ad un indennizzo nella
misura delle utilità che il compratore abbia tratto dal bene sostituito».
178
CAPITOLO TERZO
quest’ultimo ha fatto del bene129. Ad avviso della Corte di Giustizia, infatti, il tenore letterale della disposizione mette in luce come l’unica ipotesi considerata dal legislatore comunitario nel Considerando in discorso
sia quella dell’esercizio della risoluzione del contratto130, laddove «in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il
venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del
bene»131. Assai differente è il caso in cui il rimedio esperito sia quello
della riduzione del corrispettivo, allorché non sussiste alcuna esigenza di
restituzione dei reciproci vantaggi conseguenti alla stipulazione del contratto, non producendosi lo scioglimento del rapporto132 ma soltanto l’adattamento del suo contenuto in ragione dell’esistenza del difetto di
conformità del bene.
Per parte nostra, riteniamo peraltro che le conclusioni cui è giunta
la Corte di Giustizia nella sentenza Quelle relativamente all’inestensibilità del precetto contenuto nel 15° Considerando della direttiva
1999/44/CE a fattispecie diverse dalla risoluzione del contratto siano
senz’altro condivisibili, ma non decisive ai fini della scioglimento del
129 Si veda il punto 38 della sentenza.
130 Tale intendimento è palese, ad esempio,
nel testo inglese di recepimento della dir.
1999/44/CE, il quale prevede alla Section 48C del SoGA che: (3) For the purposes of this Part,
if the buyer rescinds the contract, any reimbursement to the buyer may be reduced to take
account of the use he has had of the goods since they were delivered to him. Come si può
notare, la considerazione dell’uso del bene viene espressamente limitata dal legislatore
britannico all’ipotesi di rescission, senza alcuna considerazione per la sostituzione del bene,
né – com’è ovvio – per la riparazione dello stesso o la riduzione del corrispettivo. A seguito
dell’approvazione del Consumer Rights Act 2015, si veda l’articolata disciplina della Section
24 (8) ss., la quale comunque continua ad applicarsi soltanto alle ipotesi in cui il consumatore
risolva il contratto, esercitando il “final right to reject”.
131 Già nelle Conclusioni dell’Avvocato generale Trstenjak (al punto 55) poteva leggersi
come «il fatto che la risoluzione del contratto sia citata solo nella seconda frase di tale “considerando” non significa che la prima e la seconda frase possano essere esaminate separatamente, ma è piuttosto necessario esaminare l’intero quindicesimo “considerando” come un
sistema unitario».
132 Contra, A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Consumatori e subfornitura, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti,
V, cit., p. 252, il quale – nel rigettare il metodo c.d. relativo quale criterio di determinazione
della riduzione del prezzo in favore di quello puramente equitativo – pone l’accento proprio
sulla necessità di tenere conto «dei vantaggi che il consumatore comunque riesce a ritrarre
dall’impiego» del bene. Sembra, però, che l’opinione si esponga a una duplice obiezione: da
un canto, anche qualora davvero si dovesse «tener conto dell’uso del bene» nel calcolo della
riduzione, tale componente si porrebbe quale correttivo ex post rispetto al criterio-base e non
indurrebbe necessariamente all’adozione della valutazione equitativa; dall’altro, come abbiamo tentato di dimostrare nel testo e come indirettamente confermato dalla più volte citata
sentenza Quelle, le utilità che il consumatore ritrae dalla cosa non debbono affatto costituire
oggetto di restituzione, giacché l’esercizio dell’estimatoria non comporta la restituzione della
res al venditore.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
179
nodo interpretativo che riguarda la ripetibilità di eventuali utili conseguiti dal compratore – sia esso consumatore o meno – di un bene viziato
che si determini a richiedere la riduzione del corrispettivo pattuito. Focalizzando la propria attenzione sulla distinta fattispecie di “sostituzione” del bene difettoso, il giudice europeo ha posto l’accento sulla gratuità dell’intervento di ripristino della conformità attuato mediante riparazione o sostituzione e da esso ha dedotto la contrarietà alla direttiva di
una norma nazionale la quale – addossando al consumatore l’obbligo di
restituzione per equivalente degli utili tratti dal bene (viziato) sostituito –
ha l’effetto di violare il precetto di necessaria esenzione da spese della regolarizzazione della prestazione, di cui all’art. 3 della direttiva, e di dissuadere il consumatore stesso dall’esercizio dei propri diritti133.
Tali argomenti, facendo leva su un principio – quello della gratuità
della sostituzione e della riparazione del bene difettoso – che espressamente si riferisce soltanto ai rimedi primari, sono invocabili soltanto indirettamente per la fattispecie di riduzione del corrispettivo, con riferimento alla quale valgono invece pienamente le considerazioni che abbiamo avanzato in apertura del paragrafo. Infatti, mentre nell’ipotesi di
risoluzione del vincolo contrattuale o in quella di sostituzione del bene il
consumatore restituisce al professionista una cosa che ha effettivamente
utilizzato, dalla quale ha tratto delle utilità e che, potenzialmente, potrebbe aver subito un deperimento in conseguenza dell’uso, nelle ipotesi
di riparazione e di riduzione del prezzo la res rimane di titolarità del consumatore, sicché ontologicamente non possono dirsi sussistenti utilità godute da restituire per equivalente al tradens, mentre l’eventuale diminuzione di valore conseguente all’utilizzo non ha alcuna rilevanza, proprio
perché il compratore conserva la proprietà del bene usato.
Tanto vale, pertanto, non solo per le fattispecie regolate dalla disciplina di settore, ma per tutte le ipotesi di riduzione del prezzo richiesta
dal compratore di beni che presentino vizi materiali o giuridici, giacché
in tutte tali ipotesi non ha luogo la restituzione del bene all’alienante.
Raggiunto tale approdo, rimane da affrontare soltanto un ulteriore
profilo, limitrofo benché distinto rispetto al problema relativo all’incidenza dell’uso del bene nel calcolo del quantum della riduzione, ovverosia quello attinente alle due distinte eventualità in cui, da un lato, nel133 La Corte di Giustizia ha, anzi, accolto l’opinione sostenuta dal Governo austriaco e
dall’Avvocato generale Trstenjak, al punto 47 delle Conclusioni (laddove si legge che «l’inconveniente finanziario è un inconveniente supplementare che può essere […] addirittura
più gravoso degli ostacoli pratici in cui può incorrere il consumatore con la sostituzione del
bene»), secondo cui il pagamento di un indennizzo per l’uso costituirebbe un «notevole inconveniente» ai sensi dell’art. 3, comma 3 della direttiva.
180
CAPITOLO TERZO
l’arco temporale che precede il momento in cui l’accipiens si determina a
richiedere la riduzione del prezzo, il bene non abbia manifestato alcun
difetto e quindi abbia apportato al suo utilizzatore tutte le utilità che egli
poteva ragionevolmente attendersi dal bene e non quelle, più ridotte, che
giustificano la pretesa di diminuzione del corrispettivo e, dall’altro,
quella consistente nel fatto che il compratore abbia usato la res con modalità improprie le quali, pur non costituendo la causa dell’insorgenza
del difetto (preesistente alla consegna, ancorché manifestatosi in un momento successivo), abbiano determinato una particolare usura del bene o
lo abbiano danneggiato134.
Peraltro, sembra preferibile ritenere che anche gli accadimenti appena descritti non dispieghino alcun effetto sulla determinazione della
parte di prezzo che il compratore ha diritto di ridurre (o, rectius, sulla
determinazione dell’eventuale somma che il venditore possa richiedere
all’acquirente a fronte dell’esercizio della riduzione del prezzo da parte
di costui). Infatti, con riferimento al secondo degli stessi, va considerato
134 Pur trattando della diversa problematica attinente all’esercizio del diritto di recesso
da parte del consumatore nel contesto di un contratto concluso a distanza, l’argomento relativo alla spettanza al venditore di un’indennità a ristoro del deterioramento (dovuto ad un
uso scorretto) della res vendita la quale debba essere restituita è stato affrontato da Corte
giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07, con la quale la Corte di Lussemburgo ha così statuito:
«L’art. 6, nn. 1, secondo periodo, e 2, della direttiva (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la
quale preveda in modo generico che il venditore possa chiedere al consumatore un’indennità
per l’uso di un bene acquistato tramite un contratto a distanza nel caso in cui quest’ultimo
abbia esercitato il suo diritto di recesso entro i termini. Tuttavia, questo stesso articolo non
osta a che venga imposto al consumatore il pagamento di un’indennità per l’uso di tale bene
nel caso in cui egli abbia fatto uso del detto bene in un modo incompatibile con i principi del
diritto civile, quali la buona fede o l’arricchimento senza giusta causa, a condizione che non
venga pregiudicato il fine della detta direttiva e, in particolare, l’efficacia e l’effettività del diritto di recesso, cosa che spetta al giudice nazionale determinare».
Sulla sentenza citata cfr., ex plurimis, S. PAGLIANTINI, La forma informativa dei c.d.
scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (a proposito di C. giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07), in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 281 ss.; C.A.
PUPPO, Contratti a distanza e recesso nella giurisprudenza comunitaria, in Contratti, 2010, p.
358 ss.; M. COGNOLATO, Contratti del consumatore e «diritto delle restituzioni» (secondo la
Corte di Giustizia CE), in Obbl. e contratti, 2011, p. 29 ss.; Ş. ÖZFIRAT-SKUBINN, Der Fall Pia
Messner - Ein Entscheidungsvorschlag. Zur Vereinbarkeit der deutschen Widerrufsfolgenregelung in § 357 BGB mit der Fernabsatzrichtlinie, in NJOZ, 2010, p. 2006; C. WENDEHORST,
Dauerbaustelle Verbrauchervertrag: Wertersatz bei Widerruf von Fernabsatzverträgen, in NJW
2011, p. 2551 ss.; F. FAUST, Nutzungsersatz beim Widerruf eines Fernabsatzvertrags, in JuS,
2009, p. 1049. In generale, in merito al tema affrontato dalla sentenza, v. ad esempio A.M.
BENEDETTI, voce Recesso del consumatore, in Enc. diritto, Ann. IV, Milano, 2011, p. 975; E.
BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 111 ss. e, spec., p. 416 s.; M. FARNETI, sub art. 67
c.cons., in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 560.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
181
come il danneggiamento o l’insolita usura del bene derivante dal suo uso
scorretto non si riverberi in alcuno svantaggio per il venditore, giacché
nell’ipotesi di riduzione del prezzo egli non si trova a doverne ritornare
titolare135: piuttosto l’esistenza di tali deterioramenti pone il diverso problema di sceverare136 la perdita di funzionalità e di valore derivante dalla
presenza e dal manifestarsi del difetto di conformità della res e quella indotta dallo scorretto uso fattone dall’acquirente, giacché soltanto la
prima può essere posta a base della valutazione preordinata alla determinazione della parte di prezzo da ridurre137.
D’altra parte, neppure il fatto che, prima della manifestazione del vizio, il bene abbia consentito a chi ne ha acquisito la proprietà di farne un
uso corrispondente a quello tipico di un oggetto esente da vizi può indurre a riconoscere al venditore una pretesa creditoria da opporre a
quella derivante dalla riduzione del corrispettivo: infatti, non solo l’utilità
apportata dall’uso del bene al compratore deve essere valutata in relazione all’intera sua vita utile e non già a una parte soltanto della medesima, ma soprattutto non può dimenticarsi come la responsabilità del
venditore si basi sulla sussistenza del difetto già al momento della consegna del bene o della conclusione del contratto, sicché l’eventualità che lo
stesso non si manifesti per un dato periodo non consente di ascrivere alcuna pretesa al venditore.
A fortiori, quanto appena sostenuto, può essere ripetuto – con i dovuti adattamenti – anche per l’ipotesi in cui la res che costituisce oggetto
del contratto di compravendita non sia affetta da vizi materiali ma sia par135 Differente sarebbe, pertanto, la conclusione cui l’interprete potrebbe giungere qualora si facesse riferimento non soltanto all’ipotesi di risoluzione del contratto, ma altresì a
quella di sostituzione della cosa difettosa, con riferimento alla quale cfr. C. HERRESTHAL, Die
Richtlinienwidrigkeit des Nutzungsersatzes bei Nachlieferung im Verbrauchsgüterkauf, in NJWRR, 2008, p. 2476.
136 Com’è facilmente intuibile, la distinzione fra le cause efficienti della perdita di funzionalità e/o valore del bene, benché netta in linea teorica, non è sempre facilmente accertabile all’atto pratico: ciò non infirma, però, quanto stiamo per sostenere nel testo e il fatto che
la valutazione dell’incidenza dei difetti di conformità debba essere condotta non tenendo
conto delle conseguenze indotte dall’uso scorretto del bene da parte del compratore.
137 Con ciò intendiamo dire che soltanto il difetto funzionale e/o di valore indotto dall’esistenza del vizio deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo della riduzione del
prezzo, mentre nessun rilievo può e deve essere riconosciuto alla perdita di funzionalità e/o
pregio derivante dall’uso scorretto della cosa, né in vista della determinazione del quantum di
corrispettivo che il compratore può ridurre, né allo scopo di ascrivere al venditore pretese
creditorie nei confronti dell’acquirente. Infatti, da un canto, il venditore non può essere tenuto a sopportare il peso economico di deterioramenti indotti da un comportamento colposo
dell’attuale titolare della cosa e, dall’altro, non ha titolo per richiedere alcun ristoro in relazione a tali deterioramenti, in quanto gli stessi – a seguito della riduzione del prezzo – rimangono interamente nella sfera dell’accipiens, mantenendo costui la proprietà del bene.
182
CAPITOLO TERZO
zialmente di proprietà altrui (art. 1480 c.c.) ovvero sia gravata da oneri o
diritti di godimento facenti capo a terzi (art. 1489 c.c.) o, infine, sia oggetto di parziale evizione (art. 1484 c.c.). Laddove ricorrano tali irregolarità, infatti, il compratore che richieda la riduzione del prezzo non può ritenersi tenuto a indennizzare il venditore per l’uso della cosa – eventualmente anche pieno ed esclusivo138 – fatto medio tempore né per eventuali
danneggiamenti che tale uso abbia arrecato alla cosa giacché, come più
volte si è detto, la res non viene restituita ma rimane, in ragione e nella misura del diritto effettivamente vantato, nella titolarità di costui139.
In conclusione di quanto si è venuti argomentando, riteniamo che la
previsione del comma 8 dell’art. 130 c.cons. – la quale prevede che la determinazione del quantum della riduzione del prezzo conseguente all’esercizio di tale rimedio debba essere operata “tenendo conto” dell’uso
del bene – non soltanto si palesi innervata di uno spirito contrario alle finalità della direttiva 1999/44/CE, ma ancor prima sia gravemente confliggente con la struttura e la funzione della riduzione del corrispettivo,
la quale, non provocando l’insorgere dell’obbligazione primaria di restituzione del bene oggetto del contratto140, neppure può gravare il compratore di quella, che ne costituisce il corollario, di indennizzare il venditore per l’uso del bene. Ne consegue che, con riferimento alla disci138 Deve
essere tenuto distinto da quello trattato in questa sede il profilo attinente all’eventuale indennizzo dovuto dal compratore per l’uso della cosa nei confronti del terzo proprietario ex art. 1480 c.c. ovvero del terzo che vittoriosamente rivendichi diritti sul bene ai
sensi degli artt. 1484 e 1489 c.c. Qualora l’acquirente abbia usato la cosa nella sua interezza,
escludendo il terzo dal godimento pur vantando un titolo di estensione minore rispetto al godimento effettivamente esercitato, la fattispecie dovrà essere valutata facendo applicazione
delle regole in materia di possesso (artt. 1148 ss. c.c.) e illecito civile, ma ciò non ha alcuna
influenza sul rapporto fra venditore e compratore.
139 Con riferimento all’ipotesi di deterioramento del bene dovuto a usi scorretti, è
appena il caso di notare come l’esperimento della quanti minoris per ragioni non attinenti alla
sussistenza di vizi materiali consenta di non incorrere nelle difficoltà pratiche relative alla
distinzione fra le cause efficienti della perdita di funzionalità e/o valore del bene che si sono
segnalate supra alla nota 136.
140 È appena il caso di notare come la dottrina e la giurisprudenza più recenti ritengano
che tale obbligazione restitutoria non sorga neppure nella limitrofa fattispecie di risoluzione
parziale di un contratto parzialmente eseguito avente ad oggetto una serie di prestazioni fra
loro scindibili: qualora l’accipiens si determini a trattenere la parte di prestazione ricevuta e
richieda la risoluzione parziale del contratto, egli non dovrà restituire alcunché, né corrispondere al tradens indennità per l’uso dei beni consegnati o per i frutti eventualmente percepiti. Sul punto cfr. le già citate Cass. 3 giugno 1991, n. 6244; Cass. 15 aprile 2002, n. 5434;
Cass. 21 dicembre 2004, n. 23657; Cass. 20 maggio 2005, n. 10700; Cass. 2 luglio 2013, n.
16556, nonché A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 231 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 328 ss.; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, cit., p. 71 ss.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
183
plina di settore come a quella di diritto comune, deve concludersi nel
senso dell’insussistenza di un obbligo del compratore di indennizzare il
venditore per l’uso del bene che questi abbia fatto nelle more fra la consegna e l’esperimento del rimedio.
5.
Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi anche a causa di un comportamento colposo del compratore
In chiusura del paragrafo precedente abbiamo avuto modo di affermare l’irrilevanza, ai fini del calcolo della riduzione del prezzo, del
comportamento del compratore che abbia provocato un’usura del bene
difettoso superiore al normale ovvero danneggiamenti del medesimo
che non abbiano influito in ordine alla manifestazione del vizio, né alla
gravità delle conseguenze dello stesso: in tali ipotesi, posta la necessità
di tenere ben distinte la diminuzione di valore della res riconducibile
alle modalità di utilizzo impiegate dall’alienante e quella indotta dalla
presenza del difetto di conformità, il compratore ha diritto di conseguire la piena decuratazione del corrispettivo relativa a quest’ultima,
mentre la prima non dà luogo ad alcuna pretesa risarcitoria in capo al
venditore, giacché, da un canto, essa non ha in alcun modo causato o
aggravato gli effetti della sussistenza della carenza qualitativa della cosa
– i quali, pertanto, debbono essere posti interamente a carico dell’alienante – e, dall’altro, il bene non deve essere restituito a costui, sicché
egli non viene a sopportare, neppure sotto questo punto di vista, la relativa perdita patrimoniale.
Differente, a parer nostro, è la conclusione cui deve pervenire l’interprete nell’ipotesi in cui il comportamento del compratore non già dia
luogo a deterioramenti o danneggiamenti diversi e ulteriori rispetto a
quelli indotti dal difetto di conformità, ma si ponga piuttosto quale concausa del manifestarsi degli effetti di quest’ultimo, il quale si sarebbe rivelato con incidenza e gravità minore qualora l’acquirente non avesse impiegato la cosa secondo date modalità ovvero in determinate condizioni.
Versandosi in quest’ultima fattispecie, infatti, è evidente come al venditore non possa essere addossata per intero la responsabilità in ordine alla
perdita di valore e funzionalità del bene, le medesime derivando soltanto
in parte dalla sussistenza di una deficienza qualitativa al tempo della consegna o della conclusione del contratto. Sebbene dettate con riferimento
al risarcimento del danno, riteniamo debbano essere applicate all’eventualità in discorso le regole che sanciscono la proporzionale responsabilità del concorrente che abbia concorso a cagionare la perdita patrimo-
184
CAPITOLO TERZO
niale con il proprio comportamento colposo141, quali l’art. 1227 c.c.142 e
l’art. 77 CISG143.
L’applicazione di entrambe queste disposizioni, pur nella loro innegabile diversità, conduce sostanzialmente alla ripartizione del peso economico in ragione dell’incidenza della perdita di valore e di utilizzabilità
riconducibile, rispettivamente, al difetto intrinseco del bene e al comportamento del compratore, da operarsi tenendo bene a mente come l’ascrizione della responsabilità al venditore avvenga su base oggettiva, mentre
quella del compratore abbia luogo sulla base del riscontro dell’elemento
soggettivo della colpa. Pertanto, inutilizzabile il criterio della gravità
della colpa144, in entrambe le ipotesi la determinazione della riduzione
del prezzo da accordare all’acquirente andrà condotta valutando «l’entità
141 La
medesima opinione è stata manifestata, al fine di giustificare l’assenza di una previsione normativa specifica diretta a regolare l’ipotesi cui si fa riferimento, nei lavori preparatori della riforma del diritto tedesco delle obbligazioni del 2002: cfr. BT-Drucks 14/6040 p.
235, ove si legge che «Eine Regelung über die Berechnung des Minderungsbetrags bei Mitverantwortung des Käufers für den Mangel ist ebenfalls nicht erforderlich. In welchem Verhältnis
der Minderungsbetrag herabzusetzen ist, wenn der Käufer ausnahmsweise einen Mangel der
Kaufsache mit zu vertreten hat, richtet sich nach den allgemeinen Vorschriften sowie nach dem
Rechtsgedanken des § 254, der auch bei Berechnung des Minderungsbetrags anwendbar ist».
Pertanto, il legislatore germanico suggerisce di fare applicazione, a questo proposito, della regola di ripartizione della responsabilità sancita dal § 254 BGB, la quale non è molto dissimile
da quella di cui all’art. 1227 c.c.
142 È noto come la disposizione in discorso sia oggetto di due distinte ricostruzioni,
l’una volta a ricondurre al comma 1 le ipotesi di concorso colposo del danneggiato nella causazione del danno e al comma 2 quelle in cui il danno è interamente ascrivibile al solo danneggiante, ma il danneggiato avrebbe potuto impedirne o attenuarne le conseguenze (cfr.
C.M. BIANCA, sub art. 1227, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 403 s.; Cass.
9 gennaio 2001, n. 240; Cass. 6 giugno 2007, n. 13242), l’altra imperniata sulla distinzione fra
“danno evento” e “danno conseguenza”, ritenendosi che il comma 1 abbia riguardo al concorso nel fatto produttivo del danno e il comma 2 alle conseguenze patrimoniali derivanti dal
primo (v. L. MENGONI, Inadempimento delle obbligazioni (1943-1946), in Temi, 1946, p. 576 e
P. RESCIGNO, Libertà del «trattamento» sanitario e diligenza del danneggiato, in Studi in onore
di Alberto Asquini, IV, Padova, 1965, p. 1646 s.).
143 Sull’applicabilità della regola sancita dall’art. 77 CISG alla riduzione del prezzo
esercitata a seguito del manifestarsi di difetti di conformità le cui conseguenze economiche
nel patrimonio del compratore sono state aggravate da un comportamento di quest’ultimo, v.
Tribunal of International Commercial Arbitration at the Russian Federation Chamber of Commerce and Industry, 24 gennaio 2000, in CISG-online, n. 1042. Contra, però, STAUDINGER/U.
MAGNUS, sub art. 77 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 7.
144 Benché, come avverte la dottrina (cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 154 s.), la gravità della colpa alla stregua della disposizione di cui all’art. 1227 c.c.
debba essere valutata non nel senso della sua graduazione psicologica, ma quale riscontro dell’entità della violazione delle regole di diligenza, perizia e prudenza, di essa non può farsi impiego ai nostri fini in quanto la valutazione comparativa deve essere condotta fra un comportamento colposo – quello del compratore – e uno – quello dell’alienante – che, come detto,
provoca un’ascrizione di responsabilità su base oggettiva.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
185
delle conseguenze» prodotte sul valore della res dal comportamento colposo di quest’ultimo e quelle indotte dalla presenza del difetto di conformità, per poi sottrarre dalle seconde le prime.
Tale limitazione del quantum della diminuzione del prezzo postula,
in ogni caso, che il venditore assolva all’onere di provare la riconducibilità di parte della perdita di valore del bene al fatto colposo del titolare
della stessa e, qualora ciò ricorra, può rendersi oltremodo utile il ricorso
all’esame peritale al fine di quantificare l’importo monetario corrispondente a ciascuna causa efficiente del deterioramento della cosa.
5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore
Con riferimento all’evizione, contrariamente a quanto accade per i
difetti materiali, è assai più difficilmente identificabile una “corresponsabilità” fra venditore e compratore, la stessa avendo riguardo alla sussistenza o meno del diritto in capo al soggetto che se ne afferma titolare.
Il legislatore ha perciò disciplinato non già le conseguenze dell’evizione indotta parzialmente dal comportamento del compratore, ma la distinta ipotesi in cui, qualora costui sia convenuto da terzi che pretendano
di avere diritti sulla cosa, non assolvendo all’onere della chiamata in
causa del venditore, soccomba nonostante esistano ragioni sufficienti a
consentire il rigetto delle pretese del terzo: ove ciò si verifichi, l’acquirente perde il diritto alla garanzia (e non è legittimato, pertanto, alla riduzione del prezzo), e lo stesso accade qualora spontaneamente riconosca il diritto del terzo, salvo che riesca a dimostrare l’insussistenza di
ragioni che avrebbero potuto impedire l’evizione (art. 1485 c.c.)145. È immediato notare come la disposizione de qua costituisca applicazione della
regola secondo cui la responsabilità oggettiva del venditore trova il proprio limite nel fatto colposo del compratore: qualora la causazione dell’evento – manifestazione del difetto di conformità o, in questo caso, il
verificarsi dell’evizione – sia parzialmente o interamente riconducibile a
un comportamento che l’acquirente abbia posto in essere in violazione
delle regole di diligenza, perizia e prudenza, l’ascrivibilità dell’evento alla
responsabilità dell’alienante viene meno, in parte (come abbiamo veduto
in relazione ai difetti materiali le cui conseguenze sono “esaltate” dallo
scorretto impiego della res) o in toto (come si verifica nella fattispecie di
cui all’art. 1485 c.c. ovvero allorché i difetti manifestati dalla cosa siano
interamente riconducibili all’operato del suo titolare) in ragione dell’effi145 Sulla
disposizione richiamata e, soprattutto, sul concetto di «ragioni sufficienti per
far respingere la domanda», cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1485, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 208 ss.
186
CAPITOLO TERZO
cienza causale del fatto colposo del compratore nella produzione dell’evento medesimo.
6.
Riduzione del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale
Come si è avuto modo di argomentare nel corso del Capitolo 2, l’esercizio della riduzione del corrispettivo a seguito del manifestarsi di un
difetto del bene oggetto del contratto di vendita comporta non soltanto
una decurtazione del prezzo pattuito dalle parti ma altresì un adattamento
del contenuto negoziale in forza del quale l’attribuzione patrimoniale difettosa risulta quella effettivamente dovuta in forza del contratto146.
Qualora, peraltro, a seguito dell’avvenuto esperimento dell’estimatoria, la res vendita evidenzi ulteriori e distinte carenze, il compratore
può senz’altro titolo fare ricorso nuovamente all’apparato di tutela messogli a disposizione dalla legge147 e – trattandosi di un difetto distinto e
non ricollegabile a un aggravamento di quello già invocato a fondamento
della pretesa estimatoria148 – potrà liberamente scegliere di far valere il rimedio che ritenga maggiormente idoneo, nel rispetto delle regole che
presiedono all’accesso ai singoli rimedi149. Pertanto, ancorché abbia richiesto la riduzione del prezzo con riferimento al primo vizio manifestatosi, non troverà alcuna preclusione nella richiesta del ripristino della
conformità della cosa (ove prevista) o della risoluzione del contratto150,
146 Cfr.
147 Già
Capitolo 2, par. 3.
R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a
cura di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 47 avvertiva come «non v’ha dubbio che l’azione Estimatoria può essere ripetutamente intentata. Ma Giuliano dice, doversi badare che il compratore in tal modo non faccia lucro, ed ottenga due volte il valore della cosa». Su questo secondo
punto si legga infra nel testo. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
856 efficacemente scrive che «se la cosa è affetta da più vizi, ciascuno segue la propria sorte».
148 Il punto è ben evidenziato da STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., Berlin,
1978, Rn. 1, ove correttamente si mette in luce che la riduzione del corrispettivo riguarda soltanto il singolo difetto con riferimento al quale la stessa viene fatta valere; pertanto, «tauchen
nach erfolgter Minderung neue Mängel auf, so ist eine erneute Gewährleistung nicht ausgeschlossen».
149 In questo senso era chiarissimo il § 475 aF BGB, il quale disponeva appunto:
«Durch die wegen eines Mangels erfolgte Minderung wird das Recht des Käufers, wegen eines
anderen Mangels Wandelung oder von neuem Minderung zu verlangen, nicht ausgeschlossen».
150 Così, infatti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 857
(«dopo ottenuta la riduzione del prezzo per un vizio, si può chiedere un’ulteriore riduzione
per un secondo vizio […]; dopo rigettata la domanda per insussistenza di un vizio, si può riproporre per un vizio diverso una domanda uguale, oppure passare dalla redibitoria alla
quanti minoris o viceversa; dopo ottenuta la riduzione del prezzo per un vizio, si può financo
chiedere la risoluzione per un altro vizio») e STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl.,
cit., Rn. 1 («Der Käufer kann also erneut mindern, er kann aber auch wandeln»).
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
187
non potendosi ritenere che l’opzione manifestata per prima comporti la
perdita della facoltà di scelta in relazione a difetti manifestatisi successivamente151. Tale conclusione, dissonante con quella che deve essere raggiunta laddove il vizio invocato sia sempre il medesimo, è motivata dal
fatto che ciascun autonomo difetto dell’attribuzione patrimoniale è fonte
di una parimenti indipendente fattispecie di responsabilità del venditore,
i cui contenuti non variano in ragione del fatto di seguire o precedere il
manifestarsi di altri vizi e in relazione alla quale l’alienante non può vantare alcun affidamento che conduca a ritenere che la controparte non
possa valersi del mezzo di tutela ritenuto più opportuno, ancorché diverso da quello già azionato.
Nell’economia della presente trattazione, peraltro, ciò che deve essere in particolare sottolineato è che, qualora la riduzione del corrispettivo sia invocata in seconda o ulteriore battuta, successivamente all’esperimento del medesimo rimedio in relazione a differenti difetti dell’attribuzione patrimoniale, il criterio di calcolo da applicare per l’aestimatio
vitii subisce una modificazione, dovendo quest’ultima essere dedotta dal
rapporto fra il valore del bene in conseguenza del singolo difetto per il
quale è richiesta la quanti minoris e quello che esso avrebbe avuto qualora tale singolo vizio – e non altri – non fosse sussistito. Invero, non può
sfuggire come l’adattamento del contenuto contrattuale che consegue
alla quanti minoris – comportando la modificazione dello stesso parametro di “regolarità” dell’attribuzione patrimoniale – si riverberi sul Sollwert, facendolo coincidere con quello del bene colpito dai soli difetti
per i quali è già stata esercitata la riduzione del prezzo152. Pertanto, la decurtazione dovrà essere operata sul corrispettivo già ridotto, applicando
a quest’ultimo il rapporto risultante fra il valore che il bene possiede in
conseguenza di tutti i difetti che lo caratterizzano e quello che esso
avrebbe avuto qualora il vizio fatto valere con l’ultima riduzione del
prezzo non si fosse manifestato.
Tale metodologia di determinazione è la diretta conseguenza dell’adattamento del contenuto contrattuale conseguente al fatto che la riduzione del prezzo è richiesta una volta che la stessa è già stata esercitata
in precedenza per un diverso difetto: così come, qualora il compratore
151 STAUDINGER/H.
HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., cit., Rn. 1: «Immerhin stellt sie klar,
daß der Käufer durch die wegen des ersten Mangels erfolgte Minderung sein ius variandi nicht
verloren hat». Nello stesso senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 857, secondo il quale l’art. 1492, comma 2 c.c. «vieta solo che […] il rimedio scelto venga
cambiato per il medesimo vizio o i medesimi vizi, ma lascia impregiudicata l’autonomia di
ogni singolo vizio, anche agli effetti dei rimedi invocabili se i singoli vizi vengono fatti valere
in momenti successivi».
152 Cfr. STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., cit., Rn. 2.
188
CAPITOLO TERZO
decidesse di richiedere la risoluzione, la restituzione del corrispettivo dovrebbe avvenire soltanto nei limiti di quello risultante dalla riduzione, anche allorché egli perseveri nell’invocare la tutela estimatoria la decurtazione dovrà avvenire tenendo conto del diverso assetto delle pattuizioni
fra le parti originato dalla precedente riduzione.
7.
La riduzione del corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato
Come più volte si è ripetuto, qualora – una volta riscontrati i difetti
della res consegnata – il compratore si determini all’esercizio della riduzione del corrispettivo, viene a prodursi una modificazione del contenuto
della pattuizione negoziale in esito alla quale la res effettivamente trasferita diviene “conforme al contratto” e il prezzo concordato inizialmente
subisce una decurtazione pari all’importo della riduzione.
Pertanto, se il prezzo non è stato ancora pagato, a seguito dell’esercizio del rimedio153 il compratore è tenuto nei confronti del venditore
soltanto nei limiti del corrispettivo diminuito e non più in ragione del
quantum che aveva costituito l’oggetto dell’accordo; correlativamente, il
credito dell’alienante subisce un adattamento nella misura della riduzione. Ne consegue che il venditore non è più legittimato a pretendere il
pagamento del prezzo convenuto154, né ad eccepire l’inesattezza della
prestazione offerta dal debitore, qualora quest’ultimo offra di corrispondere il prezzo risultante dalla decurtazione indotta dall’aestimatio vitii.
Nell’ipotesi che si sta considerando, quindi, la riduzione del prezzo
avviene semplicemente attraverso la dichiarazione unilaterale del compratore, il quale potrà limitarsi a pagare il corrispettivo risultante155. La
153 Sino a che il compratore non richiede la riduzione del prezzo, egli è tenuto a corrispondere al venditore l’intero corrispettivo pattuito e non può opporsi alla pretesa all’adempimento eventualmente avanzata da costui: soltanto l’esercizio del rimedio, infatti, provoca la
rimodulazione delle obbligazioni delle parti la quale legittima il compratore a rifiutare
l’adempimento dell’obbligazione di prezzo inizialmente pattuita. Qualora, però, i difetti dei
beni consegnati si siano già manifestati, benché la mera esistenza del difetto non abbia alcuna
influenza sulla permanenza dell’obbligo di pagare il corrispettivo, il compratore potrà eventualmente paralizzare la pretesa dell’alienante denunziando la presenza dei vizi: cfr. infra nel
testo.
154 Cfr. esattamente M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 399, il quale ulteriormente precisa come «einer Kaufpreisklage des
Verkäufers kann der Käufer in Höhe des sich nach Art. 50 errechnenden Minderungsbetrags das
Recht auf Minderung als Einrede entgegenhalten».
155 Nello stesso senso, v. S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou
de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations
Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, cit., p. 300 e M. HIRNER, Der
Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 399.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
189
riduzione dell’importo della somma dovuta dal compratore non costituisce la conseguenza della parziale compensazione fra il credito avente ad
oggetto la somma convenuta originariamente in contratto e quello dell’acquirente ad una somma di importo pari all’incidenza della diminuzione di valore del bene; per contro, l’esercizio del diritto potestativo di
riduzione del prezzo comporta – come abbiamo chiarito nel Capitolo
precedente – l’automatica modificazione del contenuto dell’originaria
pattuizione contrattuale relativa al quantum del corrispettivo156.
Qualora il compratore abbia subito l’iscrizione dell’ipoteca legale a
garanzia del pagamento del residuo prezzo non ancora pagato (art. 2817,
n. 1, c.c.) ovvero abbia concesso pattiziamente al venditore la garanzia
ipotecaria su un diverso bene di sua proprietà, egli potrà altresì chiedere
la diminuzione – in ragione della proporzione della riduzione del prezzo
sull’ammontare totale di questo – della somma per la quale l’ipoteca è
stata iscritta, purché la riduzione da operarsi sia superiore al quinto della
somma originaria157.
7.1. L’eccezione di inadempimento
Qualora il difetto del bene si sia già manifestato, taluni interpreti ritengono che il compratore abbia la facoltà di paralizzare la pretesa del
venditore che richieda il pagamento integrale del corrispettivo anche
senza dover immediatamente dichiarare la propria volontà di fare ricorso
all’aestimatoria (o a uno degli altri mezzi di tutela a lui concessi): secondo
tale indirizzo interpretativo, sviluppatosi con particolare riferimento alla
normativa di diritto uniforme, contrasterebbe con il fondamentale principio di buona fede158 la pretesa dell’alienante al versamento dell’intero
prezzo di vendita, giacché il difetto esistente nel bene non gli consenti156 Cfr. ancora M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht
(CISG), cit., p. 399, il quale nota come «die Möglichkeit des Käufers, den Kaufpreisanspruch
des Verkäufers in entsprechender Höhe zu kürzen», derivi direttamente dalla legge, senza necessità di immaginare compensazioni fra crediti reciproci.
157 Nel senso che la disposizione dell’art. 2873, comma 2, c.c. (la quale consente la riduzione dell’importo dell’iscrizione laddove siano stati eseguiti pagamenti parziali tali da
estinguere almeno un quinto del debito originario) debba essere ritenuta espressiva di una regola valevole per tutti i casi di parziale estinzione del credito per cui l’ipoteca è stata iscritta,
prescindendosi dalla causa di tale parziale estinzione, cfr. G. GORLA - P. ZANELLI, sub art. 2873,
in IID., Del pegno, delle ipoteche, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1992, p. 475.
158 Proprio nel senso che «eine solche vorläufige Zahlungspflicht wäre mit Treu und
Glauben unvereinbar» si esprime M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UNKaufrecht (CISG), cit., p. 399, il quale si appella altresì al brocardo secondo cui dolo facit qui
petit quod redditurus est.
190
CAPITOLO TERZO
rebbe di esigere la prestazione promessagli, ma soltanto una più circoscritta.
A nostro avviso, tale argomento necessita di essere attentamente
soppesato: infatti, da un canto, il compratore potrebbe determinarsi ad
esercitare – o, addirittura, essere tenuto ad esperire in prima battuta,
come accadrebbe ove si versi in un’ipotesi di vendita di beni di consumo159 – un rimedio distinto dalla riduzione del prezzo, quale la riparazione o la sostituzione, ciò che lascerebbe impregiudicato il diritto del
venditore a percepire per intero il corrispettivo pattuito160; dall’altro,
benché possa senz’altro ammettersi che il compratore si limiti a denunziare l’irregolarità dell’attribuzione traslativa e si riservi di esercitare in
un momento successivo il rimedio che ritenga più opportuno, anche a seguito delle eventuali necessarie indagini circa la natura e l’incidenza del
difetto sul valore della res, l’affermazione della facoltà di costui di rifiutare il pagamento al venditore a cagione della mera esistenza del vizio
deve confrontarsi – almeno per quanto riguarda i contratti non rientranti
nell’ambito di applicazione della Convenzione di Vienna161 – con la clau159 È superfluo rammentare in questa sede come il consumatore non abbia titolo per
esercitare direttamente la riduzione del prezzo ove la sostituzione e/o la riparazione siano
possibili: sulle condizioni che consentono l’esercizio dei rimedi sussidiari, e in particolare
della riduzione del prezzo, nell’ipotesi di vendita di beni di consumo, cfr. quanto si esporrà
infra al Capitolo 4.
160 Si può aggiungere, inoltre, che, chiedendo la regolarizzazione della prestazione, il
compratore manifesta un’inequivoca volontà di eseguire il contratto nei termini decisi in sede
di conclusione dello stesso, sicché non residua alcun margine per riconoscergli il diritto di rifiutare l’adempimento dell’obbligazione di prezzo, salvo quanto si sta per dire nel testo con
riferimento all’eccezione di inadempimento. Si veda comunque infra nel testo per approfondimenti sull’eccezione d’inadempimento sollevata dal consumatore e sui limiti che essa incontra a fronte dell’offerta di rimpiazzo o riparazione del bene da parte dell’alienante.
161 Va ricordato come, ai sensi dell’art. 7, comma 2 CISG, le questioni concernenti materie disciplinate dalla Convenzione «che non sono espressamente risolte da essa devono essere risolte in conformità con i principi generali sui quali essa si basa ovvero, in mancanza di
tali principi, in conformità con la legge applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato». Sebbene la Convenzione preveda, all’art. 71, un’eccezione di sospensione il cui
tenore rieccheggia in parte quello del mezzo di tutela concesso all’art. 1461 c.c., essa non concede invece espressamente al compratore l’eccezione di inadempimento, limitandosi a sancire
indirettamente il principio ad essa sotteso laddove, all’art. 58, prescrive che «se il compratore
non è obbligato a pagare il prezzo in un altro momento determinato, egli deve pagarlo
quando, in conformità al contratto e alla presente Convenzione, il venditore mette a sua disposizione i beni o i documenti rappresentativi di essi» (in argomento, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 3 e SCHLECHTRIEMSCHWENZER/HAGER - MAULTZSCH, sub art. 58, 5. Aufl., München, 2008, Rn. 2), e all’art. 81,
comma 2 laddove, occupandosi delle restituzioni conseguenti alla risoluzione del contratto,
stabilisce che, «se entrambe le parti sono obbligate ad effettuare restituzioni, esse devono
procedervi contemporaneamente» (sulla Zug-um-Zug-Rückabwicklung imposta dall’art. 81,
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
191
sola generale dell’exceptio inadimpleti (o, rectius, versandosi in ipotesi di
inesatto adempimento, non rite adimpleti162) contractus.
comma 2 CISG, cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 81 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 14). Sembra, pertanto, di poter concludere che le compravendite cui si applica
la CISG consentano il ricorso dell’acquirente all’exceptio in parola, non tanto perché la stessa
costituisce applicazione del generale principio di buona fede, ma in quanto quello di contestualità degli adempimenti parrebbe costituire un principio desumibile dallo stesso diritto
uniforme, come previsto dal citato art. 7. Sul punto cfr. anche KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/P. HUBER, sub art. 45 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 8.
162 Comunemente si distingue fra exceptio non adimpleti contractus ed exceptio non rite
adimpleti contractus, la prima avente riguardo alle ipotesi in cui il comportamento della parte
non eccipiente ha dato luogo a un inadempimento totale della prestazione e la seconda concretantesi in un adempimento inesatto, dal punto di vista temporale, quantitativo, qualitativo
o delle obbligazioni accessorie (cfr. G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, Milano, 1955,
p. 126). L’utilità di tale distinzione, peraltro, è revocata in dubbio da chi ha messo in evidenza
come, alla stregua dell’art. 1218 c.c., inadempimento e inesatta esecuzione della prestazione
siano sostanzialmente equiparati (in tal senso v. L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, Milano, 1974, p. 39, nota 47) e la differenziazione riposi fondamentalmente «nella diversa incidenza dell’onere della prova» (v. Cass. 24 luglio 1954, n. 2668; F.
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 695 s.), Peraltro tale
differenziazione sul piano probatorio (per la quale l’eccipiente che lamenti la mera inesattezza
della prestazione della controparte sarebbe tenuto a dimostrare tale inesattezza – v., ad esempio, Cass. 10 febbraio 2000, n. 1457 e Cass. 11 novembre 1996, n. 9825, secondo cui «nei
contratti a prestazioni corrispettive, qualora il convenuto contesti l’esattezza dell’adempimento della controparte, spetta al medesimo dimostrare la differenza tra ciò che è stato prestato e ciò che era dovuto, non potendosi far gravare sull’attore, che ha l’onere di dimostrare
il proprio adempimento, anche la prova di aver adempiuto esattamente» – mentre, qualora la
prestazione sia totalmente mancante, potrebbe limitarsi ad allegare l’inadempimento della
controparte, la quale sarebbe gravata dell’onere di provare di avere già adempiuto, di essere
pronta ad adempiere ovvero della non ancora maturata esigibilità della prestazione – Cass. 29
maggio 1998, n. 5306 e Cass. 18 dicembre 1992, n. 13445 –), sembra possa dirsi superata a
seguito del noto dictum di Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533 (pubblicata in Corr. giur.,
2001, p. 1565 ss., con nota di V. MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni
Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 349
ss., con nota di B. MEOLI, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova), la quale ha affermato che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca
per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve
soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza,
limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte,
mentre il debitore-convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui
pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della
prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460
(risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio
adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso
in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al
creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per
violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza
dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando an-
192
CAPITOLO TERZO
Tale mezzo di tutela163 è posto a disposizione della parte di un contratto a prestazione corrispettive la quale può sospendere l’adempimento
della propria prestazione qualora l’altra parte non esegua esattamente o
non offra di eseguire la controprestazione164. Esso quindi risponde in
pieno all’esigenza di chi riceva una prestazione difettosa e, pur non essendosi ancora determinato a provocare lo scioglimento del contratto ovvero ad azionare un diverso rimedio, intenda cautelarsi evitando di
adempiere la propria prestazione165 senza avere la certezza circa il fatto
cora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. Nello
stesso senso, proprio con riferimento all’exceptio non rite adimpleti contractus, v. Cass. 10
aprile 2008, n. 9439. Critici nei confronti di questo revirement giurisprudenziale (da ultimo
accolto da Cass. 15 aprile 2014, n. 8736, in Giur. it., 2014, con nota di M. COCCO, L’onere
della prova nell’eccezione di inadempimento, p. 1856 s.), che in caso di exceptio non rite grava
l’adempiente di un onere probatorio assai difficile da assolvere, F. ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, in Tratt. contratto Roppo, Milano, 2006, p. 459 ss.; G. VILLA,
Onere della prova, inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ., 2002, II,
p. 729 ss.; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2011, p. 66 ss.
163 L’eccezione di inadempimento è ritenuta, in particolare, uno strumento di “autotutela” della parte contrattuale: sul punto, con varie sfumature, cfr. – oltre all’opera di L. BIGLIAZZI GERI citata alla nota precedente – G. SCADUTO, L’«exceptio non adimpleti contractus»
nel diritto civile italiano, in Annali Sem giur. Regia Univ. Palermo, 1921, p. 75 ss.; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento, in Noviss. D., VI, Torino, 1960, p. 354 ss.; R.
LUZZATTO, L’eccezione di inadempimento (Note su una recente pubblicazione), in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1957, p. 740 ss.; F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., XIV,
Milano, 1965, p. 222 ss.; ID., Importanza dell’inadempimento e «exceptio inadimpleti contractus», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, p. 321 ss.; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le
autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 5 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, voce
Eccezione d’inadempimento, in Dig. disc. priv. - sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 331 ss.; EAD.,
sub art. 1460, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 7 ss.; A. SATURNO, L’autotutela privata. I modelli della ritenzione e dell’eccezione di inadempimento in comparazione col sistema tedesco, Napoli, 1995, p. 57 ss.; F.
ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, in Tratt. contratto Roppo, cit., p. 413 ss.;
contra, però, G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 35, secondo il quale «l’eccezione di inadempimento non rappresenta una forma di autotutela né un’applicazione di altri
istituti (risoluzione, ritenzione, compensazione) ma un diritto potestativo autonomo che, nei
contratti con prestazioni corrispettive, sorge in ogni contraente di fronte all’inadempienza
dell’altro e vale a paralizzare temporaneamente l’esercizio del diritto di quest’ultimo all’adempimento». In giurisprudenza, inquadrano l’eccezione di inadempimento fra gli strumenti
di autotutela, fra le altre, Cass. 10 febbraio 1968, n. 454; Cass. 23 gennaio 1969, n. 206; Cass.
21 ottobre 1969, n. 3439; Cass. 2 febbraio 1973, n. 328; Cass. 8 febbraio 1982, n. 280; Cass.
5 novembre 1990, n. 10620; Cass. 11 novembre 1992, n. 12121; Cass. 6 agosto 1997, n. 7228;
Cass. 3 febbraio 2000, n. 1168; Cass. 19 dicembre 2003, n. 19556; Cass. 16 giugno 2008, n.
16216; Cass. 4 novembre 2009, n. 23345; Cass. 21 maggio 2012, n. 8002.
164 Per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 360.
165 Benché la natura giuridica dell’eccezione d’inadempimento sia oggetto di dibattito
fra coloro che sono propensi a inquadrarla come diritto sostanziale (di tipo personale, per
L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, cit., p. 63 s.; sussumibile nelle
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
193
che l’altra parte farà altrettanto, risolvendosi ad attuare la propria o a regolarizzare quanto già prestato.
Posta l’idoneità astratta del mezzo di autotutela rispetto alle esigenze del compratore che riceva beni qualitativamente o giuridicamente
difettosi, secondo la definizione che ne abbiamo dato al Capitolo precedente, è necessario però vagliare se questi sia effettivamente legittimato
ad opporre al venditore che reclami il pagamento del corrispettivo l’eccezione codificata all’art. 1460 c.c.
Si ritiene comunemente che l’exceptio inadimpleti contractus costituisca un rimedio cui è possibile fare ricorso166 nel contesto di contratti a
prestazioni corrispettive167 qualora una delle due parti non adempia o
non offra di adempiere168, in tutto o in parte, per colpa o per causa a sé
garanzie reali, a cagione della sua opponibilità ai terzi, secondo G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 207 ss.) e quanti, invece, vi ravvisano una eccezione processuale di diritto
sostanziale (in questo senso, pur con diversità d’accenti, cfr. G. SCADUTO, L’«exceptio non
adimpleti contractus» nel diritto civile italiano, cit., p. 92; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di
inadempimento, cit., p. 355; G. PUGLIATTI, voce Eccezione (teoria generale), in Enc. dir., XIV,
Milano, 1965, p. 165; F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, cit., p. 222 ss.; F. ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, cit., p. 418 s.), v’è sostanziale concordia
«sulla efficacia sostanziale dell’eccezione, e quindi sulla esercitabilità stragiudiziale e sulla [insussistenza della] rilevabilità d’ufficio della stessa» (A. SATURNO, L’autotutela privata. I modelli
della ritenzione e dell’eccezione di inadempimento in comparazione col sistema tedesco, cit., p.
63 ss., il quale rileva come anche in Germania la dottrina in materia di Einrede des nicht erfüllten Vertrags si divida «fra la teoria dell’eccezione (Einredetheorie)», abbracciata dalla maggioranza degli interpreti [BECKOK BGB/H. SCHMIDT, sub § 320 BGB, in Beck-Online, Rn. 8;
JAUERNIG/A. STADLER, sub § 320 BGB, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 3] «e la c.d. teoria della
pretesa unitaria di scambio (einheitlichen Austauschanspruchs), anche chiamata teoria della
immanenten Leistungsbeschränkung, della limitazione intrinseca della prestazione [v., ad
esempio, K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. Band 1. Allgemeiner Teil, 14. Aufl., München, 1987, p. 205 ss.]»). La giurisprudenza italiana è nettamente favorevole alla configurazione dell’exceptio inadimpleti contractus quale «eccezione in senso proprio, rimessa alla disponibilità e all’iniziativa dell’interessato, senza che il giudice abbia il dovere di esaminarla o
rilevarla d’ufficio» (Cass. 5 agosto 2002, n. 11728; Cass. 29 settembre 1999, n. 10764; Cass.
18 marzo 1983, n. 1934), riconoscendone al contempo la natura di «strumento di tutela non
solo in sede processuale, ma anche al di fuori del giudizio, rendendo legittimo un rifiuto della
prestazione altrimenti non consentito» (Cass. 14 maggio 1977, n. 1944).
166 Secondo Cass. 29 settembre 1999, n. 10764, il contraente che voglia valersi dell’eccezione di inadempimento non ha l’onere di adottare «forme speciali o formule sacramentali,
essendo sufficiente che la volontà [di farvi ricorso] (onde paralizzare l’avversa domanda di
adempimento) [possa desumersi] in modo non equivoco».
167 Nel senso che il nesso di interdipendenza fra le prestazioni esistente nei contratti a
prestazioni corrispettive costituisce la ragione della possibilità concessa ad una parte di sospendere l’adempimento sino a che la controparte non adempia ovvero offra di adempiere a
sua volta, v. per tutti Cass. 6 febbraio 2008, n. 2800 e C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 361.
168 L’opinione preferibile ammette l’esperibilità dell’exceptio inadimpleti contractus anche allorché l’obbligazione non adempiuta abbia carattere accessorio, purché la stessa con-
194
CAPITOLO TERZO
non imputabile169, le prestazioni dovute in forza del negozio concluso. Il
tema dell’ammissibilità dell’esercizio dell’eccezione in discorso da parte
del compratore al fine di esimersi dal pagare il corrispettivo dovuto ha
costituito oggetto di notevole approfondimento da parte della dottrina
tedesca, che in proposito distingue il momento temporale anteriore alla
consegna dei beni da quello successivo.
Anteriormente alla traditio delle cose che costituiscono oggetto del
contratto di vendita, infatti, si ritiene che il Käufer – il quale riscontri in
esse difetti quantitativi, qualitativi o giuridici – possa senz’altro rifiutare
di accettarle in applicazione della regola generale contenuta nel § 320
BGB e far valere l’eccezione di inadempimento, al fine di evitare il pagamento del corrispettivo170. In tale fase, infatti, l’attuazione del programma negoziale obbedisce pienamente alle regole generali, giacché nel
diritto germanico il compratore non è ancora stato investito della proprietà del bene171.
In relazione alle fattispecie in cui la consegna sia già avvenuta, invece, fino alla Modernisierung des Schuldrechts gli interpreti si interrogavano circa la compatibilità dell’Einrede des nichterfüllten Vertrags (o nicht gehörig erfüllten Vertrages) con la disciplina speciale delle garanzie
del venditore di derivazione romanistica contenuta ai §§ 459 ss. aF
BGB172, da molti considerato come «un sistema chiuso, esclusivo, che
creti un inadempimento di non scarsa importanza in considerazione dell’interesse del creditore e della complessità dell’affare: in questo senso cfr. F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., XIV, cit., p. 223; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 30 ss. e, in giurisprudenza, Cass. 12
febbraio 2010, n. 3373; Cass. 19 luglio 2004, n. 13344; Cass. 18 marzo 1999, n. 2474.
169 L’esercizio dell’eccezione di inadempimento non postula la sussistenza di un inadempimento imputabile, giacché tale rimedio «non tende a favorire uno dei contraenti nei
confronti dell’altro, ma semplicemente ad impedire che una parte venga a trovarsi avvantaggiata nei confronti dell’altra, […] a conservare uno stato d’uguaglianza tra i contraenti» (G.
PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 113; similmente, C.M. BIANCA, Diritto civile 5.
La responsabilità, cit., p. 366 s., il quale rileva come l’interesse a non eseguire la prestazione
in assenza della controprestazione sussiste ed è egualmente meritevole di tutela anche allorché la mancanza dell’adempimento derivi da ragioni non imputabili all’altro contraente). Ed
effettivamente, la legittimità del rifiuto di adempiere può dirsi ricorrente sia qualora sussista
un inadempimento colpevole sia qualora la controparte dimostri che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lei non imputabile, poiché in questo secondo caso la prestazione
non è più dovuta ai sensi dell’art. 1463 c.c.
170 V., fra i tanti, PALANDT/GRÜNEBERG, sub § 320, München, 2014, Rn. 9; MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 3; U.G. SCHROETER,
Das Wahlrecht des Käufers im Rahmen der Nacherfüllung, in NJW, 2006, p. 1762.
171 Si veda MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 433 BGB, 6. Aufl., München,
2012, Rn. 56.
172 Cfr., per tutti, MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 3.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
195
precludeva l’ingresso delle norme generali dell’inadempimento contrattuale e l’applicabilità dei rimedi che la disciplina generale del [negozio]
accorda alla parte non inadempiente»173. In ragione di ciò, l’interrogativo
veniva prevalentemente risolto in senso negativo, ritenendosi che l’acquirente potesse e dovesse scegliere fra Wandlung, Minderung e, se del caso,
risarcimento del danno, senza potersi appellare all’eccezione di cui al §
320 BGB174, non vantando – almeno secondo la classica lezione della
Gewährleistungstheorie175 – una pretesa all’esatto adempimento relativamente alle qualità della res. Gli effetti sostanziali di tale rigida opzione
erano, peraltro, ammorbiditi dalla tendenza del BGH a riconoscere al
compratore (cui pure la giurisprudenza negava il ricorso all’eccezione di
inadempimento in senso proprio) un’«allgemeine Mängeleinrede», a
mezzo della quale egli poteva raggiungere il medesimo effetto pratico tipicamente assicurato dal rimedio generale: «die Bezahlung des Kaufpreises verweigern könne[n], solange er sich noch nicht zwischen seinen verschiedenen Gewährleistungsrechten entschieden habe»176.
Dopo che la legge di riforma del diritto delle obbligazioni del 2002
ha segnato il definitivo abbandono del sistema romanistico della garanzia, gli argomenti che avevano indotto gli interpreti a disconoscere il diritto del compratore di eccepire l’inesatto adempimento del venditore
che avesse consegnato beni difettosi sono venuti meno, giacché il testo
novellato del BGB ha foggiato l’apparato rimediale azionabile dal Käufer
173 Così, letteralmente, C.M. BIANCA, La nuova disciplina della compravendita: osservazioni generali, in G. CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto
europeo delle obbligazioni e dei contratti? Atti del Convegno svoltosi a Ferrara il 7-8 marzo
2003, Padova, 2004, p. 180, il quale correttamente ricorda come per lo stesso riconoscimento
“generale” del diritto del compratore di cosa viziata al risarcimento del danno fu necessario
un intervento in via interpretativa, giacché esso era espressamente sancito soltanto nelle due
ipotesi di bene privo delle qualità promesse e cosa affetta da vizi dolosamente taciuti. Nello
stesso senso, v. L. ENNECCERUS - H. LEHMANN, Recht der Schuldverhältnisse. Ein Lehrbuch, Tübingen, 1958, p. 440.
174 Cfr. MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4; H. BROX, Die Einrede
des nichterfüllten Vertrags beim Kauf, Köln, 1948, p. 46 ss.; K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrecht. Band 2. Besonderer Teil. 1. Halbband, cit., p. 69.
175 La letteratura riguardante la natura giuridica della responsabilità del venditore nel
diritto tedesco è talmente copiosa da rendere superflua e, al contempo, esposta al rischio di
superficialità ogni indicazione bibliografica. Ci limitiamo, pertanto, a rinviare a una delle più
serie e documentate esposizioni dei termini del dibattito apparse in lingua italiana e agli AA.
ivi citati: R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 17 ss.
176 MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4, ove si richiama BGH 18
gennaio 1991, V ZR 11/90, in NJW, 1991, p. 1048 ss. In argomento v. anche A. LEHMANNRICHTER, Die Anwendbarkeit von § 320 I 1 BGB im Kaufrecht bei vereinbartem Ausschluss der
Mängelrechte des Käufers, in Jura, 2002, p. 585 ss.
196
CAPITOLO TERZO
attraverso un solido radicamento nella disciplina generale delle Leistungstörungen e, correlativamente, ha assunto pienamente le qualità materiali
e giuridiche del bene compravenduto nell’impegno obbligatorio del venditore177 (§ 433 nF BGB). Ne consegue che sono venuti meno i motivi
che gli Autori consideravano ostativi rispetto all’affermazione del diritto
dell’acquirente cui siano consegnati beni non conformi di invocare l’exceptio non rite adimpleti contractus. Si ritiene178, pertanto, che tale eccezione possa non soltanto essere esercitata allorché, rivelatasi impossibile
o “impraticabile” la Nacherfüllung, egli ricorra alla riduzione del prezzo
o al recesso dal contratto, ma altresì che ad essa sia possibile fare ricorso
fino a quando il venditore non abbia provveduto a regolarizzare la prestazione, al fine di paralizzare la richiesta di pagamento del corrispettivo,
e in particolar modo quella di corresponsione dell’intero corrispettivo
pattuito179.
177 C.M. BIANCA, La nuova disciplina della compravendita: osservazioni generali, in G.
CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? cit., p. 179 e S. GRUNDMANN, La nuova disciplina della compravendita: la violazione dell’impegno contrattuale, ivi, 193 ss., nonché R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 62 s. e, di recente, R. FAVALE, Invalidità del contratto di vendita e vizi della cosa:
la loro interferenza nel modello tedesco, in Rass. dir. civ., 2014, p. 236 ss. Nella letteratura tedesca, cfr. ex plurimis BECKOK/F. FAUST, sub § 433 BGB, in Beck-Online, Rn. 38 ss.; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 433 BGB, Rn. 47 ss.; STAUDINGER/A. MATUSCHEBECKMANN, sub § 433, München, 2004, Rn. 89; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, 15. Aufl., cit., Rn. 60 ss.; P. HUBER, Der Nacherfüllungsanspruch im neuen
Kaufrecht, in NJW, 2002, p. 1005; C.W. CANARIS, Die Neuregelung des Leistungstörungs- und
des Kaufrechts - Grundstrukturen und Problemschwerpunkte, in E. LORENZ, Karlsruher Forum
2002. Schuldrechtsmodernisierung, Karlsruhe, 2003, p. 54 ss.; H.C. GRIGOLEIT - C. HERRESTHAL, Grundlagen der Sachmängelhaftung im Kaufrecht, in JZ, 2003, p. 118 ss.; S. LORENZ,
Rücktritt, Minderung und Schadensersatz wegen Sachmängeln im neuen Kaufrecht: Was hat der
Verkäufer zu vertreten?, in NJW, 2002, p. 2497.
178 Cfr. BECKOK/F. FAUST, sub § 437 BGB, in Beck-Online, Rn. 164; MÜNCHKOMMBGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4; JAUERNIG/A. STADTLER, sub § 320, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 4; D. REINICKE - K. TIEDKE, Kaufrecht, 8. Aufl., Köln-München, 2009, p. 77
s.; B. GRUNEWALD, Die allgemeine Mängeleinrede des Käufers, ein Auslaufmodell oder eine
Rechtsfigur mit Zukunft?, in FS Westermann, Köln, 2008, p. 245 ss.
179 Sia in pendenza dei tentativi di adempimento successivo del venditore, sia qualora
sia già stata esercitata la Minderung, il compratore non potrà integralmente esimersi dal pagamento del corrispettivo, giacché ciò si porrebbe in contrasto con quanto previsto dal
comma 2 del § 320 BGB, il quale prevede che «ist von der einen Seite teilweise geleistet worden, so kann die Gegenleistung insoweit nicht verweigert werden, als die Verweigerung nach
den Umständen, insbesondere wegen verhältnismäßiger Geringfügigkeit des rückständigen
Teils, gegen Treu und Glauben verstoßen würde». Qualora, invece, egli si determini a recedere
dal contratto, potrà senz’altro evitare di dover procedere al pagamento anche soltanto parziale. Sul punto, v. BECKOK/F. FAUST, sub § 437 BGB, in Beck-Online, Rn. 164.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
197
Volgendo l’analisi all’oggetto primario del nostro studio, costituito
dalle regole vigenti nell’ordinamento italiano, è d’immediata evidenza
come il riconoscimento al compratore di beni difettosi del diritto di eccepire l’altrui inesatto adempimento evochi, anche all’interno dei nostri
confini, il tema della compatibilità fra il regime speciale di responsabilità
che il codice civile, il codice del consumo e la CISG apprestano per l’ipotesi di difettosità del bene compravenduto e il ricorso ad un rimedio
tipico della disciplina generale dell’inadempimento dei rapporti contrattuali sinallagmatici, qual è l’exceptio inadimpleti contractus. In particolare, poiché l’art. 1460 c.c. letteralmente consente a «ciascuno dei contraenti [di] rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non
adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria», potrebbe inferirsi – similmente a quanto accadeva in Germania prima dell’entrata in vigore del Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts – che lo
strumento di tutela in discorso possa essere invocato soltanto allorché ricorra l’inattuazione di un’obbligazione in senso tecnico, così ponendo il
problema della sua esperibilità con riferimento alle ipotesi in cui sussistano vizi materiali e giuridici oggetto di “garanzia” ai sensi della disciplina della compravendita di diritto comune, il cui inquadramento dogmatico è notoriamente origine di secolari incertezze.
Con riferimento al primo punto, a nostro parere, la specialità degli
apparati rimediali previsti per un tipo contrattuale non costituisce affatto, almeno ex se, un ostacolo all’applicazione dell’eccezione di inadempimento, come peraltro dimostra la pacifica applicabilità della medesima all’ipotesi di vizi dell’opera oggetto del contratto d’appalto180,
dovendosi piuttosto valutare se sussistano specifiche ragioni di incompatibilità fra gli uni e l’altra. In maniera non dissimile da quanto avveniva
nell’ordinamento tedesco sino al 2002, è proprio facendo leva sui corollari della ricostruzione in chiave di “garanzia” dei mezzi di tutela che il
codice civile mette a disposizione del compratore che una parte della
dottrina del nostro Paese nega a costui l’accesso all’eccezione ex art.
1460 c.c., sottolineando come, da un canto, la consegna della cosa viziata
180 Si vedano, in particolare, Cass. 17 maggio 2004, n. 9333 e Cass. 20 marzo 2012, n.
4446, secondo cui le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrano –
senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l’opera sia stata realizzata in violazione delle
prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del
prezzo, può – al fine di paralizzare la pretesa avversaria – opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta. Cfr. altresì Cass. 20 gennaio
2010, n. 936 e Cass. 13 marzo 2007, n. 5869.
198
CAPITOLO TERZO
non dia luogo ad alcun inadempimento, giacché l’acquirente riceve proprio la cosa di cui è divenuto proprietario per effetto del consenso o dell’individuazione181, e, dall’altro, l’eccezione di inadempimento si porrebbe quale manifestazione di un’inammissibile pretesa all’esatto adempimento182. Seguendo tale impostazione, i vizi materiali del bene che
ricadono nella garanzia dovuta ai sensi dell’art. 1490 c.c. così come le
ipotesi di altruità della cosa ed evizione non legittimerebbero il compratore alla sospensione del pagamento del prezzo, mentre il difetto quantitativo della prestazione, la consegna di cosa diversa e la stessa mancanza
di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.) spianerebbero la strada
all’esercizio dell’exceptio inadimpleti contractus, dando luogo ad altrettanti inadempimenti del programma obbligatorio.
Sennonché, non vi è chi non veda come un simile approdo appaia
assai poco soddisfacente, sacrificando ad una visione rigidamente “ortodossa” della garanzia la considerazione dell’incidenza delle cennate vicende sul sinallagma contrattuale e la stessa natura dell’istituto dell’eccezione di inadempimento183. Infatti, come ha insegnato, ormai quasi settant’anni or sono, il più autorevole assertore della teoria della garanzia,
da un lato, l’inadempimento della lex contractus non si traduce sempre e
inevitabilmente nell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale184 e,
dall’altro, il concetto di sinallagma contrattuale non si esaurisce nel rapporto di corrispettività fra due prestazioni dedotte in obligatione, potendo avere ad oggetto anche quelle «tutelate, in tutto o in parte, nella
forma del diritto di garanzia»185. Se così è, e se si considera che, a di181 Si esprime in questi termini, ad esempio, F. MARTORANO, La tutela del compratore per
i vizi della cosa, Napoli, 1959, p. 35 ss.
182 L’argomento si trovava già in H. BROX, Die Einrede des nichterfüllten Vertrags beim
Kauf, cit., p. 76. Nella nostra dottrina se ne trovano tracce in A. LUMINOSO, La vendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 513 s., ad avviso del quale in tanto potrebbe concedersi l’eccezione di inadempimento in quanto sussista «una pretesa all’esatto adempimento da parte dell’eccipiente». Lo stesso Autore, d’altro canto, stempera la portata dell’affermazione, ammettendo «un diritto di sospendere l’adempimento come misura “cautelare” preventiva per il
tempo strettamente necessario al compratore per domandare la risoluzione o la riduzione del
prezzo».
183 Anche in relazione a questo punto, pertanto, riteniamo che la trattazione possa essere
soddisfacentemente condotta senza necessità di sposare l’una o l’altra ricostruzione della garanzia, giacché – come si sta per dire nel testo – l’applicabilità generalizzata dell’eccezione d’inadempimento al contratto di compravendita discende da un corretto intendimento del concetto di “sinallagma contrattuale” e dalla considerazione della natura dell’eccezione in parola.
184 L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita,
in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 s., il quale si rifà alla lezione di W. FLUME, Eigenschaftsirrtum
und Kauf, Münster, 1948, p. 41 ss.
185 Il virgolettato è tratto da L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 17. Un’intuizione in tal senso, come riconosce lo stesso
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
199
spetto del tenore letterale della disposizione codicistica che la sancisce,
l’exceptio inadimpleti contractus è un mezzo di tutela volto a garantire il
mantenimento dell’equilibrio sinallagmatico del rapporto di scambio,
non sembra possa essere ravvisata alcuna ragione ostativa alla sua applicazione a fronte della sussistenza di vizi nel bene compravenduto, quale
che sia la disciplina – codicistica186, consumeristica187 o di diritto
uniforme – applicabile ai diritti del compratore188.
Una volta chiarito questo punto fondamentale, è però necessario affrontare quelli, non meno importanti, attinenti all’identificazione dei limiti e delle modalità di esercizio dell’eccezione in parola. Ci siamo chiesti se l’acquirente che riscontri la presenza di un difetto nel bene alienatogli possa, prima di esercitare uno dei mezzi di tutela che l’ordinamento
gli accorda, sottrarsi all’obbligo di pagamento del corrispettivo pattuito
invocando l’inesatto adempimento della controparte. La risposta, come
abbiamo visto, è, in linea di principio, senza dubbio positiva, ma in conMengoni, si può trovare già in D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1952, p. 245 ss., ove si afferma che «il rapporto di corrispettività, il sinallagma, corre
non sempre e necessariamente fra due obbligazioni, ma, ancor più in generale, fra due attribuzioni patrimoniali: una delle due parti, cioè, o anche ciascuna delle due, può, invece di assumere obbligazioni, trasferire all’altra un proprio diritto, e trasferirlo come effetto del semplice consenso, senza che per ciò venga meno la natura di contratto corrispettivo; sempre
purché fra le due attribuzioni patrimoniali corra, appunto, il particolare nesso di corrispettività, la quale ultima, poi, a mio avviso, è […] da intendere nel senso di sinallagmaticità, secondo il significato tradizionale di questo termine» (nell’edizione del 1971, p. 303).
186 Vedi, ad esempio, Cass. 21 giugno 2010, n. 14926.
187 Con riferimento alle vendite di beni di consumo, non si dubita che, fra i «diritti attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico» non contemplate dal codice del consumo ma che costui può invocare in forza del generale rinvio di cui all’art. 135,
comma 1 c.cons. rientri l’exceptio non adimpleti contractus: per tutti, v. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 391.
188 Nel senso dell’ammissibilità dell’eccezione di inadempimento sia in relazione all’ipotesi di consegna di beni qualitativamente viziati, sia qualora rispetto ai beni trasferiti sussistano “difformità giuridiche”, rientranti nelle garanzie codicistiche, si pronuncia da tempo la
nostra giurisprudenza. Esemplare, nel primo senso, è Cass. 6 agosto 1997, n. 7228, secondo
la quale «la parte evocata in giudizio per il pagamento della merce ad essa venduta può limitarsi ad eccepire nell’ambito del potere di autotutela di cui all’art. 1460 c.c., al fine di ottenere il rigetto della pretesa avversaria, l’inesatto adempimento della parte vincitrice in qualunque delle configurazioni che questo può assumere, in esso compreso quindi il fatto che la
cosa consegnata in esecuzione del contratto fosse affetta da vizi o da mancanza di qualità essenziali». Il principio di diritto si trova ripetuto con lievissime variazioni in Cass. 1° luglio
2002, n. 9517 e Cass. 4 novembre 2009, n. 23345, a conferma di un orientamento ormai sedimentato, che ha superato la remota contrarietà di Cass. 3 luglio 1967, n. 1633. Con riferimento all’ipotesi di vendita di cosa altrui, cfr. Cass. 19 luglio 1965, n. 1638: «nell’ipotesi di
vendita di cosa altrui il venditore non può pretendere l’adempimento delle obbligazioni assunte dal compratore ignaro della alienità del bene acquistato, qualora egli sia tuttora inadempiente a quello a lui incombente di trasferire la proprietà della cosa alienata».
200
CAPITOLO TERZO
creto è influenzata anche dal contegno del venditore e dal novero dei rimedi che la legge mette a disposizione dell’acquirente.
Iniziando dal primo profilo appena evidenziato, non sembra dubbio
che, ove l’alienante – a fronte della denunzia del difetto – offra189 di effettuare la riparazione o la sostituzione del bene consegnato, l’acquirente
non possa continuare a rifiutare l’adempimento dell’obbligazione di
prezzo, giacché tale rifiuto è legittimo soltanto qualora la controparte,
come sancisce l’art. 1460 c.c., «non adempi[a] o non offr[a] di adempiere contemporaneamente la propria» prestazione. Pertanto, poiché
nella disciplina consumeristica delle garanzie la regolarizzazione della
prestazione costituisce, in una prima fase, una scelta obbligata connessa
alla nota gerarchizzazione dei mezzi di tutela, il compratore potrà sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto, nonostante l’alienante
abbia offerto concretamente di procedere all’esecuzione di uno dei rimedi ripristinatori, soltanto qualora la riparazione e la sostituzione della
res siano entrambe impossibili ovvero costui non vi provveda entro un
congruo termine190, mentre nelle vendite regolate dal codice civile e dalla
CISG questi potrà denunziare la mancata conformità del bene e proporre
contestualmente l’exceptio senza incontrare simili limitazioni, salvo che la
controparte, di propria iniziativa, offra effettivamente di eliminare il difetto di conformità ovvero di fornire un oggetto sostitutivo191.
Un ulteriore limite al ricorso all’eccezione di inadempimento deriva,
inoltre, dall’ampiezza dell’apparato rimediale che l’ordinamento concretamente appresta per la tipologia di difetto manifestatosi: infatti, qualora
tale difetto, per la sua spiccata tenuità192, non consenta al compratore di
189 Si
ritiene che tale offerta non debba obbligatoriamente essere avanzata con le modalità previste per l’offerta formale, essendo sufficiente la manifestazione concreta di una seria volontà di pronto ed esatto adempimento: così, A. ZACCARIA, sub art. 1460, in Comm.
breve Cian - Trabucchi, Padova, 2014, p. 1609. Viceversa, qualora la parte non eccipiente perseveri nel proprio rifiuto di adempiere, la controparte può lecitamente continuare ad eccepire
l’inadempimento anche qualora la prima offra garanzie (ancorché idonee) in ordine all’adempimento della propria prestazione (così Cass. 22 marzo 1968, n. 908).
190 Non sembra pertinente l’ulteriore situazione contemplata dall’art. 130, comma 7
c.cons., consistente nel fatto che «la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata
[abbia] arrecato notevoli inconvenienti al consumatore», giacché in ipotesi costui non ha ancora azionato alcuno dei rimedi a sua disposizione. Peraltro, qualora i tentativi infruttuosi di
riparazione o sostituzione siano avvenuti prima che il corrispettivo sia stato pagato e questi
abbiano causato notevoli inconvenienti al consumatore, non dubitiamo che egli, nelle more
fra l’esaurimento di tali tentativi e l’esercizio di uno dei rimedi secondati, possa esimersi dall’adempimento dell’obbligazione di prezzo, nei limiti generali che stanno per essere precisati
nel testo.
191 Si tenga, peraltro, sempre presente che il secondo periodo dell’art. 50 CISG prevede
che l’acquirente non possa ridurre il prezzo qualora la controparte abbia già esercitato con
successo il right to cure ovvero tale esercizio sia stato rifiutato.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
201
azionare alcun mezzo di tutela contrattuale nei confronti del venditore193,
neppure può dirsi ricorrente un’alterazione del sinallagma negoziale che
legittimi la proposizione dell’eccezione, mentre allorché, seppur rilevante, l’inesattezza della prestazione legittimi l’esercizio di un solo mezzo
di tutela del compratore, è corretto ritenere che l’eccezione possa essere
sollevata soltanto qualora tale mezzo venga azionato, e sempre che esso
sia compatibile con la sospensione del pagamento194.
Così delimitato l’an del diritto del compratore di invocare l’exceptio
inadimpleti contractus, dobbiamo ora affrontare il profilo del quantum
dell’esenzione dal pagamento del corrispettivo che l’eccipiente può conseguire attraverso il suo esercizio, sia allorché questo avvenga prima della
scelta del rimedio, sia – ciò che più ci interessa – a seguito della manifestazione della volontà di ridurre il prezzo.
In relazione alla prima ipotesi, l’ampiezza della sospensione dell’obbligo di pagamento obbedisce, nella sostanza, a un criterio di proporzionalità rispetto al difetto lamentato e alla connessa lesione dell’interesse
del compratore, in aderenza al generale richiamo alla buona fede operato
dal comma 2 dell’art. 1460 c.c. È, infatti, indubbio che, in generale, l’ec192 Si
rammenti, a questo proposito, che – ad esempio – vizi rilevanti ai fini del ricorso
alle azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c. sono soltanto quelli che rendano la cosa «inidonea
all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore» (art. 1490 c.c.).
Qualora il bene trasferito risulti affetto da vizi che non ne compromettano la funzionalità, né
ne diminuiscano apprezzabilmente il valore, il compratore non può esercitare nei confronti
della controparte alcuna azione, sicché deve ritenersi precluso altresì il ricorso all’eccezione
di inadempimento. Dissentiamo, pertanto, dall’orientamento propenso a ritenere che l’esperimento di quest’ultima, in ragione della temporaneità delle conseguenze che produce, non
debba «essere subordinato alla presenza dei presupposti prescritti dalla legge in vista di ben
più gravi conseguenze» (così M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI,
I contratti in generale, II, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1782 s.).
193 A nulla rileva che il compratore possa, eventualmente, chiedere il risarcimento del
danno giacché l’eccezione di inadempimento è volta a tutelare il diritto della parte all’esecuzione della controprestazione dovuta dall’altro contraente, e non già a consentirgli di non eseguire la propria qualora ritenga di avere diritto al risarcimento del danno a causa dell’inesattezza della prestazione della controparte. Ne consegue che, nell’ipotesi di contratto di compravendita, il compratore che intenda far valere la differenza di valore fra il bene “promesso”
e quello effettivamente trasferito (e non corrispondere tale somma al venditore) ha maggior
convenienza ad esercitare la riduzione del prezzo piuttosto che l’azione risarcitoria, giacché
soltanto la prima gli consente sia la rideterminazione del corrispettivo per atto unilaterale sia
l’esercizio dell’eccezione di inadempimento.
194 Ad esempio, in una vendita di cosa parzialmente altrui in relazione alla quale le circostanze non autorizzano a desumere che l’acquirente «non avrebbe acquistato la cosa senza
quella parte di cui non è divenuto proprietario» (art. 1480 c.c.), costui può ottenere soltanto
la riduzione del corrispettivo pattuito, sicché non sembra meritevole di tutela l’eventuale pretesa di limitarsi a denunciare la parziale altruità della cosa e di sospendere integralmente il
pagamento del prezzo nell’attesa di procedere alla “scelta” del rimedio da far valere.
202
CAPITOLO TERZO
cezione di inadempimento obbedisca al canone fondamentale della tendenziale equivalenza fra inattuazione (o inesatta attuazione) della prestazione altrui e rifiuto di esecuzione della propria195 ed è altrettanto certo
che di tale canone debba farsi applicazione anche qualora, vertendosi in
materia di compravendita, la prestazione inesattamente eseguita sia
quella relativa all’attribuzione patrimoniale del venditore.
Ne consegue che la sussistenza del difetto nella res consegnata non
legittima la sospensione tout court del pagamento del corrispettivo pattuito, bensì soltanto un rifiuto di ampiezza proporzionale alla diminuzione di valore, funzionalità e utilità subita dalla cosa, giacché l’inadempimento legittimato dall’eccezione non deve dare luogo ad una reazione
eccessiva o esorbitante. Essendo improntato al criterio di proporzionalità, l’adempimento parziale dell’obbligazione di prezzo conseguente all’esercizio dell’exceptio non rite adimpleti contractus finisce quindi per
obbedire, nella sostanza, a criteri determinativi assimilabili a quelli che
abbiamo visto presiedere al calcolo della riduzione del prezzo, i quali troveranno in questa sede un’applicazione analogica196 e – diremmo, dato il
carattere conservativo-cautelare197 del mezzo di tutela – meno rigida, la
195 Secondo
la giurisprudenza, la quale fa largo uso del requisito in argomento, la
buona fede richiesta in chi intenda avvalersi dell’eccezione di inadempimento «è identificabile in un comportamento che, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza
e della lealtà, risulti ragionevole e logico in senso oggettivo e trovi, quindi, concreta giustificazione nel raffronto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di
corrispettività fra le medesime» (Cass. 25 febbraio 1987, n. 1991 e Cass. 16 gennaio 1996, n.
307). Essa, pertanto, comporta la necessità di «verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla
parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte» (Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720). Nello stesso senso, in dottrina,
cfr. G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 140 s., il quale ritiene che l’applicazione
dell’eccezione postuli la sussistenza di un rapporto «di successione, di causalità e di proporzionalità tra le inadempienze dell’una e quelle dell’altra parte», dovendo l’inadempienza dell’eccipiente essere successiva a quella dell’eccepito, essere causata da quest’ultima e non essere esorbitante rispetto ad essa. Similmente, di recente, si esprime A.M. BENEDETTI, sub art.
1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 51, il quale ritiene che la buona fede costituisca un «quid che sorregg[e] il rimedio e che consent[e] di
escluderne, al contempo, usi distorti o capziosi», atteggiandosi alla stregua di «una valutazione di proporzionalità tra gli inadempimenti che si fronteggiano […] con lo scopo di verificare […] che la difesa (l’inadempimento legittimato) sia proporzionata all’attacco (l’inadempimento legittimante)», e la accosta al giudizio di ragionevolezza imposto dall’art. 9:201
dei Principi di diritto europeo dei contratti.
196 Non a caso, infatti, A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali,
in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 71 scrive che «il ricevimento di un quantitativo di
merce inferiore a quella ordinata può giustificare un pagamento limitato alla sola quantità effettivamente recapitata al creditore», così facendo applicazione proprio del criterio generale
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
203
clausola di buona fede imponendo soltanto una tendenziale corrispondenza fra l’importanza dell’inadempimento legittimante e quella dell’inadempimento legittimato e non già la precisa determinazione della riduzione della controprestazione. Non è dubbio peraltro che, ove le
deficienze dei beni consegnati siano tali da azzerarne il valore e da menomare totalmente l’utilità degli stessi per l’acquirente, costui sia senz’altro autorizzato ad astenersi integralmente dall’adempimento della propria obbligazione198, potendo al più discutersi se tale comportamento lo
oneri della restituzione di quanto ricevuto, altrimenti dandosi luogo a
un’ingiusta locupletazione a danno della controparte.
Qualora, invece, il compratore abbia già esercitato la riduzione del
corrispettivo, quest’ultimo ha già subito la rideterminazione nella misura
della riduzione sicché, invero, si è ormai fuori dal campo di applicazione
dell’eccezione di inadempimento, non sussistendo più un’inesatta esecuzione della prestazione da parte del venditore. Ne consegue che, esercitato il rimedio, il pagamento del prezzo dovrà avvenire nella misura risultante dalla diminuzione e l’acquirente non avrà titolo per ottenere alcuna ulteriore dilazione, anche qualora la controparte contesti la
sussistenza del difetto che ha dato luogo alla riduzione ovvero l’ammontare della medesima: infatti, rifiutando di adempiere l’obbligazione di
prezzo determinata da una sua stessa manifestazione di volontà, egli darebbe luogo all’inadempimento di un debito liquido ed esigibile, al contempo addirittura ponendosi contra factum proprium.
7.2. La clausola solve et repete
Deve a questo punto considerarsi l’ipotesi che la possibilità del compratore di eccepire l’inesatto adempimento della controparte venga limitata attraverso l’apposizione al contratto di vendita di un patto «con cui
si stabilisce che [egli] non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta» (art. 1462 c.c.). La clausola solve et repete199 consente alle parti di attribuire a un contraente il diritto di para(si veda il par. 2) di determinazione della riduzione del corrispettivo, pur con riferimento a
un’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione di consegna.
197 L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, cit., p. 4.
198 In questo senso cfr. Cass. 4 novembre 2009, n. 23345, la quale, sul presupposto di
fatto secondo cui l’impresa eccipiente aveva ricevuto legname da ardere anziché legname idoneo alla lavorazione, ha ritenuto legittimo l’integrale rifiuto del pagamento opposto dalla
stessa, essendo stato consegnato un bene di nessuna utilità per l’acquirente.
199 La letteratura italiana in materia di clausola solve et repete conta un amplissimo numero di note a sentenza e commenti giurisprudenziali; fra le opere di respiro più ampio si
204
CAPITOLO TERZO
lizzare la proponibilità di talune eccezioni della controparte, al duplice
scopo di evitare che l’esecuzione degli obblighi contrattuali sia impedita
o ritardata dal ricorso puramente strumentale alle eccezioni dilatorie e di
«garantire una rapida esecuzione del programma negoziale, rinviando a
un momento successivo la valutazione delle ragioni che potrebbero essere addotte per sottrarsi all’adempimento»200.
Nel precisare le conseguenze della previsione di una clausola siffatta
sulla possibilità, per il compratore che riceva beni difettosi, di sospendere il pagamento del prezzo, in primo luogo è necessario tracciare
un’“actio finium regundorum” al fine di precisare le fattispecie relativamente alle quali l’autonomia privata può spingersi a negare a costui la facoltà di opporre eccezioni, giacché questa trova un argine insormontabile
in relazione alle vendite concluse da professionisti con consumatori: l’art.
33, comma 2, lett. r), c.cons.201, infatti, restringe in maniera assai penetrante la possibilità di «limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione
d’inadempimento da parte del consumatore», sancendo la presunzione
di vessatorietà della relativa clausola, con la conseguenza che un’eventuale previsione siffatta verrebbe colpita dalla sanzione di cui all’art. 36,
comma 1, c.cons.202. Pertanto, le compravendite c.d. b-to-c assicurano
possono consultare, nel novero degli scritti posteriori all’emanazione del nuovo codice, G.G.
AULETTA, Valore ed efficacia della clausola del «solve et repete» nei suoi vari tipi, in Giur. it.,
1947, I, 1, c. 423 ss.; A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D.,
XVII, Torino, 1970, p. 847 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per
inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 86 ss.; C. MIRAGLIA,
voce Solve et repete, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. 1255 ss.; E. LECCESE, La clausola solve
et repete, Milano, 1998; C. LUCCHI, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv.
- sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 586 ss.; D. POLETTI, voce Solve et repete (clausola del), in
Enc. giur. Treccani, XXIX, Aggiorn., Roma, 1999; A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le
autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2011, p. 113 ss.
200 Sono parole di F. ADDIS, La tutela dilatoria nei contratti a prestazioni corrispettive
nell’ottica della creazione di un diritto privato europeo, in G. VETTORI, Remedies in contract.
The Common Rules for a European Law, Padova, 2008, p. 15 nota 30 (saggio pubblicato anche in Studi in onore di Giorgio Cian, I, Padova, 2010, p. 21 ss.).
201 In argomento, v. A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in
Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 123 ss.; ID., L’eccezione di inadempimento del (e contro il)
contraente debole, in Obbl. e contr., 2010, p. 568 ss.; F. PADOVINI, sub art. 1469-bis, in G. ALPA
- S. PATTI, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2003, p. 577 s.; D. POLETTI, sub art. 1469-bis, in C.M. BIANCA - F.D. BUSNELLI,
Commentario al Capo XIV Bis del codice civile: dei contratti del consumatore, Padova, 1998,
p. 418 ss.
202 Una clausola come quella descritta nel testo sarebbe quindi sussumibile nel novero
di quelle la cui vessatorietà è presunta iuris tantum ai sensi della c.d. “lista grigia” di cui all’art. 33, comma 2, c.cons. (in questo senso v. anche A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le
autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 123; ID., L’eccezione di inadempimento del (e contro il) contraente debole, cit., p. 569, ove correttamente si esclude che
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
205
sempre al consumatore – allorché il professionista non proceda alla regolarizzazione della prestazione, nei termini che si sono illustrati poc’anzi –
la libertà di eccepire, al fine di ritardare il pagamento del corrispettivo,
l’inesatto adempimento dell’obbligazione di conformità dei beni al contratto, così come gli eventuali vizi giuridici o quantitativi della prestazione, senza che il consumatore stesso sia costretto ad esercitare immediatamente la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.
Qualora, invece, il contratto non sia b-to-c e, pertanto sia soggetto
alla disciplina di diritto comune203 o alla Convenzione di diritto uniforme204, siffatte limitazioni dell’autonomia privata non sussistono, sicché
i contraenti ben possono inserire nel regolamento negoziale205 una clausola limitativa della facoltà di proporre eccezioni, con l’effetto di privare
l’acquirente della possibilità di invocare la sussistenza del difetto del bene
a giustificazione della sospensione del pagamento del corrispettivo206. In
la clausola “solve et repete” possa essere ricondotta alla presunzione di cui alla lett. t) del medesimo art. 33, comma 2, c.cons.), e non già presunta iuris et de iure in forza della c.d. “lista
nera” contenuta all’art. 36, comma 2, c.cons. (in particolare, alla lett. b) del citato comma):
infatti, sebbene tale ultima disposizione sia caratterizzata da «una formula assai ampia e tendenzialmente onnicomprensiva» (così M. FACCIOLI, sub art. 36 c.cons., in Comm. breve dir.
cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 408), la stessa non colpisce le clausole che, pur
se astrattamente riconducibili alla sua sfera applicativa, trovano una specifica regolamentazione nel contesto dell’art. 33, comma 2, c.cons. Più precisamente, sembra preferibile ritenere
che l’identificazione dell’ambito di applicazione delle presunzioni sancite dall’art. 36, comma
2, c.cons. debba essere condotta ricalcando quello riconosciuto alle medesime previsioni nell’ambito della “lista grigia”, senza dilatazioni che conducano a commistioni fra presunzioni
distinte, pena l’irragionevolezza del sistema (in questo senso, cfr. ancora M. FACCIOLI, sub art.
36 c.cons., in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 409).
203 Deve, comunque, essere rammentato che, allorché la clausola “solve et repete” sia
contenuta in condizioni generali di contratto, essa – ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c. –
deve essere specificamente approvata per iscritto dall’aderente, sotto pena di inefficacia: cfr.
C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 469 e Cass. 5 ottobre 1976,
n. 3272.
204 L’art. 58 CISG, peraltro, adotta il principio di contestualità delle prestazioni (Prinzip der Zug-um-Zug-Leistung, di cui costituisce applicazione anche l’art. 81, comma 2 in tema
di restituzioni contrattuali), prescrivendo che «se il compratore non è obbligato a pagare il
prezzo in un altro momento determinato, egli deve pagarlo quando, in conformità al contratto e alla presente Convenzione, il venditore mette a sua disposizione i beni o i documenti
rappresentativi di essi. Il venditore può fare di tale pagamento una condizione per la consegna dei beni o dei documenti». In argomento, cfr. D. MASKOW, sub art. 58, in C.M. BIANCA M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, Milano, 1987, p. 420 ss. e STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 7 ss., il
quale mette correttamente in luce come tale regola abbia carattere dispositivo.
205 Sulla dubbia applicabilità dell’art. 1341, comma 2 c.c. anche ai contratti sottoposti
alla Convenzione di Vienna, v. Capitolo 5.
206 Si badi che siffatta pattuizione è ben possibile anche qualora il contratto sia soggetto alla disciplina della Convenzione di Vienna, il cui art. 58, comma 3 attribuisce bensì al
206
CAPITOLO TERZO
tali ipotesi207, pertanto, costui è tenuto a ridurre immediatamente il corrispettivo ovvero a risolvere il contratto, altrimenti dovendo adempiere
immediatamente e per intero all’obbligazione di prezzo anche laddove
abbia riscontrato e denunziato la sussistenza di difetti.
L’apponibilità della clausola solve et repete alle vendite cui si è appena fatto cenno pone, peraltro, all’interprete l’ulteriore interrogativo
circa la riconducibilità all’imperativo codificato nell’art. 1462 del nostro
codice civile dello stesso diritto di riduzione del prezzo: in altre parole,
mette conto verificare se la pattuizione in discorso possa impedire al
compratore l’esercizio immediato dell’aestimatoria prima del pagamento
del corrispettivo, costringendolo all’adempimento per l’intero e alla successiva richiesta di restituzione della parte di prezzo non dovuta.
Il tema è, pertanto, quello dell’identificazione dei limiti di efficacia208 del patto, e la sua trattazione richiede di mettere a frutto l’elaboracompratore un diritto di ispezione (Untersuchungsrecht) dei beni, subordinando alla possibilità di tale esame l’attualità dell’obbligo di pagamento del prezzo, ma, da un canto, questa costituisce norma palesemente dispositiva (in proposito, v. ancora STAUDINGER/U. MAGNUS, sub
art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn 24 ss. e J. LOOKOFSKY, sub art. 58, in ID., The
1980 United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods, The Hague,
2000, No. 247, il quale si esprime nei termini di gap-filling rule) e, dall’altro, «does not state
the legal consequence of the buyer’s discovery that the goods do not conform to the contract» (D.
MASKOW, sub art. 58, in C.M. BIANCA - M.J. BONELL, Commentary on the International Sales
Law, cit., p. 425), non giungendo ad affermare che – qualora l’esame riveli la presenza di vizi
delle merce – questi possa, per ciò solo, sottrarsi alla richiesta di pagamento del corrispettivo.
Ne consegue che questo aspetto sembra dover essere regolato in aderenza alle pattuizioni
delle parti (frequenti sono quelle “cash on delivery” e “cash against invoice”, ritenute comunemente impeditive del rifiuto di pagamento da parte dell’acquirente motivato dalla presenza
di difetti: D. MASKOW, op. cit., p. 426) o, in mancanza, alla legge nazionale applicabile al contratto, come prescrive l’art. 7 CISG.
207 Per i sottotipi della vendita (di cose mobili) su documenti e con pagamento contro
documenti, l’art. 1528 c.c. prevede, peraltro, una regola legale dispositiva, derogabile da patti
o usi contrari, secondo cui «quando i documenti sono regolari, il compratore non può rifiutare il pagamento del prezzo adducendo eccezioni relative alla qualità e allo stato delle cose,
a meno che risultino già dimostrate». Tale regola è volta – similmente alla clausola negoziale
solve et repete (P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1527-1529, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja
Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 464) – ad «assicurare snellezza e rapidità nell’esecuzione del
rapporto», rinviando ad un momento successivo l’esame delle eccezioni relative alle qualità
materiali della cosa, purché i documenti siano formalmente regolari. Contrario all’inquadramento della regola in argomento quale ipotesi legale di solve et repete è, peraltro, C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 471, dovendosi intendere l’art. 1528
c.c. come non ostativo rispetto alla possibilità per l’acquirente di rifiutare il pagamento del
prezzo qualora sussistano prove “liquide” del difettoso adempimento del venditore.
208 Sembra, infatti, che la conseguenza della previsione di limitazione della proponibilità di eccezioni o azioni che esorbiti dai confini dell’art. 1462 c.c. non riposi nella nullità
della clausola, quanto piuttosto nella sua (parziale) inefficacia relativa: nello stesso senso, cfr.
A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Bu-
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
207
zione dottrinale e giurisprudenziale relativa all’esegesi del termine “eccezioni”, contenuto nella disposizione dell’art. 1462 c.c. Il termine anzidetto, volutamente assai ampio ma altrettanto generico, ha aperto il
campo ai più diversi sforzi esegetici, il cui minimo comune denominatore
è costituito sostanzialmente dal riconoscimento che il solve et repete consente a colui nel cui interesse è pattuito di paralizzare l’eccezione d’inadempimento209 e quella “di pericolo” (art. 1461 c.c.) sollevate dalla controparte: al di fuori di tale “nucleo duro” di c.d. eccezioni sinallagmatiche, la definizione dell’ambito di operatività della clausola vede gli
interpreti profondamente divisi.
Ai fini che ci interessano, peraltro, due sono le questioni dirimenti.
La prima: se la convenzione solve et repete possa essere estesa sino a interdire il ricorso non soltanto alle eccezioni sinallagmatiche, ma pure alle
altre eccezioni, alle azioni e ai diritti sostanziali di cui è titolare la parte
contrattuale gravata dell’obbligo di previo adempimento. La seconda: se,
risolta positivamente la prima questione, fra le azioni e i diritti sostanziali
paralizzabili a mezzo del patto in argomento possa rientrare il diritto del
compratore di ridurre il corrispettivo a cagione dei difetti quantitativi,
materiali o giuridici della res trasferita.
Lo scioglimento delle riserve appena formulate si confronta, da un
canto, con la cennata ampiezza e genericità del riferimento alle «eccezioni [dirette a] evitare o ritardare la prestazione dovuta» e, dall’altro,
con la sicura esclusione delle «eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto»210, la cui espunzione dall’ambito applicativo del
solve et repete è da taluni ricollegata al fatto che siffatte difese porrebbero «in discussione il fatto costitutivo del credito», il cui venir meno
snelli, cit., p. 129; C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1258; C. LUCCHI, Solve
et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 588. Nel senso della «inoperatività» della clausola si esprime A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola
del), in Noviss. D., cit., p. 849.
209 Peraltro, persino su questo punto, si segnala un dissenso della giurisprudenza di legittimità, da tempo impegnata in un’attività di erosione della sfera applicativa della clausola
disciplinata dall’art. 1462 c.c.: infatti, secondo Cass. 16 luglio 1994, n. 6697, «la garanzia da
eccezioni dilatorie, propria della clausola “solve et repete”, non ha un’efficacia tale da paralizzare in toto l’exceptio inadimpleti contractus, bensì resta correlata all’ambito di operatività
dell’exceptio non rite adimpleti contractus, sicché essa non incide sulla possibilità di far valere
la mancata esecuzione, totale o parziale della controprestazione» (similmente, Cass. 3 dicembre 1981, n. 6406). La dottrina è per lo più orientata a rigettare tale limitazione: cfr., per tutti,
D. POLETTI, voce Solve et repete (clausola del), in Enc. giur. Treccani, cit., p. 5.
210 Già nel vigore del codice abrogato, in assenza di una disciplina legislativa del “solve
et repete”, era condivisa l’opinione secondo cui le eccezioni di nullità e annullabilità del contratto sfuggono alla sua pattuizione: cfr., per tutti, P. GRECO, La clausola «solve et repete»: ragioni e limiti della sua efficacia, cit., p. 144.
208
CAPITOLO TERZO
“travolgerebbe” anche la stessa clausola ex art. 1462 c.c.211, mentre da altri è motivata sulla base «della particolare gravità dei fatti sui quali i tre
rimedi si fondano»212.
A quest’ultima esclusione, la maggior parte degli interpreti213 condivisibilmente giustappone quella relativa alle eccezioni fondate sull’intervenuta estinzione dell’obbligazione per adempimento della medesima o
altra causa estintiva214, in quanto, da un canto, «poiché il pagamento realizza in pieno l’interesse tutelato dalla clausola» non si vede come questa
possa sopravvivere «all’interesse per la cui tutela è stata istituita e rite211 In tal senso si esprimono, ad esempio, A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto
o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 848 e C. LUCCHI, Solve et repete (patto o clausola del), in
Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 588, ove l’osservazione è arricchita dall’argomento ascarelliano (v. infatti, T. ASCARELLI, Sulla clausola «solve et repete» nei contratti, cit., c. 293) secondo
cui l’esclusione delle eccezioni d’invalidità dall’area del solve sarebbe funzionale a garantire la
sussistenza della causalità delle attribuzioni patrimoniali.
212 Così L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90 nota 2, la quale osserva come l’art. 1462 c.c. assimili tre
istituti assai diversi fra loro, la cui operatività invero soltanto nell’ipotesi di annullamento
comporta il venir meno del negozio e, con esso, della clausola solve et repete. Nel senso che
l’esclusione delle tre tipologie di eccezione espressamente contemplate non potrebbe riposare
sui pretesi effetti “caducatori” (invero prodotti, a tutto concedere, dal provvedimento giudiziale, e non già dall’atto di parte) che queste verrebbero a spiegare sul contratto cfr. anche C.
MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1255 ss. e D. POLETTI, voce Solve et repete
(clausola del), in Enc. giur. Treccani, cit., p. 3.
213 Si vedano, infatti, A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 849; L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 351 ss.; C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1259;
A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 130 s.
214 Con riferimento alla compensazione legale, peraltro, l’insensibilità al solve può essere predicata – contrariamente a quanto ritenuto da L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in
EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90 nota 5 – non
soltanto se si condivida l’opinione tradizionale (per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 4. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 493 ss.) circa il suo modus operandi, la quale ritiene che essa operi
di diritto, salvo però dover essere fatta valere ope exceptionis, ma altresì qualora si ricolleghi
l’effetto estintivo della compensazione all’emissione di una dichiarazione unilaterale extraprocessuale di parte (così, fra gli altri, P. PERLINGIERI, sub art. , in ID., Dei modi di estinzione
delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1975,
p. 273 e M.C. DALBOSCO, La compensazione per atto unilaterale (c.d. compensazione legale) tra
diritto sostanziale e processo, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 357 ss.). Invero, così come la stessa
autorevole A. ammette – come si dirà poco oltre – che la clausola limitativa della proponibilità di eccezioni non spieghi efficacia nei confronti delle ipotesi di risoluzione su diffida (art.
1454 c.c.) o a seguito della dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa
(art. 1456), le quali richiedono per la loro operatività «la reazione difensiva dell’interessato»,
altrettanto dovrebbe dirsi per la compensazione legale, anche qualora si ritenga che la stessa
si produca a seguito della dichiarazione stragiudiziale di parte.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
209
nuta valida»215 e, dall’altro, deve notarsi come il realizzarsi di una fattispecie di estinzione dell’obbligo comporti l’invariabile venir meno dello
stesso fondamento della pretesa all’adempimento, cosicché – una volta
che questa sia intervenuta – non sembra possa più farsi luogo a considerazioni relative all’attuazione del sinallagma contrattuale.
D’altro canto, la giurisprudenza216 è orientata a sostenere che il solve
possa costituire un argine nei confronti delle azioni il cui contenuto sia
identico a quello delle eccezioni paralizzabili, giacché, diversamente opinando, «si determinerebbe tra le parti una gara nell’ottenere, ciascuna
prima dell’altra, una sentenza favorevole, e ben scarsa sarebbe la tutela
che il patto in questione offrirebbe alla parte che lo ha imposto, perché
esso si risolverebbe in un incentivo alla controparte ad agire sempre ed
immediatamente per la tutela dei propri diritti»217. Ne consegue che l’azione di adempimento, quale “speculare positivo” dell’exceptio inadimpleti contractus, verrebbe posta fuori gioco dalla pattuizione ex art. 1462
c.c., e così quella di risoluzione per inadempimento, giacché volta a far
dichiarare l’estinzione del rapporto contrattuale onde evitare l’adempimento218.
Orbene, se si condivide l’idea – che abbiamo esposto nel Capitolo 2
– che la riduzione del corrispettivo abbia natura di diritto potestativo suscettibile di esercizio mediante un atto unilaterale stragiudiziale, le sue
sorti di fronte all’imperativo del solve debbono, a nostro parere, essere
parificate non a quelle cui è destinata l’azione di risoluzione ma a quelle
delle ipotesi di risoluzione del contratto c.d. stragiudiziali, laddove l’estinzione degli effetti contrattuali, con il corollario del venir meno degli
obblighi incombenti sulle parti, ha luogo “di diritto”, senza il medio
della domanda giudiziale. Con riferimento a tali ipotesi, è stato acutamente posto in luce219 come la clausola che limiti la proponibilità di eccezioni debba confrontarsi con la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla norma per la sua operatività, fra i quali rientra la circostanza
215 Sono parole di A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss.
D., cit., p. 848.
216 Si veda, ad esempio, Cass. 5 ottobre 1976, n. 3272.
217 Così T. ASCARELLI, Sulla clausola «solve et repete» nei contratti, cit., c. 291. Contra,
C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 384 s. e A. DALMARTELLO, voce Solve et
repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 857, il quale fa leva sull’argomento letterale
e sulla ratio della norma, volta a colpire le resistenze defatigatorie.
218 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 92.
219 Da L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 92, le cui tesi sono accolte di recente da A.M. BENEDETTI,
sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 132.
210
CAPITOLO TERZO
che la prestazione sia «dovuta»: poiché le cause estintive o modificative –
risoluzione su diffida (art. 1454 c.c.), per decorso del termine essenziale
(art. 1457 c.c.) o conseguente alla dichiarazione di voler profittare di una
clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.); risoluzione per impossibilità
sopravvenuta totale (art. 1463 c.c.) o parziale (art. 1464 c.c.); scioglimento del rapporto contrattuale per avvenuto esercizio del diritto di recesso; ecc. – che intervengono sul rapporto comportano il venir meno o
il mutamento dell’oggetto della pretesa, sembra doveroso ritenere che
queste risultino insensibili al solve, similmente a quanto accade per le eccezioni di avvenuto adempimento o di estinzione dell’obbligazione per
altra causa ammessa220. Se così è, poiché anche le vicende derivanti dall’esercizio della riduzione del corrispettivo incidono in maniera immediata sulla realtà giuridica sostanziale, modificando il contenuto delle
prestazioni dovute da entrambe le parti del contratto di compravendita,
è inevitabile concludere che anche con riferimento a tale diritto la pattuizione limitativa della proponibilità di eccezioni non possa dispiegare i
propri effetti paralizzanti221.
In conclusione, pertanto, riteniamo che la clausola solve et repete
contenuta in contratti di compravendita soggetti alla disciplina del codice civile222 impedisca senz’altro al compratore di sottrarsi al pagamento
220 Questa conclusione è avversata da C. LUCCHI, Solve et repete (patto o clausola del),
in Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 591, per cui l’espressa previsione normativa dell’inefficacia
della clausola solve et repete nei confronti delle sole eccezioni di nullità, annullabilità e rescindibilità del negozio non potrebbe essere dilatata sino a coprire vicende caratterizzate da
analoghi effetti estintivi, ma di gravità tale da poter consentire un loro esame anche in un
tempo successivo all’intervenuto adempimento. A noi pare, però, che – a parte lo scarso affidamento che può essere attribuito all’argomentum a contrario – opinare in tal senso equivarrebbe ad ascrivere alla clausola de qua un effetto esorbitante rispetto allo stesso interesse tutelato, consistente nella ricezione della prestazione cui si ha diritto senza dover incorrere in
contestazioni dilatorie: se, però, per l’intervento di fatti successivi, la prestazione risulta non
più dovuta o dovuta in termini differenti rispetto a quanto inizialmente pattuito, l’affermazione della praticabilità del solve assicurerebbe al soggetto attivo della clausola non già ciò cui
ha diritto, ma qualcosa cui non ha più, in tutto o in parte, diritto. Né potrà dirsi che, in ragione di quanto appena affermato, sarebbe allora irragionevole ritenere che la clausola spieghi effetto nei confronti dell’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. (o, ad esempio, di quella
per eccessiva onerosità sopravvenuta), giacché in tal caso, nel momento in cui la parte si determina all’esperimento della stessa, la prestazione da essa dovuta rimane tale.
221 D’altronde, benché – come visto supra – non abbia luogo alcuna compensazione in
senso tecnico, la riduzione del prezzo opera un adattamento della misura del corrispettivo il
cui svolgersi coincide descrittivamente con il modo di operare della compensazione: sarebbe,
pertanto, antinomico predicare l’insensibilità al solve della rideterminazione del credito conseguente all’operare della compensazione e ammettere, invece, che questo possa paralizzare
la quanti minoris.
222 La CISG, invero, non contiene alcuna disciplina degli aspetti cui si è dedicata attenzione nel testo, limitandosi – come già si è accennato – a prevedere all’art. 71 una regola-
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
211
integrale del corrispettivo adducendo il mero fatto dell’avvenuto riscontro e della denunzia del difetto qualitativo, giuridico o quantitativo della
res trasferita, ma non spieghi efficacia nei confronti dell’avvenuto esercizio del rimedio estimatorio, a seguito del quale il venditore ha titolo per
richiedere l’adempimento dell’obbligazione di prezzo soltanto nei più ristretti limiti conseguenti alla decurtazione imposta dal minore valore
delle cose vendute.
7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto
all’importo del prezzo risultante dalla riduzione
Raggiunte le conclusioni cui siamo approdati, rimane da affrontare
il diverso ma limitrofo problema riguardante le circostanze in cui il
prezzo di acquisto sia stato in parte corrisposto e in parte rimanga da pagare, ovvero sia stato pattuito il pagamento del corrispettivo mediante un
certo numero di rate.
In relazione a tali ipotesi, l’adattamento del contenuto negoziale indotto dalla riduzione del corrispettivo deve essere operato senza alterare
il programma negoziale divisato dalle parti nel contratto e, pertanto, deve
ritenersi che la decurtazione dell’importo operi in misura diversa a seconda che il prezzo sia stato suddiviso in rate di importo proporzionale
rispetto al corrispettivo totale (o – similmente – in un certo numero di
rate, il cui singolo importo è indirettamente determinato dalla somma
dovuta) ovvero in valore assoluto, prescindendosi da alcun rapporto di
proporzionalità.
Nella prima eventualità, a nostro avviso, la riduzione del prezzo
opera in maniera proporzionale su tutte le rate – siano queste già state
pagate ovvero ancora da pagare223 – giacché il frazionamento del debito
del compratore in un numero predefinito di pagamenti aventi un determinato importo, rapportato all’ammontare totale di questo si riverbera
nel fatto che tale proporzione deve essere conservata anche a seguito
della diminuzione del somma dovuta. Infatti, nell’ipotesi considerata, il
compratore gode del beneficio del termine riguardo a una somma determinata non già in valore assoluto, ma per relationem in via proporzionale
sull’intero prezzo, sicché ha diritto di conservare tale beneficio anche a
mentazione dell’eccezione di pericolo. Ne consegue che, anche sotto questo aspetto, dovrà
farsi applicazione della «legge applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato» (art. 7, comma 2, CISG), giacché non sembra che la Convenzione esprima alcun principio generale invocabile al riguardo.
223 In questo senso, nella dottrina germanica, cfr. ad esempio STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 38.
212
CAPITOLO TERZO
seguito della riduzione224. Proprio per tale ragione, il creditore-venditore
non avrà neppure titolo per invocare la compensazione legale fra le
somme già riscosse in più e i crediti vantati per le successive rate, essendo
questi ultimi ancora inesigibili.
Ove, invece, la dilazione di pagamento ovvero la rateazione del
prezzo siano avvenute attraverso la pattuizione di pagamenti di importi
determinati in valore assoluto senza considerazione dell’incidenza proporzionale sul totale della somma dovuta, il beneficio del termine accordato
al compratore riguarda somme predeterminate, sicché non sembra che
costui sia portatore di un interesse meritevole di tutela alla decurtazione
dell’importo di ciascuna rata225 e la diminuzione del corrispettivo opera
integralmente su ciascuna rata a partire dall’ultima e via via risalendo alle
precedenti. Ricorrendo questa ipotesi, pertanto, l’acquirente è tenuto al
puntuale ed esatto pagamento della somma dovuta a ciascuna delle scadenza prefissate e non ha titolo per pretendere di rimodulare l’ammontare
di ciascun adempimento a cagione della riduzione del prezzo totale.
Pertanto, si può concludere che, qualora il venditore richieda il pagamento delle rate di corrispettivo pattuite, il compratore potrà opporre
a costui la riduzione dell’importo di queste, ove le stesse siano state calcolate in misura proporzionale all’ammontare totale del prezzo, mentre
sarà tenuto senz’altro al pagamento della parte di prezzo pattuita ove
questa sia stata determinata prescindendo da un rapporto proporzionale
con il corrispettivo totale e la domanda dell’alienante non superi l’ammontare del prezzo ridotto226.
8.
La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato
in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione
Qualora il corrispettivo pattuito sia stato integralmente saldato dal
compratore in un tempo antecedente rispetto al momento in cui lo stesso
224 Ciò, del resto, è quanto accade nel caso di parziale “estinzione anticipata” di mutui
e altri contratti di finanziamento, laddove il pagamento anticipato di più rate comporta non
già il venir meno di rate successive per un pari importo, bensì l’abbassamento dell’importo di
ciascuna delle rate stesse, fermo il loro numero.
225 In un esempio: se Tizio si è obbligato a pagare il prezzo di 100 mediante il pagamento di quattro rate dell’importo, rispettivamente, di 40, 20, 10 e 30, non può pretendere di
ridurre l’importo di ciascuna rata nella proporzione risultante dalla riduzione del prezzo
complessivo, ma la decurtazione opererà per intero sulla rata di importo pari a 30 e, qualora
la diminuzione del corrispettivo superi tale ammontare, si estenderà per il residuo alle scadenza anteriori.
226 Come si è detto nel testo, proprio nella determinazione delle rate di prezzo attraverso il riferimento al metodo proporzionale, ovvero mediante la determinazione in valore as-
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
213
si determina a richiederne la riduzione, questo deve essere parzialmente
restituito227 nella misura pari all’incidenza del difetto, determinata secondo le modalità di calcolo analizzate nei paragrafi precedenti228. Allo
stesso modo, allorché il prezzo originariamente convenuto – nonostante
non sia stato versato per intero – sia stato comunque corrisposto in misura eccedente l’ammontare di quello diminuito, per effetto della riduzione sorge il diritto alla restituzione di quanto pagato in più.
La natura giuridica della pretesa che, in queste due ipotesi, viene ad
esistenza in capo al compratore per effetto della dichiarazione di riduzione del prezzo è quella di un diritto di credito, avente ad oggetto la
parziale restituzione di una prestazione pecuniaria229.
Con riferimento alla Convenzione di Vienna, gli interpreti si dividono fra coloro che tendono a riconoscere nello stesso art. 50 CISG il
fondamento dell’obbligazione restitutoria in discorso230 e quanti, invece,
soluto, risieda il fattore discriminante ai fini della determinazione dell’efficacia della riduzione del prezzo, proporzionale nel primo caso e sul solo residuo nel secondo.
227 Ciò è pacifico in dottrina come in giurisprudenza: cfr., per tutti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 814; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al
contratto e diritti del consumatore. L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita
e le garanzie dei beni di consumo, Padova, 2000, p. 198; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La
vendita di beni di consumo, cit., p. 91; D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, Köln-München,
2009, Rn. 500; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 441, cit., Rn. 6; nella letteratura riguardante la
CISG, STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn.
25; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MULLER-CHEN, sub art. 50 CIGS, 6. Aufl., München, 2008,
Rn. 16; M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p.
408; S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou de non-conformité de la
chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les contrats de
vente internationale de marchandises, cit., p. 300. In giurisprudenza, v. le pronunce citate alla
nota 239.
228 L’affermazione di tale obbligo restitutorio è esplicita nell’art. 120, comma 2 CESL,
il quale statuisce che «il compratore che abbia diritto a ridurre il prezzo […] ed abbia già
pagato un importo superiore al prezzo ridotto può esigere che il venditore restituisca l’eccedenza».
229 Nello stesso senso, v. D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, cit., Rn. 500; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 17 («Die
Folgen einer bereits vorliegenden Überzahlung auf den später gekürzten Kaufpreis normiert
§ 441 Abs. 4 ausdrücklich durch Gewährung eines Rückzahlungsanspruchs, der direkt aus
dieser Norm, nicht etwa aus § 346 Abs. 1 folgt»); KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I.
BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 51; M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem
UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 408; A. STOFFER, Gegenstand und Normzweck des Art. 50 CISG,
in IHR, 2007, p. 228 s.
230 Si vedano SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MULLER-CHEN, sub art. 50 CIGS, cit., Rn.
16; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25; Cour de
Justice de Genève, 15 November 2002, in CISG-online n. 853. MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER,
sub art. 50 CISG, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 26, nel fare riferimento sia all’art. 50 sia
all’art. 81, esclude comunque espressamente che possano venire in considerazione le disposizioni di legge nazionali in materia di Bereicherungsrecht.
214
CAPITOLO TERZO
ritengono che la medesima trovi il proprio fondamento nel generale precetto sancito dall’art. 81, comma 2 con riferimento alla risoluzione, ai
sensi del quale «la parte che ha eseguito il contratto in tutto o in parte
può chiedere all’altra parte la restituzione di tutto ciò che la prima parte
ha fornito o pagato in base al contratto. Se entrambe le parti sono obbligate ad effettuare restituzioni, esse devono procedervi contemporaneamente»231.
Per quanto attiene all’ordinamento italiano, invece, non sembra
possa esservi dubbio circa la riconducibilità della pretesa restitutoria ai
principi in materia di ripetizione dell’indebito232. Contrariamente a
quanto accade con riferimento alla restituzione dell’intero prezzo conseguente alla risoluzione del contratto, laddove l’esatta qualificazione della
fonte degli obblighi restitutori si interseca con i problemi legati alla sopravvenuta inefficacia del contratto e alla retroattività che costituisce la
cifra distintiva del rimedio233, in relazione alla riduzione del prezzo l’adattamento del contenuto negoziale comporta la mera ridefinizione delle
231 In
questo senso, cfr. B. AUDIT, La vente internationale de marchandises. Convention
des Nations-Unies du 11 avril 1980, Paris, 1990, p. 138 e KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 52, secondo il quale «since a right to restitution is not
expressly mentioned in Art. 50, some authors argue that the buyer must resort to Art. 81(2)’s
restitution provisions for buyers who have avoided a contract post-payment. While the debate at
first glance seems to be largely moot since a restitution claim under Art. 50 or Art. 81(2) generates identical results in practice, the issue becomes relevant in respect to the claim for interest.
In this regard, the most consistent solution appears to consist in basing all repayment claims on
Art. 82(1)».
232 Nel diritto tedesco la questione inerente al fondamento della pretesa restitutoria era
discussa nel vigore del § 472 aF BGB (v. in proposito M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der
Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 409 ss., ove ricostruzione del dibattito, e
S. LORENZ, Rechtsgrundlagen des Anspruchs “aus Minderung”, in JuS, 1993, p. 727 ss.), mentre
oggi si ritiene pacificamente che esso riposi nel quarto comma del § 441 nF BGB (così STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 40 e BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB,
in Beck-Online, Rn. 15), giacché lo stesso dispone che «Hat der Käufer mehr als den geminderten Kaufpreis gezahlt, so ist der Mehrbetrag vom Verkäufer zu erstatten. […]».
233 Il tema è noto e in questa sede non può riservarvisi che un accenno. Per indicazioni
bibliografiche e l’illustrazione delle principali ragioni poste a fondamento delle due tesi antagoniste (l’una favorevole all’applicazione delle regole dell’indebito, l’altra persuasa dell’incompatibilità fra queste ultime e il regime delle restituzioni conseguenti allo scioglimento del
contratto) si consultino, senza alcuna pretesa di completezza: E. MOSCATI, Caducazione degli
effetti del contratto e pretese di restituzione, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 435 ss.; A. DI MAJO,
Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1994, p.
291 ss.; ID., Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed europeo, in Europa
dir. priv., 2001, p. 531 ss.; E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit.; A. BELFIORE, Risoluzione
per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, cit., p. 245
ss. e C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, in
Europa dir. priv., 1999, p. 793 ss.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
215
prestazioni delle parti negoziali, ferma la conservazione dello scambio: ne
consegue che l’obbligazione restitutoria avente ad oggetto la parte di
prezzo corrisposta in misura superiore a quella dovuta segue le medesime
regole che trovano applicazione ai c.d. “pagamenti isolati” non dovuti, in
quanto l’estimatoria non dà luogo ad alcun “azzeramento” degli effetti
del contratto, né comporta la necessità di una sua “liquidazione”234 con
l’applicazione di regole speciali dovute all’esistenza del sinallagma.
Secondo un’opinione largamente accettata con riferimento alla Convezione di Vienna, che sembra potersi senz’altro estendere al diritto interno, l’obbligazione restitutoria conseguente all’esercizio della riduzione
del corrispettivo è denominata nella stessa valuta utilizzata dal compratore per il pagamento del prezzo235, anche qualora il contratto di compravendita prevedesse l’impiego di una moneta differente, giacché, da un
canto, l’accettazione del pagamento da parte del venditore dà luogo a
una sorta di datio in solutum che fa venir meno l’obbligo di pagare con i
pezzi monetari pattuiti originariamente e, dall’altro, l’obbligazione restitutoria non può che avere ad oggetto una somma denominata nella medesima valuta dell’obbligazione che va (parzialmente) restituita.
Quanto al luogo di adempimento dell’obbligazione, in assenza di
una pattuizione ad esso relativa, questo va determinato in applicazione
dei criteri legali pertinenti: nel diritto interno, pertanto, troverà applicazione il generale criterio sancito dal secondo capoverso dell’art. 1182 c.c.,
in forza del quale le prestazioni aventi ad oggetto il pagamento di una
somma di denaro debbono «essere adempiut[e] al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza», mentre per i contratti ai quali trova applicazione il diritto uniforme alcune decisioni giurisprudenziali hanno
proceduto a identificazioni oscillanti fra l’originario luogo di consegna
della merce236 e quello in cui era avvenuto il pagamento del prezzo237, ma
è prevalente l’opinione secondo cui lo stesso va individuato nella sede del
compratore, facendo un’applicazione simmetrica della previsione di cui
all’art. 57, comma 1, lett. a)238.
234 Le
due espressioni utilizzate nel testo sono di E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato,
cit., p. 38 s.
235 Così, ad esempio, KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG,
cit., Rn. 52; MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 26; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25.
236 Cfr. la decisione del BGH, 22 ottobre 1980, VIII ZR 264/79, in NJW, 1981, p. 1158
ss., facendo applicazione della regola che prevede il pagamento del prezzo presso la sede del
venditore anche al caso di restituzione di una parte della somma.
237 OLG Hamm, 5 novembre 1997, in CISG-online n. 381.
238 Nel senso del testo v. P. HUBER - A. MULLIS, The CISG. A new textbook for students
and practitioners, cit., p. 314; MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 27, ove
216
CAPITOLO TERZO
Avendo natura restitutoria, l’obbligazione in discorso è pacificamente inquadrata fra i debiti di valuta239, giacché essa viene in considerazione per il suo ammontare nominale e non in termini di potere di acquisto. Peraltro, il compratore che abbia versato al venditore una somma
superiore al corrispettivo ridotto ha diritto non soltanto alla restituzione
della parte di prezzo pagato in più, ma pure alla corresponsione degli interessi corrispettivi su tale somma ai sensi dell’art. 2033 c.c.240, con decorrenza non già dal tempo del pagamento241 ma da quello in cui ha acquisito efficacia la dichiarazione di riduzione del prezzo effettuata dall’acquirente242: da un lato, infatti, prima di tale istante il credito difetta
del requisito della liquidità e, dall’altro, come il compratore non è tenuto
a versare al venditore un indennizzo per l’uso della res e per le maggiori
si precisa che «hinzuweisen ist allerdings darauf, dass dies für den Gerichtsstand nur dann
relevant wird, wenn die betreffende Vorschrift des Internationalen Prozessrechts vorsieht, dass
es auf den Erfüllungsort der streitigen (Zahlungs-)Verpflichtung ankommt und für dessen
Bestimmung (als lex causae) das UN-Kaufrecht zur Anwendung beruft. Wird dagegen der
Erfüllungsort vertragseinheitlich bestimmt und an der Sachleistungspflicht ausgerichtet
und/oder autonom definiert […], so kommt es – für den Gerichtsstand – auf die Regeln des
UN-Kaufrechts nicht an»; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit.,
Rn. 52 e STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25.
Quest’impostazione è seguita anche da talune pronunce giurisprudenziali: OLG Düsseldorf,
2 luglio 1993, in CISG-online n. 74; Cour d’appel de Grenoble, 23 ottobre 1996, in CISG-online n. 305; LG Gießen, 17 dicembre 2002, in CISG-online n. 766.
239 In questo senso sono orientate, senza eccezioni, la nostra giurisprudenza (Cass. 29
gennaio 2013, n. 2060; Cass. 6 febbraio 1989, n. 724; Cass. 6 febbraio 1985, n. 846) e la nostra dottrina: per tutti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 974. In
generale, sulla natura di debito di valuta delle obbligazioni restitutorie aventi ad oggetto
somme di denaro, v. U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, Milano, 1974, p. 428 ss.; C.M.
BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 810; in giurisprudenza, v., fra le tante, Cass.
12 marzo 2014, n. 5639; Cass. 15 marzo 2004, n. 5237; Cass. 1° dicembre 2000, n. 15358;
Cass., 5 gennaio 1995, n. 195; Cass., 10 ottobre 1992, n. 11041.
240 Non può dubitarsi, peraltro, che al compratore debba essere riconosciuta la compensazione dell’eventuale maggior danno che egli provi essergli derivato per la ritardata restituzione della somma quantificata con l’estimatoria (v. Cass. 29 gennaio 2013, n. 2060 e
Cass. 14 febbraio 1963, n. 318), ma tale pretesa dovrà essere fatta valere attraverso l’esercizio
del diritto al risarcimento del danno. In argomento, v. pertanto il Capitolo 6.
241 In tal senso, invece, con riferimento all’obbligazione restitutoria avente ad oggetto il
prezzo conseguente all’esperimento dell’azione di risoluzione, Cass. 22 febbraio 2008, n.
4604 e Cass. 18 settembre 2014, n. 19659.
242 Si muove in un ordine di idee non dissimile C.M. BIANCA, La vendita e la permuta,
in Tratt. Vassalli, cit., p. 755 ss., laddove ritiene che nell’ipotesi di risoluzione del contratto ai
sensi dell’art. 1479 c.c. l’alienante sia tenuto al pagamento degli interessi sul prezzo dal
giorno della domanda giudiziale di risoluzione ovvero da quello della risoluzione stragiudiziale, facendosi applicazione degli artt. 2033 ss. c.c. Senza entrare nel merito della questione
della retroattività degli effetti della risoluzione, l’opinione appena riportata dimostra la correttezza del calcolo del termine di decorrenza degli interessi con riferimento al momento di
efficacia del rimedio stragiudiziale.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
217
utilità ottenute dalla stessa sino al manifestarsi del difetto – in quanto
l’uso è avvenuto in maniera corrispondente al titolo del diritto vantato
dall’acquirente –, così costui non può essere chiamato a restituire i frutti
civili del denaro ricevuto prodottisi sino al momento in cui era intatta la
causa dell’attribuzione dell’intero prezzo, non essendo ancora stata esercitata l’estimatoria.
Tale soluzione, per le medesime ragioni, deve ritenersi preferibile
anche in relazione ai contratti di compravendita cui trova applicazione il
diritto convenzionale uniforme243, laddove essa può trovare un addentellato normativo nell’art. 78 CISG244, il quale prescrive l’obbligo di corrispondere interessi a carico di colui che non proceda al pagamento di
qualsiasi tipo di somma esigibile245, al fine di compensare il creditore «for
the loss of the use of money»246. Benché taluni interpreti ritengano che all’acquirente che agisce in restituzione a seguito dell’esercizio del rimedio
ex art. 50 CISG spettino gli interessi in forza dell’applicazione estensiva
della regola dettata all’art. 81 con riferimento alla risoluzione del contratto247, la quale li fa decorrere dal momento del pagamento del prezzo,
tale opinione non può essere accolta per l’assorbente ragione che essa
non tiene conto del fatto che la fissazione del dies a quo contenuta in tale
disposizione si spiega con gli effetti retroattivi della risoluzione del contratto248, che non si verificano nell’ipotesi di riduzione.
243 Con riferimento a queste fattispecie si è precisato che «since the seller’s duty to pay
interest is a restitutionary one, interest should be paid in the currency in which the seller earned
the interest. This may not be the currency in which payment was made by the buyer»: KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 84 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 14.
Contra, però, China International Economic & Trade Arbitration Commission, in CISG-online n. 1065, la quale ha fatto applicazione della moneta in cui era avvenuto il pagamento.
244 Così MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 28.
245 La versione in lingua italiana dell’art. 78 risulta, invero, piuttosto approssimativa, facendo riferimento al ritardo nel pagamento del «prezzo o qualsiasi altra somma»: la reale portata della disposizione è meglio resa dal testo inglese, il quale fa sorgere la pretesa alla corresponsione degli interessi in ogni ipotesi in cui «a party fails to pay the price or any other sum
that is in arrears».
246 Le parole fra virgolette sono di KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA,
sub art. 78 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 1. Non si dubita, peraltro, che sia possibile
ottenere il risarcimento relativo al maggior danno, ai sensi dell’art. 74 CISG, il quale spesso si
verifica qualora il compratore sia costretto a ricorrere al finanziamento bancario al fine di far
fronte alla carenza di liquidità indotta dal mancato pagamento: cfr. ancora KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, cit., Rn. 14, il quale correttamente avverte
come «such claim is subject to the traditional limitations on damages, including the principle
that such damages must be a foreseeable consequence of the breach».
247 In tal senso, ad esempio, STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN
Kaufrecht, cit., Rn. 26.
248 In proposito, cfr. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 81 CISG,
1. Aufl., München, 2011, Rn. 1 ss., spec. Rn. 18 ss.
218
CAPITOLO TERZO
Mentre nell’ordinamento interno la misura degli interessi è legalmente fissata secondo il meccanismo di rideterminazione annuale previsto dall’art. 1284 c.c. e se ne prevede la normale inidoneità a produrre a
loro volta interessi (art. 1283 c.c.), l’art. 78 CISG non provvede a definire
né il saggio di interesse applicabile, né a precisare la natura semplice o
composta degli interessi da corrispondere, ciò che ha provocato un dibattito fra quanti hanno concluso che la lacuna debba essere colmata facendo applicazione del pertinente diritto nazionale e quanti, invece,
hanno tentato di elaborare una soluzione unitaria basandosi sui principi
della Convenzione249.
La pretesa del compratore al pagamento di tali frutti civili pertanto
incrocia, nei rapporti contrattuali regolati dal diritto internazionale
uniforme della compravendita, una delle più spinose e discusse questioni
sollevate da tale testo normativo, rendendo gravemente incerta – ogni
qual volta le parti non abbiano predisposto una disciplina pattizia in materia – non tanto la sussistenza quanto la misura del credito vantato: infatti, se l’opinione maggioritaria tradizionale propende per fare applicazione degli interessi semplici250, la determinazione del tasso costituisce
oggetto di ampia discussione, all’interno della quale l’adesione all’una o
all’altra delle due fondamentali e opposte tesi251 sopra accennate non è
comunque risolutiva. Infatti, da un lato, anche ove si identifichi il diritto
nazionale invocabile in quello designato secondo i criteri di collegamento
249 Su tale complessa questione cfr., fra gli altri, G. REINHART, Fälligkeitszinsen und UNKaufrecht, in Praxis des Internationalen Privat- und Verfahrensrechts, 1991, p. 376 s.; F. FERRARI, Uniform Application and Interest Rates Under the 1980 Vienna Sales Convention, in
Cornell Review on the Convention on Contracts for the International Sale of Goods, 1995, 3 ss.
(reperibile alla url: http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/biblio/1ferrari.html); U. MAGNUS,
Währungsfragen im Einheitlichen Kaufrecht: Zugleich ein Beitrag zu Seiner Lückenfüllung und
Auslegung, in RabelsZ, 1989, p. 140 s.; G. PONZANELLI, sub art. 78, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova,
1992, p. 308 s.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 78 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin,
2013, Rn. 11 ss.; J. GOTANDA, Awarding Damages Under the United Nations Convention on
the International Sale of Goods: A Matter of Interpretation, in Georgetown Journal of International Law, 2005, p. 138 ss.
250 Così SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/P. SCHLECHTRIEM, sub art. 78 CIGS, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 43. Ma v. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG,
cit., Rn. 28, il quale segnala talune pronunce giurisprudenziali che hanno fatto applicazione
degli interessi composti, ritenuti maggiormente idonei a realizzare il principio di integrale
compensazione.
251 Va inoltre ricordato come talune decisioni abbiano fatto riferimento agli usi commerciali (Juzgado Nacional de Primera Instancia en lo Comercial, 6 ottobre 1994, in CISGonline n. 378) o, addirittura, ai Principi UNIDROIT (Internationales Schiedsgericht der
Bundeskammer der gewerblichen Wirtschaft in Österreich, 15 giugno 1994, in CISG-online
n. 121).
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
219
di diritto internazionale privato252, non esiste uniformità di vedute «concerning whether procedural or substantive law governs the issue of the rate
at which [the interests] should accrue»253, taluni facendo riferimento alla
legge nazionale del luogo di stabilimento del soggetto creditore254, altri a
quella del luogo di stabilimento del debitore255, a quella del locus destinatae solutionis256 o, ancora, a quella dello Stato la cui moneta deve essere utilizzata per il pagamento257; dall’altro, chi propende per l’impiego
di una soluzione unitaria desumibile dalla Convenzione – ciò che sarebbe
meglio rispondente al principio fondamentale dell’uniformità della sua
applicazione – è orientato a proporre l’adozione del saggio d’interesse
«equivalent to the prevailing market interest rate commonly used in the
country of the currency in which payment is to be made»258, così ponendo
la questione della conoscibilità e della prova di tali tassi.
Seppure contornata dalle incertezze appena descritte, la pretesa dell’acquirente al pagamento degli interessi sulla somma oggetto di restituzione può dirsi comunemente riconosciuta sia nel diritto nazionale sia in
quello uniforme.
Quanto, invece, all’obbligo di procedere a un proporzionale rimborso delle spese affrontate dal compratore per la stipulazione del contratto e per la cosa, data la particolare articolazione del dato normativo,
la connessione con il tema del risarcimento del danno, l’impossibilità di
identificare una soluzione unitaria per tutti i corpora normativi analizzati
e il fatto che tali rimborsi prescindono dal fatto che il prezzo sia già stato
in tutto o in parte pagato, rinviamo senz’altro al prossimo par. e al Capitolo 6.
Definita l’estensione del credito restitutorio vantato dal compratore
che agisca per la riduzione del prezzo, rimangono soltanto da precisare i
termini di prescrizione di tale diritto, i quali non possono ritenersi compressi nelle strette maglie disegnate dal legislatore per l’esercizio dei ri252 Cfr. OLG Koblenz, 31 gennaio 1997, in CISG-online n. 256; Trib. Padova, 31 marzo
2004, in CISG-online n. 823; OLG Hamm, 8 febbraio 1995, in CISG-online n. 141; Handelsgericht des Kantons Zurich, 9 settembre 1993, in CISG-online n. 79.
253 KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, cit., Rn. 23.
254 Cfr. LG Stuttgart, 31 agosto 1989, in CISG-online n. 11; LG Frankfurt am Main, 16
settembre 1991, in CISG-online n. 26; Bezirksgericht Arbon, 9 dicembre 1994, in CISG-online
n. 376.
255 È il caso di Tribunal Cantonal de Vaud, 11 marzo 1996, in CISG-online n. 333.
256 Così, Arrondissementsrechtbank Almelo, 9 agosto 1995, in CISG-online n. 365 e
Kantonsgericht Nidwalden, 3 dicembre 1997, in CISG-online, n. 331.
257 Si veda Arbitration Court attached to the Hungarian Chamber of Commerce and
Industry, 17 novembre 1995, in CISG-online n. 250.
258 Cfr. J. GOTANDA, Awarding Damages Under the United Nations Convention on the
International Sale of Goods: A Matter of Interpretation, cit., p. 137.
220
CAPITOLO TERZO
medi assegnati all’acquirente di cose difettose. Tali limiti temporali, come
comunemente riconosciuto259, riguardano soltanto i mezzi di tutela volti
a far valere la “garanzia” per vizi e per difetto di conformità, con riferimento ai quali sussiste la necessità di un contenimento dell’arco temporale nel corso del quale l’alienante può essere chiamato a rispondere delle
carenze della propria prestazione traslativa, ma – una volta che tali rimedi sono stati esperiti – i conseguenti rapporti che vengono in essere fra
le parti seguono le regole generali260. Ne consegue che il diritto di credito
del compratore è soggetto alla prescrizione ordinaria261 decennale, decorrente dal momento in cui la riduzione del prezzo ha spiegato i propri
effetti ai sensi dell’art. 1334 c.c., mentre quello avente ad oggetto gli interessi si prescrive nel termine breve di cinque anni dalla maturazione
(art. 2948 c.c.).
9.
Gli obblighi restitutori aggiuntivi
In conclusione della disamina degli effetti prodotti dall’esercizio
della riduzione del prezzo, ci sembra opportuno evidenziare una vistosa
asimmetria che caratterizza la disciplina che il nostro codice civile appresta in relazione alle ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale operata dal
venditore manifesta dei difetti.
259 Si veda, ad esempio,
260 Con riferimento alla
STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 43.
Convenzione di Vienna, qualora una delle due parti abbia la
propria sede nel territorio della Repubblica Italiana, i diritti del compratore alla restituzione
della somma pagata in eccedenza e alla corresponsione degli interessi sembra debbano essere
fatti valere in aderenza ai termini prescrizionali sanciti dalla legge scelta dalle parti ovvero applicabile secondo i criteri di collegamento di diritto internazionale privato, mentre non può
trovare applicazione la Convenzione di New York del 14 giugno 1974 “on the limitation period in the International Sale of Goods”, in quanto la stessa – pur determinando «when claims
of a buyer and a seller against each other arising from a contract of international sale of goods
or relating to its breach, termination or invalidity can no longer be exercised by reason of the
expiration of a period of time» (art. 1) – non è stata ratificata dal nostro Paese, salvo che «the
rules of private international law make the law of a contracting State applicable to the contract
of sale» (art. 3, lett. b).
261 Nella letteratura tedesca, v. PALANDT/H. PUTZO, sub § 441, cit., Rn. 22; HANDKOMMBGB/I. SAENGER, sub § 441 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 6; STAUDINGER/A. MATUSCHEBECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 43 la quale appunto scrive che «für den Anspruch aus § 441
Abs 4 gilt die regelmäßige Verjährungsfrist», ciò che significa, in quell’ordinamento giuridico,
fare applicazione del termine generale triennale sancito dal § 195 BGB (sulla riforma del
Verjährungsrecht, e in particolare sull’abbreviazione e il riordino dei termini previsti per il
compimento della prescrizione, v. S. DELLE MONACHE, Profili generali del nuovo sistema della
prescrizione, in G. CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto
europeo delle obbligazioni e dei contratti? Atti del Convegno svoltosi a Ferrara il 7-8 marzo
2003, Padova, 2004, p. 123 ss.).
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
221
Ci riferiamo, in particolare, all’articolata regolamentazione delle restituzioni dettata agli artt. 1479, 1483 e 1493 c.c. in relazione alle sole
ipotesi di risoluzione del contratto in ragione dell’alienità della cosa venduta, dell’evizione totale della stessa e della sussistenza di vizi redibitori.
Alla stregua di tali norme, mentre il risarcimento del danno è in ogni
caso condizionato alla ricorrenza di un comportamento imputabile al
venditore a titolo di colpa262, colui che abbia acquistato una cosa ignorando che la stessa non era di proprietà del venditore ha diritto263 – per
il solo fatto dell’oggettiva inattuazione della attribuzione patrimoniale264
– oltre che alla restituzione del prezzo pagato, al rimborso delle «spese e
[de]i pagamenti legittimamente fatti per il contratto» (art. 1479, comma
2 c.c.), nonché delle «spese necessarie e utili fatte per la cosa e, [in caso
di] mala fede [scil. del venditore], anche di quelle voluttuarie» (art. 1479,
comma 3 c.c.). Al medesimo titolo, e sempre a prescindere dalla colpa, in
caso di evizione, al compratore è altresì dovuta una somma di denaro
pari al valore dei frutti che egli sia tenuto a restituire al terzo evincente,
ai rimborsi dovuti a costui e alle spese di denunzia della lite (art. 1483,
comma 2 c.c.). Similmente, il primo comma dell’art. 1493 c.c. fa obbligo
al venditore di beni di viziati di «rimborsare al compratore le spese e i
pagamenti legittimamente fatti per la vendita».
Come ben può notarsi, di simili previsioni non v’è traccia in relazione alla riduzione del prezzo, i cui effetti – come già più volte abbiamo
avuto modo di notare – non vengono fatti oggetto di specifica considerazione da parte del legislatore del 1942.
D’altro canto, nelle due ipotesi considerate per prime, tali obblighi
restitutori sono posti a carico del venditore in forza di disposizioni
espressamente dettate al fine di disciplinare le ipotesi di vendita di cosa
262 Sul punto si rinvia senz’altro al Capitolo 6.
263 Pertanto tali rimborsi sono dovuti “in aggiunta”
al risarcimento del danno, qualora
sussistano gli estremi per la concessione di quest’ultimo, secondo P. GRECO - G. COTTINO, sub
art. 1478-79, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 176 s.; D.
RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 368; C.M. BIANCA, La vendita e la
permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 770. In giurisprudenza, v. ad esempio Cass. 28 novembre
1957, n. 4517, la quale, qualora il venditore versi in colpa, ritiene che al compratore evitto
spettino non soltanto la restituzione del prezzo, il rimborso delle spese e dei pagamenti fatti
legittimamente per il contratto, ma altresì il risarcimento del danno commisurato all’interesse
positivo. Sul punto si tornerà in seguito, in particolare nel Capitolo 6.
264 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA,
Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p.
178, il quale scrive che «il rimborso delle spese è compreso nella garanzia e rappresenta un
effetto (di natura non risarcitoria) implicato dalla pura e semplice risoluzione». Nel senso che
tali rimborsi prescindono dalla colpa del venditore e non possiedono natura risarcitoria v. altresì C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 759 s.
222
CAPITOLO TERZO
totalmente altrui e di evizione totale, nelle quali viene accordata all’acquirente – oltre, al risarcimento del danno – la sola risoluzione del contratto e non già la quanti minoris. Inoltre, il rimborso delle spese e dei
pagamenti fatti per il contratto si spiega agevolmente con riferimento all’ipotesi in cui il rapporto contrattuale si sciolga, mentre può apparire
non pertinente qualora si faccia luogo alla mera correzione dei contenuti
del contratto. Potrebbe, pertanto, dedursi che tali rimborsi non siano dovuti nelle fattispecie di mera difettosità giuridica dell’attribuzione traslativa qui considerate, in relazione alle quali il compratore debba limitarsi
a far valere la tutela estimatoria in esito al giudizio di cui all’art. 1480 c.c.,
con la conseguenza che il ristoro delle relative perdite potrebbe al più costituire oggetto di una domanda risarcitoria.
Tale conclusione parrebbe trovare un forte addentellato proprio
nella disciplina riguardante i difetti materiali, laddove gli obblighi di rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per la vendita sono
sanciti espressamente soltanto con riguardo agli effetti dell’azione redibitoria (art. 1493 c.c.), pur se la garanzia per vizi consente l’esercizio di
quest’ultima e dell’estimatoria alle medesime condizioni e contempla una
perfetta libertà di scelta dell’acquirente in proposito265. Il silenzio della
legge circa la sussistenza degli obblighi di rimborso de quibus nell’ipotesi
di riduzione del prezzo in relazione a una fattispecie che pacificamente
concede all’acquirente l’uno e l’altro rimedio senza distinzioni di sorta in
ordine alla legittimazione attiva parrebbe poter essere interpretato come
inequivoca pertinenza di tali obblighi alla sola risoluzione.
Siffatta conclusione, però, appare decisamente affrettata.
Invero, benché sia innegabile che le obbligazioni restitutorie imposte dalle disposizioni richiamate fanno specifico riferimento alle fattispecie caratterizzate dalla liquidazione del contratto e sono disegnate dal
legislatore quali effetti propri della risoluzione, nondimeno più di un argomento può essere rinvenuto al fine di estendere l’operatività del precetto ad esse sotteso anche alle ipotesi in cui sia fatta valere la tutela estimatoria.
In primo luogo, un indice in tal senso può desumersi dallo stesso
dettato normativo, giacché in tema di evizione parziale l’art. 1484 c.c.,
dopo aver evocato l’applicazione della disciplina prevista per la vendita
di cosa parzialmente altrui, fa rinvio al secondo comma dell’art. 1483
c.c., il quale – appunto – sancisce uno degli obblighi di rimborso in argomento, imponendo al venditore la corresponsione in favore dell’acquirente di una somma di denaro pari al valore dei frutti che questi sia te265 Si
veda il par. 1 del Capitolo 4.
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
223
nuto a restituire al terzo evincente, ai rimborsi dovuti al medesimo e alle
spese di denunzia della lite. Poiché l’evizione parziale può condurre alla
sola riduzione del corrispettivo o alla risoluzione del contratto secondo
che debba ritenersi che il compratore avrebbe o meno acquistato il bene
senza quella parte di cui è rimasto evitto266, tale rinvio consente di ritenere che l’obbligo di rimborso in argomento sussista nell’una e nell’altra
ipotesi267. Non v’è dubbio, infatti, che – qualora avesse inteso escludere
un simile risultato – a un legislatore attento, com’era quello del 1942, sarebbe bastato limitare il rinvio, inserendovi un inciso volto a circoscrivere l’applicazione degli obblighi risarcitori ai soli casi che legittimano lo
scioglimento del rapporto contrattuale.
Ma al di là di tale, pur rilevante, argomento letterale, la cui univocità
potrebbe essere messa in dubbio notando come i rimborsi dei frutti e
delle spese da rimborsare al terzo di cui all’art. 1483, comma 2 c.c. a ben
vedere non trovino la propria giustificazione nella risoluzione268, a noi
pare che la conclusione cui siamo giunti sulla base del rinvio contenuto
all’art. 1484 c.c. trovi un solido fondamento in più ampie considerazioni
sistematiche.
Invero, gli obblighi di rimborso che le disposizioni citate pongono a
carico del venditore non costituiscono affatto un effetto proprio e caratterizzante del meccanismo risolutorio, come dimostra il fatto che la dottrina comunemente ritiene che «in via di principio, l’indennizzo delle
spese fatte per il contratto costituisce una posta di danno negativo, come
tale perciò, di regola, non risarcibile in favore del risolvente in base [al
266 Esattamente
in questi termini G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 408.
267 Nel trattare dei rimborsi in parola in relazione alla fattispecie di evizione parziale,
infatti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 874 non distingue fra
le ipotesi che legittimano la risoluzione e quelle che consentono soltanto di far valere la
quanti minoris. Prende espressamente posizione nel senso che sia nel caso di risoluzione della
vendita sia qualora il compratore debba contentarsi della riduzione del prezzo «il venditore è
tenuto a tutti i rimborsi» contemplati dalla legge in relazione alla fattispecie di evizione totale,
D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 723, il quale precisa che «se
però si è avuta non la risoluzione (totale) del contratto ma una semplice riduzione del prezzo,
quei rimborsi sono dovuti in misura proporzionale all’entità della parte evitta».
268 Giustamente infatti D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
709 scrive che «non è agevole spiegare il fondamento di questo rimborso dei frutti dal venditore, quando non vi è colpa di costui e non si possa quindi considerarlo come una voce del
risarcimento del maggior danno. Non lo si spiega certo con la pura e semplice risoluzione del
contratto, la quale importa rimessione in pristino, e quindi che il compratore, non avendo
mai avuto alcun diritto ai frutti, deve perciò restituirli, senza diritto ad indennizzo; e d’altra
parte il doverli restituire al terzo evincente anziché al venditore è indifferente per il compratore, e in nulla aggrava la sua posizione».
224
CAPITOLO TERZO
più diffuso intendimento de]ll’art. 1453, comma 1»269 c.c. Infatti, il risarcimento del danno derivante dalla risoluzione pronunciata ai sensi della
disposizione appena richiamata è identificato dall’opinione più diffusa in
una somma atta a rifondere il c.d. interesse positivo, ovverosia ad assicurare il conseguimento delle utilità che derivano dall’esatta esecuzione
della prestazione270, e non già nella tutela dell’interesse c.d. negativo,
consistente nell’evitare di affrontare spese rese inutili dall’inesecuzione
del programma negoziale.
In ogni caso, poi, tali somme dovrebbero ritenersi costituire possibile oggetto di un obbligo risarcitorio, e non già di un debito restitutorio.
Possiamo, pertanto, concludere che i rimborsi in argomento costituiscano un aspetto peculiare del regime delle garanzie di cui agli artt.
1479 ss., il quale sembra essere informato al principio secondo cui «chi
ha dato causa alla inoperatività del contratto deve rimborsare all’altra
parte le spese inutilmente erogate»271. Ma tale regime, per quanto singolare e proprio poiché non aderente ai principi generali che presiedono
alla risoluzione272, non può essere applicato in maniera così vistosamente
asimmetrica, come accadrebbe qualora si predicasse l’operatività delle
restituzioni in argomento soltanto con riferimento all’ipotesi di risoluzione e non a quella di riduzione del corrispettivo273.
269 In questo senso, v. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M.
COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 175
nota 5.
270 In questo senso, fra i tanti, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p.
322; A. DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, p. 158; A. BELFIORE, voce Risoluzione
per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1326 s.; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. Sacco, cit., p. 673, il quale anzi scrive che «appare […] in declino l’opposta regola del diritto civile germanico e svizzero, in cui l’attore in
risoluzione ha diritto ai danni nel limite del solo interesse negativo, come se il contratto fosse
nullo»; L. BIGLIAZZI GERI - U. BRECCIA - F.D. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile 1.2. Fatti e
atti giuridici, Torino, 1987, p. 867. In giurisprudenza, cfr. ad esempio Cass. 28 marzo 2001, n.
4473; Cass. 15 aprile 1994, n. 3598; Cass. 16 aprile 1984, n. 2457.
271 Sono parole di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 975,
il quale così si esprime trattando delle restituzioni dovute ai sensi dell’art. 1493 c.c. al compratore nel caso di vittorioso esperimento dell’azione redibitoria a fronte della sussistenza di
vizi. Non vi è chi non veda come tale fattispecie sia, sotto il punto di vista de quo, assolutamente identica a quella di cui all’art. 1479.
272 Lo mette in luce, con grande lucidità d’analisi, A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A.
LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm.
Scialoja - Branca, cit., p. 248 ss.
273 Cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1484, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 203 s., i quali – dopo aver affermato che la differenza fra evizione totale e parziale dal punto di vista delle conseguenze attiene alla misura della restituzione del corrispettivo e dei rimborsi – scrivono che «non si vedrebbe una consistente ragione perché non debbano essere rimborsate le spese necessarie od utili fatte per una cosa, o
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
225
Invero – contrariamente a quanto abbiamo visto in relazione all’indennizzo per l’uso della cosa, la cui spettanza laddove il rapporto contrattuale sia posto nel nulla riposa nel fatto della restituzione del bene,
che per definizione difetta qualora si opti per la tutela estimatoria – i rimborsi relativi alle spese e ai pagamenti legittimamente fatti per il contratto così come quelli inerenti alle spese fatte per la cosa sono legati al
venir meno della ragione della spesa in conseguenza del manifestarsi del
difetto dell’attribuzione patrimoniale. L’acquirente, infatti, in tanto sostiene i relativi esborsi in quanto confida nella regolare esecuzione del
contratto. Ne consegue che, qualora la controparte non gli procuri l’acquisto del diritto sulla res vendita (ovvero di tale diritto egli sia privato,
ovvero ancora l’acquisto sia caratterizzato da difetti giuridici o materiali),
di tali esborsi egli deve essere tenuto indenne nella misura in cui essi
siano divenuti inutili in ragione dell’inesattezza della prestazione traslativa della controparte.
Ma tale inutilità, che investe nella sua interezza le spese sostenute
per il contratto e per la cosa in caso di risoluzione, si ripropone pro parte
anche nell’ipotesi in cui sia esercitata la riduzione del prezzo, almeno in
relazione a quelle spese e a quei pagamenti il cui importo si ponga in relazione proporzionale, da un canto, con l’ampiezza e l’esenzione da difetti del diritto acquistato e, dall’altro, con la misura del prezzo da corrispondere274. Pertanto, se la disciplina della garanzia è informata al principio secondo cui chi ha dato causa all’imperfetta esecuzione del
contratto deve tenere indenne la controparte dalle spese che siano, per
tale ragione, divenute inutili, tale regola non può che valere sia qualora il
compratore decida di avvalersi della risoluzione del contratto, sia ove
(debba o) ritenga di avvalersi della quanti minoris275.
Con una differenza fondamentale, come abbiamo accennato: mentre
nell’ipotesi di risoluzione le spese elencate dalla legge vanno rimborsate
parte di cosa, che va restituita all’evincente», così affermando che anche i rimborsi sanciti dall’art. 1479, comma 3 c.c. trovano applicazione alla fattispecie di evizione parziale. Invero,
deve convenirsi, non è dato rinvenire alcuna ragione condivisibile volta a negare la pertinenza
degli obblighi restitutori de quibus rispetto alla riduzione del corrispettivo.
274 Si pensi, in relazione alle spese e ai pagamenti fatti per il contratto, alle spese relative all’imposizione fiscale proporzionale, alla redazione dell’atto (si ponga mente, ad esempio, ai compensi notarili, tipicamente parametrati sul prezzo convenuto per la vendita) e alle
eventuali spese di mediazione (di regola calcolate in misura proporzionale sul corrispettivo
convenuto). Quanto alle spese fatte per la cosa, possono assumere rilevanza quelle di manutenzione.
275 Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
376; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410; R. LUZZATTO, La compravendita, Torino, 1961, p. 195.
226
CAPITOLO TERZO
integralmente, nel caso in cui sia fatta valere l’estimatoria i rimborsi
avranno ad oggetto tutte e soltanto le spese il cui ammontare dipenda
dall’ammontare del prezzo convenuto o, comunque, dall’“effettiva estensione” dell’acquisto. Pertanto, nell’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui e di cosa gravata da diritti e oneri ex art. 1489 c.c., essi riguarderanno le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto,
il cui importo dipenda dal prezzo pagato, nonché le spese fatte per la
cosa, per la parte in cui queste dipendano – come di regola avviene – dall’ampiezza del diritto acquistato276.
Altrettanto vale qualora l’acquirente subisca l’evizione parziale277,
con l’unica precisazione che in questo caso il venditore è tenuto altresì
alla corresponsione integrale degli ulteriori rimborsi di cui all’art. 1483,
comma 2 c.c., giacché l’importo degli stessi è già ex se commisurato alla
sola parte della cosa di cui il venditore non ha trasferito la proprietà.
Qualora, invece, la tutela estimatoria sia fatta valere a fronte della
sussistenza di un difetto materiale, al compratore che agisca con la riduzione del prezzo spetta soltanto il rimborso delle spese e dei pagamenti
legittimamente fatti per il contratto278, non tanto perché l’art. 1493 c.c. –
nel disciplinare gli effetti dell’azione redibitoria in tema di vizi – tace relativamente alle spese fatte per la cosa279, quanto piuttosto poiché la spet276 Invero,
non si vede perché le spese (necessarie o utili, o anche voluttuarie qualora il
venditore fosse in mala fede) di manutenzione di un immobile dovrebbero essere rimborsate
in toto in caso di risoluzione e rimanere, invece, integralmente a carico del compratore (salvo
il risarcimento del danno, subordinato alla colpa della controparte) qualora costui eserciti la
riduzione del prezzo, comunque avendo acquistato soltanto una porzione o una quota della
cosa.
277 Cfr., nello stesso senso, oltre a P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1484, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 203 s. poc’anzi citati, D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 723.
278 In senso contrario, curiosamente, si esprime D. RUBINO, La compravendita, in Tratt.
Cicu - Messineo, cit., p. 815, il quale in questo caso ritiene che «l’avere la legge previsto il rimborso delle spese di contratto solo per il caso di risoluzione induce a ritenere che non si sia
voluto ammetterlo per il caso di semplice riduzione del prezzo», dopo avere manifestato
un’opposto avviso nelle fattispecie analizzate appena supra in materia di vendita di cosa parzialmente altrui ed evizione parziale. Nello stesso senso, v. altresì G. GORLA, La compravendita
e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 162. Condivide, invece, la nostra opinione
R. LUZZATTO, La compravendita, cit., p. 260 e 277 s.
279 La dottrina ritiene, infatti, che – nonostante il silenzio della norma – in caso di risoluzione per vizi materiali siano dovuti pur sempre i rimborsi relativi alle spese fatte per la
cosa: secondo taluni, però, tali crediti deriverebbero dall’applicazione diretta (C.M. BIANCA,
La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 974) o analogica (D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 816 s.) dell’art. 1479, comma 3 c.c., mentre secondo
altri (P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca,
cit., p. 269) dovrebbe farsi applicazione della «più blanda disposizione dell’art. 1150 c.c.»
LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE
227
tanza di queste di norma non dipende dall’integrità materiale del bene o
dal prezzo pagato, ma piuttosto dalla titolarità del diritto sul bene, che
nell’ipotesi in parola è fin dall’inizio piena e a mezzo della riduzione del
corrispettivo non viene meno.
Ciò posto, non possiamo peraltro esimerci dal rimarcare come il
principio informatore che abbiamo visto animare le conseguenze dell’attivazione di quella speciale forma di responsabilità che è costituita dalla
garanzia codicistica, sebbene debba trovare piena applicazione con riferimento a entrambi i mezzi di tutela che ne costituiscono il contenuto –
altrimenti dandosi luogo a un’irrazionale asimmetria –, invero sia a sua
volta un principio peculiare del sistema della garanzia, non trovando riscontro al di fuori di questa. La risoluzione del contratto prevista in generale dall’art. 1453 c.c., infatti, non condivide la finalità di (quasi) restitutio in integrum che è tipica della redibitoria280, ma dà luogo a un meccanismo liquidatorio che tipicamente comporta la restituzione delle
prestazioni eseguite ma non già delle spese inutilmente sostenute, circa le
quali ci si può eventualmente soltanto interrogare riguardo alla possibilità che costituiscano oggetto di un obbligazione risarcitoria281.
Come meglio si dirà nel Capitolo 6, inoltre, tali restituzioni neppure
spettano al compratore che faccia ricorso alla riduzione del prezzo in relazione a una vendita di beni di consumo o a una vendita internazione di
merci soggetta alla Convenzione di Vienna del 1980, giacché tali apparati
di tutela sono volti a garantire al compratore il soddisfacimento del suo
pieno interesse all’esatta esecuzione del contratto del vendita.
280 Sul punto, v. E.
281 Tale distinzione
BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 101 ss.
non ha rilievo meramente nominalistico-qualificatorio, in quanto il
diritto al risarcimento del danno è subordinato di norma – ma non con riferimento alla Convenzione di Vienna – alla ricorrenza di un contegno riprovevole imputabile del venditore a
titolo di colpa. In argomento, rinviamo comunque al Capitolo 6.
CAPITOLO QUARTO
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI STRUMENTI
DI TUTELA CONTRATTUALE DELL’ACQUIRENTE
SOMMARIO: 1. Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto nel
sistema codicistico della garanzia per vizi. – 1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi di tutela: premessa. – 1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha diritto alla sola riduzione del
prezzo. – 1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi in
cui entrambi risultano esperibili. – 2. Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c.. – 3. La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo. –
3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e
sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto . – 3.2. L’ininfluenza
di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto. – 3.3. L’esercizio stragiudiziale e giudiziale del
diritto alla riduzione del prezzo. La sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso
Duarte Hueros e il potere/dovere del giudice di disporre d’ufficio la riduzione. –
4. Il rapporto fra riduzione del prezzo e altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nella Convenzione di Vienna. – 4.1. I presupposti di esperibilità dei
singoli mezzi di tutela del compratore. – 4.2. La riduzione del corrispettivo quale
mezzo di tutela del compratore caratterizzato dalla sfera applicativa più ampia. I
rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi. – 5. La riduzione del prezzo nel quadro del crescente favor per i mezzi di tutela del compratore che non provocano lo
scioglimento del rapporto contrattuale.
1.
Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto
nel sistema codicistico della garanzia per vizi
1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi di tutela: premessa
Dopo che nei Capitoli precedenti si sono chiarite la natura e le conseguenze giuridiche del rimedio estimatorio, deve essere ora fatto oggetto
di considerazione il rapporto che corre fra il mezzo di tutela in discorso
e l’altro che il codice civile appresta per il caso di difetti materiali del
bene compravenduto, ossia l’azione di risoluzione, comunemente detta
redibitoria. In particolare, debbono in questa sede essere affrontate le
questioni inerenti al campo di applicazione dell’uno e dell’altro rimedio
230
CAPITOLO QUARTO
e alle ipotesi in cui al compratore è concesso l’esercizio di uno soltanto
degli stessi nonché quella, assai delicata, relativa alla sommaria ed ellittica disciplina apprestata dall’art. 1492, comma 2, c.c., ove il legislatore
ha precisato come «la scelta [sc. tra risoluzione del contratto e riduzione
del prezzo] è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale».
I presupposti che consentono il ricorso alla quanti minoris sono comuni, per la più parte, a quelli che legittimano l’esperimento dell’azione
redibitoria e trovano la loro travagliata descrizione nel rinvio ai «casi previsti dall’art. 1490» e nella mancanza nella cosa venduta delle «qualità
promesse ovvero [di] quelle essenziali per l’uso a cui è destinata». Come
si è visto nel Capitolo 2, il vizio e la mancanza di qualità sono prevalentemente ricostruiti dagli interpreti in chiave d’inesattezza materiale della
prestazione, sia dal punto di vista del difetto, che deve attenere alla cosa
nella sua materialità1, sia dal punto di vista degli oggetti cui è riferibile la
disciplina, identificati nei beni materiali. Infatti, il legislatore italiano, da
un canto – sulla scia di una risalente tradizione – ha dedicato all’eventualità in cui la cosa oggetto dello scambio sia affetta da difetti attingenti
la sua condizione giuridica la diversa disciplina della c.d. garanzia per
evizione (artt. 1481 ss. c.c.), e dall’altro ha foggiato la c.d. garanzia per
vizi attraverso previsioni le quali si spiegano soltanto con riferimento a
difetti materiali, mentre appaiono inconferenti rispetto alla considerazione della situazione giuridica del bene compravenduto, come accade
per l’onere imposto al compratore di ispezionare la cosa, pena la perdita
della garanzia ove i vizi fossero facilmente riconoscibili (art. 1491 c.c.).
Abbia visto come il codice civile vigente abbia scelto di perpetuare
la dicotomia “vizio”-“mancanza di qualità”, tentando una difficile definizione dei rispettivi ambiti di operatività, circa i quali la dottrina e la giu1 È,
infatti, opinione comune in dottrina quella secondo cui l’art. 1490, comma 1, c.c. –
nel delineare la nozione di “vizio” – si riferisca soltanto ai vizi materiali, che attingono la res
nella sua materialità, incidendo sulla sua utilizzabilità o sul suo valore economico: in questo
senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 772 ss.; C. MIRABELLI, sub art. 1490, in ID., Dei singoli contratti, in Comm. UTET, Torino, 1968, p. 94; C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 885 ss., il quale ritiene che
le norme della garanzia per vizi e mancanza di qualità, in quanto onerano il compratore della
pronta verifica della cosa e della denunzia tempestiva dei difetti della stessa, trovino spiegazione soltanto in relazione a inesattezze materiali della prestazione. Di diverso avviso sono P.
GRECO - G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, BolognaRoma, 1981, p. 249, i quali notano come la legge non prescriva espressamente il requisito
della materialità, ma si limitano al contempo a contestare la regola secondo cui la garanzia ex
artt. 1490 ss. avrebbe riguardo esclusivamente alle cose materiali, contemporaneamente ammettendo che «è normale che un vizio del diritto rientri in una fattispecie diversa da quella
dell’art. 1490: evizione parziale, responsabilità per oneri o diritti sulla cosa, invalidità per errore o dolo, nullità o inefficacia del negozio per inalienabilità del diritto».
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
231
risprudenza avevano manifestato e continuano a manifestare molti dubbi
e oscillazioni2. Infatti, nella difficoltà di fornire definizioni valide per la
generalità delle ipotesi, si è ritenuto che i vizi consistano in imperfezioni
materiali o anomalie strutturali derivanti da difetti di formazione, fabbricazione o conservazione della cosa, mentre le qualità atterrebbero anch’esse alla struttura materiale o alla funzionalità del bene ma costituirebbero attributi esprimenti la funzionalità, l’utilità e il pregio del bene3,
la cui rilevanza sarebbe limitata alle ipotesi in cui la loro sussistenza sia
stata promessa ovvero esse siano indispensabili per l’uso cui la cosa è
normalmente destinata. Le seconde, quindi, si identificherebbero con gli
attributi di materia, struttura e funzione che la cosa appartenente a un
determinato tipo deve possedere in quanto necessari al suo normale utilizzo4. Le prime, invece, potrebbero essere riferite a qualunque caratteristica strutturale o funzionale del bene, ancorché secondaria o non incidente sulla sua concreta facoltà di utilizzo, la quale sia stata oggetto di
una esplicita o implicita promessa5 all’interno delle pattuizioni contrattuali, delle comunicazioni pubblicitarie ovvero risulti essere stata assicurata in virtù delle complessive circostanze dell’affare.
Condividendo lo scetticismo che la più autorevole dottrina ha mostrato nei confronti di una così artificiosa distinzione6, volta a separare fenomeni ontologicamente identici a cagione della necessità di imporre un
ordine nella caotica ricostruzione delle patologie della vendita consegnata dalla giurisprudenza sorta sul codice abrogato7, abbiamo già tentato di argomentare come – nonostante le incertezze indotte dal dato positivo – debba ritenersi che i vizi e le mancanze di qualità trovino un
unico statuto di tutela nelle disposizioni di cui agli artt. 1490-1495 c.c.
2 In argomento, cfr. il Capitolo 2 e, per una dettagliata analisi dell’evoluzione storica ivi
tratteggiata, v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 183 ss.
3 Così C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 892 ss., il quale fa
riferimento anche a Cass. 3 dicembre 1970, n. 2544, la quale si è pronunciata nel senso che
«la mancanza di qualità è inerente alla natura della merce, riguarda le differenze di sostanza,
di razza, di materia, di tessuto, di fibra, di colore, di metodo e di origine, riferendosi genericamente a tutti quegli elementi sostanziali che, nell’ambito dello stesso genere, influiscono
sulla classificazione della cosa in un tipo o in una specie piuttosto che in un’altra».
4 Così A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 289, il quale specifica come rilevanza particolare, da questo punto di vista, debba essere conferita ai requisiti di sicurezza
che i prodotti devono possedere ai fini della commercializzazione nello spazio giuridico comunitario (sul punto, cfr. ID., Certificazione di qualità di prodotti e tutela del consumatoreacquirente, in Europa dir. priv., 2000, p. 27 ss.).
5 In tal senso, cfr. Cass. 16 aprile 1992, n. 4681 e A. LUMINOSO, La compravendita, cit.,
p. 289.
6 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 473 ss.
7 In argomento v. amplius supra, al Capitolo 2.
232
CAPITOLO QUARTO
Nelle ipotesi in cui la res compravenduta presenti un “vizio” o manchi di qualità essenziali o promesse, il compratore può invocare – oltre al
risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1495 c.c. – la risoluzione o la riduzione del corrispettivo, con una facoltà di scelta che, in linea di principio, è rimessa alla discrezionalità dell’acquirente. L’alternatività fra redibitoria ed estimatoria, pur soffrendo talune eccezioni sulle quali torneremo nel paragrafo seguente, non conosce alcuna graduazione relativa
alla gravità del difetto materiale, giacché ove questo renda il bene inidoneo all’uso, ne diminuisca apprezzabilmente il valore ovvero lo privi di
qualità essenziali o promesse l’ordinamento dà ingresso alla tutela redibitoria così come a quella estimatoria, senza alcuna distinzione.
In particolare, non ha pregio l’affermazione che non di rado si ritrova nelle pronunce di legittimità8, secondo la quale l’esperimento dell’azione redibitoria sarebbe possibile soltanto qualora il vizio concretamente sussistente nella res dia luogo a un inadempimento di non scarsa
importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. Non è, infatti, necessario rievocare
le più radicali tesi che escludono in toto la riconducibilità della garanzia
per vizi al terreno dell’inadempimento per avvedersi del fatto che quella
sancita dagli artt. 1490 ss. c.c. è una forma di responsabilità speciale che
– sia o meno riconducibile all’inattuazione di un impegno obbligatorio –
obbedisce a logiche proprie, in forza delle quali la valutazione della gravità della violazione della lex contractus è operata, per le fattispecie sussumibili nell’art. 1490 c.c., sulla base dei presupposti dell’inidoneità della
cosa all’uso cui è destinata o dell’apprezzabile diminuzione del suo valore9, e per quelle di cui all’art. 1497 c.c., con il rinvio al carattere del8 Si
veda, da ultima, Cass. 25 settembre 2013, n. 21949. Nello stesso senso, v. altresì
Cass. 15 febbraio 1986, n. 914; Cass. 10 gennaio 1981, n. 247; Cass., 9 ottobre 1976, n. 3362,
la quale ultima ha affermato che «avendo il legislatore stabilito in quali casi il compratore ha
diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta ed avendo in tali casi attribuito al medesimo,
a tutela di detto suo diritto, l’azione di risoluzione del contratto, deve ritenersi che egli abbia
già fatto in astratto una valutazione dell’importanza dell’inadempimento», aggiungendo però
che la facoltà di scelta fra le due azioni sarebbe svuotata di significato ove si postulasse
«l’identità delle condizioni di accoglibilità delle due azioni, identità che verrebbe meno se per
la risoluzione dovesse farsi la valutazione in concreto dell’importanza dell’inadempimento, a
norma dell’art. 1455 c.c., inapplicabile invece alla quanti minoris». In dottrina, v. F. GALGANO,
voce Vendita, in Enciclopedia del dir., XLVI, Milano, 1993, p. 491 ss.; M.G. CUBEDDU, Vizio
apprezzabile e garanzia della cosa venduta, in Riv. dir. civ., 1990, p. 180; di recente, A. MUSY S. FERRERI, La vendita, in Tratt. Sacco, Torino, 2006, p. 228.
9 In questo senso si esprime altra parte della giurisprudenza di legittimità: v. Cass. 29
novembre 2004, n. 22416 (la quale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1492 c.c., ha ritenuto «non […] esatto che l’art. 1492 preveda una possibilità di risoluzione più ampia rispetto a quella (basata sull’inadempimento di
non scarsa importanza) prevista dall’art. 1455, del quale, invece, costituisce applicazione restrittiva, avendo il legislatore, quando l’inadempimento del venditore si sostanzi nella conse-
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
233
l’essenzialità o alla sussistenza di una promessa. Peraltro, tali presupposti
possono senza dubbio essere considerati applicazioni specifiche del generale principio sancito in materia di risoluzione per inadempimento dall’art. 1455 c.c., sicché la disputa in ordine all’applicazione o meno di
quest’ultima norma si palesa, in ultima analisi, sterile, in quanto il vizio e
la mancanza di qualità sono definiti dall’art. 1490 c.c. e dall’art. 1497 c.c.
in maniera unitaria e la loro ricorrenza legittima la risoluzione non meno
della riduzione del corrispettivo, come pianamente si deduce dal fatto
che tali azioni trovano entrambe la loro legittimazione nella sussistenza di
vizi che «rendano la cosa inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in maniera apprezzabile il valore» ovvero nella carenza di qualità
«promesse ovvero […] essenziali per l’uso». In altre parole, il principio
generale di non scarsa importanza non reagisce sull’ambito di applicazione dei due rimedi redibitori, giacché tali criteri sceverano le ipotesi
che attivano la responsabilità del venditore – la quale può tradursi nello
scioglimento del contratto o nella sua modificazione, a scelta dell’acquirente – da quelle che non vi danno luogo, e non già pongono supposte
graduazioni fra i mezzi di tutela in discorso.
1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha diritto alla sola riduzione del prezzo
Come si è accennato, la libera scelta fra i rimedi edilizi incontra talune limitazioni che restringono la disponibilità dei mezzi di tutela alla
sola riduzione del prezzo, sicché – anche non condividendo l’inaccettabile
gna di una cosa affetta da vizi, operato una diretta valutazione dell’importanza dell’inadempimento in relazione ai presupposti dell’inidoneità della cosa all’uso cui è destinata o dell’apprezzabile diminuzione del suo valore, previsti dall’art. 1490, primo comma, c.c., richiamato
dall’art. 1492»); Cass. 11 aprile 1996 n. 3398; Cass., sez.un., 25 marzo 1988, n. 2565 (che
espressamente hanno ribadito il fatto che i presupposti sostanziali per l’esperimento delle
azioni redibitorie si identificano con la presenza di «vizi con le caratteristiche fissate dall’art.
1490 cod. civ., il quale detta in materia una disciplina completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 cod. civ. sull’importanza dell’inadempimento»).
In dottrina, l’opinione è sostenuta da A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo,
Milano, 2014, p. 487; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli,
2013, p. 446; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca,
cit., p. 252; L. GAROFALO, Garanzia per vizi ed azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in
Riv. dir. civ., 2001, I, p. 288. Contra, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli,
cit., p. 950, il quale – nel quadro di un’argomentazione tesa a identificare sostanzialmente la
redibitoria e l’ordinaria azione di risoluzione – ritiene sempre operante, anche in materia di garanzia, il «limite generale che subordina la risoluzione per inadempimento imputabile alla non
scarsa importanza dell’inadempimento stesso (art. 1455 c.c.)», mentre, qualora «il difetto non
costituisc[a] inadempimento imputabile trova applicazione il principio che subordina la risoluzione alla mancanza di un apprezzabile interesse alla prestazione difettosa (art. 1464 c.c.)».
234
CAPITOLO QUARTO
opinione, riguardante la rilevanza da ascrivere all’art. 1455 c.c. ai fini della
concessione dell’azione redibitoria, criticata nel paragrafo precedente –
può senz’altro dirsi che, nell’area della garanzia contro i vizi, l’estimatoria
ha un campo di applicazione più ampio dell’azione concorrente.
Un primo limite è esplicitato dall’art. 1492 proprio in quel comma 1
che concede al compratore i mezzi di reazione all’imperfetta attribuzione
patrimoniale ricevuta, laddove il legislatore prevede espressamente che la
libera scelta fra redibizione e diminuzione del prezzo possa venir meno
qualora, «per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione». Il riferimento operato dalla legge deve essere inteso ai c.d. usi normativi, previsti dall’art. 1 disp. prel. c.c. quali fonti del diritto non scritte, e non già
alle consuetudini negoziali (art. 1340 c.c.). Usi siffatti, nel silenzio serbato dalla legge, possono avere carattere generale o locale, concernere la
generalità dei consociati o – come forse accade più frequentemente – determinate categorie di venditori o compratori10, solitamente appartenenti
al ceto imprenditoriale.
La limitatissima casistica giurisprudenziale che è possibile consultare sull’argomento11 non fornisce indicazioni utili al fine di delimitare il
campo di operatività degli usi, i quali possono pertanto riguardare sia
vizi determinati, sia l’universalità dei vizi che possono affliggere una certa
categoria di beni12.
Il contenuto dell’esclusione prescinde in linea di principio dalla gravità del difetto, ma può concordarsi con l’opinione di chi ha ritenuto che
essa non possa riguardare vizi che rendano la cosa assolutamente inidonea all’uso cui è destinata13, in quanto ciò comporterebbe un eccessivo
sacrificio in capo al compratore. D’altro canto, non sembra possa farsi ricorso agli usi al fine di sceverare fra ipotesi di vizi di maggiore impor10 In
questo senso D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano,
1971, p. 803.
11 Tale casistica, se si escludono le pronunce aventi ad oggetto specificamente la vendita
di animali (art. 1496 c.c.), si riduce alle sole Cass. 5 agosto 1977, n. 3551 e Cass. 5 agosto
1985, n. 4388.
12 Come ad esempio la vendita di filati nell’ipotesi posta a base della decisione di Cass.
5 agosto 1977, n. 3551, la cui massima recita: «qualora gli usi concernenti determinate categorie di compravendite assoggettino l’accertamento o la rilevanza dei vizi della cosa venduta a regole particolari, dette regole debbono trovare applicazione sia quando venga esercitata l’azione
di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo, sia quando sia chiesto soltanto il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento imputabile al venditore (nella specie, in applicazione del principio enunciato, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva risolto,
per l’esistenza di vizi, la vendita di filati avvenuta in provincia di Como, senza tener conto dell’art. 83 della raccolta degli usi locali, i quali, in presenza degli accertati vizi, vietano la risoluzione del contratto e prevedono una particolare forma risarcitoria del danno».
13 Cfr. esattamente D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
235
tanza14, legittimanti la riduzione del corrispettivo non meno della risoluzione del contratto, da quelle più lievi, per le quali potrebbe trovare accoglimento soltanto l’azione quanti minoris15, giacché «una siffatta limitata portata del vizio non basta, di per sé sola, ad escludere la risoluzione,
ma occorre che esista un[o specifico] uso in tal senso»16. Non pare, infatti, possa dirsi esistente un uso il quale escluda in linea di principio la
risoluzione in tutti i casi in cui il vizio abbia scarsa entità, né esistono parametri certi attraverso i quali sarebbe possibile identificare la maggiore
o minore gravità di questo17.
A fronte della manifestazione di un vizio nel bene compravenduto,
la libertà di scelta dei rimedi di cui l’acquirente può avvalersi è altresì, e
più pesantemente, limitata dalla previsione contenuta nel terzo comma
del citato art. 1492 c.c., il quale non consente al compratore l’esercizio
dell’azione di risoluzione in tutte le ipotesi18 in cui la cosa sia stata alie14 Sul
punto si veda quanto già esposto in conclusione del precedente paragrafo, nonché Cass. 1° febbraio 1995, n. 1153, la quale chiaramente propende per l’insussistenza di una
simile differenziazione: «in tema di garanzia della cosa venduta, qualora ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 1490 c.c. (inidoneità della cosa all’uso cui è destinata o apprezzabile diminuzione del suo valore), il compratore ha la facoltà di scegliere liberamente fra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, prescindendo dal minore o maggior grado di
gravità del vizio denunziato». Nel senso, inoltre, che la gravità del difetto legittima l’azione
estimatoria non meno della redibitoria, cfr. Cass. 21 agosto 1985, n. 4471, secondo la quale
«la facoltà del compratore, in presenza di vizi della cosa venduta, di chiedere, anziché la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., non viene meno
per il fatto che detti vizi presentino gravità tale da escludere la possibilità di utilizzare il bene
nella sua funzione tipica (nella specie, autovettura usata, risultante dall’anomalo assemblaggio
di due tronconi di veicoli diversi), rientrando nella disponibilità del compratore medesimo
l’optare per un mantenimento della residua utilità della cosa, con un congruo riequilibrio, in
suo favore, dell’ammontare del corrispettivo».
15 In questo senso, invece, sembra rivolgere le proprie argomentazioni C. CONSOLO, Il
concorso di azioni nella patolgia della vendita, in Scritti in onore di Angelo Falzea, cit., p. 299.
16 Sono parole di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803.
17 L’introduzione di una simile distinzione comporterebbe un’ulteriore difficoltà classificatoria, costringendo l’interprete a rintracciare criteri e caratteri che consentano di distinguere, oltre che tra mancanza di qualità essenziali e vizi, anche – all’interno di quest’ultima
categoria – tra vizi di maggiore o minore gravità, senza che la legge offra – in proposito – alcun tipo di appiglio. Come abbiamo veduto poco supra, errata deve essere altresì ritenuta la
tendenza rintracciabile in una parte della giurisprudenza, propensa a introdurre tale differenziazione a mezzo del riferimento all’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.
18 È opportuno precisare sin d’ora che l’ostacolo all’esperimento dell’azione redibitoria
costituito dagli eventi cui fa riferimento l’art. 1492, comma 3 c.c. sussiste soltanto qualora
detti eventi si verifichino prima della proposizione della domanda giudiziale o nel corso del
giudizio (ovvero, ove si ammetta la risoluzione della vendita per atto stragiudiziale – cfr. M.
PALADINI, L’atto unilaterale della risoluzione per inadempimento, Torino, 2013, p. 129 ss. –,
prima che tale atto sia divenuto efficace nei confronti del venditore), mentre il perimento susseguente all’intervenuta sentenza di risoluzione rimane a carico del venditore – che è ritor-
236
CAPITOLO QUARTO
nata o trasformata ovvero sia perita per caso fortuito o per colpa del
compratore19.
La ragione di tale esclusione è stata ed è tuttora assai dibattuta20, soprattutto con riferimento alla previsione riguardante il perimento della
cosa derivante da caso fortuito. Rinviando l’analisi approfondita di tale
ipotesi alla sede in cui sarà operato lo scrutinio di applicabilità della preclusione in parola alla vendita di bene di consumo affetto da difetto di
conformità, sembra fin d’ora utile svolgere alcune considerazioni riguardo alla disposizione nel suo complesso, al fine di verificare quanto
ampia sia l’area di esenzione dalla possibilità di esperimento dell’azione
redibitoria e, pertanto, quale sia l’ambito di applicazione esclusivo del rimedio estimatorio.
A nostro avviso, l’opzione sottesa al dettato dell’art. 1492, comma 3,
c.c. costituisce un’eredità della risalente concezione dell’azione redibitoria quale rimedio autonomo e speciale, distinto dall’ordinaria azione di
risoluzione per inadempimento di diritto comune21.
nato proprietario del bene – qualora sia causato dai vizi della cosa o dipenda da caso fortuito,
viceversa – al pari della trasformazione o dell’alienazione – consentendo a costui di rifiutare
la restituzione del prezzo ove dipenda da colpa del compratore (nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803; A. LUMINOSO, La compravendita,
in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 488). Si veda infra nel testo per approfondimenti.
19 Questa seconda parte della regola rieccheggia il tema, già trattato nel Capitolo 1, riguardante la possibilità di esperire l’actio redhibitoria da parte del compratore di schiavo o
animale il quale sia successivamente deceduto, cui si ricollega il noto “mortuus redhibetur”.
Cfr., sul punto, la bibliografia citata nel Capitolo 1, nonché L. GAROFALO, Perimento della
cosa e azione redibitoria in un’analisi storico-comparatistica, in Europa dir. priv., 1999, p. 843
ss., spec. p. 847 s.
20 Secondo taluni il fondamento della regola risiederebbe nel fatto che attraverso la trasformazione e l’alienazione il compratore utilizzerebbe definitivamente la prestazione (v.
C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 960), secondo altri queste darebbero luogo a una rinunzia tacita del compratore ad avvalersi del rimedio risolutorio (in
questo senso, Cass. 11 maggio 1984, n. 2891; Cass. 29 luglio 2013, n. 18202; ma è facile ribattere che tale volontà tacita non può essere ravvisata ogni volta in cui trasformazione e alienazione avvengano senza che l’acquirente sia consapevaole del difetto: così già E. BETTI, Influenza dell’alienazione da parte del compratore sulla responsabilità del venditore per vizio redibitorio, in Riv. dir. comm., 1925, II, p. 335 ss., il quale pone altresì in luce come la stessa
rivendita del bene fatta dall’acquirente che abbia scoperto il difetto potrebbe essere motivata
dal tentativo di sfuggire a un maggior danno e non dalla supposta tacita rinunzia alla risoluzione), mentre un’ampia corrente dottrinale ritiene che l’art. 1492, comma 3 c.c. costituisca
applicazione della regola res perit domino (v. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID.,
Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 271; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 447 s.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu Messineo, cit., p. 488; R. OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata, Padova, 2004, p. 14 ss.).
21 Nel senso che la disposizione volta a negare il ricorso del compratore all’azione redibitoria possiede natura eccezionale cfr. già l’autorevole insegnamento di G.G. AULETTA, La ri-
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
237
Di tale specialità costituisce evidente indice la regola che ci occupa,
la quale è comprensibile soltanto ove si guardi al problema che essa intende risolvere avendo ben chiaro come il legislatore abbia disegnato il
rimedio redibitorio – contrariamente a quanto ha fatto per l’azione generale di risoluzione22 – ponendosi come prioritario scopo quello di garantire la sua funzionalità rispetto al fine della rimessione delle parti nello
stato esistente anteriormente allo scambio, garantendo l’equivalenza non
soltanto quantitativa ma – per quanto possibile – anche qualitativa fra la
situazione giuridica delle parti in data anteriore alla conclusione del
contratto e quella di cui le stesse godranno a seguito dell’intervenuta risoluzione23. Di qui, a nostro avviso, nasce la regola che vieta la risoluzione del contratto di vendita laddove il bene sia medio tempore perito,
soluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 474 e, sotto il vigore della codificazione abrogata, di R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 566. Nello stesso ordine di idee, nel
quadro di una penetrante analisi, ricca di spunti anche comparatistici, si pone C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, in Europa dir. priv.,
1999, p. 816 ss., spec. 822 s., il quale nota che «sul piano delle moderne codificazioni l’impossibilità della restituzione è diventata neutra ai fini della risoluzione del contratto». Sul
punto cfr., infine, L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 291 ss. e G. SICCHIERO, sub art. 1453, in ID., La risoluzione per inadempimento,
in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2007, p. 332 ss., il quale ritiene «davvero difficile argomentare [dall’art. 1492] un principio di più ampia portata», anche in considerazione dell’assenza di una regola di analogo tenore nella disciplina del contratto di appalto.
22 In riferimento alla quale, ad esempio, l’art. 1458 c.c. prevede espressamente che la risoluzione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi sulla cosa, salvi gli effetti
della trascrizione della domanda di risoluzione. Ne consegue che nell’ipotesi dell’ordinaria risoluzione per inadempimento il legislatore ha preferito consentire comunque la risoluzione
del contratto anche in presenza di eventi, come l’alienazione della cosa, i quali ostano alla restituibilità della stessa e pertanto alla perfetta ricostituzione dello status quo ante in senso
quantitativo e qualitativo.
23 In proposito, non è senza importanza notare come il legislatore abbia espressamente
dettato, con riferimento alla disciplina dell’azione di risoluzione prevista in materia di vendita, una disposizione specifica (l’art. 1493 c.c.) volta a sancire la retroattività degli effetti del
rimedio e, in particolare, gli obblighi restitutori conseguenti al suo esperimento. Questa
scelta, che taluno (L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 291) ha ritenuto tale «da rendere superfluo il ricorso al pur invocabile – perché
armonico rispetto alla conformazione del legislativa del mezzo stesso – art. 1458», può essere
letta, ancor più radicalmente, quale ulteriore segno della volontà legislativa di dettare una disciplina della risoluzione per vizi del bene tendenzialmente autosufficiente, in quanto, nel
prevedere che «il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza
dei vizi», in combinato disposto con la previsione sancita dall’art. 1492, comma 3, c.c., dà vita
a un sistema in sé completo, in cui non soltanto – come accade in generale – la risoluzione
comporta il sorgere delle obbligazioni restitutorie, ma – contrariamente a quella che è la regola valevole per la risoluzione per inadempimento – la possibilità della restituzione in natura
delle prestazioni assurge eccezionalmente a condizione di praticabilità del rimedio (come lo
stesso Garofalo mostra di ritenere a p. 264 s.).
238
CAPITOLO QUARTO
alienato o trasformato. Nella persuasione della specialità del rimedio24, il
legislatore del 1942 ha inteso condizionare la sua percorribilità alla sussistenza del requisito della possibilità di operare una rimessione in pristino
anche qualitativa della situazione giuridica facente capo alle parti dello
scambio25. Ben conscio del fatto che lo scioglimento del contratto per
vizi funzionali non è, ex se, condizionato dalla praticabilità in concreto
della restituzione del bene26, la quale ne costituisce mera conseguenza e
non già presupposto27, ha però seguito una strada opposta con riferimento alla garanzia per vizi, nella quale la redibitoria sembra essere strutturata alla stregua dell’avveramento di un evento dedotto in condizione
24 Nella
dottrina francese afferma la specialità dell’azione redibitoria, ad esempio,
P. COËFFARD, Garantie des vices cachés et «responsabilité contractuelle de droit commun»,
Poitiers, 2005, p. 32, il quale però avverte come fra gli interpreti transalpini si sia fatta largo
anche l’opposta opinione, secondo la quale l’art. 1646 c.c.f. concederebbe al compratore
«une variété d’action résolutoire» (così, infatti, M. LE TOURNEAU, La responsabilité des vendeurs et fabricants, Paris, 2001, p. 221).
25 In maniera consonante con quanto da noi sostenuto, L. GAROFALO, Garanzia per vizi
e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 263 scrive di un consapevole rifiuto, da
parte del legislatore, delle conseguenze che sarebbero derivate dall’applicazione delle regole
generali. Tale rifiuto è motivato dall’estraneità delle conseguenze medesime «al modello di redibitoria che, consegnato dai giuristi romani ai dottori del diritto comune e da questi non
solo raccolto ma anche rivisitato, era penetrato nelle moderne codificazioni […] manifestando la risalente e perdurante attitudine a rimettere il compratore e il venditore, mercé lo
scioglimento ex tunc del vincolo tra loro, nella situazione antecedente alla conclusione ed esecuzione del contratto»
26 La giurisprudenza, invece, in talune ipotesi ha proceduto a colmare la mancanza di
una disciplina generale inerente al perimento del bene oggetto del contratto attraverso l’applicazione delle regole speciali previste in tema di vendita, credendole erroneamente espressive di un principio generale: in questo senso, ad esempio, Cass. 18 febbraio 1983, n. 1254,
ad avviso della quale «il principio per cui la risoluzione del contratto è preclusa dall’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario opera ai sensi dell’art. 1492, comma 3, che
è espressione di una regola generale e, quindi, non ha valore limitatamente al contratto di
compravendita».
27 Così, tra i tanti, R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa
viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 11 ss. e C. CASTRONOVO, La
risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 822 s. Cfr. anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 262. Non è inutile ricordare, in proposito, l’opinione di L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla
garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 9, secondo il quale l’azione di risoluzione prevista in
tema di garanzia per vizi costituirebbe una risoluzione per viam restitutionis, ovverosia un’azione «diretta a far precipuamente a far valere, sulla base del contratto, la pretesa alla restituzione». Nel concordare con l’illustre A. circa la rilevanza della fase restitutoria nell’economia del mezzo, sembra però debba escludersi che il codice civile del 1942 possa ancora accreditare una ricostruzione dell’azione redibitoria in forza della quale la risoluzione del
contratto costituirebbe soltanto una conseguenza mediata della restitutio, con tradimento
palese dell’intendimento del legislatore (il quale, all’art. 1493 c.c., ha catalogato gli obblighi
restitutori fra gli effetti della risoluzione).
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
239
risolutiva28, e non tanto quale rimedio volto a rimediare alla rottura dell’equilibrio sinallagmatico attraverso una modificazione del contenuto
delle obbligazioni contrattuali29.
Le conclusioni così raggiunte non sono infirmate dalla constatazione
dell’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte del compratore nell’ipotesi in cui la cosa sia perita in conseguenza dei vizi, che costituisce
senz’altro un’ipotesi di impossibilità di restituzione. Tale eccezione è coerente con la tradizione30 e partecipa della più generale regola che addossa
al venditore le conseguenze derivanti dai vizi della cosa31, di cui sono
28 Rieccheggiando quindi la ricostruzione francese della risoluzione del contratto, consacrata nel Code Napoleon (S.K. MYOUNG, La rupture du contrat pour inexécution fautive en
droit coréen et francais, Paris, 1996, p. 198 ss.) e nel codice civile italiano del 1865, ma non
accolta dalla codificazione attuale (che – prevedendo la retroattività degli effetti della risoluzione soltanto tra le parti – si situa, ad avviso di C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto
nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798, a metà strada tra il modello francese della nullità e quello tedesco della liquidazione del rapporto). Non è senza importanza osservare come
il principale argomento utilizzato al fine di confutare l’adeguatezza della ricostruzione volta a
spiegare l’operare della risoluzione quale condizione risolutiva sia costituito dalla inconciliabilità dello stesso con il risarcimento dei danni positivi (così, per tutti, G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 100 e, di recente, E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 329 s.): sul punto cfr. il Capitolo 6.
29 Questo è, infatti, il contenuto della risoluzione per inadempimento secondo la ricostruzione più recente: v., pur con diversità di accenti, A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 261 ss.;
ID., voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1328;
C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798
ss.; E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 333 ss., alla cui trattazione, in questa sede,
non può che farsi rinvio. L’idea si intravvede chiaramente, pur confinata all’interno della trattazione dedicata all’ammissibilità del risarcimento dell’interesse positivo, già in L. MENGONI,
Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 303. Nel
diritto tedesco tale concezione della risoluzione (apparsa per la prima volta negli scritti di H.
STOLL, Die Wirkung des vertragsmäßigen Rücktritts, Bonn, 1921 e ID., Rücktritt und Schadensersatz, in AcP, 1929, p. 183 ss.) si è riverberata in un “epocale” cambiamento in occasione
della Schuldrechtsreform del 2002, allorché il legislatore germanico ha adottato (con il nuovo
§ 325 BGB) l’idea della combinabilità del Rücktritt e dello Schadensersatz wegen Nichterfüllung, prima radicalmente esclusa: cfr. I. DU MONT, Die kombination von Rücktritt und Schadensersatz im neuen Schuldrecht. Eine ökonomische und rechtsvergleichende Analyse am Beispiel des Kaufvetrags, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien,
2007, p. 20 ss.
30 In questo senso L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento
italiano, cit., p. 263 ss., il quale segue la tesi già fatta propria da D. RUBINO, La compravendita,
in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809.
31 Infatti, la citata Cass. 18 febbraio 1983, n. 1254, nel descrivere la regola sancita dall’art. 1492, comma 3 c.c. precisa che la stessa trova applicazione soltanto allorché l’impossibilità della restituzione si verifichi «senza colpa di colui che ha consegnato il bene, poiché
non è lecito addebitare ad un contraente le conseguenze di un evento (perimento in senso fisico o giuridico di un bene) che è stato determinato quanto meno in modo prevalente da fatto
imputabile all’altro contraente». Qualora, invece, tale impossibilità si verifichi in conseguenza
240
CAPITOLO QUARTO
espressione la previsione dell’obbligo di costui di risarcire i danni provocati dai vizi medesimi (art. 1494, comma 2, c.c.), nonché la riconosciuta
possibilità di ottenere la risoluzione anche a seguito dell’avvenuta vendita
del bene per conto di chi spetta ai sensi dell’art. 1513, comma 1, c.c., finalizzata a evitarne il perimento o il deterioramento32.
Venendo ora a trattare delle singole fattispecie impeditive dell’esercizio dell’azione redibitoria, non pare possano avanzarsi dubbi circa il
fatto che, con il richiamo al perimento della cosa33, il legislatore abbia inteso includere tutte le ipotesi in cui si verifichi la distruzione della stessa,
ossia la totale compromissione della sua integrità fisica34, senza considerazione della causa che l’ha determinata, purché estranea ai difetti della
cosa35. Il perimento, pertanto, costituisce il totale annientamento della
cosa nella sua materialità, che la renda inutilizzabile.
Peraltro, il puro e semplice riferimento che l’art. 1492, comma 3, c.c.
opera al perimento tout court solleva il problema del trattamento delle
ipotesi di deterioramento e di perimento meramente parziale della cosa
viziata.
Portando alle estreme conseguenze il principio secondo cui la redibitoria è volta a ricostituire lo status quo ante in modo quantitativamente
e qualitativamente identico, sembrerebbe coerente ritenere che anche in
tali ipotesi la soluzione debba essere nel senso della concessione della
sola azione di riduzione del prezzo36: com’è stato efficacemente scritto,
dei vizi del bene, essa può essere messa in relazione con la sfera giuridica del venditore, in
armonia con gli artt. 1490 e 1494, comma 2 c.c.
32 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 808.
33 Sul perimento v. A. MAGAZZÙ, voce Perimento della cosa, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 35 ss. e ID., Il perimento della cosa e la teoria dell’efficacia giuridica, in Scritti in
onore di Salvatore Pugliatti, I, 2, Milano, 1978, p. 1201 ss.; nel vigore del codice abrogato,
cfr. C. MAIORCA, La cosa in senso giuridico. Contributo alla critica di un dogma, Torino, 1937,
p. 225 ss.
34 Come avverte A. MAGAZZÙ, voce Perimento della cosa, p. 36, tale definizione va compendiata con l’osservazione del principio fisico secondo cui «in natura nulla veramente si distrugge: […] si danno infatti solo trasformazioni dei corpi (e della materia che li costituisce)»,
sicché il perimento costituisce una modificazione della cosa la quale la renda del tutto inutilizzabile.
35 Deve, infatti, ritenersi che l’espressione «per colpa del compratore» vada letta, con
operazione di ortopedia interpretativa, come riferentesi ad ogni ipotesi di perimento «per
fatto proprio del compratore», in quanto «l’acquirente, dopo la consegna, usa “una cosa propria e non ha obblighi di custodia”, [sicché] è difficile ravvisare la violazione di un dovere di
diligenza da parte sua» (sono parole di P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272, cui presta adesione anche L. GAROFALO, Garanzia per
vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 266). Pertanto, d’ora innanzi, si farà
riferimento all’ipotesi de qua mediante l’uso della locuzione corretta.
36 In questo senso si pronuncia taluna giurisprudenza: Cass. 4 aprile 1998, n. 3500, la
cui massima recita: «nell’ipotesi che la cosa presenti vizi, secondo quanto dispone l’art. 1492
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
241
«essendo la restituzione possibile solo se involga la cosa nella sua iniziale
integrità, inibisce la risoluzione anche la parziale impossibilità di quella
derivante […] da un incompleto perimento del bene per caso fortuito o
per fatto proprio del compratore»37. Peraltro, la correttezza di siffatta
conclusione è stata revocata in dubbio sulla base della considerazione secondo cui il deterioramento non potrebbe giammai comportare l’impossibilità dell’esatta rimessione in pristino38, e lo stesso perimento parziale
del bene potrebbe al più costituire ragione per l’operare di una preclusione dell’azione redibitoria soltanto parziale39, ovvero riferentesi alla
sola parte della cosa acquistata la quale sia effettivamente perita40.
c.c., sono attribuiti al venditore due rimedi, l’azione di risoluzione e quella di riduzione del
prezzo, ma la prima resta esclusa tutte le volte in cui la restituzione sia diventata impossibile
essendo la cosa “perita per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi l’ha alienata
o trasformata”. Ed è pacifico che tale situazione si verifica allorché la restituzione non sia più
possibile, non soltanto per effetto dell’alienazione o trasformazione della cosa, ma anche a
causa dell’espropriazione, dello smarrimento, della consumazione o della sua messa extra
commercium. Analoga situazione si verifica nel caso del perimento, del deterioramento della
cosa, o della modificazione della sua consistenza da parte dell’acquirente»; similmente, riguardo a un caso di deperimento colposo, Cass. 28 aprile 1992, n. 5034; più risalente, Cass.
6 agosto 1965, n. 1874, la quale si esprime chiaramente nel senso che preclusiva della possibilità di ottenere la risoluzione è non soltanto l’impossibilità totale della restituzione del bene
compravenduto, ma pure l’impossibilità parziale di questa.
37 Così L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano,
cit., p. 267. Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 806 e G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 166 s.
38 Per questa obiezione cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit.,
p. 973. Non pare dubbio, in proposito, che il mero deterioramento del bene, anche ove di notevole entità e pertanto rilevante ai sensi della disposizione che ci occupa, non renda impossibile ex se la restituzione della cosa oggetto dello scambio, la quale può senz’altro essere riconsegnata al venditore nello stato in cui si trova. L’opinione di Bianca è seguita anche da R.
OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 57, il quale ultimo – riguardo all’ipotesi di perimento
parziale fortuito del bene – precisa la portata della propria apertura nei confronti dell’esperibilità dell’azione di risoluzione esprimendosi nel senso che questa debba essere sempre unita
all’accollo, in capo al compratore, delle diminuzioni di valore subite dal bene, facendo però
salva l’ipotesi in cui «l’inadempimento dell’alienante rispetto all’impegno traslativo assunto
con il contratto sia stato di gravità tale da determinare la disapplicazione [del principio res perit domino], nel qual caso il compratore potrà ottenere la restituzione integrale del prezzo».
39 Tale ipotesi di risoluzione, alla quale ha dedicato ampia attenzione A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, passim, ma spec. 213 ss., è ritenuta oggi ammissibile da parte
considerevole degli interpreti laddove il contenuto contrattuale sia oggettivamente o soggettivamente scindibile: per tutti, cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano,
2012, p. 328 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 2001, p. 975 s.; M.
TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI, Il contratto in generale, II, in
Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1766 s.
40 Nel senso che il perimento parziale lascerebbe intatta la facoltà del compratore di
chiedere la risoluzione del contratto con riferimento alla parte di bene non toccata dal peri-
242
CAPITOLO QUARTO
Invero, nonostante sia indubbio che il deterioramento subito dalla
cosa nelle more fra la consegna e la domanda di risoluzione non consenta
una perfetta “restaurazione” delle situazioni giuridiche delle parti anche
in senso qualitativo, non sembra possibile accedere a una così rigorosa
lettura del principio posto dall’art. 1492, comma 3 c.c., e ciò non soltanto
perché lo stesso tenore letterale della disposizione non fa menzione della
rilevanza del mero deterioramento, ancorché “colposo”, del bene, ma soprattutto in quanto essa si tradurrebbe nel riconoscimento al compratore
di un facile strumento di paralisi delle iniziative del compratore e, in ultima analisi, in una sostanziale interpretatio abrogans dell’azione redibitoria. Non vi è chi non veda, infatti, come l’affermazione dell’irresolubilità
delle vendite rispetto alle quali le cose consegnate abbiano subito un deterioramento, da un canto, imponga la necessità di stabilire una soglia
minima di rilevanza della corruzione della stessa, in assenza di qualsivoglia indice normativo conferente e, dall’altro, armi la mano del venditore
con una facile eccezione volta a scaricare sulla controparte l’onere di dimostrare l’insussistenza del deterioramento ovvero l’irrilevanza dello
stesso o, ancora, la sussistenza già al tempo della consegna delle alterazioni della cosa dedotte dall’alienante. Così opinando, pertanto, soltanto
l’acquirente che non abbia utilizzato il bene ovvero, pur avendolo utilizzato, lo abbia in nulla o in misura trascurabile deteriorato potrebbe avere
titolo per l’esperire l’azione redibitoria e la sua libertà di scelta fra le
azioni edilizie proclamata solennemente dal comma 1 dell’art. 1492 c.c.
verrebbe a costituire un’ipotesi recessiva rispetto alla normale esperibilità
della sola quanti minoris. Ne consegue, pertanto, che – coerentemente
con quanto accadeva nel diritto romano41 – il deterioramento non può
dirsi ostativo della possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, dovendosi soltanto riconoscere al venditore una pretesa creditoria pari alla
diminuzione di valore del bene conseguente al suo deterioramento42.
Passando a considerare l’ipotesi di trasformazione della cosa, è necessario osservare come la rilevanza della relativa fattispecie non si limiti
mento, v. ancora R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata.
Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 49 ss.
41 Cfr., infatti, D. 21, 1, 23, pr., laddove al compratore veniva imposta una prestazione
pecuniaria a favore del venditore qualora il bene da restituire a seguito dell’esperimento dell’azione redibitoria si fosse deteriorato per cause imputabili all’acquirente nelle more fra la
vendita e la restituzione.
42 Come si vedrà amplius al successivo par. 2, un indice che suffraga indirettamente l’opinione accolta nel testo può essere tratto dall’art. 1479 c.c., il cui comma 2 regola le conseguenze restitutorie della risoluzione della vendita motivata dall’altruità della cosa facendo obbligo al venditore di restituire all’acquirente il prezzo pagato, «anche se la cosa è diminuita di
valore o è deteriorata».
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
243
ai soli casi di totale cambiamento di specie43, ma si estenda a qualsiasi
ipotesi di apprezzabile e ineliminabile alterazione della sua originaria destinazione, senza che però possa darsi ingresso anche alle diverse ipotesi
in cui questa «sia vincolata a pertinenza o […] sia unita ad altra, pur essendo suscettibile di separazione»44, giacché tale eventualità non incide
sulla possibilità della restituzione.
A sua volta, l’alienazione della cosa – richiamata dall’art. 1492,
comma 3, c.c. quale ulteriore ipotesi la cui ricorrenza offre al compratore
la disponibilità del solo rimedio estimatorio – può dirsi ricorrere tanto
nell’ipotesi di alienazione del medesimo diritto acquistato sul bene per
effetto del contratto di vendita, quanto pure ove il compratore costituisca sul bene stesso diritti diversi e di contenuto più limitato45, purché
questi siano opponibili al suo avente causa46 e causino l’impossibilità per
il venditore di recuperare la titolarità e il pieno esercizio del diritto venduto.
Ad avviso di un ormai sedimentato orientamento giurisprudenziale47, la trasformazione e l’alienazione della cosa avrebbero il descritto
43 Tale
orientamento restrittivo trovava, invece, accoglimento in una risalente giurisprudenza, la quale interpretava il requisito della trasformazione della cosa nel senso della sua
rilevanza soltanto nelle ipotesi in cui la stessa non potesse radicalmente più adempiere alla
sua originaria funzione economica: in questo senso cfr. 25 febbraio 1963, n. 464, la quale faceva appunto riferimento ad una modificazione dello stato materiale tale da compromettere
l’originaria funzione economica del bene.
44 Le parole sono di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 961.
45 Così anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 271, il quale fa riferimento ai diritti reali limitati costituiti sulla piena proprietà.
Non sembra, invero, che nel concetto di “alienazione” possano rientrare gli atti costitutivi di
diritti personali di godimento.
46 Laddove i diritti acquistati dal terzo subacquirente non siano opponibili all’alienante,
infatti, non ricorre la ratio sottostante al divieto, giacché la possibilità di restituzione della
cosa nello stato (giuridico, stavolta) in cui si trovava antecedentemente alla vendita, per definizione, sussiste in toto.
47 La mole delle pronunce allineate all’orientamento in parola è davvero imponente e
trova i primi esempi già nella giurisprudenza degli anni ’50 dello scorso secolo; tra le tante, si
vedano Cass. 11 maggio 1984, n. 2891; Cass. 1° febbraio 1993, n. 1212; Cass. 15 gennaio
2001, n. 489; Cass. 24 maggio 2002, n. 7619; Cass. 29 novembre 2004, n. 22416. Di recente,
cfr. altresì Cass. 3 giugno 2008, n. 14665, la quale – a quanto ci consta, per la prima volta –
ha considerato anche l’aspetto delle conseguenze del comportamento implicante rinunzia tacita altresì dal punto di vista del rimedio risarcitorio: «la trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di
per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art.
1492, comma 3, c.c., occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente
che l’acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo; tanto vale a maggior ragione con riguardo all’azione di risarcimento dei danni di cui all’art. 1494 c.c., che è
azione distinta da quella di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo di cui all’art.
244
CAPITOLO QUARTO
effetto preclusivo dell’alternativa fra le azioni edilizie soltanto ove non
solo possiedano i caratteri appena descritti, ma possano altresì essere ritenute espressive di una volontà tacita del compratore di rinunziare all’azione redibitoria, accettando la cosa medesima nonostante il vizio. In altre parole, ad avviso delle corti, non sarebbe l’obiettivo verificarsi della
fattispecie di trasformazione o alienazione a rilevare48, bensì il significato
che questa verrebbe ad assumere ove possa ritenersi espressione di una
volontà tacita di rinunzia al rimedio: ciò che costituisce senz’altro un’inammissibile interpretazione (parzialmente) abrogante, giacché la preclusione dell’esercizio di un rimedio cui si sia rinunziato non ha certo bisogno di una norma specifica per operare49, ma consegue alla perdita
della titolarità del relativo diritto e all’applicazione del principio di non
contraddizione. Ne consegue che, in questi casi come in quelli di perimento fortuito e per fatto del compratore, l’alternativa fra le azioni edilizie viene meno per il solo fatto obiettivo dell’alienazione o della trasformazione, salva la sola ipotesi in cui tali eventi debbano ritenersi conseguenza diretta dei vizi, in armonia con il principio che ispira il primo
periodo del terzo comma dell’art. 1492 c.c., permettendo la risoluzione
nelle ipotesi in cui l’impossibilità della restituzione consegua esclusivamente alla sussistenza dei difetti della cosa.
Se la proponibilità della domanda di risoluzione è esclusa in tutti i
casi in cui la cosa oggetto del contratto di compravendita sia stata alienata o trasformata ovvero sia perita per caso fortuito o per fatto del compratore, deve, però, essere chiarito l’effetto che tali accadimenti producono riguardo all’azione di risoluzione già pendente, in quanto proposta
in data anteriore al verificarsi dei medesimi.
In proposito, la dottrina tende a trattare in maniera omogenea i casi
di trasformazione e alienazione del bene nonché di perimento dello
stesso per fatto del compratore. La chiara opzione del legislatore del
1942, nel dettare la norma contenuta nell’art. 1492, comma 3, c.c., è stata
nel senso di interdire la facoltà dell’acquirente di ottenere la redibizione
in presenza di tali presupposti (nonostante – come si è accennato e come
1492 c.c., non soggetta, quindi, alle preclusioni di cui al comma 3 di tale articolo, ma solo alla
decadenza e alla prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.». La conclusione, peraltro, non poteva
essere differente, giacché l’impossibilità della restituzione del bene non può giocare alcun
ruolo preclusivo in ordine alle pretese risarcitorie.
48 Ciò che, invece, sarebbe coerente con il fondamento del divieto, da noi ravvisato nell’obiettiva impossibilità di operare l’esatta restituzione in natura della prestazione.
49 Nello stesso senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
805 e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 963, il quale nota come
la tesi giurisprudenziale conduca all’assurda disapplicazione della preclusione laddove
«l’acquirente abbia trasformato o rivenduto il bene senza la consapevolezza del difetto».
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
245
meglio si vedrà infra50 – l’impossibilità o la difficoltà della restituzione
non costituiscano affatto un ostacolo insormontabile alla praticabilità del
rimedio risolutorio di diritto comune); pertanto, in tutte le ipotesi in cui
il verificarsi delle fattispecie in discorso sia riconducibile alla sfera del
compratore, la maggioranza degli interpreti51 ritiene che questi perda la
facoltà di esperire il rimedio redibitorio, pur quando tale fattispecie
venga ad avverarsi in data posteriore alla proposizione della domanda
giudiziale.
Al contrario, con riguardo all’ipotesi di perimento fortuito del bene
nelle more del giudizio redibitorio, risulta sedimentato (in dottrina52 e in
giurisprudenza53) un orientamento che ne esclude l’efficacia preclusiva in
ordine all’accoglimento dell’azione redibitoria facendo leva sulla duplice
considerazione secondo cui, da un lato, il venditore, una volta spiegata la
domanda giudiziale, verrebbe a trovarsi in una situazione di mora acci50 Si rimanda sul punto al par. 3.2.
51 D. RUBINO, La compravendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805; P. GRECO - G.
COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272; R. OMODEISALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e
obbligazioni restitutorie, cit., p. 43 ss. In giurisprudenza, Cass. 8 novembre 1991, n. 11892, la
cui massima recita: «in tema di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, nel caso di perimento della cosa stessa dopo la proposizione della domanda di risoluzione, spetta al compratore che sia rimasto nel possesso della cosa di dimostrare che la sua obbligazione di restituzione si è estinta in dipendenza di caso fortuito con la conseguenza che, in difetto di tale
prova, il perimetro della cosa si presume imputabile al compratore stesso, onde gli è preclusa
l’azione di risoluzione del contratto a termine del comma 3 dell’art. 1492 c.c.». Peraltro, il richiamo all’estinzione dell’obbligazione di restituzione in conseguenza del perimento fortuito
non è pienamente conferente, poiché tale obbligazione in pendenza del processo per definizione ancora non può dirsi sorta, e può venire ad esistenza soltanto ove la domanda di risoluzione sia accolta.
52 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805; P. GRECO G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272; C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 968 s., il quale, però, limita l’operatività della regola ai casi in cui il compratore abbia offerto la restituzione della cosa al venditore (nei modi previsti per la liberazione del debitore ai sensi degli artt. 1206 ss. c.c.) e questi abbia ingiustificatamente rifiutato di riceverla, sicché a seguito della sentenza di risoluzione risulti che il venditore ha rifiutato senza fondato motivo l’esecuzione di un onere
connesso al legittimo esercizio di un rimedio contrattuale. Nel vigore del codice abrogato, v.
G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 166, nonché ID., Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 74.
53 In proposito, v. Cass. 17 giugno 1974, n. 1790; Cass. 12 maggio 1981, n. 3137; Cass.
8 novembre 1991, n. 11892, secondo la quale la domanda di risoluzione può trovare accoglimento anche qualora, dopo la proposizione della stessa, la cosa sia perita, purché il perimento derivi da caso fortuito. In precedenza, sull’argomento, si era già pronunciata negli
stessi termini Cass. 13 aprile 1959, n. 1078, la quale ha rigettato la domanda di risoluzione del
contratto avanzata dal compratore di un animale, poi deceduto, sulla base della considerazione che il decesso era avvenuto per fatto dello stesso acquirente e non per caso fortuito.
246
CAPITOLO QUARTO
piendi rispetto al proprio diritto di credito alla restituzione del bene, pertanto dovendo sopportare il peso del fortuito ai sensi dell’art. 1207,
comma 154, e dall’altro, la durata del processo non può andare a detrimento della parte incolpevole le cui pretese siano ritenute fondate55.
Peraltro, il richiamo alla mora del creditore non sembra affatto cogliere nel segno: anteriormente alla pronuncia della sentenza di risoluzione del contratto, infatti, non sussiste alcun obbligo56, per l’acquirente,
di restituire il bene al venditore, poiché tale dovere sorge soltanto quale
obbligo restitutorio discendente dalla risoluzione57 (art. 1493 c.c.). Non
esistendo un obbligo restitutorio in capo all’acquirente, a fortiori non
può sussistere un credito del venditore alla medesima prestazione – e un
onere di collaborazione di costui onde renderne possibile l’adempimento –, il cui mancato ricevimento possa integrare gli estremi della
mora del creditore. Né, anche ove non si volesse accedere a questa ricostruzione, sembra possa ritenersi che la mera proposizione della domanda giudiziale costituisca un’offerta ai sensi dell’art. 1209 c.c.58.
A noi sembra, piuttosto, che un risultato soddisfacente rispetto al
tema che ci occupa possa essere raggiunto sulla base della considerazione
che gli eventi ostativi alla facoltà del compratore di domandare la risoluzione possano senz’altro essere suddivisi in due categorie: da un canto,
l’alienazione, la trasformazione e il perimento per fatto del compratore, i
quali conseguono a un comportamento volontario o comunque imputabile all’acquirente, e dall’altro il perimento fortuito, per definizione indipendente dalla volontà di costui e a lui non imputabile.
54 Per questa considerazione cfr. G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt.
Vassalli, Torino, 1937, p. 166 e, più di recente, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID.,
Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272, i quali fanno leva sul fatto che il venditore
«non ha tempestivamente accettato la risoluzione e la restituzione».
55 Così, in particolare, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 805.
56 Contra, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 967, il quale
ritiene trattarsi non già di un’obbligazione bensì di «un onere della parte sotto il profilo della
sua necessarietà per realizzare un effetto favorevole». Lo stesso Bianca, peraltro, critica la tesi
che riconduce alla mora credendi la ragione dell’esenzione dalla preclusione in caso di perimento fortuito della cosa sulla base della considerazione per cui «il venditore non ha un diritto di credito né alla risoluzione del contratto né alla restituzione del bene, e non può pertanto parlarsi di una sua mora se non addiviene alle richieste del compratore».
57 Nel senso del testo cfr. anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 271 e R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie,
cit., p. 45. Dubbioso appare anche D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo,
cit., p. 805 nota 102.
58 Così L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit.
p. 271.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
247
Tale bipartizione risulta fondamentale al fine di sceverare le ipotesi
in cui la domanda redibitoria introdotta dal compratore può continuare
a essere coltivata e trovare accoglimento da quelle in cui tale domanda
deve essere respinta. Invero, l’opzione del legislatore nel senso della parificazione di tutte le fattispecie ora ricordate non può essere conservata
anche laddove si voglia regolare la sopravvenienza di tali cause di preclusione nel corso del processo, giacché ciò comporterebbe una palese
equiparazione di trattamento fra ipotesi assai distanti.
Ove il sopravvenire della causa preclusiva si verifichi per causa imputabile al compratore, egli ne dovrà sopportare interamente le conseguenze e il giudice dovrà, pertanto, respingere la domanda risolutoria59.
Diversamente opinando, infatti, l’acquirente potrebbe aggirare la preclusione posta dall’art. 1492, comma 3 c.c., proponendo dapprima la domanda giudiziale e, in seguito, trasformando o alienando a terzi il bene
viziato.
Con riferimento alle due ipotesi di perimento, invece, non vi è chi
non veda come le stesse non possano essere equiparate. Come si avrà
modo di approfondire nel corso del par. 3.2, la negazione del rimedio redibitorio nel caso in cui la distruzione del bene avvenga per caso fortuito
costituisce una peculiare tecnica di attuazione del principio che addossa
al proprietario il rischio del perimento della cosa. Peraltro, qualora il perimento fortuito della cosa avvenga in data successiva alla proposizione
della domanda giudiziale di risoluzione, ove si ritenesse che la domanda
stessa non possa per ciò solo trovare accoglimento, essendosi verificata
una delle preclusioni previste dall’art. 1492, comma 3, c.c., si verrebbero
a pregiudicare le ragioni dell’attore soltanto a cagione del necessario
svolgimento del processo. Ne consegue, a nostro avviso, che in questa
ipotesi la domanda di risoluzione dovrà, nonostante tutto, essere accolta,
applicandosi il principio secondo cui pretium succedit in locum rei e pertanto sostituendosi all’obbligo di restituzione del bene in natura l’obbligazione avente a oggetto il pagamento di una somma di denaro pari al
valore del bene perito. Ove, invece, il perimento consegua a un contegno, omissivo o commissivo, imputabile al compratore, questi dovrà coerentemente sopportarne le conseguenze, non potendosi estendere la conversione in denaro del credito restitutorio all’eventualità in cui l’impossibilità di restituzione in natura derivi da un fatto a lui imputabile.
59 Notano correttamente P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272 che sul compratore, a seguito della proposizione della
domanda giudiziale, grava un obbligo di custodia e conservazione della res che dovrà essere
restituita.
248
CAPITOLO QUARTO
1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi in
cui entrambi risultano esperibili
L’art. 1492, comma 2 c.c., non diversamente dalla disposizione che
più di frequente le è accostata60, ha costituito per lungo tempo terreno di
contrastanti prese di posizione sia in dottrina61 sia in giurisprudenza62,
per poi trovare alla fine degli anni ’80 del secolo scorso63 una soluzione
ormai divenuta stabile presso le nostre corti, le quali sostengono in maniera pressoché generalizzata che non soltanto sarebbe inammissibile un
cumulo alternativo fra i due rimedi edilizi, ma pure un cumulo condizio60 La
disposizione cui s’intende fare riferimento è – come ognuno può immaginare –
quella contenuta nel comma 2 dell’art. 1453 c.c., la quale, però, regola il concorso alternativo
fra il rimedio risolutorio e la domanda di adempimento – in materia di risoluzione del contratto per inadempimento – prevedendo che la proposizione della domanda di adempimento
non preclude all’attore una successiva richiesta di risoluzione mentre la scelta di far valere
quest’ultima impedisce l’esperimento della domanda di esatto adempimento. Il parallelismo
fra le disposizioni in discorso è assai frequente nella letteratura (cfr., ex plurimis, C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 957; D. RUBINO, La compravendita,
in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809; C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della
vendita, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 765 ss. e in Scritti in onore di Angelo Falzea, III, t. 1, Milano, 1991, p. 285 ss., dal quale luogo sono tratte le citazioni che seguono), benché la sovrapponibilità delle disposizioni non sia affatto totale. È d’immediata intelligenza, infatti,
come la riduzione del prezzo non sia volta ad ottenere l’esatto adempimento del contratto
bensì a provocare una modificazione del contenuto del medesimo implicante l’accettazione
della prestazione già eseguita (lo evidenzia anche C.M. BIANCA, op. loc. citt.).
61 Si schierano contro l’ammissibilità del cumulo subordinato C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p. 107; D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809 s.; F. LAPERTOSA, La garanzia per i vizi nella
vendita e nell’appalto, in Giur. civ., 1998, II, p. 54. Favorevoli, invece, si mostrano C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 958 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in
Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 489 s.; C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della
vendita, cit., p. 288 ss.
62 In senso favorevole al cumulo subordinato, v. ad esempio Cass. 6 ottobre 1978, n.
4462; contra, nel senso dell’inammissibilità, cfr. Cass. 19 maggio 1962, n. 1146; Cass. 19 luglio
1983, n. 4980.
63 Vedi Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565: in tema di garanzia per vizi della cosa
venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non
in via esclusiva (art. 1492, comma 3, c.c.), ma in via concorrente con l’azione di risoluzione
(art. 1492, comma 1), deve negarsi l’ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, atteso che
entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 c.c. (il quale detta una disciplina della materia completa e
non integrabile con le regole dell’art. 1455 c.c. sull’importanza dell’inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l’una e l’altra. Il dictum di tale pronuncia è stato successivamente confermato, tra le altre, da Cass. 10 aprile 1996, n. 3299; Cass. 11
aprile 1996, n. 3398; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1434; Cass. 29 novembre 2004, n. 22415.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
249
nale (c.d. subordinato)64 con il quale il compratore spieghi l’azione estimatoria subordinatamente al rigetto della domanda volta a ottenere la risoluzione, proposta in via principale.
La giurisprudenza argomenta nel senso appena descritto partendo
da un presupposto inoppugnabile, quello secondo cui le due azioni non
si pongono fra loro in rapporto di maius ad minus65, bensì sono esperibili
in presenza dei medesimi presupposti66 – coincidenti con il manifestarsi
di un “vizio” avente le caratteristiche scolpite nell’art. 1490 c.c. –, per desumerne che, pertanto, non potrebbero darsi ipotesi in cui il rigetto dell’azione redibitoria possa lasciare spazio all’accoglimento della domanda
di riduzione del prezzo, e pertanto la proposizione di questa seconda sarebbe sempre inammissibile.
Peraltro, benché l’unicità dei presupposti sostanziali di esperimento
dei due rimedi edilizi sia difficilmente smentibile, è stata autorevolmente
64 Non è certo questa la sede per approfondire l’istituto del cumulo di azioni o di domande, in ordine al quale si rimanda senz’altro a C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I,
Torino, 2005, p. 176 s. e, per il tema che qui maggiormente interessa – ovvero quello del cumulo condizionale – alla ricca trattazione che vi dedica C. CONSOLO, Il cumulo condizionale di
domande, I e II, Padova, 1985.
65 L’espressione, felice, è di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit.,
p. 802. Va segnalato, però, come la corte di legittimità non sia affatto monolitica nel riconoscere l’unicità dei presupposti di esperimento delle azioni redibitorie, giacché – come si è visto poc’anzi (cfr. testo e nota 8) – un buon numero di decisioni fanno riferimento al criterio
posto dall’art. 1455 c.c. al fine di sceverare fra vizi di maggiore gravità, che legittimerebbero
l’esperimento dell’uno e dell’altro mezzo di tutela, e vizi “di scarsa importanza”, la presenza
dei quali consentirebbe soltanto il ricorso all’estimatoria. Seguendo una simile impostazione,
il cumulo condizionale non si rivelerebbe affatto precluso, venendo meno l’argomento fondamentale usato per negarne la percorribilità.
66 Ovviamente, l’affermazione è condivisibile nei limiti e con le eccezioni descritti supra, al paragrafo precedente, riguardanti i casi in cui la risoluzione sia esclusa dagli usi ovvero
la cosa alienata sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore, ovvero questi l’abbia
alienata a sua volta o l’abbia trasformata. E infatti in questo senso si pronuncia anche la giurisprudenza: cfr., per tutte, Cass. 24 ottobre 1995, n. 11036, la cui massima recita: «In tema
di garanzia per vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l’azione redibitoria e quella
estimatoria (o quanti minoris), essendo incompatibili tra loro, in quanto preordinate alla tutela di un medesimo diritto l’una attraverso la risoluzione e l’altra mercè il mantenimento del
contratto, non possono essere esercitate contestualmente, né alternativamente, né subordinatamente, l’una rispetto all’altra, incombendo sul compratore l’onere di operare la scelta relativa, non si applica alle ipotesi in cui l’azione di riduzione è accordata al compratore in via
esclusiva (art. 1492, comma 3, c.c.). Pertanto, in caso di alienazione o trasformazione della
cosa venduta, da parte del compratore, qualora originariamente sussista dubbio sull’ammissibilità dell’azione redibitoria, ovvero l’ammissibilità della stessa sia contestata dal venditoreconvenuto, il compratore-attore legittimamente può – per il caso in cui detta azione redibitoria dovesse essere ritenuta inammissibile ed al fine di non perdere ogni garanzia – chiedere
anche l’unica tutela apprestatagli dall’art. 1492, comma 3, c.c. nell’ipotesi innanzi indicata,
vale a dire l’azione di riduzione del prezzo». Similmente, Cass. 10 aprile 1996, n. 3299 e la
stessa Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565.
250
CAPITOLO QUARTO
messa in dubbio la fondatezza del rigido corollario che le sezioni unite
hanno ritenuto di poterne desumere, sostenendosi che la conclusione cui
giungono i giudici di legittimità sia fondamentalmente il frutto di un
fraintendimento di regole sostanziali e processuali67.
La perfetta e incondizionata alternatività fra le azioni edilizie comporta che il compratore di un bene affetto da vizi materiali possieda una
libera facoltà di scelta fra l’uno e l’altro rimedio68, ma – per volere del legislatore – tale libertà si consuma con la proposizione della domanda giudiziale, la quale fissa irretrattabilmente l’opzione del compratore (art.
1492, comma 2, c.c.). Tale scelta si pone in netta discontinuità con quella
operata in materia di appalto, ove l’art. 1668, comma 1, c.c. non fa menzione di una simile conseguenza, sicché il committente ha la possibilità di
mutare la propria scelta sia ove espressa in via stragiudiziale sia ove tradottasi nell’instaurazione del giudizio, purché nel rispetto delle regole e
delle preclusioni del processo civile. Nel primo caso, infatti, la scelta potrà essere mutata liberamente da colui il quale abbia ricevuto l’opera viziata, almeno sino al momento in cui l’appaltatore abbia aderito alla richiesta di costui, con ciò fissandone irrevocabilmente la scelta69. Nel secondo caso, poi, la mancanza di una disposizione di segno simile a quella
posta in materia di vendita consente a una parte degli interpreti di concludere nel senso della praticabilità del mutamento della domanda in
corso di causa, sino al momento della rimessione della causa in deci67 Facciamo riferimento a C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, in Scritti in onore di Angelo Falzea, cit., p. 290, il quale afferma la sussistenza di un
«“cortocircuito” fra premesse di diritto sostanziale e soluzione di ordine processuale».
68 Si è già visto supra, infatti, come il presupposto oggettivo fondamentale che condiziona l’esperibilità di entrambe le azioni sia la ricorrenza del vizio materiale, non avendo alcuna incidenza nella disciplina della vendita di diritto comune la maggiore o minore gravità
dello stesso, di talché la ricorrenza di un vizio, tale da rendere la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o da diminuirne in maniera apprezzabile il valore, legittima la richiesta e
l’accoglimento della redibizione così come della riduzione del corrispettivo. Si deve, però, ancora una volta ricordare come si diano talune ipotesi – esistenza di usi contrari (art. 1492,
comma 1, c.c.), perimento non conseguente ai vizi, alienazione o trasformazione della cosa acquistata (art. 1492, comma 3, c.c.) – in cui l’azione estimatoria può essere esercitata quale
unico rimedio a disposizione del compratore.
69 In questo senso, v. D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2007, p. 440, i quali ricordano come questa sia l’opinione comune anche con riferimento all’art. 1453 c.c. Ne consegue che la scelta operata in
via stragiudiziale potrà «essere cambiata poi nella citazione (o nella riconvenzionale), e a maggior ragione prima di questa».
70 Cfr., ad esempio, C. GIANNATTASIO, L’appalto, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1977,
p. 210 s., il quale esclude soltanto la congiunta proponibilità di entrambi i rimedi, in quanto
volti alla tutela del medesimo interesse, mentre ammette che, proposta giudizialmente una
delle domande in via principale o riconvenzionale nel giudizio di primo grado, si passi all’al-
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
251
sione70, nonché della sicura cumulabilità condizionale dei due rimedi71.
In particolare, non risulta possibile la proposizione della domanda giudiziale di risoluzione e il suo successivo mutamento in quella di adempimento72, in quanto ciò trova ostacolo nel disposto dell’art. 1453, comma
2, c.c., mentre tale divieto non sembra applicabile al diverso caso in cui
la richiesta di risoluzione sia mutata in quella di riduzione del prezzo,
giacché quest’ultimo rimedio non ha natura di domanda di esatto adempimento e quindi non pare ricorrere la ratio giustificativa della regola restrittiva in parola73. Ne consegue che al committente deve essere riconotra prima della rimessione della causa in decisione o addirittura per la prima volta in appello,
non trattandosi di domanda nuova, appunto perché volta a tutelare lo stesso interesse di
quella precedentemente spiegata. Nello stesso senso si esprime Cass. 22 febbraio 1999, n.
1475, la quale, dopo aver espressamente dichiarato inapplicabile al contratto d’appalto la regola sancita dall’art. 1492, comma 2, c.c. con riferimento al contratto di vendita, ritiene che
pure l’applicazione dell’art. 1453, comma 2, c.c. non sia d’ostacolo al mutamento della domanda in corso di causa sulla base della considerazione secondo cui tale disposizione «impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in
quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo». L’opinione pare
essere sedimentata nella giurisprudenza della S.C.: Cass. 27 aprile 1993, n. 4921; Cass. 6 febbraio 1986, n. 736; Cass. 20 gennaio 1977, n. 290; implicitamente, Cass. 4 agosto 1990, n.
7872. Pur a seguito delle riforme del processo civile, che hanno reso rilevabile d’ufficio
l’inammissibile mutatio libelli, la tesi è confermata da Cass. giugno 2011, n. 12238 e Cass. 27
maggio 2010, n. 13003.
71 In giurisprudenza, cfr. ad esempio Cass. 12 luglio 2000, n. 9239; Cass. 27 aprile 1993,
n. 4921.
72 Il principio generale posto dall’art. 1453, comma 2, c.c. è applicabile all’appalto in
quanto la “garanzia” dell’appaltatore, diversamente da quella che fa capo al venditore secondo il codice civile, è pacificamente considerata sussumibile nella responsabilità da inadempimento, sicché soggiace alle regole generali in tema di risoluzione, le quali devono essere
correttamente riferite non soltanto all’ipotesi in cui il committente chieda l’esecuzione dell’opera non ancora compiuta (domanda di adempimento in senso stretto), ma pure a quelle in
cui sia richiesta l’eliminazione del vizio o il rifacimento dell’opera (domanda di c.d. esatto
adempimento). In questo senso, Cass. 27 aprile 1993, n. 4921 e D. RUBINO - G. IUDICA, sub
art. 1668, in IID., L’appalto, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 440. Contra, peraltro, Cass. 9
febbraio 1995, n. 1457, secondo cui la domanda con la quale si chiede la condanna dell’appaltatore alla eliminazione dei vizi della cosa non costituirebbe azione contrattuale di esatto
adempimento bensì per responsabilità extracontrattuale, sicché il divieto di mutare in corso
di causa la domanda di risoluzione del contratto di appalto in quella di condanna alla eliminazione dei vizi dell’opera, non conseguirebbe alla preclusione di cui all’art. 1453, comma 2,
c.c., bensì discenderebbe dai principi generali in materia di domanda giudiziale.
73 Sul punto non sembra conferente neppure il richiamo all’applicazione analogica dell’art. 1492, comma 2, c.c. operato da D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto,
in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 440, in quanto non ricorrono i presupposti per l’applicazione analogica, trattandosi di apparato rimediale speciale avente natura diversa da quella tipica delle “garanzie” in materia di appalto. Della nostra stessa opinione, d’altronde, era lo
stesso Rubino in D. RUBINO, L’appalto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1958, p. 371 s., ove l’illustre
A. ammetteva pacificamente, oltre al cumulo condizionale, l’interscambiabilità delle domande nel corso del processo.
252
CAPITOLO QUARTO
sciuta tale facoltà di mutamento in corso di causa e, altresì, quella di proposizione contemporanea, con la medesima citazione, in via di cumulo
subordinato, non ostandovi l’art. 1453, comma 2, c.c., che non può trovare applicazione per la ragione anzidetta, e anzi tale scelta si palesa decisamente consigliabile poiché consente di ottenere almeno la riduzione
della controprestazione ove la difformità dell’opera non venga valutata
tale da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione74, legittimando
l’accoglimento della domanda principale.
Uno sguardo oltre confine, inoltre, rivela la “stravaganza” della
scelta operata dal legislatore italiano anche ove confrontata con le opzioni prescelte dai codificatori europei nella disciplina dello stesso contratto di vendita. Infatti, non soltanto di una disposizione di contenuto
simile a quella dell’art. 1492, comma 2, c.c. non v’è traccia nella direttiva
1999/44/CE del 25 maggio 199975 (né nella Convenzione di Vienna del
1980, che ne costituisce l’antesignana), ma neppure il code Napoléon o
l’abrogato76 § 462 aF BGB77 attribuiscono all’esercizio giudiziale di una
74 Va infatti ricordato come l’art. 1668 c.c. conceda la risoluzione al committente soltanto qualora le difformità o i vizi dell’opera siano di gravità tale «da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione», ovvero, secondo l’orientamente maggioritario, la cosa risulti totalmente diversa da quella commissionata o manchi di una qualità essenziale (Cass. 25 luglio
1992, n. 9001 e D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Commentario Scialoja - Branca, cit., p. 429 s.).
75 Sulle regole che presidiano la scelta del rimedio da parte del consumatore, e quindi
sul rapporto fra riduzione del prezzo e altri rimedi previsti dalla direttiva dal punto di vista
processuale, reagisce la natura giuridica dei medesimi, che per le fattispecie regolate dalla direttiva è ascrivibile – sia per quanto riguardo la riduzione del prezzo sia per quanto attiene
alla risoluzione – alla categoria dei diritti potestativi. Ne consegue che la scelta del legislatore
comunitario è stata senz’altro condizionata, oltre che dalla difficoltà di imporre regole processuali in un provvedimento europeo di armonizzazione, altresì dall’opzione di fondo riguardante la natura giuridica dei rimedi. Sul punto v. infra il par. 3.
76 Ci si riferisce qui al testo abrogato del BGB in quanto il confronto con il testo successivo alla Schldrechtsmodernisierung del 2002 sarebbe meno calzante, avendo il legislatore
tedesco, come noto, abbandonato la configurazione dei rimedi posti a tutela dell’interesse del
compratore all’interno della garanzia edilizia di foggia romanistica, in favore dell’accoglimento dell’apparato rimediale suggerito dalla direttiva 1999/44/CE, declinato – per quanto
riguarda i rimedi secondari – nei due diritti potestativi ad esercizio stragiudiziale della Minderung e del Rücktritt.
77 Peraltro, benché l’abrogato § 462 aF BGB non prevedesse fra Wandlung e Minderung
un onere di scelta irretrattabile (limitandosi a disporre che «wegen eines Mangels, den der
Verkäufer nach den Vorschriften der §§ 459, 460 zu vertreten hat, kann der Käufer Rückgängigmachung des Kaufes (Wandelung) oder Herabsetzung des Kaufpreises (Minderung) verlangen»), l’opinione maggioritaria era propensa a ritenere non possibile il cumulo alternativo
delle due azioni, sulla base della considerazione secondo cui, diversamente opinando, si sarebbe dato adito alla sottoposizione al giudice di una domanda indeterminata. Sul punto v.
STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 465, 12. Aufl., München, 1978, p. 379 ss. e A. GEORGIADES,
Die Anspruchskonkurrenz im Zivilrecht und Zivilprozessrecht, München, 1967, p. 250 ss.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
253
delle azioni edilizie la conseguenza di consumare irrevocabilmente la
scelta dell’acquirente e di impedire il cumulo subordinato.
L’art. 1492, comma 2, c.c. sembra aver trovato, nell’interpretazione
datane dalla giurisprudenza della Cassazione, un’articolazione rigidamente sillogistica, con la quale dalla premessa maggiore dell’irrevocabilità della scelta dell’azione al tempo della domanda giudiziale e dalla premessa minore dell’identità delle condizioni di diritto sostanziale che legittimano (la richiesta e) l’accoglimento delle azioni edilizie si è tratta la
conclusione dell’inammissibilità non soltanto della proposizione dell’una
dopo il rigetto dell’altra78, ma soprattutto del loro esercizio in regime di
cumulo subordinato. La coerenza del sillogismo e la sua rispondenza alle
regole logiche deve, però, essere vagliata alla luce di una corretta lettura
del diritto sostanziale e del diritto processuale.
Si è più volte ricordato come i presupposti di esperibilità delle due
azioni, seppure legati inscindibilmente alla ricorrenza di un vizio materiale del bene come descritto dall’art. 1490, comma 1, c.c., non siano
privi di punti di divaricazione, con la conseguenza che l’azione estimatoria possiede un campo di applicazione lievemente più ampio rispetto alla
redibitoria, pur se questo non coincide con la sussistenza di un vizio di
minore gravità79. Ne consegue che, come la stesse sezioni unite riconoscono, in tutti i casi di dubbia o contestabile fondatezza80 dell’azione di
risoluzione, sia questa dovuta all’incerta esistenza o portata degli usi ovvero alla controversa ricorrenza delle ipotesi descritte dal terzo comma
dell’art. 1492 c.c., la proposizione di entrambi i rimedi edilizi in via di
cumulo subordinato non può essere ritenuta in contrasto con il dovere di
scelta imposto dal secondo comma dello stessa disposizione, giacché
l’esperimento in via principale della domanda di redibizione ha il solo
scopo di provocare un accertamento preliminare in ordine alla sussistenza o meno della stessa nel patrimonio dell’attore. Nell’affermare ciò,
78 Ma v. contra D.
79 Si veda, infatti,
RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 810 s.
supra, al paragrafo 1.1 per la constatazione secondo cui, in ragione
dell’autonomia del concetto di vizio redibitorio, risulta improprio il ricorso – operato da una
parte degli interpreti e della giurisprudenza – alla clausola generale sull’importanza dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c. ai fini del riconoscimento dell’applicabilità dell’azione redibitoria, intesa quale peculiare fattispecie di risoluzione per inadempimento. Si è già tentato
di dimostrare come, al contrario, la valutazione dell’importanza del vizio sia operata a priori
dal legislatore con la stessa definizione della fattispecie. In questo senso, si vedano, gli autori
e le pronunce citate alla nota 8.
80 Come si avrà modo di rilevare poco oltre nel testo, il richiamo all’ammissibilità, operato invece da Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565 e da tutte le successive sentenze
conformi, è improprio.
254
CAPITOLO QUARTO
il collegio appare memore dell’autorevole insegnamento81, già penetrato
nella giurisprudenza degli anni ’5082, che riteneva casi di electio impossibile quelli in cui il compratore ha a disposizione soltanto la quanti minoris, sicché la regola posta dall’art. 1492, comma 2, c.c. non avrebbe potuto applicarsi già perché mancava il presupposto della libera scelta.
La conclusione così raggiunta è senz’altro condivisibile, ma viene accolta dalla giurisprudenza proprio e soltanto in ragione del fatto che in
tali ipotesi non ha luogo il concorso fra le due azioni, mentre laddove entrambe esistano nel patrimonio del compratore – e quindi sia pienamente
operante la disposizione che ricollega l’irrevocabilità della scelta alla proposizione della domanda giudiziale – essa pone i più volte ricordati ostacoli al cumulo subordinato delle domande.
Per parte nostra, riteniamo possibile avanzare più di un dubbio
circa la correttezza di quest’ultima soluzione propugnata dai giudici di
legittimità, e ciò non soltanto in quanto siamo persuasi che l’esperimento
della riduzione del prezzo possa efficacemente avvenire in via stragiudiziale83 ma soprattutto in quanto nella stessa eventualità in cui la proposizione delle azioni edilizie avvenga per via giudiziale, dando luogo all’esperimento di domande che evocano un tutela giurisdizionale costitutiva
o determinativa, non sembra che l’identità di causa petendi costituisca
una ragione sufficiente per negare in rito l’esperibilità dell’estimatoria in
via subordinata.
Poiché l’art. 1492, comma 2, c.c. ricollega alla sola proposizione
della domanda giudiziale l’effetto di fissare in maniera irretrattabile la
scelta del rimedio, l’acquirente ha sempre la possibilità di modificare la
pretesa avanzata in via stragiudiziale84, salva l’eventualità in cui il venditore abbia aderito alla richiesta così avanzata. Una simile eccezione era,
peraltro, espressamente prevista dal previgente § 465 aF BGB85, il quale
– coerentemente con le premesse della Vertragstheorie, un tempo domi81 Risalente a D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 810, nonché a S. ROMANO, Vendita, contratto estimatorio, in Tratt. Grosso Santoro-Passarelli, cit., p. 268
e D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1962, p. 283.
82 Si vedano, infatti, Cass. 27 maggio 1953, in Giust. civ., 1953, I, p. 2174 e Cass. 13
aprile 1959, ivi, 1959, I, p. 1265.
83 Cfr. amplius supra, Capitolo 2, par. 6.
84 Conformemente si esprime D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo,
cit., p. 819, ad avviso del quale «a differenza di quanto dispone l’art. 1286, comma 2 per le
obbligazioni alternative, finché la scelta sia stata fatta con atto stragiudiziale, anche se comunicato al venditore mediante notifica, il compratore può revocarla in un secondo momento,
del pari stragiudizialmente o con la domanda giudiziale, e passare all’altra azione».
85 Per un rapido ragguaglio sulla disposizione citata cfr. PALANDT/H. PUTZO, sub § 465,
61. Aufl., München, 2002, Rn. 1 ss. Sulla medesima disposizione v. anche la ormai classica
trattazione di STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 465, 12. Aufl., München, 1978, Rn. 1 ss.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
255
nante – disponeva che «die Wandlung oder die Minderung ist vollzogen,
wenn sich der Verkäufer auf Verlangen des Käufers mit ihr einverstanden
erklärt», sicché l’accordo delle parti circa il rimedio aveva l’effetto di fissare definitivamente la scelta dello stesso da parte del compratore86. Nonostante l’assenza di una disposizione di tenore assimilabile a quello del
§ 465 aF BGB, non sembra dubbio che altrettanto possa dirsi con riferimento al nostro diritto, tanto qualora si ritenga che entrambe le azioni
edilizie costituiscano mezzi di tutela ad esercizio necessariamente giudiziale – ciò che conferisce alla proposizione stragiudiziale delle stesse la
natura non già di esercizio del rimedio ma di mera proposta di modifica
del contenuto dell’originario contratto di vendita o di scioglimento dello
stesso, alla quale il venditore può senz’altro sottrarsi ovvero aderire –
quanto ove si ritenga che l’estimatoria87 abbia natura di diritto potestativo esercitabile mediante un atto unilaterale stragiudiziale.
Infatti, accedendo all’impostazione tradizionale, l’adesione del venditore all’atto stragiudiziale della controparte, al pari della sua mancata
opposizione unita a un contegno collaborativo nell’attuazione della pretesa fatta valere dalla controparte88, conduce alla conclusione di un vero
e proprio negozio modificativo dell’originaria compravendita, a mezzo
del quale essa può essere risolta ovvero adattata con riferimento al
prezzo dovuto e all’accettazione delle caratteristiche che l’oggetto della
compravendita ha rivelato. Dalla natura contrattuale di tale pattui86 Peraltro, nella nostra prospettiva di indagine, sembrerebbe che l’eventualità in discorso dia luogo, più che a un accordo contrattuale fra le parti volto a sciogliere il contratto
o a modificarne il corrispettivo, all’esercizio di un diritto del compratore rispetto al quale
l’accettazione del venditore si pone quale volontà esterna volta soltanto a rendere irrevocabile
l’opzione manifestata dal primo, in ragione dell’esaurimento degli effetti della fattispecie di
responsabilità del venditore. Sul punto si rinvia a quanto già esposto in sede di trattazione
della natura giuridica del rimedio della riduzione del prezzo e a quanto si dirà poco infra nel
testo, nonché alla limpida trattazione di K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. II Band:
Besonderer Teil. 1. Halbband, München, 1986, p. 53 ss.
87 Invero, come più volte abbiamo ricordato, in dottrina è rappresentata anche la tesi
secondo cui l’azione redibitoria potrebbe essere esercitata a mezzo di un atto unilaterale stragiudiziale: in questo senso si pronuncia, infatti, M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione
per inadempimento, cit., p. 131, il quale peraltro mostra di considerare la riduzione del prezzo
quale rimedio ad esercizio necessariamente giudiziale.
88 Riteniamo, infatti, che non sia necessaria l’espressa accettazione dell’alienante onde
provocare l’effetto dell’attuazione della risoluzione o della riduzione del corrispettivo richieste dall’acquirente per vie stragiudiziali: qualora, a seguito della richiesta in tal senso, il primo
tenga un contegno inequivoco tale da consentire l’attuazione di questa (ad esempio, non sollecitando il pagamento del residuo prezzo ancora dovuto e pari alla riduzione proposta in ragione dei difetti del bene), può dirsi sussistente un consenso tacito all’attuazione del rimedio,
con riferimento al quale successive contestazioni darebbero luogo a un inammissibile venire
contra factum proprium.
256
CAPITOLO QUARTO
zione89 – che seguendo l’impostazione maggioritaria non sembra discutibile – consegue l’irretrattabilità, una volta perfezionato, del consenso
delle parti, le quali potranno sciogliere il patto estintivo o modificativo
soltanto per mutuo consenso. Inoltre, configurando la richiesta stragiudiziale di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo quali mere
proposte contrattuali, deve coerentemente ritenersi che queste siano revocabili sino al momento della conclusione del contratto (art. 1328 c.c.)90.
Se, poi, si accede alla tesi, che abbiamo propugnato nel Capitolo 2,
secondo la quale la riduzione del corrispettivo ha natura di diritto potestativo sostanziale ad esercizio (anche) stragiudiziale, è immediato riconoscere che la dichiarazione con la quale essa viene fatta valere produce
effetti immediati nella sfera del venditore, senza necessità di una sua accettazione espressa o tacita, come invece sarebbe richiesto seguendo l’opinione tradizionale. Ne consegue che l’esercizio in via stragiudiziale del
rimedio è ex se idoneo a concretare una vera e propria “scelta”, giacché
è in grado di attivare la responsabilità del venditore, il quale si trova in
una posizione di soggezione rispetto alla controparte.
Non vi è chi non veda come, adottando la prospettiva da noi proposta, si pervenga ad ascrivere alla previsione secondo cui la scelta fra
estimatoria e redibitoria «è irrevocabile quando è fatta con la domanda
giudiziale» un significato maggiormente lineare: invero, qualora si ritenga
che l’atto stragiudiziale diretto a ottenere l’una o l’altra tutela non produca alcun effetto nella sfera giuridica della controparte, giacché questo
si potrebbe produrre soltanto con l’atto introduttivo del giudizio, non si
spiegherebbe il motivo per cui il legislatore abbia fatto riferimento alla
“scelta”, definendo irrevocabile soltanto quella «fatta con la domanda
89 Alla
natura contrattuale della pattuizione modificativa o estintiva dell’originario contratto di compravendita consegue linearmente l’onere per le parti di rispettare il requisito della
forma scritta ove il negozio oggetto di modificazione o di risoluzione abbia natura di negozio
formale, secondo il principio ormai tralatizio che impone ai negozi c.d. accessori la medesima
forma prescritta per il negozio principale. Sul punto, v., per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 3.
Il contratto, Milano, 2000, p. 736 e – in giurisprudenza – Cass. 7 gennaio 1984, n. 131; Cass.
15 maggio 1998, n. 4906; Cass. 14 novembre 2000, n. 14730; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234.
90 In argomento non riveste alcuna rilevanza il disposto dell’art. 1286, comma 2, c.c., il
quale sancisce l’irrevocabilità della dichiarazione di scelta di una delle prestazioni alternative
da parte di colui cui spetta la concentrazione. Ciò per almeno due ragioni: da un canto, l’opinione tradizionale postula che la scelta operata con atto stragiudiziale non sia idonea a costituire esercizio del rimedio, il quale potrà dirsi proposto (e quindi effettivamente scelto) soltanto in esito all’introduzione della domanda giudiziale; dall’altro, e più radicalmente, deve
negarsi che, con riferimento alla facoltà di scelta fra le azioni edilizie previste dall’art. 1492
c.c., ricorra un’ipotesi di obbligazione alternativa, giacché l’esperimento delle azioni edilizie
non comporta il sorgere di obbligazioni in capo al venditore bensì introduce un giudizio di
accertamento costitutivo o determinativo, il cui esito è costituito da una modificazione della
realtà giuridica di diritto sostanziale che prescinde dal momento obbligatorio.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
257
giudiziale», implicitamente ammettendo la possibilità di una scelta rilevante per il diritto anche in via stragiudiziale. Ne consegue, a nostro avviso, che l’art. 1492, comma 2 c.c. deve essere interpretato nel senso che
il compratore, ferma l’efficacia della dichiarazione di riduzione del
prezzo emessa fuori dal processo91, può successivamente mutare l’opzione del rimedio da esercitare in sede giudiziale, virando sulla redibizione, salvo che la riduzione del prezzo abbia avuto luogo e quindi la fattispecie di responsabilità del venditore abbia già condotto al riconoscimento al compratore delle utilità che la legge gli riconosce92.
Ciò chiarito per quanto riguarda i rapporti fra le parti anteriori al
processo o comunque svolgentisi al di fuori di questo, procediamo a motivare il nostro dissenso dalla tesi giurisprudenziale che dichiara inammissibile il cumulo subordinato delle domande redibitoria ed estimatoria.
L’irrevocabilità della scelta e il connesso effetto preclusivo descritto
dall’art. 1492, comma 2, c.c. discendono, secondo il dettato letterale
della disposizione, dalla proposizione della domanda giudiziale, sicché si
è ritenuto di poter concludere che essi prescindano «dall’ulteriore svolgimento dell’azione e dalle ulteriori vicende del bene», poiché «ciò che importa è che al venditore sia notificato l’atto col quale il compratore propone la domanda che sancisce la sua decisione circa il mantenimento
della vendita a prezzo ridotto o la sua totale risoluzione»93. Così facendo,
però, si sottovaluta la natura di azione costitutiva della risoluzione e sembra prestarsi adesione a quelle ricostruzioni che ricollegano l’effetto costitutivo già alla dichiarazione di parte, sicché la pronuncia giudiziale
sarebbe soltanto dichiarativa di un effetto modificativo della realtà giuridica già prodottosi e la cui verificazione l’autorità giudiziaria si limiterebbe ad attestare con forza di giudicato94. Infatti, predicare l’insensibi91 La
richiesta stragiudiziale di risoluzione, invece, spiegherà efficacia ove sia raggiunto
un accordo fra le parti, come sopra illustrato, qualora – come anche noi riteniamo – se ne riconosca la natura necessariamente giudiziale, mentre seguirà lo stesso regime qui previsto per
la riduzione del corrispettivo ove si aderisca alla tesi (per la quale v. la nota 87) che ne considera possibile anche l’esercizio mediante dichiarazione unilaterale emessa fuori dal processo.
92 Con ciò intendiamo dire che, poiché la scelta fra i rimedi è irrevocabile soltanto
quando operata con la domanda giudiziale, le eventuali contestazioni o il comportamento
motivato da intenti dilatori e defatigatori della parte alienante – traducendosi in un ostacolo
alla realizzazione della tutela cui è preordinata la diminuzione del corrispettivo – consente all’acquirente di mutare avviso e, attraverso l’introduzione del giudizio, richiedere la risoluzione, fissando in maniera questa volta irrevocabile il mezzo invocato.
93 Così C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 955, il quale avverte che l’irregolarità processuale e l’estinzione del processo non rimuovono l’effetto preclusivo, salva l’eventualità di nullità della domanda.
94 Invero, a nostro avviso, il giudice non è chiamato a un’operazione di tale tenore neppure allorché l’estimatoria sia esercitata per via giudiziale, giacché essa, pur essendo oggetto
258
CAPITOLO QUARTO
lità della preclusione nei confronti delle sorti del processo, salvo il solo
caso di nullità della domanda, equivale proprio a riconoscere l’effetto costitutivo in capo all’atto introduttivo del giudizio e a disconoscere che
esso sia conseguenza della pronuncia giudiziale.
È evidente, in tale dottrina, l’influenza di riflessioni che affondano le
proprie radici nella scienza giuridica germanica e, in particolare, nella ricostruzione della Gestaltungserklärung quale unica causa della produzione dell’effetto costitutivo, che attribuisce al giudice soltanto il dovere
di accertare l’effetto già realizzatosi, e non già quello di produrlo attraverso l’atto che definisce il giudizio95. Corollario dell’impostazione in
parola è l’inapponibilità di condizioni all’atto di esercizio di diritti potestativi e, pertanto, il carattere di actus legitimi degli stessi96, giacché, risalendo la modificazione della realtà giuridica direttamente alla dichiarazione negoziale, questa dovrebbe necessariamente avere carattere incondizionato.
Tale ricostruzione deporrebbe chiaramente a sfavore della possibilità
di un cumulo condizionale che veda la richiesta di riduzione del prezzo
subordinata al mancato accoglimento di quella di risoluzione, giacché, ritenendosi che la dichiarazione dia luogo di per sé alla modificazione della
realtà giuridica, una volta che questa sia stata emessa, il diritto potestativo
dovrebbe considerarsi già esercitato senza che in capo al compratore
possa residuare una possibilità di ritrattazione. Con la manifestazione di
volontà egli ha consumato la propria scelta, la quale può essere modificata
soltanto nell’ipotesi di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, che si traduce nella nullità dell’atto con cui è stata operata l’electio.
Non sembra, peraltro, che tale impostazione possa essere condivisa.
Da tempo la nostra dottrina, al pari di quella germanica, non soltanto ha
ridimensionato la portata del principio secondo cui gli atti unilaterali redi un diritto potestativo sostanziale, il cui esercizio può avvenire indifferentemente attraverso
un atto stragiudiziale o a mezzo di quello che introduce il processo, qualora sia proposta per
via giudiziale sembra possedere comunque natura di azione costitutiva (o, rectius, costitutivodeterminativa). Ne consegue che quanto si sta per dire in ordine alla proponibilità dell’estimatoria in via subordinata rispetto alla redibitoria potrebbe valere pure per l’opposta ipotesi
in cui la quanti minoris sia proposta in via principale e la risoluzione sia chiesta subordinatamente al suo rigetto: sennonché, non sussistendo fattispecie concrete rispetto alle quali l’estimatoria possa essere rigettata e la redibitoria viceversa accolta, riteniamo che tale eventualità
concreti un mero caso di scuola.
95 Per questo orientamento cfr., ad esempio, L. ENNECCERUS - H.C. NIPPERDEY, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts: ein Lehrbuch, I, 2, Tubingen, 1960, p. 1193.
96 Per tutti, A. VON TUHR, Der Allgemeine Teil des Deutschen Burgerlichen Rechtes, II,
1, Berlin, 1957, p. 212; K. LARENZ - M. WOLF, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, 9.
Aufl., München, 2004, p. 919 s., i quali espressamente limitano la rilevanza del principio «nur
für einseitige Gestaltungserklärungen, nicht für einseitige Rechtsgeschäfte allgemein».
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
259
cettizi, e in particolare quelli di esercizio di diritti potestativi, avrebbero
natura di atti bedingungsfeindlichen, non tollerando l’apposizione dell’elemento condizionale97, ma altresì ha abbandonato la concezione delle
azioni costitutive sopra delineata, riconoscendo correttamente nella sola
pronuncia giudiziale la fonte dell’effetto costitutivo sostanziale98. La domanda giudiziale, infatti, costituisce soltanto l’atto con il quale l’attore
97 Per tutti, P. RESCIGNO, voce Condizione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p.
790 (il quale riporta le autorevoli conformi opinioni di M. ALLARA, Le fattispecie estintive del
rapporto obbligatorio, Torino, 1952, p. 301 [con riferimento alla remissione del debito] e S.
PIRAS, La rinunzia nel diritto privato, Napoli, 1940, p. 54 ss. [che ammette l’apposizione della
condizione al negozio di rinunzia]), il quale ritiene che il principio in argomento abbia ragione d’essere soltanto con riferimento agli atti giuridici in senso stretto, in ordine ai quali al
dichiarante non spetta il dominio degli effetti, rimesso interamente alla legge, mentre con riferimento agli atti negoziali non si rinviene alcuna ragione condivisibile per limitare a tal
punto l’autonomia privata. Invero, se ormai si riconosce dalla dottrina pressoché unanime la
facoltà di creare negozi unilaterali atipici, non si vede perché non dovrebbe essere permessa
anche l’apposizione dell’elemento condizionale ai negozi già disciplinati dal legislatore, salvi i
casi in cui la legge stessa ponga un divieto espresso (come accade agli artt. 108 [che dichiara
nulla la condizione apposta al negozio matrimoniale], 137 [il quale sottopone al medesimo
trattamento il riconoscimento del figlio naturale sottoposto a condizione], 475, comma 2 [in
tema di accettazione dell’eredità, nulla ove condizionata], 520 [in punto di rinunzia condizionata all’eredità, parimenti nulla], 2010 [che dichiara nulla la condizione apposta alla girata
di titolo all’ordine] c.c.) a cagione della particolarità dell’atto ovvero l’inapponibilità possa essere desunta dalla necessità di tutelare il destinatario della dichiarazione «in ordine al perdurare del rapporto» (P. RESCIGNO, ibidem). Si dubita, pertanto, sulla base di quest’ultima considerazione, dell’ammissibilità del recesso sottoposto a condizione e, per motivi analoghi, legati all’efficacia modificativa o estintiva del rapporto giuridico sottostante, potrebbe dubitarsi
– pur mettendo a partito questi più recenti e maturi approdi della dottrina – della possibilità
di apporre una condizione alla domanda di risoluzione del contratto. Deve, però, essere
messa in luce la profonda diversità intercorrente fra le ipotesi appena considerate: il recesso,
infatti, è un negozio giuridico unilaterale con il quale una parte esercita in via stragiudiziale
(o giudiziale) un diritto potestativo sostanziale, mentre le azioni edilizie costituiscono atti giudiziali di esercizio di un diritto potestativo sostanziale, il quale trova la propria attuazione in
via giudiziale. Non è senza rilevanza, in proposito, il fatto che la dottrina tedesca abbia ormai
limitato l’operatività del principio di inapponibilità dell’elemento condizionale alle ipotesi in
cui il Gestaltungsrecht venga esercitato in via stragiudiziale, con esclusione di quelle in cui
esso sia fatto valere giudizialmente, giacché in questo secondo caso dovrebbe applicarsi la disciplina tipica degli atti processuali, la quale – in linea di principio e salva diversa previsione
– non pone preclusioni alla facoltà delle parti di sottoporre il proprio comportamento processuale a condizioni il cui verificarsi è interno al processo (per riferimenti, v. C. CONSOLO, Il
cumulo condizionale di domande, I, cit., p. 49 ss.), come accade allorché si tratti di decisioni
dell’organo giudicante (cfr. PALANDT/H. HEINRICHS, sub § 143, 61. Aufl., München, 2002, p.
145; JAUERNIG/O. JAUERNIG, sub § 158, 10 Aufl., München, 2003, p. 113, il quale – richiamando la giurisprudenza del BGH – fa riferimento ai negozi unilaterali bedingungsfeindlichen
limitando la categoria a quelli che lo siano per espressa previsione normativa ovvero allorché
l’apposizione della condizione comporti una situazione di incertezza intollerabile).
98 Per tutti, v. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2005, p. 81.
260
CAPITOLO QUARTO
manifesta la volontà che, in esito a un procedimento giudiziale, venga
prodotta una determinata modificazione giuridica, i cui presupposti devono essere previamente verificati dal giudice, sicché la realtà giuridica
non muta se non all’esito di tale complessivo procedimento, nel corso del
quale l’autorità giurisdizionale dapprima verifica la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la produzione dell’effetto costitutivo e
successivamente procede a dar vita a detto effetto attraverso l’atto conclusivo del giudizio99. Poiché le cennate difficoltà e obiezioni in ordine
all’ammissibilità del cumulo condizionale delle domande costitutive sembrano essere legate almeno in parte, dalla dottrina e – se non ci inganniamo – anche dalla giurisprudenza, proprio alla natura e alla rilevanza
da queste attribuita all’atto introduttivo del giudizio, ove – invece – correttamente si attribuisca al solo atto di definizione del medesimo l’effetto
di produrre il mutamento giuridico sotteso alla volontà del privato, esse
sono destinate a cadere.
Se così è, viene meno già in limine uno dei più vigorosi argomenti
addotti a sostegno della tesi che riconduce la preclusione di cui si tratta
all’impossibilità di sottoporre a condizione l’esercizio di un diritto potestativo, seppure a necessario esercizio giudiziale, in quanto lo stesso sarebbe immediatamente modificativo della situazione giuridica della controparte. Pertanto, soltanto un divieto espresso di legge potrebbe raggiungere detto risultato, non essendo invece contrario ai principi il fatto
che l’attore possa presentare in regime di cumulo subordinato le domande di risoluzione e di riduzione del corrispettivo. Va, quindi, verificato se un simile divieto possa essere rintracciato nella previsione dell’art.
1492, comma 2, c.c., il quale invero si limita a sancire che la scelta del rimedio «è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale»100.
Come già si è detto, ad avviso della giurisprudenza la previsione ora
ricordata comporterebbe l’«inammissibilità» dell’abbinamento in via gra99 Peraltro,
come osserva C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita,
cit., p. 309 (nonché ID., Il cumulo condizionale di domande, I, cit., p. 374 ss.), la stessa giurisprudenza della nostra Cassazione è, altrove, propensa ad ammettere il cumulo condizionale
di azioni costitutive in via subordinata: è il caso della proposizione dell’azione di risoluzione
in via principale e dell’azione di annullamento in via subordinata o dell’azione di rescissione
in via principale e dell’azione di annullamento di nuovo in via subordinata.
100 Si noti che, nell’ipotesi di esercizio dei rimedi edilizi in via di eccezione, la possibilità di richiesta in via subordinata è generalmente ammessa, dalla dottrina (cfr. per tutti C.M.
BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 957 ss.) e dalla giurisprudenza, in
quanto si ritiene che le eccezioni, operando «in una sfera più direttamente processuale, non
[siano] mai in concorso, potendo il convenuto farle valere tutte insieme liberamente, purché
utili alla propria difesa secondo il libero apprezzamento della parte» (così Cass. 19 maggio
1962, n. 1146).
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
261
duata delle due azioni edilizie, il quale potrebbe consentire al compratore di proporre in via principale la domanda di risoluzione e, in via subordinata, invocare la tutela estimatoria, ma che sarebbe percorribile soltanto ove, eccezionalmente, uno soltanto dei due rimedi risulti concretamente fondato101. Nel riferirsi al concetto di «inammissibilità», il quale
rieccheggia e rimanda direttamente alla negazione in rito della tutela giurisdizionale, le sezioni unite e le successive pronunce di legittimità102 e di
merito sembrano operare un’impropria contaminazione fra il piano sostanziale e quello processuale103. In verità, il tema consiste nel chiedersi
se, ed eventualmente a quali condizioni, il compratore di un bene viziato
sia titolare, sul piano sostanziale, del diritto di chiedere la risoluzione del
contratto di vendita e, al contempo, in via alternativa, del diritto – parimenti sostanziale – di domandare la riduzione del corrispettivo pattuito.
Così sceverato il campo d’indagine, consegue che, in merito a siffatta
problematica, può farsi questione soltanto di fondatezza, e non già di
ammissibilità dell’azione.
L’art. 1492, comma 2, c.c. richiede soltanto che al momento della
presentazione della domanda giudiziale l’acquirente operi la propria
scelta fra i rimedi edilizi, sicché certamente precluso – e, pertanto, correttamente qualificabile come «inammissibile» – è l’esercizio in via di cumulo alternativo delle due azioni, il quale si risolve in un mancato assolvimento dell’onere di scelta gravante sull’attore ai sensi della disposizione citata, mentre non lo è il cumulo subordinato di azione redibitoria
e quanti minoris in quanto con esso il compratore esprime la propria
scelta. Né inammissibile può dirsi, uti singula, la domanda di riduzione
del corrispettivo esercitata in via subordinata rispetto all’altra, sicché in
ogni caso, ove l’attore spieghi le due domande in regime di cumulo subordinato, il giudice è tenuto a pronunciarsi nel merito con riguardo a
entrambe104.
La sussistenza di una vasta area di congruenza fra i presupposti di
esperibilità delle due azioni non può comportare l’inammissibilità della
101 Si
è già ricordato più volte come i casi in cui la causa petendi delle due azioni non è
esattamente congruente sono quelli regolati dall’art. 1492, comma 1 (che richiama i casi per i
quali gli usi escludano la risoluzione) e comma 3 (a mente del quale la risoluzione non può
essere pronunciata allorché la stessa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore,
ovvero costui l’abbia alienata o trasformata).
102 Cfr. le già citate Cass. 10 aprile 1996, n. 3299; Cass. 11 aprile 1996, n. 3398; Cass.
27 gennaio 2004 n. 1434; Cass. 29 novembre 2004, n. 22415.
103 La critica è posta a base dell’articolato scritto di C. CONSOLO, Il concorso di azioni
nella patologia della vendita, cit., p. 310 ss.
104 In questo stesso senso si veda C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della
vendita, cit., p. 311.
262
CAPITOLO QUARTO
proposizione dell’una in via condizionata rispetto al rigetto dell’altra, in
ragione del fatto che l’accoglimento della domanda subordinata sarebbe
incompatibile con il rigetto della principale, ma soltanto l’eventuale rigetto nel merito (per infondatezza) di entrambe le domande ove ricorra
una fattispecie concreta per cui la causa petendi delle due azioni sia identica. Pertanto, l’autorità giudiziaria è tenuta alla trattazione nel merito di
entrambe le domande, senza che a ciò possa ostare il fatto della tendenziale coincidenza dei presupposti delle stesse, coincidenza che, nell’ipotesi concretamente sottoposta al vaglio del giudice, deve essere scrutinata
attraverso un esame condotto nel merito. Soltanto in esito a un simile
giudizio, infatti, è possibile verificare se la cosa abbia subito trasformazioni ovvero sia perita o ancora esistano usi che escludono la redibizione,
e, pertanto, ricorrano o meno le condizioni che legittimano l’accoglimento della quanti minoris e non dell’azione di risoluzione105.
Nella questione che ci occupa, la giurisprudenza appare mossa più
che altro da ragioni di economia processuale, le quali, nella necessità di
trovare un addentellato normativo, si sono riverberate in un ricorso improprio al concetto di inammissibilità dell’esperimento dei due rimedi in
regime di cumulo subordinato, quando piuttosto si sarebbe dovuto prendere atto della possibile “inutilità” dello stesso qualora entrambe le domande risultino fondate, inutilità che però non consente di negare in rito
la richiesta tutela106.
105 Si consideri, inoltre, che il perimento della cosa per fatto del compratore, la sua trasformazione e alienazione si traducono in motivo di rigetto della domanda risolutoria anche
ove tali situazioni sopravvengano in corso di causa.
106 Tale posizione, la cui erroneità abbiamo appena messo in luce, limita i propri palesi
effetti distorsivi alle fattispecie in cui la causa petendi delle azioni edilizie non è perfettamente
sovrapponibile per chi, come noi, ritiene che la nozione di vizio di cui all’art. 1490 c.c. incorpori in sé la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento richiesta in generale per la risoluzione del contratto dall’art. 1455 c.c., ma provoca asimmetrie ancor più
pronunciate ove si accolga la tesi, diffusa anche in giurisprudenza, secondo cui, «nel caso di
azione redibitoria, non ogni vizio della merce giustificherebbe la risoluzione della vendita, ma
soltanto quello che concreti un inadempimento del venditore di non scarsa importanza in relazione all’interesse del compratore». Ove si aderisca a questa impostazione, la preclusione
del cumulo appare tanto più irragionevole, in quanto priva il compratore della possibilità di
invocare il rimedio della riduzione del corrispettivo anche nei casi in cui questo sia l’unico a
poter essere giudicato fondato.
In considerazione dell’erroneità della tesi che ricollega alla non scarsa importanza del
vizio la praticabilità del rimedio redibitorio, le considerazioni da ultimo svolte possono anche
apparire di poco momento, ma altrettanto non può dirsi del profilo attinente alla prescrizione
delle azioni: infatti, ove si ritenesse inammissibile il cumulo subordinato dei rimedi edilizi, il
compratore sarebbe esposto al concreto rischio di incorrere nella prescrizione dell’azione
estimatoria pur a seguito del rigetto dell’azione redibitoria – in ragione dell’intervenuto perimento della cosa per caso fortuito o colpa del compratore, trasformazione ovvero alienazione
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
2.
263
Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484
e 1489 c.c.
Passando all’analisi dei rapporti intercorrenti fra azione di risoluzione e riduzione del prezzo sul terreno dell’“inesattezza giuridica” dell’attribuzione traslativa, può senza dubbio notarsi come questi siano connotati da una disciplina più scarna rispetto a quella dedicata all’ipotesi di
vizi redibitori e da una tendenziale maggiore semplicità.
Le fattispecie di vendita di cosa parzialmente altrui (art. 1480 c.c.),
evizione parziale (art. 1484 c.c.) e vendita di cosa gravata da oneri o diritti
di godimento di terzi (art. 1489 c.c.) legano la disponibilità del rimedio risolutorio all’interesse del compratore, il quale intanto può ottenere lo
scioglimento del contratto in quanto le circostanze inducano a ritenere
che egli non avrebbe acquistato la res qualora fosse stato a conoscenza
della parziale altruità della stessa, della sua rivendicabilità o espropriabilità da pare del terzo ovvero degli oneri o diritti di godimento su di essa
gravanti. Qualora, invece, debba opinarsi nel senso che l’acquirente, ove
fosse stato al corrente delle cennate vicende, avrebbe comunque concluso
il contratto di compravendita, egli potrà reagire alla difettosità dell’attribuzione traslativa a mezzo della riduzione del prezzo.
L’assetto normativo disegnato dal legislatore del 1942 per le fattispecie ora considerate è, pertanto, radicalmente diverso da quello adottato per le tutele edilizie, essendosi (almeno in parte) esclusa la libertà di
scelta del compratore in ordine al rimedio maggiormente idoneo, in favore di una rigida alternatività in forza della quale costui – oltre a richiedere il risarcimento del danno, qualora l’inattuazione del programma negoziale sia imputabile al venditore107 – può esperire soltanto il rimedio
che la legge gli mette a disposizione in ragione dell’esito del giudizio cui
si è fatto cenno. Sebbene gli interpreti siano tendenzialmente concordi
della stessa – sicché egli risulterebbe in sostanza privato di tutela, in considerazione della brevità del termine annuale e del fatto che si ritiene che la proposizione di una delle azioni edilizie non comporti l’interruzione della prescrizione riguardo all’altra. La proposizione immediata, in via subordinata, anche del rimedio volto alla riduzione della prestazione corrispettiva sembra costituire l’unica via a disposizione del compratore al fine di evitare di incorrere
nella prescrizione della pretesa subordinata, sicché ritenere inammissibile il cumulo si risolverebbe in un’inaccettabile compromissione della sfera giuridica del compratore, conseguente a un mero errore di costui nella scelta del rimedio in concreto azionabile.
107 Per tutti, A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410 e
D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 376. G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394 correttamente pone in luce come la colpa in
discorso si sostanzi «nello stato soggettivo di conoscenza dell’alienità della cosa (situazione
alla quale viene equiparata quella di conoscibilità di tale alienità con l’uso dell’ordinaria diligenza)».
264
CAPITOLO QUARTO
nel ritenere che tale giudizio partecipi sostanzialmente della logica sottesa al principio di non scarsa importanza dell’inadempimento dell’inadempimento legittimante la risoluzione, di cui all’art. 1455 c.c., questi finiscono per dividersi allorché si passi alla valutazione della specialità
della previsione in discorso, taluni ritenendo che le disposizioni citate si
limitino a specificare che l’apprezzamento della gravità dell’inattuazione
deve tenere conto dell’incidenza della parziale alienità e degli altri accadimenti rispetto all’interesse dell’acquirente108, mentre secondo altri esigerebbero la formulazione di un giudizio foggiato su quello richiesto dall’art. 1419, comma 1 c.c. per i casi di nullità parziale del contratto109.
L’alternativa esegetica in parola è, peraltro, gravida di conseguenze
ai nostri fini, giacché, sebbene non si riverberi direttamente sull’ampiezza del campo di applicazione esclusivo della riduzione del corrispettivo, viene ad influenzarlo indirettamente in quanto conduce ad una differente ripartizione dell’onere della prova relativa alle circostanze legittimanti la risoluzione. Ove si riconducesse la disciplina speciale
nell’alveo di quella generale della risoluzione, infatti, il compratore potrebbe invocare lo scioglimento del vincolo negoziale limitandosi «a dimostrare l’inadempimento e quelle circostanze che ne confermino l’im108 In tal senso si pronuncia chiaramente C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt.
Vassalli, cit., p. 779 s., il quale ritiene che «la supposizione di ciò che l’acquirente avrebbe
fatto se avesse saputo della parziale alienità del bene è […], più che un oggetto di indagine,
l’espressione del giudizio di gravità dell’inadempimento in relazione all’interesse e all’utilità
del compratore: e ciò secondo la regola generale della risoluzione». Similmente, v. A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410, che parimenti fa riferimento a
un giudizio che prescinde dalla considerazione del versante psicologico per investire essenzialmente l’interesse e l’utilità del compratore. In giurisprudenza, v. Cass. 11 maggio 1984, n.
2890, ad avviso della quale «l’esistenza di uno ius in re sulla cosa venduta legittima ex art.
1489 c.c. il compratore, che non ne abbia avuto conoscenza al momento della conclusione del
contratto, a far valere la risoluzione di quest’ultimo o una riduzione del prezzo anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell’onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sul bene. In tale ipotesi, peraltro, la risoluzione non può essere automaticamente pronunziata dovendosi stabilire, ai sensi dell’art. 1480 c.c., secondo le
circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall’onere, e comunque
non può essere pronunziata ove al momento della decisione lo ius in re più non sussista ed il
diritto di proprietà abbia riacquistato il suo normale contenuto, ed il ritardo nel ripristino
della consistenza del bene abbia inciso in modo scarsamente rilevante – ai sensi dello art.
1455 c.c. – sull’interesse del compratore, salvo il diritto dello stesso al risarcimento di eventuali danni (e l’incidenza sulla regolamentazione delle spese giudiziali)».
109 Così, chiaramente, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
375 s. e, di recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394,
il quale scrive appunto che il criterio adottato dall’art. 1480 c.c. (e richiamato dagli artt. 1484
e 1489 c.c.) coincide con quello che il legislatore ha adottato in tema di nullità parziale al fine
di distinguere fra ipotesi “vizianti” e ipotesi in cui la stessa limita i propri effetti alla sola clausola o parte del negozio rispetto alla quale si è verificata la causa di nullità.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
265
portanza»110, mentre il riferimento al criterio adottato in materia di nullità parziale richiederebbe a costui la prova del fatto che non avrebbe
proceduto a perfezionare l’acquisto qualora avesse conosciuto il peculiare stato giuridico del bene111. Non vi è chi non veda come ciò influisca
in maniera determinante sulla concreta possibilità del compratore di ottenere la risoluzione nelle ipotesi considerate, anche in considerazione
del fatto che l’adozione della prospettiva esposta per seconda avrebbe
quale ulteriore effetto quello di obbligare il giudice, in caso di dubbio, a
fare applicazione del principio di conservazione del negozio e, pertanto,
a negare lo scioglimento del contratto112.
È nostra opinione, in proposito, che l’avere il legislatore del 1942
consapevolmente rigettato la qualificazione in termini di nullità della
vendita di cosa altrui113, attraverso la “conversione legale” di una causa di
nullità – il difetto (parziale, nell’ipotesi di cui all’art. 1480 c.c.) di potere
dispositivo dell’alienante – in una causa di risoluzione114, costituisca un
indice non trascurabile dall’interprete, che deve condurre al trattamento
della fattispecie in discorso secondo le regole che presiedono alle ipotesi
di inattuazione del programma negoziale e non a quelle di invalidità dello
stesso. Ciò, peraltro, è confermato dal fatto che, da un canto, il giudizio
evocato dalla disposizione in materia di nullità parziale impone la considerazione dell’interesse di tutte le parti del contratto e non già di una soltanto115 e, dall’altro, il criterio selettivo in parola si applica, per espresso
richiamo fattone dall’art. 1489 c.c., anche all’ipotesi di vendita di una res
gravata da oneri e diritti di godimento di terzi, laddove non sussiste un
difetto di potere dispositivo dell’alienante bensì una semplice imperfetta
realizzazione del risultato traslativo116, sicché il riferimento al criterio det110 C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 780.
111 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375.
112 Esattamente nel senso che, con riferimento alla nullità parziale, l’incertezza
in ordine alla prova che i contraenti non avrebbero concluso il negozio senza quella parte o quella
clausola che è stata colpita da nullità dovrebbe indurre il giudice a non dichiararne l’integrale
nullità, in applicazione del principio di conservazione, v. A. DI MAJO, La nullità, in ID. - G.B.
FERRI - M. FRANZONI, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, 7, Torino, 2002, p. 104.
113 L’art. 1459 c.c. 1865 sanciva, infatti, che: «La vendita della cosa altrui è nulla: essa
può dar luogo al risarcimento dei danni se il compratore ignorava che la cosa era d’altri. La
nullità stabilita da questo articolo non si può mai opporre dal venditore».
114 Sul punto v. le osservazioni di G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN
Perlingieri, cit., p. 387 e spec. 393 s.
115 Nello stesso senso C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit.,
p. 780.
116 In argomento, cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 433 ss.,
il quale scrive che «il fondamento della tutela» concessa dalla disposizione in argomento risiede «nel “vizio del diritto” trasmesso o, meglio, nell’inesattezza giuridica dell’attribuzione
266
CAPITOLO QUARTO
tato dall’art. 1419 c.c. si porrebbe quale impropria estensione di un canone discretivo pensato per ipotesi di natura radicalmente diversa. Ne
consegue che la disponibilità del rimedio risolutorio in capo al compratore nelle fattispecie regolate dagli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. può affermarsi ogni volta in cui, in ragione dell’importanza della parziale deficienza del diritto rispetto all’interesse dell’acquirente all’esatto adempimento, conduca a ritenere che costui non avrebbe acquistato la cosa
qualora avesse conosciuto il difetto della prestazione traslativa promessa
dalla controparte117 ma non postula l’assolvimento di uno specifico onere
probatorio in ordine a tale volontà ipotetica.
Quanto fin qui si è venuto esponendo si attaglia direttamente alle
fattispecie regolate dagli articoli più volte richiamati, mentre è assai discussa l’applicabilità della disciplina in argomento qualora il compratore
della cosa parzialmente altrui fosse in mala fede al tempo della conclusione del contratto118. Infatti, in relazione a tale ipotesi, una volta decorso
inutilmente il termine per la regolarizzazione dell’attribuzione traslativa,
secondo taluni dovrebbero trovare applicazione i rimedi generali contro
l’inadempimento119, mentre in giurisprudenza è rappresentata l’opinione
secondo cui la tutela del compratore in mala fede si esaurirebbe nel diritto di ottenere il riequilibrio sinallagmatico del contratto a mezzo dell’estimatoria120; secondo altri, infine, sarebbe possibile invocare la ridutraslativa che partecipa dei caratteri comuni alla garanzia». Lo stesso Luminoso, a p. 434,
nota 252 precisa altresì come sussista concordia in dottrina nel ritenere profondamente diverse la vendita di cosa altrui e l’evizione rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 1489
c.c., in quanto nelle prime la responsabilità del venditore deriva dal mancato acquisto o dalla
perdita della proprietà in capo al compratore, mentre nella seconda quest’ultimo subisce una
mera lesione qualitativa del diritto acquistato. Nitidamente, sulla distinzione in argomento, v.
altresì Cass. 2 agosto 1975, n. 2947 e Cass. 6 dicembre 1984, n. 6401.
117 Negli stessi termini cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit.,
p. 780.
118 Con riferimento agli artt. 1478 ss. c.c., la mala fede – come già si è avuto modo di
illustrare nel corso del Capitolo 2 – deve essere intesa quale sinonimo di sussistenza, nel compratore, della convinzione che la controparte sia titolare e legittimata a disporre del diritto
compravenduto e che, quindi, sussistano i presupposti per l’immediato acquisto dello stesso
in forza dell’operare del principio del consenso traslativo. Sul punto si veda E. RUSSO, Vendita
e consenso traslativo, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2010, p. 184.
119 In tal senso, v. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 179, nota 3; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit.,
p. 782 s.; S. ROMANO, Vendita. Contratto estimatorio, in Tratt. Grosso - Santoro-Passarelli,
Firenze, 1960, p. 86. Cfr. altresì L. MENGONI, Gli acquisti “a non domino”, Milano, 1975,
p. 21 s., il quale propende per l’applicazione dell’art. 1453 c.c.
120 Cass. 29 marzo 1996, n. 2892, la quale lega indissolubilmente la risolubilità del contratto di compravendita al fatto che l’acquirente, al tempo della sua conclusione, versasse in
una situazione di ignoranza della parziale altruità della res e «possa ritenersi, secondo le cir-
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
267
zione del corrispettivo e la risoluzione del contratto secondo i medesimi
criteri sopra esposti121, ciò che costituisce la soluzione preferibile ove si
condivida l’idea che la responsabilità del venditore di cosa altrui, anche
qualora l’acquirente sia a conoscenza dell’altruità del bene, sia una speciale forma di responsabilità contrattuale per inattuazione dell’attribuzione patrimoniale traslativa122.
Ciò posto, non sembra inutile porre due interrogativi volti a precisare ulteriormente i rapporti intercorrenti fra i due rimedi che il compratore si vede riconosciuti nelle ipotesi ora in considerazione. In primo
luogo, data l’alternatività disegnata dall’art. 1480 c.c., è concesso al compratore richiedere la diminuzione del prezzo anche allorché – potendosi
ritenere che egli non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui non
è divenuto proprietario o che è stata oggetto di evizione o pur in presenza dei vizi giuridici che la caratterizzano – sussistano gli estremi che
legittimerebbero la risoluzione? In secondo luogo, quali regole sostanziali e processuali presiedono alla scelta fra la domanda di risoluzione,
quella di (esatto) adempimento e la riduzione del corrispettivo?
Partendo dal primo dei due profili, può dirsi che esso si sostanzia
nel chiedersi se la ricorrenza delle circostanze che legittimano il ricorso
alla risoluzione non si riverberi soltanto nel consentire al compratore di
chiedere e ottenere lo scioglimento del contratto, ma abbia altresì l’effetto di concentrare in esso la scelta, privandolo del rimedio estimatorio.
Così intesa, l’alternativa fra riduzione del prezzo e risoluzione non
avrebbe alcun punto di sovrapposizione, in quanto nel patrimonio del
compratore potrebbe essere presente soltanto l’uno o l’altro mezzo di tutela, in ragione dell’importanza da riconoscere all’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale, ma giammai entrambe. Una simile conclusione, peraltro, seppur possa sembrare imposta dal dettato dell’art. 1480 c.c., il
quale mette a disposizione dell’acquirente, rispettivamente, «la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno» e «una riduzione del
prezzo, oltre al risarcimento del danno», a seconda dell’esito del giudizio
di importanza dell’inadempimento, appare immotivata123. Come abcostanze, che non avrebbe acquistato il bene senza quella parte di cui è divenuto proprietario; pertanto, in mancanza dell’una o dell’altra delle predette condizioni, il compratore può
solo chiedere la riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1480 c.c.».
121 Così D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377.
122 In argomento, v. amplius A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p.
405, il quale si esprime nel senso che il fondamento della tutela del compratore in mala fede
risieda pur sempre nell’«oggettiva inattuazione dell’attribuzione traslativa (non riconducibile
né all’art. 1453 c.c. né all’art. 1463 c.c.), indipendente dalla colpa del venditore».
123 E, infatti, seppur senza che tale opzione esegetica venga supportata da motivazioni,
si pronunciano nel senso che, anche sussistendo i presupposti per la risoluzione, il compra-
268
CAPITOLO QUARTO
biamo osservato nel corso del Capitolo 2, il debole argomento letterale
appena accennato si confronta con prevalenti ragioni logico-sistematiche,
non soltanto poiché appare irragionevole negare ingresso alla richiesta
del compratore diretta a ridurre il corrispettivo sol perché «deve ritenersi, secondo le circostanze, che [egli] non avrebbe acquistato la cosa»
qualora ne avesse conosciuto la reale condizione giuridica, così sacrificando l’interesse concreto in favore di un giudizio astratto, ma soprattutto giacché la regola posta dall’art. 1480 c.c. non costituisce una restrizione della possibilità di far valere la quanti minoris, ma è il mero “negativo” del criterio volto a consentire la risoluzione soltanto nelle ipotesi di
maggiore gravità, sicché la disponibilità della riduzione del corrispettivo
per l’acquirente di beni materialmente o giuridicamente imperfetti soffre
eccezioni soltanto qualora la gravità del difetto si traduca in una totale
inesecuzione del programma contrattuale124.
Che questa sia la soluzione più corretta – e che, pertanto, anche
qualora la valutazione prescritta dalla legge conduca a ritenere che il
compratore possa provocare la risoluzione del contratto, cionondimeno
egli potrà sempre, ove lo preferisca, limitarsi a ridurre il corrispettivo
pattuito – è altresì confermato dal fatto che l’esperibilità del mezzo risolutorio è normativamente legata al solo interesse del compratore, sicché
la preclusione di quello estimatorio non può essere argomentata neppure
sulla base di un supposto contrario interesse del venditore.
Passiamo ora ad analizzare il secondo interrogativo posto poco sopra, premettendo che né l’art. 1480 c.c., né i successivi artt. 1484 e 1489
c.c. provvedono a chiarire se la proposizione dell’uno o dell’altro rimedio
spieghi effetti preclusivi sull’esperibilità dell’altro e se i medesimi possano o meno essere esercitati in regime di cumulo subordinato.
Non diversamente da quanto accade con riferimento alla “garanzia
per vizi”, la riduzione del prezzo esercitata con atto stragiudiziale produce immediati effetti modificativi del rapporto contrattuale fra le parti,
sicché essa – anche qualora venga fatta valere in ipotesi che legittimerebbero lo scioglimento del contratto – è preclusiva della presentazione di
tore possa scegliere di limitarsi a esigere la riduzione del corrispettivo, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377 e G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt.
CNN Perlingieri, cit., p. 394, testo e nota 1041.
124 Non a caso, laddove l’altruità o l’evizione riguardino la res nella sua interezza, e
non si limitino a una porzione materiale (o giuridica, secondo l’opinione che sembra prevalere: cfr. Capitolo 2) della stessa, al compratore è concessa la sola azione di risoluzione, in
quanto in capo allo stesso difetta senz’altro l’interesse al mantenimento dello scambio,
essendo il medesimo totalmente inattuato o essendo venuto meno in toto il risultato programmato.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
269
una domanda giudiziale di risoluzione, almeno in ogni caso in cui il venditore non si opponga all’esercizio del rimedio, contestandone la fondatezza125.
Qualora, invece, il compratore della cosa in parte altrui, oggetto di
parziale evizione ovvero gravata da oneri o diritti di godimento di terzi si
determini ad agire per via giudiziale, non sussistono ragioni per ritenere
che estimatoria e risoluzione si pongano in regime di concorso elettivo,
giacché la causa petendi posta a fondamento dei due mezzi di tutela –
contrariamente a quanto accade con riferimento alle azioni edilizie – è
differente, sicché è senz’altro ammissibile anche il loro esercizio in regime di cumulo subordinato126.
Contrariamente a quanto ha fatto con riferimento alle azioni edilizie,
il legislatore neppure ha dettato, per le fattispecie contemplate dagli artt.
1480, 1484 e 1489 c.c., regole relative al trattamento dell’ipotesi in cui la
restituzione della cosa oggetto del contratto sia impossibile a causa del
perimento della stessa o per altra causa, sicché è opportuno chiedersi se
tale eventualità reagisca o meno sull’esperibilità della risoluzione da parte
del compratore.
In argomento, l’unico indice normativo utile è fornito dal secondo
comma dell’art. 1479 c.c., il quale – con riferimento all’ipotesi di vendita
di bene (interamente) altrui – precisa che la risoluzione è possibile anche
qualora la cosa, nelle more fra la conclusione del contratto (o, rectius, la
consegna) e la domanda di scioglimento, sia «diminuita di valore o [si
sia] deteriorata», non ostando a ciò neppure il fatto che detti avvenimenti siano imputabili a un comportamento dell’acquirente127. Più in ge125 Qualora, invece, il venditore reagisca all’esercizio del diritto di ridurre il corrispettivo lamentando l’insussistenza dei presupposti per l’esperimento del rimedio o l’inesattezza
della misura dell’aestimatio vitii, l’acquirente potrà anche mutare i propri propositi e chiedere
la risoluzione attraverso la presentazione della domanda giudiziale. Si veda amplius supra,
par. 1.3.
126 In tal senso è orientata anche la giurisprudenza: cfr. Cass. 29 ottobre 1992, n. 11757,
resa con riferimento a un’ipotesi di vendita di un appartamento locato, secondo la quale
«l’art. 1489 c.c. […] nel regolare la garanzia per gli oneri e i diritti reali o personali gravanti
sulla cosa venduta, attribuisce al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto
o la riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480 c.c. I due rimedi, pertanto,
sono alternativi, in relazione alla diversità dei presupposti, e possono essere esperiti nello
stesso giudizio, in via, rispettivamente, principale e subordinata».
127 L’art. 1479, comma 2 c.c. detta, per tale eventualità, mere disposizioni di tipo risarcitorio, sancendo che il deterioramento o la diminuzione di valore del bene non fanno nascere in capo al venditore alcuna pretesa, salvo che queste siano cagionate dal fatto del compratore e costui ne abbia ricavato un utile: in tale ipotesi l’ammontare del risarcimento è pari
all’utile ritratto, da intendersi in senso ampio, come comprensivo non soltanto degli incrementi patrimoniali stricto sensu, ma di ogni vantaggio diretto o indiretto derivante dall’uso
270
CAPITOLO QUARTO
nerale, inoltre, come si avrà modo di argomentare approfonditamente nel
par. 3128, non sembra possa dirsi sussistente un principio generale che leghi la necessaria preclusione della risoluzione all’impossibilità della restitutio in natura del bene oggetto del contratto, sicché non è lecito dubitare che il compratore possa, in linea di principio, chiedere e ottenere lo
scioglimento del contratto anche allorché la res sia perita, ovvero sia stata
alienata o trasformata129. Peraltro, qualora l’impraticabilità della retroversione del bene dipenda da un fatto doloso o colposo dell’acquirente
ovvero, secondo taluni, sia avvenuto «un atto di consumo del bene in
senso lato»130, la via che porta allo scioglimento del rapporto contrattuale
sarebbe comunque preclusa, in tal modo introducendosi un causa di
esclusione della risoluzione di tenore non dissimile da quella un tempo
sancita dal § 351 aF BGB131, oggi non più riprodotta a seguito della
riforma dello Schuldrecht del 2002. Una simile limitazione non sembra,
però, trovare addentellati nel testo normativo, il quale – al contrario – al
comma 2 dell’art. 1479 c.c. mostra di considerare la “corruzione” dell’integrità del bene derivante da un comportamento riconducibile alla
sfera dell’acquirente quale evento legittimante mere pretese risarcitorie e
non già quale ostacolo all’esperimento dell’azione contrattuale, sicché
sembra più corretto ritenere che l’impossibilità della restitutio in integrum non privi il compratore del rimedio più radicale132. Come si avrà
modo di illustrare in maniera più approfondita nel corso del prossimo
paragrafo, infatti, la risoluzione non postula indefettibilmente la praticadel bene, ancorché consistente in una mera maggiore comodità o amenità (cfr. C.M. BIANCA,
La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 765). Tale somma, peraltro, si ritiene debba
essere detratta in via diretta dal quantum dovuto dal venditore a titolo di restituzione del
prezzo o di eventuale indennizzo.
128 Cfr. infra, il par. 3.2.
129 Nello stesso senso, con riferimento alla vendita di cosa altrui, v. C.M. BIANCA, La
vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 766 s.
130 Sono parole di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 767,
cui prestano adesione anche P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1478-79, in IID., Vendita, in
Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 177. Gli AA. citati non dubitano, invece, che la risoluzione
possa essere richiesta allorché l’impossibilità della restituzione derivi da una causa non imputabile al compratore.
131 Il cui tenore era il seguente: «Der Rücktritt ist ausgeschlossen, wenn der Berechtigte
eine wesentliche Verschlechterung, den Untergang oder die anderweitige Unmöglichkeit der Herausgabe des empfangenen Gegenstandes verschuldet hat. Der Untergang eines erheblichen Teiles steht einer wesentlichen Verschlechterung des Gegenstandes, das von dem Berechtigten nach
§ 278 zu vertretende Verschulden eines anderen steht dem eigenen Verschulden des Berechtigten gleich».
132 Sul punto, v. E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 379 s., spec. nota 153, e R.
OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del
contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 19 ss.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
271
bilità della restituzione in natura, bensì può aver luogo anche allorché
tale carattere difetti, in tal caso dandosi luogo al pagamento da parte dell’accipiens del valore della prestazione ricevuta.
3.
La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo
3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto
Nel sistema del Titolo III della Parte IV133 del codice del consumo,
la riduzione del corrispettivo costituisce un c.d. rimedio secondario o
sussidiario, il ricorso al quale presuppone non soltanto l’esistenza, nel
bene consegnato al compratore in esecuzione del contratto di vendita, di
un “difetto di conformità” rispetto alle previsioni contenute nel contratto
medesimo, ma altresì il verificarsi di eventi impeditivi della realizzazione
dei c.d. rimedi primari, consistenti nella regolarizzazione della prestazione attraverso la sostituzione o la riparazione della cosa ad opera del
venditore.
La riduzione del prezzo, infatti, al pari della risoluzione del contratto134, non può essere esercitata per il solo fatto della sussistenza di un
difetto di conformità del bene, giacché il ricorso del consumatore ai rimedi c.d. “secondari” è subordinato al verificarsi di una delle situazioni
descritte dall’art. 130, comma 7 c.cons., ovvero l’impossibilità o eccessiva
onerosità dei rimedi primari, la causazione al consumatore di “notevoli
inconvenienti” nell’effettuazione di riparazione e sostituzione o, infine,
l’eccessivo ritardo del venditore nel provvedere a queste ultime135.
133 Si
fa riferimento al Titolo III nella sua interezza, senza l’indicazione del Capo, giacché sembra del tutto superflua la creazione di un Capo autonomo laddove si consideri che
esso esaurisce il contenuto dell’intero Titolo III: lo ha notato, già in sede di primo commento
all’allora recentemente approvato d.lgs. n. 206 del 2005, G. DE CRISTOFARO, Il «Codice del
consumo», in Nuove l. civ. comm., 2006, p. 798, nt. 136.
134 Invero, la qualificazione giuridica del mezzo di tutela volto a porre nel nulla lo
scambio non è pienamente coincidente nelle varie versioni linguistiche della direttiva
1999/44/CE, giacché, a fianco della «risoluzione del contratto» e della résolution du contrat
delle versioni in lingua italiana e francese, si pongono l’opzione per la «Vertragsauflösung»
operata dal testo tedesco, maggiormente vicina all’idea della descrizione dello scioglimento
del contratto quale vicenda effettuale piuttosto che quale strumento per ottenerla, e quella
per la rescission of contract del testo inglese, anch’essa volta a designare il fenomeno di “unmaking of a contract” e non tanto a qualificare il mezzo che consente di pervenirvi.
135 Cfr. S. JANSEN, Price reduction as a remedy in European contract law and the consumer acquis, in A.L.M. KEIRSE - M.B.M. LOOS, Alternative ways to Ius Commune. The Europeanisation of private law, Cambridge-Antwerp-Portland, 2012, p. 175.
272
CAPITOLO QUARTO
Come più volte si è avuto modo di osservare, l’opzione di fondo accolta dalla direttiva 1999/44/CE sul versante dei mezzi di tutela è la medesima che già ha ispirato la Convenzione di Vienna del 1980136, l’una e
l’altra attribuendo espressamente al compratore il diritto di ottenere la
correzione o la sostituzione del risultato traslativo prodottosi in maniera
difforme da quanto disegnato nel programma negoziale, all’uopo concedendo i rimedi della riparazione e sostituzione del bene difettoso (art. 3,
comma 2 della direttiva e, nell’ordinamento italiano, art. 130, comma 2
c.cons.)137. Contrariamente a quanto previsto dalla CISG138, però, il provvedimento normativo europeo (all’art. 3, commi 3 e 5) «sottrae all’acquirente il diritto di scelta del rimedio esperibile, per introdurre una
graduazione gerarchica che privilegia il ripristino della conformità (riparazione/sostituzione) e, solo nel caso in cui si riveli impossibile, sproporzionato, o risulti inadempiuto dal venditore entro un termine ragionevole
o senza notevoli inconvenienti, consente al consumatore il ricorso alla tu136 Ampiamente, sull’iter storico che ha condotto all’assetto posto a base della Convenzione di Vienna e, successivamente, della direttiva 1999/44/CE, v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo,
Napoli, 2007, p. 213 ss. Cfr. altresì F. RAGNO, Convenzione di Vienna e diritto europeo, Padova, 2008, p. 236 ss., la quale analizza la funzione di modello svolta dalla CISG nell’elaborazione della direttiva in materia di vendite di beni di consumo.
137 In argomento v., di recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 514 ss. Sull’influenza della Convenzione di Vienna riguardo all’opzione in argomento, cfr. altresì, fra i primi contributi apparsi nella nostra letteratura, A. RENDA, Prime annotazioni in merito alla imminente direttiva sulle garanzie contrattuali: una occasione mancata?, in Dir. consumi, 1997, p. 565; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e
diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 8 ss.; A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine
al d.legisl. n. 24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 11; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella
vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2002, p. 1 ss.; D. CORAPI, La direttiva
99/44/CE e la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale: verso un nuovo diritto comune della vendita?, in Europa dir. priv., 2002, p. 655 s.; F. ADDIS, Tradizione e innovazione
nella vendita di beni di consumo: unità e frammentazione nel sistema delle garanzie, in Giust.
civ., 2004, II, p. 324 ss. Secondo S. TROIANO, The CISG’s Impact on Eu Legislation, in F. FERRARI, The CISG and its Impact on National Systems, München, 2009, p. 348, la direttiva
1999/44/CE può essere vista come una sorta di “cavallo di Troia” attraverso il quale è avvenuta la diffusione nel diritto contrattuale europeo dei principi e delle regole della CISG in
materia di difetti di conformità dei beni compravenduti.
138 Deve essere sottolineato come la diversità di cui si sta per dire nel testo non si limiti
al confronto con la Convenzione di Vienna, ma segni una discontinuità pure nei confronti
della Proposta di direttiva del 18 giugno 1996, sicché appare legittima la conclusione di G.
AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 902, il quale
intravvede nella scelta finale compiuta dalle istituzioni comunitarie il «punto di emersione»
delle antinomie tra interessi del mercato alla manutenzione del contratto (e perciò alla conservazione dell’operazione economica) ed esigenze individuali di riappropriazione della libertà di scelta.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
273
tela risolutoria o la richiesta di riduzione del prezzo»139. In ragione di tale
gerarchizzazione dei mezzi di tutela, la libertà del compratore in ordine
alla scelta del rimedio più confacente risulta significativamente compressa
in favore dell’affermazione della primazia della tecnica rimediale diretta al
ripristino della conformità. La gerarchia imposta all’ordine dei rimedi, infatti, risulta essere rigida140 e non consente deroghe per iniziativa unilaterale del compratore141, sicché il ricorso immediato alle tutele secondarie è
possibile soltanto ove sussista il consenso del venditore.
Pertanto, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto debbono essere considerati a pieno titolo quali rimedi sussidiari142, il cui
esperimento non può costituire l’immediata scelta del compratore, essendo condizionato al verificarsi delle ipotesi di esclusione dei rimedi riconducibili all’esatto adempimento previste al comma 5 dell’art. 3, dir.
1999/44/CE. Siffatta previsione del legislatore comunitario è stata fatta
oggetto di copiose critiche da parte della dottrina143, che ne ha messo in
139 Le parole fra virgolette sono di G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., p. 902.
140 In questo senso si esprime la dottrina largamente maggioritaria: cfr., ad esempio, A.
LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 359 s.; D. STAUDENMAYER, Die EG-Richtlinie über den
Verbrauchsgüterkauf, in NJW, 1999, p. 2395; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN
Perlingieri, cit., p. 515, il quale propone una lettura del comma 7 dell’art. 130 c.cons. funzionale a limitare tale rigidità, di cui si dirà infra.
141 In termini di «inderogabil[ità] in pregiudizio del venditore, che non può vedere
mutato l’ordine di esercizio dei rimedi per iniziativa unilaterale del compratore» si esprime,
infatti, A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 583.
142 Cfr. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 133, il quale sottolinea come il testo legislativo comunitario contenga l’affermazione di una primazia della «regolarizzazione del bene rispetto alle tecniche di tipo [ri]solutorio o modificative del rapporto,
realizzata attraverso l’adozione di un sistema rimediale in cui lo scioglimento del vincolo e la
riduzione del prezzo sono subordinati all’impossibilità [variamente articolata] di conseguire
la prestazione contrattualmente dovuta»; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali.
II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, cit., p. 247 ss., il quale dedica
però (p. 284 ss.) più di un tentativo ricostruttivo al fine di “scardinare” l’ordine gerarchico,
al fine di renderlo maggiormente confacente all’interesse del contraente debole; A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Mercati regolati, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti, Milano, 2014, p. 250. Nella manualistica tedesca, v. ad esempio D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, Köln-München, 2009, Rn. 396, i
quali scrivono che «der Verkäufer erhält eine “zweite Chance”, ordnungsgemäß zu erfullen»
sicché viene a crearsi «ein zweistufiges Rechtsbehelfssystem», e D. MEDICUS - S. LORENZ,
Schuldrecht II. Besonderer Teil, 15. Aufl., München, 2010, p. 43 ss., ove si fa esplicito riferimento alla sussistenza di un «“Recht” des Käufers zur zweiten Andienung».
143 Si vedano, ad esempio, A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine al D.Lgs. n.
24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt.
Galgano, cit., p. 35 ss.; L. GAROFALO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E.
MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p.
391 ss., il quale ritiene che «rapportato alla compravendita il doppio grado di tutela rappre-
274
CAPITOLO QUARTO
dubbio la rispondenza al fine della tutela del consumatore144, ritenendo
preferibile la diversa strada consistente nell’offrire a costui la più libera
scelta di avvalersi dell’uno o dell’altro rimedio, senza alcun “onere” di
preventivo ricorso a quelli primari145. Al di là delle possibili valutazioni in
sent[i] un vero e proprio regresso», peraltro controbilanciato dalla concessione del diritto al
ripristino della conformità del bene al contratto, «riconosciuto a favore dell’acquirente non
consumatore unicamente da una corrente dottrinale, che, per quanto autorevole, è praticamente ignorata dalla giurisprudenza di legittimità»; M. BIN, Per un dialogo con il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni nella vendita
alla luce della disciplina comunitaria, in Contr. e impr. Europa, 2000, p. 406 ss.; F. MACARIO,
Brevi considerazioni sull’attuazione della direttiva in tema di garanzie nella vendita di beni di
consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 150 ss.; R. CALVO, L’attuazione della direttiva n. 44
del 1999: una chance per la revisione in senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi
nella vendita, in Contr. e impr. Europa, 2000, p. 467 ss., ove si legge non potersi escludere
«che la nuova disciplina sulle garanzie legali, sostanzialmente ispirata al favor contractus, generi addirittura l’effetto di porre in corto circuito l’esigenza di tutela della parte debole là
dove, di fatto, la natura del vizio – pur astrattamente emendabile – abbia distrutto l’affidamento riposto dal comune contraente sulle capacità professionali del produttore o del rivenditore»; M.G. FALZONE CALVISI, Garanzie legali nella vendita: quale riforma?, in Contratto e
impr. Europa, 2000, p. 448 la quale stigmatizza la tendenza a celare la natura strumentale dei
provvedimenti di tutela del consumatore rispetto al reale scopo di promozione degli scambi
e del mercato interno.
144 Tale critica non è condivisa da Corte giust. UE, 16 giugno 2011, cause riunite C65/09 e C-97/09, I. Putz e Gebr. Weber GmbH, ad avviso della quale «la direttiva privilegia,
nell’interesse di entrambe le parti del contratto, l’esecuzione di quest’ultimo mediante i rimedi
previsti in primis, rispetto all’annullamento del contratto o alla riduzione del prezzo di vendita» (corsivo nostro). Sui contenuti di tale pronuncia ritorneremo poco infra nel testo.
145 Nel senso, condiviso da autorevoli commentatori germanici (C.W. CANARIS, Die Nacherfüllung durch Lieferung einer mangelfreien Sache beim Stückkauf, in JZ, 2003, p. 831 ss.;
ID., L’attuazione in Germania della direttiva concernente la vendita di beni di consumo, in
AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, cit., p.
242, ove l’illustre A. evidenzia la corrispondenza a quanto previsto dalla disciplina del BGB
in tema di appalto della previsione dell’allora introducendo § 323 nF BGB ai sensi del quale
la possibilità per il compratore di esercitare il Rücktritt è subordinata alla concessione e alla
scadenza di un idoneo termine fissato al venditore per l’esatto adempimento; nella manualistica, v. altresì D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 43 ss.), secondo
cui le indubbie criticità evidenziate con riferimento alla graduazione gerarchica dei rimedi
possono essere almeno parzialmente stemperate cfr., peraltro, G. DE CRISTOFARO, La vendita
di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1035, ad avviso del quale, da un canto, la concessione al professionista di una seconda possibilità per regolarizzare la prestazione inesatta, implicita nell’esperimento dei rimedi primari, non comporta un significativo peggioramento della posizione del consumatore, ponendosi addirittura in tendenziale coerenza con la regola adottata
dal nostro legislatore in tema di risoluzione stragiudiziale del contratto a seguito di diffida ad
adempiere (art. 1454 c.c.) e, dall’altro, gli effetti negativi derivanti dalla preclusione dell’esercizio immediato della risoluzione e della riduzione del prezzo possono essere limitati attraverso un’adeguata interpretazione estensiva delle ipotesi in presenza delle quali il consumatore può esperire direttamente tali mezzi di tutela.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
275
ordine all’opportunità della scelta operata, in questa sede è necessario
stabilire se e a quali condizioni tale gerarchizzazione degli strumenti di
tutela consenta la realizzazione della volontà del consumatore di avvalersi
[della risoluzione del contratto oppure, ciò che più interessa ai nostri
fini,] della riduzione del prezzo.
In proposito, la lettera della legge sembra restringere grandemente
gli “spazi di manovra” del compratore il quale non intenda offrire una
seconda chance per l’esatto adempimento al professionista146, giacché il
ricorso ai rimedi sussidiari è condizionato principalmente all’oggettiva
impossibilità o all’eccessiva onerosità147 delle tutele ripristinatorie148 della
146 Riallacciandoci
a quanto già affermato nel Capitolo 3, ribadiamo in questa sede
come il diritto del consumatore al ripristino della conformità – sostanzialmente riconducibile,
in ragione della gerarchia rimediale di cui si è detto, all’offerta di una seconda opportunità di
adempimento – consista soltanto nel diritto di pretendere la consegna di un bene riparato o
di un rimpiazzo e non già nel diritto ad una somma di denaro di importo corrispondente alle
spese personalmente e direttamente sostenute dal compratore per la riparazione o la sostituzione (così anche A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 595 s. e, per
quanto riguarda la sostituzione, R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p.
210 ss.). Invero, posto che il pagamento della somma di denaro in discorso non può costituire
oggetto immediato della pretesa del compratore – il quale ha soltanto titolo per pretendere
che la controparte provveda in proprio al ripristino –, è indubbio che, in caso di inadempimento del professionista, il consumatore neppure possa attivare l’esecuzione in forma specifica ex art. 2930 c.c. onde ottenere la sostituzione mediante la consegna del bene sostitutivo,
giacché (a tacer d’altro) tale procedimento presuppone l’esistenza di un obbligo relativo a
beni specifici e determinati (C. MANDRIOLI, voce Esecuzione per consegna o rilascio, in Dig.
disc. priv. - sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 619 ss.; S. SATTA, L’esecuzione forzata, Milano, 1964,
p. 14), e non (come è tipico delle vendite di beni di consumo) definito soltanto dalla sua appartenenza a un genus (nello stesso senso, G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallgmatiche, cit., p. 897), e del diritto dell’esecutante sui ben stessi, mentre nel caso di sostituzione il diritto del compratore sul rimpiazzo nasce a seguito della traditio (R. CAMPIONE, La
sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 212 s. e A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt.
Cicu - Messineo, cit., p. 592 s.). La dottrina è pure incerta circa la percorribilità della strada
offerta dall’art. 2931 c.c. onde ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di riparazione: sul punto, con varietà d’accenti, v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo,
cit., p. 592; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 86; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli,
cit., p. 442; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro Zaccaria,
Padova, 2013, p. 847.
147 L’onere di dimostrare l’impossibilità o l’eccessiva onerosità del rimedio si ritiene
gravi sul venditore; cfr. per tutti R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p.
149 nota 55. Peraltro, qualora sia costui a richiedere la seconda chance di adempimento e il
consumatore manifesti la volontà di paralizzarne l’inziativa adducendo l’impossibilità o l’eccessiva onerosità di riparazione o sostituzione onde risolvere il contratto o diminuire il corrispettivo, parrebbe potersi concludere che la prova debba essere fornita da quest’ultimo, in
aderenza al principio di cui all’art. 2697 c.c.
148 Il termine utilizzato nel testo va inteso nella sua mera valenza descrittiva, in quanto
la questione inerente alla natura giuridica da riconoscere ai rimedi primari non è oggetto
276
CAPITOLO QUARTO
conformità del bene (art. 130, comma 3, c.cons.). Tale limite, peraltro,
non soltanto attiene alla possibilità di ricorrere in via immediata ai mezzi
di tutela sussidiari, ma opera ancor prima in relazione alla libertà di
scelta fra riparazione e sostituzione del bene149, giacché il rimedio azionato deve sempre possedere il carattere della possibilità e non eccessiva
onerosità150.
L’impossibilità del rimedio deve essere intesa – in maniera aderente
al dettato della disposizione di recepimento – in modo oggettivo151, sicd’esame nella presente trattazione. In argomento, sono state assunte posizioni notevolmente
variegate, taluni ritenendo che gli stessi abbiano qualità di azioni di esatto adempimento (cfr.
P. SCHLESINGER, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Corr. giur., 2002, p. 562; E.
CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Scialoja - Branca,
Bologna-Roma, 2005, p. 109 ss.; C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, p. 232 ss.; in termini di «diritto del compratore a pretendere l’adempimento correttivo (successivo)», v. inoltre A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 595), altri indentificandoli con altrettante misure di tutela ripristinatoria o restitutoria (v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo. Commentario,
Padova, 2006, p. 181 s.), altri ancora con una «garanzia in forza specifica del risultato atteso
dal compratore» (A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie
dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, p. 549), altri infine quali strumenti di risarcimento del
danno in forma specifica (C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006,
p. 814).
149 Contrariamente alla Convenzione di Vienna del 1980 (art. 46, comma 2: «Se le
merci non sono conformi al contratto, l’acquirente non può esigere dal venditore la consegna
di altre merci in sostituzione a meno che il difetto di conformità costituisca un’inosservanza
essenziale del contratto e che tale consegna sia richiesta al momento della denuncia del difetto di conformità, effettuata ai sensi dell’art. 39 o entro un termine ragionevole a decorrere
da tale denuncia»), la direttiva 1999/44/CE non prevede il limite al diritto di domandare la
sostituzione del bene consistente nell’essenzialità dell’inadempimento. Su questa diversità, v.
A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 75.
150 La diversità di cui si è riferito nella nota precedente potrebbe, peraltro, essere di
molto circoscritta ove si noti come la richiesta di sostituzione avanzata a fronte di un difetto
di conformità di scarsa importanza costituisca, nella maggior parte dei casi, una pretesa da reputare «eccessivamente onerosa» rispetto alla riparazione: così, ad esempio, sono orientati
G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e
delle garanzie dei beni di consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 75, G. DE CRISTOFARO,
Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 208 e M. RÖCKEN, Das neue
Schuldrecht, Köln, 2002, p. 500.
151 Ad avviso di R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 253, la
nozione di impossibilità rilevante ai fini in discorso deve essere ricavata dall’esegesi dell’art.
1218 c.c. Sul carattere oggettivo dell’impossibilità v., altresì, A. LUMINOSO, La compravendita,
in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 587, il quale ritiene che l’impossibilità della sostituzione si
identifichi con l’infungibilità del bene oggetto del contratto e quella della riparazione con
l’oggettiva inesistenza di metodi atti ad eliminare il difetto, e A. DE FRANCESCHI, I rimedi del
consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Mercati regolati, in Tratt.
contratti Roppo - Benedetti, cit., p. 245. Con riferimento alla direttiva, cfr. D. STAUDENMAYER,
Die EG-Richtlinie über den Verbrauchersgüterkauf, cit., p. 2395, nonché A. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita dal codice civile alla direttiva
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
277
ché al venditore che non sia personalmente in grado di procedere all’effettuazione della riparazione o della sostituzione non è consentito sottrarsi alla pretesa adducendo un’inidoneità di carattere meramente soggettivo, essendo piuttosto costui gravato dell’onere di rivolgersi a terzi
per ottenere il risultato richiesto dal consumatore. Benché oggettiva,
l’impossibilità richiesta dalla disposizione de qua non può, però, essere
intesa anche come assoluta, giacché essa deve essere parametrata alla
condizione del professionista medio che operi nel contesto commerciale
che caratterizza il venditore152, potendosi senz’altro affermare la rilevanza
delle difficoltà tecniche e organizzative le quali esorbitino dalla normale
competenza e dai mezzi usualmente a disposizione.
Nella medesima accezione oggettiva153 deve essere parimenti inteso
il requisito di eccessiva onerosità154 del rimedio, il quale si sostanzia nell’imposizione al venditore medio, a cagione dell’opzione del consumatore
per uno dei mezzi di tutela disponibili, di costi «notevolmente più elevati, e non dunque semplicemente maggiori, di quelli indispensabili per
eseguire la tecnica […] alternativa»155. L’eccessiva onerosità costituisce,
1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 859 s., ove si ritiene possa rilevare anche l’inesigibilità. Rileva come, nel definire come “oggettiva” l’impossibilità rilevante ai fini in argomento,
il legislatore italiano abbia precisato un carattere della stessa che non risultava dal testo dell’art. 3, comma 3 della dir. 1999/44/CE, R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita,
cit., p. 149.
152 Così F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm.
Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 436 e R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, cit., p. 253, il quale si pronuncia nel senso che «il venditore non può essere ex post tenuto alla riparazione gratuita nell’ipotesi in cui [il consumatore] richieda un impegno inesigibile, giacché mette sottosopra l’equilibrio negoziale voluto ex ante dalle parti».
153 In questo senso depone chiaramente l’undicesimo Considerando della direttiva
1999/44/CE, laddove si esplicita come il procedimento che presiede alla qualificazione come
«sproporzionato» (la direttiva, infatti, si esprime in termini di «sproporzione» e non già di
«eccessiva onerosità», locuzione di conio del nostro legislatore nazionale sostanzialmente
equivalente a quella utilizzata dal provvedimento europeo: v. A. LUMINOSO, La riparazione e la
sostituzione del bene, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita dei beni di consumo,
cit., p. 394) di un rimedio deve essere operato «obiettivamente»: così anche A. LUMINOSO, La
compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 587.
154 Si ritiene che il venditore, ove richiesto dell’esecuzione di un esatto adempimento
secondo una modalità eccessivamente onerosa rispetto all’altra possibile, abbia il diritto di rifiutare di procedervi: G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 210.
155 R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 152, il quale mette altresì
in luce come il giudizio di eccessiva onerosità sia funzionale a «delimitare gli oneri economici
incombenti sull’alienante in séguito alla richiesta di regolarizzazione del bene, tramite la predisposizione di un sistema atto ad evitare che il consumatore abusi dei propri diritti, azionando una modalità di ripristino della conformità quando l’altra permetta di conseguire il
medesimo risultato a costi significativamente minori».
278
CAPITOLO QUARTO
pertanto, un requisito da interpretare in senso eminentemente relativo,
risultando da un giudizio volto a comparare le conseguenze economiche
derivanti dall’esecuzione dell’uno o dell’altro rimedio con quelle che
conseguono all’esperimento dell’altro mezzo di tutela, al fine di verificare
se l’uno comporti costi notevolmente maggiori e pertanto sproporzionati
rispetto all’altro156, tenendo conto degli elementi descritti dal quarto
comma dell’art. 130 c.cons.
Stanti così le cose, onde identificare l’ampiezza della facoltà di ricorso ai rimedi del second’ordine, risulta di cardinale importanza chiarire se – come tende a ritenere parte autorevole della nostra letteratura157
– il giudizio comparativo imperniato sulla “sproporzione” delle conseguenze economiche derivanti in capo al venditore abbracci tutti i rimedi
che la direttiva mette a disposizione del compratore, oppure al contrario
– come suggerito da altra parte degli interpreti158 – si sostanzi in un raf156 In
questo senso, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 250
ss.; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p.
852; A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 363; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al
contratto e diritti del consumatore, cit., p. 208.
157 Si veda, da ultimo, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 588.
Una simile esegesi, in sede di commento alla direttiva, era stata avanzata anche da G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 207 e W. FABER,
Zur Richtlinie bezüglich Verbrauchsgüterkauf und Garantien für Verbrauchsgüter, in JBL, 1999,
p. 428 i quali svalutavano l’espressione «in confronto all’altro rimedio» (posta invece dalla
Corte di Giustizia a base della propria decisione sul tema de quo, di cui si dirà fra poco nel
testo) sulla base dell’argomentazione secondo cui, limitando la comparazione a ciascun ordine di mezzi di tutela, la sostituzione non avrebbe mai potuto essere considerata sproporzionata ogni qual volta la riparazione fosse nel caso di specie non possibile, e viceversa, con
notevole irrigidimento dell’apparato rimediale. Nel senso che il giudizio di eccessiva onerosità si debba articolare in due fasi successive – l’una relativa alla comparazione dei costi che
il venditore dovrebbe affrontare per procedere alla sostituzione o alla riparazione con quelli
che sarebbero a suo carico in caso di risoluzione o riduzione del prezzo, l’altra riguardante la
verifica dei costi di ciascun rimedio primario rispetto all’altro – v. anche A. NICOLUSSI, Diritto
europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., p. 550. Si pronuncia in
senso favorevole al confronto non soltanto fra rimedi primari, ma riguardo a tutti i mezzi di
tutela, di recente, anche E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni di consumo, Milano, 2010, p. 384 ss.
158 Nel senso che la valutazione dell’eccessiva onerosità debba essere condotta attraverso la commisurazione rispetto al rimedio appartenente allo stesso grado gerarchico, cfr.
STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 439, 14. Aufl., Berlin, 2004, Rn. 41; G. D’AMICO,
La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 507; A. DI MAJO, Garanzia e
inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 9 s.; ID., Il sistema dei rimedi: risoluzione del contratto, riduzione del prezzo e pretesa risarcitoria, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria
di Alberto Trabucchi. Padova 14.15 settembre 2001, cit., p. 90, ove si valorizza lo stesso dato
testuale della direttiva 1999/44/CE che si vedrà essere posto a base della decisione della
Corte di Giustizia UE cui si farà riferimento poco infra nel testo, ossia la relatività del giudi-
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
279
fronto limitato ai mezzi rivolti a procurare l’adempimento successivo dell’obbligazione di conformità, cosicché, da un canto, anche la mera possibilità di esecuzione di uno soltanto di questi opererebbe quale automatica “concentrazione” della scelta del consumatore su tale mezzo di tutela
e, dall’altro, soltanto la contestuale impossibilità159 sia della sostituzione
sia della riparazione160 potrebbe dare adito – già in prima battuta – all’esercizio della riduzione del prezzo e della risoluzione.
zio di sproporzione del rimedio, che l’art. 3, n. 3 afferma debba essere condotto con riferimento all’altro rimedio, e non in generale; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite al consumo, cit., p. 251, il quale fa leva sull’eterogeneità dei rimedi appartenenti alle due differenti categorie, ciò che però non pare costituire, di per sé, una ragione sufficiente a giustificare l’opzione interpretativa così operata, in
quanto la diversa natura dei mezzi di tutela del compratore offerti dalla direttiva non osta ex
se alla comparazione dell’onerosità di ciascuno di essi rispetto agli altri (ma v. anche L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 399 ss., secondo cui il concetto di onerosità potrebbe attagliarsi soltanto alla valutazione relativa di
“prestazioni”, quali sono riparazione e sostituzione del bene, e non già a diritti potestativi,
come invece debbono essere configurati la riduzione del corrispettivo e la risoluzione del
contratto; sennonché, sembra di poter obiettare come la comparazione avuta di mira dal legislatore comunitario riguardi non già il rimedio in sé quanto le sue conseguenze economiche, la cui valutazione prescinde dalla natura giuridica della situazione soggettiva azionata).
159 L’impossibilità dell’esecuzione della riparazione ovvero della sostituzione avrà, normalmente, carattere materiale, ma non può escludersi la rilevanza di quella avente natura giuridica (così F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, cit., p. 436).
160 La sostituzione, in particolare, potrà senz’altro dirsi impossibile allorché il bene oggetto dello scambio abbia carattere infungibile (per tutti, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La
vendita di beni di consumo, cit., p. 77 e W. FABER, Handbuch zum neuen Gewärleistungsrecht,
Wien, 2001, p. 121 s.), ciò che rende di particolare problematicità il trattamento dell’ipotesi
in discorso riguardo alla compravendita di beni usati. Al riguardo sembra potersi concordare
con C.W. CANARIS, L’attuazione in Germania della direttiva concernente la vendita di beni di
consumo, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001,
cit., p. 241, il quale avverte come il tenore del sedicesimo Considerando della direttiva (a
mente del quale «la particolare natura dei beni usati ne rende generalmente impossibile la sostituzione» – corsivo nostro) non escluda in radice la facoltà del consumatore di richiedere la
sostituzione di un bene usato, costituendo l’uso pregresso del bene null’altro che un’ulteriore
caratteristica dello stesso, da considerare nella scelta del bene sostitutivo (così M. DI PIETROPAOLO, sub art. 1519-bis, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 129 s.). Peraltro, allorché il
bene difettoso sia contraddistinto nella sua unicità proprio dall’uso pregresso che ne sia stato
fatto (si pensi, ad esempio, alla Fender Stratocaster “Blackie” appartenuta a Eric Clapton o
alla Mercedes 300 SL di Herbert von Karajan), la sostituzione sarà di regola impossibile. Ove
il bene sia fungibile, invece, deve concordarsi con la dottrina maggioritaria circa l’irrilevanza
della sua deduzione in contratto quale cosa generica o specifica (esattamente in questo senso,
G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 203 s. e
R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 247 s., il quale ultimo, però, ritiene che la fungibilità del bene debba essere valutata alla stregua di un criterio soggettivo, ri-
280
CAPITOLO QUARTO
Riguardo a questo punto si è espressa, pochi anni or sono, la Corte
di giustizia UE161, la quale è stata chiamata a pronunciarsi su due vicende
processuali originatesi in Germania e relative a beni rivelatisi difettosi e
non riparabili dopo essere stati installati162, con riferimento alle quali i
chiamando la scelta operata dal legislatore tedesco con il nuovo § 439 BGB, laddove non ha
trovato ingresso la limitazione della Nacherfüllung mediante Lieferung einer mangelfreien
Sache ai soli casi di fungibilità dell’oggetto compravenduto).
La riparazione, invece, è intrinsecamente impossibile allorché nessuna prestazione di
facere possa ripristinare la conformità del bene di consumo consegnato (mutuiamo la definizione da G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p.
204), nonché nelle ipotesi in cui essa non possa radicalmente essere realizzata nei termini e
con le modalità previste (i.e.: senza arrecare notevoli inconvenienti al consumatore e nell’arco
di un congruo periodo di tempo dalla richiesta: art. 130, comma 5 c.cons.).
161 Cfr. Corte giust. UE, 16 giugno 2011, cause riunite C-65/09 e C-97/09, I. Putz e
Gebr. Weber GmbH, la quale ha ritenuto contrastare con l’art. 3, n. 3 della direttiva
1999/44/CE la normativa nazionale che «attribuisca al venditore il diritto di rifiutare la sostituzione di un bene non conforme, unico rimedio possibile, in quanto essa gli impone, in ragione dell’obbligo di procedere alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato
e di installarvi il bene sostitutivo, costi sproporzionati tenendo conto del valore che il bene
avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto di conformità». Sulla sentenza in discorso
si vedano, ex plurimis, K. SEIN - P. KALAMEES, Recoverability of Removal and Installation Costs
in Case of Defective Consumer Goods: How Would the Weber and Putz Case Be Solved under
Common European Sales Law?, in GPR, 2011, p. 289 ss.; S. LORENZ, Ein- und Ausbauverpflichtung des Verkäufers bei der kaufrechtlichen Nacherfüllung. Ein Paukenschlag aus Luxemburg
und seine Folgen, in NJW, 2011, p. 2241 ss.; C. EISENBERG, Aktuelle Entwicklungen zum
Nacherfüllungsanspruch im Kaufrecht - bahnbrechende Entscheidungen von EuGH und BGH,
in BB, 2011, p. 2634 ss.; H. SCHULTE-NÖLKE, Der EuGH gestaltet das Kaufrecht radikal um, in
ZGS, 2011, p. 289 ss.; D. KAISER, EuGH zum Austausch mangelhafter eingebauter Verbrauchsgüter, in JZ, 2011, p. 978; F. MAULTZSCH, Der Umfang des Nacherfüllungsanspruchs gemäß
Art. 3 VerbrGK-RL, Anmerkung zum Urteil des EuGH v. 16.6.2011 - verb. Rs. C-65/09 (Gebr.
Weber GmbH/Wittmer) und C-87/09 (Putz/Medianess Electronics GmbH), in GPR, 2011, p.
235 ss.; J. LUZAK, Who should bear the risk of the removal of the non-conforming goods?, in
EuVR, 2012, p. 35 ss.; C. D’ANGELO, La gratuità del rimedio specifico della sostituzione nella
disciplina della vendita di beni di consumo: nota a Corte di Giustizia 16 giugno 2011, cause riunite C-65/09 e C-87/09, in www.comparazionedirittocivile.it, s.d.; A. JOHNSTON - H. UNBERATH,
Joined Cases C-65/09 & C-87/09, Gebr. Weber GmbH v. Jürgen Wittmer and Ingrid Putz v.
Medianess Electronics GmbH, Judgment of the Court of Justice (First Chamber) of 16 June
2011, in CMLR, 2012, p. 793 ss.; S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The Weber-Putz Case-Law
- From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V. COLAERT,
Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, Cambridge-Antwerp-Portland, 2013, p. 725 ss.; M. FORNASIER, Kaufrecht: Nacherfüllungsanspruch auf Aus- und Einbau
nur bei Verbrauchsgüterkauf, in EuZW, 2013, p. 159; S. SZALAI - M. HOFMANN, Keine einheitliche (richtlinienkonforme) Auslegung des Kaufrechts, in VuR, 2013, p. 102 ss. (nota a BGH
17 ottobre 2012, VIII ZR 226/11, in NJW 2013, p. 220 ss., la quale ha escluso l’applicabilità
del principio sancito dalla Corte di Giustizia alle vendite concluse fra imprenditori e fra consumatori).
162 In particolare, il procedimento Gebr. Weber GmbH concerneva la vendita di una
partita di piastrelle le quali, a seguito della posa, si erano rivelate di lucidità e tono di colore
non uniforme, sicché il consumatore era stato indotto a richiederne la sostituzione (essendo
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
281
giudici rimettenti hanno chiesto alla Corte di Lussemburgo di chiarire se
il venditore, in primo luogo, possa rifiutare l’esecuzione del rimedio preteso dal consumatore, qualora esso gli imponga costi irragionevoli (“assolutamente sproporzionati”) tenendo conto del valore che il bene
avrebbe se non vi fosse difetto di conformità e dell’entità del difetto di
conformità e, in secondo luogo, debba o meno farsi carico delle spese di
rimozione del bene non conforme e di installazione di quello offerto in
sostituzione.
Con un dictum che ha incontrato copiose critiche, soprattutto nella
dottrina tedesca163, la Corte di giustizia ha ritenuto, in primo luogo, che,
qualora si interpretasse l’art. 3 della direttiva nel senso che questa non
obbliga il venditore a farsi carico della rimozione del bene non conforme
e dell’installazione del bene sostitutivo164, si avrebbe la conseguenza che
il consumatore – per poter esercitare i diritti attribuitigli da tale articolo
– dovrebbe sopportare tali spese aggiuntive derivanti dalla consegna, da
parte del venditore, di un bene non conforme, ciò che si porrebbe in
contrasto con il precetto di immunità da spese del ripristino della conformità sancito dall’art. 3, n. 3 della dir. 1999/44/CE165. Ma ciò che più imimpossibile la riparazione) e il rimborso delle spese di rimozione, mentre la causa innescata
dalla signora Ingrid Putz riguardava la vendita di un elettrodomestico da incasso che, dopo
essere stata installato, era risultato malfunzionante e impossibile da riparare: la Medianess
Electronics GmbH aveva offerto la sostituzione del bene ma la signora Putz aveva preteso altresì la rimozione della res difettosa e l’installazione di quella sostitutiva o, in alternativa, il
rimborso delle relative spese.
163 L’atteggiamento critico nei confronti delle conclusioni cui è giunta la Corte di giustizia UE è evidente nella maggior parte dei contributi citati alla nota 161; un giudizio globale
in tal senso si può ritrovare in S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The Weber-Putz Case-Law From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V. COLAERT, Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, cit., p. 727, il quale scrive appunto che «the ECJ’s decision […] has almost unanimously been criticized by German literature, in part very harshly (less so in other countris)».
164 È appena il caso di notare come, anteriormente alla sentenza in argomento, dottrina
e giurisprudenza germaniche fossero pacificamente orientate nel senso che sia i costi relativi
alla rimozione del bene difettoso sia quelli di installazione della cosa sostitutiva potessero essere oggetto di rifusione da parte del venditore soltanto in forza di una domanda risarcitoria,
fondata sulla colpa di quest’ultimo e non già sull’oggettiva mancanza di conformità dell’oggetto del contratto di vendita. Cfr. in proposito S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The WeberPutz Case-Law - From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V.
COLAERT, Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, cit., p. 727 s.
165 Ad avviso del Collegio, peraltro, indici in senso contrario non potrebbero essere dedotti neppure dall’uso del termine “Ersatzlieferung”, il quale in ipotesi – nel descrivere la prestazione cui è tenuto il venditore – farebbe riferimento alla sola consegna del bene sostitutivo
e non già ad ulteriori operazioni anteriori o posteriori, quali la rimozione del bene viziato e
l’installazione di quello nuovo: infatti, «per quanto riguarda il termine “sostituzione”, si deve
rilevare che la sua esatta portata varia nelle diverse versioni linguistiche. Mentre in alcune di
282
CAPITOLO QUARTO
porta ai nostri fini è che con il punto 71 della sentenza I. Putz e Gebr.
Weber GmbH è stata definitivamente avvalorata la tesi secondo la quale
il legislatore dell’Unione avrebbe «inteso attribuire al venditore il diritto
di rifiutare la riparazione o la sostituzione del bene difettoso unicamente
in caso di impossibilità o di sproporzione relativa166, sicché, nell’ipotesi
in cui uno solo di tali due rimedi sia esperibile, il venditore non potrebbe
rifiutare l’unico rimedio che consenta di ripristinare la conformità del
bene al contratto». Pertanto sembra legittimo dedurre che, ad avviso del
giudice europeo, l’eccessiva onerosità della sostituzione o della riparazione del bene richiesta dal consumatore possa consentire al professionista di rifiutare l’adempimento della misura richiesta soltanto qualora l’altro rimedio primario sia possibile e, comparativamente, quello prescelto
dall’acquirente possa dirsi comportare un sacrificio economico irragionevole, ma giammai possa autorizzarlo a sottrarsi alla pretesa avanzata dal
consumatore offrendo la riduzione del corrispettivo o la risoluzione del
contratto. Infatti, qualora il mezzo di tutela primario fatto valere dal
compratore imponga all’alienante «costi sproporzionati tenendo conto
del valore che il bene avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto
di conformità», egli sarebbe comunque tenuto a darvi attuazione, potendo al più ottenere una proporzionale diminuzione dell’importo relativo alle spese di rimozione del bene difettoso e di installazione del bene
sostitutivo da corrispondere alla controparte, che il giudice nazionale potrà operare tenendo conto, da un lato, del valore che il bene avrebbe ove
fosse conforme e dell’entità del difetto e, dall’altro, della finalità di garanzia di un elevato livello di tutela dei consumatori che anima la direttiva.
Ponendosi dal punto di vista del consumatore, sembra di poter evidenziare come la portata della pronuncia sia venata proprio di una partitali versioni, quali quelle in lingua spagnola (“sustitución”), inglese (“replacement”), francese
(“remplacement”), italiana (“sostituzione”), olandese (“vervanging”) e portoghese (“substituição”), tale termine si riferisce all’operazione nel suo complesso, all’esito della quale il bene
non conforme deve essere effettivamente “sostituito”, obbligando quindi il venditore a porre
in essere tutto ciò che è necessario per ottenere tale risultato, altre versioni linguistiche, segnatamente quella in lingua tedesca (“Ersatzlieferung”), potrebbero suggerire una lettura leggermente più ristretta. Tuttavia, come rilevato dai giudici remittenti, anche in quest’ultima
versione linguistica detto termine non si limita ad evocare la semplice consegna di un bene
sostitutivo e potrebbe, al contrario, indicare l’esistenza di un obbligo di effettuare la sostituzione dello stesso al bene non conforme» (punto 54).
166 Il giudizio di sproporzione, pertanto, avrebbe sì natura eminentemente relativa, ma
dovrebbe essere operato unicamente con riferimento ai rimedi primari giacché, ad avviso
della Corte di Lussemburgo, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, non assicurando l’esatta esecuzione del programma negoziale, «non consentono di garantire lo stesso
livello di protezione del consumatore garantito dal ripristino della conformità del bene»
(punto 72).
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
283
colare attenzione alla ratio consumeristica della normativa167, giacché la
Corte finisce per imporre l’esecuzione della sostituzione168, unico rimedio possibile fra quelli primari, in ragione della preferenza accordatagli
dal consumatore e senza considerazione degli ingenti costi economici che
esso comporta in capo al venditore169, anche in ragione del fatto che a costui è addossato l’obbligo di «procedere alla rimozione di tale bene dal
luogo in cui è stato installato e ad installarvi il bene sostitutivo, ovvero a
sostenere le spese necessarie per tale rimozione e per l’installazione del
bene sostitutivo». Al contempo, ove letto a contrariis, il dictum parrebbe
legittimare la conclusione secondo cui il consumatore non possa avvalersi
direttamente dei rimedi secondari anche laddove uno di quelli primari
sia impossibile da eseguire e l’altro appaia eccessivamente oneroso in riferimento al costo che il professionista dovrebbe sopportare ove fosse
chiesta la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, dovendo comunque esperire il rimedio primario possibile. È, però, facile immaginare
che quest’ultima eventualità costituisca senz’altro un’ipotesi recessiva,
giacché è più che plausibile prevedere che, a fronte della volontà del consumatore di azionare direttamente una delle forme di tutela sussidiarie,
ben difficilmente il venditore negherà il proprio consenso alla richiesta,
evitando così le pesanti conseguenze economiche derivanti dal rimedio
primario rimasto bensì possibile, ma comportante costi sproporzionati.
Qualora, però, per qualsiasi ragione, non sia possibile ottenere il consenso del venditore all’esercizio di un rimedio del second’ordine, non
sembra dubbio che l’opzione interpretativa avallata dalla Corte di Giustizia con la sentenza I. Putz e Gebr. Weber GmbH si traduca in un fattore di irrigidimento del sistema di tutela del consumatore, in quanto
essa comporta l’impossibilità per costui di esercitare la riduzione del
167 Come
già anticipato, è la stessa Corte di Giustizia a mostrare di ritenere che la scelta
della direttiva di privilegiare i rimedi attraverso i quali è possibile il ripristino della conformità del bene al contratto si spieghi «per il fatto che, generalmente, i due ultimi rimedi sussidiari non consentono di garantire lo stesso livello di protezione del consumatore garantito
dal ripristino della conformità del bene».
168 Poco sopra, si è evidenziata l’opinione dottrinale che ne censura l’imposizione in via
preferenziale, in quanto funzionale alla tutela del solo interesse del professionista alla conservazione dell’operazione economica. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia nella pronuncia in parola, viceversa, sembra potersi evidenziare come l’imposizione della
sostituzione si sia rivelata piuttosto funzionale alla tutela dell’interesse del consumatore, al
quale – ove la considerazione dell’eccessiva onerosità dei rimedi fosse stata estesa anche alla
comparazione con le tutele sussidiarie – sarebbe stata riconosciuta, con ogni probabilità, la
sola riduzione del prezzo ovvero la risoluzione del contratto.
169 In sostanza, pertanto, la possibilità di uno soltanto dei rimedi primari opera quale
automatica “concentrazione” della scelta sul rimedio non impossibile, anche ove eccessivamente oneroso per il professionista rispetto ai rimedi secondari.
284
CAPITOLO QUARTO
prezzo o la risoluzione del contratto, in tutte le ipotesi in cui almeno una
fra riparazione e sostituzione sia possibile.
Ovviamente, il ricorso ai rimedi sussidiari – benché reso arduo in via
diretta dalla descritta posizione della Corte di Lussemburgo – rimane
sempre possibile in seconda battuta, allorché il professionista non provveda tempestivamente all’esecuzione della riparazione o della sostituzione richieste dal consumatore170 ovvero queste ultime, benché realizzate, abbiano arrecato notevoli inconvenienti all’acquirente [art. 130,
comma 7, lett. b) e c)].
L’esecuzione del rimedio ripristinatorio richiesto dal compratore
deve infatti avvenire entro quello che l’art. 130, comma 5, c.cons. definisce un «congruo termine»171, decorrente dal momento dell’effettuazione
della scelta172, sicché non solo il comportamento volutamente dilatorio
del professionista, ma pure i ritardi imputabili alla sua negligenza o imperizia rilevano al fine di affermarne l’inadempimento sotto il profilo in
discorso173.
Più complicata è, invece, la definizione di cosa la legge intenda laddove fa riferimento a “notevoli inconvenienti” derivanti dalla sostitu170 In giurisprudenza, in applicazione di questa regola v. Giud. pace Roma, 1° marzo
2006, in www.consumerlaw.it e Trib. Modena, 30 agosto, 2008, in Obblig. e contr., 2009, p. 78
s., i quali hanno dato ingresso alla richiesta – rispettivamente – di risoluzione del contratto e
di riduzione del prezzo, a seguito della mancata sostituzione del bene da parte del professionista. È, invece, discusso se, a seguito del ritardo del professionista nell’esecuzione del rimedio scelto dal consumatore, questi possa soltanto optare per la risoluzione o la riduzione del
prezzo, ovvero abbia facoltà di domandare l’esecuzione della misura ripristinatoria non azionata in precedenza: sul punto si vedano, per la soluzione più liberale, A. ZACCARIA - G. DE
CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 77, e per quella restrittiva, A. LUMINOSO,
La compravendita, cit., p. 366, nt. 134.
171 La congruità del termine deve essere valutata, ad avviso dell’opinione maggioritaria
(cfr. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 187 e M.G. CUBEDDU, sub art.
1519-quater, in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 263),
mediante un giudizio di ragionevolezza, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti e della
necessità di operare un bilanciamento degli interessi delle parti, senza che l’impiego dell’aggettivo “congruo” riferito al termine in parola possa consentire di dare ingresso nella materia
de qua alla rigida determinazione minima contenuta nell’art. 1454 c.c. (sul punto, v., peraltro,
le preoccupazioni mostrate da A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 77).
172 Pertanto, il legislatore italiano, da un canto, ha pertanto provveduto a precisare il
dies a quo di decorrenza del termine rilevante ai fini della valutazione di tempestività e, dall’altro, ha modificato il riferimento alla “ragionevolezza” operato dalla direttiva in quello alla
“congruità”.
173 Ad avviso di F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in
Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 438 e R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita,
cit., p. 188 il venditore ha, in ogni caso, l’obbligo (discendente dal principio generale di
buona fede nell’esecuzione dei rapporti contrattuali) di informare il consumatore del tempo
necessario all’esecuzione del rimedio da questi prescelto.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
285
zione o riparazione già effettuata, scontrandosi sul punto ricostruzioni
assai divaricate fra loro174. Secondo l’orientamento che sembra preferibile175, la locuzione in discorso dovrebbe intendersi fare riferimento a
tutte le inesattezze della prestazione ripristinatoria da eseguirsi da parte
del professionista aventi natura diversa dal ritardo nell’esecuzione della
sostituzione o della riparazione. Ne consegue che la ricorrenza dell’ipotesi contemplata dalla lett. c) dell’art. 130, comma 7 c.cons.176 si traduce
nel comportamento del professionista il quale, in esito alla sostituzione o
al tentativo di riparazione, fornisca al consumatore un bene ancora affetto da difetti di conformità.
Al di là delle espresse previsioni di legge, sembra peraltro di poter
inferire ulteriori ipotesi al verificarsi delle quali il consumatore è legittimato all’esercizio della riduzione del prezzo o della risoluzione del contratto di vendita. Infatti, non è dubbio che egli possa esercitare il rimedio
sussidiario che prediliga qualora il professionista faccia constare il proprio rifiuto all’esecuzione della riparazione o della sostituzione richiesta,
salvo che il rifiuto debba considerarsi fondato in ragione della impossibilità o eccessiva onerosità del rimedio scelto177 ovvero già a priori le pre174 Oltre
all’orientamento che riteniamo preferibile, per il quale si legga infra nel testo,
si segnala l’opinione secondo la quale i “notevoli inconvenienti” dovrebbero essere identificati nelle ipotesi in cui, ottenuta bensì la piena conformità del bene a seguito della sostituzione o della riparazione, il professionista possa dirsi non avere salvaguardato – in tale fase –
gli interessi del compratore, violando con ciò i doveri di protezione su di lui incombenti (così
L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 410),
nonché quella che ritiene di poterli identificare senz’altro nelle circostanze che, pur non incidendo sulla conformità del bene, comportino un inconveniente attinente alla perdita di valore
dello stesso ovvero a sopravvenienze che ledano l’interesse del consumatore riguardo alla
cosa (in questo senso, M. COSTANZA, sub art. 130, in C.M. BIANCA, La vendita di beni di consumo. Commentario, Padova, 2006, p. 220).
175 Per il quale v. per tutti, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 89 ss.
176 Sembra, però, opportuno precisare, aderendo in ciò alla ricostruzione prospettata
da R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 189 ss., che il significato dell’espressione “notevoli inconvenienti” è suscettibile di variare a seconda del contesto in cui
viene utilizzata, giacché essa allude al risultato insoddisfacente della sostituzione e della riparazione nel contesto dell’art. 130, comma 7, mentre pare fare riferimento ai disagi, pericoli,
incomodi e fastidi, purché di rilevante entità, che la riparazione o la sostituzione sono idonee
ad arrecare al consumatore, compromettendone eventualmente lo stesso interesse alla ricezione del bene reso conforme, nel caso dei commi 4 e 5 dello stesso art. 130 c.cons.
177 Coerentemente con questa fondamentale osservazione, d’altronde, il legislatore tedesco ha espressamente previsto al § 440 nF BGB che «außer in den Fällen des § 281 Abs. 2
und § 323 Abs. 2 bedarf es der Fristsetzung auch dann nicht, wenn der Verkäufer beide Arten
der Nacherfüllung gemäß § 439 Abs. 3 verweigert […]». L’opinione, peraltro, nell’ordinamento italiano, appare sedimentata a livello dottrinale: cfr., per tutti, L. GAROFALO - A. RO-
286
CAPITOLO QUARTO
stazioni ripristinatorie appaiano insuscettibili di essere portate a compimento entro un periodo di tempo ragionevole e in assenza di rilevanti inconvenienti per il consumatore178. Peraltro, con riferimento a queste seconde eventualità, stante – diversamente dall’ipotesi di rifiuto – l’impossibilità di ravvisare un dato certo al quale ancorare la loro verificazione,
riguardante un giudizio prognostico di possibile ardua formulazione, se
può senz’altro convenirsi sull’indubbia rilevanza delle fattispecie in cui è
oggettivamente certo o altamente probabile il verificarsi del ritardo ovvero degli inconvenienti in parola179, più problematica appare, già prima
facie, la diversa ipotesi in cui sia l’affidamento del consumatore nelle capacità di adempimento del professionista a essere ormai compromesso,
senza che possa però operarsi una valutazione attendibile in termini di
certezza o probabilità di insuccesso del tentativo di Nacherfüllung.
Il problema è stato affrontato, a livello generale, dal legislatore germanico, il quale – con il § 323, comma 2, n. 3 nF BGB – ha consentito a
ogni creditore di ottenere direttamente il recesso laddove la prestazione
inizialmente effettuata sia inesatta o sia mancata e «particolari circostanze giustifichino, in considerazione degli interessi di ambedue le parti,
il recesso immediato»180. Sebbene una così ampia facoltà di accesso ai rimedi sussidiari, con ogni probabilità, non possa essere predicata con riferimento al nostro diritto, né paia pienamente compatibile con la disciplina europea, essa può cionondimeno costituire una valida linea-guida
qualora se ne limiti l’ambito applicativo alle ipotesi in cui l’inadempiDEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI,
Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 405 e R. CALVO, Vendita
e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 286. Ad avviso di A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 87 il fondamento di tale conclusione dovrebbe essere ravvisato nell’operare della decadenza del professionista dal beneficio del termine, sicché
a seguito del rifiuto dovrebbe ritenersi realizzata l’ipotesi di cui alla lett. b) del comma 7 dell’art. 130 c.cons., con l’ovvia conseguenza della praticabilità immediata dei rimedi secondari.
178 L’intuizione si trova già in G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 205. Nello stesso senso, v. altresì R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 287 e, nella dottrina germanica, D. MEDICUS - S. LORENZ,
Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 55.
179 Così, infatti, v. ancora G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti
del consumatore, cit., p. 205 e, più di recente, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina
della vendita di beni di consumo, cit., p. 406 s., i quali, peraltro, si riferiscono in generale al
«concreto pericolo» che al consumatore possano derivare, dal tentativo di ripristino della
conformità, notevoli inconvenienti o ingiustificati ritardi.
180 Sul punto, cfr. S. LORENZ, Arglist und Sachmangel - Zum Begriff der Pflichtverletzung
in § 323 V 2 BGB, in NJW, 2006, p. 1925 ss.; BECKOK/H. SCHMIDT, sub § 323 BGB, in BeckOnline, Rn. 28 ss.; nella manualistica, D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner
Teil, München, 2010, p. 227 ss.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
287
mento del professionista sia stato caratterizzato da gravità e circostanze
tali da compromettere seriamente l’affidamento che l’uomo medio può
riporre nelle possibilità di adempimento del proprio debitore181.
Soltanto la realizzazione delle situazioni descritte nelle pagine che
precedono consente al consumatore l’esercizio dei c.d. rimedi secondari,
i quali si pongono – in linea di principio – sullo stesso piano, non sussistendo tra essi una graduazione gerarchica182. Infatti, fra essi il legislatore
non pone preferenze di sorta, benché una parte della dottrina abbia ritenuto di poter argomentare la priorità del rimedio della riduzione del
prezzo sulla base del principio di conservazione del contratto183. Non
sembra, però, che tale preferenza sia in concreto ravvisabile, giacché l’indubbio favor per la conservazione dell’operazione economica, sotteso
alla normativa di settore, si limita a riverberarsi nella necessaria priorità
di azionamento dei rimedi ripristinatori, ma non si spinge a influenzare
l’ulteriore profilo attinente al rapporto fra le tutele di second’ordine.
Piuttosto, il vero limite alla piena concorrenza dei due rimedi secondari – che si traduce nel riconoscimento di un campo di applicazione
notevolmente più ampio alla riduzione del corrispettivo, rispetto alla risoluzione – è indotto dal fatto che, per espressa previsione dell’art. 130,
comma 10 c.cons., «un difetto di conformità di lieve entità per il quale
non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della
riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto». Tale previsione si discosta in maniera significativa dalla formulazione della direttiva 1999/44/CE, la quale si limita a prevedere che la
conseguenza della privazione del rimedio risolutorio consegua tout court
alla sussistenza di un difetto di conformità minore. In primo luogo, pertanto, l’espressione «difetto di conformità minore» è stata mutata, in
181 Sostanzialmente
in questo senso R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali,
II, cit., p. 287, il quale richiama la regola vigente in tema di risoluzione del contratto di somministrazione (art. 1564 c.c.). Per i limiti applicativi della disposizione nel diritto tedesco, v.
MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 79.
182 Cfr. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p.
10; M. COSTANZA, sub art. 130, in C.M. BIANCA, La vendita di beni di consumo. Commentario,
cit., p. 221 s.; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm.
Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 452; G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo,
in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1045 ss.; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 42 s. e
59; S. JANSEN, Price reduction as a remedy in European contract law and the consumer acquis,
in A.L.M. KEIRSE - M.B.M. LOOS, Alternative ways to Ius Commune. The Europeanisation of
private law, cit., p. 175 ss.
183 In questo senso, v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo.
Commentario, Padova, 2006, p. 206, ove si legge che «tra un rimedio che rettifica il contratto
e un rimedio che lo estingue la preferenza è accordata al primo».
288
CAPITOLO QUARTO
sede di attuazione, nel senso dell’adozione della diversa dizione avente riguardo a un «difetto di conformità di lieve entità», ciò che, però, non
sembra comportare divergenze riguardo all’ambito di applicazione della
disposizione. Invero, nell’uno e nell’altro dettato è evidente come il legislatore si riferisca al medesimo concetto, circoscrivendo la possibilità di
ottenere la risoluzione del contratto di compravendita ai casi in cui il difetto di conformità non abbia scarsa importanza. L’opzione di fondo del
legislatore comunitario non coincide con quella che anima la Convenzione di Vienna del 1980, ove la risoluzione del contratto [art. 49,
comma 1, lett. a), CISG] è sottoposta al severo limite della ricorrenza di
un fundamental breach of contract (come definito dall’art. 25 CISG), ciò
che sembra costituire nozione decisamente più rigorosa di quella cui allude il dettato della norma europea, inconciliabile con la ratio consumeristica del provvedimento. Sembra piuttosto che la scelta della direttiva di
non definire compiutamente il concetto di «difetto di conformità non
minore»184 sia stata senz’altro consapevole, mossa probabilmente dall’intento di consentire la concreta individuazione dei contenuti e dei confini
della limitazione in parola in sede di recepimento, attraverso l’utilizzo di
nozioni e categorie proprie di ciascun ordinamento185. Proprio in quest’ottica sembra essersi mosso, dal punto di vista in argomento, il legislatore italiano, il quale – come visto – ha precisare la nozione offerta dall’art. 3, par. 6 della direttiva attraverso il riferimento alla “lieve entità”,
che sembra rimandare allo scrutinio di “non scarsa importanza” dell’inadempimento cui rimanda l’art. 1455 c.c. in tema di risoluzione del contratto per inadempimento.
Peraltro, la pertinenza del riferimento al concetto di importanza del184 Merita di essere segnalato come, rispetto al contratto di appalto, la difformità del
criterio rilevante ai sensi dell’art. 130, comma 10, c.cons. per identificare le ipotesi in cui risulta possibile l’esperimento del rimedio risolutorio sia assai più pronunciata di quanto si vedrà tra poco accadere riguardo all’ordinaria disciplina della vendita, poiché l’art. 1668,
comma 2, c.c. richiede a tal fine che «le difformità o i vizi dell’opera [siano] tali da renderla
del tutto inadatta alla sua destinazione», con ciò ponendo un criterio più consonante con
quello adottato dalla Convenzione di Vienna del 1980. L’osservazione è comune in dottrina:
per tutti, cfr. L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 443.
185 In questo senso si pronunciava già G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 211, il quale preconizzava la possibilità che l’attuazione
della disposizione e la sua concreta applicazione avvenissero in consonanza con le tendenze
interpretative e applicative correnti in sede nazionale riguardo alle disposizioni di diritto interno avente contenuto simile a quello della disposizione in parola, facendo riferimento – ad
esempio – alla nozione di unerhebliche Minderung des Wertes oder Tauglichkeit dell’(ora abrogato) § 459, comma 1, aF BGB.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
289
l’inadempimento186 è stata messa in dubbio187 sulla base della considerazione secondo cui il requisito posto dalla direttiva e dalla disposizione di
attuazione avrebbe carattere rigidamente oggettivo, riferendosi eminentemente e direttamente alla condizione del bene e, in particolare, all’entità del difetto, senza considerazione per l’aspetto del pregiudizio cagionato all’interesse del compratore richiamato, invece, dalla norma codicistica. Secondo l’interpretazione in discorso, quindi, il riscontro della
“lieve entità” del difetto non richiederebbe affatto un autonomo accertamento delle conseguenze pregiudizievoli derivanti al creditore dalla sussistenza della mancanza di conformità della cosa, bensì si dovrebbe esaurire nell’oggettiva valutazione del difetto, «innalzandone la soglia di apprezzabilità, ai fini della risoluzione del contratto, alle ipotesi di più
grave incidenza sul valore o sulla funzionalità del bene»188. Pertanto, la
locuzione utilizzata dalla direttiva verrebbe a svolgere lo stesso ruolo rivestito, rispetto alla nozione di vizio di cui all’art. 1490 c.c., dalla “apprezzabilità” della diminuzione del valore e dalla “inidoneità” all’uso,
ponendo il limite di rilevanza della fattispecie del difetto di conformità ai
fini della richiesta del rimedio risolutorio. Sennonché sebbene, da un
canto, la tesi esposta colga senz’altro nel segno allorché evidenzia la necessità di un giudizio attinente direttamente alla misura oggettiva della
gravità del difetto, al contempo, non può sfuggire come l’adozione di
detta prospettiva non possa prescindere dalla considerazione delle ripercussioni (queste sì, soggettive) che detto difetto provochi nella sfera giuridica del consumatore, sicché non appare affatto errato il richiamo alla
considerazione dell’interesse del compratore sotteso al riferimento all’art.
186 Sul quale v., in generale, M.G. CUBEDDU, L’importanza dell’inadempimento, Torino,
1995, passim; G. COLLURA, Importanza dell’inadempimento e teoria del contratto, Milano,
1992, passim; di recente, P. GALLO, L’inadempimento, in ID., Trattato del contratto, III, Torino,
2010, p. 2113 ss.
187 Si vedano le perplessità manifestate da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art.
1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 438 s.
188 La citazione è tratta proprio da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater,
in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della
vendita di beni di consumo, cit., p. 439.
189 L’interpretazione del requisito dell’importanza dell’inadempimento e, correlativamente, la ricostruzione del criterio di valutazione della medesima è ormai sedimentata nella
giurisprudenza di legittimità proprio nel senso della preferenza per una valutazione oggettiva
dell’inadempimento, cui però si unisce indefettibilmente la considerazione dell’incidenza
della mancata o inesatta prestazione in ordine all’interesse soggettivo della controparte: Cass.
9 agosto 1982, n. 4457; Cass. 1° ottobre 1984, n. 4841; Cass. 5 marzo 1987, n. 2345; Cass. 24
ottobre 1988, n. 5755; Cass. 28 marzo 1995, n. 3669; Cass. 26 luglio 2000, n. 9800; Cass. 7
febbraio 2001, n. 1773.
290
CAPITOLO QUARTO
1455 c.c.189. Invero, soltanto nelle ipotesi di macroscopica rilevanza del
vizio, la valutazione dell’incidenza di questo può essere condotta in maniera indipendente dalla considerazione delle conseguenze che l’esistenza
di detta difformità produce rispetto all’interesse del compratore, mentre
nelle ipotesi in cui la portata di questa non abbia tali caratteri di evidenza, lo scrutinio di rilevanza deve essere condotto avendo riguardo al
grado di incidenza del difetto riguardo all’interesse del compratore190.
Ne consegue che ben difficilmente la valutazione della gravità del difetto
può prescindere dalla considerazione dell’interesse del compratore, giacché la levità del vizio – al contrario dell’inidoneità all’uso cui la cosa è (si
potrebbe dire) normalmente destinata – sembra difficilmente definibile
in via assoluta, necessitando di essere precisata in relazione alle legittime
aspettative del compratore. Pertanto, pare che le contrapposte tesi in argomento debbano piuttosto compendiarsi nel senso della scissione del
giudizio di “levità” del difetto in due fasi logicamente distinte: la prima,
consistente nell’accertamento dell’effettiva sussistenza di una difformità
della cosa rispetto alla previsioni contrattuali e nell’eventuale presa d’atto
della sua incidenza non macroscopica; la seconda, vertente sulla verifica
della concreta, significativa rilevanza del difetto riguardo all’interesse del
compratore. Ogni qual volta a tale analisi conseguano valutazioni negative in ordine a entrambe le fasi, la risoluzione del contratto non potrà
che considerarsi preclusa, residuando al consumatore deluso la sola via
della riduzione del corrispettivo191.
Il dettato dell’art. 130, comma 10, c.cons. solleva, peraltro, ben più
gravi ragioni di perplessità riguardo alla precisazione – non presente nel
testo della direttiva e inserita dal legislatore nella disposizione de qua –
secondo cui il diritto alla risoluzione del contratto verrebbe meno per il
consumatore allorché il bene sia affetto da un difetto di conformità non
190 Un esempio può aiutare a chiarire la nostra posizione. Ove Tizia acquisti presso una
rinomata merceria una certa quantità di pregiata seta al fine di farne un vestito, il fatto che
tale stoffa sia caratterizzata da lievi nuances di colore che la rendano disomogenea deve essere
considerato senz’altro alla stregua di un difetto di non lieve importanza, in quanto frustra la
finalità dell’impiego soggettivamente avuto di mira dall’acquirente, pur possedendo – alla
stregua di un criterio oggettivo – i caratteri di difformità di difficile apprezzamento. Al contrario, laddove Caio si determini all’acquisto di una partita di stoffe onde trarne panni da utilizzare nell’espletamento di pulizie domestiche, il medesimo difetto non potrà che risultare irrilevante sia alla stregua del criterio oggettivo sia in base a quello soggettivo.
191 Com’è agevole intuire, quindi ove il consumatore riceva la consegna di un bene affetto da un difetto di conformità lieve e il venditore non abbia posto rimedio alla difformità
tramite la riparazione o la sostituzione, questi potrà fare ricorso alla sola riduzione del prezzo,
residuando la concorrenza – e pertanto la facoltà di scelta – fra tale mezzo di tutela e la risoluzione del contratto nella sola ipotesi di sussistenza di un difetto non lieve.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
291
lieve e per lo stesso «non [sia] stato possibile o [sia] eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione». La locuzione in parola, nel ricollegare alla mancata esecuzione dei rimedi ripristinatori derivante soltanto da impossibilità o eccessiva onerosità degli
stessi la conseguenza della privazione del consumatore della facoltà di ottenere lo scioglimento del rapporto, sembra escludere che detta conseguenza possa prodursi allorché la riparazione o la sostituzione del bene
non siano avvenute entro un congruo termine oppure siano state operate
arrecando notevoli inconvenienti al compratore. Così opinando, infatti,
se ne dovrebbe concludere che il legislatore italiano abbia inteso limitare
l’area di esercizio esclusivo della riduzione del corrispettivo, creando una
disparità di trattamento fra ipotesi che lo stesso art. 130, comma 7,
c.cons. considera equivalenti in vista dell’accesso ai rimedi sussidiari192.
Peraltro, tale disparità di trattamento sembra non essere irragionevole.
Al contrario, essa – oltre a garantire un più elevato livello di tutela del
consumatore193, ciò che ne rende senz’altro legittima l’esistenza ai sensi
dell’art. 8, paragrafo 2 della direttiva – può con ogni probabilità essere
considerata quale strumento di un razionale fine di differenziazione fra
l’ipotesi in cui il difetto di conformità sia non emendabile attraverso la
sostituzione o la riparazione della cosa e quella, opposta, in cui appaia
praticabile il procedimento di ripristino del bene, ma esso non si realizzi
per un fatto riconducibile alla sfera del venditore, quale l’irragionevole
ritardo, ovvero si realizzi arrecando notevoli inconvenienti al compratore. Ove si consideri tale aspetto, la scelta operata dal legislatore italiano, benché forse non del tutto consapevole194, si vena addirittura di
opportunità, in quanto in queste seconde eventualità la concessione al
consumatore, nonostante la levità del difetto, del rimedio risolutorio si
atteggia a misura (lato sensu) sanzionatoria nei confronti della condotta
del professionista il quale, pur potendo procedere al ripristino della
192 Si
pronuncia, invece, per un’interpretazione della disposizione in parola aderente al
dettato della direttiva, M.G. CUBEDDU, sub art. 130, in C.M. BIANCA, Commentario alla vendita di beni di consumo, in le nuove leggi civili commentate, 2006, p. 281, ad avviso della quale
l’unico indice rilevante al fine di sceverare fra le ipotesi di impraticabilità del rimedio risolutorio e quelle in cui permane la libera scelta del consumatore fra i rimedi sussidiari sarebbe
quello relativo alla sussistenza o meno di un difetto di conformità lieve della cosa.
193 In questo senso, v. A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo,
cit., p. 95.
194 Il dubbio è sollevato anche da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater,
in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della
vendita di beni di consumo, cit., p. 441, i quali ritengono plausibile che il legislatore italiano,
in realtà, intendesse soltanto «ribadire la sussidiarietà della risoluzione del contratto rispetto
alla coppia di rimedi riparazione/sostituzione».
292
CAPITOLO QUARTO
conformità del bene, abbia compromesso con il proprio comportamento
l’attuazione di questo195.
A conclusione dell’indagine relativa all’ambito di operatività dei rimedi secondari e, in particolare, di quello della riduzione del corrispettivo sembra opportuno porre l’accento sul fatto che l’opzione di fondo
della direttiva 1999/44/CE ha contemporaneamente ridotto l’ambito di
applicazione della tutela foggiata sul modello dell’azione estimatoria,
avendo espresso una spiccata preferenza di principio per i rimedi ripristinatori della conformità del bene la quale si è tradotta nell’affermazione
della sussidiarietà dei rimedi tramandatici dall’esperienza giuridica romana, ma al contempo sembra avere rovesciato i termini del rapporto fra
redibizione e riduzione del prezzo a favore di questo secondo rimedio.
Attraverso la previsione dell’art. 6, paragrafo 6, la direttiva rende palese
come lo specifico favor per le tutele ripristinatorie si inscrive, in realtà, in
un più ampio disegno volto a valutare lo scioglimento del contratto in
conseguenza del difetto di conformità quale extrema ratio resa disponibile per le sole fattispecie in cui l’inadempimento dell’obbligazione di
conformità gravante sul venditore assuma contorni di particolare gravità,
altrimenti rendendosi disponibile la sola tutela riequilibratoria dell’economia della pattuizione. Tale, infatti, è il significato della negazione della
risoluzione con riferimento a tutte le ipotesi in cui il difetto di conformità
appaia di lieve gravità.
Ciò che, però, forse ancor più importa sottolineare, in esito all’analisi del complessivo strutturarsi del sistema della “garanzia europea”, è
come, nel disegno di tale sistema, alla riduzione del prezzo sia assegnato
il ruolo di rimedio elettivo per l’attuazione dell’istanza perequativa della
situazione giuridica delle due parti del contratto di vendita di beni di
consumo, sinora in molti casi frustrata – nel nostro ordinamento – dalla
soglia di rilevanza del vizio redibitorio. Intendiamo dire, cioè, che la posizione della definizione di difetto di conformità quale concetto riassuntivo di ogni e qualsiasi difformità fra le caratteristiche materiali (quantitative e qualitative) del bene concretamente consegnato e quelle pattuite
dai contraenti nel contratto consente di ritenere rilevanti, ai fini dell’attivazione della garanzia, non soltanto le difformità le quali comportino l’inidoneità del bene all’uso ovvero un apprezzabile diminuzione del suo
valore, ma – appunto – anche le carenze o le discrepanze di lieve entità o
addirittura bagatellari, e che la riduzione del corrispettivo sembra essere
195 Per quest’opinione cfr. anche L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater,
in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della
vendita di beni di consumo, cit., p. 442 e, in precedenza, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La
vendita di beni di consumo, cit., p. 95.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
293
il mezzo di tutela foggiato per dare ingresso a tali fattispecie nel sistema
di tutela creato dalla direttiva. Invero, se è indubbio che anche con riferimento a tali tipologie di difetti di conformità si ripropone la primazia
dei rimedi ripristinatori, appare peraltro innegabile come la richiesta di
riparazione e, ancor più, di sostituzione della cosa avanzata dal compratore con riferimento all’ipotesi di difformità lievi o lievissime incapperà,
il più delle volte, in un giudizio di sproporzione del rimedio per via della
sua eccessiva onerosità in relazione alla incidenza concreta del vizio sulle
qualità della cosa e sulla sua idoneità a soddisfare gli interessi avuti di
mira dal compratore. Se è così, indisponibile per definizione il rimedio
risolutorio, al consumatore si spianerà la strada del ricorso alla riduzione
del prezzo, la quale verrà appunto a svolgere pienamente, anche in questi casi, il proprio ruolo di mezzo di tutela dell’equilibrio contrattuale
soggettivamente definito dalle parti in sede di conclusione del contratto.
Tale ruolo, attuabile soltanto per le fattispecie più “gravi” con riferimento alla garanzia per vizi di diritto comune, in ragione della soglia minima di rilevanza del vizio redibitorio, viene invece a costituire pienamente la cifra distintiva del rimedio nell’economia del sistema della garanzia in tema di vendita di beni di consumo, consentendo la
conservazione dello scambio fra le parti, e consentendola nelle medesime
proporzioni stabilite dagli stessi contraenti, con riferimento all’intera
gamma di difetti di conformità.
3.2. L’ininfluenza di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto
Nel tracciare i rispettivi ambiti di applicazione dei rimedi secondari,
la direttiva – e, con essa, la normativa italiana di recepimento – non sembra delineare ulteriori elementi di diversità rispetto a quanto sancito dall’art. 3, comma 6 (nel diritto interno, dall’art. 130, comma 10, c.cons.) e,
in particolare, è silente riguardo al tema dell’impossibilità di “redibizione” del bene conseguente alla sua alienazione o trasformazione, ovvero al suo perimento o deterioramento, risolto dalla disciplina della vendita di diritto comune attraverso la previsione del più volte citato art.
1492, comma 3, c.c.196. Come si è visto al par. 1, tale ultima disposizione
196 La
lacuna è stata segnalata, già in sede di commento alla direttiva, da G. DE CRIDifetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 201, nt. 34 (ove
l’A. nota come il considerando n. 15 della direttiva 1999/44/CE preveda espressamente che
le «modalità particolari» – sul punto appare assolutamente errata la traduzione italiana, la
quale fa riferimento ad «accordi dettagliati» – della risoluzione del contratto possano essere
determinate dai diritti nazionali) e da A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della Direttiva
STOFARO,
294
CAPITOLO QUARTO
consente l’esercizio dell’azione di risoluzione al compratore di cosa viziata
soltanto qualora costui sia materialmente in condizione di restituirla al
venditore, salvo il solo caso in cui l’impossibilità di restituzione sia cagionata dal perimento della cosa in conseguenza dei vizi che la affliggono.
Qualora la regola in discorso possa essere estesa anche alla disciplina
delle vendite di beni di consumo, la riduzione del corrispettivo verrebbe
ad assumere un’estensione applicativa ancor maggiore rispetto a quella
propria della risoluzione, a differenza di quest’ultima potendo trovare accoglimento non solo nelle ipotesi in cui i difetti del bene abbiano carattere
minore ma pure allorché la restituzione di questo non sia possibile.
A questo riguardo, la dottrina ha manifestato posizioni diverse e articolate, fra cui è sembrata rimanere minoritaria l’opinione di quanti ritengono che, pur in assenza di un espresso richiamo a tale limitazione, il
perimento del bene, ove dovuto a causa non imputabile al tradens, costituisca un limite immanente al sistema197, il quale pertanto non consentirebbe al consumatore l’esperimento del rimedio risolutorio. Secondo la
tesi in discorso, infatti, opinare diversamente significherebbe, da un
canto, sacrificare in maniera eccessiva l’interesse del venditore198 e, dall’altro, porsi in contrasto con il principio generale (ricavabile dallo stesso
n. 1999/44CE «su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», in Studium
iuris, 2000, p. 265 s. Approfonditamente, sul punto, R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento
fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p.
143 ss. le cui conclusioni sono brevemente ripetute in ID., sub art. 130, in Comm. dir. cons.
De Cristofaro Zaccaria, Padova, 2013, p. 853 ss. Cfr., altresì, tra i molti contributi che hanno
toccato l’argomento: A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo,
cit., p. 11 s.; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 96 ss.; L.
GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI
- P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 424 ss.; A.
NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», in Europa dir. priv., 2003, p. 454 ss.
197 Abbiamo sopra tentato di argomentare come, a nostro avviso, tale impossibilità non
costituisca affatto un limite generale immanente al rimedio risolutorio, ma – per una consapevole scelta del legislatore del 1942, influenzata dall’origine storica della garanzia per vizi –
abbia informato la definizione dell’ambito di operatività dell’azione redibitoria concessa dal
codice civile al compratore di beni viziati. Deve, pertanto, essere verificato in questa sede se
tale opzione meriti di essere conservata anche con riferimento alla vendita di beni di consumo
o debba piuttosto ritenersi ad essa estranea.
198 In tal senso, F. RUSCELLO, Le garanzie post-vendita nella Direttiva 1999/44/CE del 15
maggio 1999, in Studium iuris, 2001, p. 838 s., ad avviso del quale «non sempre il consumatore e la realizzazione del suo interesse possono essere assunti a parametro di riferimento assoluti dell’interpretazione del fatto […]. Per quanto, infatti, si voglia tutelare la situazione del
consumatore, sembra che sia indispensabile sempre e comunque fare ricorso ai princìpi che,
per espressione di valori fondamentali, non si possono applicare solo nei confronti di uno dei
soggetti del rapporto obbligatorio senza contravvenire al principio di eguaglianza […]. Si
pensi ai doveri di correttezza […] e di buona fede […]».
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE
295
art. 1492 c.c. nonché da altri indici normativi anche sovranazionali, quale
ad esempio l’art. 82, comma 1 della CISG) secondo cui tra risoluzione e
possibilità di restituzione sussisterebbe una connessione ineludibile, sicché la prima sarebbe percorribile soltanto allorché sia possibile la restitutio in integrum della cosa «in uno stato sostanzialmente uguale» a quello
in cui la stessa si trovava al momento della consegna199 (c.d. Prinzip der
unversehrten Rückgabe200).
In un ordine d’idee opposto, il tentativo di porre un’actio finium regundorum fra i due rimedi riguardo alle ipotesi in discorso è stato da
molti operato sulla base dell’esatta considerazione secondo cui il riconoscimento – mediante l’applicazione diretta201 o analogica dell’art. 1492,
comma 3, c.c. alla disciplina delle vendite mobiliari al consumo – di limiti all’esercizio della risoluzione, ulteriori rispetto a quelli cui la direttiva fa esplicito riferimento (quale sarebbe la possibilità di restituzione
del bene), comporterebbe un insanabile contrasto con la previsione della
stessa direttiva (art. 8, comma 2), la quale esclude in radice la possibilità
di ridurre il livello di tutela del consumatore assicurato dalla normativa
di fonte europea, come avverrebbe mediante l’introduzione di cause di
esclusione del diritto alla risoluzione del contratto non contemplate da
quest’ultima202. Da questo condivisibile punto di partenza, tali interpreti
199 Cfr. l’interessante argomentazione di A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella
vendita di beni di consumo, cit., p. 11; fa riferimento al principio desumibile dall’art. 82,
comma 1 della Convenzione di Vienna anche C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita dei
beni di consumo, Padova, 2006, p. 201.
200 Sul principio de quo si rinvia, per la letteratura italiana, all’approfondita trattazione
di R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità
del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 92 ss.; nella letteratura internazionale, ex plurimis, si leggano M. KREBS, Die Rückabwicklung im UN-Kaufrecht, München, 2000; F. MOHS,
Die Vertragswidrigkeit im Rahmen des Art. 82 Abs. 2 lit. c CISG, in IHR, 2002, p. 59 ss.;
KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 82 CIGS, München, 2011, Rn. 17
ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/C. FOUNTOULAKIS, sub art. 82, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 10
ss.; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 82 CIGS, 2. Aufl., München, 2011,
Rn. 5 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 82 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013,
Rn. 5 ss. Sul punto v. infra, par. 4.
201 L’applicazione diretta, ove non fosse radicalmente esclusa dalle considerazioni che
seguiranno nel testo, non potrebbe – a nostro avviso – neppure fondarsi sulla previsione dell’art. 135, comma 2, c.cons., il quale, sancendo che «per quanto non previsto» dal titolo dedicato alla disciplina della vendita di beni di consumo, «si applicano le disposizioni del codice
civile in tema di contratto di vendita», si limita a sancire che, per gli aspetti non regolati della
disciplina di derivazione comunitaria, il consumatore può far ricorso alle disposizioni del codice civile in materia di vendita e non consente affatto l’applicazione di eventuali limitazioni
all’esercizio dei diritti riconosciuti dalla disciplina di settore, derivanti da disposizioni ad essa
esterne.
202 In questo senso, cfr. L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di
296
CAPITOLO QUARTO
hanno tratto argomento per negare che l’oggettiva impossibilità di restituzione della cosa al professionista valga, di per sé, a privare il consumatore della possibilità di ottenere la risoluzione del contratto203. Pertanto,
il compratore che abbia ricevuto un bene difettoso potrebbe sciogliere il
contratto di vendita anche qualora il bene stesso sia perito (per caso fortuito o per fatto dell’accipiens), deteriorato ovvero sia stato oggetto di
trasformazione o alienazione a terzi204. Nell’impossibilità di restituirlo,
egli sarebbe tenuto a corrispondere al professionista una somma pari al
valore del bene, debito il quale si compenserebbe, parzialmente o totalmente, con il credito vantato per la restituzione del prezzo pagato205.
Per parte nostra, riteniamo che le menzionate perplessità avanzate
da taluni interpreti in ordine alla compatibilità dell’introduzione di limitazioni alla risoluzione rispetto al diritto europeo siano fondate. Cionondimeno, crediamo che una simile affermazione possa essere avanzata soltanto in esito a un’analisi che consenta di acclarare se la regola che nega
al compratore l’accesso alla tutela 
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