Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Ferrara 5 FRANCESCO OLIVIERO LA RIDUZIONE DEL PREZZO NEL CONTRATTO DI COMPRAVENDITA Jovene editore 2015 DIRITTI D’AUTORE RISERVATI © Copyright 2015 ISBN 978-88-243-2361-1 JOVENE EDITORE Via Mezzocannone 109 - 80134 NAPOLI NA - ITALIA Tel. (+39) 081 552 10 19 - Fax (+39) 081 552 06 87 web site: www.jovene.it e-mail: [email protected] I diritti di riproduzione e di adattamento anche parziale della presente opera (compresi i microfilm, i CD e le fotocopie) sono riservati per tutti i Paesi. Le riproduzioni totali, o parziali che superino il 15% del volume, verranno perseguite in sede civile e in sede penale presso i produttori, i rivenditori, i distributori, nonché presso i singoli acquirenti, ai sensi della L. 18 agosto 2000 n. 248. È consentita la fotocopiatura ad uso personale di non oltre il 15% del volume successivamente al versamento alla SIAE di un compenso pari a quanto previsto dall’art. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633. Printed in Italy Stampato in Italia Per Annagiulia INDICE Abbreviazioni ................................................................................................... p. XI Introduzione ..................................................................................................... » XIII CAPITOLO PRIMO LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO NELLA COMPRAVENDITA ROMANA E IL SUO SVILUPPO STORICO 1. Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in Roma antica e l’editto degli edili curuli ................................................... 2. (Segue) L’actio quo minoris propter vitium o aestimatoria ........................ 3. L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema edilizio 4. L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana ..................... 5. L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune .................................. 6. L’azione estimatoria da Pothier al code Napoléon e al codice civile italiano del 1865 ......................................................................................... 7. La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e BGB ............................................................................................................ 8. La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano ................................. » » » » » 1 13 22 29 32 » 37 » » 39 44 » » 51 58 » » 80 92 CAPITOLO SECONDO LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 1. La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per il compratore: i c.d. “vizi giuridici” .......................................................... 2. (Segue) Le difformità materiali .................................................................. 3. L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto di ridurre il prezzo ..................................................................................... 4. (Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale ............. 5. La funzione della riduzione del prezzo: la conservazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al momento della conclusione del contratto ................................................. » 105 VIII INDICE 6. La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale .......................................................................................................... p. 111 7. La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse .......................................................................................................... » 123 CAPITOLO TERZO LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E LE CONSEGUENZE DERIVANTI DALL’ESERCIZIO DEL RELATIVO DIRITTO 1. Premessa ..................................................................................................... 2. I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del prezzo .... 2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione ............................................................................................... 2.2. I metodi di calcolo “assoluti” ........................................................... 2.3. I metodi di calcolo “relativi” o “proporzionali” .............................. 2.4. La riduzione del prezzo secondo equità ........................................... 3. La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali” ..................................................................... 4. L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della quantificazione della riduzione del corrispettivo ..................................... 5. Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi anche a causa di un comportamento colposo del compratore ................ 5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore ........................ 6. Riduzione del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale 7. La riduzione del corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato . 7.1. L’eccezione di inadempimento .......................................................... 7.2. La clausola solve et repete ................................................................. 7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto all’importo del prezzo risultante dalla riduzione ............................. 8. La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione .... 9. Gli obblighi restitutori aggiuntivi ............................................................. » 135 » 137 » » » » 140 149 154 164 » 166 » 169 » » » » » » 183 185 186 188 189 203 » 211 » 212 » 220 CAPITOLO QUARTO IL RAPPORTO CON GLI ALTRI STRUMENTI DI TUTELA CONTRATTUALE DELL’ACQUIRENTE 1. Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto nel sistema codicistico della garanzia per vizi .......................................... » 229 1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi di tutela: premessa ............................................................................. » 229 IX INDICE 2. 3. 4. 5. 1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha diritto alla sola riduzione del prezzo ................................................ 1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi in cui entrambi risultano esperibili ................................................... Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. .................................................................................................. La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo ...................................... 3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto ............................................................................................ 3.2. L’ininfluenza di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto ... 3.3. L’esercizio stragiudiziale e giudiziale del diritto alla riduzione del prezzo. La sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Duarte Hueros e il potere/dovere del giudice di disporre d’ufficio la riduzione ............................................................................................... Il rapporto fra riduzione del prezzo e altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nella Convenzione di Vienna .................................. 4.1. I presupposti di esperibilità dei singoli mezzi di tutela del compratore ................................................................................................ 4.2. La riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela del compratore caratterizzato dalla sfera applicativa più ampia. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi ................................................. La riduzione del prezzo nel quadro del crescente favor per i mezzi di tutela del compratore che non provocano lo scioglimento del rapporto contrattuale.................................................................................................. p. 233 » 248 » 263 » 271 » 271 » 293 » 308 » 321 » 321 » 331 » 337 CAPITOLO QUINTO GLI SPAZI CONCESSI ALL’AUTONOMIA PRIVATA 1. Premessa ..................................................................................................... 2. La derogabilità del metodo di calcolo e l’esclusione pattizia del diritto alla riduzione del prezzo ........................................................................... 2.1. La Convenzione di Vienna ................................................................ 2.2. Le vendite fra professionisti e consumatori ..................................... 2.3. Il codice civile .................................................................................... 3. La derogabilità della disciplina legale della riduzione del prezzo attraverso pattuizioni concluse posteriormente alla manifestazione del difetto ......................................................................................................... 4. L’offerta di riduzione del corrispettivo che non ne determini l’importo o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali” ......................................................................... » 343 » » » » 343 347 350 353 » 358 » 367 X INDICE CAPITOLO SESTO RIDUZIONE DEL PREZZO E RISARCIMENTO DEL DANNO 1. Premessa ..................................................................................................... 2. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nella garanzia per vizi .... 3. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nell’ipotesi di difetti giuridici dell’attribuzione patrimoniale .................................................... 4. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nelle vendite di beni di consumo ................................................................................................. 5. Riduzione del prezzo e risarcimento del danno nella Convenzione di Vienna .................................................................................................... 6. L’autonomia della riduzione del prezzo rispetto al risarcimento del danno: perdurante importanza e crescente utilità del rimedio estimatorio ............................................................................................................ p. 369 » 370 » 388 » 393 » 417 » 424 ABBREVIAZIONI Organi giudicanti G. di p. Pret. Trib. App. Cass. sez. I, II, ... sez. un. C. cost. Corte giust. UE ÖstOGH OLG BGH SAP Giudice di pace Pretura Tribunale Corte di Appello Corte di cassazione civile Prima sezione, seconda sezione, … Sezioni unite Corte costituzionale Corte di Giustizia dell’Unione Europea Oberster Gerichtshof austriaco Oberlandesgericht Bundesgerichtshof tedesco Suprema Audiencia Provincial Elenco delle sigle e delle abbreviazioni più frequentemente utilizzate BGB c.c. c.c. 1865 c.c.f. c.c.s. c.p.c. c.co. 1882 c.cons. c.p. c.nav. CISG d.c.c. disp. prel. disp. att. disp. trans. l. l. cost. codice civile tedesco del 1900 codice civile italiano del 1942 codice civile italiano del 1865 codice civile francese codice civile spagnolo codice di procedura civile codice di commercio italiano del 1882 codice del consumo italiano (d. legisl. 6 settembre 2005, n. 206) codice penale italiano codice della navigazione Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili dell’11 aprile 1980 codice civile olandese disposizioni sulla legge in generale disposizioni di attuazione del codice civile italiano disposizioni transitorie del codice civile italiano legge legge costituzionale XII l. fall. d.l. d. legisl. d.m. LUVI r.d. r.d.l. SoGA T.U. art. artt. lett. a) ivi cit. sub n. nn. nt. p. s. ss. v. cfr. ABBREVIAZIONI legge fallimentare decreto legge decreto legislativo decreto ministeriale Convenzione de L’Aja sulla vendita internazionale di beni mobili del 1° luglio 1964 regio decreto regio decreto legge Sale of Goods Act 1979 Testo Unico articolo articoli lettera/e a) … luogo o luogo e data di pubblicazione appena citati nella stessa nota opera o sentenza già citate nel commento all’art. … numero numeri nota/e pagina/e seguente seguenti vedi confronta INTRODUZIONE La riduzione del prezzo è un mezzo di tutela che il compratore può esperire sia a fronte della manifestazione di difetti materiali nella cosa compravenduta (art. 1492 c.c.) sia nell’ipotesi in cui questa risulti parzialmente altrui (art. 1480 c.c.) ovvero gravata da oneri o diritti di terzi che ne limitino il godimento (art. 1489 c.c.) ovvero ancora venga fatta oggetto di evizione parziale (art. 1484 c.c.). Essa, pertanto, si rivela un rimedio niente affatto esclusivo della c.d. garanzia per vizi, manifestando viceversa l’attitudine a costituire uno strumento di tutela comune ad una pluralità di ipotesi di “inesattezza” del risultato traslativo del contratto di compravendita. Tale osservazione trova peraltro riscontro anche al di fuori della disciplina della compravendita dettata dal codice civile, giacché la riduzione del prezzo è contemplata quale mezzo di reazione del compratore nei confronti dei “difetti di conformità” della res vendita sia dalla Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, in materia di contratti di compravendita internazionale di merci, sia dalla dir. 1999/44/CE, relativa alle c.d. vendite di beni di consumo. Nonostante ciò, nella nostra letteratura la trattazione e l’approfondimento delle regole che presiedono alla c.d. actio quanti minoris è stata sostanzialmente limitata alle opere di carattere generale in materia di vendita o ai commenti alle singole disposizioni di legge che la prevedono, mentre sembra mancare – contrariamente a quanto si riscontra non solo in relazione alla risoluzione ma altresì alla sostituzione o alla riparazione – un’indagine precipuamente dedicata all’analisi e alla ricostruzione sistematica della natura, dei presupposti, dei caratteri e della funzione del rimedio estimatorio in sé e per sé considerato, nonché alla disamina del rapporto corrente fra questo e gli altri mezzi di tutela del compratore. In ragione di ciò, la riduzione del prezzo ha finito per rimanere un mezzo di tutela dai caratteri per molti versi incerti, anche a cagione di un dettato normativo molto scarno, il quale ha lasciato in ombra e irrisolti molti problemi – si pensi, ad esempio, alla natura giuridica del diritto del compratore, al rapporto intercorrente fra la riduzione del prezzo e il diritto al risarcimento del danno, alla quantificazione della riduzione –, frustrando XIV INTRODUZIONE le finalità dell’istituto e schiudendo le porte (come dimostra la consultazione dei repertori) alla massiccia applicazione del rimedio risolutorio. L’opportunità di procedere ad una ricerca siffatta emerge con ancor maggiore evidenza ove dall’analisi del diritto interno si allarghi lo sguardo verso le esperienze giuridiche a noi vicine e all’evoluzione del diritto contrattuale europeo. Ponendosi in tale prospettiva non è, invero, arduo verificare come le ultime decadi mostrino, da un canto, il progressivo tramonto della centralità della risoluzione nell’economia dei mezzi di reazione ai difetti (materiali e giuridici) della res vendita e, dall’altro, il crescente favore di cui gode la riduzione del prezzo, accanto all’“esatto adempimento” nelle forme della sostituzione e della riparazione della cosa. Scomparsa nel BGB, in favore della previsione del Rücktrittsrecht, a seguito dell’approvazione del Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts entrato in vigore il 1° gennaio 2002, fortemente compressa nelle possibilità di esercizio e comunque assai diversamente concepita nella Convenzione di Vienna, relegata a un ruolo ancillare e secondario dalla direttiva 1999/44/CE e dalle relative normative nazionali di attuazione, la risoluzione del contratto quale mezzo di tutela del compratore di beni non conformi tende sempre più nettamente a essere riservata alle ipotesi connotate da particolare gravità e in relazione alle quali i rimedi che consentono la conservazione del rapporto contrattuale non abbiano consentito al compratore di ottenere idonea tutela. Viceversa, la riduzione del prezzo – seppur affiancata dal diritto al ripristino della prestazione – è stata conservata quale rimedio generale attivabile a fronte di qualsiasi difetto sia nel sistema delineato dalla CISG sia nel quadro della gerarchia dei rimedi disegnata dalla dir. 1999/44/CE; di recente, inoltre, essa si è vista attribuire un ruolo assai rilevante nel contesto di importanti riforme legislative che hanno interessato gli ordinamenti inglese e francese. Da un lato, infatti, il britannico Consumer Rights Act 2015 ha accolto la riduzione del corrispettivo quale rimedio generale offerto al consumatore che concluda «contracts for goods, digital contents and services» esercitabile qualora la prestazione del professionista risulti non conforme al contratto. Dall’altro, il Projet d’Ordonnance portant Réforme du droit des Contrats, du régime général et de la preuve des Obligations, presentato dal Ministero della Giustizia francese nei primi mesi del 2015 e attualmente in discussione, prevede l’introduzione nel Code civil di una disposizione generale (art. 1223) in materia di riduzione del corrispettivo, la quale accorda al creditore di qualsivoglia prestazione in forza di un contratto sinallgmatico il diritto di accettare «une exécution imparfaite du contrat et réduire proportionnellement le INTRODUZIONE XV prix» come rimedio generale esperibile a fronte di una «inexécution du contrat». Muovendo dalla considerazione e dalla valorizzazione di siffatte importanti innovazioni, la presente indagine si propone di analizzare le fattispecie di riduzione del corrispettivo rintracciabili nella disciplina del contratto di compravendita attualmente vigente nel nostro ordinamento (sia a livello del codice civile, sia nel c.d. codice del consumo, sia nel contesto della disciplina di diritto uniforme apprestata dalla Convenzione di Vienna) al fine di procedere a ricostruire i caratteri, la natura, la funzione e gli effetti che sono propri di tale mezzo di tutela, nonché a definire il suo ambito di applicazione e i rapporti che corrono fra questo e gli altri rimedi concessi all’acquirente. Il lavoro prenderà le mosse dall’analisi dell’evoluzione storica della riduzione del prezzo relativa alla c.d. garanzia per vizi cosicché, partendo dalla sua progenitrice romana, sarà possibile dare conto dell’evoluzione che ne ha contrassegnato il rilevante ampliamento del campo di applicazione sino a consegnarci l’attuale assetto disciplinare. E ciò, non per sterile omaggio alla tradizione, ma in quanto dall’elaborazione della scienza giuridica romana e dall’analisi della lunga parabola che dalle tutele di diritto onorario si snoda sino al codice civile del 1942, alla Convenzione di Vienna del 1980 e alla direttiva 1999/44/CE, passando attraverso la sistemazione giustinianea, l’opera di Pothier, la Pandettistica e le codificazioni europee ottocentesche, è possibile trarre utili indicazioni e spunti da impiegare nell’indagine del diritto positivo. Successivamente, si procederà all’analisi della disciplina della riduzione del prezzo concessa sia per difetti materiali sia per difformità giuridiche dell’attribuzione traslativa, a mezzo della quale sarà possibile non soltanto chiarire la tipologia di effetti giuridici scaturenti dal suo esercizio e la natura giuridica dello stesso diritto del compratore di ridurre il corrispettivo, ma soprattutto individuare un fondamento giustificativo comune alle diverse fattispecie e così ricostruire l’unitaria funzione della tutela estimatoria, identificandola nella proporzionale conservazione dello scambio alterato dal trasferimento di un bene non conforme. Nel trattare tali aspetti, peraltro, non ci si spingerà sino ad affrontare la vexata quaestio della natura della responsabilità del venditore giacché, da un canto, come autorevole dottrina ha avvertito, «suggestioni storiche e concettuali [hanno contribuito] a rendere questo problema uno dei momenti di più incerta comprensione nello studio della vendita» (C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 699), la cui indagine necessiterebbe di un approfondimento ad esso esclusivamente dedicato e, dall’altro, e soprattutto, tale problematica riveste XVI INTRODUZIONE un’importanza complessivamente secondaria in relazione all’oggetto del nostro studio. Mettendo a frutto le conclusioni raggiunte in merito alla funzione propria del rimedio e al suo fondamento giustificativo, si procederà poi ad analizzare i possibili metodi di determinazione della riduzione del corrispettivo e a identificare, pur nell’incertezza del dato normativo, in quello c.d. relativo o proporzionale il criterio unitario valevole per tutte le fattispecie. La trattazione proseguirà con l’analisi delle conseguenze giuridiche derivanti dall’esercizio della quanti minoris, in particolar modo indagando i profili restitutori e indennitari ad essa legati e dando conto del differente atteggiarsi degli effetti del rimedio a seconda che il corrispettivo sia o meno già stato pagato dal compratore in misura superiore all’importo risultante dalla decurtazione del prezzo originariamente pattuito. Proseguendo, nei Capitoli 4 e 5, specifica attenzione sarà dedicata, dapprima, all’analisi dei presupposti che consentono al compratore – in ciascuna delle fattispecie considerate – di far valere la tutela estimatoria e alla definizione dei rapporti che corrono fra questa e gli altri mezzi di tutela dell’acquirente di beni difettosi o giuridicamente irregolari; successivamente, verranno indagati i margini di cui dispone l’autonomia privata per integrare la disciplina legale nonché per derogarvi. Infine, si procederà a chiarire i rapporti sussistenti fra la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno. Evidenziata la differente funzione svolta da ciascuno dei due mezzi di tutela, si troverà conferma della correttezza e dell’opportunità della scelta dei legislatori continentali e dei più recenti progetti sovranazionali di confermare l’autonomia della tutela estimatoria rispetto a quella risarcitoria. La riduzione del prezzo, infatti, si rivelerà essere strumento maggiormente duttile rispetto all’azione di danni, essendo caratterizzata da un ambito di applicazione in concreto più ampio – prescindendo dall’elemento della colpa del venditore – e in evidente espansione nei testi normativi e nei progetti di legislazione più recenti, nonché da notevoli semplificazioni sul piano probatorio e da una minor dipendenza dall’accertamento giurisdizionale. CAPITOLO PRIMO LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO NELLA COMPRAVENDITA ROMANA E IL SUO SVILUPPO STORICO SOMMARIO: 1. Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in Roma antica e l’editto degli edili curuli. – 2. (Segue) L’actio quo minoris propter vitium o aestimatoria. – 3. L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema edilizio. – 4. L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana. – 5. L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune. – 6. L’azione estimatoria da Pothier al code Napoléon e al codice civile italiano del 1865. – 7. La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e BGB. – 8. La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano. 1. Le origini storiche della riduzione del prezzo: la compravendita in Roma antica e l’editto degli edili curuli La genesi storica dell’azione di riduzione del corrispettivo suole farsi risalire allo ius honorarium dei magistrati edili di Roma antica, i quali approfittarono dello ius edicendi1 loro attribuito per concedere al compratore di talune specie di beni affetti da vizi materiali due azioni che la tradizione ha designato con l’appellativo di “edilizie”, a mezzo delle quali poteva essere posto nel nulla lo scambio (actio redhibitoria) ovvero po1 Gai Instit. 1.6: «Ius autem edicendi habent magistratus populi romani; sed amplissimus est in edictis duorum praetorum, urbani et peregrini, quorum in provinciis iurisdictionem praesides earum habent; item in edictis aedilium curulium, quorum iurisdictionem in provinciis populi Romani quaestores habent». Sullo ius edicendi si consultino in primo luogo i classici studi di M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, in Mélanges P. Meylan, I, Lausanne, 1963, p. 173 ss. (pubblicato anche in ID., Ausgewählte Schriften, II, Napoli, 1976, p. 477 ss.) e di O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1907, passim. V., inoltre, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, Padova, 1955, p. 109 ss.; M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, München, 1971, p. 558 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano, Napoli, 1957, p. 149 ss. E. BETTI, Iurisdictio praetoris e potere normativo, in Labeo, 1968, p. 16 ss.; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte, I, München, 1988, p. 479 s.; E. JOBBE-DUVAL, Les ‘decreta’ des magistrats pourvus de la ‘iurisdictio contentiosa inter privatos’, in Studi in onore di Pietro Bonfante, III, Milano, 1930, p. 187 ss. 2 CAPITOLO PRIMO teva essere conseguita una riduzione del prezzo pagato (actio aestimatoria o quanti minoris2). Il diritto romano arcaico non apprestava alcuna tutela per il caso di sussistenza di vizi materiali nella res empta, in accordo con la tralatizia massima «caveat emptor!»3, a mente della quale – poiché la vendita avveniva in presenza di entrambe le parti e del bene contrattato4, di cui l’acquirente aveva modo di prendere visione e che solitamente veniva contestualmente consegnato5 – doveva ritenersi rientrare nella diligenza del compratore l’esame dell’oggetto acquistato, senza che potessero rilevare eventuali difetti occulti. Secondo l’approccio romano pre-classico, infatti, il compratore, avendo avuto la possibilità di ispezionare l’oggetto acqui2 Si veda infra, al par. 2, per le opportune precisazioni con riferimento all’esatta denominazione dell’actio nell’epoca romana. 3 Sulla regola che addossava al compratore il rischio circa le qualità della cosa compravenduta nel diritto romano arcaico, v. in generale H.H. JAKOBS, Gesetzgebung im Leistungsstörungsrecht - Zur Ordnung des Recht der Leistungsstörungen im Bürgerlichen Gesetzbuch und nach Einheitlichem Kaufrecht, Paderborn, 1985, p. 128 s.; sul punto cfr. anche le osservazioni di H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, Frankfurt am Main, 1984, p. 55 ss., ove ampia analisi dell’influsso del punto di vista romano circa l’allocazione dei rischi della compravendita sul diritto posteriore. Nel senso dell’inesistenza, nel diritto civile romano, di una responsabilità generale oggettiva per i vizi occulti della cosa venduta, v. altresì V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1954, p. 353 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241; F. SCHULZ, Einführung in das Studium der Digesten, Tübingen, 1916, p. 118; U. KORTH, Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 22, il quale ritiene che il fondamento di tale regola e del connesso accollo del rischio in ordine alle qualità della cosa venduta in capo al compratore si basi «auf der Wertung, dass dem Verkäufer die Verwendungszwecke, die der Käufer mit der Kaufsache verfolgt, nicht zu interessieren brauchen. Es ist Angelegenheit des Käufers, die Tauglichkeit der Kaufsache für die beabsichtigte Verwendung zu untersuchen». 4 R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Cape Town-Wetton-Johannesburg, 1990, p. 307, con riferimento all’idea dominante nei sistemi arcaici, discorre apertamente di una vendita che avviene davanti agli occhi dei contraenti (Kauf vor Augen) e richiama il motto proverbiale germanico «Wer die Augen nicht auftut, der tue [tut, in una versione alternativa] den Beutel auf» nonché il similare «qui n’ouvre pas yeux doit ouvrir la bourse». Richiama lo stesso motto anche H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 56. 5 Nei primi quattro secoli dalla nascita di Roma, la compravendita si è progressivamente evoluta da uno stadio di vendita reale caratterizzata dallo scambio immediato della res e del corrispettivo pecuniario, nelle forme della mancipatio per le res mancipi e mediante il ricorso a una duplice traditio per quelle nec mancipi, a un successivo strutturarsi quale vendita obbligatoria attuata mediante una doppia stipulatio, per poi, infine, essere regolata dal II secolo a.C. quale contratto consensuale a effetti obbligatori (cfr. per tutti A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1993, p. 451). Pertanto, prima del raggiungimento di questo ultimo stadio, la compravendita aveva quale carattere indefettibile e qualificante proprio la presenza e il trasferimento materiale immediato del bene che ne era oggetto. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 3 stato durante la contrattazione, non poteva in alcun modo dolersi di eventuali vizi del medesimo, in quanto la diligenza che l’ordinamento presumeva egli possedesse avrebbe dovuto consentirgli di ravvisarli prima del perfezionamento dello scambio. Agli occhi del giurista moderno, la rigidità di tale costruzione appare evidente, giacché essa dava luogo a un ingiustificato vantaggio per i venditori, i quali erano pressoché totalmente affrancati da qualsivoglia responsabilità rispetto alle qualità del bene venduto. Peraltro, tale assetto disciplinare si giustificava in relazione alla concezione della vendita tipica della mentalità e dell’elaborazione giuridica romana. Il giurista romano, infatti, considerava la compravendita eminentemente quale contratto avente ad oggetto un bene specifico6, il cui trasferimento si perfezionava in presenza delle parti e, soprattutto, sulle cui qualità il venditore non poteva in alcun modo influire, trattandosi di una res specifica e non fungibile, normalmente non da lui costruita. La tutela del compratore nel diritto romano arcaico faceva essenzialmente perno sulla possibilità per costui di esaminare il bene prima del perfezionamento dell’acquisto, sicché – come si è accennato – sarebbe stato possibile riconoscere l’esistenza di eventuali vizi, in conseguenza dei quali l’emptor avrebbe potuto determinarsi a desistere dal contrarre ovvero a chiedere un adeguamento del prezzo in ragione del minor valore che la res possedeva a cagione dei difetti riscontrati7. Peraltro, tale “tutela” aveva carattere esclusivamente preventivo e, oltre a dipendere fortemente dal grado della diligenza effettivamente impiegata dal compratore nell’esaminare il bene, non era di alcuna utilità ove i difetti di questo non fossero visibili neppure con un’accurata ispezione ovvero si manifestassero esteriormente soltanto in un tempo successivo alla consegna. Se la regola di fondo addossava senz’altro al compratore il rischio circa le qualità della cosa venduta, il sistema romano era peraltro perve6 Si noti, infatti, come – secondo un’opinione accreditata – nel diritto romano, fino a tutto il periodo classico, la vendita di cosa generica non costituisse affatto un contratto tipico consensuale di vendita, ma venisse rivestita delle forme della stipulatio, i cui formulari solitamente prevedevano che il venditore si obbligasse a dare una cosa di qualità media traendola dal genus. Cfr., sul punto, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 121 ss.; A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 2. System des Kaufs nach gemeinem Recht, Leipzig, 1876, p. 331 ss. In argomento si vedano anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 nota 1 e, ampiamente, B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, Torino, 1925, p. 528 ss. 7 È bene notare subito la simmetria esistente fra il profilo rimediale che emergerà dallo ius honorarium degli edili curuli e le possibilità che il pensiero giuridico romano ricollega alla conoscenza da parte del venditore dei vizi della cosa: da un lato, sciogliersi dal vincolo o non dargli vita e, dall’altro, ottenere la riduzione del prezzo della compravendita in via successiva ovvero anticipata. 4 CAPITOLO PRIMO nuto gradualmente ad ammettere la possibilità di trasferire tale rischio in capo al venditore attraverso l’assunzione, da parte di quest’ultimo, della garanzia in ordine alla qualità del bene, mediante una stipulazione aggiunta e distinta rispetto al contratto di vendita. È stato, infatti, dimostrato8 come pattuizioni di garanzia riguardanti le caratteristiche della res che formava oggetto del contratto, lungi dall’essere eccezionali, erano in realtà diffuse nella prassi commerciale, la quale conosceva un nutrito elenco di formule impiegate a tal fine. Nell’epoca più antica, esse si atteggiavano quali dicta in mancipio o nuncupationes pronunciate all’atto della mancipatio, mentre successivamente fu adottato lo schema delle stipulationes accessorie al contratto di compravendita, con le quali il venditore garantiva l’assenza di determinati vizi o la presenza di date qualità9. Peraltro, tali formule non legittimavano affatto una pretesa del compratore alla consegna di un bene che possedesse le qualità promesse o fosse libero dai vizi in ordine ai quali la garanzia era stata concessa, bensì costituivano soltanto il fondamento di una richiesta risarcitoria per l’eventualità in cui la cosa si rivelasse priva delle qualità o delle specifiche caratteristiche oggetto della garanzia10. Si trattava, quindi, di una mera assunzione, da parte del venditore, del rischio circa la ricorrenza di determinate qualità del bene, del tutto coerente con l’assunto per cui costui non poteva assumere alcuna obbligazione riguardo alla sussistenza o meno di determinate qualità nel bene oggetto dello scambio11, potendo 8 Per tutti, É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, München, 1997, p. 165 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 353 ss.; R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p. 310. 9 Cfr. A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, cit., p. 458. 10 In questo senso V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 357; R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p. 310; H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München, 1969, p. 65 s. 11 La scienza giuridica romana non giudicava, infatti, possibile che l’accordo delle parti avesse ad oggetto anche le qualità della cosa venduta, giacché la stessa poteva essere contrattata soltanto nella condizione in cui si trovava. Il venditore, infatti, non avrebbe potuto obbligarsi a prestare una cosa avente caratteristiche diverse da quelle che il bene negoziato possedeva, in quanto si sarebbe obbligato a compiere una prestazione impossibile: in altre parole, la cosa su cui cadeva il consenso contrattuale poteva già possedere determinate caratteristiche ovvero non possederle, sicché nessun impegno obbligatorio del venditore era concepibile in ordine alla presenza di determinate qualità nel bene venduto. V. in proposito i rapidi cenni contenuti in G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 876 e ID., Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, ivi, 2004, I, p. 224. La tesi secondo cui l’accordo contrattuale non si estenderebbe alle qualità della cosa, la quale, una volta individuata temporalmente e spazialmente, comprende tutte le qualità da essa possedute, senza che le parti possano proporsi che l’oggetto abbia determinate qualità o LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 5 – al più – obbligarsi a corrispondere all’acquirente una somma di denaro per il caso in cui la res fosse viziata ovvero non presentasse le caratteristiche promesse12. La regola per cui il venditore era chiamato a rispondere dei vizi o delle mancanze di qualità della cosa soltanto ove avesse garantito riguardo alla loro assenza o sussistenza13 progressivamente venne ad ammorbidirsi in sede di interpretazione bonae fidei del contratto di compravendita, affermandosi la responsabilità dell’alienante anche con riferimento ai vizi dolosamente taciuti14, ma trovò un reale temperamento normativo soltanto in diritto classico, allorché furono introdotte l’actio ex empto e le azioni edilizie. Queste seconde risalgono, come noto, agli editti emanati dagli aediles curules, approssimativamente a partire dal II secolo a.C.15, con riferimento dapprima alle vendite di schiavi e successivamente di giunon abbia taluni difetti, è stata vigorosamente sostenuta anche dalla moderna dottrina. Nell’ampio novero degli AA. intervenuti nel dibattito, vanno ricordate le autorevoli prese di posizione di E. ZITELMANN, Irrtum und Rechtsgeschäft, Leipzig, 1879, p. 437 ss.; W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 1, Münster, 1948 e ID., Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, Darmstadt, 1975; L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, p. 11 ss., nonché i recenti contributi di M.J. SCHERMAIER, Die Bestimmung des wesentlichen Irrtums von der Glossatoren bis zum BGB, Wien, 2000, p. 661 ss. e P. REDEKER, Beschaffenheitsbegriff und Beschaffenheitsvereinbarung beim Kauf, München, 2012, passim. 12 É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 173 ss.; W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 57 s.; U. KORTH, Minderung beim Kauf, p. 22, ove si richiama C. BALDUS, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht, in Orbis Iur. Rom. (OIR), 1999, p. 32 ss. 13 Per tutti, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 353 ss.; H.H. JAKOBS, Gesetzgebung im Leistungsstörungsrecht, cit., p. 129. 14 Cfr. D. 19. 1. 13 pr.: «[…] si […] sciens [vitium] reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei […]». 15 Secondo taluni, i quali fanno leva su taluni passi plautini, la giurisdizione degli edili curuli potrebbe essere datata anche a partire dal III secolo a.C. (cfr., ad esempio, R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, Paris, 1930, p. 21 ss. e A. DE SENARCLENS, La date de l’édit des édiles de mancipiis vendundis, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, IV, 1923, p. 393 ss.; L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, Milano, 1994, p. 11 ss.). Per un’opinione più prudente, supportata dall’osservazione secondo cui i passi del Mercator, del Miles Gloriosus e della Mostellaria – cui si rifà la dottrina poc’anzi citata – si riferiscono con ogni probabilità al diritto greco (v. i rilievi di L. WENGER, Die Quellen des römisches Rechts, Wien, 1953, p. 224), è invece certa la vigenza dell’editto de mancipiis vendundis soltanto dal 168 a.C., potendosene trarre argomento da un passo di Aulo Gellio (Noctes Atticae, 17, 6, 2): in questo senso, per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 90 ss. Per É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 128 s., invece, le fonti non consentono di giungere ad una datazione attendibile dell’editto de mancipiis vendundis, potendo le testimonianze sicure essere anche di molto posteriori all’effettiva introduzione dello stesso. 6 CAPITOLO PRIMO menti16. All’edilità spettavano la cura annonae e la cura urbis, le quali contemplavano la vigilanza sui mercati; agli edili curuli spettava, inoltre, la giurisdizione in materia di contratti conclusi nei mercati17, sicché essi furono indotti a prestare a tali contratti una considerevole attenzione, la quale si tradusse anche nella concessione di speciali azioni volte a regolamentare gli scambi in maniera difforme dallo ius civile. Si venne creando, così, una branca dello ius honorarium18 costituita da un editto annuale19 il quale fu successivamente confermato negli anni successivi sino a divenire tralatizio e fu oggetto di complessiva sistemazione ad opera di Salvio Giuliano20. Tale editto comprendeva una vasta congerie di disposizioni, raccolte in varie rubriche, fra cui – ai fini della presente trattazione – rivestono speciale importanza quelle de mancipiis vendundis e de iumentis vendundis – le più risalenti nel tempo21 –, giac16 Per iumentum, secondo l’opinione dominante, si intendeva l’animale che dorso domatur (G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 76, ove si riporta la conforme opinione di Cuiacio): pertanto iumenta erano cavalli, asini, muli e tutti gli equini in genere. In realtà, questo secondo editto, almeno stando al tenore letterale dell’elogium, doveva applicarsi anche alle pecorae, come suggerito da D. 21, 1, 38, 5: «Idcirco elogium huic edicto subiectum est, cuius verba haec sunt: “quae de iumentorum sanitate diximus, de cetero quoque pecore omni venditores faciunto”». 17 Sulle competenze degli edili curuli si rimanda a M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, cit., p. 173 ss. e, oltre alle opere generali citate alla nota 1, alle specifiche trattazioni di F. SERRAO, Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime, in Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano. Atti degli Incontri capresi di Storia dell’economia antica (Capri, 13-15 ottobre 1997), Bari, 2000, p. 37 ss. e W. KUNKEL - R. WITTMAN, Staatsordnung und Staatspraxis der römischen Republik, II, Der Magistratur, München, 1995, p. 478. Si veda, inoltre, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 361. 18 Per vero, una parte degli interpreti (ad esempio, E. VOLTERRA, Un’ipotesi intorno all’originale greco del libro siro-romano di diritto, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, VIII serie, 1953, p. 30 ss.; ID., Intorno all’editto degli edili curuli, in Scritti in onore di Ugo Borsi, Padova, 1955, p. 1 ss.; ID., Ancora sull’editto degli edili curuli, in Iura, 1956, p. 141 ss.) ha messo in dubbio la riconducibilità degli editti edilizi allo ius honorarium, ma l’opinione è oggi nettamente minoritaria: sul tema v., infatti, M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, cit., p. 181; M. TALAMANCA, L’arra nella compravendita in diritto greco e in diritto romano, Milano, 1953, p. 40; A. GUARINO, L’editto edilizio e il diritto onorario, in Labeo, 1955, p. 295 ss.; ID., Ancora sull’editto edilizio, in Labeo, 1956, p. 352 ss. 19 Nelle pagine che seguono, la trattazione del diritto edilizio in materia di responsabilità del venditore per vizi materiali del bene sarà condotta unitariamente con riferimento sia all’Editto de mancipiis vendundis, più antico e notevolmente più ampio, sia a quello de iumentis vendundis. I riferimenti alla disciplina specifica di ciascun editto saranno tendenzialmente limitati ai punti di divergenza e alla precisazione dei rispettivi ambiti di applicazione. 20 L’attribuzione dell’opera di sistemazione dell’editto a Salvio Giuliano è anch’essa tralatizia, ma le fonti invero tacciono sul punto. Cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, Padova, 2000, p. 5. 21 Sul periodo di emanazione dell’editto e delle sue singole rubriche si rimanda senz’altro alla già citata approfondita trattazione di G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 90 ss., il quale aderisce all’opinione dominante secondo cui le fonti suffragano l’ipotesi che LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 7 ché tramite esse venne introdotto per la prima volta il principio della responsabilità oggettiva del venditore per i vizi occulti del bene venduto e vennero concesse actiones in factum intese a sanzionare la presenza di vizi: l’actio redhibitoria, volta a porre nel nulla lo scambio, e l’actio aestimatoria, diretta ad ottenere la riduzione del corrispettivo pagato. Tali provvedimenti, in primo luogo, imposero ai venditori l’obbligo di rendere noti22 gli eventuali vizi dello schiavo o dell’animale venduto previsti dall’editto23 e considerarono i contravventori oggettivamente responsabili24 nel caso in cui tali vizi si manifestassero posteriormente al le disposizioni inerenti al servus vitiosus fossero già state emanate nella prima metà del II secolo a.C. (con successive integrazioni), mentre la rubrica de iumentis vendundis risalirebbe alla seconda metà del I secolo a.C. 22 Sull’obbligo di denunzia del venditore nell’editto e la c.d. responsabilità ex reticentia cfr. M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, cit., p. 558 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 6 ss.; O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1927, p. 555 ss. (ora ristampata come ID., Das Edictum perpetuum: ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Pamplona, 2008); J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in rechtshistorischer Sicht, in Archiv für die civilistische Praxis (AcP), 2005, p. 68 s.; C. BALDUS, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht, cit., p. 35 ss.; R. ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., p. 311 ss.; in una prospettiva originale, v. le recenti ricerche di É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 127 ss.; EAD., Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, in M.J. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, München, 2003, p. 32; da ultima, si consulti N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano, 2004, p. 79 ss. 23 L’editto imponeva la dichiarazione non di tutti i vizi, ma soltanto di quelli espressamente contemplati. Costituivano vizi rilevanti ai fini dell’editto de mancipiis vendundis e, pertanto, dovevano essere dichiarati dal venditore: tutti i vizi corporali (cioè i difetti fisici, purché tali da limitare le abilità dello schiavo: G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 8), tre vizi dell’animo (ovvero l’essere il servus fugitivus o erro o l’avere costui tentato il suicidio) e tre vizi giuridici (servus noxa non solutus, schiavo reo di capitalis fraus o inviato a lottare contro le belve). Al venditore di iumenta era parimenti imposta la dictio dei vizi, la quale però – trattandosi di animali – non risentiva della distinzione fra vitia animi e vitia corporis. È opinione prevalente che l’elencazione dei vizi redibitori fatta dai due editti fosse tassativa e rappresentasse «una previa definizione degli interessi tutelabili dal tribunale edilizio» (così N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, Padova, 2007, p. 472, la quale conclude che «i margini per una valutazione in concreto diretta a dilatare le singole categorie e farvi rientrare anche ipotesi nuove erano piuttosto circostanziati»). 24 Il venditore rispondeva, infatti, dell’esistenza del vizio a prescindere dal fatto che fosse edotto o meno riguardo a questa: cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 6 s.; É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 32 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., 18 s. Si veda, nelle fonti, Cicerone, De officis, 3, 17, 71: «Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de furtis praestat edicto aedilium». L’opinione non era peraltro unanime fra gli studiosi meno recenti, taluni dei quali hanno spiegato la responsabilità in parola in termini di Rechtsirrtum (M. KASER, Das römisches Privatrecht, I, cit., p. 560 nota 52) o di Irrtumschutz (F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, Berlin, 1912, p. 30). 8 CAPITOLO PRIMO perfezionamento dello scambio. In tal modo, fu introdotta una forma di garanzia implicita per i vizi dello schiavo, la quale veniva meno soltanto ove il compratore avesse rinunziato alle azioni concesse, mediante un patto contemporaneo o successivo25, ovvero fosse stato a conoscenza del difetto ancorché non dichiarato26. La responsabilità dell’alienante non era fondata sul dato di fatto della obiettiva esistenza di vizi nel bene, bensì sorgeva soltanto ex reticentia qualora uno o più dei difetti previsti dall’editto si fossero concretamente manifestati pur non essendo stati dichiarati al tempo della vendita. Questo assetto fu voluto dagli edili al fine di reprimere le possibili frodi dei venaliciarii, cui concedeva facili scappatoie la disciplina di ius civile, la quale al tempo si limitava a concedere l’actio ex empto al solo compratore che fosse riuscito a dimostrare il dolo della controparte, ovverosia che questa fosse stata a conoscenza del difetto e avesse scientemente omesso di dichiararlo27. Con un inciso posteriore28, il testo edittale si spinse oltre nella tutela delle aspettative dell’emptor, concedendo le medesime azioni previste per il caso di violazione dell’obbligo di dichiarare i vizi anche nelle diverse ipotesi di false o inesatte dichiarazioni29 o promesse30 da parte del vendi25 D. 2, 14, 31: «Pacisci contra edictum aedilium omnimodo licet, sive in ipso negotio venditionis gerendo convenisset sive postea». 26 L’acquisto del bene viziato avvenuto nonostante la conoscenza del difetto da parte del compratore avrebbe dato luogo a una tacita rinunzia ai diritti spettanti a costui in ragione della presenza del vizio, sicché il venditore era ammesso ad esercitare la relativa eccezione al fine di sottrarsi alla responsabilità su di lui gravante. 27 Rendendosi doverosa la denunzia dei vizi, per il venditore non era più possibile sottrarsi alla responsabilità limitandosi a professare la propria ignoranza riguardo a questi: «[…] dummodo sciamus venditorem, etiamsi ignoravit ea quae aediles praestari iubent, tamen teneri debere. Nec est hoc iniquum: potuit enim ea nota habere venditor; neque enim interest emptoris, cur fallatur, ignorantia venditoris an calliditate» (D. 21. 1. 1. 2). 28 L’estensione della responsabilità del venditore di cui si sta per dire nel testo appare già compiuta nel periodo tardo-repubblicano: cfr. N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano, 2004, p. 141 nota 1. 29 Il novero delle dichiarazioni costituenti i c.d. dicta è puntigliosamente individuato da Ulpiano nel passo riportato in D. 21, 1, 19 pr.-2: esso comprende anche le semplici enunciazioni di qualità («quod verbo tenus pronuntiatum est»), a nulla rilevando il fatto che queste avvengano senza il ricorso a formule sacramentali (sicché danno luogo a dicta anche i nudi sermones). 30 Nello stesso passo citato alla nota precedente Ulpiano definisce altresì l’ampio perimetro delle promissiones, le quali comprendono così le formali stipulazioni come le pollicitationes (o nudae promissiones): in questo senso è chiaro l’insegnamento di M. KASER, Unlautere Warenanpreisungen beim römischen Kauf, in Festschrift für Heinrich Demelius, Wien, 1973, p. 129 s., ove si legge che dicta e promissa abbraccerebbero «alle förmlichen oder formlose Zusicherungen». LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 9 tore sulle qualità dello schiavo31, purché le stesse non fossero state fatte ad nudam laudem, ma si fossero tradotte in stipulationes o promissiones32. Inoltre, lo stesso ambito oggettivo di rilevanza dei difetti fu allargato: infatti, ai fini di tale successiva previsione furono rese rilevanti le promesse aventi ad oggetto qualsiasi qualità o mancanza di qualità dello schiavo, sia qualora vertessero su quelle in ordine alle quali l’editto prescriveva i dicta, sia ove avessero riguardo a caratteristiche diverse ed ulteriori33. La disciplina voluta dagli edili conobbe altresì una sorta di clausola generale volta a reprimere eventuali comportamenti diretti a frodare le disposizioni dell’editto, essendo concessa la relativa tutela nei confronti di chiunque «adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur»34. Come si è accennato poc’anzi, le due actiones concesse dagli edili al compratore a fronte della violazione degli obblighi così imposti al venditore sono state consegnate alla tradizione con i nomi di redhibitoria ed aestimatoria. L’esperimento della prima comportava l’imposizione all’attore-compratore, da parte del magistrato, dell’onere35 di redhibere36 lo schiavo o 31 Sulla responsabilità derivante in capo al venditore sulla base di dicta e promissa in ordine alle qualità del bene cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 366 s.; R. ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., p. 315; O. KALTER, Dicta et promissa. Die Haftung des Verkäufers wegen Zusicherungen für die Beschaffenheit der Kaufsache im klassischen römischen Recht, Utrecht, 1963, p. 40 ss.; É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 133 ss.; EAD., Cavere und Haftung für Sachmängel. Zehn Argumente gegen Berthold Kupisch, in É. JAKAB - W. ERNST, Kaufen nach römischen Recht. Antikes Erbe in den europäischen Kaufrechtsordnungen, Heidelberg, 2008, p. 134 s.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 26 ss.; L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, cit., p. 95 ss.; N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 141 ss. Per osservazioni generali sul punto, H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59. 32 Le promesse rilevanti al fine dell’insorgenza della responsabilità del venditore erano, pertanto, soltanto quelle in forza delle quali nasceva in capo al venditore un praestare oportere secondo il diritto civile: in questo senso già si esprimeva Cuiacio e sul punto è concorde la moderna dottrina romanistica (per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 26 e 29). 33 Si veda, per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 29. 34 L’esegesi del passo in questione (con il quale si chiude D. 21, 1, 1, 1) ha costituito per lungo tempo una questione assai controversa: nel testo si aderisce all’ipotesi interpretativa avanzata da G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 34 ss. e di recente sostenuta anche da L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, cit., p. 139 ss. Per É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 138 s. si tratterebbe, invece, di una mera “clausola di stile”. 35 Cfr. L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 47. 36 L’azione, infatti, non prende il nome dal fine che il compratore persegue attraverso il suo esperimento – ovvero la restituzione del prezzo o la liberazione dall’obbligo di corri- 10 CAPITOLO PRIMO l’animale, a fronte del cui adempimento il venditore era tenuto alla restituzione del prezzo37. La prestazione che incombeva in capo al compratore aveva carattere indivisibile e non poteva essere sostituita dall’eventuale rimborso del valore in denaro. L’azione, pertanto, era inesperibile in tutti i casi in cui la redibizione fosse divenuta impossibile per fatto dell’attore, come avveniva qualora il mancipium fosse morto per fatto di costui38, manomesso ovvero su di lui fossero stati costituiti diritti reali a favore di terzi. Al contrario, l’editto considerava avvenuta la redibizione ove questa fosse divenuta impossibile per fatto non imputabile al compratore, come accadeva ove l’animale o lo schiavo fossero morti per una circostanza casuale. sponderlo – ma dal comportamento che costituisce l’onere imposto all’emptor al fine di raggiungerlo. È in tal senso la chiara definizione ulpianea riportata in D. 21, 1, 21, secondo cui «redhibere est facere, ut rursus habeat venditor quod habuerit, et quia reddendo id fiebat, idcirco redhibitio est appellata quasi redditio». Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 239. Come correttamente avverte N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 507, la redibizione «rappresentava […] il mezzo per la realizzazione di un fine più complesso, cioè il ripristino della situazione precedente alla conclusione del contratto». 37 Secondo l’opinione che sembra godere di maggior credito (v. ancora G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 139 e p. 174 ss.; per una panoramica delle varie tesi si rinvia a V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 371 ss. e, più di recente, a L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘de mancipiis vendundis’, cit., p. 223 ss.), ove il venditore non avesse ottemperato all’obbligo di restituzione del prezzo pagato, sarebbe stato condannato in simplum (quanti ea res sit) in età classica, e in duplum nella Compilazione giustinianea. D. 21, 1, 45, che prevede la condanna in duplum, costituisce, peraltro, uno dei punti più controversi della dottrina dell’actio redhibitoria, sicché la riferita opinione è stata di recente sottoposta ad un pregevole vaglio critico da L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 1 ss. e particolarmente p. 22 ss. e da N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 308 ss. Si veda infra nel testo e in nota. 38 In tal caso, infatti, le fonti lo considerano vivo e non redibito (pro vivo habendus); sul tema della redibizione dello schiavo defunto, per fatto del compratore ovvero per causa a lui non imputabile, v. H. HONSELL, Mortuus redhibetur, in Festschrift für Peter Schwerdtner zum 65. Geburtstag, München, 2003, p. 575 ss.; P. MADER, Mortuus redhibetur? Eine Untersuchung zum aedilizischen Sachmängelrecht, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS), 1984, p. 206 ss.; R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p. 330 ss.; L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 39 ss., nonché l’ampia trattazione di R. LEDERLE, Mortuus redhibetur. Die Rückabwicklung nach Wandlung im römischen Recht, Berlin, 1983, passim. Di recente, nella nostra letteratura, si veda l’interessante rassegna storica sull’impossibilità della redibizione e sui principi accolti in proposito dai maggiori codici europei presente in E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 101 ss. e EAD., «Sinallagma rovesciato» e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2008, p. 95 ss. Sul perimento fortuito nella vendita di cosa viziata nel vigente diritto italiano può consultarsi R. OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata, Padova, 2004, passim. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 11 La restituzione del mancipium comportava anche l’onere di restituire «quod venditioni accessit»39, ovvero ciò che si fosse acquistato quale cosa accessoria dello schiavo40, gli acquisti in natura o in danaro effettuati dal medesimo nonché le relative azioni41. L’onere di restituzione del bene e degli accessori non costituiva, però, l’unica prestazione incombente in capo al compratore a seguito dell’esercizio dell’actio redhibitoria in quanto costui era altresì tenuto ad una prestazione pecuniaria in favore del venditore ove post venditionem il bene avesse subito deterioramenti a lui imputabili42. Il giudizio redibitorio comportava dapprima l’invito all’attore ad adempiere alle prestazioni ora menzionate e, a seguito dell’effettiva esecuzione delle stesse, l’esortazione al venditore convenuto alla restituzione del prezzo e degli accessori43, ove il medesimo fosse già stato pagato, ovvero alla liberazione dell’attore44, nel caso in cui non fosse stato ancora corrisposto45. Inoltre, egli doveva tenere indenne il compratore dalle spese necessarie per la cura dell’oggetto acquistato e da quelle non necessarie ma da lui stesso autorizzate46, purché sostenute dopo la litis con39 D. 21, 1, 23, 1: «Iubent aediles restitui et quod venditioni accessit et si quas accessiones ipse praestiterit, ut uterque resoluta emptione nihil amplius consequatur, quam non haberet, si venditio facta non esset». Anche con riferimento a tali accessori, l’impossibilità di restituzione derivante da fatto del compratore comportava l’impossibilità della condanna del venditore. 40 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 147 porta l’esempio del peculio in relazione allo schiavo che ne sia dotato ovvero del bambino rispetto all’ancella madre. 41 Cfr. A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 127. 42 D. 21, 1, 23, pr.: «Cum autem redhibitio fit, si deterius mancipium sive animo sive corpore ab emptore factum est, praestabit emptor venditori, ut puta si stupratum sit aut saevitia emptoris fugitivum esse coeperit: et ideo, inquit Pomponius, ut ex quacumque causa deterius factum sit, id arbitrio iudicis aestimetur et venditori praestetur. Quod si sine iudice homo redhibitus sit, reliqua autem quae diximus nolit emptor reddere, sufficiat venditori ex vendito actio». 43 Come bene osserva N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 506, «se il convenuto […] restituiva il pretium con gli accessori o liberava la controparte dal relativo obbligo si realizzava una situazione assimilabile sotto il profilo degli effetti finali a quella che si determinava, su un diverso piano, per contrarius consensus delle parti». 44 Secondo G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 152 tale liberazione non richiedeva una forma particolare, bensì poteva avvenire mediante qualsiasi modalità di remissione contemplata dal diritto positivo. 45 D. 21, 1, 25, 9: «Praeterea in edicto adicitur sic: “et quanta pecunia pro eo homine soluta accessionisve nomine data erit, non reddetur: cuiusve pecuniae quis eo nomine obligatus erit, non liberabitur”». 46 D. 21, 1, 27: «Debet autem recipere pecuniam, quam dedit pro eo homine, vel si quid accessionis nomine. Dari autem non id solum accipiemus, quod numeratur venditori, ut puta pretium et usuras eius, sed et si quid emptionis causa erogatum est. Hoc autem ita demum deducitur, si ex voluntate venditoris datur: ceterum si quid sua sponte datum esse proponatur, non 12 CAPITOLO PRIMO testatio, mentre le spese per gli alimenti allo schiavo non costituivano oggetto di un obbligo restitutorio in quanto dovevano ritenersi compensate dall’utilità procurata dal mancipium nel periodo di tempo trascorso presso il compratore47. Ove il venditore, convenuto nel giudizio redibitorio, non avesse ottemperato alle obbligazioni restitutorie su di lui gravanti, l’opinione maggioritaria ritiene che il giudice lo avrebbe condannato nel quanti ea res erit, come confermato da numerosi passi delle fonti48. Nella Compilazione, peraltro, si affermò la diversa regola per cui il resistente temerario avrebbe dovuto essere condannato a pagare il doppio del prezzo e degli accessori, mentre la condanna sarebbe rimasta in simplum in ordine agli interessi e al risarcimento degli eventuali danni provocati dalla cosa al compratore49. L’azione redibitoria poteva essere esperita soltanto entro sei mesi, decorrenti non già dalla scoperta del vizio50 bensì dalla consegna, ma computando soltanto i mesi utili, ovvero quelli durante i quali il compratore avesse avuto la possibilità di agire51. imputabitur: neque enim debet quod quis suo arbitrio dedit a venditore exigere. Quid ergo, si forte vectigalis nomine datum est, quod emptorem forte sequeretur? Dicemus hoc quoque restituendum: indemnis enim emptor debet discedere». Cfr. R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, cit., p. 317; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 153. 47 D. 21, 1, 30, 1: «Quas impensas necessario in curandum servum post litem contestatam emptor fecerit, imputabit: praecedentes impensas nominatim comprehendendas pedius: sed cibaria servo data non esse imputanda aristo, nam nec ab ipso exigi, quod in ministerio eius fuit». Gli interpreti (per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 153) negano che il compratore potesse legittimamente richiedere al venditore la restituzione delle spese sostenute per gli alimenti somministrati allo schiavo in quanto queste si sarebbero compensate con l’utilità che lo schiavo procurava al compratore nelle more fra l’acquisto e la redibizione, mentre le fonti paiono più decisamente fondare la compensazione sul mero fatto dell’essere lo schiavo in ministerio eius (sc. emptoris), sicché probabilmente deve concludersi nel senso che la restituzione delle spese per gli alimenti non fosse mai dovuta, neppure laddove il mancipium non si fosse rivelato di alcuna utilità per il compratore, anche a cagione dei vizi che lo attingevano. 48 Cfr. D. 21, 1, 23, 8 (nec amplius quam pretio condemnabitur); D. 21, 1, 31; ma anche, fuori sede, D. 5, 3, 20, 19, ove si legge: «[…] si res sit redhibita, hic utique et hereditaria est et pretium non veniet quod refusum est». Sul quantum della condanna e sulla classicità di D. 21, 1, 45 (ove la condanna è stabilita, come si dirà nel testo, in duplum), cfr. É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 232. 49 Sulla vicenda dell’interpretazione di D. 21, 1, 45 si rimanda senz’altro ai testi citati alla nota 37. 50 In questo senso, invece, R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 61 s., sulla scia di Cuiacio. 51 Non si computava, pertanto, il tempo durante il quale il compratore fosse stato assente dal suo domicilium ovvero absens reipublicae: L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 43 nota 9 e V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 369. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 2. 13 (Segue) L’actio quo minoris propter vitium o aestimatoria «Aediles aiunt52: “qui iumenta vendunt, palam recte dicunto, quid in quoque eorum morbi vitiique sit, utique optime ornata vendendi causa fuerint, ita emptoribus tradentur. Si quid ita factum non erit, de ornamentis restituendis iumentisve ornamentorum nomine redhibendis in diebus sexaginta, morbi autem vitiive causa inemptis faciendis in sex mensibus, vel quo minoris cum venirent fuerint, in anno iudicium dabimus”. […]». Così D. 21, 1, 38 pr. riporta la formula dell’editto perpetuo giulianeo, ove gli edili concedevano al compratore di giumenti affetti da vizi non soltanto la redibitoria, ma pure un’azione quo minoris (propter vitium), esperibile entro un anno53. La stessa azione, progenitrice dell’azione di riduzione del prezzo oggi vigente nel nostro e in molti ordinamenti europei, non è, invece, contemplata nella clausola dell’editto de manicipiis vendundis54, ma di essa si fa parola in taluni frammenti del medesimo, ove è indifferentemente appellata come azione quanto minoris55, quanti minoris56 ovvero aestimatoria57, tanto che lo stesso Ulpiano (D. 21, 1, 31, 1658) la considerava senz’altro applicabile anche con riferimento alle vendite di schiavi. 52 Il passo del Digesto riportato (D. 21, 1, 38 pr.) costituisce l’introduzione del secondo libro del commentario ulpianeo all’editto degli edili: ciò spiega la presenza della consueta formula “aediles aiunt”. 53 V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 380 s.; É. JAKAB, Diebische sklaven, marode Balken, cit., p. 34 s.; H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59. Anche in questo caso il computo del termine annuale entro il quale l’azione poteva essere esperita era condotto con riferimento all’anno utile, come chiarito alla nota 51. 54 Riprodotta in D. 21, 1, 1, 1: «Aiunt aediles: “qui mancipia vendunt certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto. Quodsi mancipium adversus ea venisset, sive adversus quod dictum promissumve fuerit cum veniret, fuisset, quod eius praestari oportere dicetur: emptori omnibusque ad quos ea res pertinet iudicium dabimus, ut id mancipium redhibeatur. Si quid autem post venditionem traditionemque deterius emptoris opera familiae procuratorisve eius factum erit, sive quid ex eo post venditionem natum adquisitum fuerit, et si quid aliud in venditione ei accesserit, sive quid ex ea re fructus pervenerit ad emptorem, ut ea omnia restituat. Item si quas accessiones ipse praestiterit, ut recipiat. Item si quod mancipium capitalem fraudem admiserit, mortis consciendae sibi causa quid fecerit, inve harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit, ea omnia in venditione pronuntianto: ex his enim causis iudicium dabimus. Hoc amplius si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, iudicium dabimus”». 55 Così in D. 21, 1, 19, 6; D. 21, 1, 31, 10-16; D. 21, 1, 43, 6; C. 4, 58, 2. 56 Si vedano D. 21, 1, 18 pr.; D. 21, 1, 31, 5; D. 21, 1, 38, 13; D. 21, 1, 47 pr. 57 Oltre al già citato D. 21, 1, 18 pr., compare in D. 21, 1, 43, 6; D. 21, 1, 44, 2 e D. 21, 1, 48, 2. 58 D. 21, 1, 31, 16: «Si quis egerit quanto minoris propter servi fugam, deinde agat propter morbum, quanti fieri condemnatio debeat? Et quidem saepius agi posse quanto minoris du- 14 CAPITOLO PRIMO Il silenzio serbato dalla clausola dell’editto più antico circa l’azione oggi comunemente conosciuta come estimatoria ha costituito fonte di gravi dubbi e perplessità circa la classicità dell’azione, dubbi i quali sono accresciuti dalla molteplicità di nomi utilizzati per riferirsi ad essa, dato che nel diritto romano classico l’esatta indicazione dell’azione che veniva proposta costituiva elemento cardine del processo59. Le riferite perplessità hanno portato la scienza romanistica a interrogarsi circa l’effettiva origine e il periodo d’introduzione dell’azione, addirittura inducendo il Monier60 a ritenere che la medesima fosse una creazione dei compilatori. Su questo aspetto, peraltro, conviene intrattenersi brevemente in quanto da esso si potranno trarre importanti indicazioni in ordine alla natura dell’azione in diritto romano, le quali potranno essere utilmente messe a partito nella comprensione dell’evoluzione storica dell’istituto. Ad avviso del Bechmann61 l’azione in parola sarebbe stata introdotta quale azione in factum esperibile soltanto nel contesto delle vendite di giumenti, per poi venire applicata analogicamente alle vendite di schiavi, una volta entrata nell’uso62. In un ordine di idee non molto dissimile, il Vincent63 ha sostenuto che soltanto l’editto de iumentis avrebbe conosciuto l’azione estimatoria intesa quale azione di arricchimento, volta a riequilibrare le prestazioni delle parti in ragione della diminuita utilità della cosa derivante dalla presenza del vizio, mentre la rubrica sulle vendite di schiavi avrebbe concesso soltanto un’azione risarcitoria, l’actio quanti emptoris intersit, diretta ad imporre al venditore una stipulazione di adeguamento del contratto. Altri64, ancora, ha avanzato l’ipotesi che i bium non est, sed ait Iulianus id agendum esse, ne lucrum emptor faciat et bis eiusdem rei aestimationem consequatur». 59 In questo senso V. ARANGIO RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 382. 60 R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 170 ss. La tesi del Monier non è rimasta senza seguito: si veda, ad esempio, F. SCHULZ, Classical roman law, Oxford 1951, p. 537 ss., il quale pure considera la quanti minoris un’azione introdotta da Giustiniano. L’opinione è stata vigorosamente contrastata da A. PEZZANA, Classicità dell’actio aestimatoria, in Arch. giur., CXL, 1951, p. 53 ss.; F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS), 1952, p. 234 ss.; A. GIFFARD, L’action édilicienne ‘quanti minoris’ (Dig. 21, 1, 38, pr.; 13, 14), in Rev. Hist. de Droit français et étranger, 1931, p. 682 ss. 61 A. BECHMANN, Der kauf nach gemeinem Recht. 1. Geschichte des Kaufs im romischen recht, Leipzig, 1876, p. 410 ss. 62 Secondo il Bechmann, questa tesi spiegherebbe l’assenza della previsione espressa dell’azione estimatoria nella clausola della rubrica più antica (D. 21, 1, 1, 1), in quanto essa non era concessa allorché l’editto de mancipiis fu emanato, e al contempo darebbe ragione dell’applicazione della stessa in varie parti del medesimo editto, ove si deve presumere fu aggiunta a cagione della sua intervenuta applicazione successiva in analogia con quanto concesso dall’editto de iumentis. 63 Cfr. H. VINCENT, Le droit des édiles. Études historique et économique des prescriptions édilicennes sur la vente et la garantie, Paris, 1955, p. 199 ss. e 210 ss. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 15 campi di applicazione delle azioni edilizie nell’editto più risalente non fossero coincidenti, in quanto l’actio redhibitoria avrebbe potuto essere esperita soltanto laddove il mancipium fosse affetto da morbus – da intendersi quale vizio di particolare gravità – mentre l’actio quanti minoris avrebbe potuto applicarsi sia per il caso più grave di morbus sia per l’eventualità di meri vitia65. Invero, malgrado le indubbie perplessità ingenerate dalla presenza di plurime denominazioni dell’azione e dalla previsione espressa della stessa soltanto nel contesto della clausola dell’editto posteriore, le ricostruzioni appena accennate sono apparse non fondate agli studiosi moderni66. Da un canto, infatti, la classicità dell’actio aestimatoria è confermata proprio dalla doppia denominazione, giacché appare assai improbabile che i compilatori abbiano inteso introdurre una nuova azione e le abbiano al contempo conferito denominazioni differenti67: ponendo attenzione al fatto che in un certo numero di luoghi al nome aestimatoria viene fatta seguire la locuzione «id est quanti minoris», può trarsi un argomento per suffragare la tesi della classicità del rimedio il quale, nato in età classica68 con il nome di actio aestimatoria – in quanto implicava la 64 Vedi O. KARLOWA, Römische 65 Si noti, incidentalmente, che Rechtsgeschichte, II, Leipzig, 1901, p. 1291 ss. il diritto greco conosceva un’azione di natura simile alla redibitoria, la quale era esperibile soltanto propter morbus (sul punto v. F. PRINGSHEIM, The greek law of sale, Weimar, 1950, p. 489 s.), sicché la tesi del Karlowa condurrebbe a ritenere che l’assetto di fondo della redibitoria nel diritto romano classico rispecchiasse quello del diritto greco. Tale ordinamento, però, non conosceva affatto un’azione simile all’aestimatoria: per tutti, D. MACDOWELL, The law in classical Athens, London, 1978, p. 139, ove si riferisce che, nel caso di compravendita di uno schiavo affetto da vizi non dichiarati dal venditore, il compratore poteva soltanto «[to] return the slave and demand his money back». 66 Si veda, infatti, la confutazione delle congetture degli interpreti citati convincentemente operata da G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 195 s. e 211 ss. Più di recente, cfr. altresì N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 ss., sulla cui opinione si dirà poco oltre nel testo. 67 In questo stesso senso, F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 243 s., il quale ritiene assai improbabile l’accadimento in quanto non vi è traccia, nella Compilazione, di un altro caso in cui un istituto di introduzione giustinianea abbia ricevuto una duplice denominazione; similmente, V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 384. 68 La classicità dell’azione è confermata dall’Aulo Gellio, il quale nelle Noctes Atticae, 4, 2, 5, riferendo l’opinione di Celio Sabino sui rapporti fra morbus e vitium, fa riferimento ad un giudizio in cui è richiesto il calcolo della diminuzione di valore di uno schiavo (quanto ob id vitium minoris fuerit), giudizio il quale non può che essere quello estimatorio. Se ne deve concludere che, almeno all’epoca del principato di Adriano e Antonino Pio, l’azione era conosciuta e applicata. Tale testo, assai noto, non è certo l’unico a suffragare la conclusione qui propugnata. Si vedano, infatti, nello stesso senso, C. 4, 58, 2 (cum proponas servum, quem pridem comparasti, post anni tempus fugisse, qua ratione eo nomine cum venditore eiusdem congredi quaeras, non possum animadvertere: etenim redhibitoriam actionem sex mensum tempori- 16 CAPITOLO PRIMO necessità dell’aestimatio69 –, è stato accolto nella Compilazione, ove se n’è in parte mutato il nome. D’altro canto, inoltre, l’idea secondo cui l’azione quanti minoris sarebbe stata introdotta per la prima volta nell’ordinamento romano attraverso il più recente editto de iumentis per poi essere estesa analogicamente ai casi regolati dall’editto sugli schiavi è smentita dal tenore letterale di quest’ultimo70, il quale sembra bensì ignorare l’azione nella clausola di apertura, ma fa ad essa espresso riferimento nella terza rubrica, e vi si riferisce senza porre alcuna distinzione fra morbus e vitium, come invece preteso dal Karlowa. Si può, dunque, concordare con l’opinione secondo cui le testimonianze riguardanti l’azione estimatoria suffragano l’idea della sua emersione a livello della giurisdizione edilizia attorno alla fine dell’età repubblicana, ovvero nello stesso periodo a cui si ritiene risalga l’estensione dell’azione redibitoria contro i dicta et promissa del venditore71. Verificata la classicità dell’azione e dimostratane l’applicazione anche alle vendite di mancipia72, la nostra attenzione deve volgersi a due questioni tra loro fortemente legate: da un lato, la ragione dell’assenza della previsione espressa della quanti minoris nella clausola dell’editto sugli schiavi e, dall’altro lato, l’origine di detta azione. A quest’ultimo proposito, merita senz’altro adesione la ricostruzione proposta dall’Impallomeni73, il quale – sulla scia del Pringsheim74 – ravvisa nell’azione de qua bus vel quanto minoris anno concludi manifesti iuris est), proveniente dalla Costituzione di Gordiano risalente all’anno 239 d.C., nonché D. 21, 1, 31, 5 e D. 21, 1, 31, 10 ove si analizzano i problemi derivanti dal concorso di azione redibitoria ed estimatoria ove al compratore o al venditore succedano più eredi (su questi ultimi testi cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 282 ss.). 69 Come si preciserà meglio infra, l’azione estimatoria comportava una stima dell’incidenza del vizio sul valore del bene in relazione al prezzo convenuto dalle parti, mentre la redibitoria si sostanziava in una mera condemnatio parametrata rigidamente al prezzo pagato o convenuto. 70 In questo senso v., infatti, O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, cit., p. 561 nota 4, sulla base del tenore letterale di D. 21. 1. 31. 16. 71 N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 s. 72 Così anche, nella letteratura germanica, pur con qualche diversità di accenti, H. HONSELL, Von den aedilizischen Rechtsbehelfen zum modernen Sachmängelrecht, in Gedächtnisschrift für Wolfgang Kunkel, cit., p. 59; ID., Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 73; É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 130 (la quale, pur sostenendo la tesi qui accolta, ritiene non possa raggiungersi alcuna ragionevole certezza circa l’esatta età di introduzione dell’azione in discorso); J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in rechtshistorischer Sicht, cit., p. 68 ss. 73 Vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 197 ss. 74 Cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 260 ss. Il Pringsheim, però, giunge alla non accettabile conclusione secondo cui l’aestimatoria sarebbe LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 17 un’azione di arricchimento, sorta quale evoluzione della redibitoria e concessa anche allorché quest’ultima non fosse più esperibile75. Pertanto, l’aestimatoria costituirebbe una trasformazione della redhibitoria dovuta alla considerazione che spesso nella pratica degli affari il compratore potrebbe avere interesse a trattenere il bene acquistato, nonostante il vizio che lo colpisce, a fronte di una diminuzione del prezzo che compensi la minore utilità o il minor valore del bene. Gli edili, in una prima fase, avrebbero concesso il rimedio caso per caso, invitando il giudice ad emettere una condanna pari all’aestimatio vitii nei confronti del venditore, e successivamente lo avrebbero accolto nell’editto, rendendolo non più eccezionale e accordandolo con una speciale disposizione seguita dalla formula processuale76. Una volta individualizzata, l’azione estimatoria è divenuta in tutto alternativa alla redibitoria77, almeno per il periodo di sei mesi in cui le due azioni concorrevano, mentre costituiva l’unico mezzo di tutela disponibile per il compratore dopo lo spirare del termine semestrale. Nella concezione romana, la quale era propensa a ritenere che il traffico mercantile non tollerasse garanzie eccessivamente protratte nel tempo, la concessione della quanti minoris costituiva un’eccezione accettabile proprio in quanto non era diretta a porre nel nulla lo scambio dopo un periodo di tempo ormai cospicuo, bensì soltanto a rimediare all’ingiusto arricchimento del venditore. Invero, le fonti suffragano l’ipotesi che l’azione estimatoria sia stata concessa dagli edili approssimativamente nel medesimo periodo in cui si fece strada l’applicazione del rimedio redibitorio nei confronti dei falsi stata fin dall’inizio prevista dalla clausola dell’editto de mancipiis vendundis insieme alla redhibitoria e non con un’apposita, successiva disposizione dello stesso editto (nello stesso senso O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, cit., p. 561). Tale conclusione è smentita dal fatto che il iudicium dabimus della clausola dell’editto (D. 21, 1, 1, 1) è riferito letteralmente alla sola redibitoria (contrariamente a quello contenuto in D. 21, 1, 38 pr., relativo all’editto sui giumenti). Non infirma quanto sostenuto D. 21, 1, 23, 5 (haec actiones quae ex hoc edicto oriuntur etiam adversus heredes omnes competunt) se solo si considera che l’edictum cui si fa riferimento non è – come vuole il Pringsheim – la sola clausola dell’editto (cioè D., 21, 1, 1, 1), ma quest’ultimo nella sua interezza. Peraltro, questa posizione del Pringsheim contrasta con il riconoscimento, fatto dallo stesso illustre Autore, per cui in un primo momento gli edili avrebbero concesso la sola redibitoria: si vedano, sul punto, le perplessità mostrate da V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 391. 75 Si ricordi, infatti, che l’actio redhibitoria poteva essere esperita soltanto entro sei mesi, mentre il termine per l’actio quanti minoris era di un anno (v. supra nel testo). 76 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 198 s. 77 Il iudicium dabimus di D. 21, 1, 38 pr., relativo all’editto de iumentis, vuole appunto suggerire l’alternatività delle due azioni. In tal senso, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 199. 18 CAPITOLO PRIMO dicta e promissa del venditore, attorno alla fine del I secolo a.C. Sia l’emersione del nuovo mezzo di tutela, sia l’ampliamento di quello più risalente oltre il primigenio ambito applicativo avvennero, pertanto, allorché la compravendita aveva ormai abbandonato le forme solenni delle epoche più remote per strutturarsi definitivamente quale contratto consensuale ad effetti obbligatori. Ciò spiega perché la clausola dell’editto più antico non faccia menzione dell’azione volta alla riduzione del prezzo, giacché questa si è imposta in una fase successiva rispetto alle applicazioni più risalenti del provvedimento riguardante i mancipia. Com’è stato acutamente messo in luce da una ricerca recente78, non è casuale che l’affermarsi dell’actio aestimatoria sia avvenuto contemporaneamente al mutare della natura della emptio venditio, giacché nella «più giovane azione edilizia si prende in considerazione la mancata realizzazione dell’assetto di interessi sottostante al contratto e […] assume rilevanza l’esigenza di garantire una certa proporzionalità, sul piano economico, tra le prestazioni principali dei contraenti»79. Allorché la compravendita viene definitivamente a strutturarsi quale contratto consensuale, in cui le forme solenni cedono il passo all’espressione della volontà delle parti, proprio quest’ultima acquista un rilievo decisivo, riverberandosi sulle stesse pretese azionabili dal compratore, il quale può esigere che il processo edilizio gli garantisca “un giusto equilibrio” tra la propria prestazione pecuniaria e quella della controparte, in relazione al valore della cosa oggetto del contratto. Proprio in quanto funzionale alla conservazione di tale equilibrio fra le prestazioni delle parti, il fulcro dell’actio aestimatoria è costituito dalla quantificazione dell’incidenza del vizio, la c.d. aestimatio vitii (o rei), sulle cui modalità di calcolo i giuristi romani hanno avuto nel tempo un atteggiamento che appare prima facie non sempre coerente80, ma che vedremo poter essere spiegato sulla base dei rapporti fra azione edilizia e 78 N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 518 ss. 79 Le parole fra caporali sono tratte da N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 519. 80 Tale apparente incoerenza induce U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 27 ad affermare l’inesistenza di una regola precisa per la Minderungsberechnung in diritto romano. Nella letteratura classica v. A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 163 ss. e G. HANAUSEK, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Waare nach römischem und gemeinem Recht mit besonderer Berücksichtigung des Handelsrechts, I, Berlin, 1883, p. 128. Come si vedrà a breve nel testo, l’apparente antinomia fra i testi della Compilazione può essere risolta sulla base dell’analisi dell’evoluzione storica dell’istituto. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 19 azione civile e del progressivo affermarsi dell’importanza della volontà contrattuale delle parti. Nella maggioranza dei testi confluiti nella Compilazione la stima del vizio è effettuata secondo un criterio oggettivo e assoluto, parametrandola al deprezzamento subito dalla res vendita in conseguenza della presenza del vizio81, senza che venga in considerazione il prezzo convenuto dalle parti82. La concreta liquidazione della somma di denaro che il venditore doveva restituire non soltanto era oggettivamente parametrata alla diminuzione del valore dello schiavo, senza considerazione del prezzo pagato dal compratore, ma – secondo un’opinione accreditata nella dottrina germanica83 – addirittura aveva subito un processo di standardizzazione, in esito al quale a ciascuna qualità o mancanza di qualità era ricollegata un’unità di valore, sicché la quantificazione della riduzione avveniva in maniera automatica attraverso l’applicazione di tali standards84. Peraltro, un’attenta lettura delle fonti rivela come il criterio oggettivo “assoluto” costituisca bensì la sicura base di partenza per l’aestimatio85, ma a esso i giuristi romani abbiano affiancato un temperamento volto a garantire che il compratore non si arricchisca indebitamente ai danni del venditore per effetto dell’esperimento dell’azione e, in particolare, che questa non comporti la condanna di quest’ultimo a una presta81 Si vedano D. 21, 1, 31, 16 (Si quis egerit quanto minoris propter servi fugam, deinde agat propter morbum, quanti fieri condemnatio debeat? Et quidem saepius agi posse quanto minoris dubium non est, sed ait Iulianus id agendum esse, ne lucrum emptor faciat et bis eiusdem rei aestimationem consequatur) e D. 21, 2, 32, 1 (Ergo et illud procedit, quod iulianus libro quinto decimo digestorum scribit. Egit, inquit, quanti minoris propter fugam servi, deinde agit propter morbum: id agendum est, inquit, ne lucrum faciat emptor et bis eiusdem vitii aestimationem consequatur. Fingamus emptum decem, minoris autem empturum fuisse duobus, si tantum fugitivum esse scisset emptor: haec consecutum propter fugam mox comperisse, quod non esset sanus: similiter duobus minoris empturum fuisse, si de morbo non ignorasset: rursus consequi debebit duo: nam et si de utroque simul egisset, quattuor esset consecuturus, quia eum forte, qui neque sanus et fugitivus esset, sex tantum esset empturus. Secundum haec saepius ex stipulatu agi poterit: neque enim ex una stipulatione, sed ex pluribus agitur). Sul punto, v. le osservazioni di H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 73 ss. e 86 ss. e U. VON LÜBTOW, Zur Frage der Sachmängelhaftung im römischen Recht, in Studi in onore di Ugo Enrico Paoli, Firenze, 1956, p. 494. 82 Per questo motivo, ad avviso di M. KASER, Das römische Privatrecht, I, cit., p. 558 s., l’azione estimatoria concessa dagli edili non darebbe luogo a una vera e propria riduzione del prezzo pagato quanto piuttosto a un rimborso parametrato alla diminuzione del valore del bene in ragione del difetto. 83 Cfr. W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 125 e É. JAKAB, Praedicere und cavere, cit., p. 10. 84 Rimaneva, però, salva la possibilità di una correzione della valutazione ove l’uso delle unità di valore conducesse ad esiti aberranti, secondo quanto si sta per dire nel testo. 85 Nello stesso senso, v. C. BALDUS, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht, cit., p. 44. 20 CAPITOLO PRIMO zione pari al prezzo convenuto, giacché ciò lo colpirebbe non soltanto nell’ingiustificato arricchimento ottenuto attraverso la vendita di una res viziata, ma pure nella sua possibilità di riappropriarsi di tale res, così producendosi conseguenze più gravi di quelle della stessa azione redibitoria86. Pertanto, sebbene la regola generale sia nel senso che la condanna debba essere pari alla diminuzione del valore di mercato della res, il criterio oggettivo viene mitigato al fine di evitare che esso possa condurre a richiedere al venditore il pagamento in favore del compratore di una somma pari o superiore al prezzo di vendita giacché, data la natura di azione di arricchimento della quanti minoris, essa non può tradursi in una condanna in misura tale da azzerare il prezzo dovuto, in quanto questo rappresenta il limite dell’arricchimento del venditore. Tale assetto trova una chiara manifestazione anche nella previsione inerente al plurimo esperimento dell’azione per differenti vizi del bene: in tal caso, infatti, l’editto ammette bensì il ripetuto esercizio dell’actio aestimatoria, ma sancisce che la somma delle condanne inflitte all’alienante non possa superare la misura del prezzo convenuto, come previsto nei citati D. 21, 1, 31, 16 e D. 21, 2, 32, 1. La Compilazione offre, però, l’esempio di almeno un passo in cui l’aestimatio vitii è condotta prescindendo totalmente dal criterio oggettivo “assoluto”, sembrando risolversi in un’indagine soggettiva volta a quantificare la somma da restituirsi da parte del venditore nella misura della differenza fra il prezzo convenuto e quello che il compratore sarebbe stato disposto a pagare ove avesse avuto contezza dell’esistenza del vizio. In particolare, in D. 19, 1, 13, pr.-187 la condanna è stabilita nella 86 Cfr. D. 21, 1, 43, 6, ove si dichiara esperibile l’azione estimatoria anche laddove la stessa comporti la condanna del venditore al pagamento di una somma pari al prezzo di vendita dello schiavo, ma si precisa altresì che «reddito mancipio pretium recipiatur»: su questo passo cfr. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 290 ss. e G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 204 s. 87 D. 19, 1, 13, pr.-1 adotta chiaramente un criterio di calcolo soggettivo, riferito a quanto il compratore avrebbe pagato se fosse stato a conoscenza del vizio: «Iulianus libro quinto decimo inter eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum. Item qui furem vendidit aut fugitivum, si quidem sciens, praestare debebit, quanti emptoris interfuit non decipi: si vero ignorans vendiderit, circa fugitivum quidem tenetur, quanti minoris empturus esset, si eum esse fugitivum scisset, circa furem non tenetur: differentiae ratio est, quod fugitivum quidem habere non licet et quasi evictionis nomine tenetur venditor, furem LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 21 minor somma che l’emptor avrebbe pagato ove fosse stato al corrente del difetto, ritenuta normalmente pari al rapporto fra il valore che la res avrebbe avuto ove non viziata e quello effettivo moltiplicato per il prezzo convenuto88: in tal modo la diminuzione del prezzo viene a coincidere con l’incidenza che il vizio possiede sul valore che le parti hanno attribuito alla cosa in sede di conclusione dello scambio. Tale passo, però, come suggerito anche dalla sedes materiae, pare riferirsi alla riduzione del prezzo conseguibile non già attraverso l’esperimento dell’azione edilizia, bensì a mezzo dell’azione contrattuale ex empto, la quale – in quanto azione di buona fede – era fortemente legata al regolamento di interessi che le parti avevano inteso raggiungere nella conventio sicché in essa trovava tutela proprio – potremmo dire – l’interesse del compratore alla conservazione della “proporzione” fra le prestazioni raggiunta nel contratto. Sull’argomento torneremo infra, nei paragrafi seguenti; per il momento, appare sufficiente notare come gli edili imponessero invece una parametrazione del quantum della riduzione che prescindeva dal prezzo pattuito. Un’apparente antinomia nelle fonti si ritrova altresì nell’individuazione del tempo con riferimento al quale doveva essere effettuata la stima del vizio al fine di quantificare la condanna del venditore. Infatti, sebbene nel Digesto la maggioranza dei passi89 faccia riferimento al momento della litis contestatio, se ne rinvengono altri, come la clausola dell’editto sui giumenti (D. 21, 1, 38 pr.) in cui la stima è connessa a quo miautem habere possumus». Il passo, contenuto nella sedes materiae dedicata all’actio empti, secondo G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 251 ss., doveva in origine essere riferito alle azioni edilizie. Sembra invece più corretto ritenere che la riduzione del prezzo qui contemplata sia quella ottenibile a mezzo dell’azione contrattuale: cfr. infra nel testo e, pur con diversità d’accenti, N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, cit., p. 462 nota 9. 88 In questo senso H. VINCENT, Le droit des édiles. Études historique et économique des prescriptions édilicennes sur la vente et la garantie, cit., p. 266 ss. e G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 203 (il quale però si esprime in senso dubitativo), sulla scia di A. HELLWEG, Über die Berechnung der Presiminderung bei der Actio quanti minoris, in Archiv für die civilistiche Praxis (AcP), 1876, p. 35 ss. 89 Si vedano, ad esempio, D. 21, 1, 31, 5 (quanti minoris is homo sit) e D. 21, 1, 38, 13 (si forte iugum mularum sit, quarum altera vitiosa est, non ex pretio tantum vitiosae, sed ex utriusque erit componendum, quanti minoris sit). Probabilmente nello stesso senso il già citato D. 21, 1, 43, 6, ove però si fa riferimento all’esperimento della quanti minoris il quale, però, sfoci nella redibitoria in quanto la stima del vizio supera il prezzo: «Aliquando etiam redhiberi mancipium debebit, licet aestimatoria, id est quanto minoris, agamus: nam si adeo nullius sit pretii, ut ne expediat quidem tale mancipium domini habere, veluti si furiosum aut lunaticum sit, licet aestimatoria actum fuerit, officio tamen iudicis continebitur, ut reddito mancipio pretium recipiatur». 22 CAPITOLO PRIMO noris cum venirent (sc. iumenta) fuerint, sicché parrebbe darsi rilevanza al momento della conclusione della vendita90, mentre Celio Sabino propendeva per il riferimento al tempo della condanna del convenuto, giacché solo in tale istante avrebbe potuto essere determinato l’effettivo arricchimento del venditore91. Peraltro, il contrasto delle fonti sembra essere indice di un progressivo affinamento della quanti minoris: in principio la magistratura edile, in conformità alla natura di arricchimento dell’azione in parola, doveva aver riconnesso la valutazione del vizio al tempo della conclusione del contratto, per poi progressivamente affermare la diversa regola per cui l’aestimatio vitii aveva quale riferimento temporale la proposizione dell’azione, regola che poi è stata recepita nel diritto giustinianeo92. 3. L’actio ex empto per i vizi della cosa e i rapporti con il sistema edilizio Come già si è ricordato in apertura del presente capitolo, alle importanti acquisizioni del diritto onorario appena descritte, per un certo periodo di tempo, ha fatto da contraltare una tendenziale indifferenza dello ius civile rispetto all’esigenza di tutelare gli acquirenti di cose che si rivelavano affette da vizi occulti o mancanti di determinate qualità93: la tutela del compratore, infatti, era fondamentalmente affidata a strumenti 90 Cfr. l’analisi di D. 21, 1, 38 pr. condotta in J.D. HARKE, Das neue Sachmängelrecht in rechtshistorischer Sicht, cit., p. 69 s. Nel senso della valutazione al tempo della conclusione del contratto di compravendita è anche F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 270. 91 Il pensiero di Celio Sabino è riferito dall’Aulo Gellio, Noctes Atticae, 4, 2, 5, ove la stima del vizio è riferita a «quanto ob id vitium minoris erit». Il passo è ritenuto non autentico da F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 269, secondo cui anche Celio avrebbe fatto riferimento a quanto minoris fuerit, mentre ne sostengono l’attendibilità, pur manifestando talune diversità di pensiero sull’evoluzione storica del profilo in discorso, O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II, cit., p. 1299 e G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 207. 92 Così, ancora, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 210, il quale richiama la diversa opinione di A. PEZZANA, Classicità dell’actio aestimatoria, cit., p. 60 ss. secondo cui il riferimento al tempo della conclusione del contratto e quello al momento della litis contestatio non porterebbero mai a risultati differenti dal punto di vista della stima del vizio. Si noti, per incidens, che tale opinione potrebbe trovare sicuro accoglimento ove la stima fosse sempre condotta attraverso il riferimento agli standards di valore di cui si è detto poco sopra nel testo, benché anche in tal caso non sia impossibile che mutamenti e oscillazioni del mercato possano portare a una revisione degli standards la quale si riverberi in valutazioni differenti a seconda del tempo a cui esse siano riferite. 93 Valga ancora una volta, per tutti, il riferimento a V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 354 ss. Nella recente manualistica cfr. M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 2006, p. 466. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 23 pattizi, consistenti in assunzioni di garanzia da parte del venditore in ordine alle caratteristiche della res che formava oggetto del contratto, rilasciate sotto forma di dicta in mancipio o nuncupationes pronunciate all’atto della mancipatio, o, in epoca più tarda, di vere e proprie stipulationes. Tale assetto venne a mutare, però, almeno a partire dalla metà del I secolo a.C., allorché nel contesto del iudicium empti venne introdotta l’actio ex empto propter vitium94, azione di buona fede che consentiva al compratore di convenire il venditore il quale, sapendo che l’acquirente attribuiva importanza determinante95 a una data qualità dell’oggetto o all’assenza di un vizio del medesimo e conoscendo che tale qualità non era invece presente ovvero che il vizio sussisteva, non informava il compratore della circostanza96. 94 Ne troviamo traccia in D. 19, 1, 4 pr.: «Si servum mihi ignoranti, sciens furem vel noxium esse, vendideris, quamvis duplam promiseris, teneris mihi ex empto, quanti mea intererit scisse, quia ex stipulatu eo nomine agere tecum non possum antequam mihi quid abesset», e in D. 19, 1, 13 pr.: «Iulianus libro quinto decimo inter eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum». Questo secondo passo è, però, ritenuto da taluni interpolato laddove concede l’azione ex empto quanti minoris: i compilatori, infatti, nella loro opera di fusione del diritto civile e del diritto onorario, attraverso la quale l’actio ex empto ha assunto la medesima causa petendi e i medesimi petita delle azioni edilizie, sarebbero pesantemente intervenuti sui testi di età classica (fra cui quello de quo) al fine di legittimare la sussunzione dei rimedi edilizi all’interno dell’azione ex empto, intesa quale azione generale volta a far valere la responsabilità oggettiva del venditore per i vizi occulti della cosa venduta. In questo senso già R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 154 s.; F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p. 154 e, nella nostra dottrina, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 ss. Sul punto, però, non vi è concordia di vedute: v. il paragrafo seguente. 95 Precisa, correttamente, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 242 che il fatto «che il compratore desse decisiva importanza all’assenza di un vizio era cosa presunta, per cui il venditore era sempre tenuto, perché considerato in dolo, allorché, conoscendo il vizio, non lo avesse denunciato». 96 Gli interpreti non sono concordi nel ravvisare il fondamento dell’esperibilità dell’azione ex empto da parte del compratore: secondo taluni, infatti, tale fondamento doveva essere ravvisato nel dolo del venditore, il quale – a conoscenza della decisiva importanza attribuita dal compratore alla presenza di determinate qualità o all’assenza di certi vizi – tacesse tali circostanze alla controparte (così G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 242); secondo una diversa ricostruzione, invece, la responsabilità ex empto non si fonderebbe sul dolo del venditore, bensì sull’inadempimento dell’obbligo di denunzia del vizio che incombe in capo a questi in forza del dovere di buona fede, data la riconoscibilità dell’errore del compratore (per tutti, A. BECHMANN, Der kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach gemeinem Recht, Leipzig, 1908, p. 191 ss.). 24 CAPITOLO PRIMO Tale azione, secondo l’opinione maggioritaria, si fondava sulla violazione dell’obbligo di buona fede in contrahendo97 da parte del venditore e, coerentemente, non poneva nel nulla il contratto, ma comportava soltanto l’obbligo di risarcire il danno patito dal compratore nella misura dell’interesse negativo98. Un simile assetto non ha, peraltro, avuto lunga vita giacché Ulpiano in D. 19. 1. 11. 399 scrive che «redhibitionem quoque contineri empti iudicio et Labeo et Sabinus putant et nos probamus», così riconoscendo che almeno dal I secolo d.C. nel iudicium empti fosse possibile domandare la redibizione, mentre una testimonianza giulianea100 ha indotto le più recenti indagini romanistiche101 a desumere che l’azione contrattuale potesse avere come oggetto altresì la riduzione del prezzo proporzionale al minor pregio della res vendita. A fronte di tale acquisizione, è necessario procedere ad analizzare i rapporti fra l’azione edilizia e quella civile al fine di comprendere le analogie e le differenze fra le medesime e verificare i caratteri dell’actio aestimatoria che la Compilazione ha accolto e consegnato alla tradizione. Il rapporto fra le azioni edilizie e l’actio empti esercitata per i vizi della cosa costituisce un tema classico della letteratura romanistica, all’interno della quale il dibattito non è tuttora sopito. L’opinione preva97 Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 239 ss. e F. PRINGSDas Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 240. Sulla responsabilità del venditore che abbia dolosamente taciuto i vizi del bene o l’assenza di qualità ritenute fondamentali dal compratore v. anche R. ZIMMERMANN, The law of Obligations, cit., p. 308 ss. 98 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 244 nel solco dei primi due Autori citati alla nota precedente nonché della tesi di F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p. 63 ss. 99 Sono favorevoli ad affermare la classicità del passo citato e di D. 19. 1. 11. 5: É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 40; EAD., Praedicere und cavere beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, cit., p. 232; M. TALAMANCA, voce Vendita (diritto romano), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, p. 445; D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadenersatzes, Köln-Graz, 1962, p. 140 ss. Contra, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 ss. e 265 ss. e W. FLUME, Zum römischen Kaufrecht, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS), 1934, p. 328 ss., ad avviso dei quali i testi in parola sarebbero stati pesantemente interpolati dai compilatori giustinianei. 100 Cfr. D. 19. 1. 13. pr.-1 già citato alla nota 87. 101 Si vedano, infatti, É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 38 ss.; L. VACCA, Ancora sull’estensione dell’ambito di applicazione dell’actio empti in età classica, in EAD., Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Materiali per un corso di diritto romano, Torino, 1997, p. 244 s.; H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 103 s. L’opinione non trovava invece seguito nella dottrina più risalente: per tutti, v. F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, cit., p. 249. HEIM, LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 25 lente nella dottrina pandettistica dell’Ottocento102, pur in un quadro ricostruttivo non del tutto omogeneo, tendeva a configurare una pressoché totale assimilazione fra i due ordini di rimedi già in epoca classica, inquadrando la responsabilità edilizia quale elemento naturale del negozio di scambio e assimilandone l’ambito di applicazione a quello dell’azione contrattuale di buona fede. In tale ricostruzione la responsabilità edilizia per i vizi della cosa era fatta derivare direttamente dal contratto, quale suo effetto naturale, e si affermava l’estensione delle azioni estimatoria e redibitoria alle compravendite aventi ad oggetto qualsiasi tipologia di bene. In particolare, i rimedi edilizi e contrattuali erano visti come concorrenti e il potere del giudice di pronunciare la redibizione o la diminuzione del prezzo convenuto all’interno del iudicium empti era spiegato quale manifestazione dilatata della condanna al risarcimento del danno103. Da questo quadro di fondamentale consenso si è allontanato per primo Moritz Wlassak, il quale ha posto l’accento della propria ricostruzione sulla specificità della giurisdizione spettante agli edili, limitata – come si è avvertito nel par. 1 – alle vendite di mancipia e di iumenta concluse nei mercati, al fine di mettere in dubbio la fungibilità fra rimedi edilizi e azione civile di buona fede104. Secondo Wlassak, l’azione civile avrebbe avuto un campo di applicazione diverso e distinto rispetto a quello delle actiones aediliciae, in quanto queste seconde avrebbero trovato applicazione soltanto alle compravendite di giumenti e schiavi concluse nei mercati, mentre la prima avrebbe potuto essere invocata per tutte le altre vendite: soltanto attraverso progressivi affinamenti e adattamenti giurisprudenziali dell’actio empti, sulla base dei medesimi presupposti e con effetti assimilati alle azioni edilizie, queste ultime sarebbero state estese oltre i limiti della giurisdizione speciale, finendo per determinare la trasformazione dell’«aedilitische Sonderrecht» in «gemeinen bür102 Cfr. B. WINDSHEID, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt am Main, 1906, p. 684 ss.; J. BARON, Pandekten, Leipzig, 1896, p. 530 ss.; ma v. anche G.F. PUCHTA, Vorlesung über das heutige römische Recht, Leipzig, 1855, p. 226 ss. Nella letteratura novecentesca ammettono, pur nel quadro di ricostruzioni non del tutto assimilabili a quelle della Pandettistica, l’esperibilità dell’azione ex empto propter vitium anche al di fuori dei casi di dolo, almeno a partire dal II secolo d.C., M. TALAMANCA, voce Vendita (diritto romano), cit., p. 445; H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 83 ss.; D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadenersatzes, Köln-Graz, 1962, p. 140 ss. 103 Cfr. B. WINDSHEID, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, cit., p. 685 ss.; J. BARON, Pandekten, cit., p. 530. Diversamente, G.F. PUCHTA, Vorlesung über das heutige römische Recht, cit., p. 226 ss. riteneva che actio empti e azioni edilizie costituissero rimedi cumulabili fra loro, sicché attraverso la prima poteva conseguirsi il risarcimento del danno mentre soltanto mediante l’actio redhibitoria concessa dagli edili il compratore poteva ottenere la risoluzione del contratto. 104 M. WLASSAK, Zur Geschicte der negotiorum gestio, Jena, 1879, p. 167 ss. 26 CAPITOLO PRIMO gerlichen Recht». Il risultato ultimo dell’evoluzione dell’azione civile sarebbe stato, pertanto, quello di un vero e proprio «Übergang honorarischer Sätze in das Civilrecht»105, attraverso il quale l’actio empti avrebbe consentito la sussunzione nello ius civile dei rimedi introdotti dagli edili per le vendite sottoposte alla loro giurisdizione particolare. Che l’azione contrattuale abbia costituito il mezzo attraverso il quale si realizzò la generalizzazione dell’applicazione delle azioni edilizie, superando il loro tradizionale ambito di applicazione, è tesi che deve, però, fare i conti con la natura di buona fede dell’azione in parola, con la quale è difficilmente conciliabile una diretta applicazione dei rimedi speciali106. Più in generale, inoltre, la dottrina romanistica dei primi anni del Novecento ha messo fortemente in discussione l’assunto secondo cui l’applicazione generalizzata di redhibitoria ed aestimatoria sarebbe stata raggiunta già nel periodo classico, in quanto tale conclusione si sarebbe posta in palese contraddizione con il reale tenore delle fonti e soprattutto con la considerazione che la responsabilità sancita dagli edili si basava sulla ricorrenza di cause di redibizione analiticamente individuate e insuscettibili di estensione al di fuori dell’ambito di applicazione dell’editto107. Invero, secondo questa corrente di pensiero, soltanto con la Compilazione giustinianea la responsabilità per i vizi della cosa avrebbe assunto le sembianze di naturale negotii diretto a garantire al compratore il diritto di porre nel nulla lo scambio o di riavere una parte del prezzo pagato in ragione dei vizi del bene acquistato, mentre in diritto classico i rimedi concessi dagli edili avrebbero avuto lo scopo di concedere un’eccezionale rilevanza all’errore del compratore circa talune qualità della cosa venduta108. La concessione dell’azione contrattuale per i vizi della 105 M. WLASSAK, Zur Geschicte der negotiorum gestio, cit., p. 168. In termini simili, benché partendo da un punto di vista ormai consapevole dei risultati della critica interpolazionistica, cfr. H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium, cit., p. 81 s. Sulla ricostruzione di Wlassak si leggano le pagine di N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 7 ss. 106 A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht, III, cit., p. 175. Sul punto v. anche M. KASER, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, cit., p. 177, il quale sottolinea come, nel contesto dell’actio empti, sarebbe stato al più possibile che il magistrato imitasse i contenuti delle azioni edilizie, ma giammai avrebbe potuto farne applicazione diretta. 107 Così F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p. 39. 108 Si veda ancora F. HAYMANN, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, cit., p. 39 e A. PEZZANA, Recensione a G. Impallomeni, L’editto degli edili curuli, in Iura, 1956, p. 261, il quale scrive di errore sulla determinazione causale, normalmente irrilevante. Contra, nel senso di una responsabilità oggettiva, cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 19 ss. e É. JAKAB, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, cit., p. 32 ss. sui quali v. infra nel testo. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 27 cosa, invece, avrebbe avuto luogo in un periodo più tardo e si sarebbe basata sulla sussistenza del dolus in contrahendo del venditore109. Più di recente, partendo dall’assunto ormai incontrastato secondo cui l’editto degli edili curuli avrebbe trovato applicazione per tutto il periodo classico soltanto alle vendite concluse nei mercati e aventi ad oggetto schiavi e giumenti, un’ampia parte della dottrina110 ha ritenuto che l’emptor, nell’eventualità in cui il venditore avesse taciuto i vizi della cosa venduta, avrebbe potuto esperire, da un canto, l’azione redibitoria o estimatoria, diretta ad assicurare lo scioglimento del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo pattuito, e dall’altro, l’actio empti, con la quale poteva ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto del dolo della controparte, nel limite dell’interesse negativo. La coesistenza dei due ordini di rimedi avrebbe consentito una tutela completa della posizione del venditore, poiché costui avrebbe potuto scegliere tra il conseguimento della redibizione o della riduzione del corrispettivo e l’ottenimento del risarcimento dei danni subiti in conseguenza della sussistenza del vizio111. Invero, anche quest’ultima ricostruzione sembra tradire una scarsa attenzione per l’ambito di applicazione e la specificità della iurisdictio degli edili, la quale aveva quale campo di applicazione le compravendite di schiavi e di animali concluse nei mercati. Almeno in principio, e con ogni probabilità sino a Giustiniano, soltanto rispetto a tali contrattazioni furono esperibili le actiones aediliciae, sicché deve concludersi che al di fuori di tale ambito di applicazione il compratore di cosa viziata potesse contare sul solo rimedio contrattuale di buona fede. Ne consegue che, nell’epoca classica e post-classica, non poteva affatto dirsi sussistente una concorrenza di rimedi edilizi e civili per le medesime fattispecie, ma – tutt’al contrario – il ricorso all’actio empti era possibile soltanto ove fosse esclusa l’applicazione delle disposizioni edilizie. Tale conclusione è, peraltro, confortata dai numerosi passi del Digesto in cui l’esperibilità dell’azione contrattuale di buona fede per i vizi della cosa venduta era affermata bensì anche per le vendite oggetto della regolamentazione edili109 È stato notato come una debolezza della tesi ora ricordata sia la sua inconciliabilità con il passo di D. 21, 1, 1, 1 in cui gli edili promettevano il loro iudicium anche per l’eventualità di dolo del venditore, giacché essa avrebbe dovuto costituire campo di applicazione dell’azione contrattuale. In tal senso N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 20, ove ampia ricostruzione del pensiero dell’Haymann. 110 Vedi, fra i tanti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 241 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 360; B. BIONDI, Studi sulle actiones arbitrariae e l’arbitrium iudicis, Palermo, 1912, p. 136 ss. 111 Per un’efficace ricostruzione del pensiero degli autori citati alla nota precedente si consulti N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 22 ss. e spec. p. 27, la cui impostazione critica, come si vedrà, è da noi accolta nel testo. 28 CAPITOLO PRIMO zia, ma soltanto con riguardo alle ipotesi in cui non fosse concretamente possibile il ricorso alle azioni redibitoria ed estimatoria112. Ne costituiva esempio l’esercizio dell’actio empti con riferimento alla responsabilità dell’alienante per la mancata dichiarazione dei vitia nei casi in cui il vizio non fosse riconducibile alle qualità elencate dall’editto: l’espressa enumerazione dei vizi rilevanti ai fini dell’editto comportava l’inapplicabilità dei rimedi di diritto onorario in tutti i casi in cui il vizio effettivamente manifestatosi non fosse compreso nel novero di quelli presi in considerazione dagli edili, sicché divenne progressivamente sempre più frequente il ricorso all’azione contrattuale, all’interno del cui giudizio era possibile un’ampia valutazione dei doveri incombenti sul venditore in forza della clausola di buona fede, tale da consentire la tutela delle legittime aspettative dell’emptor anche rispetto a qualità della cosa non contemplate dall’editto113. L’assetto di fondo non era destinato a cambiare neppure a seguito della concessione delle azioni edilizie anche per l’eventualità di false promesse o dichiarazioni circa le qualità della cosa venduta: invero, tali rimedi potevano essere esperiti in ogni caso in cui la res empta, al momento della conclusione del contratto, non presentasse le qualità oggetto delle promesse e delle dichiarazioni114 del venditore, ma non già allorché il contrasto fra i dicta e promissa del venditore e la condizione della cosa venisse a manifestarsi successivamente al perfezionamento dello scambio, salvo che tali difformità fossero la conseguenza di una condizione preesistente all’espressione del consenso contrattuale. Soltanto con Giustiniano l’ambito di applicazione delle azioni edilizie fu ampliato a tutte le compravendite, a prescindere dall’oggetto delle stesse: esse furono ricondotte all’interno del sistema dell’actio empti, la 112 Cfr. N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 37 ss. 113 Ne costituisce esempio significativo la concessione dell’azione ex empto relativamente alla vendita di schiavi affetti da vizi corporali non compresi nell’elencazione edittale (sui quali cfr. ancora N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, cit., p. 105 ss., ove ampia analisi dei passi contenuti in D. 21, 1, 9 e D. 21, 1, 3, e 324) ovvero da vitia animi, sulla cui rilevanza l’atteggiamento della giurisprudenza, almeno a partire dal periodo del Principato, era progressivamente di sempre maggiore chiusura. 114 Promesse e dichiarazioni che parrebbero rilevare anche se anteriori alla conclusione del negozio e non soltanto ove siano contestuali alla medesima, come sembra di poter dedurre da D. 21, 1, 20, ove il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale delle azioni redibitoria ed estimatoria è identificato nel giorno in cui si è verificata la promessa o il dictum (si vero ante venditionis tempus dictum intercesserit, deinde post aliquot dies interposita fuerit stipulatio, caelius sabinus scribit ex priore causa, quae statim, inquit, ut veniit id mancipium, eo nomine posse agere coepit), in contrasto con il principio per cui “contra non valentem agere non currit praescriptio”. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 29 quale venne a sommare in se stessa le caratteristiche dei rimedi edilizi e dell’azione civile. Come efficacemente descritto da Kaser115, l’esito di tale contaminazione fu quello di consentire al compratore, mediante l’esercizio dell’azione contrattuale, l’ottenimento – oltre che del risarcimento del danno – anche della riduzione del prezzo e della risoluzione del contratto. A seguito di tale approdo, l’azione civile venne ad ampliarsi «in estensione e arricchirsi in intensità»116, da un canto, venendo a comprendere anche le ipotesi in cui il venditore non fosse in mala fede riguardo alla presenza dei vizi e, dall’altro, inglobando in sé i rimedi edilizi, i quali videro il proprio ambito di applicazione esteso alla vendita di ogni tipo di merce117. 4. L’evoluzione dell’azione estimatoria nella vendita romana Prima di passare all’esame dell’evoluzione della riduzione del corrispettivo nel periodo successivo alla Compilazione giustinianea, merita sin d’ora precisare taluni punti che rivestono particolare importanza ai fini dell’identificazione dei tratti fondamentali dell’istituto e, in particolare, della sua funzione. Come si è accennato in fine del par. 2, la quantificazione della riduzione del prezzo conseguente all’esercizio dell’azione edilizia è tendenzialmente operata attraverso il riferimento a «quanto ob id vitium minoris [fu]erit», cosicché essa non sembra prendere in alcuna considerazione il valore attribuito alla res dalle parti, bensì soltanto quello oggettivo della stessa118. L’ammontare della decurtazione, infatti, prescinde da ogni considerazione attinente al valore soggettivamente attribuito alla res dalle parti, essendo rappresentato dalla differenza fra il valore obiettivo che la stessa avrebbe posseduto ove fosse stata integra e quello effettivo derivante dalla presenza dei vizi119. 115 Secondo l’autorevole studioso, infatti, in esito a tale evoluzione la menzione autonoma dei due rimedi edilizi rimase quale omaggio alla tradizione da parte dei compilatori: così M. KASER, Das römisches Privatrecht, II, München, 1975, p. 393 s. 116 Sono parole di C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, Milano, 1979, p. 423. 117 Sul punto v. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 397. 118 Così, infatti, H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 75: «Für die Klassiker war die Berechnung der Preisminderung ganz unproblematisch. Sie erstatteten dem Käufer die Differenz zwischen dem Wert der mangelhaften Sache und dem Wert, den sie im mangelfreien Zustand hätte». Sul punto v. altresì D. MEDICUS, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadenersatzes, cit., p. 123 s. 119 Nello stesso senso, v. U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 27, il quale scrive che in generale, con riferimento all’actio quanti minoris, «die Höhe des Erstattungsanspruchs 30 CAPITOLO PRIMO Allorché trattano della riduzione del corrispettivo ottenibile attraverso l’azione contrattuale, invece, le fonti paiono adottare un diverso approccio, che si riverbera in un differente criterio di calcolo. La diminuzione del prezzo conseguente all’esercizio dell’actio empti, infatti, è valutata sulla base dell’interesse specifico dell’acquirente e della volontà manifestata dalle parti nel contratto di vendita, come dimostra il fatto che essa è determinata tenendo conto del rapporto fra il pretium pattuito e il valore della merce. «Qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem»: così si esprime il già citato D. 19, 1, 13, pr.-1, con il quale si consente che, attraverso l’azione contrattuale, al compratore sia assicurata una somma di denaro pari al minor prezzo che egli avrebbe pagato qualora fosse stato al corrente dei vizi del bene. Com’è evidente, pur dovendosi fare fondamentalmente affidamento sulla formula dell’azione120, alla riduzione del corrispettivo risultante dal ricorso alla tutela onoraria e a quella ottenibile a mezzo dell’azione civile è attribuito un contenuto assai diverso che, da un lato, si riconnette alla differente rilevanza della volontà delle parti nell’economia dello scambio e, dall’altro, potrebbe essere indice di una diversa finalità pratica dei due rimedi. Sotto il primo punto di vista, infatti, è stato persuasivamente messo in luce121 come l’introduzione della quanti minoris nell’Editto sia sostanzialmente avvenuta nel medesimo periodo in cui la compravendita romana veniva ad assumere i caratteri di contratto consensuale ad effetti obbligatori, abbandonando le antiche forme basate sulla mancipatio e la traditio, e l’azione redhibitoria era estesa sino ad abbracciare anche le false dichiarazioni e promesse del venditore122. L’actio aestimatoria, pertanto, nasce proprio allorché la conventio fra le parti inizia a costituire il fondamento delle attribuzioni patrimoniali originate dalla compravendita, ma si struttura ancora quale azione volta principalmente a evitare ergebe sich aus einer objectiven Wertdifferenz», sicché la pretesa restituroria conseguente al suo esperimento è pari alla differenza fra il prezzo di vendita pattuito e il valore effettivo della res viziata. Così anche A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht. 3. System des Kaufs nach gemeinem Recht, cit., p. 161. 120 Così ancora H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, cit., p. 74. 121 Cfr. N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, cit., p. 462 e 518 s. 122 V. supra, par. 2. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 31 indebite locupletazioni e comportamenti fraudolenti del venditore più che a ristabilire l’equilibrio contrattuale perturbato. Sotto questo secondo punto di vista, il passo decisivo è compiuto nel contesto dell’azione contrattuale, laddove la conventio svolge un ruolo centrale e quanto si richiede al giudice è di intervenire sulla «mancata realizzazione dell’assetto di interessi sottostante al contratto»123, adeguando la prestazione pecuniaria non già secondo valori obiettivi ma allineandola all’importo del prezzo che il compratore avrebbe corrisposto qualora avesse conosciuto la sussistenza dei difetti della cosa. Peraltro, pur condividendo l’identificazione delle linee di sviluppo cui abbiamo appena fatto cenno, riteniamo che esse possano essere lette e spiegate in maniera più convincente. Invero, come suggerito da Cuiacio124 e Windscheid, sembra plausibile ritenere che il contrasto rintracciabile nelle fonti in ordine al contenuto – e, conseguentemente, alla funzione del rimedio estimatorio – sia più apparente che reale, potendo essere spiegato con il fatto che i frammenti più remoti «presuppongono la coincidenza del prezzo col vero valore della cosa»125. Invero, ove si consideri che, da un canto, l’economia di Roma antica non conosceva un processo produttivo industrializzato e, dall’altro, gli scambi presi in considerazione dall’Editto avevano riguardo a beni specifici e sostanzialmente non fungibili, discorrere – come oggi appare, invece, normale – delle eventuali divergenze fra valore reale e prezzo convenuto appare una superfetazione. Se si condivide tale osservazione, non può che dissentirsi dall’idea secondo la quale, in materia di riduzione del corrispettivo, l’esperienza giuridica romana non abbia assunto, anche al tempo di Giustiniano, un atteggiamento unitario126, riproducendo nella Compilazione la diversa strutturazione descritta poc’anzi. Al contrario, il Digesto testimonia di un approccio sostanzialmente coerente della giurisprudenza romana, evoluto e maturato nel corso del tempo. Se nelle prime applicazioni della quanti minoris, basate sulle regole dell’Editto, essa è vista operare quale mezzo di tutela contro comportamenti fraudolenti dei venaliciarii con riferimento a vendite in cui il 123 Cfr. N. DONADIO, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’‘emptio venditio’. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, cit., p. 519. 124 J. CUIACIUS, Cuiacii Opera, IV, Parisiis, 1784, p. 814. Contra, ACCURSIO, Glossa ordinaria, Venezia, 1606, p. 2129. 125 Cfr. B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit., p. 523 nota 1. 126 Così, invece, U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 29. 32 CAPITOLO PRIMO prezzo pattuito tendenzialmente coincide con il valore della res, nell’evoluzione successiva essa viene evocata anche al di fuori dei confini originari e, mettendo a frutto la mutata sensibilità nei confronti dell’importanza delle pattuizioni intercorse fra le parti e del risultato pratico che le stesse si propongono di raggiungere con la conclusione del contratto, generalizza altresì il contenuto dell’actio, identificandolo con la minor somma che l’emptor avrebbe pagato qualora avesse conosciuto il vizio. Tale somma coincide senz’altro con il minor valore effettivo del bene, qualora già il prezzo iniziale coincidesse con il valore della res esente da difetti, mentre in caso contrario scaturisce da una riduzione del corrispettivo convenuto proporzionale al rapporto fra i due valori. Ne consegue che l’antinomia fra le due differenti formule è soltanto apparente, costituendo soltanto un indizio nel senso dell’evoluzione dell’istituto. Peraltro, seppur apparente, tale contrasto ha un’origine letterale, sicché esso – sommandosi alle forti incertezze che hanno contrassegnato i rapporti fra tutele edilizie e azione contrattuale, di cui abbiamo detto al par. 3 – si è riverberato sull’elaborazione teorica successiva alla Compilazione, sino a giungere alle codificazioni moderne. 5. L’azione estimatoria fra Medioevo e ius commune Nel periodo medievale e nell’epoca del diritto comune, la tutela del compratore nei confronti dei vizi della cosa venduta permane in larga parte legata all’assetto tramandato dalla Compilazione giustinianea, ma è contrassegnato da talune lievi evoluzioni legate in modo particolare all’emergere dei diritti locali e all’influenza del diritto naturale. Una prima tendenza che si segnala è quella verso la progressiva sempre più pronunciata commistione dell’ambito applicativo dell’azione contrattuale e delle tutele edilizie, già iniziata in epoca alto-medievale127: benché permanga concordia circa l’invocabilità di queste ultime soltanto in relazione alle pattuizioni che comportino il trasferimento del diritto di proprietà a titolo oneroso128, le fonti testimoniano di un graduale abbandono dell’idea secondo cui le azioni onorarie hanno quale proprio campo 127 In argomento v. G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa, trad. it. a cura di P. Cappellini e M.C. Dalbosco, Padova, 1999, p. 65, i quali appunto rimarcano come in tale periodo la responsabilità per vizi del venditore venga «lentamente svincolata dai fondamenti […] tipici del diritto antico (ius civile, diritto edittale) e riunificata sotto un’unica fattispecie legale, il cui presupposto è generalmente indicato nel vitium». 128 J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, Colonia Allobrogum, 1762, ad D. 21, 1, 19, pr., n. 7; W.A. LAUTERBACH, Collegium Pandectarum, II, Tubingae, 1784, ad D. 21, 1, n. 4. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 33 d’elezione le sole vendite aventi ad oggetto i beni contemplati dall’Editto. A cagione della spiccata somiglianza degli apparati di tutela disegnati dai compilatori per l’azione contrattuale e per le azioni edilizie e nel quadro di vivaci discussioni circa l’esatta identificazione dell’assetto perseguito da costoro, si fa infatti strada la tendenza all’estensione delle seconde a tutte le compravendite129, a prescindere dalla res che ne costituisce l’oggetto130. Anche con riferimento ai difetti rilevanti ai fini della concessione della risoluzione e della riduzione del prezzo, pur rifacendosi fondamentalmente alle fonti romane, i giuristi dell’epoca del diritto comune incidono in maniera rilevante. Da un canto, essi ampliano la rilevanza dei vitia animi in relazione alle vendite di animali131 e, dall’altro, procedono a precisare il concetto di vizio redibitorio, ribadendo che questo rileva soltanto ove impedisca o diminuisca in maniera apprezzabile l’uso del bene132 e operando una valutazione concreta del pregiudizio subito dal compratore in conseguenza del difetto133. 129 In questo senso è emblematico il pensero di H. DONELLO, Opera omnia, X, Commentariorum in selectos quosdam titulos Digestorum volumen primum, Lucae, 1766, ad D. 21, 1, laddove il giurista francese distingue fra cause generali e cause speciali di redibizione, identificando queste ultime con quelle sancite dall’Editto in relazione alle vendite di schiavi e di iumenta, mentre quelle generali, relative a qualsiasi oggetto, consisterebbero nella presenza di vizi taciuti dal venditore o nell’assenza di qualità dichiarate esistenti, nella mancata prestazione della garanzia stipulatoria da parte del venditore o nella conclusione del pactum displicentiae. 130 J. CUIACIUS, Paratitla in Novem Libros Codicis Justinianei repetitae praelectionis, in ID., Cuiacii Opera. Pars prima, tom. 2, Venetiis, 1758, ad C. 4, 58, n. 7; J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 49. 131 P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, München, 2003, p. 73, il quale scrive che tale operazione è avvenuta «prendendo spunto sia dal fatto che nelle fonti romane, nel commento all’editto de jumentiis vendundis, non si limita specificamente la garanzia ai vizi fisici, sia da alcuni passi, in cui sembra venire in considerazione l’indole della bestia venduta», come D. 21, 1, 43 pr. 132 J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 7; H. DONELLO, Opera omnia, X, Commentariorum in selectos quosdam titulos Digestorum volumen primum, cit., ad D. 21, 1, c. 1301. Si consideri che, con particolare riferimento all’esperienza giuridica dell’area germanica, le fonti romane vennero sottoposte a interpretazioni restrittive, in coerenza con l’idea tipica del diritto di quei luoghi secondo cui la responsabilità dell’alienante per i vizi della res vendita dovesse essere rigidamente circoscritta. Tale risultato venne raggiunto, in particolare, esaltando il ruolo dell’ispezione del bene: il compratore, infatti, era onerato di una particolare cura nell’esame della cosa, espressione del generale principio “Caveat emptor”: in argomento, v. R. HÜBNER, Grundzüge des deutschen Privatrechts, Leipzig, 1930, p. 579. 133 In questo senso v. M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, Kiel, 1965, p. 63 s. 34 CAPITOLO PRIMO Un più pronunciato scardinamento dell’assetto giustinianeo ha avuto luogo, peraltro, proprio con riferimento all’aspetto che più interessa in questa sede, ovvero quello relativo ai mezzi di tutela posti a disposizione del compratore. Benché gli strumenti de quibus rimangano fondamentalmente l’actio ex empto e le azioni edilizie134, il corso del tempo porta in dote talune rilevanti limitazioni all’operatività della redibitoria e una rinnovata attenzione al profilo attinente al quantum della riduzione del corrispettivo ottenibile a mezzo dell’estimatoria. Sul primo versante, è interessante notare come – per l’operare congiunto delle discipline statutarie locali e delle influenze giusnaturalistiche – risoluzione e diminuzione del prezzo si evolvano progressivamente dalla pressoché totale alternatività dell’epoca romana verso un assetto che le subordina alla ricorrenza di presupposti in parte non coincidenti. Come noto, l’epoca medievale ha conosciuto una notevole fioritura di statuti locali, diretti in particolare a regolamentare con norme speciali le compravendite di animali concluse nei mercati pubblici135: in tali corpora normativi, trova accoglimento non soltanto una concezione rigorosa del vitium vicina a quella tipica del diritto consuetudinario tedesco136, ma altresì una diffusa tendenza a controbilanciare l’esclusione della risolubilità del contratto137 per i vizi meno gravi con la concessione dell’azione 134 Cfr. P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 85. 135 In argomento v. M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 18 ss. e H. COING, Europäisches Privatrecht. 1500-1800. Band I. Älteres Gemeines Recht, München, 1985, p. 451 ss. 136 Cfr. G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa, cit., p. 174 i quali richiamano l’affermazione di J. Schilter, secondo cui «la gravosa responsabilità prevista in via generale dall’“Editto” non trovava applicazione davanti ai tribunali tedeschi». Peraltro, ciò accadeva soltanto qualora con riferimento all’oggetto della vendita sussistessero particolari disposizioni statutarie, altrimenti trovando applicazione il diritto comune romano: sul punto, v. W.L. KLEMPT, Die Grundlagen der Sachmängelhaftung des Verkäufers im Vernunftrecht und Usus modernus, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz, 1967, p. 52. 137 A ciò si aggiunga il fatto che anche il termine entro il quale la redhibitoria può essere esercitata, pur normalmente identificato nei sei mesi imposti dalle fonti romane, è frequentemente ridotto a pochi giorni dalle regole statutarie. Peraltro, come notano M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 55 e P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 82, la limitazione temporale ha spesso mera sostanza probatoria, in quanto non infirma la possibilità di esperire le azioni edilizie ma inverte soltanto l’onere della prova della sussistenza del vizio al tempo della vendita. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 35 estimatoria138, alla quale pertanto è ascritta una più ampia area di operatività. In esito a tale evoluzione viene a profilarsi una nuova distinzione fra Hauptmängel, vizi di carattere più grave e di intensità tale da menomare qualsiasi interesse dell’acquirente nei confronti della cosa, che legittimano pienamente il ricorso alla tutela redibitoria, e Nebenmängel, vizi che diminuiscono il valore e l’utilità del bene senza renderlo inservibile, legittimando soltanto «un intervento del giudice per ristabilire l’equilibrio contrattuale»139. Nel pensiero giusnaturalistico, d’altro canto, istanze dirette a differenziare progressivamente la sfera di operatività dei rimedi concessi all’acquirente avevano cominciato a premere sull’interpretazione dei testi romani sulla base della preminente considerazione data all’interesse concreto del compratore. Con un’argomentazione che trova le proprie radici nel pensiero di Grozio140, gli studiosi successivi mettono in luce come l’accesso all’actio redhibitoria postuli l’inutilità della cosa per il compratore, il quale non l’avrebbe acquistata qualora fosse stato a conoscenza del vizio, mentre la quanti minoris è diretta a garantire che costui ottenga la restituzione della parte di corrispettivo che non avrebbe pagato ove fosse stato al corrente del difetto141. In ragione di ciò, l’acquirente è considerato legittimato a restituire la cosa e sciogliere il vincolo contrattuale142 soltanto qualora l’oggetto sia a tal punto viziato da dar luogo a un 138 Si vedano, infatti, M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 56 e P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 80 s., il quale ultimo scrive che nelle ipotesi di vitia diversi da quelli espressamente previsti dagli statuti ovvero di vizi contemplati ma rimediabili, si fa largo nella pratica «la tendenza a non lasciare il compratore completamente privo di tutela, ma a riconoscergli almeno l’azione per la riduzione del prezzo, anche in considerazione delle spese che deve sostenere per le cure dell’animale». 139 P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 81. 140 Cfr. A.M. HONORÉ, The History of Aedilitian Actions from roman to roman-dutch Law, in D. DAUBE, Studies on the roman Law of Sales, Oxford, 1959, p. 145, con riferimento a U. GROZIO, The Jurisprudence of Holland, I, trad. a cura di Lee, Aalen, 1953, p. 375. 141 In argomento, v. R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations, Oxford, 1996, p. 325 s. e P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 86 s. 142 Le conseguenze derivanti dalla domanda redibitoria sono le medesime che erano state identificate dalla giurisprudenza romana: da un canto, il compratore restituisce la res vendita, i suoi frutti ed accessori e, dall’altro, il venditore deve restituire il corrispettivo incamerato e gli interessi nonché rimborsare alla controparte le spese effettuate per il contratto (cfr. J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 21). 36 CAPITOLO PRIMO incommodum maximum143 mentre ove, nonostante il difetto, egli l’avrebbe comunque acquistata, giacché essa offre un’utilità, seppur deminuta, può fare ricorso soltanto alla tutela estimatoria144. In tale assetto, pertanto, la riduzione del prezzo viene ad assumere un ruolo assai rilevante, concorrendo con la redibitoria per i vizi più gravi e ponendosi quale rimedio essenziale al fine del “riequilibrio” delle fattispecie in relazione alle quali il difetto concretamente sussistente non sia tale da legittimare l’azzeramento dello scambio ovvero il termine semestrale per l’esercizio della tutela più radicale sia già trascorso. Proprio in considerazione del fatto che l’aestimatoria è concessa nelle ipotesi in cui compratore avrebbe comunque acquistato la cosa, anche qualora ne avesse conosciuta la reale condizione, ma avrebbe pattuito un prezzo inferiore, un’ampia parte degli interpreti identifica l’oggetto dell’azione nella somma corrispondente alla parte di corrispettivo che l’acquirente non avrebbe pagato145, così ricollegando la misura dell’aestimatio vitii all’incidenza proporzionale del vizio sul prezzo del bene, rifacendosi alla formula tramandataci con riferimento all’azione contrattuale romana. Tale tendenza non è rimasta, però, incontrastata, dovendo confrontarsi con quella, tipica della scuola del diritto naturale, verso l’interpretazione della garanzia per vizi quale mezzo di mantenimento di un’aequalitas di tipo oggettivo fra prestazione e controprestazione146: sulla base di simili considerazioni, i giusnaturalisti147 hanno identificato la riduzione 143 Così J. BRUNNEMANN, Commentarius in quinquaginta libros Pandectarum, I, cit., ad D. 21, 1, 1 e D. 21, 1, 21, ove riferisce dell’uso invalso di deferire all’acquirente, che intenda agire per la redibizione, il giuramento riguardante il fatto che egli non si sarebbe determinato a comprare la res qualora ne avesse conosciuto la difettosità. 144 Peraltro, come sottolineato da M. KLISCHIES, Die geschichtliche Entwicklung der Sachmängelhaftung beim Kauf beweglicher Sachen im deutschen Recht bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 67, l’estimatoria è ritenuta comunque esercitabile anche nel caso di vizio di rilevante gravità che legittimerebbe la domanda di risoluzione. 145 In tal senso si veda J. VOET, Commentarius ad Pandectas, I, Coloniae Allobrogum, 1769, ad D. 21, 1 n. 5. 146 G. WESENBERG - G. WESENER, Storia del diritto privato in Europa, cit., p. 174, i quali notano come tale approccio caratterizzi profondamente il giusnaturalismo razionalistico. 147 Cfr. ad esempio W.A. LAUTERBACH, Collegium Pandectarum, II, cit., ad D. 21, 1, n. 30. Nota, peraltro, P.M. VECCHI, La garanzia nella vendita in diritto comune, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, cit., p. 92 come tale concezione dei giusnaturalisti si ponga in dissonanza con l’opinione dei giuristi medievali, i quali propendevano per identificare nell’actio empti il rimedio diritto ad assicurare al compratore il pagamento di un prezzo parametrato sull’effettivo valore del bene (v. E. SCHRAGE, Die Gewährleistung beim Kauf im Mittelalter, in M. SCHERMAIER, Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewährleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, München, 2003, p. 63 ss.). LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 37 del prezzo cui ha diritto l’acquirente con la somma rappresentativa del minor valore obiettivo della res vendita. Tali divergenze sono soltanto in parte figlie del più volte evocato (apparente) contrasto fra le fonti, giacché proprio le varie correnti di pensiero hanno piegato il dato letterale ambiguo al fine di renderlo funzionale alla propria opzione di fondo. Ne consegue che, in questa stagione, l’elaborazione teorica non sembra concentrarsi sulla funzione e sul contenuto della quanti minoris, piuttosto asservendone l’inquadramento a più ampie scelte di fondo. Una maggiore attenzione alle questioni più squisitamente tecniche e un’analisi delle fonti meno influenzata dall’apriorismo connota, invece, l’elaborazione teorica successiva, che procediamo ad analizzare nei prossimi due paragrafi. 6. L’azione estimatoria da Pothier al code Napoléon e al codice civile italiano del 1865 Per l’influenza che ha avuto sulla codificazione civile francese e, di riflesso, sul codice civile italiano del 1865, l’opera di Robert Joseph Pothier merita una speciale attenzione, benché – come si dirà poco oltre – proprio in relazione all’azione estimatoria l’elaborazione del grande giurista d’Orleans sia stata parzialmente disattesa dal Code Napoléon. Per quanto attiene al sistema della garanzia per vizi, Pothier compendia i due distinti aspetti delle tutele edilizie e dell’azione contrattuale facendo ricorso a un’unica figura, l’obligation de faire avoir la chose utilement, il cui inadempimento legittima il compratore a risolvere il contratto, ridurre il prezzo ovvero chiedere il risarcimento del danno148. Così facendo, egli pragmaticamente affranca i mezzi di tutela conseguenti alla dazione di cosa viziata dalle difficoltà giustificative che ne connotavano le origini, ancorandoli saldamente sul terreno dell’inadempimento dell’obbligazione149. Ciò che interessa in questa sede, però, non è tanto il 148 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, Venezia, 1834, n. 202. 149 È appena il caso di sottolineare come tale reductio ad unum e la connessa scelta di fondare la giustificazione delle azioni edilizie e risarcitoria attraverso il riferimento al rapporto obbligatorio sia stata ritenuta dogmaticamente discutibile da una rilevante parte degli interpreti del XX secolo: per i rilievi che sono stati mossi a tale concezione v., ad esempio, W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf 2, cit., p. 46 ss.; L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 3 ss.; C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, cit., p. 423. Secondo quest’ultimo, peraltro, «l’operazione di Pothier […] sta a dimostrare come l’opera di sistemazione dogmatica talora disdegnata come adiafora e incapace di produrre esiti propri nella utilizzazione concreta degli istituti costituisca una 38 CAPITOLO PRIMO profilo attinente al fondamento della responsabilità del venditore, quanto piuttosto quello relativo ai presupposti della stessa e ai mezzi di tutela posti a disposizione dell’acquirente. Con riferimento al primo punto, Pothier afferma, da un canto, l’applicazione delle azioni edilizie a tutte le vendite150 e, dall’altro, la non completa coincidenza dei presupposti legittimanti l’accesso alla risoluzione e alla riduzione del prezzo, giacché – seppure in generale rimarchi che «ne’ medesimi casi e per le stesse cause per le quali compete l’azione Redibitoria, può aver luogo anche l’azione Estimatoria» – egli precisa altresì che quest’ultima compete al compratore anche «per altre cause per le quali non competerebbe» la prima, esemplificate con il riferimento a “pesi” che gravano sulla cosa e che, se fossero stati conosciuti dal compratore prima della conclusione del contratto, lo avrebbero indotto a pagare un corrispettivo minore151. In tal modo, la quanti minoris viene estesa anche ad imperfezioni dell’attribuzione patrimoniale che esulano dal concetto di “vizio materiale”, abbracciando fattispecie assimilabili a quelle cui fa riferimento il nostro attuale codice civile all’art. 1489152. Nel definire i contenuti dell’azione estimatoria, Pothier fa espresso riferimento all’obbligo del venditore di restituire al compratore (o di astenersi dall’esigere) una parte del prezzo pari a «quanto meno si giudicherà che il compratore avrebbe pagata la cosa se avesse conosciuti i vizii ed i pesi della cosa, per la quale è stata promossa l’azione»153. Nonostante l’assetto della garanzia per vizi del codice civile francese sia fortemente tributario dell’elaborazione del giurista di Orléans, proprio con riferimento all’azione quanti minoris si registra una divergenza fra il testo di legge e l’adozione del metodo di calcolo tramandato dalla formula recenziore del Digesto, che abbiamo visto essere operata da Pothier. L’art. 1644 c.c.f., infatti, sancisce che in presenza di vizi nella res vendita «l’acheteur a le choix de rendre la chose et de se faire restituer le prix, ou de garder la chose et de se faire rendre une partie du prix, telle qu’elle sera arbitrée par experts». In tal modo, il legislatore francese si delle componenti dalle quali dipende il modo specifico di atteggiarsi della soluzione del problema e rimanga perciò momento ineliminabile dell’attività del giurista» (p. 418). 150 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 7 s. 151 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, cit., p. 32. 152 Infatti, il giurista d’Orléans fa riferimento proprio all’ipotesi in cui l’immobile acquistato risulti gravato da una servitù prediale, rientrante nell’ampia nozione di «cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi» di cui all’odierno art. 1489 c.c. 153 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, cit., p. 47. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 39 esime dal prendere posizione in ordine al contenuto dell’azione e, addirittura, sottrae la determinazione della decurtazione al potere del giudice, ritenendosi comunemente che questi non possa sostituirsi agli esperti154. Sebbene anche il codice italiano del 1865 si distacchi dalla lezione di Pothier e non prenda un’esplicita posizione in ordine al contenuto dell’azione di riduzione del prezzo, l’art. 1501 c.c. 1865 consente al compratore di cosa viziata la scelta fra «rendere la cosa e farsi restituire il prezzo» e «ritenerla [e] farsi restituire quella parte di prezzo, che sarà determinata dall’autorità giudiziaria», senza imporre il ricorso all’ausilio peritale. Può, pertanto, ben dirsi che il codice francese del 1804 e quello italiano del 1865, che anche in materia di garanzia per vizi ne riproduce in larga parte i contenuti e le scelte di fondo, con riferimento alla quanti minoris assumano un atteggiamento di totale apertura nei confronti della sua estensione a ogni compravendita, a prescindere dall’oggetto della medesima, ma rinuncino a prendere posizione sul contenuto stesso del mezzo di tutela, operando un mero rinvio alla determinazione periziale o giudiziale, senza procedere all’individuazione dei criteri determinativi da applicare nello svolgimento di tale operazione155. 7. La Minderung negli ordinamenti austriaco e tedesco fra ABGB e BGB L’analisi della traiettoria storica che precede l’emanazione del codice civile italiano del 1942 non può prescindere dalla considerazione dell’elaborazione teorica dell’Ottocento di area germanica, caratterizzata da una pronunciata e feconda discussione su due importanti aspetti che rivestono particolare interesse in questa sede, ovverosia l’identificazione, da un canto, del rapporto sussistente fra il concetto di “vizio materiale” e quello di “errore” sulle qualità e correlativamente fra i rispettivi strumenti di tutela nonché, dall’altro, dell’“interesse” tutelato dall’actio quanti minoris. 154 Così, ancora di recente, Cass. fr., 10 novembre 1999, in Bull. Civ., 1999, n. 217. 155 Su questo punto si veda quanto si dirà nel corso del Capitolo 3. Peraltro, fin d’ora è opportuno avvertire che il legislatore francese ha modificato l’art. 1644 c.c.f. a mezzo dell’art. 10, Loi n° 2015-177 del 16 febbraio 2015 «relative à la modernisation et à la simplification du droit et des procédures dans les domaines de la justice et des affaires intérieures», il quale ha eliminato il riferimento alla determinazione da parte degli esperti. Al contempo, il Projet d’Ordonnance portant Reform du Droit des Contrats, du régime général et de la preuve des Obligations, presentato nei primi mesi del 2015 e di cui si prevede l’approvazione entro la fine del medesimo anno, prevede l’introduzione nel Code civil di una disposizione generale in materia di riduzione del prezzo (art. 1223) avente il seguente tenore: «Le créancier peut accepter une exécution imparfaite du contrat et réduire proportionnellement le prix. S’il n’a pas encore payé, le créancier notifie sa décision dans les meilleurs délais». 40 CAPITOLO PRIMO Prima di addentrarci nell’analisi di tali aspetti, però, è opportuno accennare allo sviluppo legislativo che già nel 1811 aveva condotto alla codificazione austriaca, la quale in materia di vizi materiali ha adottato le azioni edilizie tramandateci dalla tradizione romana, affiancandole però alla pretesa all’esatto adempimento mediante Verbesserung. Con specifico riferimento alla tutela estimatoria, il § 932 ABGB recupera parte delle tendenze del diritto comune, tracciandone un ambito applicativo differente rispetto a quello tipico della redibitoria: l’accesso a quest’ultima, infatti, è circoscritto ai soli casi più gravi, mentre allorché il difetto della res vendita non ne impedisca il normale uso il compratore deve contentarsi della riduzione del corrispettivo156. Il codice austriaco non prende, però, posizione circa i contenuti della riduzione del prezzo, limitandosi a sancire la possibilità dell’acquirente di ottenere una «angemessene Minderung». I fondamenti e la sostanza della riduzione del prezzo hanno costituito, invece, oggetto di approfondimento da parte di taluni dei più importanti giuristi germanici dell’Ottocento. Nella teoria dell’errore esposta nel System des heutigen Römischen Rechts, Savigny asserisce che, di regola, l’Irrthum im Beweggrunde non reagisce in alcun modo sull’efficacia e la validità della dichiarazione di volontà157, ma aggiunge che tale principio soffre un’eccezione proprio con riferimento alle azioni concesse al compratore in relazione ai vizi della cosa, le quali pertanto avrebbero il carattere di strumenti di tutela contro la decisione di concludere il contratto causata da una falsa rappresentazione della realtà158. In tale quadro, l’azione estimatoria è intesa come avente lo scopo di ridurre il corrispettivo pattuito sulla base dell’errore dell’acquirente sulle qualità della res vendita e quindi non è volta alla realizzazione del vermögensmäßige Interesse di costui – consistente nel fatto che la cosa possieda effettivamente le qualità che egli si era rap156 Cfr. § 932 ABGB (testo in vigore fino al 31 dicembre 2001): «(1) Ist der die Gewährleistung begründende Mangel von der Art, daß er nicht behoben werden kann und daß er den ordentlichen Gebrauch der Sache verhindert, so kann der Übernehmer die gänzliche Aufhebung des Vertrages, wenn hingegen der Mangel den ordentlichen Gebrauch nicht verhindert oder wenn er behoben werden kann, entweder eine angemessene Minderung des Entgelts oder die Verbesserung oder den Nachtrag des Fehlenden fordern. In allen Fällen haftet der Übergeber für den verschuldeten Schaden. (2) Eine unerhebliche Minderung des Wertes kommt nicht in Betracht». 157 F.C. VON SAVIGNY, System des heutigen Römischen Rechts, III, Berlin, 1840, p. 112 ss. e 354 ss. 158 Secondo Savigny, infatti, le azioni edilizie sono strettamente connesse «mit der Lehre vom Irrthum, worin er als positive Ausnahme erscheint von der Regel, nach welcher der Irrthum kein Einfluß auf die Gültigkeit der Verträge hat» (F.C. VON SAVIGNY, System des heutigen Römischen Rechts, III, cit., p. 358 s.) LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 41 presentato – né, pertanto, la determinazione del quantum della decurtazione può essere operata attribuendo al compratore le utilità equivalenti al suo Erfüllungsinteresse159. È appena il caso di notare come l’accostamento delle discipline in materia di vizi e di errore fosse già stato positivizzato dall’ALR prussiano del 1794, il cui § 329 (I, 5) faceva rinvio alla regolamentazione in materia di errore sulle qualità della cosa normalmente presupposte160 o espressamente pattuite fra le parti, contenuta ai §§ 81 e 82 (I, 4)161, in relazione all’ipotesi in cui la cosa venduta si rivelasse non conforme162. Tale scelta aveva, peraltro, innescato notevoli problemi di coordinamento fra le norme generali menzionate e quelle dettate per la garanzia in materia di compravendita giacché, da un canto, le prime sancivano l’invalidità della dichiarazione di volontà mentre le seconde presupponevano la vincolatività del negozio163 e, dall’altro, il rinvio in parola non conteneva alcun criterio che guidasse l’interprete nell’applicazione dei mezzi di tutela dichiarati applicabili. Ciò aveva condotto il Reichsgericht, dopo lunghe incertezze, ad affermare che la disciplina comune in materia di errore potesse (e dovesse164) essere invocata soltanto nel tempo anteriore alla consegna della cosa, ovvero allorché questa non fosse mai stata effettuata, mentre a seguito della traditio avrebbero trovato applicazione esclusiva delle regole speciali sui vizi165. Peraltro, l’impostazione adottata da Savigny, pur trovando un certo favore, non è rimasta indiscussa. Una diversa ricostruzione delle tutele edilizie, affrancata dal tema dell’errore, è offerta da Mommsen, secondo il quale esse debbono essere intese come volte a sanzionare la mancata informazione del compratore in ordine alle deficienze qualitative del bene. In particolare, pur essendo possibile un’espressa pattuizione in ordine a determinate caratteristiche, l’acquirente non potrebbe giammai vantare una pretesa in ordine alle qualità della res vendita, sicché le 159 Cfr. 160 Tali U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 31. qualità, peraltro, dovevano essere essenziali: cfr. F. FÖRSTER - M.F. ECCIUS, Preußisches Privatrecht, I, Berlin, 1892, p. 159. 161 § 81 (I, 5) ALR: «Irrthum in solchen Eigenschaften der Person oder Sache, welche dabey gewöhnlich vorausgesetzt werden, entkräftet ebenfalls die Willenserklärung». § 82 (I, 5) ALR: «Doch besteht dieselbe, wenn der Irrende durch eignes grobes oder mäßiges Versehen seinen Irrthum veranlaßt hat». 162 § 329 (I, 5) ALR: «Fehlen der Sache solche Eigenschaften, die dabey gewöhnlich vorausgesetzt werden, so finden die Vorschriften des vierten Titels §. 81. 82. Anwendung». 163 In questo senso, infatti, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 347. 164 Secondo la pronuncia del Reichsgericht di cui stiamo per dire, infatti, non si dava alcuna concorrenza fra tutele di diritto comune e azioni speciali in materia di compravendita. 165 Cfr. RG 11 maggio 1885, in RGZ 13, p. 281 ss. 42 CAPITOLO PRIMO azioni edilizie non sono dirette alla tutela dell’interesse an der Leistung der Kaufsache mit den zugesicherten Eigenschaften166, ma soltanto a consentire al compratore di non rimanere vincolato a un contratto formatosi sotto l’influenza di un comportamento scorretto del venditore167. In tale quadro il contenuto dell’azione quanti minoris è identificato con «eine verhältnismäßige Reduction des Kaufpreises»168, recuperando il criterio determinativo tipico dell’azione contrattuale romana169. Pertanto, nonostante il diverso fondamento ascritto alla responsabilità del venditore, Mommsen e Savigny sono concordi nel negare che l’azione sia funzionale rispetto al riconoscimento al compratore delle utilità che egli avrebbe potuto conseguire qualora il bene fosse stato privo di vizi e le riconoscono un identico oggetto, determinato in riferimento alla difettosità della controprestazione170. A entrambe queste ricostruzioni si oppone quella di Jhering, secondo il quale, mentre l’azione redibitoria – ponendo nel nulla il contratto – tutelerebbe l’interesse negativo del compratore, quella estimatoria sarebbe diretta a far valere il positive Vertragsinteresse171. Tale opinione, peraltro, è rimasta isolata giacché la maggior parte degli interpreti germanici della fine del XIX secolo è concorde nel ritenere che l’actio quanti minoris trovi il proprio fondamento nel fatto che il compratore ha pagato un determinato prezzo in ragione dell’aspettativa che la res vendita possedesse determinate caratteristiche o fosse esente da vizi, sicché esso risulta “sproporzionato” e irragionevole qualora tali caratteristiche non sussistano ovvero i difetti siano presenti172. 166 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem Interesse, Braunschweig, 1855, p. 280 ss. 167 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem Interesse, cit., p. 282: «das Aedilicische Edict beim Verkäufer keine Verpflichtung zur Präestation gewisser Eigenschaften, sondern nur die Verpflichtung zur Anzeige gewisser Mängel auflegt». 168 F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Erste Abtheilung: Die Unmöglichkeit der Leistung in ihrem Einfluß auf obligatorische Verhältnisse, Braunschweig, 1853, p. 197. 169 Infatti, secondo Mommsen, «das Recht der theilweisen Zurückforderung des Kaufpreises sich allein darauf gründet, daß der Käufer, wenn der Mangel angezeigt wäre, die Sache nicht zu dem bedungenen, sondern nur zu einem geringeren Preise gekauft hätte»: F. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht. Zweite Abtheilung: Zur Lehre von dem Interesse, cit., p. 282. 170 Nello stesso senso, nel quadro di un confronto fra le teorie di Mommsen e Savigny, U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 33, il quale così conclude: «Dann aber ist der Minderungsbetrag aus der Differenz zwischen dem vereinbarten und dem in Hinsicht auf die fehlerhafte Kaufsache hypothetischen, niedrigeren Kaufpreis zu ermitteln». 171 R. VON JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadenserstatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, p. 17. 172 Si veda, infatti, A. HELLWEG, Über die Berechnung der Preisminderung bei der actio quanti minoris, cit., p. 35 ss., laddove si legge: «Die actio quanti minoris geht nicht auf das LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 43 In questo senso si pronuncia Windscheid, il quale sostiene che «la ragione alla diminuzione di prezzo tende appunto alla diminuzione del prezzo d’acquisto, cioè della somma convenuta precisamente nella compra di cui è caso. Essa non tende alla rifusione del valore, che la cosa ha in meno per causa del vizio, giusta l’estimazione oggettiva»173. Come già abbiamo avuto modo di dire, secondo questo illustre Autore, il più volte ricordato contrasto esistente nelle fonti romane circa il contenuto dell’azione – che si riverbera nel criterio determinativo dell’aestimatio vitii e che numerosi problemi ha posto all’elaborazione dottrinale successiva – sarebbe sostanzialmente frutto del fatto che le fonti romane presuppongono la coincidenza del prezzo vero con il valore della cosa, sicché i risultati delle due formule – “quanti minoris res fuerit” e “quanto minoris empturus fuerit” – vengono a coincidere174. Il ruolo di rimedio volto a tutelare l’interesse del compratore alla prestazione sarebbe svolto, secondo l’opinione maggioritaria, dall’azione contrattuale, la quale nell’evoluzione teorica tende ad abbandonare i plurimi contenuti che la caratterizzavano nelle fonti romane, assumendo un connotato spiccatamente risarcitorio e venendo soppiantata – per quanto attiene agli effetti risolutori e alla riduzione del corrispettivo – dall’applicazione dei rimedi edilizi per tutte le compravendite, conformemente alla prevalente concezione del tempo, secondo cui siffatta estensione sarebbe stata già rinvenibile nel diritto romano post-classico e giustinianeo. Proprio alla ricostruzione propugnata da Windscheid si riallaccia sostanzialmente la codificazione civile germanica del 1896, il cui § 459 aF175, collocato in apertura dell’Untertitel intitolato alla Gewährleistung wegen Mängel der Sache, dispone che «Der Verkäufer einer Sache haftet dem Käufer dafür, daß sie zu der Zeit, zu welcher die Gefahr auf den Käufer übergeht, nicht mit Fehlern behaftet ist, die den Wert oder die Tauglichkeit zu dem gewöhnlichen oder dem nach dem Vertrage vorausgesetzten Gebrauch aufheben oder mindern» e correlativamente concede (§ 462 Erfüllungsinteresse, es soll durch sie dem Käufer nicht gewährt werden, was er haben würde, falls der Fehler oder der Mangel nicht vorhanden wäre, sondern sie geht nur auf die Minderung des Kaufpreises, d.h. der Gegenleistung; es soll dem Käufer vom Kaufpreis zurückerstattet werden, was er aus Unkenntnis des Fehlers zuviel gezahlt hat» (p. 40). 173 B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit., p. 523. 174 B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it. di C. Fadda e P.E. Bensa, cit., p. 523 nota 1. 175 Con l’abbreviazione “aF” (alte Fassung), di comune impiego nella letteratura tedesca, si intende fare riferimento – qui e in tutti i successivi luoghi del presente scritto – al testo della codificazione germanica precedente alla profonda riforma operata con la Schuldrechtsmodernisierung del 2002. Le disposizioni modificate o inserite con tale importante “novella” verranno invece indicate con l’abbreviazione “nF” (neue Fassung). 44 CAPITOLO PRIMO aF176) all’acquirente della res difettosa i rimedi della Wandlung e della Minderung177. Il BGB, pertanto, adotta le tipiche azioni edilizie, affermandone l’applicazione a tutte le compravendite, a prescindere dall’oggetto delle medesime, e concede – in alternativa a queste – l’azione risarcitoria (§ 463 aF) per i vizi dolosamente taciuti e per le carenze riguardanti qualità promesse. In forza del § 472 aF il compratore di cose viziate può ottenere una riduzione del corrispettivo pattuito nella misura del rapporto fra il valore della cosa viziata e quello che essa avrebbe posseduto ove fosse stata esenta da vizi. In tal modo, coerentemente con quanto suggerito da Windscheid, il legislatore germanico adotta un criterio relativo che possiede l’attitudine a regolare tutte le ipotesi, comprese quelle in cui fra il prezzo convenuto e il valore effettivo della res vendita non vi sia coincidenza. Può, pertanto, concludersi che l’ordinamento germanico ha portato a compimento non soltanto l’ampliamento dell’ambito di operatività delle tutele edilizie e la precisazione dei contorni dei rapporti fra queste e il rimedio risarcitorio, ma ha altresì superato il contrasto (apparente, come abbiamo visto) delle fonti in ordine al contenuto dell’azione estimatoria, propendendo per la sua determinazione in relazione al prezzo che il compratore avrebbe pagato qualora fosse stato conscio della difettosità dell’attribuzione patrimoniale del venditore. 8. La riduzione del prezzo nel vigente diritto italiano Nel confermare l’applicazione della riduzione del prezzo a tutte le compravendite, l’art. 1492 del codice civile italiano del 1942 si è sostanzialmente posto in una linea di piena continuità con la codificazione previgente. Peraltro, contrariamente a quanto accaduto nell’esperienza ger176 § 462 aF: «Wegen eines Mangels, den der Verkäufer nach den Vorschriften der §§ 459, 460 zu vertreten hat, kann der Käufer Rückgängigmachung des Kaufes (Wandelung) oder Herabsetzung des Kaufpreises (Minderung) verlangen». 177 Peraltro, anche prima della Schuldrechtsmodernisierung del 2002, il § 480, I, BGB concedeva al compratore di cosa generica il diritto di pretendere, in alternativa alle ordinarie azioni redibitoria ed estimatoria, l’esatto adempimento mediante sostituzione del bene (Nachlieferung). Ma sulla ratio di tale differenziazione e sull’esclusiva applicazione della disposizione richiamata con riferimento al Gattungskauf, cfr. STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 480, 12. Aufl., Berlin, 1978, passim; K. HERBERGER, Rechtsnatur, Aufgabe und Funktion der Sachmängelhaftung nach dem Bürgerlichen Gesetzbuch, Berlin, 1974, p. 95 ss.; PALANDT/H. PUTZO, sub § 480, 61. Aufl., München, 2002, passim. Nella nostra letteratura, per un’agile sintesi dei diversi assetti vigenti in Germania prima e dopo la Schuldrechtsmodernisierung del 2002 e informazioni sul dibattito che ha condotto al superamento dell’articolazione originaria, cfr. C. RINALDO, La sostituibilità del bene nella vendita di species al consumatore. Italia e Germania: due ordinamenti a confronto, in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 533 ss. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 45 manica, il nostro legislatore non ha preso posizione in relazione al delicato problema inerente all’oggetto della quanti minoris e, pertanto, alla quantificazione della decurtazione del corrispettivo, cui la disposizione non dedica alcun cenno, essendo altresì venuta meno l’indicazione secondo la quale questa avrebbe dovuto costituire oggetto di determinazione da parte dell’autorità giudiziaria (art. 1501 c.c. 1865). Il codice attualmente vigente ha sostanzialmente adottato lo strumentario di tutele del compratore nei confronti dei vizi della res vendita che già caratterizzava la garanzia contemplata dalla codificazione abrogata, attribuendo a costui l’alternativa fra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo e confermandone l’applicazione a ogni compravendita, a prescindere dall’oggetto della medesima. Al contempo, il rimedio178 estimatorio è stato apertis verbis impiegato non soltanto per disciplinare le conseguenze dell’evizione parziale (art. 1484 c.c.)179, ma altresì le fattispecie di parziale altruità della cosa 178 Come noto, quella rimediale è una categoria che è pervenuta agli ordinamenti continentali da quelli di common law, presso i quali il “rimedio” è inteso quale strumento di soddisfazione di un bisogno di tutela, per lo più legato al verificarsi di una violazione di un interesse riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico (cfr. S. MAZZAMUTO - A. PLAIA, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012, p. 1 ss.; A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, p. 341 ss.; ID., La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 13 ss.; F. PIRAINO, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, p. 178 ss.). L’adozione dell’ottica rimediale, secondo i suoi più autorevoli sostenitori, si traduce nell’idea secondo cui «dominante è l’aspetto riguardante la disponibilità del rimedio (in occasione di un torto ricevuto) mentre l’interesse protetto ne rappresenterà soltanto il posterius (ubi remedium ibi ius)» (A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., p. 15). È, peraltro, opportuno avvertire sin d’ora come il termine “rimedio” nella presente trattazione non verrà impiegato nel senso stretto e tecnico in cui viene utilizzato, fra gli altri, dagli Autori citati poc’anzi giacché, da un canto, la presente ricerca si pone quale obiettivo non soltanto la complessiva indagine della riduzione del prezzo in sé e per sé considerata ma altresì quello di porre in luce la forte omogeneità delle singole fattispecie di lesione di interessi protetti che consentono di esercitare l’“azione” estimatoria e, dall’altro, quest’ultima forma di tutela è storicamente estranea proprio agli ordinamenti nei quali si è formata la categoria rimediale, sicché potrebbe apparire improprio assumere tale ottica nell’analisi di un tema squisitamente tipico della tradizione giuridica continentale. Sia pertanto consentito l’impiego del termine “rimedio” nel corso della presente trattazione quale mero sinonimo di “forma di tutela” o “mezzo di tutela”, emancipato dall’adozione di una categoria imperniata sulla riconosciuta precedenza del rimedio rispetto al diritto. 179 Invero, già l’art. 1493 c.c. 1865 prevedeva, in relazione a questa ipotesi, il diritto del compratore al “rimborso” di una parte del prezzo pagato («Se nel caso di evizione di una parte del fondo venduto non si è sciolta la vendita, il compratore sarà rimborsato dal venditore del valore della parte colpita dall’evizione secondo la stima al tempo dell’evizione, e non in proporzione del prezzo totale della vendita, tanto se la cosa venduta sia aumentata, quanto se sia diminuita di valore»). Tale disposizione, peraltro, adottava esplicitamente un metodo di determinazione della parte di corrispettivo da restituire che si ispirava ai c.d. criteri assoluti (cfr. in argomento il par. 2 del Capitolo 3). 46 CAPITOLO PRIMO venduta (art. 1480 c.c.) e quelle in cui sussistano oneri o diritti di terzi che limitano il godimento del bene da parte dell’acquirente (art. 1489 c.c.)180. Anche con riferimento a tali fattispecie, però, non è stata dettata una precisa metodologia di computo della riduzione, né si è provveduto a disciplinare il contenuto dell’azione di danni con essa concorrente. Alla normativa codicistica, in tempi ormai non più recenti, si sono aggiunti due importanti provvedimenti caratterizzati da un campo di applicazione speciale, i quali hanno dettato una regolamentazione settoriale proprio con riferimento alla responsabilità del venditore per difetti della cosa, discostandosi sotto molti aspetti dalla disciplina comune della vendita regolata dal codice civile. Il primo di questi provvedimenti, che del secondo ha costituito l’archetipo e la principale fonte ispiratrice, è costituito dalla Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, in materia di contratti di compravendita internazionale di merci181. Tale convenzione appresta una disciplina articolata dei contratti di compravendita di beni mobili conclusi fra parti aventi la loro sede d’affari in Stati differenti (art. 1, comma 1 CISG) e diretti a soddisfare finalità estranee al consumo finale (art. 2 CISG) e contempla una dettagliata e unitaria regolamentazione delle fattispecie di inadempimento delle parti, imperniata – per quanto specificamente attiene al venditore – sull’obbligo di consegnare beni conformi alle pattuizioni contrattuali e sulla previsione di un apparato di mezzi di tutela del compratore che arricchisce la tradizionale alternativa fra risoluzione del contratto (art. 49 CISG) e riduzione del prezzo (art. 50 CISG) con l’espressa previsione del diritto all’adempimento, alla sostituzione o alla riparazione della cosa (art. 46 CISG), alla sospensione dell’esecuzione (art. 71 CISG) e al risarcimento del danno (art. 45 e artt. 74 ss. CISG). Il secondo provvedimento intervenuto in materia sul finire del secolo scorso è rappresentato dalla dir. 1999/44/CE182, che costituisce una 180 Con riferimento all’ipotesi in cui il fondo alienato fosse gravato da servitù non apparenti non dichiarate, l’art. 1494 c.c. 1865 prevedeva che qualora queste fossero «di entità tale da far presumere che il compratore, ove ne fosse stato avvertito, non lo avrebbe comprato, egli può domandare lo scioglimento del contratto, quando non prescelga di contentarsi di un’indennità». Com’è immediato riconoscere, il legislatore del 1865 faceva riferimento al concetto di “indennità”, senza precisarne le modalità di calcolo, ma soprattutto disciplinava soltanto una ben precisa fattispecie di limitazione del godimento – consistente nella presenza di servitù prediali non dichiarate – attinente a un “fondo”, e non a qualsiasi tipologia di res vendita. 181 Intendiamo riferirci, ovviamente, alla “United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods”, adottata a Vienna l’11 aprile 1980 e ratificata dall’Italia con legge 11 dicembre 1985, n. 765. D’ora innanzi tale testo normativo sarà citato come “CISG” o come “Convenzione di Vienna”. 182 Si tratta della dir. 1999/44/CE del 25 maggio 1999 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a «taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», che gli Stati membri erano tenuti a recepire negli ordinamenti interni entro il 1° gennaio 2002. LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 47 misura di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, adottata nel quadro della realizzazione del “mercato interno” e al fine di «tutelare gli interessi dei consumatori», a mezzo della quale le istituzioni europee hanno inteso ammodernare i diritti nazionali, ritenuti in molti casi «inadatti alle realtà economiche attuali di produzione e commercializzazione di massa»183, dettando un corpus di regole moderne ed efficienti destinate a imporre al venditore-professionista l’obbligo di consegnare beni conformi al contratto (art. 2, dir. 1999/44/CE) e a delineare il regime di responsabilità di costui nei confronti dell’acquirente-consumatore in caso di inadempimento del predetto obbligo (art. 3, dir. 1999/44/CE), attraverso la previsione di un sistema fortemente influenzato da quello della Convenzione di Vienna. In esito alla ratifica della CISG e al recepimento della direttiva in materia di vendite di beni di consumo, il nostro ordinamento è pertanto connotato da più statuti di responsabilità del venditore fra loro assai differenti, tutti destinati a consentire al compratore di ottenere tutela a seguito del trasferimento di un bene affetto da difetti materiali. Da un canto, infatti, le disposizioni generali in materia di “garanzia per vizi” (artt. 1490 ss. c.c.) sono applicabili tendenzialmente alla generalità delle compravendite, hanno riguardo a ipotesi di responsabilità ritenute per lo più non riconducibili all’inadempimento di una obbligazione e consentono all’acquirente la scelta fra risolvere il contratto e ottenere una riduzione del prezzo pattuito; dall’altro, con riferimento alle vendite di beni di consumo184 concluse da consumatori con professionisti, gli artt. 129 e 130 c.cons. – in attuazione degli artt. 2 e 3, dir. 1999/44/CE – sanciscono una chiara responsabilità per inadempimento, la quale consente all’acquirente, in primo luogo, di far valere le pretese alla regolarizzazione della prestazione e, in via sussidiaria, di ridurre il corrispettivo pattuito o, purché il difetto del bene non abbia carattere minore, di sciogliere il contratto; dall’altro ancora, in relazione ai contratti di compravendita stipulati senza finalità di consumo con riferimento ai quali ricorrano i requisiti 183 Così la Relazione alla Proposta di direttiva del 184 Invero, come reso evidente dall’art. 1, par. 2, 1996, in COM (1995) 520 def., p. 5. lett. c) e d), la dir. 1999/44/CE e le corrispondenti norme di attuazione trovano applicazione a tutti e soltanto i negozi di scambio che obbligano una parte (il “venditore”) a fornire all’altra un bene di consumo verso la prestazione di un corrispettivo (cfr. G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 24), così delinenando un campo di applicazione che esorbita dai limiti deducibili dall’art. 1470 c.c., per abbracciare anche la somministrazione, il contratto d’opera e l’appalto aventi ad oggetto beni di consumo (G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 31 s.; H. EHMANN - U. RUST, Die Verbrauchsgüterkaufrichtlinie - Umsetzungsvorschläge unter Berücksichtigung des Reformentwurfs der deutschen Schuldrechtskommission, in JZ, 1999, p. 856). 48 CAPITOLO PRIMO di applicazione sanciti dall’art. 1 CISG185, gli artt. 35 ss. della Convenzione di Vienna prevedono una responsabilità del venditore per l’inadempimento dell’obbligazione di conformità, la quale comporta la soggezione del medesimo all’articolata serie di rimedi sanciti dall’art. 45 della medesima Convenzione, cui si è accennato poc’anzi e connotata da uno spiccato sfavore per la risoluzione del contratto (art. 49 CISG). Nel quadro di tale multiforme atteggiarsi degli apparati rimediali posti a disposizione del compratore cui siano trasferiti beni affetti da difetti materiali, va notato come i due più recenti provvedimenti normativi abbiano pienamente confermato a favore di costui la concessione del rimedio estimatorio, che anzi appare connotato ormai non soltanto dalla generalità dell’ambito di applicazione – potendo essere esercitato in relazione a qualsiasi difetto di conformità della res vendita, ancorché non caratterizzato da una gravità tale da integrare un vizio redibitorio ai sensi dell’art. 1492 c.c. – ma altresì da una spiccata prevalenza nei confronti della risoluzione, la quale risulta riservata alle sole ipotesi connotate da maggiore gravità e in relazione alle quali i rimedi che consentono la conservazione del rapporto contrattuale non abbiano consentito al compratore di ottenere idonea tutela. Peraltro, se il diritto uniforme ha provveduto a dettare un’analitica disciplina della quanti minoris – e, in particolare, delle sue modalità di calcolo – altrettanto non può dirsi invece della dir. 1999/44/CE e delle disposizioni interne di recepimento, le quali hanno semplicemente affermato la titolarità del rimedio in capo all’acquirente di beni difettosi, limitandosi a prevedere che la decurtazione del corrispettivo sia “adeguata” o “congrua”. Le profonde diversità che caratterizzano le singole disposizioni che accordano al compratore di beni difettosi il rimedio estimatorio richiedono pertanto di procedere all’analisi di tali disposizioni al fine di verificare quali siano la natura e la funzione del mezzo di tutela in discorso e, in particolare, se sia possibile delineare un regime di disciplina unitario del medesimo e delle conseguenze del suo esperimento. A tale riflessione saranno dedicati i prossimi due Capitoli, mentre nei successivi si indagherà il rapporto corrente fra la riduzione del corrispettivo e gli altri mezzi di tutela del compratore di beni difettosi. Prima di iniziare tale indagine, però, crediamo doveroso dedicare almeno un cenno al delicato profilo attinente alla natura giuridica della re185 Art. 1 CISG: «La presente Convenzione è applicabile ai contratti di compravendita di merci tra parti che hanno stabile organizzazione in Stati diversi: a) se tali Stati sono Stati contraenti; o b) se le norme di diritto internazionale privato sfociano nell’applicazione della legge di uno Stato contraente» LA GENESI DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E IL SUO SVILUPPO STORICO 49 sponsabilità del venditore, che si confronta, da un canto, con le riflessioni condotte con riferimento all’art. 1490 e, ancor prima, agli apparati di tutela del compratore di derivazione romanistica succedutisi nel nostro e negli ordinamenti vicini, in relazione ai quali per lungo tempo è stato vigorosamente negato che la “garanzia per vizi” possa essere ricondotta all’inadempimento di un’obbligazione186 e, dall’altro, con la chiara opzione adottata dalla CISG e dalla dir. 1999/44/CE nel senso di gravare l’alienante dell’obbligo di consegnare al venditore beni conformi al contratto187. Riteniamo peraltro che il persistente dibattito riguardante tale profilo non impedisca di valorizzare la fondamentale unitarietà della riduzione del prezzo quale mezzo di reazione all’inattuazione della c.d. lex contractus188, dia luogo quest’ultima all’inadempimento di un’obbligazione ovvero costituisca l’inesecuzione di un precetto negoziale non tutelato nella forma del diritto di credito. Invero, come messo acutamente in luce da autorevole dottrina, «il rapporto di corrispettività, il sinallagma, corre non sempre e necessariamente fra due obbligazioni, ma, ancor più in generale, fra due attribuzioni patrimoniali: una delle due parti, cioè, o anche ciascuna delle due, può, invece di assumere obbligazioni, trasferire 186 Nell’impossibilità di fornire indicazioni esaustive e limitandoci per il momento agli Autori italiani, fra i tanti cfr., pur con diversità di accenti, L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 11 ss.; C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, cit., p. 418 ss.; A. DI MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 300 ss.; C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p. 82; A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, p. 529 ss.; S. MAZZAMUTO, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2004, p. 1029 ss. Più ampie indicazioni saranno fornite nei Capitoli seguenti, nei luoghi opportuni. 187 Sul punto si vedano fin d’ora, con riferimento alla Convenzione di Vienna, KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, München, 2011, Rn. 60 ss.; H.M. FLECHTNER, Excluding CISG Article 35(2) Quality Obligations: The “Default Rule” vs. The “Cumulation” View, in International Arbitration and International Commercial Law: Synergy, Convergence and Evolution. Liber Amicorum in Honor of Professor Eric Bergsten, Alphen aan den Rijn, 2011, p. 571 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 17 ss.; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 35 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 11 ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 12 ss., e, in relazione alla dir. 1999/44/CE e alle norme di recepimento della medesima, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 47 ss.; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa e dir. priv., 2002, p. 20; E. CORSO, sub art. 1519-ter, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 54 s.; G. AMADIO, Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 240. Contra, peraltro, A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., p. 525 ss. 188 In proposito, v. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 229 ss. 50 CAPITOLO PRIMO all’altra un proprio diritto, e trasferirlo come effetto del semplice consenso, senza che per ciò venga meno la natura di contratto corrispettivo; sempre purché fra le due attribuzioni patrimoniali corra, appunto, il particolare nesso di corrispettività, la quale ultima, poi, a mio avviso, è […] da intendere nel senso di sinallagmaticità, secondo il significato tradizionale di questo termine»189. Poiché gli strumenti di tutela del compratore rispetto ai difetti del bene costituiscono mezzi di tutela proprio nei confronti dei difetti che connotano la “prestazione” del venditore e la natura della “garanzia” assunta dall’alienante – come vedremo – tendenzialmente non reagisce sui caratteri della tutela estimatoria, nel prosieguo della presente ricerca faremo riferimento al fenomeno della presenza di difformità fra il risultato traslativo atteso e quello concretamente prodottosi impiegando (almeno con riferimento alle fattispecie regolate dal codice civile) le nozioni di inattuazione o difettosità dell’“attribuzione patrimoniale” e di violazione della “lex contractus”. 189 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 303. Condivide il pensiero di Rubino anche L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 17. CAPITOLO SECONDO LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO SOMMARIO: 1. La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per il compratore: i c.d. “vizi giuridici”. – 2. (Segue) Le difformità materiali. – 3. L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto di ridurre il prezzo. – 4. (Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale. – 5. La funzione della riduzione del prezzo: la conservazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al momento della conclusione del contratto. – 6. La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale. – 7. La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse. 1. La riduzione del prezzo quale mezzo di tutela a fronte di un’attribuzione patrimoniale difettosa che presenti comunque un’utilità per il compratore: i c.d. “vizi giuridici” Nata nell’epoca romana classica quale mezzo di tutela del compratore nei confronti dei vizi materiali occulti della res vendita e passata attraverso una lunga, travagliata e non sempre lineare evoluzione, che abbiamo tratteggiato nel Capitolo precedente, nel moderno diritto italiano la riduzione del prezzo – come si è visto – non costituisce più un rimedio esclusivamente legato alla c.d. garanzia per vizi, tramandataci dalle fonti romane. È lo stesso codice civile del 1942 a prevedere che il compratore possa fare ricorso alla tutela estimatoria non soltanto quando gli siano trasferiti beni difettosi, ma altresì allorché abbia acquistato una cosa rivelatasi parzialmente altrui (art. 1480 c.c.) o sulla quale gravano oneri o diritti di godimento a favore di terzi (art. 1489 c.c.) ovvero qualora abbia subito la parziale evizione della stessa (art. 1484 c.c.). La prima di tali fattispecie ha quale presupposto il fatto che il venditore fosse titolare della cosa venduta «solo in parte», ciò che secondo l’opinione più accreditata ha luogo non soltanto allorché egli abbia alienato come interamente propria una cosa che, in realtà, gli apparteneva soltanto 52 CAPITOLO SECONDO in relazione a una porzione materiale1, ma altresì qualora fosse proprietario soltanto di una quota (indivisa) del bene2. Al pari della risoluzione del contratto, anche la riduzione del prezzo può essere invocata sia qualora al momento della stipulazione del contratto il compratore fosse ignaro della parziale altruità della cosa, sia allorché ne fosse invece consapevole, dovendosi soltanto – in questo secondo caso – attendere il decorso del termine pattuito o giudizialmente fissato entro il quale il venditore avrebbe dovuto procurare l’acquisto anche della parte aliena3. Non sembra infatti 1 Secondo l’opinione tradizionale, invece, sarebbe soltanto questo l’ambito applicativo della disposizione: cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 180 ss., secondo i quali «da un punto di vista astratto la vendita di cosa comune come propria può considerarsi […] vendita di cosa parzialmente altrui, giacché una fetta di essa, per quanto non ancora determinata, spetta al venditore. Ma in termini strettamente giuridici, sino a che perdura lo stato di indivisione, la fetta ancora non esiste e pare inevitabile l’assimilazione del negozio alla vendita di cosa totalmente altrui» (corsivo originale); D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 375 ss., ad avviso del quale la disciplina di tale forma di vendita sarebbe peculiare, in quanto finché dura la comunione «il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di alcuna singola parte materiale della cosa [e pertanto] egli può sempre chiedere, anche subito, la risoluzione del contratto […] senza che rilevi indagare se avrebbe stipulato il contratto se avesse saputo della comunione. Se invece preferisce attendere lo scioglimento della comunione, e poi, nella divisione, la cosa viene assegnata per intero al suo dante causa, si applica l’art. 1479 1° comma, e rimangono precluse tanto la risoluzione quanto la semplice riduzione del prezzo. Se […] la cosa viene assegnata per intero ad un altro condividente, la vendita diventa di cosa interamente altrui, e spetta la risoluzione ex art. 1479 c.c. Se viene assegnata solo in parte al venditore, da tal momento comincia ad applicarsi l’articolo 1480» (p. 379). Nel senso di escludere l’applicazione dell’art. 1480 c.c., e quindi della riduzione del prezzo, alla vendita come propria di una cosa che appartenga al venditore soltanto per una quota indivisa v. altresì Cass. 10 marzo 1981, n. 1341 e G. BRANCA, sub art. 1103, in ID., Comunione. Condominio degli edifici, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 138 ss. 2 Così Cass. 12 gennaio 2005, n. 387, la cui massima recita: «La disciplina di cui all’art. 1480 c.c. comprende sia la vendita per intero di una parte materiale della cosa di cui l’alienante assuma di essere proprietario (communio pro diviso), sia l’ipotesi di vendita da parte di un comproprietario, di una cosa di proprietà comune pro indiviso; per contro, la vendita di un bene interamente (e non parzialmente) di proprietà altrui, è regolata dall’art. 1479 c.c.». In dottrina, cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 777 s., ad avviso del quale «la possibilità della divisione e dell’incerta vicenda dell’assegnazione non esclude la parzialità dell’attribuzione traslativa al momento del contratto e l’attualità dell’inesatto adempimento del venditore. Di fronte a questo inesatto adempimento s’impone l’immediata tutela del compratore appunto, secondo la regola della vendita di cosa parzialmente altrui, senza dovere attendere a tempo indefinito lo scioglimento della comunione» (corsivo dell’Autore); G. CAPOZZI, Dei singoli contratti. I, Milano, 1988, p. 119 s.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 409, il quale scrive che «la ratio dell’art. 1480 c.c. è presente in entrambe le fattispecie, le quali presentano un dato comune, l’inesattezza dell’attribuzione traslativa», la quale giustifica un trattamento omogeneo; A. RIZZIERI, La vendita obbligatoria, Milano, 2000, p. 383. Propende per un’applicazione analogica dell’art. 1480 c.c. alla fattispecie in argomento G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 392 s. 3 In questo senso v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 53 necessario dedurre dal riferimento della legge al fatto che l’uno o l’altro rimedio trovano applicazione a seconda che debba «ritenersi, secondo le circostanze, che [il compratore] non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario» che l’applicazione della disposizione presupponga l’ignoranza dell’acquirente in ordine all’alienità della res4: a nostro avviso, tale giudizio riguarda invero l’attitudine del soggetto non già in relazione al fatto che la cosa nella sua interezza non sia divenuta immediatamente di sua proprietà, bensì con riferimento al fatto che questa non gli sia stata trasferita nonostante la controparte abbia assunto un impegno in tal senso, ciò che equivale a dire al momento stesso della conclusione del contratto, in caso di ignoranza della parziale altruità, ovvero entro il termine stabilito, in caso di “mala fede”. Sia in caso di buona fede sia ove abbia conoscenza del fatto che ha condotto al venir meno dell’acquisto o all’accertamento del mancato acquisto5, l’acquirente può far valere la riduzione del prezzo o – in alternativa – la risoluzione del contratto anche qualora subisca la parziale evizione della cosa acquistata. Tradizionalmente il fondamento di questa viene ricondotto a tre differenti tipologie di fatti, rispettivamente di tipo rivendicatorio, espropriativo o risolutorio. Ricorre un’evizione rivendicatoria allorché un terzo, a seguito di un giudizio petitorio, ottenga l’accertamento giudiziale del proprio diritto sul bene, il quale pertanto non è mai stato acquistato dal compratore6. Ma dà luogo a un fatto evizionale altresì la perdita, per opera del terzo, del diritto che ab initio era stato effettivamente trasmesso dal venditore: tale perdita può conseguire così ad espropriazioni come al venir meno del titolo in virtù del quale il dante causa ha acquistato quanto poi 4 Così, invece, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 179. 5 Cfr. G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 409; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1483, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 190 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 409; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 836 ss.; Cass. 10 ottobre 2011, n. 20877; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20165, la quale esattamente ha reputato che «gli effetti della garanzia per evizione, che sanziona l’inadempimento da parte del venditore dell’obbligazione di cui all’art. 1476 c.c., conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato e, quindi, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto»; Cass. 24 aprile 1993, n. 4853. Contra, peraltro, E. RUSSO, Evizione e garanzia, Napoli, 1986, p. 233 ss. 6 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 651; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 842; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 396. 54 CAPITOLO SECONDO ha alienato all’evitto. Nel primo caso ha luogo una c.d. evizione espropriativa, la quale può derivare da un procedimento di esecuzione forzata, dovuto al fatto che la garanzia reale o il pignoramento operato da un terzo creditore possono essere opposti al compratore7: in tal caso, il trasferimento coattivo del bene a favore dell’aggiudicatario segna il momento della lesione del diritto dell’acquirente e legittima l’esperimento dei relativi mezzi di tutela. L’espropriazione rilevante ai fini della garanzia per evizione può altresì derivare da un provvedimento amministrativo8 il quale, dopo che il bene compravenduto sia stato almeno oggetto di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera programmata in data anteriore alla vendita, ne avochi la proprietà all’ente pubblico procedente9. L’evizione risolutoria consegue, invece, al venir meno con effetto retroattivo del titolo in virtù del quale l’alienante ha acquistato il diritto successivamente alienato al compratore, come può accadere in caso di annullamento, risoluzione o rescissione del negozio ovvero di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, le quali siano opponibili all’acquirente10. La rilevanza del fatto evizionale si fonda, secondo una risalente lezione11, sulla preesistenza della causa che vi ha dato luogo rispetto alla conclusione del contratto: in sostanza, il compratore può esercitare i ri7 Costituisce fatto evizionale riconducibile a questa categoria anche la sentenza di esecuzione forzata in forma specifca dell’obbligo di contrarre ottenuta da un terzo promissario acquirente dello stesso bene che trascriva il preliminare o la domanda di esecuzione ex art. 2652, n. 2 c.c. o la stessa sentenza ex art. 2932 c.c. prima che il compratore abbia trascritto il proprio acquisto: v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 845. 8 Oltre alla più classica fattispecie descritta nel testo, l’evizione espropriativa derivante da provvedimento amministrativo può avere luogo in forza di ordini amministrativi di distruzione del bene fondati sull’irregolarità giuridica dello stesso: v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 847, il quale porta ad esempio le distruzioni di beni previste dalle leggi speciali in materia edilizia in aderenza al dettato dell’art. 872 c.c. 9 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 421; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 399; Cass. 12 luglio 1965, n. 1467; Cass. 26 giugno 1987, n. 5639, la quale ha inoltre chiarito che soggiacciono alla disciplina dell’evizione anche le fattispecie in cui questa avvenga in esecuzione di un vincolo o di un peso riconducibile a quelli previsti dagli artt. 1489 o 1482 c.c. (su quest’ultimo punto, v. però la contraria opinione di E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, p. 50) 10 G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 398; D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 661 s.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 849 s. Secondo A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 422, alle ipotesi cennate nel testo si aggiungono «quelle in cui il venditore, e conseguentemente il compratore (per il principio “resoluto iure dantis”), perda il diritto in conseguenza dell’esercizio (in via stragiudiziale) da parte di un terzo di poteri il cui esercizio sia munito di effetti opponibili erga omnes, come accade, ad esempio, nei casi di esercizio di retratti ex lege con efficacia c.d. reale, di riscatto convenzionale o di prelazione societaria». 11 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 674; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 400; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 416. In giurisprudenza, v. Cass., sez. un., 26 gennaio 1995, n. 945. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 55 medi previsti dalla legge soltanto12 qualora la pretesa fatta valere dal terzo trovi fondamento in una situazione che al tempo del trasferimento del diritto era già esistente, mentre non rientrano nell’area di operatività della garanzia le fattispecie nelle quali la perdita del diritto avviene per effetto di una causa successiva13. Come abbiamo detto poc’anzi, il compratore è legittimato a far valere la quanti minoris qualora l’evizione non riguardi l’intera cosa ma soltanto una sua parte, materiale o ideale, e debba ritenersi – in applicazione del criterio dettato dall’art. 1480 c.c. – che avrebbe comunque concluso il contratto qualora avesse saputo di non poter integralmente acquistare il bene14. Infine, la riduzione del corrispettivo, sempre in alternativa al rimedio risolutorio, può essere invocata allorché il venditore fosse effettivamente titolare della cosa venduta e il compratore non sia privato da terzi del proprio diritto ma questo risulti gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti15 che limitano il godimento, che il primo non ha dichiarato e che egli non conosceva16. La fattispecie cui fa riferimento l’art. 1489 c.c., di non immediata collocazione concettuale17, conferisce 12 Secondo Cass. 14 aprile 2011, n. 8536, però, è comunque rilevante ai fini della garanzia per evizione la condotta inadempiente tenuta dal venditore in tempo successivo al contratto, valorizzando proprio il fatto che questi è sempre tenuto per il fatto proprio ai sensi dell’art. 1487, comma 2 c.c. Nello stesso senso v. Cass. 21 marzo, 1989, n. 1403. 13 Non dà pertanto luogo a evizione il fenomeno della doppia alienazione immobiliare con prevalenza del secondo acquirente che abbia trascritto il proprio acquisto per primo: A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 416. Contra, valorizzando il fatto proprio del venditore, Cass. 21 marzo, 1989, n. 1403. In dottrina, sostengono la rilevanza quali fatti evizionali pure di quelli che trovano causa in avvenimenti successivi al trasferimento del diritto E. RUSSO, Evizione e garanzia, cit., p. 240 ss. e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 838 ss. 14 Per tutti, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 407 s.: la risoluzione può essere chiesta dal compratore solo in quanto risulti che egli non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui è rimasto evitto. 15 Tale carattere va valutato nel senso che l’esistenza dei pesi sul bene deve poter essere rilevata in base al mero esame della cosa: cfr. per tutti D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 700 e Cass. 8 aprile 2013, n. 8500. 16 A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 433. 17 Secondo C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 797 si tratterebbe di un’ipotesi di inesattezza giuridica dell’attribuzione traslativa (aderisce G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 420); A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 434 precisa che in ogni caso questa non è riconducibile all’area della vendita di cosa altrui e alla garanzia per evizione, come dimostra il fatto che in relazione a queste la mala fede del compratore non è mai impeditiva della tutela (similmente, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 694); E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, cit., p. 139 ss. ritiene che l’art. 1489 c.c. faccia perno sul “vizio” del diritto alienato. 56 CAPITOLO SECONDO rilevanza a ipotesi in cui sussiste un’inesattezza giuridica dell’attribuzione traslativa, riconducibili sia all’eventualità in cui il compratore venga a conoscenza del diritto del terzo soltanto a seguito del perfezionamento del negozio sia a quella in cui quest’ultimo faccia valere un’azione diretta all’accertamento del proprio diritto o del vincolo gravante sull’oggetto del contratto (c.d. evizione limitativa)18. L’ampio riferimento a “diritti” e “oneri” di titolarità di terzi rende assai ampio il novero di ipotesi che ricadono nell’ambito di applicazione della previsione normativa de qua, evocando questa così oneri e limitazioni di godimento di natura privatistica19 come quelli di carattere pubblicistico20. 18 Cfr. E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, cit., p. 12 ss.; A. LULa vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 434, il quale ritiene che il secondo comma faccia riferimento alla c.d. evizione limitativa e il primo alla semplice scoperta del diritto da parte dell’acquirente; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 871 ss. Anche la giurisprudenza appare prevalentemente orientata in questo senso: v. ad esempio Cass. 18 novembre 1967, n. 2778 («al fine di rendere operativa la garanzia di cui all’art. 1489 c.c. non è necessario che l’onere, di cui è gravata la cosa venduta, sia accertato giudizialmente, qualora esso risulti, sia pure in modo diverso, con assoluta certezza e senza possibilità di contestazione»); Cass. 12 giugno 1975, n. 2343 («nell’ipotesi prevista dall’art. 1489 c.c. (cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi), la garanzia sorge anche dalla sola esistenza di pesi o diritti reali o personali sulla cosa, senza che occorra che il terzo abbia già fatto valere il proprio diritto»); Cass. 11 maggio 1984, n. 2980. Contra, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 704, secondo il quale la tutela del compratore apprestata dall’art. 1489 c.c. presupporrebbe sempre ed indefettibilmente un accertamento giudiziale o un riconoscimento da parte del venditore del diritto del terzo o dell’onere. 19 Fra i diritti del terzo di natura privatistica rilevanti ai fini dell’art. 1489 c.c. rientrano senz’altro l’usufrutto, le servitù, la superficie, gli usi civici, gli oneri reali, l’enfiteusi, la locazione, l’affitto e il diritto di godimento della casa coniugale assegnata al coniuge separato o divorziato, mentre in linea di principio non costituisce una restrizione del godimento il fatto che la cosa sia stata concessa in comodato a un terzo, giacché il diritto del comodatario non è opponibile all’acquirente (cfr. Cass. 9 agosto 1968, n. 2840: «l’acquirente di un immobile non può risentire pregiudizio dall’esistenza di un comodato, anche se concluso dal venditore per un tempo corrispondente alla durata della vita del comodatario, giacché, per effetto del trasferimento in suo favore, il compratore acquista ipso iure il diritto di far cessare il godimento da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa»). Peraltro si è rilevato che, qualora il comodatario non adempia all’obbligo di restituzione del bene, sarebbe impedito l’adempimento dell’obbligazione di consegna da parte del venditore, sicché l’acquirente ben potrebbe far valere la relativa tutela (v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 797 nota 1). 20 In tal senso v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 435, il quale anzi rimarca come proprio con riferimento a questi secondi l’art. 1489 c.c. abbia dimostrato una ragguardevole attitudine espansiva, la quale si è tradotta in una imponente applicazione giurisprudenziale. Secondo la tesi oggi prevalente, l’inesattezza giuridica di cui all’art. 1489 c.c. si produce allorché la presenza di un vincolo o di un onere incide sul “normale contenuto legale” del diritto oggetto del contratto di vendita, non costituendo una limitazione della proprietà solitamente connessa al tipo di bene venduto: in questo senso, C.M. BIANCA, La vendita e la perMINOSO, LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 57 La tutela del compratore, peraltro, non consegue alla mera presenza21 nella res vendita di diritti o pesi siffatti, giacché questi rilevano a condizione di menomare effettivamente il godimento di costui22, incidendo sui poteri o sulle facoltà che costituiscono il contenuto del diritto compravenduto23. Pertanto, ben può dirsi che, mentre l’art. 1480 e l’art. muta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 807 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 440. Secondo una più risalente impostazione (che si ritrova in D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 689 ss.), invece, i vincoli pubblicistici rilevanti ex art. 1489 c.c. sarebbero solo quelli imposti da provvedimenti concreti e specifici della pubblica amministrazione, i quali si applicano a singoli beni determinati. In applicazione del criterio discretivo ricordato per primo, sono stati ricondotti alla fattispecie de qua, fra l’altro, gli oneri e i pesi derivanti da “atti d’obbligo” in materia urbanistico-edilizia (Cass. 30 gennaio 1987, n. 881), gli oneri reali, le servitù militari, i vincoli di bonifica e di miglioramento fondiario, i vincoli idrogeologici e forestali (Cass. 22 maggio 1973, n. 1501), nonché quelli d’interesse storico, artistico e paesistico (Cass. 20 maggio 1976, n. 1801; Cass. 4 ottobre 2004, n. 19812). Particolarmente discussa è invece la questione relativa alla possibilità di far valere le tutele apprestate al compratore dall’art. 1489 c.c. qualora le limitazioni e i vincoli derivino da piani regolatori generali o particolareggiati, da piani urbanistici comunali o da altri strumenti di programmazione edilizia e urbanistica ad essi assimilabili, giacché la giurisprudenza tende a escludere tali vincoli dalla garanzia in argomento (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2737; Cass. 10 luglio 1991, n. 7639), salvo che il venditore abbia espressamente garantito l’insussistenza dei vincoli (Cass. 12 aprile 1983, n. 2581), mentre la dottrina – sulla base della considerazione secondo la quale non può ritenersi che l’eventuale conoscibilità del peso mediante la consultazione di atti o registri pubblici possa dirsi soddisfare il requisito di “apparenza” – ritiene debba applicarsi anche in questo caso il criterio di “normalità” della limitazione (A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 443 s., il quale peraltro segnala come, nel caso di compravendita di terreni, il problema risulti pressoché superato in ragione dell’obbligo – sancito dall’art. 30 t.u. edilizia – di allegare agli atti traslativi di tali tipologie di beni il certificato di destinazione urbanistica, il quale contiene le indicazioni urbanistiche riguardanti la cosa oggetto del negozio). Sono invece certamente esclusi dal novero delle limitazioni rilevanti quelle disposte dalla legge o da regolamenti integrativi con riferimento a tutti i beni appartenenti a una determinata categoria, come quelle in tema di distanze legali fra costruzioni o di vedute (per tutti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 814 s.). Del pari irrilevanti sono gli oneri tributari che gravano sul bene in forza dell’imposizione tributaria ordinaria. 21 C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 797 s. e P. GRECO G. COTTINO, sub art. 1489, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 224 ss. 22 Il termine “godimento”, pur dovendo essere inteso in senso tecnico, può ritenersi comprensivo altresì del potere di disposizione della cosa: D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 687 e A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 435. 23 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 687: «l’art. 1489 richiede non che il diritto del terzo attribuisca a costui un godimento della cosa, ma che diminuisca il godimento del proprietario. Quindi, se fossero configurabili diritti diversi da quelli di godimento e da quelli di garanzia, ma che diminuiscano il godimento del proprietario ed abbiano efficacia assoluta, o comunque estendentesi anche contro il terzo acquirente della cosa, anch’essi rientrerebbero nell’art. 1489; ma per il nostro ordinamento positivo è difficile che possano presentarsene». 58 CAPITOLO SECONDO 1484 c.c. si preoccupano di garantire la corrispondenza “quantitativa” fra il diritto contrattato e quello effettivamente acquistato dal compratore, l’art. 1489 c.c. è volto ad assicurare che il diritto trasferito «si presenti qualitativamente conforme al “contenuto” (in termini di utilità attribuite al suo titolare, ossia di facoltà di godimento che ineriscono alla situazione soggettiva trasferita) che normalmente ha il diritto che ha formato oggetto del contratto di vendita»24. Anche la garanzia prevista da quest’ultima disposizione, in ogni caso, legittima il compratore a risolvere il contratto ovvero a ridurre il prezzo di vendita non già a sua scelta, ma in ragione dell’esito del giudizio evocato dall’art. 1480 c.c., sicché lo scioglimento del contratto potrà aversi soltanto se risulta che il compratore non avrebbe comprato la cosa ove fosse stato a conoscenza dell’esistenza del diritto o dell’onere che ne limita il godimento. 2. (Segue) Le difformità materiali Abbandonando ora l’area dei “vizi del diritto” e ponendo mente a quella delle difformità materiali, notiamo subito due consistenti differenze. In primo luogo, il combinato disposto degli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. sembra legittimare la conclusione che tutti i “vizi del diritto” che si traducono in una menomazione parziale – e non integrale – dell’acquisto permettano al compratore di ottenere la riduzione del corrispettivo pattuito, mentre la disciplina codicistica della garanzia per vizi accorda espressamente a costui la quanti minoris soltanto nelle ipotesi in cui sussistano vizi che rendano la cosa inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in maniera apprezzabile il valore (art. 1492 c.c.) e non invece in quelle ipotesi in cui la cosa si riveli priva delle qualità promesse o essenziali all’uso cui è destinata (art. 1497 c.c.)25. 24 G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 419 s. (corsivo dell’Autore). 25 Invero, il richiamo alla disciplina generale sulla risoluzione per inadempimento – la quale non contempla espressamente il mezzo di tutela de quo – si ritiene deponga nel senso che gli unici mezzi di tutela accordati al compratore di beni privi della qualità essenziali o promesse siano la risoluzione del prezzo e il risarcimento del danno. Cfr. Cass. 8 marzo 2013, n. 5845, la quale ha negato l’esperibilità della quanti minoris nel contesto di una vendita di azienda, argomentando dal fatto che l’avviamento (che si assumeva mancante o inferiore al pattuito) sarebbe una qualità immateriale dell’azienda, sicché la fattispecie avrebbe dovuto ritenersi regolata dall’art. 1497 c.c. Escludono che l’art. 1497 c.c. consenta il ricorso alla riduzione del prezzo anche P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 314 e Cass. 10 gennaio 1981, n. 247, secondo i quali LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 59 Inoltre, sebbene la riduzione del prezzo, in entrambe le ipotesi, prescinda dalla sussistenza della colpa o del dolo del venditore, è immediato notare come l’art. 1492 c.c., in materia di garanzia per vizi, consenta all’acquirente di scegliere liberamente fra redibitoria ed estimatoria, mentre le altre disposizioni poc’anzi ricordate pongono una rigida alternativa fra i due tipi di tutela, in ragione dell’esito del giudizio circa l’atteggiamento che l’acquirente avrebbe avuto nei confronti del contratto qualora avesse saputo ex ante che non avrebbe acquistato per intero la cosa o che non l’avrebbe acquistata libera da pesi o diritti di terzi. Entrambe le discrasie appena delineate sono, peraltro, più apparenti che reali. La prima, in particolare, si basa sulla formulazione testuale dell’art. 1497 c.c. che la dottrina più attenta da tempo ormai interpreta senza limitarsi ad una esegesi letterale. Il codice civile vigente ha scelto – come noto – di perpetuare la dicotomia “vizio”-“mancanza di qualità”, tentando una difficile definizione dei rispettivi ambiti di operatività, circa i quali così la dottrina come la giurisprudenza avevano manifestato e continuano ancor’oggi a manifestare molti dubbi e oscillazioni. All’origine della complessa sistemazione della materia tentata dal legislatore del 1942 vi era il tentativo di porre rimedio a un problema pratico sorto nella vigenza del codice del 1865 in conseguenza dell’estrema severità dei termini di prescrizione della garanzia per vizi. L’art. 1498 della codificazione abrogata forniva la definizione del vizio redibitorio, facendo riferimento ai vizi o ai difetti occulti che rendono la cosa «non atta all’uso cui è destinata, o che ne diminuiscono l’uso in modo che se il compratore gli [sic] avesse conosciuti, o non l’avrebbe comprata o avrebbe offerto un prezzo minore», mentre l’art. 1500 concedeva all’acquirente la «scelta di rendere la cosa e farsi restituire il prezzo, o di ritenerla e di farsi restituire quella parte di prezzo, che sarà determinata dall’autorià giudiziaria»26. In entrambi i casi, la proposizione del rimedio soggiaceva a termini decisamente brevi, pari ad un anno dalla consegna per gli immobili e a tre mesi per le cose mobili27 (art. 1505 c.c. 1865), sempre decorrenti dal medesimo istante. A ciò si aggiunga che però sarebbe pur sempre possibile per l’acquirente «agire per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo». Su questo aspetto v. L. CABELLA PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, p. 219. Sul punto si tornerà infra nel testo. 26 Il venditore era altresì soggetto alla domanda risarcitoria, la quale poteva essere esperita ove egli fosse stato a conoscenza dei vizi (art. 1502 c.c. 1865). 27 Per le compravendite che avessero ad oggetto animali il termine de quo era addirittura ridotto a 40 giorni. 60 CAPITOLO SECONDO l’art. 70 c.comm. 1882 prescriveva altresì un termine di denunzia dei vizi per le compravendite di merci e derrate provenienti da altra piazza di soli due giorni, salva soltanto l’ipotesi in cui «un maggior tempo [fosse] necessario per le condizioni particolari della cosa venduta o della persona del compratore» (art. 70, comma 2 c.comm. 1882). Solo qualora il vizio fosse stato occulto, il termine sarebbe decorso dalla scoperta dello stesso. L’estrema brevità dei termini aveva avuto due evidenti precipitati: da un canto, gli interpreti erano indotti ad affermare che il termine di prescrizione delle azioni edilizie non potesse decorrere sino a che non si fossero create le condizioni idonee a consentire all’acquirente di venire a conoscenza del difetto28 nonché a sfruttare al massimo l’elasticità consentita dal secondo comma dell’art. 70 c.comm.29 e, dall’altro, il contenzioso giudiziario era segnato dal sempre più frequente ed evidente tentativo dei compratori di rifuggire dalla disciplina dei vizi, invocando la sussistenza di patologie di ordine qualitativo che rendessero la cosa appartenente addirittura a un genere differente rispetto a quello pattuito ovvero invocando la carenza di caratteristiche specificamente promesse30. Invero, il codice civile del 1865 e quello di commercio del 1882 non dettavano alcuna regola espressa riguardo ai difetti di qualità della cosa venduta31, sicché l’ordinamento taceva in ordine alle patologie del bene di tipo qualitativo. Tale situazione d’incertezza e di mancata definizione legislativa ha costituito terreno fertile per il fiorire di una ricostruzione dei confini delle due fattispecie la quale ha finito per accreditare una nozione di vizio di tipo rigidamente oggettivo, in cui l’essenza del difetto si ricollegava all’inadeguatezza del bene rispetto alla sua normale destinazione32, anche al fine di ricondurre al concetto di mancanza di qua28 Cfr. L. TARTUFARI, Della vendita e del riporto, in Il codice di commercio commentato, Torino, 1915, p. 275 e App. Genova, 28 gennaio 1884, in Foro it., 1884, I, c. 234 ss. 29 Si veda A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I. Parte generale, Milano, 1920, p. 424 ss. 30 R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, Torino, 1906, p. 324 osserva come le liti vertenti sulla conclusione di contratti di compravendita si appuntassero per la maggior parte sull’applicabilità al caso di specie della decadenza prevista per i vizi redibitori: «davanti ai nostri tribunali la lotta impegnata tra compratore e venditore si riduce al sapere se si debba o no aver riguardo al termine di decadenza al quale le azioni edilizie sono sottomesse: gli altri caratteri dell’azione passano in genere in seconda linea per la poca importanza loro». 31 Così R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 195. 32 La pietra di paragone dell’idoneità della cosa all’uso, e pertanto al fine di vagliare l’assenza di vizi, era costituita, infatti, non già dall’uso che la parte soggettivamente intendesse fare della cosa, bensì dall’uso ordinario della stessa, dalla sua «normale destinazione» (sono parole di R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 195). I rimedi apprestati dalla garanzia LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 61 lità33 un più ampio novero di fattispecie contrassegnate dalla carenze di pregi promessi o di caratteristiche da ritenersi essenziali per l’uso del bene. Queste ultime ipotesi di difformità del risultato traslativo, di cui la legge non faceva alcuna menzione, si riteneva soggiacessero alla disciplina dell’inadempimento di diritto comune34, con la conseguenza che non solo era possibile richiedere l’esatto adempimento della prestazione35 ma soprattutto il termine prescrizionale delle relative pretese era quello ordinario trentennale, per le vendite civili (ai sensi dell’art. 2131 c.c. 1865), o decennale, per quelle commerciali (ex art. 917 c.comm. 1882). Proprio la sussistenza di un regime di tutela dell’acquirente così profondamente differenziato ha acuito il dibattito inerente al discrimine fra le tipologie di difetto materiale e reso ancor più ardua l’identificazione dei rispettivi ambiti di operatività delle due nozioni, in quanto la rigidità dei termini di prescrizione delle azioni edilizie e di decadenza dalla per vizi, quindi, potevano essere invocati soltanto ove si provasse la delusione dell’affidamento del compratore in ordine all’idoneità della res rispetto all’utilizzo ordinario ovvero l’oggettivo minor valore derivante dall’esistenza del vizio. In quest’ottica, la considerazione dell’inidoneità all’uso avuto soggettivamente di mira dall’acquirente poteva avere ingresso soltanto a condizione che questo avesse costituito oggetto di apposito patto fra le parti, ma non seguiva affatto la disciplina dei vizi redibitori, bensì avrebbe costituito un normale inadempimento contrattuale, con conseguente applicazione delle tutele di diritto comune. In proposito, cfr. L. TARTUFARI, Della vendita e del riporto, in Il codice di commercio commentato, cit., p. 257 ss.; A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I. Parte generale, cit., p. 401 ss.; F. DEGNI, La compravendita, Padova, 1939, p. 240 ss. 33 La mancanza di qualità, peraltro, rilevava a prescindere dallo stato soggettivo dell’acquirente, il quale – in ragione della sussistenza di una specifica pattuizione sul punto – avrebbe potuto agire in giudizio anche ove fosse stato consapevole della stessa nel momento di conclusione del contratto, mentre la disciplina dei vizi redibitori conteneva l’espressa previsione dell’esenzione da responsabilità del venditore per l’ipotesi in cui i vizi fossero apparenti o laddove il compratore «avrebbe potuto da se stesso conoscer[li]» (art. 1499 c.c. 1865). In questo senso, V. ANGELONI, Clausole di garanzia nelle compre-vendite commerciali, Napoli, 1924, p. 42 s., il quale spiega la tesi in discorso argomentando dal fatto che nessun onere di previa ispezione della cosa o di diligenza in senso lato può essere addossato al compratore laddove egli riceva «un’esplicita assicurazione» (sono parole dell’Autore) del venditore in ordine alla corrispondenza della cosa a quanto pattuito. 34 La giurisprudenza sul punto è assai ricca: ex plurimis, v. Cass., 26 novembre 1886, in Foro it. - Rep., 1889, Vendita, n. 510; App. Milano, 11 dicembre 1893, in Foro it. - Repert., 1893, Vendita, n. 556; App. Milano, 4 agosto 1890, in Foro it. - Repert., 1892, Vendita, n. 609; Cass. Palermo, 5 aprile 1894, in Foro it., 1894, I, c. 674 ss.; Cass. Torino, 2 luglio 1906, in Riv. dir. comm., 1906, II, p. 481 ss. In dottrina, A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I, cit., p. 357 ss.; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, IV, Le obbligazioni, Milano, 1926, p. 150 ss.; C.L. GASCA, Trattato della compra-vendita, s.d. (ma 1905), p. 839 s. 35 Sul punto v. A. RAMELLA, La vendita nel moderno diritto, I, cit., p. 357 ss. e R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 197. 62 CAPITOLO SECONDO garanzia per inosservanza dell’onere di denunzia così come la descritta possibilità di richiedere l’esatto adempimento della prestazione per l’eventualità di difetto di qualità fungevano da forza propulsiva per l’allargamento indiscriminato del concetto di mancanza di qualità o di consegna di cosa diversa, al fine di emancipare la tutela del compratore dalle strettoie della garanzia redibitoria36. La giurisprudenza e la dottrina del tempo, pur con le difficoltà dovute a una ridda di ipotesi pratiche37 non facilmente riconducibili all’una o all’altra categoria, nel tentativo di perseguire una razionale e organica sistemazione della materia, che evitasse il ricorso a concezioni ancorate alla “giustizia del caso concreto”, erano pervenute gradualmente a identificare la “mancanza di qualità” nella dazione di un bene non materialmente viziato, apparentemente conforme al contratto e ciononostante differente rispetto a quello dovuto in ragione dell’assenza di caratteristiche intrinseche che conferiscono al bene pregi significativi38, espressamente negoziati o sottintesi quali essenziali poiché connaturati al singolo scambio39. L’ina36 Di tale tendenza era consapevole la più autorevole dottrina, la quale tentava di ravvisare un bilanciamento fra la forza pervasiva del concetto di mancanza di qualità e la necessità che essa non vanificasse l’attenzione al profilo della sicurezza e speditezza del commercio al quale l’apparato rimediale di derivazione romanistica faceva conseguire «le brevi prescrizioni e le severe decadenze» (F. CARNELUTTI, Il vizio redibitorio nel contratto di lavoro, in Riv. dir. comm., 1910, I, p. 531, ove l’illustre A. manifesta l’opinione che tali caratteri delle azioni redibitorie sarebbero connaturali alla società moderna, caratterizzata dalla rapidità dei commerci, mancando di considerare che essi sono invece il portato di una risalente tradizione, che nell’antichità prevedeva termini ancor più severi), attraverso il risalto conferito all’aspetto dell’onere della prova gravante sul compratore e consistente nella dimostrazione della sussistenza del vizio al momento della conclusione del contratto (così, ad esempio, R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, Torino, 1906, p. 498). App. Lucca, 16 maggio 1902, in Giur. it., 1902, I, c. 424 ss. esattamente notava come la scarsa perspicuità della differenziazione fra le due fattispecie incoraggiasse ed esasperasse il tentativo sistematico di dedurre la mancanza di conformità a fronte di qualsiasi difetto materiale dei beni compravenduti, così dando luogo a una sorta di “fuga dalla garanzia”. 37 Si vedano, ad esempio, quelle efficacemente compendiate da R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 199 s.: consegna di cavallo da tiro in luogo di cavallo da corsa oppure di età diversa da quella prevista, consegna di caffè di marca diversa, consegna di vino da tavola adulterato, e così via. 38 Così R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 200. 39 In questo senso, cfr. R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 331; V. ANGELONI, Clausole di garanzia nelle compre-vendite commerciali, cit. p. 9 s. Proprio questa equiparazione fra caratteristiche pattuite espressamente e qualità essenziali in ragione della destinazione del bene (efficace è l’esempio delle stoffe acquistate dal sarto, le quali si dovevano ritenere implicitamente qualificate come stoffe non soltanto perfette, ma adatte per l’uso nella fabbricazione di abiti) costituisce l’antecedente dal quale è derivata, come si vedrà infra nel LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 63 dempimento cui questa fattispecie dà luogo era ritenuto radicale e pertanto più grave rispetto all’ipotesi di vizio materiale, in quanto si traduceva nell’acquisto di una cosa diversa da quella che l’acquirente intendeva conseguire e su cui si era formato il consenso40. Peraltro, questo tendenziale consensus di fondo41, volto ad accreditare una bipartizione fra vizio redibitorio – soggetto alle decadenze previste dagli abrogati artt. 1505 c.c. 1865 e 70 c.co. 1882 – e mancanza di qualità – costituente illecito contrattuale, emancipato dalle richiamate decadenze –, sussisteva soltanto – e in linea meramente tendenziale – in ordine alla definizione teorica42 delle due fattispecie, rimanendo però precario e disomogeneo nella relativa applicazione pratica. Le ambiguità e le aporie di tale assetto si sono, poi, riverberate sulle scelte del legislatore del 1942, il quale ha preso atto del “diritto vivente” tentando, con esiti solo parzialmente felici, una razionalizzazione dell’orientamento dominante. La scelta di fondo dei codificatori, come noto, è stata nel senso di riproporre la dicotomia fra vizio e mancanza di qualità, prevedendosi, però, che quest’ultima sia sottoposta non già alla disciplina della “garanzia” ma «alle disposizioni generali sulla risoluzione per testo, l’equiparazione fra mancanza di qualità essenziali e assenza di qualità promesse, contenuta nell’attuale art. 1497 c.c. 40 Così, in effetti sembra pronunciarsi F. CARNELUTTI, Il vizio redibitorio nel contratto di lavoro, cit., p. 529, ove è palese l’idea della contiguità fra mancanza di qualità e consegna di cosa diversa. 41 A tale impostazione si sono, peraltro, contrapposte talune pronunce di legittimità (in particolare, v. Cass. Roma, sez. un., 19 agosto 1902, in Foro it., 1902, I, c. 1245 ss.), le quali si mostrarono nettamente contrarie alla costruzione della bipartizione de qua e tentarono, pertanto, di accreditare una nozione omnicomprensiva di vizio, tale da ricomprendere qualsiasi imperfezione materiale e i difetti di qualità, i quali – in tale ottica – avrebbero dato luogo non già a un inesatto adempimento ma appunto a un vizio redibitorio. Così facendo, la Cassazione romana tentò di forgiare una nozione di vizio tale da riassumere tutte le ipotesi di «difetto occulto per cui la cosa venduta non serve all’uso al quale sarebbe destinata, d[ando] luogo all’azione redibitoria, [con] inevitabile applicazione del termine stabilito nell’art. 1505 per l’esercizio della suddetta azione redibitoria» (così Cass. Roma, 18 settembre 1905, in Riv. dir. comm., 1905, II, p. 105 ss.): il vizio veniva così ritenuto concetto capace di regolare le deficienze materiali come le carenze qualitative, elidendo le difficoltà connesse alla bipartizione del sistema delle inesattezze materiali. La posizione della giurisprudenza romana, però, fu aspramente criticata dalla dottrina (per tutti, V. ANGELONI, Clausole di garanzia nelle comprevendite commerciali, cit., p. 47; R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 323; A. ASQUINI, Vendita su campione, in Riv. dir. comm., 1920, II, p. 509) e venne rapidamente abbandonata dopo la riunificazione della suprema magistratura civile avvenuta nel 1923 (Cass. 11 aprile 1924, in Corte Cass., 1924, I, c. 596 ss.; Cass. 31 ottobre 1924, in Foro it., 1925, I, c. 398 ss.). 42 Si è ritenuto che i vizi consistano in imperfezioni materiali o anomalie strutturali derivanti da difetti di formazione, fabbricazione o conservazione della cosa, mentre le qualità atterrebbero anch’esse alla struttura materiale o alla funzionalità del bene ma costituirebbero attributi esprimenti la funzionalità, l’utilità e il pregio del bene. 64 CAPITOLO SECONDO inadempimento» e, al contempo, sancendo che il rimedio risolutorio apprestato a tutela del compratore in tale eventualità sia assoggettato allo stesso termine decadenziale e prescrizionale che caratterizza le azioni edilizie (art. 1497, comma 2, c.c.). La “mancanza di qualità” cui si riferisce l’art. 1497 c.c. comprende sia le carenze attinenti alle qualità promesse sia quelle riguardanti qualità della cosa venduta da considerarsi «essenziali per l’uso cui è destinata». In tal modo, si è recepito a livello legislativo quanto la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie avevano finito per identificare nel sistema previgente, contrapponendo alla fattispecie del vizio, ricondotta ai rimedi speciali di derivazione romanistica, quella della mancanza di qualità, la quale – concepita quale vero e proprio inadempimento del venditore – consente il ricorso ai rimedi ordinari contro l’inesatta esecuzione della prestazione, pur con i limiti derivanti dall’applicazione dei termini previsti dall’art. 1495 c.c. Sennonché, come spesso accade allorché muove dall’intenzione di risolvere problemi di ordine interpretativo, con la codificazione della fattispecie di “mancanza di qualità”43 il legislatore ha fatto esercizio di pessima dogmatica, non solo in quanto ha affiancato e sottoposto allo stesso regime la mancanza di qualità promesse e quella di qualità essenziali44, ma soprattutto poiché ha inteso porre una distinzione fra vizi e mancanza di qualità essenziali45. Memore delle difficoltà sorte sotto il vigore della codificazione abrogata, ha ricondotto a una sola disciplina sia le carenze che hanno ad oggetto qualità sulle quali le parti hanno espressamente raggiunto un accordo e, pertanto, rispetto alle quali è sorto – a carico del venditore – uno specifico impegno obbligatorio46, sia quelle che attengono a caratte43 Di tale disposizione, a ragione, L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 scrive descrivendola quale una fra «le più infelici del nostro codice». Sebbene non concordiamo con l’esegesi che ne compie l’illustre Autore, ne consideriamo senz’altro condivisibile il giudizio, per le ragioni che stiamo per esporre nel testo. Circa l’oscurità dell’art. 1497 si è espresso anche D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 891, ad avviso del quale esso è «così semplice in apparenza, così fertile di complicazioni nella sostanza». 44 Nota, infatti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 890 s. come la mancanza di qualità promesse dia luogo a una difformità fra requisiti promessi e caratteristiche effettive della res vendita, ma – contrariamente a quella di qualità essenziali – non presupponga un’imperfezione della cosa con riferimento alle sue qualità normali. 45 Contesta la fondatezza di una simile distinzione, non ravvisando differenze ontologiche apprezzabili fra gli uni e le altre, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 470. 46 P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 304 rilevano, appunto, che l’art. 1497 si basa sul presupposto che la prestazione da LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 65 ristiche qualitative del bene da ritenersi normalmente “essenziali” per l’uso a cui è destinata. Deve però obiettarsi che, a tutto concedere, soltanto nel primo caso sembra giustificarsi, nel sistema adottato dal codice civile del 1942, il ricorso alla responsabilità generale per inadempimento, sussistente in ragione dell’espressa o implicita promessa circa l’esistenza di determinate qualità, la cui violazione conduce coerentemente all’inadempimento di un’obbligazione ex contractu, ma non altrettanto può dirsi della seconda ipotesi, laddove si sottopone a identica regolamentazione una fattispecie assai differente, in cui la responsabilità del venditore è sostanzialmente fondata sull’inattuazione del contratto, al pari di quella scaturente dalla garanzia per vizi. Tale assetto non può che apparire incoerente e, com’è stato acutamente sostenuto47, esige un’interpretazione “ortopedica” che, consapevole delle radici storiche dell’attuale materiale normativo, porti a compimento il poco riuscito tentativo di sistematizzazione tentato dal legislatore del 1942. Questi aveva intuito la necessità «di unificare il regime dei vizi e della mancanza di qualità, onde eliminare le incertezze applicative che si erano profilate sotto il vecchio codice soprattutto in ordine ai termini per l’esercizio dei rimedi»48, ma dopo aver parificato tale aspetto della disciplina è rimasto a metà del guado, non cogliendo l’intima contraddizione logica in cui era incappata la tesi dominante, volta ad accreditare la sussistenza di un titolo di responsabilità diverso in relazione ai vizi redibitori, da un canto, e alla mancanza di qualità essenziali, dall’altro, pur a fronte dell’identità delle due fattispecie da un punto di visto ontologico. Invero, posta tale identità, non è dato comprendere per quale motivo l’apparato di tutela debba essere così consistentemente divaricato, come suggerisce il testo normativo e sostiene l’opinione tradizionale49, al punto da attribuire una diversa rilevanza all’elemento soggettivo50 e da parte del venditore di una qualità differente da quella contrattata costituisca un fatto di inadempimento contrattuale. Contra, L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 22, il quale ritiene comunque sempre non possibile l’assunzione di un impegno obbligatorio in relazione alle qualità della cosa. 47 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 469 s. Sull’indistinguibilità fra vizio e mancanza di qualità essenziali, nonché sulla conseguente irrazionalità della concezione di un regime di tutela differenziato, v. anche C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 899 ss. 48 A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 473. 49 Cfr., ad esempio, G.B. FERRI, La vendita in generale, in Tratt. Rescigno, XI, Torino, 1984, p. 558 e P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1497, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 312 s. 50 In proposito, esemplari sono Cass. 21 gennaio 2000, n. 639 e Cass. 24 maggio 2005, n. 10922, le quali si esprimono nel senso che, a differenza dell’azione di risoluzione fondata 66 CAPITOLO SECONDO negare la praticabilità del rimedio estimatorio nelle ipotesi di cui all’art. 1497 c.c.51, ipotesi nelle quali peraltro viene riconosciuto – contrariamente a quanto ritiene l’opinione tradizionale in tema di garanzia per vizi52 – il diritto di agire per l’esatto adempimento. sulla garanzia per vizi, quella di cui all’art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall’art. 1453 c.c. (essendo richiamate espressamente le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento), postula che l’inadempimento posto alla base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell’alienante e non abbia scarsa importanza (art. 1455 c.c.), tenuto conto dell’interesse della parte non inadempiente. 51 Secondo F. CARNELUTTI, Tutela giudiziale del compratore nei casi vizi e mancanza di qualità della merce, in Riv. dir. proc., 1953, II, p. 191 ss. far valere la riduzione del corrispettivo nell’ipotesi di mancanza di qualità non sarebbe possibile in quanto tale rimedio costituisce un’eccezione alla forza di legge del contratto, ancor più grave rispetto alla risoluzione in quanto costringe la controparte ad accettare un mutamento del regolamento d’interessi piuttosto che lo scioglimento dell’originario patto, e quindi non può essere applicata oltre le ipotesi in cui è espressamente prevista. In senso negativo si pronuncia anche G. AMORTH, In tema di compravendita: mancanza di qualità, mancanza di colpa e garanzia, in Riv. dir. civ., 1960, I, p. 392. Favorevole all’applicazione della quanti minoris anche alla mancanza di qualità è invece G.M. CASTELLINI, Consegna di aliud pro alio, mancanza di qualità e vizi della cosa, in Riv. dir. comm., 1960, II, p. 363 ss. 52 È nota la chiusura della giurisprudenza in relazione a questo profilo: cfr. infatti Cass. 5 agosto 1985, n. 4382 (qualora la cosa venduta sia affetta da vizi, il compratore non può avvalersi, anche nel concorso di colpa del venditore, dell’azione di esatto adempimento, alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., dato che l’obbligazione principale del venditore non ha per oggetto neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta); Cass. 4 settembre 1991, n. 9352; Cass. 13 novembre 2012, n. 19702 (la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o della actio redhibitoria. Ne consegue che il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene); Cass. 18 gennaio 2013, n. 1269. La dottrina, invece, è divisa fra quanti condividono l’atteggiamento giurisprudenziale (ad esempio, L. MENGONI - F. REALMONTE, voce Disposizione (atto di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 190; L. MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 25; G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 137 ss.; F. MARTORANO, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Napoli, 1959, p. 37 ss. e 110 ss.; A. DI MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 305 ss.) e coloro che, invece, ammettono l’azione di esatto adempimento (fra gli altri, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu Messineo, cit., p. 825 ss.; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 277 ss.; R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, Torino, 2014, p. 56 ss.). Ritiene che l’ammissione della pretesa del compratore all’esatto adempimento ponga l’interprete «di fronte alla scelta drammatica tra rispettare la lettera della legge disattendendo, però, le soluzioni più confacenti alla realtà socio-economica o valorizzare questa ultima ma procedere ad interpretazioni contra legem», C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, p. 225. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 67 Pertanto, ci sembra doveroso concordare con quell’autorevole voce dottrinale la quale sostiene che – poiché la distinzione fra vizi e mancanza di qualità si risolve in un’inutile e dannosa superfetazione, volta a distinguere fenomeni ontologicamente sovrapponibili – anche alle fattispecie ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 1497 c.c. debba trovare integrale applicazione la disciplina della garanzia prevista dagli artt. 1490-1495 c.c.53. Se – come crediamo corretto – si conviene su questa osservazione di fondo, non può che considerarsi errata, per quanto specificamente rileva in questa sede, la posizione di chiusura riguardo all’ammissibilità dell’azione di riduzione del prezzo nelle ipotesi di carenze qualitative della res empta astrattamente riconducibili al concetto di “mancanza di qualità”54. Infatti, affermata la piena equiparazione del regime di tutela, deve coerentemente ammettersi che la tutela estimatoria 53 Si veda A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 474 s., il quale così si esprime: «a nostro modo di vedere, differenze apprezzabili di disciplina tra vizi e mancanza di qualità non appaiono giustificate. Già la sostanziale omogeneità, dal punto di vista ontologico, tra vizi e mancanza di qualità essenziali non può non costituire, di per se stessa, un argomento determinante a favore della completa parificazione delle rispettive forme di tutela. Non ci si può certo nascondere che il testo dell’art. 1497 c.c. deporrebbe per una conclusione di segno opposto; l’argomento letterale, tuttavia, deve cedere di fronte ad una osservazione che, sotto il profilo logico, appare – pensiamo – insuperabile. […] La mancanza di qualità (essenziali o promesse) […] postula necessariamente una responsabilità del venditore fondata sull’inattuazione o, meglio, sull’inesatta attuazione del risultato traslativo, secondo quanto la legge ha previsto esplicitamente con riferimento ai vizi redibitorî. Si impone quindi l’estensione delle norme degli artt. 1490-1495 c.c. al fenomeno previsto dall’art. 1497». Condivide la tesi di Luminoso, di recente, E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni di consumo, Milano, 2010, p. 235. Ricostruisce in maniera sostanzialmente unitaria la disciplina dei difetti materiali della res vendita, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 892, il quale sostiene che le resistenze nei confronti dell’equiparazione di vizi e mancanze di qualità sarebbero immotivate in quanto «occorre prendere atto che le azioni di risoluzione e di riduzione del prezzo per i vizi sono esse stesse espressione di rimedi generali a tutela del contraente, salva l’operatività di abbreviati termini di decadenza e di prescrizione». Dubita dell’utilità di distinguere le fattispecie di “vizio” e “mancanza di qualità”, propendendo per un’omogeneità di disciplina anche F. MACARIO, voce Vendita, I. Profili generali, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 24 s. Pur sulla base di una differente ricostruzione, sostiene la necessità di assoggettare alla medesima disciplina mancanza di qualità e vizi anche L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., cit., p. 21 ss. Lo stesso D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 892 ss., pur partendo dal dato testuale, tende a una sostanziale equiparazione del regime di tutela. 54 Si vedano, con riguardo a questo aspetto, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 850, ad avviso del quale l’opinione contraria all’ammissibilità dell’estimatoria nei casi di mancanza di qualità non terrebbe «conto, tra l’altro, della generalità del rimedio nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive» nonché del fatto che «la riduzione del prezzo è un rimedio limitato rispetto a quello più radicale della totale risoluzione del contratto» e D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 891 s. 68 CAPITOLO SECONDO possa essere attivata così nell’ipotesi di vizi redibitori come in quella di mancanza di qualità. Si rivela, pertanto, fallace la tesi volta a dedurre dall’art. 1497 c.c. un argomento nel senso che la riduzione del corrispettivo non costituirebbe un rimedio potenzialmente applicabile a tutte le fattispecie in cui l’inattuazione del risultato traslativo dipenda dalla sussistenza di difformità materiali del bene. Al contrario, deve affermarsi che, con riferimento a questa tipologia di difetti come in relazione a quelli di tipo giuridico, la quanti minoris può essere sempre esperita dal compratore. Tale conclusione, cui si può pervenire non senza sforzi interpretativi a cagione dell’irresolutezza del legislatore del 1942 e della discutibile e ambigua formulazione letterale delle disposizioni analizzate, è peraltro assolutamente pacifica in relazione alla disciplina del difetto di conformità della cosa venduta contenuta nella Convenzione di Vienna del 1980 e nella dir. 1999/44/CE, le quali indirettamente confermano la correttezza di quanto qui sostenuto. Come noto, infatti, tali provvedimenti – superando le farraginose distinzioni fra vizi, mancanza di qualità, aliud pro alio (e, in radice, lo stesso problema del rapporto fra questi e l’ordinaria responsabilità contrattuale) – hanno accolto il concetto di “difetto di conformità”, il quale ha natura unitaria e riassuntiva di tutte le diverse tipologie di difetti e carenze qualitative materiali dai quali la cosa può risultare affetta55. E il ba55 In proposito il consenso è unanime: per tutti, cfr. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 330 ss.; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, Napoli, 2007, p. 11, il quale esalta il ruolo di uniformazione della nozione, «la cui intensità è tale da contenere tanto il vizio corporale, quanto il difetto di qualità e la consegna di cosa non idonea all’uso»; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 127 ss.; ID., La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1014, il quale pure si esprime nel senso che nel difetto di conformità si prestino a essere «ricomprese tutte le ipotesi di inesattezza “materiale” della prestazione (di dare e/o facere) cui il professionista è tenuto in virtù del contratto concluso con il consumatore»; P. SCHLESINGER, Le garanzie nelle vendite di beni di consumo, in Corriere giur., 2002, p. 561; S. MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, p. 296; M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 229 s. Nella letteratura germanica, v. altresì MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 434, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 6 ss.; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 434, 14. Aufl., Berlin, 2004, Rn. 29 ss.; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 434, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 8 ss.; H.P. WESTERMANN, Das neue Kaufrecht einschließlich des Verbrauchsgüterkauf, in JZ, 2001, p. 532; P. SCHLECHTRIEM, Das geplante Gewährleistungsrecht im Licht der Kaufrechtsrichtlinie, in W. ERNEST - R. ZIMMERMANN, Zivilrechtswissenschaft und Schuldrechtsmodernisierung, Tübingen, 2001, p. 214; H.C. GRIGOLEIT - C. HERRESTHAL, Grundlagen der Sachmängelhaftung im Kaufrecht, in JZ, 2003, p. 118 ss. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 69 gaglio omogeneo di tutele dell’acquirente apprestato così dalla CISG come dalla direttiva, come meglio si dirà nel Capitolo 4, pone la riduzione del prezzo quale rimedio bensì tendenzialmente sussidiario rispetto all’esatto adempimento ma invocabile a fronte di qualsiasi difetto di conformità, anche “non essenziale” (art. 49 CISG) o “di lieve entità” (art. 130, comma 10 c.cons.). Con specifico riferimento alla disciplina applicabile alle vendite di beni di consumo, l’unitarietà della fattispecie del difetto di conformità consente di considerarvi annoverate tutte le carenze qualitative e quantitative56 della prestazione, ivi compresi i difetti la cui gravità renda il bene consegnato del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economicosociale propria della cosa dedotta in contratto ovvero lo privino radicalmente delle capacità funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente. Ne consegue che tutte quelle ipotesi che la giurisprudenza italiana tradizionalmente riconduce alla nozione di aliud pro alio57, consistenti nell’attribuzione in proprietà di una cosa inidonea ad assolvere la destinazione economico-sociale della res vendita prevista nella pattuizione contrattuale e quindi incapace di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto l’acquirente a contrarre58, possono senz’altro essere considerate ricomprese nell’unitaria disciplina dettata nel codice di settore59. 56 Nel senso della rilevanza anche delle deficienze quantitative della prestazione dell’alienante, cfr. R. CALVO, Dalla nozione mista di vizio all’art. 1519-ter, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 284 ss.; G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1014. Pertanto, nella disciplina del codice di settore, la consegna di beni in quantità inferiore a quanto pattuito comporta non già l’inadempimento dell’obbligazione di consegna (come invece, secondo quanto si dirà poco infra, accade in relazione alla disciplina del codice civile), bensì di quella di conformità degli stessi alle previsioni contrattuali. 57 Cfr., fra le tante, le già citate Cass. 19 ottobre 1994, n. 8537; Cass. 13 gennaio 1997, n. 244; Cass. 23 marzo 1999, n. 2712; Cass. 23 febbraio 2001, n. 2659; Cass. 25 settembre 2002, n. 13925; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202; Cass. 18 maggio 2011, n. 10916. 58 Cfr. per tutti A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 471. In giurisprudenza v., fra le tante, Cass. 23 marzo 1999, n. 2712; Cass. 14 gennaio 1998, n. 272; Cass. 19 gennaio 1995, n. 593. 59 In questo ordine di idee v. G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1015; S. PATTI, Sul superamento della distinzione fra vizi e aliud pro alio nella direttiva 1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 623 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 336 ss.; G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 76 s.; M. GIROLAMI, sub art. 129, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2010, p. 826 ss.; A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, p. 530. Nel senso che, invece, la nozione di difetto di conformità non 70 CAPITOLO SECONDO Ciò non varrebbe, invece, secondo taluni, riguardo alle diverse ipotesi di c.d. aliud pro alio in senso stretto (c.d. Identitäts-aliud), laddove la consegna da parte del venditore di cosa diversa da quella effettivamente alienata integra un inadempimento totale dell’obbligazione di consegna, ponendosi pertanto al di fuori dell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina della garanzia di conformità60. Peraltro, secondo altri interpreti, la potenzialità omnicomprensiva del concetto di “difetto di conformità” consentirebbe di dissentire dall’opinione appena riferita, giacché pure nelle ipotesi in cui, al consumatore che abbia acquistato una cosa specifica, venga consegnato un bene diverso da quello che ha costituito oggetto del contratto ovvero, al consumatore che abbia comprato una cosa individuata soltanto nel genere, sia procurato un bene appartenente a un genere diverso, ricorre senz’altro un inadempimento dell’obbligazione di «conformità dei beni al contratto»61. potrebbe elidere l’autonoma rilevanza della consegna di cosa diversa si sono pronunciati A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa e dir. priv., 2002, p. 20 e E. GABRIELLI, Aliud pro alio e difetto di conformità nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. priv., 2003, p. 670 ss., il quale muove dal presupposto dell’incompatibilità della disciplina introdotta dalla direttiva con la fattispecie dell’aliud pro alio. Di recente, scrive E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni di consumo, cit., p. 329 che, anche a seguito dell’introduzione della disciplina di settore «il giurista italiano continuerà, in ogni caso, a considerare e applicare l’aliud pro alio come insostituibile e vitale figura della tradizione giuridica». 60 Così anche A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 337, nt. 52; R. CALVO, Dalla nozione mista di vizio all’art. 1519-ter, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, cit., p. 169; V. PIETROBON, La direttiva 1999/44 del Parlamento europeo e del Consiglio e i problemi del suo inserimento nel diritto italiano, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, Padova, 2002, p. 287, il quale propende per la contrarietà di una opposta soluzione all’art. 8 della direttiva, laddove essa manifesta il favore per le previsioni di maggior vantaggio per il consumatore previste dagli ordinamenti interni. 61 G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 130 s., il quale richiama la conforme opinione espressa dagli interpreti con riguardo all’affine previsione contenuta nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980 (per la quale, v. ex multis STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35, in Wiener UNKaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 9; W. POSCH, sub art. 35, in M. SCHWIEMANN, Praxiskommentar zum Allgemeinen Bürgerlischen Gesetzbuch samt Nebengesetz, Wien, 1997, p. 1072; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 232, i quali pongono in luce – pur scrivendo in data anteriore all’emanazione e alla trasposizione della direttiva 1999/44/CE – come l’imposizione dei termini di decadenza e prescrizione del diritto previsti dalla CISG anche all’acquirente di aliud pro alio non possa di per sé essere considerata pregiudizievole per il compratore, il quale vedrà sì compressi i termini per agire, ma troverà una sensibile semplificazione nell’assenza dell’onere probatorio in ordine all’effettiva sussistenza della dazione di cosa diversa); A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 38; P.M. VECCHI, sub art. 1519-ter, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MO- LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 71 Va comunque notato come la nozione di difetto di conformità accolta dall’art. 129 c.cons., in adesione alle scelte del legislatore comunitario, abbia funzione riassuntiva di tutte e soltanto le carenze materiali, quantitative e qualitative, della prestazione dovuta al compratore, non abbracciando invece quelle di carattere giuridico, le quali sono pertanto destinate a rimanere regolate dalla generale disciplina del codice civile62. In relazione alle vendite internazionali di merci concluse fra imprenditori, la Convenzione di Vienna adotta un concetto di “difetto di conformità” (art. 36) di tenore assimilabile, facendo riferimento alle ipotesi in cui le cose consegnate si rivelino di «quantità, qualità [o] genere» (art. 35) differenti rispetto a quanto stabilito nelle pattuizioni contrattuali63 o non soddisfino i criteri di conformità sanciti dal secondo comma SCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 156 ss.; G. PISCIOTTA, Scambio di beni di consumo e modelli codicistici di protezione dell’acquirente, cit., p. 120. Tale soluzione, peraltro, è stata espressamente accolta nell’ambito della riforma del codice civile tedesco, il cui § 434, comma 3 così si esprime: «einem Sachmangel steht es gleich, wenn der Verkäufer eine andere Sache oder eine zu geringe Menge liefert». 62 In tal senso è orientata la prevalente dottrina: v. infatti A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 338; M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 234, nt. 12, la quale mette condivisibilmente in luce come il sistema rimediale previsto dall’art. 130 c.cons. appaia, già prima facie, modulato per ovviare a difetti materiali del bene, essendo quantomeno difficile prospettare, ad esempio, la riparazione di un bene evitto in quanto originariamente altrui, o “viziato” dalla presenza di garanzie reali o vincoli derivanti da pignoramento o sequestro di cui all’art. 1482 c.c. o da situazioni che comunque ne diminuiscano il libero godimento (art. 1489 c.c.); G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 141 ss.; G. CIAN, Presentazione del Convegno, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, cit., p. 10; contra, P.M. VECCHI, sub art. 1519-ter, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 164 ss., il quale trae conforto per la propria posizione dall’osservazione dell’attuazione della direttiva in Austria e in Germania. Nonostante, in proposito, non sussistano veri e propri ostacoli testuali o sistematici (come dimostra, d’altronde, la scelta “unificante” operata dal legislatore germanico con la Schuldrechtsmodernisierung), sembra di poter aderire all’opinione dominante in ragione dell’estraneità delle problematiche attinenti ai vizi giuridici ai temi affrontati nei lavori preparatori della direttiva 1999/44/CE, la quale anche nella Relazione alla Proposta del 1996 viene sempre designata quale provvedimento volto a fornire la «base fondamentale dei diritti dei consumatori relativi alla qualità e conformità dei beni comprati». Nel senso che i vizi giuridici non rientrerebbero nella nuova disciplina dettata dalla direttiva, perché di scarso rilievo nella tipologia di contrattazioni di cui trattasi, v. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 20. 63 Nel senso, pacifico, che «la volontà delle parti [costituisca] il primo criterio alla luce del quale valutare la conformità della merce» e che le «determinazioni […] dei contraenti […] assumono rilievo anche laddove siano soltanto implicite», v. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 105 e C.M. BIANCA, sub art. 35, in ID., Convenzione di 72 CAPITOLO SECONDO dell’art. 3564. Pertanto, anche in questo caso, può ribadirsi come il concetto di “mancanza di conformità”65 sia tendenzialmente riassuntivo di tutte le possibili fattispecie di “anomalie” qualitative e quantitative66 della res oggetto del contratto, essendo idoneo a ricomprendere così le Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 147, il quale scrive che «i beni devono essere conformi a quanto stabilito nel contratto e solo quando manca la determinazione contrattuale trovano applicazione i criteri della Convenzione […i quali] hanno dunque un ruolo suppletivo rispetto all’accordo delle parti». 64 Secondo tale disposizione, il cui contenuto è per molti versi assimilabile a quello dell’art. 2, comma 2 dir. 1999/44/CE (in tal senso, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 80 ss., ove ampia disamina delle singole presunzioni; M. GIROLAMI, I criteri di conformità al contratto fra promissio negoziale e determinazione legislativa nel sistema dell’art. 129 del codice del consumo, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 272), «salvo diverso accordo tra le parti i beni non sono conformi al contratto se non: (a) sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; (b) sono idonei allo specifico uso esplicitamente o implicitamente portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto, salvo che le circostanze mostrino che il compratore non ha fatto affidamento sulla competenza o sulla capacità di valutazione del venditore o che non era da parte sua ragionevole farvi affidamento; (c) possiedono le qualità dei beni che il venditore ha presentato al compratore come campione o modello; (d) sono disposti o imballati secondo il modo usuale per beni dello stesso tipo o, in difetto di un modo usuale, in un modo che sia adeguato per conservare e proteggere i beni». In argomento, v., fra i tanti, KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, München, 2011, Rn. 60 ss.; H.M. FLECHTNER, Excluding CISG Article 35(2) Quality Obligations: The “Default Rule” vs. The “Cumulation” View, in International Arbitration and International Commercial Law: Synergy, Convergence and Evolution. Liber Amicorum in Honor of Professor Eric Bergsten, Alphen aan den Rijn, 2011, p. 571 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 17 ss.; R.F. HENSCHEL, Conformity of Goods in International Sales. An analysis of Article 35 in the United Nations Convention on the International Sale of Goods, Copenhagen, 2005; ID., Conformity of Goods in International Sales Governed by CISG Article 35: Caveat Venditor, Caveat Emptor and Contract Law as Background Law and as a Competing Set of Rules, in Nordic Journal of Comm. Law, 2004, p. 2 ss. dell’estratto; C.M. BIANCA, sub art. 35, in ID., Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 148 ss.; M. BIN, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 755 ss.; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 35 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 11 ss.; SCHLECHTRIEMSCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 12 ss.; S. JANSEN, Price reduction under the CISG: a 21st Century Perspective, cit., p. 330 ss. 65 Secondo l’opinione unanime, tale concetto deve essere interpretato in maniera autonoma e include tutte le caratteristiche rilevanti dei beni compravenduti. Lo stesso elenco contenuto al comma 1 dell’art. 35 – in forza del quale il venditore è tenuto a consegnare beni conformi di quantità, qualità, genere e imballaggio corrispondenti a quanto previsto in contratto – è ritenuto non tassativo, ma meramente esemplificativo (STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 35 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 7 ss.; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 13). 66 L’art. 35 CISG, contrariamente all’art. 33, comma 2 LUVI, neppure richiede che il difetto di conformità, per essere rilevante, debba necessariamente possedere carattere materiale: v. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 15. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 73 ipotesi di vizio in senso stretto, come quelle di mancanza di qualità67 ovvero di consegna di cosa radicalmente diversa68. Il diritto convenzionale uniforme della compravendita, peraltro, pur non ricomprendendoli nel concetto di “difetto di conformità”, disciplina anche i difetti giuridici dell’attribuzione patrimoniale del venditore, prevedendo all’art. 41 CISG che questi ha l’obbligo di «consegnare beni liberi da ogni diritto o pretesa di terzi, salvo che il compratore acconsenta a ricevere i beni soggetti a tale diritto o pretesa». Anche con riferimento a tali fattispecie, peraltro, nonostante i dubbi avanzati da parte della dottrina69, non sembra dubbio che debba trovare applicazione il generale strumentario di tutela dell’acquirente definito dall’art. 45 CISG e, pertanto, anche il rimedio estimatorio. Invero, non solo non sembra che dal riferimento alle sole ipotesi di “difetto di conformità” contenuto nell’art. 50 CISG possa desumersi per ciò solo l’inapplicabilità della riduzione del corrispettivo al di fuori di tale ipotesi di inadempimento, ma ci sembra che una simile tesi sia inconciliabile con il fatto che l’art. 45 CISG legittima il compratore a far valere tutti indifferentemente «i diritti previsti dagli artt. da 46 a 52» in ogni ipotesi in cui «il venditore non adempie delle sue obbligazioni derivanti dal contratto o dalla Convenzione». A ciò si aggiunga che l’art. 44 67 C.M. BIANCA, sub art. 35, in ID., Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 147. 68 In tal senso, v. A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 505; M. BIN, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, cit., p. 756. KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 35 CIGS, cit., Rn. 13 si esprime nel senso che, in conseguenza dell’unitarietà del concetto di non conformità, non vi è alcuna necessità di procedere a distinzioni fra le varie forme di difettosità materiale note a molte esperienze giuridiche nazionali: «Art. 35 does not distinguish between the delivery of “defective goods” and the delivery of “different goods”, i.e. between peius and aliud or different types of aliud (capable and incapable of being approved by the buyer), as does for example the Austrian law. Neither is a distinction made between ordinary characteristics of the goods and specific warranties as to their particular characteristics, i.e. between Sacheigenschaft and Zusicherung, as is done for example under Swiss law. Furthermore, Art. 35 does not distinguish between vice caché and vice apparent, like the French law, between conditions and warranties, as is done under English law, or express and implied warranties, as is done under US law». Nello stesso senso, v. SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/I. SCHWENZER, sub art. 35, cit., Rn. 4. 69 Dubbi in ordine all’applicabilità dell’art. 50 CISG a fronte dei c.d. defects in title sono stati avanzati sulla base dell’osservazione secondo cui tale disposizione farebbe espressamente riferimento soltanto ai casi in cui «i beni non sono conformi al contratto» e non già a quelli in cui non sia adempiuto l’obbligo derivante dall’art. 41: in questo senso v. FERRARIKIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 41 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 11; MÜNCHKOMM-BGB/B. GRUBER, sub art. 41 CISG, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 23; seppur in termini dubitativi, KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 41 CIGS, München, 2011, Rn. 38. 74 CAPITOLO SECONDO CISG – nel regolare le conseguenze della mancata tempestiva denunzia così del difetto di conformità come del “difetto del titolo” – consente sempre l’esercizio della riduzione del prezzo e del risarcimento anche in mancanza della denunzia purché il compratore abbia «una ragionevole giustificazione» per non aver agito conformemente agli artt. 39 e 43: sembra pertanto difficilmente controvertibile la conclusione secondo cui, poiché la riduzione del prezzo è percorribile, in tale ipotesi, anche in carenza di denunzia, non si vede come potrebbe non esserlo in generale70. Possiamo pertanto concludere che, anche a fronte dell’inadempimento dell’obbligo di consegnare beni liberi da diritti e pretese di terzi, il compratore può invocare senz’altro la tutela estimatoria ai sensi dell’art. 50 CISG 71. Sembra, così, trovare conferma l’idea che la riduzione del prezzo costituisca un mezzo di tutela del compratore che questi può far valere, in linea di principio, nei confronti di qualsiasi tipo di difetto materiale della res vendita e di ogni forma di difetto giuridico del diritto acquistato che non si traduca nella totale perdita della titolarità della cosa. La conclusione cui siamo giunti esige tuttavia di essere ulteriormente precisata. Da un lato, in quanto la disciplina di diritto comune della vendita rivela due – seppur secondarie e facilmente spiegabili – “eccezioni”. Dall’altro, perché è necessario chiarire quale incidenza rivesta, nell’economia del mezzo di tutela de quo, l’interesse del compratore relativamente all’attribuzione patrimoniale difettosa, così ricollegandoci a quanto avevamo osservato in apertura del presente paragrafo in ordine al fatto che ai sensi degli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. al compratore non sembra essere assicurata una piena libertà di scelta dell’azione estimatoria, come invece accade all’art. 1492 c.c. 70 Né ha pregio la tesi secondo la quale tale argomento non sarebbe conclusivo giacché «on the one hand, it mentions the remedy of price reduction explicitly for defects in title but at the same time provides that the possibility to reduce the price exists “in accordance with Art. 50” which only refers to non-conforming goods» (KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/S. KRÖLL, sub art. 44 CIGS, München, 2011, Rn. 3). Infatti, oltre a quanto già abbiamo avuto modo di notare circa la assoluta mancanza di vincolatività del riferimento espresso ai soli difetti di conformità nell’art. 50, sembra opportuno notare come il rinvio contenuto nell’art. 44 sembri riguardare le modalità di attuazione della riduzione e non già i presupposti in presenza dei quali la medesima può essere invocata. 71 In questo senso, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 41 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 26 («Im Ergebnis ist die Minderung auch bei Rechtsmängeln zu gewähren. Ein grundlegender sachlicher Unterschied zwischen Rechts- und Sachmängeln, der den Auschluss der Minderung bei Rechtsmängeln fordert, ist nicht zu erkennen. Auch im Übrigen stellt die Konvention Sach- und Rechtsmängel ganz weitgehend gleich. Ferner kann wenn auch in seltenen Fällen - ein Bedürfnis für den Minderungsanspruch speziell bei Rechtsmängeln bestehen»); W.A. ACHILLES, Kommentar zum UN-Kaufrechtsübereinkommen (CISG), LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 75 In primo luogo, è doveroso segnalare come – se quanto sin qui argomentato suffraga la tesi della generale applicabilità della riduzione del corrispettivo a tutte le ipotesi in cui si verifichi un difetto dell’attribuzione patrimoniale cui è tenuto il venditore – qualche dubbio possa probabilmente essere avanzato in relazione alle ipotesi in cui, in una vendita cui trovi applicazione esclusivamente la disciplina del codice civile, abbia luogo la consegna di un aliud ovvero di una quantità di merce inferiore a quella convenuta in contratto. Infatti, contrariamente a quanto abbiamo appena veduto in relazione alla Convenzione di Vienna e alle norme in materia di vendite di beni di consumo, la disciplina della garanzia per vizi di cui agli artt. 1490 ss. c.c. non trova applicazione né alle ipotesi di carenza quantitativa della merce, né alle patologie qualitative traducentisi nella prestazione di una cosa radicalmente diversa da quella pattuita. L’inesattezza quantitativa della prestazione del venditore, infatti, nel sistema codicistico della compravendita è inquadrata non già quale vicenda di inattuazione dell’attribuzione patrimoniale convenuta, bensì – salvo che l’inadeguatezza della quantità si traduca in un difetto della res72 – come inesatto adempimento dell’obbligazione di consegna (art. 1477 c.c.): di massima, pertanto, essa legittima il compratore non già al ricorso alle azioni edilizie, ma agli ordinari rimedi contrattuali nei confronti dell’inadempimento73. sub art. 50, 2. Aufl., München, 2014, Rn. 2; A.M. GARRO - A.L. ZUPPI, Compraventa internacional de mercaderías, Buenos Aires, 1992, p. 171; R. LOEWE, Internationales Kaufrecht, Wien, 1989, p. 72. 72 Scrive esattamente D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 904 che «a seconda della cosa e delle parti di essa le cui dimensioni risultano inadeguate, tale difetto può consistere in un vizio (ad esempio, insufficiente spessore dei muri o insufficiente profondità delle fondamenta) […] oppure in una mancanza di qualità (essenziale per l’uso normale o promessa) o più precisamente nel difetto del grado dovuto di una data qualità (es., scarpe confezionate su misura ma troppo strette, numero di vani dell’edificio inferiore al normale)». È bene ricordare, inoltre, che in tema di vendita di beni immobili la discrepanza fra “quantità contrattata” e “quantità effettiva” riceve una speciale disciplina, imperniata sulla rettifica del corrispettivo (art. 1537 ss. c.c.). Tale disciplina, peraltro, da un canto, non trova applicazione qualora la quantità assurga a qualità promessa ex art. 1497 c.c. (così A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 254 e P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1537-41, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 494) e, dall’altro, fa riferimento a un’ipotesi in cui non ricorre né la consegna di una porzione inferiore a quella effettivamente alienata, né una vendita di cosa parzialmente altrui, bensì soltanto un errore di calcolo (v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 103 ss. e A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 254 s.). 73 Per tutti, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 499. Ne consegue che la legittimazione dell’acquirente a far valere la tutela estimatoria, in relazione a questa ipotesi come a quella di consegna di un c.d. Identitäts-aliud del quale diremo subito infra nel testo, dipende dalla risposta che si ritenga corretto fornire al più ampio quesito circa 76 CAPITOLO SECONDO Altrettanto può dirsi per il caso in cui il venditore consegni al compratore un oggetto diverso da quello sul quale si è formato il consenso delle parti, giacché in tal caso – secondo l’impostazione del nostro codice civile – si è in presenza non già di una difformità fra il risultato traslativo programmato e quello effettivamente prodottosi, bensì dell’inattuazione dell’obbligo di trasferire il potere di fatto sulla cosa oggetto del contratto74. Ove, invece, l’aliud pro alio si sostanzi nell’attribuzione in proprietà di un bene radicalmente inidoneo ad assolvere la destinazione ecola natura di mezzo di tutela generale contro l’inadempimento di obbligazioni (derivanti da contratti sinallagmatici) della riduzione del corrispettivo. Il tema esula dai limiti della presente trattazione, volta a indagare il rimedio nella sua applicazione nel contesto del contratto di vendita, ma è doveroso sottolineare come – nonostante la mancanza di una disposizione che la preveda espressamente – non siano rare le prese di posizione favorevoli a considerare, de iure condito, la quanti minoris quale rimedio di carattere generale: in tal senso si esprimono C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 356; ID., La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 954; A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 36. In giurisprudenza, un certo favore per l’applicazione della riduzione del corrispettivo quale rimedio di carattere “generale”, proprio facendo leva sull’idea che questa costituisca un mezzo di tutela di ordine generale, si può scorgere nel filone inaugurato da Cass., sez. un., 27 febbraio 1985, n. 1720 la quale, con riguardo a un preliminare di vendita di immobile da costruire, realizzato con vizi o difformità incidenti sul solo valore ovvero su modalità del godimento di ordine secondario, ha ritenuto che «il promissario acquirente, a fronte dell’inadempimento del promittente venditore, non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo, contestualmente e cumulativamente, la riduzione del prezzo, tenuto conto che il particolare rimedio offerto dal citato art. 2932 c.c. non esaurisce la tutela della parte adempiente, secondo i principi generali dei contratti a prestazioni corrispettive, e che una pronuncia del giudice, che tenga luogo del contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l’interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente». L’applicazione della riduzione del prezzo alla specifica fattispecie del difetto quantitativo si ritrova in Cass. 6 novembre 1991, n. 11834, secondo la quale «anche nella vendita di cose di genere quali gli animali che siano indicati in contratto con riferimento al loro numero, il difetto di qualità può costituire “vizio” se si riferisca alle dimensioni, peso, misura, o alle caratteristiche dei singoli capi (“corpora certa”); quando invece gli animali, pur avendo le caratteristiche pattuite, vengano consegnati in numero inferiore a quello convenuto, il venditore incorre in inadempimento parziale ed il compratore ha diritto, a seconda delle particolarità concrete, o alla consegna del quantitativo mancante o alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, ferma restando l’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., senza che a dette azioni siano applicabili le condizioni ed i termini di cui all’art. 1495 c.c.». 74 Così A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 476 s. e G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 459. Nel senso che la fattispecie in discorso concreta un inadempimento dell’obbligazione contrattuale di consegna v. altresì D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 910 ss. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 77 nomico-sociale della cosa dedotta in contratto75 deve convenirsi con la migliore dottrina secondo cui ricorre non già un inadempimento regolato dalle regole generali in materia di risoluzione e di risarcimento del danno76, rilevante soltanto in presenza di una colpa dell’alienante77, bensì la realizzazione di un’attribuzione patrimoniale differente da quella programmata, la cui gravità è tale da poter essere equiparata a un’inattuazione totale. Pertanto, a questa seconda – e più frequente – ipotesi di consegna di cosa diversa, deve trovare applicazione «una tutela modellata su quanto previsto dagli artt. 1479 e 1480 c.c., alla cui stregua [il compratore] avrà diritto a chiedere la risoluzione del contratto (o la riduzione del prezzo)78 a prescindere dalla colpa del venditore […] e usufruendo del termine di prescrizione ordinaria»79. Rimane pertanto confermato che tutte le fattispecie che danno luogo a un’imperfetta esecuzione dell’attribuzione traslativa legittimano 75 Corre l’obbligo di precisare che, nell’assumere la posizione che stiamo per esprimere, muoviamo dal presupposto incontrovertibile dell’ormai piena cittadinanza nel sistema codicistico della compravendita della categoria dell’aliud quale consegna di cosa assolutamente inidonea a soddisfare le esigenze sottese all’impiego che tipicamente si fa della res oggetto del contratto. Ciò, peraltro, non ci impedisce di manifestare la netta preferenza per l’impostazione unitaria adottata dalla Convenzione di Vienna e dalla dir. 1999/44/CE, giacché la speculazione volta a sceverare le varie tipologie di difetto materiale ha già mostrato la sostanziale inanità dello sforzo diretto a separare concetti riferentisi a realtà ontologicamente identiche. 76 Così, invece, la giurisprudenza e la dottrina prevalente. Cfr. infatti, in luogo di molte, Cass. 18 maggio 2011, n. 10916; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202; Cass. 30 luglio 2004, n. 14586; Cass. 3 agosto 2000, n. 10188; Cass. 28 gennaio 1997, n. 844; Cass. 19 gennaio 1995, n. 593. In dottrina, v. ad esempio G.B. FERRI, La vendita in generale, in Tratt. Rescigno, XI, cit., p. 246 ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 949; E. GABRIELLI, La consegna di cosa diversa, Napoli, 1987, p. 5; C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi e difetti di qualità della cosa venduta, in D. VALENTINO (a cura di), I contratti di vendita, II, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, p. 1127. 77 In tal senso è particolarmente ferma la posizione dei nostri tribunali: si veda, oltre alle sentenze citate alla nota precedente, Cass. 30 marzo 2006, n. 7561, la cui massima ha il seguente tenore: «La vendita di aliud pro alio […] configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse, che integrano la fattispecie dell’inesatto adempimento; nel primo caso al compratore spetta l’azione generale di risoluzione contrattuale per inadempimento, con conseguente rilevanza della colpa ai fini del giudizio di inadempimento, mentre negli altri casi, operando la speciale garanzia di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c., la colpa rileva soltanto ai fini dell’eventuale risarcimento dei danni». 78 Ciò, peraltro, in tanto potrà verificarsi in quanto, nonostante la radicale inidoneità della res trasferita a servire agli scopi che tipicamente caratterizzano la cosa dedotta in contratto, l’accipiens ritenga comunque di poter trarre un’utilità dalla medesima. Sul punto v. infra nel testo. 79 Le parole fra virgolette sono tratte da G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 459, il quale riprende l’opinione espressa da A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 286. 78 CAPITOLO SECONDO l’accipiens a fare ricorso alla quanti minoris: le stesse (potenziali) eccezioni che abbiamo or ora identificato, in relazione alle ipotesi di consegna di una quantità di cose inferiore a quella dovuta e di c.d. Identitätsaliud, possono e debbono infatti spiegarsi osservando come, nel sistema della garanzia, questi casi non diano luogo a un’inattuazione dell’attribuzione patrimoniale ma a un mero inadempimento dell’obbligo di consegna. Acclarata la natura generale del rimedio estimatorio con riferimento a questa tipologia di inesecuzione del programma contrattuale, deve peraltro essere chiarito il punto relativo alla rilevanza dell’interesse del compratore, giacché abbiamo avuto modo di notare come le disposizioni in tema di difetti giuridici contenute nel nostro codice civile leghino l’esperibilità della riduzione del corrispettivo all’esito positivo del giudizio inerente all’interesse di questi nei confronti dell’acquisto qualora egli fosse stato al corrente del difetto medesimo, mentre una simile valutazione non è evocata né dall’art. 1492 c.c., né dall’art. 130 c.cons., né dall’art. 50 CISG, i quali ammettono l’esercizio della quanti minoris a prescindere da simili valutazioni. Ciò parrebbe adombrare la possibilità che soltanto in relazione ai difetti materiali la riduzione del prezzo costituisca una via sempre percorribile per l’acquirente insoddisfatto, mentre tanto non varrebbe qualora sia il diritto trasferito a essere “viziato”. Sembra, però, opportuno soppesare con attenzione l’incidenza del giudizio evocato dall’art. 1480 c.c., onde evitare di attribuirgli un peso eccedente rispetto agli scopi che il legislatore ha perseguito nel dettare la relativa regola. Questa, invero, non ha affatto lo scopo di restringere il campo di applicazione del rimedio estimatorio ma – al contrario – quello di segnare il perimetro della risoluzione del contratto, circoscrivendola alle sole ipotesi in cui le circostanze del caso concreto facciano ritenere che quel compratore (e non il compratore medio)80 «non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario» (art. 1480 c.c.). La limitazione all’esperibilità della risoluzione così imposta, infatti, è stata ritenuta una sorta di specificazione del generale criterio di importanza dell’inadempimento81 di cui all’art. 1455 c.c., ed è precisa80 Così, infatti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375 nota 46. 81 Si noti, incidentalmente, che il criterio in discretivo in argomento presenta una palese somiglianza con quello che – ai sensi dell’art. 1419, comma 1 c.c. – presiede all’estensione della nullità parziale all’intero contratto (lo notano, ad esempio, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394 nota 1039 e A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 46). Contrariamente a quanto accade in relazione a tale fattispecie, peraltro, nell’ipotesi che qui interessa il giudizio riguarda soltanto l’attitudine del compratore LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 79 mente volta a evitare che lo scambio possa essere posto nel nulla anche qualora l’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale non debba considerarsi di gravità tale da far venir meno l’interesse del compratore all’acquisto82. La prospettiva dalla quale occorre guardare alla regola posta dall’art. 1480 c.c., pertanto, è opposta rispetto a quella che il confronto con la disciplina dedicata ai difetti materiali parrebbe suggerire: non di una restrizione all’esercizio dell’estimatoria si tratta, ma del mero “negativo” della regola diretta a riservare la risoluzione alle sole ipotesi di maggior gravità. E ciò è confermato dal fatto che la dottrina è chiara nell’affermare che «anche quando avrebbe diritto alla risoluzione del contratto il compratore, se lo preferisce, può limitarsi a chiedere una semplice riduzione del prezzo»83. D’altronde, nel consentire la risoluzione soltanto qualora debba «ritenersi, secondo le circostanze, che [l’acquirente] non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario», l’art. 1480 c.c. esprime chiaramente sia la necessità che la domanda di risoluzione sia supportata da elementi che consentano di dedurre la carenza di interesse del compratore in relazione all’adempimento parziale, sia la connessione dell’alternativa rimediale alla sola considerazione dell’interesse di tale soggetto. In ciò differenziandosi dalla regola codificata dall’art. 1419, comma 1 c.c., invero, quella qui analizzata non conferisce alcuna rilevanza all’interesse del venditore, il quale può pertanto certamente opporsi alla risoluzione invocando la sussistenza di un interesse della controparte nei confronti dello scambio pur a fronte del difetto, ma di certo non ha titolo per contestare la richiesta di riduzione del prezzo allegando, viceversa, la carenza di interesse della controparte. Deve, infatti, essere considerato che – seppur si atteggia quale giudizio imperniato sull’astratta attitudine del compratore nei confronti del difetto effettivamente manifestatosi – quello di cui all’art. 1480 c.c. è un giudizio che ben difficilmente può condurre a negare la sussistenza di tale interesse a fronte dell’inequivoca volontà del compratore di conservare lo scambio, ottenendo la decurtazione del corrispettivo pattuito, manifestata attraverso l’esercizio della quanti minoris, anziché della risoluzione. Possiamo pertanto concludere che, a dispetto del differente tenore e non già quella di entrambe le parti del contratto. Questa osservazione ci tornerà utile a breve nel testo. 82 In questo senso v. ancora D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375 s. 83 Così D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377 e, più di recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394. 80 CAPITOLO SECONDO delle disposizioni analizzate84, la valutazione in ordine alla scelta di esercitare la riduzione del corrispettivo a fronte della sussistenza di un’inesatta attribuzione patrimoniale sia rimessa interamente alla libera scelta del compratore, il quale la farà valere allorché – nonostante il difetto – abbia interesse al conseguimento e alla conservazione della prestazione contrattuale eseguita dalla controparte. 3. L’adeguamento del contenuto contrattuale quale oggetto del diritto di ridurre il prezzo L’indagine fin qui condotta ci consegna la riduzione del corrispettivo quale generale mezzo di reazione a fronte dei vizi giuridici o materiali manifestati dall’attribuzione patrimoniale, che consente al compratore, interessato a trattenere la res nonostante il difetto, di ottenere una corrispondente modificazione della prestazione pecuniaria dovuta, giustificata dall’inesatta esecuzione del contratto da parte del venditore. Stando alla denominazione stessa del rimedio, potrebbe ritenersi che il suo contenuto si esaurisca, appunto, nella mera decurtazione del corrispettivo pattuito85. Tale conclusione è, però, certamente fallace. Come è stato posto in luce soprattutto dagli studiosi di area germanica86, la riduzione del prezzo spiega infatti i propri effetti su entrambe le 84 Tale differente tenore, sia detto incidentalmente, produce assai più penetranti effetti in ordine alla possibilità per il compratore di esercitare il rimedio risolutorio: si pensi, ad esempio, al fatto che questa soggiace ai medesimi presupposti dell’estimatoria ai sensi dell’art. 1492 c.c., mentre è subordinata al giudizio di carenza di interesse al contratto parzialmente inadempiuto nelle fattispecie di cui agli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. 85 Nella nostra dottrina, in effetti, si tende a porre esclusivamente l’accento su questo aspetto: cfr., ad esempio, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 451 e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 953, i quali fanno riferimento soltanto alla decurtazione del corrispettivo pattuito volta a mantenere inalterato il rapporto di equivalenza tra cosa e prezzo. 86 In relazione al § 441 BGB, cfr., già nei commentari, MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 17; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, 14. Aufl., Berlin, 2014, Rn. 38 s., i quali si riferiscono agli effetti della Minderung come “Umgestaltung des Kaufvertrags”. Il punto è ben messo in luce in R. GAIER, Die Minderungsberechnung im Schuldrechtsmodernisierungsgesetz, in ZRP, 2001, p. 340, il quale fa appunto riferimento al «Charakter der Minderung als Vertragsanpassung»; S. PIEGSA, Teilleistungsstörungen bei Verträgen über mehrere körperliche gegenstände, Berlin, 2005, p. 210 ss.; U. KORTH, Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 56 ss.; J. BASEDOW (a cura di), Die Reform des deutschen Kaufrechts: Rechtsvergleichendes Gutachten des Max-Planck-Instituts für ausländisches und internationales Privatrecht im Auftrag des Bundesministerium der Justiz, Köln, 1988, p. 72 s. La medesima opinione si può ritrovare negli scritti relativi all’art. 50 CISG: a titolo di esempio, possono consultarsi SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, 6. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 81 attribuzioni patrimoniali cui le parti si impegnano in forza del contratto, non limitandosi a modificare l’importo della prestazione pecuniaria dovuta dal compratore, ma incidendo altresì sui contenuti della prestazione dovuta dal venditore. A seguito dell’esperimento della tutela estimatoria, infatti, l’acquirente esprime la propria volontà di accettare definitivamente la res vendita con le qualità materiali e giuridiche che essa ha effettivamente manifestato di possedere – dal momento che i contenuti e le caratteristiche della prestazione traslativa sono diversi da quelli originariamente risultanti dalle pattuizioni e dalle norme di legge – sicché anche il contenuto dell’impegno contrattuale dell’alienante viene modificato, venendo egli ad essere gravato dal dovere di trasferire non già un bene conforme alle pattuizioni negoziali87, bensì il bene con le qualità che esso ha effettivamente rivelato. Due precisazioni sono, peraltro, necessarie. In primo luogo, tale modificazione del contenuto contrattuale è circoscritta al solo difetto effettivamente denunziato dal compratore e in relazione al quale è esercitata la riduzione del prezzo, mentre per il resto il venditore rimane gravato dal generale obbligo di procurare un bene esente da difetti. Con ciò intendiamo dire che l’adattamento del programma negoziale indotto dall’esercizio della quanti minoris comporta solo ed esclusivamente la modifica di quanto dovuto in base al contratto in relazione alla qualità giuridica o materiale rivelatasi mancante, in vista della quale il rimedio è stato fatto valere, ma non si estende a tutti gli eventuali difetti che dovessero eventualmente manifestarsi in futuro88 (ovvero si siano manifestati ma non siano stati invocati a fondamento della quanti minoris). L’eventuale successiva manifestazione di difetti ulteriori, pertanto, darà luogo ad altrettante fattispecie di responsabilità del Aufl., München, 2013, Rn. 1, il quale esattamente scrive che «die Minderung ist somit weder Schadenersatz noch partielle Vertragsaufhebung, sondern Vertragsanpassung», e M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-BernBruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000, p. 191 ss. 87 In questo senso, v. C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag, München, 2002, p. 29 ss., il quale scrive che con l’esercizio della Minderung il compratore rinunzia «auf die Vollwertigkeit der Sache gegen Rückzahlung eines Teils des Kaufpreises». Così anche U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 57: riferendosi all’ipotesi della vendita di un quadro rivelatosi opera di un allievo di Picasso, piuttosto che di quest’ultimo, egli scrive che «infolge der Ausübung der Minderungsposition durch den Käufer ist der Kaufvertrag auch dahingehend angepasst, dass das Bild in seiner tatsächlichen Beschaffenheit nunmehr die geschuldete Kaufsache ist. Die Minderung führt somit auch zu einer Modifikation der vom Verkäufer versprochenen Leistung». 88 Sul punto, v. il par. 6 del Capitolo 3, ove sarà affrontato amplius il tema del ripetuto esperimento della riduzione del corrispettivo in relazione a plurimi difetti della res vendita. 82 CAPITOLO SECONDO venditore, che consentiranno alla controparte di esercitare i mezzi di tutela che riterrà opportuni. In secondo luogo, ci sembra necessario tenere conto delle perplessità che l’idea di un mutamento dell’obbligo gravante sul venditore in forza del contratto di vendita può sollevare presso coloro i quali ritengono che la garanzia per vizi e per evizione prevista dal codice civile non si traduca affatto in un obbligo dell’alienante di trasferire alla controparte una cosa dotata di determinate caratteristiche o, comunque, esente da vizi materiali o giuridici, sulla base dell’assorbente considerazione secondo cui non potrebbe assumersi un impegno obbligatorio in relazione a una realtà di fatto che sussiste o meno, non potendo questa essere influenzata dal comportamento umano89. Non sembra, peraltro, che tale impostazione sia inconciliabile con quanto sosteniamo. E non lo è proprio perché anche coloro che negano la sussistenza in capo al venditore di un obbligo di procurare all’acquirente un bene non difettoso non contestano che tale risultato costituisca nondimeno oggetto del vincolo negoziale, che dovrà dirsi inadempiuto sotto il profilo dell’inadeguatezza dell’attribuzione patrimoniale operata qualora la res vendita presenti un vizio redibitorio o giuridico90. Se le qualità della cosa, pur ritenendosi non suscettibili di costituire oggetto di obbligazione, concorrono ciononostante alla definizione dei caratteri dell’attribuzione patrimoniale dovuta in base al contratto, accedendo a questa ricostruzione può comunque concludersi – così rendendo omnicomprensiva la proposta definizione degli effetti del rimedio – che la riduzione del corrispettivo, anche qualora si ritenga che non incida su un obbligo assunto dal venditore, modifica senz’altro il suo complessivo impegno contrattuale. Identificare il modo di operare della quanti minoris nell’adattamento del contenuto contrattuale equivale ad affermare che la natura giuridica degli effetti che questa produce deve essere ricondotta a uno specifico fenomeno che coinvolge, alterandolo, l’iniziale programma negoziale e che non sembra riconducibile, almeno prima facie, ad altri istituti o principi, che appaiono ad essa almeno superficialmente affini e che sono stati talvolta invocati al fine di descriverne il proprium. In particolare, se non v’è dubbio – come meglio diremo nel par. 5 – che la riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela contro l’inesatta attribuzione patrimoniale possa trovare la propria remota giustificazione nel principio dell’arricchimento ingiustificato91, è altrettanto vero che la 89 Per questa tesi, v. gli Autori citati alla nota 186 del Capitolo 1. 90 Cfr. per tutti L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., cit., p. 16 s. 91 D’altronde, tale era l’idea sulla base della quale l’azione si affermò nell’ordinamento LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 83 tutela estimatoria non si esaurisce in una mera applicazione dell’azione di arricchimento. Non solo perché quest’ultima nel diritto civile vigente costituisce un mezzo di tutela sussidiario, il quale trova applicazione soltanto «quando il danneggiato [non] può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito»92 (art. 2042 c.c.) ma anche, e soprattutto, perché la riduzione del prezzo non si limita a provocare il mero adeguamento del prezzo bensì – come abbiamo visto poco supra – dà luogo pure, e correlativamente, alla modifica della prestazione incombente sul venditore, la quale viene a coincidere con la prestazione dell’oggetto difettoso. Pertanto, il mero richiamo al principio dell’arricchimento senza causa non sembra fornire una spiegazione appagante alla previsione e al funzionamento tipico della tutela estimatoria, la quale senz’altro consente la rimozione dell’indebito lucro che il venditore trarrebbe ove potesse conservare l’intero prezzo pattuito pur a fronte dei difetti rivelati dalla res vendita, ma il cui contenuto – come meglio vedremo nel Capitolo 3 – non coincide con l’“arricchimento” del venditore, cui espressamente è limitata la misura dell’indennizzo conseguibile a mezzo dell’actio de in rem verso (art. 2041 c.c.)93. A ciò si aggiunga che l’accostamento sembra smentito altresì dalla differente natura che la tesi assolutamente dominante ascrive al debito dell’arricchito e a quello del venditore verso romano. Sull’originaria natura di azione di arricchimento dell’actio aestimatoria concessa dagli edili curuli cfr. Capitolo 1. 92 Sulla sussidiarietà dell’azione ex art. 2041 c.c., oltre agli ormai classici scritti di P. TRIMARCHI, L’arricchimento senza causa, Milano, 1962, p. 41 ss., P. SCHLESINGER, voce Arricchimento (Azione di), in Nov. D., I, 2, Torino, 1958, p. 1004 ss., A. TRABUCCHI, voce Arricchimento (Azione di), in Enc. dir., III, Milano, 1959, p. 74 ss., v. ex plurimis U. BRECCIA, L’arricchimento senza causa, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1999, p. 1010 ss.; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2004, p. 325 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 834 ss.; P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, in Tratt. Sacco, Torino, 2008, p. 68 ss.; A. ALBANESE, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, p. 332 ss.; E. MOSCATI, voce Arricchimento (Azione di) nel diritto civile, in Dig. disc. priv. - sez. civ., I, Torino, 1987, p. 458 ss.; F. GIGLIO, La actio de in rem verso nel sistema del codice civile, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 266 ss.; P. SIRENA, Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 105 ss.; B. NICHOLAS, Unjust enrichment and subsidiarity, in Studi in memoria di Gino Gorla, III, Milano, 1994, p. 2037 ss.; L. BARBIERA, Arricchimento mediato e sussidiarietà dell’azione, in Contratti, 2004, p. 116 ss.; A. VENTURELLI, Sulla specificità e residualità dell’azione di ingiustificato arricchimento: inutilità di un rimedio?, in Danno e resp., 2003, p. 865 ss.; D. CARUSI, Una fonte (inesauribile?) di equivoci: la sussidiarietà dell’azione di arricchimento, in Giur. it., 2014, p. 1098 ss. (a commento di Cass. 2 agosto 2013, n. 18502). 93 Scrive C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 832 che l’indennizzo cui ha diritto il soggetto che agisce con l’azione di arricchimento «è determinato nella minor misura tra il valore del bene perduto dall’impoverito […] e il valore del vantaggio conseguito dall’arricchito». 84 CAPITOLO SECONDO il quale sia fatta valere la riduzione del prezzo: mentre il primo è pacificamente inquadrato quale debito di valore soggetto a rivalutazione automatica sin dal giorno dell’arricchimento94, il secondo ha – per unanime opinione – natura di debito di valuta95. Persuasivo non è neppure l’accostamento che, negli anni ’80 del secolo scorso, è stato tentato da parte di certa dottrina germanica96, la quale ha proposto di considerare la riduzione del prezzo quale ipotesi di responsabilità precontrattuale derivante dalla conclusione di un contratto valido97, foriera di un obbligo risarcitorio limitato al c.d. interesse negativo, osservando che il compratore – a seguito della conclusione del 94 Cfr. Cass. 16 novembre 1993, n. 11296: l’indennizzo dovuto per arricchimento senza causa a norma dell’art. 2041 c.c., in quanto diretto a reintegrare una diminuzione patrimoniale, configura un debito di valore e non di valuta, per cui esso va liquidato alla stregua dei valori monetari in atto al momento della pronuncia e il giudice deve tener conto della svalutazione monetaria intervenuta fino al momento della decisione, anche di ufficio, indipendentemente dalla prova della sussistenza di un specifico pregiudizio dell’interessato, dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. Cass. 12 settembre 1992, n. 10433: la somma dovuta a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa produce, dal giorno del verificarsi dell’arricchimento, interessi compensativi […]; essi decorrono dalla data della perdita del godimento del bene, senza che occorra che il creditore sia liquido ed esigibile. Cass. 11 febbraio 2002, n. 1884, secondo cui l’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c., anche se l’arricchimento consiste in un risparmio di spesa e il correlativo depauperamento in attività od erogazioni, rientra tra i debiti di valore, per tali dovendosi intendere quelli aventi ad oggetto non la erogazione già in origine di una entità pecuniaria per se stessa oggettivamente rilevante, determinata o determinabile, ma la prestazione di un quid monetario corrispondente a un valore reale, tendenzialmente finalizzato a reintegrare il patrimonio dell’avente diritto. 95 Cass. 29 gennaio 2013, n. 2060: l’obbligazione del venditore di restituire parte del prezzo, conseguente all’accoglimento dell’actio quanti minoris, ha natura non di debito di valore ma di valuta, trattandosi non di un’obbligazione risarcitoria ma di un rimborso a favore dell’acquirente, in quanto derivante dal venir meno […] della causa dell’obbligazione di pagamento dell’intero prezzo. V. altresì C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 974, nonché Cass. 6 febbraio 1989, n. 724 e Cass. 6 febbraio 1985, n. 846. Cfr. amplius il par. 8 del Capitolo 3. 96 Si vedano, in particolare, gli scritti di H. STOLL, laddove l’A. esprime l’opinione secondo cui i rimedi edilizi verrebbero legittimati dall’esistenza di un danno all’affidamento provocato dalla promessa di prestazione del venditore, e – nel caso specifico della Minderung – la pretesa riconosciuta al compratore altro non sarebbe che un rimedio tipizzato con il quale l’interesse contrattuale negativo viene affermato e tutelato. Sul punto cfr. H. STOLL, Anmerkung zu BGH, Urteil v. 10.12.1986 - VIII ZR 349/85, in JZ, 1987, p. 518 ss. e ID., Die bei Nichterfüllung nutzlosen Aufwendungen des Gläubigers als Maßtab der Interessenbewertung. Eine rechtsvergleichende Studie zum Vertragsrecht, in Festschrift für Konrad Duden, München, 1977, p. 641. 97 La proposta interpretativa in discorso si pone, peraltro, nel solco della tesi già avanzata da R. VON JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadenserstatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, p. 17, in ordine alla quale si veda il Capitolo 1. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 85 contratto di vendita e della consegna di un bene viziato – subisce un danno risarcibile, in quanto si ritrova ad essere obbligato al pagamento di un prezzo eccessivo rispetto alle qualità effettive del bene conseguito. Infatti, qualora il compratore avesse conosciuto le reali condizioni e qualità della res vendita – ove ciò non lo avesse determinato addirittura ad astenersi dal contrarre – di certo lo avrebbe almeno indotto a concludere il contratto a condizioni differenti rispetto a quelle effettivamente pattuite sul presupposto dell’integrità e della regolarità dell’attribuzione patrimoniale circa la quale il venditore ha assunto l’impegno contrattuale98. Secondo tale ricostruzione, la riduzione del prezzo darebbe luogo alla riparazione del danno così prodottosi, il quale verrebbe appunto risarcito attraverso la decurtazione di parte del corrispettivo o la restituzione di questa. Inteso in tal senso, il rimedio che ci occupa dovrebbe garantire al compratore di essere posto in una situazione economicamente equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato ove (non avesse concluso il contratto o, rectius) lo avesse concluso conoscendo fin dal principio l’esistenza del difetto99. Tale ricostruzione si rivela inappagante nel descrivere la natura della riduzione del prezzo100 in quanto, a tacer d’altro101, non spiega la prevista possibilità del compratore di richiedere, oltre al rimedio in parola, altresì il risarcimento del danno102 e trascura di considerare come la tutela dell’interesse negativo – come meglio si vedrà – non si esaurisca affatto nella 98 La tesi de qua, pertanto, riconduce sostanzialmente la garanzia a un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, fondata sulla mancata informazione del compratore in ordine alle qualità del bene compravenduto. Tale tesi è stata sostenuta anche nella nostra letteratura: sul punto v. il Capitolo 6. 99 Così H. STOLL, Anmerkung zu BGH, Urteil v. 10.12.1986 - VIII ZR 349/85, cit., p. 519. 100 Nel senso che la Wandlung e la Minderung sarebbero irriconducibili a ipotesi di responsabilità risarcitoria, v. altresì W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, cit., p. 185. 101 Anche in questo caso, ad esempio, dovremmo notare la singolarità di un’ipotesi di risarcimento del danno con riferimento alla quale è pacifica la ritenuta sussistenza di un debito di valuta, e non già di valore. 102 In argomento v. il Capitolo 6, ove sarà fatta oggetto di specifica attenzione, fra l’altro, la disciplina del risarcimento del danno richiesto in aggiunta rispetto alla riduzione del prezzo. La ricostruzione di Stoll, non a caso, si è formata sulla base del diritto della compravendita tedesco anteriore alla riforma del 2002: in tale regime, infatti, il compratore di una cosa viziata o priva di qualità garantite poteva ottenere il risarcimento del danno – indipendentemente dalla colpa del venditore – soltanto in alternativa alla risoluzione del contratto e alla riduzione del prezzo, e non già in aggiunta a tali rimedi, e soltanto in tre ipotesi determinate, circa le quali si veda, per tutti, K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. II Band: Besonderer Teil. 1. Halbband, München, 1986, p. 58 ss. 86 CAPITOLO SECONDO diminuzione del corrispettivo convenuto103, bensì comprenda altresì tutte le spese sostenute dal compratore in conseguenza del contratto e risultate inutili in ragione della presenza e della manifestazione del vizio nella cosa. Ove si noti che tutti indistintamente i sistemi di tutela del compratore fatti oggetto di considerazione nella presente indagine consentono al compratore deluso di far valere, oltre alla riduzione del prezzo, anche il diritto al risarcimento del danno (artt. 1480 e 1494 c.c.; art. 135 c.cons.; art. 45 CISG), non può che apparire problematico ammettere che lo stesso rimedio estimatorio sia contraddistinto da una funzione risarcitoria. Invero, qualora si ritenga che i referenti normativi appena richiamati evochino altrettante ipotesi di pieno risarcimento del danno, esteso al c.d. interesse positivo104, non solo sarebbe palesemente eterodosso ritenere che una medesima fattispecie sia posta dalla legge a fondamento di due tipologie di responsabilità risarcitoria differenti, ma sarebbe certamente inammissibile il cumulo di poste risarcitorie che l’esercizio combinato dell’uno e dell’altro rimedio renderebbe possibile105. Ove, al contra103 Anche a questo aspetto sarà dedicata attenzione nel Capitolo 6. Per il momento, si veda la sintetica trattazione di A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, I, 1, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 403 ss. 104 In questo senso si colloca l’unanime opinione relativamente al risarcimento del danno previsto in favore del compratore dalla Convenzione di Vienna del 1980 (per tutti, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 74 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 2; del resto è lo stesso art. 74 CISG a chiarire che la pretesa del danneggiato si identifica in una somma «equal to the loss, including loss of profit, suffered by the other party as a consequence of the breach»), nonché quella nettamente prevalente con riferimento al rimedio risarcitorio accordato dagli artt. 1480 e 1494 c.c. (cfr. ad esempio A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 492; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., 978; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202). Per quanto attiene, infine, alla pretesa risarcitoria che può essere fatta valere dal consumatore in forza della generale previsione di cui all’art. 135 c.cons., la valorizzazione della stretta derivazione dell’apparato di tutela accolto dalla dir. 1999/44/CE dalla CISG e la sussistenza di un preciso obbligo del venditore di trasferire alla controparte beni conformi alle pattuizioni contrattuali non può che deporre nel senso che l’obbligo risarcitorio sia volto a reintegrare il patrimonio dell’acquirente per l’intero interesse positivo (cfr. G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI (a cura di), I contratti del consumatore, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1053). 105 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 220 ss. e p. 249 ss., il quale sottolinea come «la funzione del risarcimento è di reintegrare il patrimonio del creditore nella misura del pregiudizio effettivamente e concretamente sofferto [sicché …] la prestazione risarcitoria non deve mettere il danneggiato in una condizione migliore di quella in cui si sarebbe trovato in mancanza di fatto lesivo. […]» (p. 221 s.). Ove si noti che il risarcimento dell’interesse positivo comporta il riconoscimento al danneggiato dei vantaggi che avrebbe ottenuto dalla regolare esecuzione del contratto, mentre quello negativo lo pone in LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 87 rio, si ritenga che anche la responsabilità risarcitoria sia limitata all’interesse negativo, parrebbe priva di qualsivoglia giustificazione la scelta di attribuire all’acquirente due mezzi di tutela di contenuto sostanzialmente identico, benché contraddistinti da differenti denominazioni. Ne dobbiamo, pertanto, desumere che l’inquadramento della quanti minoris quale azione risarcitoria volta a procurare il risarcimento dell’interesse contrattuale negativo del compratore risulta insoddisfacente ed è smentito dallo stesso tenore delle disposizioni che compongono i sistemi di tutela di costui nei confronti di attribuzioni patrimoniali difettose. Profondendo un lodevole sforzo nel tentativo di addivenire a una soddisfacente qualificazione dell’oggetto del nostro studio – e, in particolare, della riduzione del prezzo coniata all’interno del sistema della garanzia di ascendenze romanistiche –, gli studiosi germanici hanno altresì proposto di ricondurre la riduzione del prezzo a un’ipotesi normativamente qualificata di reazione alla “perturbazione106 del fondamento negoziale”107 (la c.d. Störung des Geschäftsgrundlage108, oggi codificata nel una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato ove non avesse concluso il contratto o lo avesse fatto a condizioni differenti, non può che risultare evidente come il contemporaneo riconoscimento di tali utilità patrimoniali dia luogo a una tutela “esorbitante”, irrispettosa del principio che esige la corrispondenza fra misura del danno risarcibile e quantum dell’obbligo risarcitorio. 106 Come acutamente osserva P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des Geschäftsgrundlage, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 103, «il legislatore ha preferito, con riguardo alla “caduta” – il termine usuale, in dottrina e in giurisprudenza, era appunto questo del Wegfall, dello Zweckfortfall –, un vocabolo filologicamente più generico, che evoca l’idea del turbamento della situazione negoziale […]: Störung indica, appunto, un turbamento, un disturbo, che peraltro non arriva alla distruzione». 107 Vedi K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, München-Berlin, 1963, p. 20 ss., il quale mette in luce la correlazione fra concezione oggettiva del vizio e fondamento negoziale. Peraltro, proprio l’affermarsi della concezione mista di vizio nel nuovo § 434 BGB (v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 207, p. 62 s.) sembra contribuire a far sorgere gravi dubbi sulla possibilità di fondare su tali premesse la ricostruzione della riduzione del prezzo. 108 Nell’impossibilità di fornire un’esauriente indicazione della sterminata bibliografia in tema di fondamento negoziale, circa la quale si rimanda senz’altro ai commenti al § 313 nF BGB contenuti nei principali commentari, debbono essere ritenute essenziali le ormai classiche trattazioni di P. OERTMANN, Die Geschäftsgrundlage. Eine neuer Rechtsbegriff, Leipzig, 1921, passim; K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 15 ss. nonché D. MEDICUS, Vertragsauslegung und Geschäftsgrundlage, in Festschrift für Werner Flume, Köln, 1978, p. 629 ss. e F. WIEACKER, Gemeinschaftlicher Irrtum der Vertragspartner und Clausula rebus sic stantibus, in Festschrift Wilburg, Graz, 1965, p. 229 ss. Per una sintesi successiva alla codificazione avvenuta con la riforma del diritto delle obbligazioni del 2002 cfr. ancora K. LARENZ - M. WOLF, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, München, 2004, p. 697 ss. e 88 CAPITOLO SECONDO codice civile germanico al § 313 nF BGB109). Come noto, il “fondamento negoziale” è costituito dall’insieme di quelle circostanze che – pur non formando oggetto della pattuizione raggiunta dalle parti – costituiscono la base che le parti hanno avuto presente o si rappresentavano nel regolamentare i propri rapporti e che esprimono un presupposto necessario affinché tale regolamento possa essere attuato conservando il significato proprio della pattuizione medesima110. Qualora tali circostanze presupposte si siano rivelate differenti da quanto creduto, ovvero siano mutate successivamente alla conclusione del contratto, in maniera talmente incisiva che le parti non avrebbero concluso il contratto o lo avrebbero concluso con un differente contenuto, ove avessero conosciuto le reali circostanze ovvero avessero previsto i mutamenti di queste, può essere richieD. MEDICUS, Allgemeiner Teil des BGB, 10. Aufl., Heidelberg-München-Landsberg-FrechenHamburg, 2010, p. 352 ss. Nella dottrina italiana si veda la convincente sintesi di R. CALVO, La «codificazione» della dottrina del fondamento negoziale (contributo allo studio del nuovo § 313 BGB), in Contr. e impr. Europa, 2004, p. 770 ss. Come noto, la riforma del diritto delle obbligazioni del 2002 non ha accolto la netta bipartizione fra subjektive e objektive Geschäftsgrundlage, proposta da Larenz (cfr. K. LARENZ, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, München, 1989, p. 391 ss.), secondo il quale la prima avrebbe avuto luogo allorché le parti si fossero erroneamente rappresentate l’esistenza o il futuro venire in essere di determinate circostanze formanti il presupposto della negoziazione, mentre la seconda si sarebbe verificata in relazione alle circostanze che, pur non avendo costituito oggetto di una specifica rappresentazione delle parti, alla stregua del senso della concreta contrattazione rappresentavano il presupposto necessario perché il regolamento negoziale potesse essere attuato conservando il senso medesimo dell’operazione contrattuale (HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 313 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 2). Così la prima come la seconda sono ricomprese nella lata nozione accolta nel § 313 nF BGB, il quale sancisce altresì un unitario regime di disciplina, imperniato sull’adeguamento del regolamento negoziale e, in alternativa, sul diritto di recesso. 109 Il § 313 BGB recita: «(1) Haben sich Umstände, die zur Grundlage des Vertrags geworden sind, nach Vertragsschluss schwerwiegend verändert und hätten die Parteien den Vertrag nicht oder mit anderem Inhalt geschlossen, wenn sie diese Veränderung vorausgesehen hätten, so kann Anpassung des Vertrags verlangt werden, soweit einem Teil unter Berücksichtigung aller Umstände des Einzelfalls, insbesondere der vertraglichen oder gesetzlichen Risikoverteilung, das Festhalten am unveränderten Vertrag nicht zugemutet werden kann. (2) Einer Veränderung der Umstände steht es gleich, wenn wesentliche Vorstellungen, die zur Grundlage des Vertrags geworden sind, sich als falsch herausstellen. (3) Ist eine Anpassung des Vertrags nicht möglich oder einem Teil nicht zumutbar, so kann der benachteiligte Teil vom Vertrag zurücktreten. An die Stelle des Rücktrittsrechts tritt für Dauerschuldverhältnisse das Recht zur Kündigung». 110 Su questo punto v. JAUERNIG/A. STADLER, sub § 313 BGB, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 3 (Geschäftsgrundlage sind die „zur Grundlage des Vertrags gewordenen Umstände“); MÜNCHKOMM-BGB/T. FINKENAUER, sub § 320, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 3 (il quale sottolinea la distinzione fra Grundlage e Inhalt del negozio: Bestimmte Umstände oder Vorstellungen sind „noch nicht“ „eigentlicher“ Vertragsinhalt geworden, aber „doch schon“ Vertragsgrundlage); G. CIAN, Relazione introduttiva, in ID. (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 19 s. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 89 sto che il contratto sia corrispondentemente adeguato. L’adeguamento in discorso peraltro non consegue al mero verificarsi della situazione appena descritta ma si verifica su impulso della parte111 e soltanto qualora non possa ragionevolmente pretendersi112 che questa – avuto riguardo alle circostanze del caso concreto – resti vincolata al contratto così come originariamente stipulato. Sulla base di tali premesse, l’ipotesi ricostruttiva avanzata dal Larenz identifica nella Minderung una specifica applicazione della pretesa all’adattamento contrattuale conseguente al “turbamento” del fondamento negoziale. Invero, ad avviso dell’illustre Autore, le parti del contratto di vendita di regola si rappresentano un oggetto avente determinate qualità e concludono il negozio avendo riguardo proprio a tale oggetto e alle caratteristiche che confidano esso possegga, ma «la previsione tipica della legge non contempla l’estensione della volontà delle parti al modo di essere dell’oggetto»113, giacché il legislatore mostra di considerare valida la 111 Cfr. HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 313 BGB, cit., Rn. 19: «Rechtsfolge der Störung der Geschäftsgrundlage ist vorrangig der Anspruch auf die interessengerechte Anpassung des Vertrages an die tatsächlich bestehenden Verhältnisse nach dem Maßstab der Zumutbarkeit für die Parteien und unter weitestmöglicher Berücksichtigung ihres Vertragswillens». Tale pretesa deve tradursi in un atto di parte: già i lavori preparatori della riforma del 2002, infatti, chiariscono come «die Störung der Geschäftsgrundlage ist nicht mehr von Amts wegen, sondern nur noch auf Einrede der benachteiligten Partei zu berücksichtigen» (BT-Drucks 14/6040, p. 175). Le parti possono senz’altro accordarsi stragiudizialmente onde modificare i termini delle pattuizioni fra di loro intercorrenti, ma si tende a ritenere che non sussistano veri e propri Neuverhandlungspflichten der Parteien (v. B. DAUNER-LIEB, Prozessuale Fragen rund um § 313 BGB, in NJW, 2003, p. 924 ss.; nel senso, invece, secondo cui il § 313 nF BGB potrebbe essere inteso nel senso di porre in sostanza un “obbligo di rinegoziare” si esprime P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des Geschäftsgrundlage, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, cit., p. 107). 112 Il concetto cui si fa riferimento è quello di Unzumutbarkeit: non ogni mutamento del fondamento negoziale, ancorché di entità considerevole, può condurre alla richiesta di Anpassung del regolamento negoziale (e ancor più allo scioglimento del contratto a seguito del Rücktritt), bensì soltanto quello che renda il sacrificio patrimoniale imposto a una delle parti non esigibile in base a una considerazione basata sulla buona fede e che tenga in considerazione l’interesse di entrambe le parti del contratto (MÜNCHKOMM-BGB/T. FINKENAUER, sub § 320, cit., Rn. 76 s.). In altre parole, il giudizio inerente alla Unzumutbarkeit attiene alla sfera che la nostra esperienza giuridica designa con il termine “inesigibilità” e riguarda ipotesi nelle quali la pretesa che il contraente pregiudicato dalla “perturbazione del fondamento negoziale” esegua il contratto secondo le modalità inizialmente pattuite «si color[a] di abusività» (così P. RESCIGNO, La codificazione tedesca della Störung des Geschäftsgrundlage, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, cit., p. 107). 113 L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 13, riportando il pensero di Larenz. 90 CAPITOLO SECONDO vendita di cosa viziata nonostante l’assenza delle qualità che le parti si erano rappresentate114. A rigore, infatti, secondo Larenz la manifestazione di volontà relativa a un oggetto descritto secondo determinate caretteristiche, in realtà insussistenti, dovrebbe dare luogo a un’impossibilità originaria della prestazione, e quindi alla nullità del contratto115. In ragione del fatto che la legge mostra di considerare invece valida ed efficace la vendita avente ad oggetto un bene viziato o privo delle qualità che le parti si erano rappresentate, deve concludersi che tali qualità non rientrino nel contenuto della pattuizione contrattuale, ma ne costituiscano soltanto la Grundlage. Proprio per questo motivo, quindi, il fondamento delle azioni edilizie non potrebbe che essere rintracciato sul piano extracontrattuale, giacché le qualità del bene debbono ritenersi estranee alla pattuizione intercorsa fra le parti e, pertanto, tali azioni non possono essere considerate come aventi radice nel contratto. L’inquadramento della riduzione del corrispettivo quale mezzo di reazione alla Störung des Geschäftsgrundlage rappresentata dalla sussistenza di difetti della res vendita muove altresì dalla considerazione che l’effetto conseguente all’esercizio della quanti minoris consiste proprio nell’adattamento del contratto al manifestarsi della diversità fra situazione presupposta e realtà effettiva, così come quello tipicamente conseguente al prodursi della fattispecie di cui al § 313 nF BGB è l’Anpassung del regolamento pattizio inizialmente concluso. Nonostante tale rilevante analogia funzionale, la tesi ora illustrata appare già prima facie inconciliabile con la natura della responsabilità del venditore sancita dalla dir. 1999/44/CE in materia di vendita di beni di consumo e dalla Convenzione di Vienna in relazione alla vendita internazionale di beni mobili, le quali inequivocabilmente considerano le qualità della cosa oggetto del contratto non già come die außvertragliche Grundlage des Kaufvertrags, oggetto di un’erronea rappresentazione da parte dei contraenti – come preteso dalla teoria in discorso – bensì come una parte della definizione dell’oggetto contrattuale116. 114 Cfr. K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 117 ss. 115 Così K. LARENZ, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung, cit., p. 118 s. 116 Nell’uno e nell’altro caso, infatti, il venditore è gravato da un preciso obbligo, discendente dal contratto di vendita, di procurare alla controparte un bene avente le caratteristiche convenute ovvero, in mancanza di un’espressa pattuizione relativamente alle stesse, che possegga le qualità definite dalle “presunzioni” sancite dall’art. 2, par. 2 della dir. 1999/44/CE (recepito nell’ordinamento italiano all’art. 129 c.cons.) e dall’art. 35 CISG. L’affermazione dell’esistenza di tale obbligo non può che escludere la riconducibilità delle caratteristiche qualitative del bene alla sfera extracontrattuale. Si noti, incidentalmente, che anche coloro (come, ad esempio, A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 91 Ma neppure con riferimento alla normativa codicistica – la quale, secondo le tesi più fedeli all’impostazione tradizionale della garanzia, sarebbe ancorata all’idea che dal contratto non possa scaturire l’obbligo del venditore di procurare una cosa avente determinate caratteristiche117 – sembra possa apprezzarsi la giustificazione de qua. Com’è stato autorevolmente sostenuto, infatti, la riduzione del prezzo, così come la risoluzione, trova pur sempre il proprio fondamento nel contenuto precettivo del contratto, giacché la garanzia costituisce un effetto negoziale118 del contratto di vendita: è proprio l’inadempimento della lex contractus – dia o meno questa luogo all’inadempimento di una specifica obbligazione, non importa – a legittimare il compratore a far valere gli strumenti di tutela concessigli119. La riconducibilità dell’azione estimatoria all’adattamento del contratto conseguente alla “perturbazione del fondamento negoziale”, infatti, ruota attorno all’idea fondamentale secondo cui la soggettiva rappresentazione delle caratteristiche qualitative della res vendita non potrebbe giammai divenire precetto negoziale, in quanto non sarebbe logicamente concepibile un impegno obbligatorio relativamente a tali elementi. Ma anche ammettendo che la differente opzione esplicitamente adottata dalla disciplina di tutela del compratore apprestata dal diritto uniforme della compravendita e dalla direttiva in materia di vendita di beni di consumo non possa essere considerata conclusiva in ordine alla possibilità di dedurre in obbligazione le qualità dei beni compravenduti, la conclusione cui giunge la tesi propugnata da Larenz sembra non tenere conto del fatto che l’obbligazione non costituisce l’unico ed esclusivo tramite attraverso il quale le parti possono assumere un impegno contrattuale vincolante, giacché la lex contractus abbraccia così gli impegni obbligatori come quelli quelli non mediati da un rapporto di decategorie dogmatiche, cit., p. 531 ss.) che contestano la scelta del legislatore europeo (e della Convenzione) di rendere le caratteristiche qualitative del bene oggetto di una obbligazione del venditore – sulla base della considerazione secondo cui l’impegno obbligatorio non potrebbe essere concepito in relazione al modo di essere di una cosa con riferimento alla quale l’alienante non compie alcuna attività poietica – non giungono ad escludere che tali elementi siano estranei al regolamento negoziale, ritenendo piuttosto che essi penetrino nella lex contractus, impegnando il venditore, sebbene non sul piano obbligatorio, bensì su quello della “garanzia”. 117 Di recente, sul tema, v. l’ampio studio di P. REDEKER, Beschaffenheitsbegriff und Beschaffenheitsvereinbarung beim Kauf, München, 2012, ove approfondita analisi del tema relativo (non soltanto al concetto di “qualità della cosa”, ma altresì) alla possibilità che tali “qualità” costituiscano oggetto di una pattuizione fra le parti del contratto di vendita. 118 Per tutti L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 13. 119 In tal senso si veda il già più volte citato saggio di L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 12 ss. 92 CAPITOLO SECONDO bito/credito120. E, a sua volta, il concetto di sinallagma contrattuale non si esaurisce nel rapporto di corrispettività fra due prestazioni dedotte in obligatione, ma – come già abbiamo visto – abbraccia le complessive attribuzioni patrimoniali derivanti dal negozio121. Pertanto, la spiegazione della validità della vendita a dispetto della difettosità del bene non deve necessariamente fare appello all’esclusione delle qualità dal contenuto del regolamento negoziale, potendo essere più semplicemente ritrovata nel fatto che queste non costituiscono oggetto di obbligazione e, a sua volta, il rigido sillogismo che deduce dall’impossibilità di concepire un impegno obbligatorio in relazione alle qualità della cosa la collocazione di queste sul terreno del fondamento negoziale extracontrattuale appare poggiare su premesse affatto incontrovertibili. Ne consegue che il tentativo di accreditare la riduzione del corrispettivo quale mezzo di reazione al venir meno del fondamento extracontrattuale della pattuizione sembra tradire la stessa natura contrattuale dell’apparato rimediale posto a disposizione del compratore e, pertanto, non può trovare accoglimento. 4. (Segue) Riduzione del prezzo e risoluzione (o recesso) parziale Mentre la definizione della natura giuridica della vicenda che origina dall’esercizio della riduzione del corrispettivo non ha ricevuto particolare attenzione nella nostra dottrina, come abbiamo avuto modo di verificare nel par. precedente ha costituito invece un tema decisamente più frequentato da parte della civilistica tedesca. Di recente, all’interno di questa è stato operato un ulteriore tentativo ricostruttivo che accosta la quanti minoris a un Teilrücktritt122 (recesso parziale)123, ciò che appare pienamente consonante con il carattere di unilateralità che connota l’adattamento contrattuale derivante dalla scelta di far valere il rimedio, il quale prescinde in toto dalla eventuale contrarietà del venditore alla conservazione dello scambio nei termini risultanti dall’esercizio del mezzo di tutela de quo. 120 Cfr. L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 s. e, ancor prima, W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, Münster, 1948, p. 41 ss. 121 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 303. 122 Si vedano, ad esempio, P. SCHLECHTRIEM - M. SCHMIDT-KESSEL, Schuldrecht. Allgemeiner Teil, Tübingen, 2005, p. 102; MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 240. 123 Cfr. poco infra nel testo per le opportune chiarificazioni terminologiche. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 93 L’opinione in parola ha avuto una certa fortuna nella letteratura germanica, tanto che nelle stesse opere di carattere manualistico e nei commentari non è raro riscontrare la descrizione del rimedio regolato dal § 441 nF BGB quale specifica applicazione del Teilrücktritt disciplinato dal § 323, comma 1 nF BGB124, ovvero vedere evidenziata l’equivalenza funzionale125 dei due rimedi, entrambi diretti a provocare la parziale liberazione del “compratore-recedente” dal vincolo obbligatorio relativo al prezzo su di lui gravante in forza dell’originaria pattuizione, a fronte della parziale inesecuzione della prestazione del venditore. L’opinione sembra poi trovare ulteriore credito nell’ordinamento germanico ove si noti come il diritto del compratore alla Minderung sia sostanzialmente subordinato ai medesimi presupposti cui è ancorata l’attribuzione del Rücktrittsrecht (§ 437 nF BGB)126. Tale tesi, peraltro, può essere ritenuta – rinviando al luogo appropriato l’analisi del profilo attinente alla natura dell’atto di esercizio del rimedio estimatorio – una sorta di sviluppo moderno di quella più risalente, avanzata da certa dottrina, secondo la quale la riduzione del corrispettivo costituirebbe «nichts anderes als eine teilweise Wandlung»127. A ciò si aggiunga come anche nella nostra letteratura, nel contesto della più approfondita indagine che è stata dedicata al tema dell’impugnazione parziale del negozio128, le fattispecie di riduzione del prezzo offerte dalla disciplina codicistica della vendita siano esplicitamente considerate quali esempi di risoluzione parziale del contratto129. Si riscontra pertanto, nel nostro come nell’ordinamento tedesco, un tentativo ricostruttivo che sostanzialmente equipara le conseguenze mo124 Si veda SOERGEL-KOMM/B. GSELL, sub § 323 BGB, 13. Aufl., Stuttgart, 2005, Rn. 169. 125 Cfr. C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag, cit., p. 30. 126 § 437 nF BGB. Rechte des Käufers bei Mängeln. «Ist die Sache mangelhaft, kann der Käufer, wenn die Voraussetzungen der folgenden Vorschriften vorliegen und soweit nicht ein anderes bestimmt ist, 1. nach § 439 Nacherfüllung verlangen, 2. nach den §§ 440, 323 und 326 Abs. 5 von dem Vertrag zurücktreten oder nach § 441 den Kaufpreis mindern […]». Ai sensi della disposizione de qua, pertanto, il compratore può chiedere l’esatto adempimento, esercitare il Rücktritt o ridurre il prezzo per il solo fatto della manifestazione del difetto. Così il recesso come la decurtazione del corrispettivo, però, possono essere ottenuti soltanto qualora la domanda di esatto adempimento rimanga senza esito ovvero si ricada nelle ipotesi previste dai §§ 323 e 440 nF BGB. 127 Sono parole di W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, cit., p. 136, il quale si pone nel solco dell’opinione già espressa da P. KRÜCKMANN, Die Voraussetzung als virtueller Vorbehalt, in Archiv für die civilistische Praxis (AcP), 1929, p. 93. 128 Ci riferiamo alla nota indagine di A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., passim. 129 Si veda A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 44 ss. e p. 48 ss. 94 CAPITOLO SECONDO dificative del regolamento negoziale derivanti dall’esercizio della quanti minoris a quelle prodotte da uno scioglimento parziale del vincolo contrattuale avente origine nella sua parziale inattuazione. Data l’importanza del tema e dei suoi risvolti applicativi, e in ragione delle non trascurabili differenze che connotano l’ordinamento tedesco e quello italiano, sembra opportuno anzitutto procedere a un chiarimento, che è insieme terminologico e logico-sistematico, per poi valutare la fondatezza dell’accostamento fra i due istituti, dapprima dando conto di talune perplessità avanzate dalla dottrina tedesca e successivamente analizzando il quadro emergente dal diritto italiano. Nel vigente diritto tedesco, l’accostamento della Minderung al recesso parziale (Teilrücktritt) si giustifica in quanto con la Schuldrechtsmodernisierung del 2002 il legislatore germanico ha scelto di ricondurre il diritto del compratore di risolvere il contratto a fronte della manifestazione di difetti di conformità al più generale diritto, spettante alla parte di ogni contratto a prestazioni corrispettive, di risolvere il contratto con un atto unilaterale stragiudiziale (Rücktrittsrecht) in caso di mancata o inesatta esecuzione delle prestazioni dovute dalla controparte130. Per quanto riguarda il diritto italiano, invece, il termine “recesso” evoca – secondo un’accreditata distinzione, ormai penetrata nella nostra tradizione131 – tre differenti tipologie di rimedi, che svolgono rispettivamente una funzione “liberatoria”, di “autotutela” e di “pentimento”132. 130 Vedi infatti, in luogo di molti, MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., cit., Rn. 1 ss. e D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner Teil, 19. Aufl., cit., p. 227 ss., i quali appunto pongono l’accento sulla scelta di politica legislativa con la quale il legislatore germanico ha assoggettato a una disciplina unitaria il potere del contraente di un contratto a prestazioni corrispettive di sciogliere il contratto a fronte dell’inesecuzione della prestazione da parte dell’altro contraente, attribuendo al primo il diritto potestativo di recesso dal contratto. 131 Le indagini cui va ascritto gran parte del merito di aver posto in luce la rilevante polifunzionalità del recesso nel nostro ordinamento sono quelle di G. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985, spec. p. 13 ss., i cui risultati possono ritrovarsi anche in ID. - F. PADOVINI, voce Recesso (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 36 ss., e di G. DE NOVA, voce Recesso, in Dig. disc. priv. - sez. civ., XVI, Torino, 1997, p. 316 ss. 132 Per questa tripartizione si veda V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 2001, p. 550, il quale scrive che «chiamiamo recessi di liberazione quelli dati alla parte per consentirle di sottrarsi a un vincolo contrattuale che diversamente peserebbe in modo intollerabile sulla sua libertà: come accade, tipicamente, con i contratti di durata a tempo indeterminato» (p. 550), mentre sono recessi di autotutela quelli che consentono alla parte «di reagire contro eventi sopravvenuti che minacciano i suoi interessi contrattuali» (p. 551) e, infine, vanno sotto il nome di recessi di pentimento «quelli che la legge dà a una parte, senza vincolarli ad alcun presupposto, ma solo perché ritiene opportuno – in una logica di speciale protezione della parte – consentire a questa di cambiare idea rispetto al contratto già concluso» (p. 553). LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 95 Nell’accostare la riduzione del prezzo al diritto di recesso, gli interpreti germanici hanno peraltro riguardo al Rücktritt133, cioè a quello che, adottando la tripartizione appena ricordata, noi dovremmo chiamare “recesso di autotutela”, attraverso il quale la parte fedele reagisce a un evento sopravvenuto che minaccia la corretta esecuzione del rapporto contrattuale: ne consegue che è a questa tipologia di mezzi di tutela che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione nel valutare la fondatezza della tesi in esame134, a nulla rilevando in questa sede i recessi “liberatori”135 e “di pentimento”136. Venendo a valutare la fondatezza della tesi sopra riportata, non è affatto arduo – com’è stato autorevolmente notato137 – scorgere fra la quanti minoris, da un lato, e il recesso parziale, dall’altro, un’evidente 133 In argomento, in luogo di molti, v. A. DI MAJO, La nuova disciplina della risoluzione del contratto (Rücktritt), in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 109 ss., il quale nota come – contrariamente a quello italiano – il sistema tedesco appartenga all’area degli ordinamenti che «affidano la risoluzione del contratto alla volontà (unilaterale) del contraente (risoluzione per mezzo di recesso)». 134 Il recesso liberatorio, infatti, nell’esperienza giuridica tedesca prende il nome di Kündigung mentre a quello “di pentimento”, come noto, ci si riferisce con il termine Widerruf. 135 Possono essere ricondotti a tale categoria, a mero titolo esemplificativo, i diritti di recesso attribuiti dagli artt. 1569 (che consente il recesso, subordinato a un congruo preavviso, a ciascuna delle parti di un contratto di somministrazione stipulato a tempo indeterminato), 1596, comma 2 (che nella locazione a tempo indeterminato fissa la regola dell’automatico rinnovo allo spirare del termine stabilito dall’art. 1574 c.c., prevedendo però che ciascuna delle parti possa evitare tale rinnovo recedendo dal contratto nel termine fissato dal contratto o dagli usi), 1810 (che prevede l’obbligo di restituzione immediata della cosa data in comodato senza determinazione della durata al momento in cui – con un atto qualificabile come recesso – il comodante manifesti la relativa volontà), 1845 (in forza del quale, nell’apertura di credito a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni), 1855 c.c. (che sancisce la medesima regola in relazione alle operazioni bancarie regolate in conto corrente). 136 Questa categoria conta taluni esempi nel codice civile, specialmente in relazione a contratti in cui rileva l’intuitus personae (artt. 1671, 1723, 2227, 2237, comma 1 c.c.), ma vede le ipotesi di maggiore rilevanza nella legislazione di protezione dei consumatori: si vedano, quali tipici esempi, l’art. 52 c.cons. (che concede al consumatore un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dai locali commerciali), l’art. 125-ter t.u.b. (che prevede il diritto del consumatore di recedere dal contratto di credito al consumo entro quattordici giorni dalla sua conclusione) e l’art. 73 c.cons. (in forza del quale al consumatore è concesso «un periodo di quattordici giorni, naturali e consecutivi, per recedere, senza specificare il motivo, dal contratto di multiproprietà, dal contratto relativo a prodotti per le vacanze di lungo termine, dal contratto di rivendita e di scambio»). 137 C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann zum 70. Geburtstag, cit., p. 29 ss. 96 CAPITOLO SECONDO analogia funzionale, giacché l’una e gli altri sono diretti a reagire all’attuazione soltanto parziale della prestazione di una parte, componendo il conflitto e ripristinando l’equilibrio così alterato138 attraverso l’opportuna modificazione del complesso delle pattuzioni iniziali. Al di là di tale analogia, però, la legittimità del richiamo all’istituto del Teilrücktritt è stata revocata in dubbio nella letteratura tedesca sulla base dell’assunto secondo cui tale ultimo istituto trova espressamente applicazione nelle sole ipotesi di adempimento quantitativamente inesatto, mentre le fattispecie di riduzione del prezzo per vizi materiali della cosa o conseguenti alla presenza di diritti di terzi sul bene presuppongono l’inesattezza qualitativa dell’attribuzione patrimoniale139. Invero, in forza del § 323, comma 5 BGB, la parte fedele di un contratto a prestazioni corrispettive può esercitare il diritto di recesso parziale – indipendentemente dalla colpa della controparte140 – in ragione del fatto che questa ha eseguito una Teilleistung (ovvero una prestazione parziale) e non già una prestazione che, sebbene qualitativamente difettosa, sia completa. Infatti, il primo periodo della disposizione de qua – nel regolare le conseguenze dell’esecuzione di una prestazione mera138 Così descrive in linea generale i caratteri dell’impugnazione parziale A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 2. 139 In questo senso v. U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 94 ss., il quale conclude che soltanto in senso atecnico la riduzione del prezzo può essere qualificata quale recesso parziale, giacché quest’ultimo può essere invocato qualora la prestazione ineseguita sia divisibile e l’inadempimento abbia carattere quantitativo e non già ove questo abbia natura qualitativa. Inoltre aggiunge: «der Sachproblem der Aufspaltung des Leistungsgegenstandes durch einen Teilrücktritt stellt sich bei der Minderung nicht. Die Minderung führt nicht zu einer gegenständlichen Aufteilung des Leistungssubstrats. Der Käufer akzeptiert mit der Minderung vielmehr die nach dem Vertrag mangelhafte Kaufsache gegen Herabsetzung des Kaufpreises als geschuldete Leistung. Der Kaufgegenstand bleibt unverändert» (p. 99). Dubbi analoghi a quelli espressi da Korth si ritrovano altresì in A. PEUKERT, § 326 Abs. 1 S. 2 BGB und die Minderung als allgemeiner Rechtsbehelf, in Archiv für die civilistische Praxis (AcP), 2005, p. 438 s. 140 Cfr. C.W. CANARIS, Il programma obbligatorio e la sua inattuazione: profili generali. Il nuovo diritto delle Leistungsstörungen, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 42 s.: «a norma del § 323, comma 1°, BGB il diritto di recesso presuppone fondamentalmente soltanto che la prestazione sia esigibile, che il creditore abbia concesso al debitore un termine congruo per eseguire la prestazione, e che il termine in questione sia inutilmente scaduto. […] Si può recedere dal contratto a prescindere dalla circostanza che la causa del recesso sia o meno imputabile al debitore. In particolare, la possibilità di risolvere il contratto non è affatto subordinata alla sussistenza di una colpa del debitore. […] Questa modificazione ha reso possibile assoggettare a una disciplina unitaria tutti i diritti di recesso di fonte legale [ed è stato possibile] sostituire la Wandelung (e cioè la risoluzione del contratto per i vizi della cosa), che costituiva in precedenza un istituto autonomo, con l’unitario e generale Rücktrittsrecht, e ricondurla alla disciplina di quest’ultimo». LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 97 mente parziale – si preoccupa proprio di stabilire che in tal caso «kann der Gläubiger vom ganzen Vertrag nur zurücktreten, wenn er an der Teilleistung kein Interesse hat»141, mentre il secondo periodo della stessa, avuto riguardo all’ipotesi in cui la prestazione sia stata genericamente eseguita in modo non conforme al contratto, si limita a stabilire che «il creditore non può risolvere [scil. per intero] il contratto con il proprio atto unilaterale, qualora la violazione dell’obbligo sia di scarso rilievo»142. Sembra pertanto possibile scorgere nella norma in questione la conferma del fatto che nell’attuale diritto tedesco l’inesatta esecuzione della prestazione comporta di regola il diritto della parte fedele di recedere dall’intero contratto, ma non già quello di farlo soltanto pro parte, salvo che l’inesattezza abbia carattere quantitativo e il creditore abbia interesse alla prestazione parziale143. 141 In argomento v. MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., cit., Rn. 201 s., ove si pone l’accento sul fatto che soltanto la divisibilità della prestazione consente il recesso parziale: «Ein Teilrücktritt ist ausgeschlossen, wenn die Leistung des Schuldners aus technischen oder rechtlichen Gründen oder nach dem übereinstimmenden Willen der Parteien unteilbar ist, da unter diesen Voraussetzungen eine Aufspaltung des Vertrags in einen erfüllten und in einen nichterfüllten Vertrag ausscheiden muss». 142 Precisa pertanto MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., cit., Rn. 197 che «da das Gesetz für den Fall der Schlechterfüllung (Sach- oder Rechtsmangel) eine eigenständige Regelung vorsieht, ist die Schlechterfüllung kein Unterfall der Teilerfüllung iS des gesetzlichen Sprachgebrauchs». La precisa differenziazione fra la fattispecie regolata dal primo periodo del comma 5 del § 323 BGB e quella di cui al secondo periodo è affermata altresì da D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner Teil, 19. Aufl., München, 2010, p. 230 s. e da S. LORENZ, Arglist und Sachmangel - Zum Begriff der Pflichtverletzung in § 323 Absatz V 2 BGB, in NJW, 2006, p. 1925, il quale precisa anche le differenti conseguenze derivanti dalla quantitative Teilleistung rispetto alla Schlechtleistung e afferma che, in questo secondo caso, ove pertinente, sarà possibile non già l’esercizio del recesso parziale bensì quello della Minderung. 143 Cfr. HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 323 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 13 e BECKOK BGB/H. SCHMIDT, sub § 323 BGB, in Beck-Online, Rn. 42: «Mit der Vorschrift, die ausschließlich die quantitative, nicht hingegen die qualitative Teilleistung regelt, hat der Gesetzgeber im Kern die Wertungen der §§ 325 Abs 1 S 2, 326 Abs 1 S 3 aF übernommen». Esattamente nello stesso senso anche C.W. CANARIS, Il programma obbligatorio e la sua inattuazione: profili generali. Il nuovo diritto delle Leistungsstörungen, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, cit., p. 44, il quale appunto precisa che l’inadempimento qualitativo legittima il compratore a recedere dall’intero contratto, purché la violazione dell’obbligo (Pflichtverletzung) non sia irrilevante, mentre l’inadempimento quantitativo consente a costui di recedere dall’intero contratto ovvero soltanto parzialmente a seconda che abbia o meno interesse alla parziale esecuzione del contratto: «così, ad esempio, se il debitore, anziché consegnare le 100 bottiglie di vino dovute, ne consegna soltanto 70, il creditore può sciogliere il contratto soltanto con riferimento alle trenta bottiglie non consegnate, e può scioglierlo integralmente (e quindi con riferimento a tutte le 100 bottiglie di vino) soltanto se non ha alcun interesse a ricevere (soltanto) settanta bottiglie». 98 CAPITOLO SECONDO Come accennato, mettendo a frutto tali conclusioni generali sul terreno della compravendita, si è pertanto sostenuto che soltanto in senso atecnico sarebbe possibile accostare riduzione del corrispettivo e recesso parziale144, giacché è ben vero che il profilo funzionale dei due rimedi presenta indubbie analogie, ma è altrettanto innegabile che il campo di applicazione della seconda è legislativamente ristretto ai soli casi in cui la prestazione sia naturalisticamente, giuridicamente o per volontà delle parti divisibile e l’inesatto adempimento consista nella carenza quantitativa della prestazione. Simili ostacoli, come vedremo a breve, sembrano invece non sussistere in relazione all’ordinamento italiano, sebbene una completa sovrapposizione fra l’uno e l’altro mezzo di tutela appaia comunque non fondata sul piano del diritto positivo. In primo luogo dobbiamo però precisare che, contrariamente a quanto accade nel diritto tedesco, il nostro sistema di diritto comune contrattuale non contempla un generale potere di recesso di fonte legale azionabile in conseguenza dell’inesattezza o della parzialità dell’adempimento di una parte: tale diritto, invero, è bensì concesso (dall’art. 1464 c.c.) alla parte fedele – peraltro proprio in alternativa alla riduzione del prezzo – nell’ipotesi in cui la prestazione della controparte si riveli parzialmente impossibile ed egli non abbia interesse a conseguirla soltanto pro parte, ma in generale così l’inattuazione (totale o parziale) del contratto derivante da inadempimento come quella conseguente alla totale impossibilità della prestazione sono governate dal rimedio risolutorio (artt. 1453 e 1463 c.c.). Inoltre, la disciplina generale del contratto sembra non offrire alcun esempio di fattispecie di “recesso parziale”. Ne consegue che la nostra analisi deve giocoforza tener conto delle specificità del nostro ordinamento e, pertanto, la valutazione della fondatezza della proposta interpretativa poc’anzi ricordata deve avvenire in aderenza al seguente interrogativo: la riduzione del prezzo dà luogo a una vicenda di adattamento contrattuale di tenore assimilabile a quanto consegue alla risoluzione parziale del contratto? Come già abbiamo avuto modo di anticipare, una risposta positiva a tale interrogativo è stata fornita proprio da un’approfondita indagine dedicata all’impugnazione parziale del negozio, nel contesto della quale le fattispecie di riduzione del prezzo offerte dalla disciplina codicistica della vendita sono prese in considerazione quali esempi di risoluzione parziale del contratto145. Peraltro, i risultati di tale indagine accreditano senz’altro 144 Cfr. nota 139. 145 Si veda A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 44 ss. (ove si tratta della vendita di cosa parzialmente altrui) e p. 48 ss. (relativamente alla vendita di cosa affetta da vizi redibitori). LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 99 la conclusione secondo cui la quanti minoris costituisce una vicenda di adattamento del contenuto negoziale funzionalmente corrispondente alla risoluzione parziale, sostanzialmente suggerendo che la riduzione del corrispettivo costituisca null’altro che una specifica ipotesi di quest’ultima fattispecie, la quale si affianca e giustappone, ad esempio, alla risoluzione parziale dei contratti di durata (art. 1458 c.c.) o a quella conseguente all’impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione in relazione alla quale non venga meno l’interesse creditorio (art. 1464 c.c.). Non legittimano, invece, la piena identificazione dell’una e dell’altra fattispecie, giacché nell’ottica adottata dall’Autore la risoluzione parziale è vista proprio quale vicenda funzionale, attinente alla composizione di un conflitto, che mira a ripristinare l’equilibrio alterato dalla incompleta esecuzione del contratto attraverso una parimenti parziale impugnazione del medesimo, sicché l’argomentazione è volta proprio a evidenziare l’affinità degli effetti delle vicende analizzate onde desumerne i caratteri comuni. In questa sede, invece, a noi interessa comprendere se per il nostro diritto positivo riduzione del corrispettivo e risoluzione parziale costituiscano effettivamente il medesimo rimedio oppure – come abbiamo visto essere proprio dell’ordinamento tedesco – ferma l’analogia funzionale, possiedano natura e ambito di operatività distinti. Le disposizioni che consentono al compratore l’esercizio della quanti minoris, invero, sembrano subito smentire la possibilità di ravvisare nella natura qualitativa o quantitativa dell’imperfetta esecuzione della prestazione un preciso spartiacque fra questa e la risoluzione parziale: non v’è dubbio, infatti, che la vendita di cosa in parte altrui e l’evizione parziale non diano luogo a una carenza qualitativa dell’attribuzione patrimoniale, bensì proprio alla mancanza quantitativa di una parte (in senso materiale o giuridico) della stessa146. Eppure l’art. 1480 c.c. è 146 Cfr. in proposito il par. 1. Può anzi ricordarsi che la più rigida esegesi dell’art. 1480 c.c. (per la quale v. ad esempio P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 180 ss.) riconduce alla fattispecie in parola le sole ipotesi in cui il venditore alieni come interamente propria una cosa che gli appartiene soltanto per una porzione materiale. Ora, in tale ipotesi non sembra dubbio che il difetto che legittima la riduzione del prezzo abbia carattere non già qualitativo bensì quantitativo, avendo riguardo alla sussistenza di un’attribuzione patrimoniale la cui “misura” si rivela inferiore rispetto a quanto pattuito. Ma anche qualora – come noi crediamo corretto – si ricomprenda nel novero delle fattispecie regolate dall’articolo citato pure quelle in cui il venditore sia bensì proprietario dell’intera cosa ma soltanto per una quota indivisa, non sembra possa dirsi sussistere un’inesattezza puramente “qualitativa” del risultato traslativo, anche in questo caso venendo trasferito un diritto sul bene che è connotato da un contenuto differente (comproprietà, invece di proprietà esclusiva) proprio in quanto di ampiezza diversa. Non sembra, pertanto, dubbio che la riduzione del prezzo accordata in relazione alla vendita di cosa parzialmente altrui abbia riguardo a un’ipotesi di inesecuzione del contratto di natura “quantitativa”. 100 CAPITOLO SECONDO chiaro nel qualificare come “riduzione del prezzo” il mezzo di tutela offerto alla disponibilità del compratore; e lo qualifica in tal senso dopo aver concesso, in alternativa, la totale “risoluzione” del contratto. L’indizio così offerto dalla disciplina delle patologie della vendita si colora di una forza argomentativa decisamente rilevante ove si noti come la medesima scelta terminologica sia stata compiuta dal legislatore anche nell’art. 1464 c.c., in sede di disciplina delle conseguenze che l’impossibilità parziale spiega nei confronti del rapporto contrattuale: anche in questo caso, infatti, pur derivando da una causa per definizione non imputabile al contraente, l’inesecuzione che coinvolga soltanto una frazione della prestazione pattuita consente all’altro contraente non già di ottenere una risoluzione parziale, bensì «una corrispondente riduzione della prestazione da ess[o] dovuta». E ciò, nonostante dottrina e giurisprudenza non dubitino che la disposizione de qua – al pari del § 323, comma 5 BGB – faccia riferimento primariamente proprio all’impossibilità che dia luogo a una carenza quantitativa della prestazione147. 147 Al fine di definire i caratteri dell’impossibilità parziale ex art. 1464 c.c., infatti, si tende a fare riferimento al concetto elaborato in sede di diritto delle obbligazioni, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 1258 c.c.: cfr. F. DELFINI, sub art. 1463-1464, in ID., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2003, p. 26 il quale scrive che «il codice vigente, introducendo [la sezione II del] capo XIV del titolo II del libro IV, che si apre con l’art. 1463, ha inteso regolare esclusivamente le conseguenze sul contratto a prestazioni corrispettive dell’estinzione di una delle obbligazioni per impossibilità della prestazione secondo l’art. 1256 c.c.: in altre parole, il legislatore ha dettato qui una disciplina che presuppone quella di cui agli artt. 1256 ss. c.c., facendo rinvio al concetto di impossibilità liberatoria ivi tratteggiato, che la dottrina del contratto trova indagato dalla dottrina dell’obbligazione»; nello stesso senso, v. anche R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, Torino, 2004, p. 688, secondo cui le fattispecie di impossibilità di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c. fanno riferimento non a «una generica figura di impossibilità, sibbene [al]la figura della liberazione dipendente dall’impossibilità, regolata dagli artt. 1256 e 1258». Ne consegue che l’impossibilità parziale deve essere primariamente identificata proprio con quella che «dà luogo ad una modificazione quantitativa della prestazione» (C.M. BIANCA, Diritto civile 4. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 539). L’opinione prevalente, pertanto, è nel senso di ritenere che si dia impossibilità parziale allorché la prestazione – in quanto divisibile – sia quantitativamente incompleta, benché composta da una frazione dell’intero qualitativamente corrispondente al dovuto (in questo senso, v. P. PERLINGIERI, sub art. 1258, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 518 s. e U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 1991, p. 746). Peraltro, si tende a ritenere che, ferma la riferibilità certa e diretta della disciplina degli artt. 1258 e 1464 c.c. all’impossibilità che colpisca la prestazione rendendola attuabile soltanto in misura minore rispetto al dovuto, l’equiparazione dell’impossibilità parziale al deterioramento della res operata dall’art. 1258, comma 2 c.c. consenta di ritenere che la disciplina sancita dalla disposizione in materia di risoluzione debba trovare applicazione altresì alle ipotesi in cui la prestazione, a seguito della sopravvenienza, sia alterata in senso qualitativo (cfr. L. CABELLA PISU, sub art 1464, in EAD., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2002, p. 146; A. FONDRIESCHI, L’impossibilità sopravvenuta, in D. MAFFEIS - A. FONDRIESCHI - C. ROMEO, I modi di LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 101 Il nostro diritto positivo sembra pertanto smentire l’idea secondo la quale la risoluzione parziale atterebbe alle sole ipotesi in cui l’imperfetta attuazione della prestazione riguardi il profilo quantitativo, mentre la riduzione del prezzo conseguirebbe alla presenza di difetti materiali. A rigore, infatti, la terminologia impiegata dal nostro legislatore parrebbe piuttosto accreditare la tesi che quest’ultimo mezzo di tutela possa essere invocato nell’una come nell’altra ipotesi di inattuazione parziale del contratto mentre alla “risoluzione” parziale stricto sensu sono ricondotte le ipotesi in cui gli effetti dello scioglimento del rapporto non siano integrali ma riguardino le sole prestazioni non ancora eseguite (come nel caso della risoluzione dei contratti di durata ai sensi dell’art. 1458 c.c.)148 ovvero il vincolo di una sola delle parti (come statuito dall’art. 1459 c.c. e dall’art. 1466 c.c. per i contratti plurilaterali in cui la prestazione della parte inadempiente o quella divenuta impossibile non debbano considerarsi essenziali)149. Tale assetto pare suggerire che il legislatore del 1942 abbia inteso riferire la risoluzione parziale alle sole ipotesi in cui avvenga la caducazione, seppure soltanto frazionaria, del titolo che sorregge e giustifica le attribuzioni patrimoniali delle parti del contratto e, conseguentemente, si estinzione delle obbligazioni, in Tratt. Sacco, Torino, 2012, p. 285; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 403, il quale scrive che «ipotesi simile a quella dell’impossibilità parziale è l’ipotesi del sopravvenuto deterioramento della cosa dovuta. Anche qui il creditore può conservare un apprezzabile interesse all’adempimento, giustificandosi pertanto l’applicazione analogica della regola dettata per l’impossibilità parziale»). 148 In relazione a questa fattispecie v. R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 668, il quale scrive che «la risoluzione per tratti di tempo razionalmente determinati è un prototipo della risoluzione frazionaria di un contratto»; A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 23 ss.; S. PAGLIANTINI, La risoluzione nei contratti di durata, Milano, 2006, p. 234 ss. In giurisprudenza, la disposizione che limita alle sole prestazioni ancora non eseguite gli effetti della risoluzione del contratto è espressamente considerata quale ipotesi paradigmatica di risoluzione parziale, dalla quale è dedotta l’ammissibilità della risoluzione parziale relativa ai contratti ad esecuzione istantanea il cui oggetto «sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità»: cfr. Cass. 2 luglio 2013, n. 16556; Cass. 20 maggio 2005, n. 10700; Cass. 21 dicembre 2004, n. 23657; Cass. 15 aprile 2002, n. 5434; Cass. 3 giugno 1991, n. 6244. 149 Considera un’ipotesi di risoluzione parziale quella relativa al venir meno del vincolo in capo a una delle parti del contratto plurilaterale Cass. 14 aprile 2011, n. 8404. In lettaratura, sul punto cfr. R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 626, ove si legge che in forza dell’art. 1459 c.c. «nei contratti plurilaterali l’inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale» e che i contratti plurilaterali si caratterizzano per il fatto che «le prestazioni parziali [sono] a carico di soggetti diversi», al cui inadempimento consegue una «risoluzione frazionaria» del contratto (p. 668). 102 CAPITOLO SECONDO abbia il venir meno di una parte dei rapporti nascenti dal contratto, mentre in relazione a quelle in cui tali rapporti seguitano a rimanere in vita, seppur qualitativamente o quantitativamente mutati nel loro contenuto, ha preferito qualificare il rimedio diversamente, come riduzione della controprestazione. In altri termini, soltanto quella attinente ai rapporti di durata e ai contratti plurilaterali è vera risoluzione (parziale), seppur riguardante soltanto una parte degli effetti del negozio, in quanto elide non una parte della prestazione ma una o più prestazioni autonome. Sebbene tale scelta terminologica possa probabilmente essere ritenuta potenzialmente fuorviante ove si condivida l’idea – manifestata da talune recenti ricerche – secondo la quale la risoluzione non darebbe luogo a una dissoluzione del rapporto contrattuale bensì a una «trasformazione dell’originario assetto di interessi»150, non sembra che la distinzione operata dal legislatore possa dirsi non trovare un solido addentellato in una realtà ontologica effettivamente differente. Infatti, mentre le fattispecie alle quali il codice civile riserva la qualificazione di “risoluzione” sono contraddistinte da un mutamento del programma negoziale che si sostanzia nel venir meno della prestazione di una parte (artt. 1459 e 1466 c.c.) ovvero degli obblighi incombenti su tutti i contraenti, salvi soltanto quelli che hanno già avuto esecuzione (art. 1458 c.c.), quelle espressamente ricondotte alla “riduzione del corrispettivo” si traducono soltanto nel mutamento del contenuto del programma negoziale, fermi e inalterati così i soggetti del rapporto contrattuale come il numero e la natura delle prestazioni facenti capo alle parti. D’altronde, secondo le tesi maggioritarie in dottrina e giurisprudenza, la risoluzione è contraddistinta proprio dall’estinzione o dall’eliminazione del rapporto contrattuale151 in relazione al quale si sia verifi150 Sono parole di E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 335. Si leggano altresì A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 261 ss.; ID., voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1328; C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798 ss. 151 Tali sono infatti gli effetti che la risoluzione possiede nel nostro ordinamento secondo la maggior parte degli interpreti, pur se non è difficile notare una certa ambiguità di fondo, dovuta alla frequente “sovrapposizione” fra eliminazione del rapporto e venir meno del titolo: cfr. A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2001, p. 716; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 314; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 669; A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja Branca, cit., p. 15 (la risoluzione «ha l’unica funzione di rimuovere l’assetto di interessi disposto con il negozio») e p. 216 (ove si discorre di «vicenda eliminativa del regolamento contrattuale»); sostanzialmente in tal senso anche G. SICCHIERO, sub art. 1458, in ID., La risoluzione per inadempimento, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2007, p. 687 (che fa riferi- LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 103 cata l’alterazione del sinallagma. Se si condivide tale tesi, una risoluzione “in senso proprio e stretto”, ancorché parziale, può aversi allorché i rapporti costituiti attraverso il negozio vengano effettivamente meno; ma non può darsi risoluzione allorché questi mutino soltanto di contenuto. Sebbene – come abbiamo dimostrato – la riduzione del prezzo non si limiti affatto a provocare la mera decurtazione della prestazione del soggetto che la fa valere152, lasciando intatta la prestazione della controparte, è evidente che al suo esercizio non consegue che una rideterminazione delle attribuzioni patrimoniali cui le parti sono tenute in forza del contratto, sicché è necessario concludere che essa si colloca al di fuori della fattispecie di risoluzione, almeno stricto sensu intesa. Anche al nostro ordinamento, pertanto, è estranea la piena assimilazione degli effetti prodotti dalla riduzione del prezzo e dalla risoluzione del contratto, le quali mostrano un’analogia funzionale ma non possono dirsi coincidenti, proprio in ragione della differente incidenza sul programma negoziale. La quanti minoris, infatti, esorbita dal concetto di risoluzione, avendo bensì riguardo a fattispecie di inesatta esecuzione dell’attribuzione patrimoniale, dal punto di vista qualitativo o quantitativo, da parte di un contraente ma provocando, quale effetto, la decurtazione dell’importo della prestazione pecuniaria facente capo all’altro contraente e la riconduzione di quanto dovuto dall’inadempiente a quanto effettivamente prestato, senza dar luogo alla caducazione – e al conseguente obbligo restitutorio, ove già (inesattamente) eseguita – della prestazione dovuta dalla parte nei confronti della quale è esercitato il rimedio. Muovendo da tale constatazione, possiamo desumere due importanti conseguenze sul piano applicativo. In primo luogo, come meglio vedremo al par. 6, affermare che risoluzione parziale e riduzione del prezzo – seppur funzionalmente affini – costituiscono due rimedi differenti, che danno luogo a vicende del rapporto contrattuale di contenuto non coincidente, consente all’interprete di escludere che la disciplina della riduzione del corrispettivo debba esmento all’“annientamento” del contratto). Nello stesso senso si muovono i dicta giursprudenziali: v., fra le tante, Cass. 15 gennaio 2007, n. 738; Cass. 17 luglio 2002, n. 10737; Cass. 20 agosto 1999, n. 8793; Cass. 20 maggio 1997, n. 4465, le quali tutte fondano le obbligazioni restitutorie conseguenti alla risoluzione sul venir meno del rapporto contrattuale (e, con esso, della causa delle stesse). 152 Come già si è accennato alla nota 85, la nostra dottrina tende invece a sostenere che tale sia l’effetto della quanti minoris: particolarmente esplicativo è quanto scrive C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 356, secondo il quale «la riduzione del prezzo è una forma di rettifica del contratto che incide esclusivamente sulla prestazione ridotta. Il ricorso a tale rimedio non dà quindi luogo alla restituzione o alla diminuzione della prestazione inesatta». 104 CAPITOLO SECONDO sere desunta da quella generale valevole per la risoluzione. Invero, esprimendo proprie caratteristiche che lo rendono irriconducibile a un semplice esempio di risoluzione parziale, deve riconoscersi che il rimedio estimatorio è governato da logiche proprie, sicché le lacune di disciplina positiva che lo caratterizzano andranno colmate avendo riguardo alla peculiare natura e funzione dello stesso e non mediante la supina e acritica applicazione di regole e principi dettati in materia di risoluzione. In secondo luogo, la conclusione cui siamo appena pervenuti può trovare un immediato precipitato dal punto di vista pratico in relazione a quelle ipotesi in cui l’oggetto del contratto di vendita sia costituito da una pluralità di cose alienate verso un corrispettivo unitario e una o più soltanto di queste presentino un difetto materiale, siano colpite da diritti di terzi o oneri che ne limitino il godimento o si rivelino parzialmente altrui o, ancora, siano oggetto di evizione pro parte. Con riferimento a tali fattispecie, la giurisprudenza tende a fare applicazione del concetto di risoluzione parziale, affermando che «la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, è possibile anche per il contratto ad esecuzione istantanea, quando il relativo oggetto sia rappresentato – secondo la valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione di legge o vizi logici – non da un’unica cosa infrazionabile, ma da più cose aventi propria individualità, quando, cioè, ciascuna di queste, separata dal tutto, mantenga un’autonomia economico-funzionale, che la renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti o di negoziazione distinti»153. Cosa ci consente di distinguere fra riduzione del prezzo e risoluzione parziale relativa soltanto alle cose rivelatesi difettose? Poiché la riduzione del prezzo dà luogo alla successiva coincidenza fra quanto prestato e quanto dovuto e, correlativamente, non provoca il sorgere di obblighi restitutori per l’acquirente, di risoluzione parziale sembra necessario discorrere soltanto allorché costui non abbia intenzione di conservare il singolo elemento della complessiva res, adeguando il corrispettivo dovuto – altrimenti dandosi luogo alla quanti minoris –, ma al contempo non voglia provocare la risoluzione integrale del negozio. La precisazione è lungi dal costituire una superfetazione: mentre la riduzione, con la sola eccezione di quella concessa dall’art. 1492 c.c., può essere fatta valere per il solo fatto dell’esistenza di un difetto, la risoluzione parziale obbedisce alle logiche che presiedono a quella totale e, pertanto, in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 1480, 1484, 1489 c.c., 153 In questo senso si esprime la già citata Cass. 2 luglio 2013, n. 16556. V. anche le altre pronunce citate alla nota 148. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 105 130 c.cons. e 49 CISG postula la sussistenza dei relativi, più stringenti, presupposti, seppure da valutarsi in relazione al singolo oggetto. Ciò posto, ove il compratore opti per la tutela estimatoria, come già ammoniva Pothier154, l’aestimatio vitii – ferma l’applicazione dei metodi di determinazione che saranno illustrati nel prossimo Capitolo – deve essere condotta tenendo conto dell’incidenza del difetto sul valore complessivo delle cose alienate, e non già soltanto su quello della res nella quale si è manifestato. 5. La funzione della riduzione del prezzo: la conservazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni soggettivamente fissato dalle parti al momento della conclusione del contratto I risultati cui siamo pervenuti sinora hanno consentito di descrivere la natura degli effetti che la riduzione del prezzo spiega sul contratto di compravendita, che abbiamo potuto identificare nella decurtazione del prezzo, da un canto, e nell’adattamento del contenuto negoziale volto a modellare l’attribuzione patrimoniale dovuta dal venditore sulle caratteristiche effettivamente rivelate dalla res vendita, dall’altro. Ciò che ancora è rimasto nelle pieghe del nostro discorso è la relazione che corre fra la modificazione del programma negoziale e l’adeguamento della misura del corrispettivo. Come abbiamo avuto modo di dire155, l’adattamento contrattuale prodottosi a seguito dell’esercizio della riduzione del prezzo comporta, da parte del compratore, l’accettazione dell’attribuzione originariamente difettosa quale prestazione conforme al contratto, sicché l’effetto che si produce è equivalente a quello che si sarebbe avuto ove il contratto fin dall’origine avesse previsto che la cosa venduta presentasse il difetto manifestatosi in essa156. Per tale via, il rimedio estimatorio dà luogo alla contemporanea tutela così del concreto interesse del compratore a conservare la prestazione, benché difettosa, come del potenziale interesse di segno eguale e contrario ascrivibile al venditore. In relazione all’acquirente, però, tale 154 R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 47: «Si osservi che se trattasi per esempio di una coppia di mule, l’una delle quali sia viziosa, la minorazione del prezzo dovrà esser desunta non solamente sopra la viziosa, ma sopra entrambe. Poiché, essendo state comperate entrambe per un solo prezzo, questo non debb’essere separato; ma deesi conoscere quanto meno valeva la coppia quando fu venduta, e non la sola mula che era viziosa». 155 Cfr., in particolare, il par. 3 del presente Capitolo. 156 Così U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 57 s. 106 CAPITOLO SECONDO interesse è concreto e attuale, giacché abbiamo veduto come la decisione circa l’esercizio del rimedio sia sostanzialmente rimessa all’incondizionata volontà dell’acquirente157, mentre con riferimento al venditore si assiste a una sorta di presunzione assoluta di perdurante sussistenza dell’interesse al mantenimento del contratto158 anche per il caso di difettosità della cosa venduta, sicché la decisione negoziale di alienare rimane ferma pure a seguito del mutamento di contenuto del negozio. Potremmo pertanto dire che alla parte fedele è consentito mantenere in vita lo scambio, mutandone unilateralmente i contenuti, mentre la controparte inadempiente è sostanzialmente costretta a subire la relativa decisione. Pacifico che i contenuti dell’adeguamento del corrispettivo non possono essere stabiliti dall’acquirente a proprio arbitrio, il fatto che la riduzione costituisca un mutamento del programma negoziale rimesso all’iniziativa di una sola parte e (in via sostanzialmente esclusiva) alla valutazione che questa compia relativamente al proprio interesse nei confronti dell’inesatto adempimento ricevuto rende vieppiù imprescindibile l’individuazione del fondamento di tale diritto e delle sue modalità di attuazione. Ove, peraltro, si osservi che la riduzione del prezzo è legittimata dall’alterazione del sinallagma funzionale del contratto, a cagione della quale il compratore si troverebbe a dover eseguire la propria intera prestazione pecuniaria pur avendo ricevuto un’attribuzione patrimoniale inesatta, non è difficile intuire come ciò darebbe luogo a un vantaggio irragionevole per la parte inadempiente, la quale conseguirebbe proprio quanto inizialmente convenuto, pur avendo eseguito una prestazione minus quam perfecta. Si verificherebbe pertanto – almeno in senso descrittivo – un arricchimento ingiustificato del venditore. Ma il principio dell’arricchimento senza causa può svolgere in questa sede, per l’appunto, soltanto un mero ruolo descrittivo, giacché ciò che consente al compratore di esercitare la tutela estimatoria è, più propriamente, il mutamento del rapporto di corrispettività fra le rispettive prestazioni contrattuali: invero, il carattere sinallagmatico dei contratti si basa su un reciproco sacrificio patrimoniale, giacché le prestazioni delle parti sono legate da un vincolo di interdipendenza, in forza del quale in 157 La riduzione del prezzo, infatti, salvi soltanto i casi in cui costituisce rimedio sussidiario (art. 130 c.cons.) o subordinato al “right to cure” del venditore (artt. 45 ss. CISG), è oggetto di una libera scelta del compratore (cfr. parr. 1 e 2 del presente Capitolo). Peraltro, anche nelle ipotesi in cui ha natura subordinata o sussidiaria, una volta verificatisi i presupposti che fanno venir meno le ragioni di priorità dei rimedi primari, la quanti minoris – al contrario della risoluzione del contratto – può essere esercitata a prescindere da qualsiasi considerazione riguardo alla gravità del difetto, sulla base della mera volontà dell’acquirente. 158 In questo stesso senso v. ancora U. KORTH, Minderung beim Kauf, cit., p. 58. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 107 tanto l’una assume su di sé un determinato impegno in quanto l’altra faccia altrettanto. Ne consegue che la prestazione di una parte è, e rimane, legata non soltanto all’esistenza originaria, ma anche al perdurare della prestazione corrispondente della controparte e quindi all’esecuzione della medesima. Se è così, non può che desumersene che la riduzione del prezzo è volta proprio a salvaguardare, ripristinandolo, il sinallagma funzionale del negozio. La presenza del difetto nella prestazione del venditore, infatti, altera i termini dello scambio e richiede che il medesimo sia rimosso dal contraente inadempiente ovvero che la controprestazione sia “adeguata” alle effettive caratteristiche della prima: tale adeguamento, unito alla definitiva accettazione dell’attribuzione irregolare, costituisce il proprium della quanti minoris. Pur nella totale carenza, a livello legislativo, di un’indicazione delle regole che presiedono alla determinazione della riduzione del prezzo, il fatto che esso sia diretto alla conservazione di uno scambio che ha ad oggetto il trasferimento di una cosa non corrispondente al programma obbligatorio verso il corrispettivo di un prezzo ridotto consente di escludere che questo persegua finalità risarcitorie159, e di evidenziarne piuttosto la finalità di riequilibrio delle prestazioni facenti capo alla parti del contratto attraverso un adattamento dell’originario oggetto negoziale: questo, infatti, non può essere diretto a far acquisire a entrambe le parti quanto avrebbero avuto diritto di ricevere in base alle pattuizioni originarie, già per l’assorbente ragione che l’acquirente accetta una prestazione difettosa. Reagendo all’alterazione del sinallagma, la riduzione del prezzo mira a ripristinarlo: tale ripristino avviene attraverso la fissazione di una nuova misura del corrispettivo la quale possa dirsi rispettosa dell’iniziale rapporto di corrispettività che le parti avevano fissato al momento della conclusione del negozio. Invero, come attenta dottrina ha posto in luce160, la decisione delle parti del contratto di compravendita di scambiare la 159 In questo senso, invece, si pronuncia D. RUBINO, L’appalto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1980, p. 516. L’opinione è diffusa negli ordinamenti di common law, laddove il mezzo di tutela in parola riscuote scarsa fortuna e tende a essere ricondotto a una voce inclusa nel risarcimento del danno: non a caso, la trattazione della relativa previsione nel diritto inglese (Section 53 (3) SoGA 1979) è condotta da P.S. ATIYAH - J.N. ADAMS - H. MACQUEEN, Atiyah’s Sale of Goods, Harlow, 2010, p. 539 nel paragrafo dedicato ai Damages for breach of condition or warranty. 160 Secondo C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 6, l’accordo fra le parti pone un rapporto soggettivo di equivalenza fra le prestazioni scambiate «weil die Parteien sich für deren Austausch entschieden haben und jede Partei dadurch zum Ausdruck bringt, dass die Erlangung der Gegenleistung ihr die Erbringung der eigenen Leistung wert ist». 108 CAPITOLO SECONDO “cosa” contro il “prezzo” si traduce nell’inequivoca affermazione di un rapporto di soggettiva equivalenza fra le prestazioni contrattuali facenti capo alle parti161, le quali mostrano appunto di essere ciascuna disponibile a eseguire la propria prestazione in cambio di quella promessa dall’altro contraente. Allorché l’attribuzione patrimoniale del venditore si riveli differente rispetto a quanto pattuito, il rapporto di identità di valore fra le reciproche prestazioni, che le parti hanno liberamente fissato con il contratto nell’esercizio della loro autonomia privata, è compromesso. La difettosa esecuzione del rapporto contrattuale da parte dell’alienante, a prescindere da ogni considerazione sull’imputabilità della medesima, “perturba” l’equilibrio contrattuale fissato, facendo venir meno quel rapporto di identità di valore sul quale le parti avevano fondato il proprio consenso162. A fronte di tale “perturbazione”, la legge consente all’acquirente di ridurre la prestazione pecuniaria, in quanto la res vendita ha perduto la propria corrispondenza di valore rispetto a questa. Ne consegue che la riduzione del corrispettivo costituisce precisamente uno strumento di tutela dell’equilibrio fra le attribuzioni patrimoniali delle parti del contratto di vendita; essa non è però volta a ristabilire un equilibrio fra valori oggettivi – ciò che significherebbe sostituire alla volontà delle parti una volontà eteronoma – bensì un equilibrio soggettivo che esprima il medesimo rapporto di valore che le parti avevano raggiunto e fissato al tempo della conclusione del contratto nell’esercizio della loro autonomia privata163. Il sinallagma perturbato è, infatti, il risultato delle valutazioni che soggettivamente le parti hanno condotto circa la convenienza dello scambio e non può essere sconvolto dall’applicazione di criteri di equivalenza oggettiva. D’altronde, il nostro diritto contrattuale è dominato dal principio secondo cui le parti sono libere di fissare il contenuto del contratto e, in particolare, non si dubita che i contraenti possano di norma procedere in piena autonomia alla fissazione del prezzo dei beni e, conseguentemente, 161 Efficacemente è stato scritto che «die Parteien ihre beiderseitigen Leistungen als wertgleich gelten lassen wollen»: v. SOERGELKOMM-BGB/BALLERSTEDT, sub vor § 459 BGB, Stuttgart, 1967, Rn. 15. A questa idea aderisce anche K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts, II, 1, München, 1986, p. 68. 162 C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 6 s. 163 Cfr. ad esempio M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000, p. 57, il quale precisa che «durch die Minderung soll das infolge der mangelhafte Lieferung gestörte Äquivalenzverhältnis zwischen dem vereinbarten Kaufpreis und dem Wert der sache auf entsprechend niedrigerem Niveau aufrechterhalten bzw. wiederhergestellt werden». LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 109 del rapporto di corrispettività fra prestazioni164. Tali regole non conoscono, infatti, che eccezionali limitazioni, le quali sono basate sull’oggettiva eccessività del sacrificio assunto da una parte rispetto all’altra, conseguente all’approfittamento di una situazione di particolare debolezza di un contraente, come accade in tema di rescissione per lesione (art. 1448 c.c.)165, ovvero su motivazioni attinenti alla disciplina del mercato, come nelle ipotesi in cui il legislatore procede con la fissazione di prezzi imposti (art. 1339 c.c.) ovvero obbliga taluni soggetti a contrarre a uguali 164 Tale assetto è assai ben definito dall’affermazione secondo cui «i soli contraenti sono i giudici del valore delle cose», che si ritrova in G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, IV, Torino, 1939, p. 143 s. A partire dalla codificazione napoleonica, il moderno diritto privato – con talune rilevanti eccezioni che hanno caratterizzato in particolare il periodo fra le due guerre mondiali (cfr. O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli scambi e la rescissione del contratto per lesione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 328 ss.) – ha sostanzialmente abbandonato l’attenzione al problema dell’equità degli scambi e del c.d. “giusto prezzo”, particolarmente caro alla Patristica e alla dottrina del diritto naturale (sul punto, v. ad esempio, W. TRUSEN, Äquivalenzprinzip und gerechter Preis im Spätmittelalter, in Festgabe für Günther Küchenhoff, Göttingen, 1967, p. 247 ss. e il cit. O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli scambi e la rescissione del contratto per lesione, p. 319, ove rammenta come il diritto medioevale e moderno sia stato condizionato dall’idea del “giusto prezzo” e come forte sul punto sia stata l’influenza di San Tommaso, il quale, «riprendendo la teoria aristotelica […], raccomandava l’equità negli scambi, perché conforme a legge divina e dichiarava solo sopportabili lievi sproporzioni fra le prestazioni, in vista dell’imperfezione umana»), facendo spazio alle istanze borghesi dirette a promuovere il libero scambio e imperniate sul dogma della volontà e dell’autonomia privata. Gli scopi e i limiti della presente trattazione non consentono, né esigono, l’analisi di tale evoluzione storica e di politica del diritto, riguardo alla quale in questa sede è necessario e sufficiente prendere atto dell’ormai radicata libertà delle parti di fissare tendenzialmente senza vincoli il corrispettivo di alienazione dei beni. In tal senso, non è senza importanza la chiara opzione manifestata anche da parte del legislatore europeo con la dir. 1993/13/CEE, il cui art. 4, comma 2 sancisce che «la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile». Su quest’ultima disposizione e sulle sue implicazioni v. ampiamente M. FARNETI, La vessatorietà delle clausole principali nei contratti del consumatore, Padova, 2009. 165 Questa infatti può essere invocata soltanto laddove la lesione sia ultra dimidium e comunque non conduce all’imposizione di un diverso contenuto contrattuale bensì allo scioglimento del vincolo. L’eccezionalità della rescissione e la sua “eterodossia” nel contesto delle scelte di fondo che connotano il nostro ordinamento sono bene espresse dalla valutazione con la quale notoriamente si chiude quella che, a tutt’oggi, è la più ampia analisi dedicata all’istituto nella nostra letteratura: «pur dopo aver tentato di dare all’istituto una sistemazione, pur dopo averne visto l’ampio […] campo di applicazione, si deve ancora ripetere che non si sa come sia nato, non si sa cosa sia, non si sa cosa ci stia a fare» (G. MIRABELLI, La rescissione del contratto per lesione, Napoli, 1962, p. 413). Per una inquadramento della rescissione quale mezzo di protezione del contraente debole, v. però O.T. SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza degli scambi e la rescissione del contratto per lesione, cit., p. 310 ss. 110 CAPITOLO SECONDO condizioni con chiunque, in ragione della loro posizione di monopolisti (art. 2597 c.c.). Invero, se le parti hanno il pieno potere di determinare liberamente, nell’esercizio dell’autonomia privata, la misura del prezzo e il rapporto proporzionale di valore fra questo e la cosa venduta non si vede per quale ragione il rapporto così fissato debba subire un intervento “correttivo” eteronomo a seguito del verificarsi di un difetto funzionale del sinallagma, mentre è in linea di principio escluso in sede di conclusione del contratto. Ne consegue che la riduzione del prezzo, essendo volta a rivolta a ristabilire il sinallagma funzionale fra le prestazioni, non può che operare attraverso la conservazione, pur a seguito del verificarsi di eventi perturbatori, dell’equilibrio stabilito liberamente dalle parti fra le prestazioni contrattuali che gravano sulle stesse in forza del contratto. Essa, pertanto, è diretta a conservare l’equivalenza soggettiva delle prestazioni oggetto del scambio166. Tale conclusione, peraltro, è l’unica compatibile con l’irrilevanza della volontà del contraente inadempiente con riferimento alla modificazione del contenuto negoziale: invero, qualsiasi modificazione diretta a imporre a costui un rapporto contrattuale avente caratteristiche differenti da quelle originarie darebbe luogo a un vulnus nei confronti del principio della forza di legge del contratto (art. 1372 c.c.), sicché l’ammissibilità di una modificazione avente tale natura riposa nel fatto che la riduzione del prezzo ha luogo attraverso la conservazione del rapporto di valore fra le prestazioni che i contraenti avevano pattuito sin dal principio. Tale conservazione, infatti, impone bensì al venditore un contratto differente da quello originariamente stipulato, ma gli consente di conservare la medesima proporzione fra le reciproche attribuzioni cui ha prestato il proprio consenso al tempo della conclusione del contratto. Riconoscere che tale è il contenuto della tutela estimatoria consente di porre le necessarie basi al fine di identificare le regole che presiedono 166 Quest’ultima lettura, di recente, raccoglie numerosi consensi nella dottrina germanica: cfr. C.W. CANARIS, Äquivalenzvermutung und Äquivalenzwahrung im Leistungsstörungsrecht des BGB, in Festschrift für Herbert Wiedemann, cit., p. 5 ss.; ID., Die Behandlung nicht zu vertretender Leistungshindernisse nach § 275 Abs. 2 BGB beim Stückkauf, in JZ, 2004, p. 219 ss.; S. LORENZ, Vertragserhaltung im Kaufrecht, in Festschrift für Hans Wolfsteiner, Köln, 2008, p. 134 ss.; A. PEUKERT, § 326 Abs. 1 S. 2 BGB und die Minderung als allgemeiner Rechtsbehelf, cit., p. 479. Con riferimento allo Schuldrecht abrogato v. altresì K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts, II, 1, cit., p. 68, il quale discorre apertamente di un «Prinzip der subjektiven Äquivalenz» immanente al diritto della compravendita e qualifica la Minderung quale mezzo diretto a ripristinarlo (si ricordi però come Larenz in precedenza – come abbiamo avuto modo di vedere (par. 3) – riconducesse al perturbamento della Geschäftsgrundlage il fondamento della tutela estimatoria); F. PETERS, Praktische Probleme der Minderung bei Kauf und Werkvertrag, in Betriebs Berater (BB), 1983, p. 1951. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 111 alla determinazione del quantum della riduzione, alle quali dedicheremo la nostra attenzione nel Capitolo 3. 6. La riduzione del prezzo quale diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale Identificati, nelle pagine che precedono, gli effetti e la funzione della riduzione del prezzo – sostanzialmente riconducibili alla modificazione del contenuto del rapporto contrattuale volta a conservare l’equilibrio sinallagmatico che le parti avevano originariamente concordato, perturbato dalla successiva manifestazione del difetto – dobbiamo ora occuparci del distinto profilo direttamente attinente alla natura della corrispondente situazione giuridica facente capo al compratore. La tradizione romanistica ci consegna l’apparato di tutela edilizio sotto la qualifica di “azioni”, così la redhibitoria come l’aestimatoria costituendo oggetto di actiones che il compratore poteva esperire convenendo il venditore dinanzi al magistrato, il quale a sua volta imponeva alle parti l’esecuzione delle prestazioni necessarie, rispettivamente, a reintegrare – per quanto possibile – lo status quo ante il contratto, ovvero a rimettere parzialmente il debito relativo al prezzo, ove non ancora adempiuto, o a restituire una porzione del corrispettivo già versato167. Le numerose disposizioni oggi vigenti nell’ordinamento italiano che concedono al compratore la tutela estimatoria non fanno invece alcuna menzione della natura di “azione” della riduzione del prezzo. Le norme del codice civile in materia di compravendita, invero, si limitano a sancire che, al ricorrere dei presupposti volta per volta richiesti, l’acquirente possa «ottenere» tale riduzione (art. 1480 c.c.), ovvero «domandar[la]» (art. 1490 c.c.), mentre l’art. 130 c.cons. attribuisce al consumatore un non meglio definito «diritto ad una riduzione adeguata del prezzo» (comma 3); la medesima locuzione già compare all’art. 3, comma 2 dir. 1999/44/CE, il cui comma 5, però, consente al consumatore di «chiedere una congrua riduzione del prezzo». Infine, nell’ipotesi in cui nel bene venduto si manifestino difetti di conformità, il più chiaro referente normativo in materia – rappresentato dalla Convenzione di Vienna del 1980 – prevede che «the buyer may reduce the price», senza fare alcun riferimento al concetto di “azione”. La scarsa perspicuità e l’assoluta eterogeneità delle espressioni utilizzate rende tutt’altro che agevole la qualificazione della situazione giuridica 167 Sulla genesi e la natura delle azioni edilizie in Roma classica, si vedano i primi tre paragrafi del Capitolo 1. 112 CAPITOLO SECONDO che, nelle varie ipotesi di volta in volta considerate, permette all’acquirente di un bene “difettoso” di trattenerlo, pagando però un corrispettivo decurtato. In ragione di ciò, e in particolare del fatto che i singoli dettati normativi sono fra loro assai divergenti, sollevano problemi differenti e richiedono di essere calati nel rispettivo contesto, appare opportuno procedere ad un’analisi separata di ciascun corpus normativo. Questa può convenientemente prendere le mosse dall’art. 50 della Convenzione di diritto uniforme, in relazione al quale sussiste unanimità di vedute fra gli interpreti nel senso di ritenere che il diritto del compratore possa essere esercitato con atto168 unilaterale e stragiudiziale169, che non necessita di alcuna manifestazione di adesione da parte del venditore, né di una sua collaborazione nell’attuazione del diritto, essendo immediatamente produttiva degli effetti modificativi del contenuto contrattuale170, sicché si propende per la qualificazione della riduzione del prezzo quale diritto potestativo del compratore171. Conclusioni di identico tenore, peraltro, possono trarsi con riguardo alla quanti minoris contemplata dalla direttiva 1999/44/CE. Infatti, nonostante l’ambiguo dettato del comma 5 dell’art. 3 della versione italiana della direttiva – il quale fa riferimento al diritto del consumatore di «ri168 Trova un certo favore la tesi secondo la quale, ex art. 50 CISG, il compratore «does not have to make a separate declaration of price reduction to the seller before he resorts to the price reduction remedy»: così, ad esempio, C. SHIN, Declaration of price reduction under the CISG article 50 price reduction remedy, in 25 Jour. Law&Comm., 2005-2006, p. 352. 169 In questo senso, v. infatti, ex plurimis, E.E. BERGSTEIN - A.J. MILLER, The remedy of reduction of price, in Amer. Jour. Comp. Law, 1979, p. 263; F. ENDERLEIN, Rights and Obligations of the Seller under the UN Convention on Contracts for the International Sale of Goods, in P. VOLKEN - P. SARCEVIC, International Sale of Goods: Dubrovnik Lectures, New YorkLondon-Rome, 1986, p. 197; P.A. PILIOUNIS, The Remedies of Specific Performance, Price Reduction and Additional Time (Nachfrist) Under the CISG: Are These Worthwhile Changes or Additions to English Sales Law?, in Pace Int’l Law Review, 2000, p. 31; S. JANSEN, Price reduction under the CISG: a 21st Century Perspective, in Journal of Law & Commerce, 2014, p. 343 ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 1 e 4 ss.; R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 236; KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CIGS, München, 2011, Rn. 4; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 3; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 1 ss. e 15 ss.; Cour de Justice de Genève, 15 novembre 2002, in CISG-online n. 853. 170 Per tutti, SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., Rn. 1. 171 Cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 15 («Die Minderung ist ein Gestaltungsrecht, das der Käufer mit seiner Erklärung ausübt»); R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 236; B. AUDIT, La vente internationale de marchandises. Convention des Nations-Unies du 11 avril 1980, Paris, 1990, p. 134; OLG München, 2 marzo 1994, in CISG-online n. 108. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 113 chiedere»172 la riduzione del corrispettivo173 –, è comune l’intendimento della riduzione del prezzo quale diritto potestativo che consente al compratore di modificare il contenuto contrattuale attraverso una propria manifestazione unilaterale di volontà stragiudiziale174 e sottratta a vincoli di forma175. L’impiego del verbo «richiedere», infatti, si spiega «in ragione di una forza attrattiva [esercitata] sul piano linguistico dai rimedi primari sui secondari»176, giacché i primi costituiscono oggetto di una 172 L’impiego del verbo «richiedere», infatti, suggerisce l’idea che la produzione degli effetti giuridici del mezzo di tutela non avvenga in forza del mero atto del compratore ma necessiti dell’opera di un terzo soggetto, quale il giudice, ovvero del consenso della controparte. 173 Invero, la versione della direttiva in lingua francese si esprime in maniera differente: «En cas de défaut de conformité, le consommateur a droit […] soit à une réduction adéquate du prix ou à la résolution du contrat en ce qui concerne ce bien, conformément aux paragraphes 5 et 6. […] Le consommateur peut exiger une réduction adéquate du prix». Simile al testo italiano sono invece il testo tedesco e quello inglese, secondo cui rispettivamente «the consumer may require an appropriate reduction of the price» e «der Verbraucher kann eine angemessene Minderung des Kaufpreises […] verlangen». 174 È appena il caso di puntualizzare come, ovviamente, tale dichiarazione possa anche sostanziarsi nella proposizione di una domanda giudiziale, ma ciò che vuole mettersi in luce nel testo è il fatto che tale ultima modalità di esercizio non è affatto necessaria, gli effetti della riduzione del prezzo potendo prodursi indifferentemente attraverso una manifestazione di volontà stragiudiziale, trattandosi di un diritto potestativo esercitabile mediante un atto unilaterale del consumatore, il cui compimento vale di per sé solo a decurtare il corrispettivo pattuito. Pur avvertendo l’ambiguità del dettato normativo della direttiva, propendono per la qualificazione della riduzione del prezzo quale diritto potestativo del compratore P. SCHLECHTRIEM, Die Anpassung des deutschen Rechts an die Klausel-Richtlinie und den Richtlinienvorschlag zum Verbraucherkaufrecht, in ZfSR, 1999, p. 344 (ad avviso del quale tale soluzione troverebbe un forte argomento in ragione dell’opzione in questo senso da parte della Convenzione di Vienna, la quale ha costituito il modello di riferimento per la dir. 1999/44/CE); H. EHMANN - U. RUST, Die Verbrauchsgüterkaufrichtlinie - Umsetzungsvorschläge unter Berücksichtigung des Reformentwurfs der deutschen Schuldrechtskommission, in JZ, 1999, p. 859; U. MAGNUS, sub art. 3 dir. 1999/44, in GRABITZ-HILF, Das Recht der Europäischen Union, 40. Aufl., München, 2009, Rn. 56; GRUNDMANN-BIANCA-EU-KAUFRECHT/C.M. BIANCA, sub art. 3, München, 2002, Rn. 66. Nel senso che il testo della direttiva non consentirebbe di raggiungere una conclusione univoca circa la natura della situazione soggettiva di cui è titolare il compratore v. G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 199. Secondo S. LEIBLE, Kaufvertrag, in M. GEBAUER - T. WIEDMANN, Zivilrecht unter europäischem Einfluss, Stuttgart, 2005, Rn. 80, invece, il consumatore ai sensi dell’art. 3, dir. 1999/44/CE sarebbe reso titolare di una Anspruch alla riduzione del corrispettivo. 175 In questo senso, v. ancora U. MAGNUS, sub art. 3 dir. 1999/44, in GRABITZ-HILF, Das Recht der Europäischen Union, cit., Rn. 79; P. SCHLECHTRIEM, Die Anpassung des deutschen Rechts an die Klausel-Richtlinie und den Richtlinienvorschlag zum Verbraucherkaufrecht, cit., p. 344; GRUNDMANN-BIANCA-EU-KAUFRECHT/C.M. BIANCA, sub art. 3, cit., Rn. 66 ss. 176 Così, giustamente, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 418, i quali peraltro manifestano tale opinione con riferimento al testo dell’art. 1519-quater c.c., a mezzo del quale il legislatore italiano aveva inizialmente rece- 114 CAPITOLO SECONDO pretesa, la quale esige una “richiesta” dell’acquirente, cui deve seguire un comportamento attuativo da parte del venditore. Tale comportamento “collaborativo”, invece, non è affatto necessario nell’ipotesi in cui sia fatta valere la riduzione del prezzo (o la risoluzione), sicché non di vera e propria “richiesta” può parlarsi ma dell’esercizio di un diritto potestativo. Una contraria opinione è stata manifestata nell’esperienza inglese, laddove è diffusa la convinzione secondo la quale «the buyer is entitled only to require the seller to reduce the purchase price and not to reduce the price himself»177. Secondo tale tesi, pertanto, la riduzione del prezzo sarebbe oggetto di una richiesta del consumatore rivolta al professionista, il quale ultimo dovrebbe procedere a quantificare la decurtazione appropriata, così ponendo sulla controparte l’onere «of showing that the reduction offered is not appropriate»178. Sennonché una simile ricostruzione, nonostante possa effettivamente trovare un addentellato nella lettera della legge inglese, appare palesemente incompatibile con l’obiettivo della dir. 1999/44/CE di apprestare un adeguato livello di tutela del consumatore179, in quanto fa dipendere l’attuazione del rimedio da un comportamento collaborativo del professionista, attribuendo a quest’ultimo il potere di formulare una proposta di quantificazione della riduzione e gravando il consumatore dell’onere di argomentarne ed eventualmente dimostrarne l’insufficienza, con ciò rendendo assai più probabile la necessità di un intervento giudiziale. Ove si tenga in considerazione come la disciplina de qua sia volta a regolare i rapporti fra acquirenti e venditori di beni di consumo, aventi spesso un ridotto valore, l’idea secondo la quale l’atto di esercizio della pito l’art. 3, dir. 1999/44/CE. Peraltro, data la pressoché totale coincidenza delle due disposizioni, non sembra che tale circostanza possa infirmare la correttezza di tale osservazione. 177 Cfr. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 706, il quale sostiene tale tesi facendo leva essenzialmente su un argomento letterale tratto dalla Section 48C del SoGA 1979, ove si prevede che il compratore «may require the seller to reduce the purchase price of the goods in question […] by an appropriate amount». Il legislatore inglese, invero, ha pedissequamente trasposto la direttiva in materia di vendite di beni di consumo operando un copy-out della locuzione che – come anticipato alla nota 173 – è possibile riscontrare nella versione inglese della stessa. Anche a seguito dell’emanazione del Consumer Rights Act 2015, il diritto inglese continua criticabilmente a foggiare il “right to a price reduction” come il diritto del consumatore «to require the trader to reduce by an appropriate amount the price the consumer is required to pay under the contract, or anything else the consumer is required to transfer under the contract»: così la Section 24 del recentissimo provvedimento in tema di protezione del consumatore. 178 Così, appunto, M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 706 s. 179 Cfr. A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 91 e L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 418. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 115 quanti minoris dovrebbe avvenire attraverso un complesso procedimento nel quale, all’iniziale richiesta del compratore, dovrebbe seguire una quantificazione da parte dell’alienante, suscettibile di contestazione giudiziale, o – ancor peggio – dovrebbe rivestire indefettibilmente la forma della domanda giudiziale, si traduce nella frapposizione di ostacoli rilevanti all’esercizio del diritto attribuito al consumatore dalla dir. 1999/ 44/CE, che ne compromettono senz’altro l’effettività180, sicché riteniamo non possano essere sollevati dubbi circa la natura di diritto potestativo esercitabile con un atto stragiudiziale della riduzione del prezzo accordata dall’art. 3 del provvedimento europeo. Raggiunta tale conclusione, non sembra che diversamente possa opinarsi con riferimento all’art. 130 c.cons.181. In primo luogo, essa è imposta da elementari ragioni di coerenza, laddove si consideri che la norma interna è largamente ricalcata su quella 180 Invero, un argomento in questo senso può essere rintracciato nella recentissima Corte giust. UE 4 giugno 2015, in causa C-497/13, Froukje Faber, la quale – nell’affermare che l’obbligo di denuncia di cui il consumatore risulta gravato ai sensi dell’art. 5, par. 2, dir. 1999/44/CE non può «spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità» (punto 62), che «non si può esigere che il consumatore produca la prova che effettivamente un difetto di conformità colpisce il bene che ha acquistato» (punto 63) e che, in generale, «uno Stato membro non può istituire obblighi tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile per il consumatore esercitare i diritti che attinge dalla direttiva» (punto 64) – offre rilevanti e univoci indizi nel senso che l’esercizio dei diritti attribuiti al consumatore dalla direttiva in materia di vendite di beni di consumo non possa essere subordinato alla necessaria proposizione di una domanda giudiziale (la quale, per definizione, richiede che l’attore formuli in maniera tecnica ed esaustiva, avvalendosi dell’assistenza di un avvocato, le proprie richieste) ovvero soggiacere all’iniziativa determinativa da parte del venditore. È, invero, evidente come nell’una e nell’altra ipotesi l’esercizio del diritto di ridurre il prezzo verrebbe a essere reso eccessivamente difficile, a cagione dell’onerosità e della durata del procedimento giurisdizionale ovvero della sostanziale rimessione alla discrezionalità della “parte forte” della concreta attuazione del rimedio. 181 Nel senso che il diritto del consumatore di ridurre il prezzo ai sensi dell’art. 130 c.cons. (e – prima dell’emanazione del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 – dell’art. 1519-quater c.c.) abbia natura di diritto potestativo esercitabile da costui mediante atto unilaterale anche stragiudiziale v., ad esempio, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, Padova, 2003, p. 443 s.; G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, cit., p. 1047; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, Padova, 2002, p. 90; E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 123; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 848; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 457. Ma contra, nel senso della necessaria proposizione della domanda giudiziale, v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 602, il quale ribadisce l’isolata opinione già espressa in A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine al D. Lgs. n. 24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 101 ss. 116 CAPITOLO SECONDO comunitaria, sicché valgono per la prima le medesime considerazioni che abbiamo appena avanzato riguardo alla seconda. In secondo luogo, e soprattutto, tale soluzione è comunque imposta dalla necessità di interpretare il diritto interno in maniera conforme alla disciplina europea: invero, una volta stabilito che l’effettività della tutela del consumatore sostanzialmente esige che i rimedi concessigli nei confronti dei difetti di conformità della res vendita possano essere esercitati prescindendo dal ricorso all’autorità giudiziaria e da atti formali, si deve ritenere che anche la riduzione del corrispettivo accordata dall’art. 130 c.cons. abbia natura di diritto potestativo esercitabile a mezzo di un atto unilaterale stragiudiziale. Assai più complessa si palesa, invece, la questione relativa alla qualificazione giuridica del diritto alla riduzione del prezzo previsto dalle norme del codice civile in materia di compravendita, riguardo alle quali – come abbiamo accennato – è diffusa l’opinione, legittimata dall’origine storica del mezzo di tutela, secondo cui si tratterebbe di un’“azione” spettante al venditore, da esercitarsi a mezzo della (necessaria) proposizione di una domanda giudiziale182. È a nostro avviso, peraltro, possibile rintracciare taluni indici che paiono rendere meno scontata l’attendibilità della tesi tradizionale. È senz’altro ben vero che almeno183 l’espressione impiegata dal legislatore nell’art. 1492 c.c. – a mente della quale il compratore può «domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo» – pare legittimare l’idea che, da un canto, redibitoria ed estimatoria condividano pienamente il profilo attinente alla natura dell’atto giuridico di esercizio – e, in proposito, è noto come l’opinione nettamente maggioritaria ritenga che il codice del 1942 abbia all’evidenza optato per la configurazione della risoluzione quale mezzo di tutela essenzialmente “giudiziale”184 – e, dall’altro, tale atto si sostanzi in una “domanda”, così 182 In questo senso si esprimono, fra i tanti, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 445; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 270; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 953 («questo rimedio – ancora tradizionalmente indicato come azione estimatoria – è rimesso ad un potere dell’acquirente, che si esercita in via giudiziaria per il tramite della sentenza»). 183 Più neutro, da questo punto di vista, è il verbo utilizzato dall’art. 1480 c.c., secondo il quale il compratore può «ottenere» la riduzione del prezzo, giacché esso non fa alcun riferimento al concetto di “domanda giudiziale”, né implica di necessità l’intervento del giudice, pur potendo essere inteso nel senso che l’ottenimento della decurtazione del corrispettivo necessiti di un quid pluris rispetto al solo atto dell’acquirente. 184 In generale, sulla natura giudiziale della risoluzione e per l’inquadramento delle fattispecie di c.d. risoluzione di diritto (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.) quali “eccezioni” alla regola generale, v. ex plurimis C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 292; V. ROPPO, LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 117 immediatamente evocando la necessità che l’effetto risolutivo o modificativo del contratto sia prodotto dall’autorità giudiziaria. E non sembra dubbio che, ponendosi nel solco di tale linea argomentativa, dovrebbe coerentemente negarsi qualsiasi effetto alla manifestazione di volontà del compratore di far valere la risoluzione o la riduzione del corrispettivo che non sia affidata alla proposizione di una domanda giudiziale. Che, però, ciò corrisponda all’intendimento del legislatore può a nostro avviso essere revocato in dubbio ove si valorizzi il disposto dell’art. 1492, comma 2 c.c., il quale pone la nota regola185 secondo cui «la scelta [scil. fra risoluzione e riduzione del prezzo] è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale». La migliore dottrina186 non ha mancato di osservare che, come meglio si dirà nel Capitolo 4, una regola siffatta implica che una scelta fra le due azioni sia possibile non soltanto a mezzo di un atto processuale, ma altresì mediante un atto stragiudiziale, con l’unica differenza che «finché la scelta sia stata fatta con atto stragiudiziale, anche se comunicato al venditore mediante notifica, il compratore può Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 940 e p. 962 ss.; M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, Torino, 2006, p. 1738; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. UTET, Torino, 1980, p. 612; A. DALMARTELLO, voce Risoluzione del contratto, in Nov. D., XVI, Torino, 1969, p. 140; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, passim. Non sono mancati, tuttavia, taluni tentativi volti a contestare la natura essenzialmente giudiziale della risoluzione: si vedano, ad esempio, A. KLITSCHE DE LA GRANGE, Risoluzione per inadempimento e potestà del giudice, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 29 ss. e, di recente, M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, Milano, 2013, p. 41 ss. Con riferimento alla risoluzione concessa dagli artt. 1480 e 1492 c.c. la necessità che la manifestazione della volontà di risolvere il contratto di vendita si traduca nella proposizione di una domanda giudiziale è pacificamente affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza assolutamente maggioritarie: fanno espresso riferimento all’“azione” di risoluzione, ad esempio, P. GRECO - G. COTTINO, sub artt. 1492-94, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 267 s.; Cass. 29 luglio 2013, n. 18202; Cass. 3 giugno 2008, n. 14665; Cass. 27 settembre 2007, n. 20332; Cass. 21 giugno 2005, n. 13294; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1434. Secondo C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 948 ss. la risoluzione di cui all’art. 1492 c.c. non costituirebbe un rimedio speciale ma un’applicazione della generale azione di risoluzione prevista dall’art. 1453 c.c. e, come questa, potrebbe essere sostituita dall’esercizio mediante diffida stragiudiziale o secondo il meccanismo regolato dall’art. 1456 c.c. (l’illustre A., con riferimento alla risoluzione ex artt. 1479 e 1480 c.c., a p. 755 s. scrive altresì che «la menzione della richiesta di risoluzione sembrerebbe presupporre l’azione in giudizio. Deve tuttavia escludersi che la formula normativa sia intesa a restringere l’esercizio del rimedio solutorio alla sola forma della domanda giudiziale. […] Quindi il compratore può risolvere il contratto mediante diffida o mediante comunicazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa»). Da ultimo, si veda la revisione critica dell’orientamento tradizionale operata da M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, cit., p. 123 ss. e p. 129 ss. 185 In ordine alla quale v. amplius il par. 1.3 del Capitolo 4. 186 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809, da cui sono tratte le parole fra virgolette. 118 CAPITOLO SECONDO revocarla in un secondo momento, del pari stragiudizialmente o con la domanda giudiziale, e passare all’altra azione». Ma delle due, l’una: o l’atto di esercizio ha natura necessariamente giudiziale, e allora un’eventuale dichiarazione di volontà che non rispetti tale requisito non solo non dà luogo a una scelta irrevocabile, ma non costituisce neppure una “scelta”, giacché è del tutto inidonea a far valere il rimedio; oppure alla manifestazione di volontà stragiudiziale può essere ricollegato l’effetto di “scelta” del relativo mezzo di tutela, che può dirsi effettivamente proposto, con il corollario per cui deve intendersi conseguentemente interrotto il corso della prescrizione187. Poiché la legge espressamente sancisce l’irrevocabilità della scelta «quando è fatta con la domanda giudiziale», dobbiamo dedurre che una valida scelta possa essere operata altresì in via stragiudiziale, solo non dandosi luogo – in tale ipotesi – all’effetto di irrevocabilità. Ma potendosi comunque ritenere espressa, con l’atto del compratore, la volontà di far valere il relativo diritto. E d’altronde, il codice civile conosce nella parte generale del contratto un’ipotesi di “riduzione del corrispettivo” riguardo alla quale la dottrina non pare dubitare della sufficienza di un atto stragiudiziale del compratore al fine del definitivo prodursi della modificazione del contenuto del programma negoziale. Ci riferiamo alla riduzione della controprestazione contemplata dall’art. 1464 c.c. per l’ipotesi in cui la prestazione di una parte sia divenuta parzialmente impossibile e l’altra conservi ciononostante un interesse apprezzabile all’adempimento parziale. La più accreditata lettura di tale fattispecie è, infatti, nel senso di conferire alla parte creditrice della prestazione divenuta parzialmente impossibile una scelta sostanzialmente libera, in quanto rimessa alla valutazione che questa ritiene di operare con riferimento alla permanenza o meno di un interesse all’adempimento188, ancorché necessariamente par187 E, infatti, in questo senso si pronuncia coerentemente lo stesso D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 847, il quale scrive che «se viene chiesta stragiudizialmente solo la riduzione del prezzo, solo per la prescrizione di questa azione comincia a decorrere un nuovo anno da tal momento; ed è vero che poi si può cambiare e chiedere giudizialmente la risoluzione, ma purché ancora non colpita dalla prescrizione, che non era stata interrotta dalla richiesta stragiudiziale di riduzione del prezzo», in quanto domanda diversa. 188 Cfr. Cass. 19 settembre 1975, n. 3066, secondo la quale «l’eventuale equiparazione economica dell’impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione contrattuale alla sua impossibilità totale non è rimessa alla valutazione del giudice di merito, bensì a quella del contraente interessato»; nello stesso senso, Cass. 8 marzo 1960, n. 430, pressoché identicamente massimata. In dottrina v. però S. PAGLIANTINI, voce Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, in Enc. giur. Sole24ore, XIII, Milano, 2007, p. 679, ad avviso del quale il concetto di “apprezzabilità dell’interesse” all’esecuzione parziale equivarrebbe a quello di “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c.; nel senso che la valutazione dell’interesse all’ese- LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 119 ziale. Tale scelta, in particolare, può essere pacificamente esercitata a mezzo di una dichiarazione stragiudiziale del creditore, non essendo affatto necessario introdurre a tal fine una domanda giudiziale189. Se così è, possono con sicurezza dirsi superate le tesi volte ad accreditare la riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela essenzialmente giudiziale sulla base dell’asserita necessità che della determinazione della decurtazione sia investita l’autorità giudiziaria o, comunque, un soggetto terzo. Proprio il fatto che la disposizione generale in tema di impossibilità parziale sopravvenuta nei contratti sinallagmatici consenta di dar luogo alla decurtazione della controprestazione in forza di un atto stragiudiziale non può che confermare l’idea secondo la quale la tutela estimatoria, anche per il nostro codice civile, non postula indefettibilmente il ricorso all’autorità giudiziaria, potendo essere esercitata altresì a mezzo di atti stragiudiziali immediatamente produttivi di effetti. D’altro canto, potrebbe mettersi in dubbio la pertinenza – ai fini cuzione parziale della prestazione debba avvenire in maniera oggettiva – e non soggettiva, come invece ritiene compatta la giurisprudenza – v. anche M. TAMPONI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1798. 189 Cfr. G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. UTET, cit., p. 647 («è prevista, in tale ipotesi, una iniziativa della controparte, cui si attribuisce una facoltà di scelta tra la riduzione della prestazione in proporzione del minor valore della prestazione impossibile, ovvero lo scioglimento del vincolo contrattuale»); A. GENTILI, La risoluzione parziale, cit., p. 35 s.; F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1988, p. 467; F. DELFINI, sub artt. 1463-1464, in ID., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 33; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 1010; in giurisprudenza, v. la chiara massima di Cass. 17 luglio 1987, n. 6299 («il creditore che a norma dell’art. 1464 c.c. in tema di impossibilità parziale della prestazione, accetta la prestazione ridotta, acquista il diritto ad eseguire in misura proporzionalmente ridotta anche la propria controprestazione, senza necessità di ricorrere al giudice, il cui intervento si rende necessario solo se sorge contestazione»), nonché, fra le tante, Cass. 14 marzo 1997, n. 2274 e Cass. 12 luglio 1991, n. 7754. In questo senso v. già A. DALMARTELLO, voce Risoluzione del contratto, in Nov. D., XVI, cit., p. 129 ss., il quale scrive che la fattispecie di cui all’art. 1464 c.c. – contrariamente a quella di cui all’art. 1463 c.c. – non dà luogo ad alcun effetto risolutivo automatico, ma fonda un potere di scelta tra due rimedi alternativi. Peraltro, anche coloro i quali ritengono che – a torto del tenore letterale dell’1464 c.c. (il quale fa riferimento al “diritto” della parte alla riduzione del prezzo) – la riduzione della controprestazione derivante dall’impossibilità parziale abbia luogo in via automatica, limitandosi «la scelta del creditore all’alternativa del recesso» (L. CABELLA PISU, sub art. 1464, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2002, p. 155; nello stesso senso paiono collocarsi C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 403 e R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 688), finiscono per ammettere che «configurare la riduzione del corrispettivo come una riduzione automatica parziale del contratto non toglie che, di fatto, sia necessaria almeno un’iniziativa stragiudiziale della parte creditrice per far valere la riduzione» (così proprio L. CABELLA PISU, sub art. 1464, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 156). 120 CAPITOLO SECONDO della risoluzione della questione che ci occupa – degli argomenti che è lecito trarre dall’art. 1464 c.c. sulla base della considerazione per cui tale disposizione è diretta a disciplinare la fattispecie di impossibilità parziale della prestazione mentre (come noto) è discussa la natura della responsabilità del venditore nelle ipotesi di cui agli artt. 1480, 1484, 1489 e 1492 c.c. sicché – acquisita la dimostrazione del fatto che il nostro codice civile contempla casi in cui la riduzione del prezzo prescinde in toto dal necessario esercizio di una domanda giudiziale a ciò diretta – potrebbe non apparire legittimo operare un diretto “trapianto” delle soluzioni valevoli per l’una nelle altre. Non sembra opportuno, però, sopravvalutare la portata da ascrivere a siffatta considerazione. In primo luogo, può notarsi come – qualora si acceda alla ricostruzione che fonda la garanzia per vizi sull’impossibilità di assumere un impegno obbligatorio in ordine alle qualità della res vendita, giacché in quest’ultima l’assenza di vizi non può dipendere da un comportamento del venditore ma è una caratteristica della cosa in sé, sulla quale l’agire dell’alienante non può avere influenza alcuna190 – la manifestazione del vizio materiale o giuridico dovrebbe essere inquadrata quale ipotesi di inattuazione del contratto derivante da un’impossibilità della prestazione la quale, pur essendo legata a cause che preesistono rispetto alla conclusione del negozio, si palesa soltanto posteriormente a questa, dando luogo a una sorta di conoscenza sopravvenuta dell’impossibilità parziale originaria (e inizialmente ignota alle parti) della prestazione, il cui regime si presta ad essere assimilato a quello dell’impossibilità parziale sopravvenuta191. Ma anche qualora si ritenga, coerentemente con l’opinione ormai prevalente, che le fattispecie di inesatta esecuzione dell’attribuzione patrimoniale da parte del venditore diano luogo a una responsabilità per “inadempimento del contratto” di vendita, derivante all’imperfetta esecuzione del risultato traslativo, non sembra che l’argomento a favore della ricostruzione della riduzione del corrispettivo quale diritto potestativo esercitabile a mezzo di un atto unilaterale stragiudiziale, che abbiamo ritenuto possibile ravvisare nell’art. 1464 c.c., venga in alcun modo infirmato. Invero, deve considerarsi come gli unici indici espliciti che è possibile rintracciare a livello del nostro sistema di diritto contrattuale in relazione alla natura della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il contraente legittimato a provocare la decurtazione della propria presta190 Si vedano gli Autori citati alla nota 186 del Capitolo 1. 191 Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, sub art. 1346, in ID., Dei contratti loja - Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 354. in generale, in Comm. Scia- LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 121 zione, in ragione dell’imperfetta esecuzione di quella della controparte, depongano univocamente nel senso della sussistenza di un diritto potestativo e della sufficienza dell’atto unilaterale stragiudiziale del contraente, sicché darebbe luogo a un’inaccettabile sovvertimento dei canoni ermeneutici avallare la nota tesi secondo cui, data l’origine storica del rimedio, l’esercizio della quanti minoris richiederebbe indefettibilmente la proposizione della domanda giudiziale. Come scritto poc’anzi, la sufficienza dell’atto di esercizio stragiudiziale deve essere dedotta, a contrariis, dall’art. 1492, comma 2 c.c., il quale, nel prescrivere che l’irrevocabilità dell’atto di esercizio di uno dei rimedi edilizi abbia luogo «quando [questo] è fatto con la domanda giudiziale», non può che essere inteso nel senso di ammettere che un efficace esercizio dell’estimatoria possa avvenire altresì al di fuori del processo192. Ma soprattutto, non sembra lecito trascurare il fatto che la fattispecie di riduzione del corrispettivo che presenta maggiori analogie con quelle oggetto del nostro studio e regolata a livello di parte generale del contratto – ovverosia quella che consegue all’impossibilità parziale ex art. 1464 c.c. – è pacificamente interpretata nel senso di non postulare affatto alcuna attività processuale della parte interessata. Sottovalutare tali indici normativi, in favore di uno sterile ossequio alla tradizione che assegna soltanto al giudice il compito di provocare, con sentenza costitutiva, la risoluzione del contratto dovuta alla mancata o inesatta esecuzione della prestazione, escludendo il potere di scioglimento con atto stragiudiziale, e affermare che l’imprescindibilità dell’intervento giudiziale sarebbe giustificata dall’esigenza ineludibile di un accertamento processuale della sussistenza di un vizio e di una quantificazione giudiziale della somma da ridurre – oltre a non tenere conto del fatto che attenta dottrina ha da tempo evocato l’opportunità di rimeditare tale impostazione anche con riferimento alla risoluzione per inadempimento193 – 192 Sul punto v. amplius il Capitolo 4. 193 Da ultimo cfr. M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, cit., p. 41 ss. il quale ritiene possibile «suprare il dogma della natura giudiziale della risoluzione» (p. 2), fondando un sicuro potere sostanziale di risoluzione (p. 47 ss.). Più in generale, la necessità di rimeditare il ruolo centrale tradizionalmente attribuito alla domanda giudiziale nell’impugnativa del contratto per inadempimento e il connesso ruolo meramente ancillare riservato alle fattispecie di risoluzione stragiudiziale è stato avvertito dalla dottrina processualistica (cfr., ad esempio, A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela costitutiva, in Riv. dir. proc., 1991, p. 78 ss.; I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, spec. p. 305 ss.) e non ha mancato di trovare sostenitori anche nella dottrina civilistica (si vedano, infatti, R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, cit., p. 646 ss.; M. DELLACASA - F. ADDIS, Inattuazione e risoluzione: i rimedi, in Tratt. contratto Roppo, V, 2, Milano, 2006, p. 171 ss.; G. DE NOVA (a cura di), Recesso e risoluzione nei contratti, Milano, 1994). 122 CAPITOLO SECONDO postula un acritico e supino appiattimento della disciplina della riduzione del corrispettivo su quella dell’altra azione edilizia, a discapito degli unici chiari argomenti che è possibile dedurre dal diritto positivo. Sembra, pertanto, opportuno riconoscere come anche in relazione alla tutela estimatoria concessa al compratore dagli artt. 1480, 1484, 1489 e 1492 c.c. sia preferibile ritenere che – coerentemente, del resto, con la linea evolutiva che verremo via via a rintracciare nel corso della presente indagine a livello del diritto dell’Unione europea e dei diritti nazionali a noi vicini – l’atto di esercizio della quanti minoris possa essere efficacemente affidato alla manifestazione di volontà unilaterale stragiudiziale del compratore, avendo il diritto di ridurre il prezzo natura di diritto potestativo ad esercizio non necessariamente giudiziale. Ciò acclarato, deve precisarsi come la dichiarazione di riduzione del corrispettivo non richieda affatto l’impiego di forme solenni194, potendo questa rivestire qualsiasi forma, purché idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà del consumatore di provocare la decurtazione del corrispettivo pattuito195, salvo ovviamente il caso in cui la riduzione del corrispettivo sia richiesta in relazione a vendite aventi per oggetto il trasferimento di diritti reali su beni immobili196. Né, come meglio avremo 194 Questa è, infatti, l’opinione nettamente prevalente sia con riferimento alla disciplina consumeristica sia in relazione a quella in materia di vendite internazionali di merci: cfr., fra i tanti, G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1047; L. GAROFALO A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 418 ss.; R. OMODEISALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 848 (secondo il quale «occorre ammettere che pure l’esercizio dei rimedi secondari possa avvenire anche tramite una semplice dichiarazione stragiudiziale, a forma libera (e di carattere recettizio), rivolta dal consumatore al venditore»); F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 463 s.; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 29 («The declaration has no requirements as to form. As to its content, it must clearly and unambiguously state that the buyer wishes to reduce the purchase price but need not include the technical term “price reduction”»); M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 294 ss. («Die Erklärung der Minderung ist an keine bestimmte Form gebunden; sie kann sowohl schriftlich als auch mündlich erfolgen»); STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 15; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 3. 195 Non è dubbio che, al riguardo, rileverà pure una manifestazione di volontà espressa per facta concludentia, purché univoca: cfr., per tutti, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441 BGB, cit., p. 311: «die Minderung kann auch konkludent geltend gemacht werden, insbesondere durch das verlangen einer teilweisen Kaufpreisrückzahlung». 196 Nell’eventualità in cui la riduzione del corrispettivo sia esercitata in relazione a un contratto di vendita avente ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale su un bene immobile, invero, la quanti minoris incide direttamente sulla determinazione dell’oggetto di un negozio per il quale la legge prescrive l’adozione della forma scritta (art. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 123 modo di dire nel Capitolo 3, è necessario che tale dichiarazione contenga la determinazione dell’entità della riduzione “richiesta” dal consumatore: nonostante il silenzio serbato sul contenuto della dichiarazione da tutte le disposizioni cui abbiamo rivolto la nostra attenzione non consenta di ravvisare elementi decisivi sul punto, si vedrà come nel senso della sufficienza della mera manifestazione di volersi avvalere del diritto di ridurre il prezzo militi il fatto che questa, ove priva della quantificazione da parte dell’alienante, è integrata dall’applicazione delle regole legali che presiedono a detta determinazione197. 7. La riduzione del prezzo nelle vendite con parti soggettivamente complesse Fra i molti problemi lasciati irrisolti dalla insufficiente regolamentazione che il codice civile, il codice del consumo e la Convenzione di Vienna dedicano alla tutela estimatoria, meritano speciale attenzione quelli che sorgono nell’ipotesi in cui la parte venditrice ovvero la parte acquirente siano soggettivamente complesse198, onde valutare quali particolarità caratterizzino l’esercizio e le conseguenze della riduzione del prezzo in tali ipotesi199. 1350 c.c.). Pertanto, in accordo con quanto la prevalente opinione (v., per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 3. Il contratto, Milano, 2010, p. 736 e – in giurisprudenza – Cass. 7 gennaio 1984, n. 131; Cass. 15 maggio 1998, n. 4906; Cass. 14 novembre 2000, n. 14730; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234) ritiene relativamente ai c.d. atti connessi a negozi solenni, pare opportuno concludere che la manifestazione di volontà del compratore di ridurre il prezzo debba rivestire la foma scritta. 197 Si veda amplius il par. 3 del Capitolo 3. 198 Al contrario, il codice civile tedesco dedica a questa eventualità una specifica previsione (al comma 2 del § 441 nF BGB): «Sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des Verkäufers mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder gegen alle erklärt werden». Tale soluzione, peraltro, è opposta a quella accolta dall’abrogato § 474, comma 1, il quale sanciva la possibilità di esercitare la Minderung anche da parte di ciascuno o nei confronti di ciascuno, senza prevedere la necessità di un esercizio concorde da parte di tutti i soggetti o verso tutti i soggetti componenti la parte plurisoggettiva. Per la Wandlung vigeva, invece, la diversa regola dell’indivisibilità, prevista dal § 467 aF attraverso il rinvio alla generale regola sull’Unteilbarkeit del diritto di recesso contenuta nel § 356 aF BGB. La previsione dell’abrogato § 474 non era rimasta immune da critiche: essa, infatti, da un canto, poneva una distinzione fra riduzione del prezzo e risoluzione non facilmente spiegabile da punto di vista dogmatico, e dall’altro, in applicazione del principio contenuto nel § 356, sanciva (al comma secondo) l’impossibilità di esercitare la Wandlung per tutti gli altri soggetti componenti la parte acquirente laddove uno di essi avesse optato esperito la Minderung, con ciò ponendo un ulteriore fattore di asimmetria fra i due rimedi. 199 Sembra opportuno avvertire come in dottrina si sia scritto che la riduzione del prezzo rientra fra i mezzi di tutela di «dubbia la compatibilità con i contratti plurilaterali» (G. VILLA, Inadempimento e contratto plurilaterale, Milano, 1999, p. 230). Non sembra, invece, 124 CAPITOLO SECONDO La fattispecie in discorso ricorre allorché il trasferimento del diritto di proprietà o di un altro diritto, che costituisce oggetto del contratto di compravendita, avvenga in favore e/o ad opera di più soggetti i quali agiscano congiuntamente, dando vita ad un’unitaria vicenda traslativa200. I limiti della presente indagine non consentono, né richiedono, che il concetto di parte plurisoggettiva sia ulteriormente precisato, essendo sufficiente rimarcare come esso si riferisca in sostanza all’ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale abbia come autori e/o come destinatari una pluralità di soggetti, i quali formano un centro unitario di interessi201. possa essere revocata in dubbio l’applicabilità del mezzo di tutela de quo alle compravendite in cui venditore e/o compratore siano composti da più soggetti, dovendosi soltanto valutare quali conseguenze ciò comporti sulle modalità di esercizio e sul modo di operare del rimedio. Ciò, peraltro, è indirettamente confermato dal fatto che – come si è riferito alla nota precedente – un ordinamento giuridico vicino al nostro dedica al tema un’espressa regolmentazione (cfr. § 441, comma 2 BGB), così attestando l’assenza di ragioni ostative all’esercizio della tutela estimatoria in caso di vendita con parti plurisoggettive. 200 L’oggetto del contratto di compravendita, pertanto, è determinato con riferimento a una o più res considerate in maniera unitaria e non scindibile ancorché in comproprietà fra più soggetti o di proprietà esclusiva di soggetti diversi. Al fine di verificare la ricorrenza della fattispecie in discorso è necessario che si analizzi il regolamento negoziale al fine di verificare se l’oggetto del contratto sia stato considerato come un unicum inscindibile, il quale soltanto nella sua interezza soddisfa l’interesse della controparte, che di norma di obbliga a pagare un unico corrispettivo complessivo, ovvero quale somma di res eventualmente anche separabili senza che ciò faccia venir meno l’utilità della prestazione per l’acquirente. 201 In questa sede, pertanto, ci limitiamo a ricordare come l’opinione maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza sia nel senso che l’agire della parte plurisoggettiva si traduca in una dichiarazione di volontà unitaria, direttamente imputabile alla parte nel suo complesso, e non già ai singoli membri (così, fra gli altri, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit., p. 142, il quale scrive che «la parte (o centro d’interessi) può essere semplice o complessa, secondo che sia composta di una sola, o di più persone che manifestano la volontà, concorrenti tutte insieme a costituire l’atto che ne è la risultante»; A. PALAZZO, voce Comunione, in Dig. disc. priv. - sez. civ., III, Torino, 1988, p. 171; G. OSTI, voce Contratto, in Nov. D., IV, Torino, 1959, p. 473; C. FADDA, Parte generale con speciale riguardo alla teoria del negozio giuridico. Lezioni raccolte da Gonario Are, Napoli, 1909, p. 280 ss.; N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano, I, Milano, 1910, p. 304; Cass. 14 aprile 1999, n. 239, la quale fa riferimento alla «volontà negoziale unitaria» dei contraenti; Cass. 7 luglio 1993, n. 7481, ove si legge che «la promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi – salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all’inadempimento di uno di essi – costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare»), ma non mancano opinioni dissonanti, volte a negare che le dichiarazioni di volontà dei singoli LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 125 Allorché tale fattispecie si verifica, la riduzione del corrispettivo viene a poter essere esercitata da più soggetti e/o contro più soggetti, ciò che solleva il problema della scindibilità o meno dell’esercizio del diritto, in relazione alla possibile coesistenza di interessi diversi in capo a ciascuno di costoro. Invero, anche qualora si riconosca come i soggetti componenti la parte plurisoggettiva siano titolari di un interesse comune al tempo della conclusione del contratto, sembra d’altro canto non potersi escludere «che tale comunione d’interessi sia appunto limitata all’attuazione del rapporto medesimo [e] che possa venir meno allorché l’equilibrio degli interessi, dei rischi e delle previsioni inerenti alla vicenda contrattuale venga alterato o rivoluzionato da avvenimenti»202 che legittimano la caducazione o la modificazione del contenuto del rapporto negoziale. Pertanto, per quanto attiene alla parte acquirente, non sembra peregrino immaginare che – soprattutto in relazione alle fattispecie in cui la tutela estimatoria è alternativa rispetto a quella risolutoria – i singoli soggetti che la compongono possano giungere a divergenti valutazioni in ordine alla sorte dello scambio, sicché deve certamente essere rigettata la frettolosa conclusione che intenda dedurre la necessaria collettività dell’atto di esercizio dell’impugnativa dall’interesse comune all’instaurazione del rapporto203, giacché la rilevanza di tale interesse si esprime e si esaurisce nel momento stesso in cui il rapporto contrattuale è stato instaurato. Il tema, pertanto, evoca la necessità di valutare quale considerazione l’ordinamento conceda a questa possibile eterogeneità degli interessi di membri della parte complessa diano luogo a un unico atto giuridico (si vedano, ad esempio, L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, II, Milano, 1948, p. 25; F. CARRESI, Gli atti plurisoggettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, II, p. 1254, secondo il quale «in ogni caso di alienazione della cosa comune, essendo la proprietà un diritto divisibile, si avranno tanti atti, eventualmente collegati fra loro, quanti sono i condomini, e non già un unico atto con pluralità di soggetti»; S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 60, il quale scrive che «gli atti posti in essere dai membri di una parte complessa integrano la figura che la dottrina definisce come “atto collettivo”, formula la quale non sta ad indicare un atto giuridicamente unico, bensì una pluralità di atti giuridici distinti accomunati dal fatto che essi consistono in approvazioni del medesimo testo; un fascio di dichiarazioni parallele, ciascuna delle quali: a) non è indirizzata dall’autore agli autori delle altre, ma soltanto all’altra parte […]; b) è necessaria per produrre effetti nella sfera giuridica dell’autore (e non per produrre effetti nella sfera giuridica degli altri membri)»). Sul tema della complessità soggettiva della parte negoziale e sulla distinzione fra contratto plurilaterale e contratto con parti soggettivamente complesse v. inoltre i cenni contenuti in T. ASCARELLI, Il contratto plurilaterale, in Saggi giuridici, Milano, 1949, p. 270; G. DE FERRA, Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, Milano, 1967, p. 24; M. DE CRISTOFARO, Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 296 ss.; V. CAREDDA, Le obbligazioni ad attuazione congiunta, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 455 ss. 202 G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, p. 162. 203 Nello stesso senso, G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, cit., p. 162 s. 126 CAPITOLO SECONDO cui sono portatori i compratori che compongono una parte plurisoggettiva qualora costoro non concordino sulla scelta di far valere la quanti minoris. Non sembra, infatti, possa sussistere alcun dubbio circa il fatto che la riduzione del prezzo è validamente ed efficacemente esercitata ove la relativa manifestazione di volontà sia emessa congiuntamente da tutti i coacquirenti, mentre non è affatto chiaro, almeno prima facie, se sia possibile un esercizio frazionato del mezzo di tutela da parte di alcuni soltanto e, ove lo sia, quali conseguenze si produrrebbero sulle situazioni giuridiche di cui sono portatori gli altri componenti della parte plurisoggettiva e la controparte alienante. Con riguardo alle vendite internazionali cui trova applicazione la Convenzione di Vienna del 1980, in dottrina è stata avanzata la tesi secondo cui ciascun singolo coacquirente potrebbe far valere la riduzione del corrispettivo nei confronti della controparte, così vincolando tutti gli altri, in ragione dell’efficacia immediatamente modificativa del rapporto che connota l’esercizio del rimedio204. In altre parole, ogni componente della parte plurisoggettiva sarebbe legittimato ad esercitare la riduzione del corrispettivo per conto di tutti, così disponendo (irreversibilmente) della sfera giuridica di coloro che siano rimasti inerti. Una simile tesi, peraltro, rieccheggia quella che nella nostra esperienza giuridica è stata argomentata in relazione alla legittimazione all’esercizio individuale delle azione di adempimento e di risoluzione sulla base delle regole dettate dagli artt. 1292, 1296 e 1319 c.c.205. 204 Cfr. WILL, sub art. 50, in C.M. BIANCA - M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, cit., p. 374, alla cui tesi presta adesione R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 243 s. Gli AA. citati – i quali chiariscono altresì che, per le medesime ragioni, la dichiarazione dell’unico compratore rivolta a uno dei più venditori produrrebbe effetto nei confronti di tutti i covenditori – giustificano la soluzione in ragione dell’immediato effetto modificativo del contratto attribuito alla dichiarazione di riduzione del prezzo e alle necessità inerenti alle transazioni commerciali internazionali, «che altrimenti andrebbero incontro ad incertezze e ritardi». La stessa De Nictolis, peraltro, limita la portata dell’affermazione ora riferita alle ipotesi in cui la prestazione sia indivisibile, mentre laddove questa sia divisibile ritiene maggiormente «conforme ad equità» ritenere che il singolo compratore sia abilitato a disporre del rapporto contrattuale limitatamente alla propria quota, dando così luogo a una riduzione parziale del prezzo. 205 In argomento, v. D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1968, p. 211; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 450 s.; E. ENRIETTI, Della risoluzione del contratto, in W. D’AVANZO, Delle obbligazioni in generale e dei contratti in generale, in Comm. D’Amelio - Finzi, Firenze, 1948, p. 804. Contra, G. DE FERRA, Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, cit., p. 12 ss., il quale contesta la possibilità di trarre argomenti dall’art. 1296 c.c.; più di recente, G. VILLA, Inadempimento e contratto plurilaterale, cit., p. 166 ss., il quale fa leva sulla regola sancita dall’art. 1453, comma 2 c.c. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 127 Sennonché, l’una e l’altra si espongono a obiezioni di non trascurabile momento. Seguendo le tesi appena riportate, infatti, si perverrebbe ad ascrivere al singolo la legittimazione all’esercizio del diritto di ridurre il corrispettivo per conto di tutti, mentre proprio il richiamo alla disciplina in materia di obbligazioni solidali – e in particolare agli artt. 1300 e 1301 c.c. – pone in luce in maniera evidente «come il singolo […], se può pretendere l’adempimento dell’intera prestazione, non è legittimato a disporre dell’intero credito»206. A ciò si aggiunga che le opinioni cennate finiscono per comprimere in maniera assai pronunciata l’autonomia privata degli altri componenti della parte acquirente, i quali si vedono definitivamente vincolati agli effetti del mezzo di tutela esercitato – eventualmente anche a loro insaputa – da uno soltanto207, così portando un grave vulnus al generale principio di parità di trattamento fra concreditori208. Poiché, come abbiamo avuto modo di verificare nei paragrafi precedenti, la quanti minoris si sostanzia in una forma di disposizione209 del206 Così, esemplarmente, F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974, p. 285 (il corsivo nel testo è nostro). Contra, come accennato alla nota precedente, D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 210 s. e G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., p. 441 ss., il quale ultimo limita il campo di applicazione della propria tesi alle ipotesi in cui sia indivisibile la prestazione e/o la controprestazione. 207 Scriveva persuasivamente che l’idea di consenire a uno soltanto dei componenti della parte plurisoggettiva di vincolare gli altri facendo applicazione del principio di priorità temporale del mezzo di tutela esercitato «ripugna […] a un’elementare esigenza di equità» già E. BETTI, Risoluzione di affitto solidale per licenza di un solo affittuario?, in Temi emiliana, 1924, I, c. 325. 208 Anche questa obiezione è condivisa da F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 285 nota 71. Peraltro, secondo S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, cit., p. 290 ss., la tesi secondo cui la risoluzione per inadempimento, quale atto di disposizione del rapporto, deve essere domandata da tutti i membri della parte complessa non potrebbe essere accolta in quanto, in radice, costoro non sarebbero affatto titolari di un unico debito e di un unico credito, ma di un fascio parallelo di rapporti giuridici direttamente imputabili ai singoli soggetti e non alla “parte plurisoggettiva”. 209 Ai fini che qui interessano, la nozione di atto dispositivo deve essere intesa quale «atto negoziale di autonomia privata, che ha il valore e il significato di un esercizio della facoltà di disposizione relativa a un diritto o in genere a una determinata posizione soggettiva», secondo la nota definizione datane da R. NICOLÒ, sub art. 2901, in ID., Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1953, p. 225 ss. In argomento, cfr. altresì U. NATOLI-L. BIGLIAZZI GERI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (Le azioni surrogatoria e revocatoria), Milano, 1974, p. 70 s.; L. MENGONIF. REALMONTE, voce Disposizione (atto di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189 ss. Nel senso che la quanti minoris non darebbe luogo a una disposizione del rapporto che fa capo alla parte acquirente, cfr. peraltro F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 294 nota 85, il quale però assume tale posizione partendo dall’inesatta premessa secondo cui il mezzo di tutela in discorso inciderebbe soltanto sul debito relativo al prezzo (e non, come abbiamo dimostrato nel corso del presente Capitolo, altresì sul contenuto dell’attribuzione patrimoniale dovuta dal venditore). 128 CAPITOLO SECONDO l’intero rapporto, a mezzo della quale le prestazioni dovute dall’una e dall’altra parte vengono modificate rispetto all’originaria pattuizione, non sembra possa ammettersi un suo esercizio da parte di uno con effetti vincolanti per tutti. Incidentalmente, peraltro, sembra di poter giungere a una conclusione di segno opposto con riferimento alla pretesa all’esatto adempimento, laddove colui che agisce si limita ad esigere, quale componente della parte plurisoggettiva, la rituale esecuzione del programma obbligatorio210: ne consegue che, nell’ipotesi di vendite di beni di consumo e di vendite internazionali di merci cui trova applicazione la Convenzione di Vienna, le pretese volte ad ottenere la regolarizzazione della prestazione possono essere efficacemente azionate anche dal singolo coacquirente. Raggiunta la conferma dell’impraticabilità della via che ascrive a ciascun singolo coacquirente la legittimazione individuale ad esercitare la riduzione del corrispettivo (così come la risoluzione) “per l’intero”, passiamo a sottoporre a scrutinio di ammissibilità la diversa ipotesi relativa alla possibilità di esercitare la tutela estimatoria pro quota, lasciando intatta la facoltà degli altri coacquirenti di far valere un diverso rimedio. A tal proposito, non può sfuggire come consentire a ognuno dei soggetti che compongono la parte acquirente plurisoggettiva di decidere in piena autonomia quale dei mezzi di tutela offertigli dalla legge far valere – anche eventualmente ricorrendo ciascuno a rimedi diversi – possa dare luogo a risultati insostenibili, come accadrebbe qualora un coacquirente esigesse la decurtazione del prezzo e l’altro ottenesse la risoluzione del contratto211. Non a caso, infatti, anteriormente alla riforma del diritto delle obbligazioni del 2002, il § 474 BGB aF212 consentiva bensì che – nell’ipotesi di pluralità di venditori o di compratori – la Minderung fosse esercitata da ciascuno o contro ciascuno, ma precisava che, una volta che uno dei coacquirenti avesse domandato la decurtazione del corrispettivo, la Wandlung doveva ritenersi esclusa per tutti. Tale disposizione, vivacemente criticata in dottrina, attribuiva bensì una legittimazione disgiuntiva all’esercizio pro quota della tutela estimatoria, ma al contempo vi ricollegava una generalizzata efficacia preclusiva della risoluzione, considerata viceversa “indivisibile”. È, peraltro, evidente che una previsione di 210 La pretesa all’esatto adempimento, infatti, non comporta alcuna disposizione del rapporto, ma costituisce soltanto specificazione del generale «diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione» che l’art. 1292 c.c. attribuisce a ciascun creditore in solido. 211 È, infatti, evidente che un’ipotesi di questo tipo darebbe luogo a notevoli inconvenienti per il venditore: cfr. infra nel testo. 212 § 474 aF BGB: «(1) Sind auf der einen oder der anderen Seite Mehrere betheiligt, so kann von jedem und gegen jeden Minderung verlangt werden. (2) Mit der Vollziehung der von einem der Käufer verlangten Minderung ist die Wandelung ausgeschlossen». In argomento, v. STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 474, 12. Aufl., München, 1978, passim. LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 129 tale tenore finiva per imporre a tutti i coacquirenti la riduzione del corrispettivo, in quanto la scelta in tal senso di uno soltanto interdiceva l’accesso alla risoluzione per tutti gli altri: la regola appariva senz’altro minus quam perfecta, tant’è che essa è stata radicalmente abbandonata con la Schuldrechtsmodernisierung. Riportando l’attenzione sul nostro ordinamento, pertanto, a noi pare che gli effetti dispositivi insiti nella riduzione del corrispettivo non siano compatibili con un suo esercizio divisibile, in quanto esso verrebbe a porre sul venditore le conseguenze del venir meno della convergenza di interessi degli acquirenti e della diversità di valutazione in ordine al mezzo di tutela preferito: invero, non sembra corretto ritenere che l’autonomia dei coacquirenti nella scelta del rimedio possa essere spinta sino a consentire la frustrazione dell’interesse del venditore, il quale potrebbe venir posto nella situazione di dover sia rimborsare parzialmente il corrispettivo a taluni sia farsi carico degli effetti della parziale risoluzione invocata da altri. Per tale via, infatti, si giungerebbe all’incoerente risultato di tutelare il possibile diverso interesse dei componenti della parte plurisoggettiva a fronte del manifestarsi del difetto dell’attribuzione patrimoniale scaricandone le conseguenze sulla parte venditrice, la quale di regola non ha, a sua volta, alcun interesse a riacquistare la titolarità della cosa venduta soltanto in parte213. L’incoerenza appena messa in luce può essere evitata soltanto a mezzo dell’individuazione di criteri di prevalenza di un mezzo di tutela sull’altro ovvero affermando la necessità che l’esercizio della riduzione del corrispettivo avvenga da parte di tutti i componenti della parte plurisoggettiva. A nostro avviso, la prima opzione non può trovare accoglimento non soltanto giacché, ove il criterio in parola fosse identificato nella mera priorità di esercizio di uno fra i mezzi di tutela da parte di alcuno dei coacquirenti, si tradurrebbe nella medesima soluzione le cui criticità abbiamo poc’anzi messo in luce, ma altresì in quanto il ricorso a criteri come quelli dettati dagli artt. 1492, comma 2 c.c.214 o 46, comma 1 CISG215 è escluso già per l’assorbente motivo che essi sono volti a tutelare il venditore contro possibili mutamenti d’opinione della controparte e non sembra che tali ragioni di tutela possano essere dilatate sino a pri213 Secondo G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 171 predicare la divisibilità dell’esercizio delle azioni edilizie equivarrebbe a costringere il venditore a vedersi restituire solo la titolarità di una quota della res vendita, cioè a vedersi imporre uno stato di contitolarità con i coacquirenti che optino per la sola riduzione del prezzo. Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 854 nota 166. 214 In argomento cfr. Capitolo 4, par. 1.3. 215 Sul quale v. Capitolo 4, par. 4.2. 130 CAPITOLO SECONDO vare della facoltà di scelta del rimedio i coacquirenti che abbiano tenuto un contegno inerte. Sembra, pertanto, che numerosi indizi depongano nel senso che le vendite con parti soggettivamente complesse richiedano che la volontà di esercitare il diritto alla riduzione del corrispettivo debba essere manifestata da parte di tutti i coacquirenti216. Non è, peraltro, affatto necessario che tale manifestazione abbia luogo contemporaneamente da parte di tutti i compratori o nei confronti di tutti i venditori, né che sia contenuta in un’unica dichiarazione, ma – traducendosi in un atto complesso eguale – la produzione degli effetti della riduzione avverrà soltanto allorché (ai sensi dell’art. 1334 c.c.217) l’ultima manifestazione di volontà giunga «a conoscenza» della parte venditrice218. L’inammissibilità della legittimazione disgiuntiva all’esercizio della riduzione del corrispettivo trova, d’altra parte, un argomento ulteriore nella natura di diritto potestativo che crediamo caratterizzi il mezzo di tutela in discorso, giacché comunemente si ritiene che l’atto di esercizio di diritti potestativi sia indivisibile. In questo senso, non a caso, si esprime l’unanime dottrina germanica in relazione al § 441 nF BGB219, il quale dispone che «sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des 216 In questo senso, nella nostra dottrina, si esprime D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 854, il quale scrive che «se vi sono più compratori congiuntamente, o più eredi di un unico compratore, la scelta fra redibitoria e quanti minoris è indivisibile: non potrebbe qualcuno far valere la prima e qualche altro la seconda; ciò anche se la cosa, acquistata in comune, sia stata poi materialmente divisa fra i vari compratori prima dell’esercizio della garanzia». Della stessa opinione è G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 171. È, peraltro, meritevole di segnalazione il fatto che lo stesso Rubino altrove (D. RUBINO, sub art. 1296, in ID., Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 211) ammetta, in generale, l’esercizio individuale dell’azione di risoluzione dell’intero contratto. Nel senso che «ciascun componente la parte complessa sia legittimato a proporre l’azione redibitoria o a chiedere la riduzione del prezzo» si pronuncia anche G. DE FERRA, Sulla contitolarità del rapporto obbligatorio, cit., p. 126. 217 Nel caso di vendite di merci cui trova applicazione la Convenzione di Vienna del 1980, il termine di rilevanza della dichiarazione è segnato dall’art. 27 CISG, che opta per il principio della trasmissione. Cfr. amplius Capitolo 4, par. 4.2 e bibliografia ivi citata. 218 Da questo detto consegue linearmente che la manifestazione di volontà di uno soltanto dei compratori non è idonea a interrompere il corso della prescrizione, sicché, ove l’ultima dichiarazione pervenga a conoscenza del venditore posteriormente al compiersi della prescrizione, questa si compirà riguardo a tutti. Sembra, invece, che la denunzia del difetto – ove necessaria – possa essere efficacemente posta in essere da ciascuno dei coacquirenti, con effetti per tutti. 219 In proposito cfr. altresì BT-Drucks 14/6040, p. 235: «Auf Grund der Ausgestaltung der Minderung als Gestaltungsrecht kann die Vorschrift des bisherigen § 474 nicht beibehalten werden. Vielmehr ist – wie in § 351 RE (bisher § 356) für den Rücktritt – eine Unteilbarkeit der Minderung vorzusehen. Bei der Beteiligung Mehrerer soll die Minderung deshalb nicht auf Einzelne beschränkt werden; sie kann nur einheitlich erklärt werden». LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 131 Verkäufers mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder gegen alle erklärt werden»220. Argomenti in senso contrario, a nostro avviso, non sono deducibili dall’art. 1507 c.c. che, in ipotesi di vendita congiuntiva di una cosa indivisa cui acceda un patto di riscatto, consente a ciascun covenditore di esercitare «il diritto di riscatto sopra la quota che [gli] spettava» e attribuisce al compratore il diritto di rifiutare il riscatto parziale. Parte della dottrina ha ritenuto di dedurre da tale disposizione che «la parte complessa non può essere considerata, nei rapporti esterni, come un unum e che, pertanto, si debba ammettere non solo la possibilità di impugnare l’intero contratto da parte di tutti i partecipanti, ma altresì riconoscere a ciascuno di essi il potere di impugnare il contratto viziato per quanto concerne la sua quota, senza e pure contro il parere degli altri partecipanti»221. Invero, da tempo la più attenta dottrina ha messo in luce come il c.d. potere di riscatto convenzionale non si traduca affatto – contrariamente alla risoluzione e alla riduzione del corrispettivo – in un atto dispositivo (avente effetti modificativi o estintivi) del diritto comune ai più covenditori222, ma si sostanzi in un diritto potestativo di “riappropriazione” del diritto alienato223 il quale, «pur trovando il suo presupposto nell’atto di vendita […], deve essere considerato autonomamente»224. Proprio per questo motivo la legge ascrive ai covenditori non un unico diritto di riscatto da esercitarsi in via congiuntiva per la totalità della cosa, ma tanti distinti diritti quanti sono i componenti la parte alienante225, con220 La dottrina tedesca riconduce alla natura giuridica di diritto potestativo – attribuita alla Minderung dalla riforma dello Schuldrecht del 2002 – la previsione dell’indivisibilità attiva e passiva dell’esercizio del rimedio sancita dal citato § 441, comma 2, nF BGB. Cfr., per tutti, A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, in Staudingers Kommentar zum BGB, cit., Rn. 6, la quale precisa altresì che non rileva, ai fini della disposizione de quibus, la divisibilità o meno dell’oggetto della vendita, e MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441, cit., Rn. 6, il quale scrive che «die Beteiligung mehrerer Personen auf Verkäuferseite ist unter dem Gesichtspunkt der Minderung als Gestaltungsakt in erster Linie vom Prinzip der Einheitlichkeit der Gestaltungswirkung geprägt». 221 Il virgolettato è tratto da G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, p. 170 s. (corsivi originali). 222 Vigoroso avversario della tesi in discorso è F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 282, nota 63, il quale appunto mette in risalto le profonde differenze correnti fra gli atti dispositivi del rapporto con parti plurisoggettive e l’ipotesi regolata dall’art. 1507 c.c., dalla quale, pertanto, ritiene impossibile trarre indicazioni utili per ricostruire la disciplina dei primi. 223 In questo senso v. A. LUMINOSO, sub art. 1500, in ID., La vendita con riscatto, in Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 95 ss., 106 ss. e 172 ss. 224 Così, esattamente, U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni, III, Milano, 1963, p. 72 s. 225 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1507, in ID., La vendita con riscatto, in Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 448. 132 CAPITOLO SECONDO temperando l’interesse di costoro e quello dell’acquirente a non vedersi convertire l’oggetto dell’acquisto dall’intera res a una quota soltanto concedendo a quest’ultimo il potere di rifiutare riscatto parziale226. Piuttosto, un’ulteriore conferma della correttezza della conclusione cui siamo giunti poc’anzi in ordine alla necessità dell’esercizio collettivo degli atti che (come quelli diretti a provocare la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto) sono volti a disporre degli effetti del negozio può ritrovarsi – come suggerito da una nota ricerca227 – negli artt. 1726 e 1772 c.c., in forza dei quali rispettivamente è dichiarata priva di effetto la revoca del mandato che non provenga da tutti i mandanti ed è devoluta all’autorità giudiziaria la decisione in ordine alle modalità di restituzione della cosa depositata qualora i più depositanti non raggiungano un accordo sul punto. Poiché la revoca del mandato e la richiesta di restituzione delle cose date in deposito si atteggiano quali atti di recesso228, le cennate disposizioni possono essere considerate espressione di un generale principio di necessaria collettività degli atti di disposizione dei rapporti contrattuali facenti capo a parti plurisoggettive229. L’indivisibilità della riduzione del corrispettivo si riflette, com’è ovvio, sul profilo relativo alla titolarità del rimedio. Infatti, in ragione della legittimazione congiuntiva che lo caratterizza, l’accesso alla tutela estima226 In tal senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 1070; A. LUMINOSO, sub art. 1500, in ID., La vendita con riscatto, in Comm. Schlesinger, cit., p. 449 s. 227 F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 221 ss. 228 In relazione alla revoca del mandato, la natura di recesso unilaterale è affermata, fra gli altri, da R. CALVO, Il mandato, in P. SIRENA, I contratti di collaborazione, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2011, p. 246; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1984, p. 453 s.; M. GRAZIADEI, voce Mandato, in Dig. disc. priv. - sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 180; G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. Vassalli, Torino, 1952, p. 182 s.; in giurisprudenza, cfr. Cass. 11 agosto 2000, n. 10739; sulla richiesta di restituzione delle cose depositate cfr. A. DE MARTINI, voce Deposito (diritto civile), in Nov. D., V, Torino, 1960, p. 515; F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 222. 229 In tal senso si esprime F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit., p. 223, il quale scrive: «Posto, dunque, che le norme in esame riguardino altrettante ipotesi di recesso, è agevole constatare come il problema a cui dà luogo la sussistenza di una pluralità di mandanti ovvero di deponenti venga risolto in modo, per così dire, parallelo. Dette norme prevedono, cioè, una soluzione generale uniforme, che consiste in un esercizio collettivo del recesso». Tale soluzione generale si giustifica quale riflesso del carattere strutturale del rapporto. Lo stesso Busnelli precisa altresì che la possibiità di revoca individuale del mandato nelle ipotesi di giusta causa e la competenza dell’autorità giudiziaria per il caso di mancato accordo fra i depositanti costituiscono “soluzioni sussidiarie” la cui giustificazione riposa in «certi caratteri peculiari dei rapporti in questione: nel mandato, è la natura fiduciaria […] ad esigere una particolare tutela del singolo co-mandante che abbia perduto, per “giusta causa”, la fiducia nel mandatario, anche se a costui non sia venuta meno quella degli altri; per il deposito a tempo indeterminato, occorre impedire che il mancato accordo dei co-deponenti rischi di protrarre all’infinito la durata del rapporto». LA FUNZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO 133 toria è possibile soltanto qualora le condizioni per il suo esercizio si verifichino per tutti i componenti della parte acquirente plurisoggettiva: pertanto, allorché la possibilità di esperire il rimedio si verifichi per uno soltanto dei coacquirenti ovvero venga meno anche per uno soltanto di essi (ad esempio, in quanto uno o più di costoro vi abbia rinunziato) la possibilità di avvalersi della riduzione del prezzo – e, allo stesso modo, della risoluzione del contratto – deve ritenersi preclusa riguardo a tutti230. A seguito dell’esercizio congiuntivo della riduzione del corrispettivo, qualora il prezzo sia già stato pagato in misura superiore all’ammontare risultante dalla decurtazione, sorge in capo alla parte venditrice un obbligo restitutorio231 che, in applicazione dei principi generali ricavabili dall’art. 1294 c.c., ha natura parziaria dal lato attivo232 e solidale dal lato passivo233, sicché ciascun coacquirente può pretendere soltanto il pagamento della quota parte della riduzione corrispondente alla frazione di prezzo da lui originariamente pagata, mentre – qualora anche la parte venditrice sia composta da più soggetti, i quali congiuntamente abbiano operato l’attribuzione patrimoniale oggetto della vendita – ogni covenditore è tenuto a corrispondere l’intera somma risultante dalla riduzione, in quanto l’impegno traslativo è stato assunto dalla parte in maniera unitaria. A quest’ultimo proposito, posta la generale regola della solidarietà dal lato passivo, la quale solitamente porta con sé il diritto di regresso nei confronti dei condebitori, non è però senza importanza valutare se il difetto dell’attribuzione patrimoniale concretamente fatto valere dalla parte acquirente sia causalmente ricollegabile a tutti i componenti della parte venditrice ovvero a uno soltanto fra essi: non sembra, invero, che possano essere parificate le diverse ipotesi in cui, ad esempio, la res vendita riveli un difetto materiale che la investa nel suo complesso – e in cui, perciò, il difetto sia causalmente imputabile a tutti – e quella in cui la parziale alienità della cosa sia dovuta al fatto che uno soltanto dei più co230 Una regola di tenore assimilabile vige nell’ordinamento tedesco con riferimento al Rücktritt, in relazione al quale il § 351 BGB prevede espressamente: «erlischt das Rücktrittsrecht für einen der Berechtigen, so erlischt es auch für die übrigen». Nel senso che, nonostante l’assenza di un’espressa disposizione in tal senso, altrettanto valga per la Minderung, trattandosi nell’uno e nell’altro caso di dichiarazioni di esercizio di diritti potestativi, v. MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441, cit., Rn. 6. 231 In argomento, v. Capitolo 3, par. 8. 232 Ne consegue che, come anticipato poc’anzi, gli atti interruttivi della prescrizione eventualmente posti in essere da uno dei coacquirenti non giovano agli altri, non trovando applicazione la regola di cui all’art. 1310 c.c.: cfr., infatti, Cass. 30 novembre 1962, n. 3239, la quale afferma che il credito alla restituzione della parte di prezzo pagata in eccedenza «si divide fra i più compratori della cosa». 233 Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 855. 134 CAPITOLO SECONDO venditori era parzialmente proprietario (ovvero aveva costituito una servitù) del diritto trasferito. Con riferimento a tali ipotesi, sembra corretto ritenere che, ferma la solidarietà fra i componenti la parte venditrice nei confronti dei coacquirenti, l’imputabilità del difetto a uno soltanto possa risolversi nei rapporti interni fra i condebitori solidali, in applicazione analogica del criterio di ripartizione in ragione dell’incidenza della responsabilità di ciascuno nella produzione del difetto dell’attribuzione patrimoniale234, sicché qualora tale difformità sia riconducibile in toto a uno soltanto dei covenditori, colui che abbia pagato l’intero potrà esercitare il regresso per l’intero ammontare della riduzione del corrispettivo nei confronti di costui. Non sembra, infatti, che la riconducibilità del difetto all’“apporto” di uno soltanto dei covenditori consenta di porre in secondo piano il fatto che la parte alienante è una soltanto, così che la stessa responsabilità per vizi è ad essa direttamente riferibile235. Ne consegue che, laddove il difetto dell’attribuzione patrimoniale sia riconducibile alla prestazione traslativa di uno fra più covenditori, la riduzione del corrispettivo deve essere esercitata esercitata nei confronti di tutti236, i quali assumeranno in via solidale l’obbligazione restitutoria avente ad oggetto la parte di prezzo pagata in più, ma il peso economico della stessa ricadrà interamente su colui alla cui prestazione sia riconducibile il vizio. 234 Il criterio in discorso è positivamente sancito dall’art. 2055 c.c. che, da un canto, dichiara la solidarietà fra coloro cui è imputabile il fatto dannoso e, dall’altro, consente il regresso «nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate». Tale disposizione è dettata in relazione all’ipotesi di illecito aquiliano e trova applicazione allorché si verifichi «un unico evento dannoso» conseguente alla condotta (anche indipendente) di più soggetti (cfr. F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974, p. 143 s.). Essa è, però, ritenuta espressiva di un più ampio principio in forza del quale «se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento […], che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo» (Cass. 9 novembre 2006, n. 23918 e Cass. 15 giugno 1999, n. 5946). Peraltro, nell’ipotesi trattata nel testo, il principio in parola è invocabile soltanto in via analogica giacché la fattispecie fondante la responsabilità è imputabile non già a più autonomi centri d’interesse, ma a uno solo, composto di più soggetti, come accade nell’ipotesi di cui all’art. 1298 c.c., ove però si suppone che la fonte dell’obbligo abbia natura volontaria, come dimostra il fatto che l’eccezione alla divisione fra tutti i diversi debitori è individuata nel fatto che l’obbligazione «sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi». 235 Nel medesimo senso, peraltro, militano anche considerazioni meramente pratiche, giacché sarebbe senz’altro irragionevole pretendere che, al manifestarsi di un difetto, il compratore proceda alla valutazione della riconducibilità dello stesso al contributo dell’uno o dell’altro covenditore alla complessiva attribuzione patrimoniale operata a mezzo del contratto di vendita. 236 Anche in questo caso, nello stesso senso depone il § 441 nF BGB, a mente del quale l’estimatoria va esercitata nei confronti di tutti i componenti la parte plurisoggettiva. CAPITOLO TERZO LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE DEL PREZZO E LE CONSEGUENZE DERIVANTI DALL’ESERCIZIO DEL RELATIVO DIRITTO SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del prezzo. – 2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione. – 2.2. I metodi di calcolo “assoluti”. – 2.3. I metodi di calcolo “relativi” o “proporzionali”. – 2.4. La riduzione del prezzo secondo equità. – 3. La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali”. – 4. L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della quantificazione della riduzione del corrispettivo. – 5. Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi anche a causa di un comportamento colposo del compratore. – 5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore. – 6. Riduzione del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale. – 7. La riduzione del corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato. – 7.1. L’eccezione di inadempimento. – 7.2. La clausola solve et repete. – 7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto all’importo del prezzo risultante dalla riduzione. – 8. La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione. – 9. Gli obblighi restitutori aggiuntivi. 1. Premessa Uno dei più evidenti segni della scarsa attenzione riservata dalla dottrina all’istituto cui è dedicato il presente lavoro, nonché dell’ancora circoscritta applicazione pratica del medesimo, è senz’altro costituito dal mancato approfondimento delle problematiche sottese all’individuazione del quantum di corrispettivo da ridurre1 in conseguenza della difettosità della prestazione traslativa del venditore, segnatamente con riferimento al 1 La «scarsa attenzione della dottrina» per il profilo della quantificazione della riduzione è messa in risalto anche da A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 253, il quale nota come l’insufficiente considerazione di questo profilo possa riscontrarsi «anche nelle trattazioni dedicate all’impossibilità sopravvenuta, di cui la riduzione è elemento essenziale e caratteristico, [forse a causa dell’erroneo convincimento] che si tratti di un problema legato alla casistica e risolubile secondo criteri pratici connessi al mercato ed al singolo contratto». 136 CAPITOLO TERZO metodo di calcolo cui tale individuazione deve essere ancorata, alla rilevanza delle modalità di determinazione del valore del bene, al momento temporale da considerare a questi fini e alle ulteriori variabili che possono influenzare l’esatta quantificazione della somma oggetto di riduzione. Proprio questi aspetti, invece, avrebbero dovuto sollecitare la riflessione degli interpreti, giacché su di essi il dettato normativo vigente nel nostro ordinamento (e, invero, in molti ordinamenti europei2) è – come già si è ricordato nell’Introduzione – pressoché silente: «adeguata» o «congrua»3 deve essere, secondo l’art. 3 della dir. 1999/44/CE4 e l’art. 130 c.cons., la riduzione del prezzo spettante al consumatore cui sia stata consegnata una cosa rivelatasi non conforme al contratto di vendita; ad una riduzione del prezzo tout court, poi, fa riferimento il nostro codice civile5, senza fornire al riguardo indicazione alcuna circa le modalità at2 Come si dirà amplius nel prosieguo del presente Capitolo, i codici francese (art. 1644 c.c.f., nel testo vigente sino al 18 febbraio 2015) e spagnolo (art. 1486 c.c.s.) prevedono che il quantum della diminuzione del prezzo debba essere determinato da parte di “esperti” o “periti”, senza fornire indicazioni in ordine alle regole cui costoro debbono attenersi nello svolgimento del relativo incarico. Da tale quadro di scarsa determinatezza delle regole che presiedono a questo aspetto della riduzione del prezzo si distacca l’ordinamento tedesco, giacché sia il § 472 aF BGB sia l’attuale § 441 nF BGB hanno provveduto a dettare un’esauriente disciplina, imperniata sul c.d. metodo relativo. In argomento si veda infra nel testo. 3 Secondo le versioni in lingua inglese e tedesca, il consumatore ha diritto a una «appropriate reduction of price» ovvero a una «angemessene Minderung». Parimenti, i testi francese, spagnolo e portoghese fanno riferimento rispettivamente a «une réduction adéquate du prix», a «una reducción adecuada del precio» e a «uma redução adequada do preço». Sembra, pertanto, possibile concludere che il legislatore europeo, contrariamente alla LUVI e alla CISG, non abbia esplicitamente dettato un vero e proprio metodo di calcolo della riduzione del corrispettivo, limitandosi ad evocare la necessità che la medesima sia “adeguata” rispetto al difetto di conformità esistente, tanto che si è ritenuto (così A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, Cizur Menor, 2012, p. 136) che «la Directiva sobre bienes de consumo […] no ofrece criterios sobre cómo operar la reducción del precio». Peraltro, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo del presente Capitolo, se può convenirsi circa il fatto che la direttiva non contenga la formulazione di una precisa metodologia di computo della diminuzione del corrispettivo, il riferimento espresso alla necessità che questa sia connotata dal requisito dell’«adeguatezza», unito alla considerazione della finalità del rimedio, consente di pervenire comunque alla sua individuazione. 4 Nella propria opera di trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno, anche sotto questo aspetto, il legislatore italiano è stato fedele al più rigoroso copy-out, addirittura riproducendo la duplice qualificazione che compare nella versione in lingua italiana del testo comunitario (commi 2 e 5 dell’art. 3 della dir. 1999/44/CE), puntualmente ripetuta nei commi 2 e 7 dell’art. 130 c.cons., ove dapprima si fa riferimento alla «adeguatezza» della riduzione, per poi virare sulla caratterizzazione nel senso della sua «congruità». Non sembra che ciò abbia alcuna conseguenza sul tema che ci occupa, rimanendo quale mera testimonianza della scarsa cura riposta nell’opera di recepimento dal nostro legislatore. 5 Si vedano infatti gli artt. 1480 c.c. («Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 137 traverso cui questa dovrebbe avvenire ovvero i parametri ai quali dovrebbe essere ancorata. Soltanto la disciplina di diritto uniforme indivdua, all’art. 50 CISG, una precisa metodologia di computo. Nelle pagine che seguono, pertanto, si tenterà di dare un contributo alla riflessione sul tema, delineando, anche attraverso l’impiego di raffronti comparatistici e il riferimento all’esegesi e all’applicazione di testi normativi riguardo ai quali esiste una significativa riflessione (quali, in particolare, il BGB, il SoGA 1979, la LUVI e la CISG), i possibili modelli di calcolo della diminuzione del corrispettivo e individuando quello preferibile, in ragione della natura e della funzione del rimedio, identificate nel Capitolo precedente. 2. I modelli di calcolo della quantificazione della riduzione del prezzo L’osservazione delle esperienze giuridiche dei Paesi europei e dei testi di diritto sovranazionale consegna all’interprete un caleidoscopio di soluzioni diverse in merito alla metodologia di calcolo della riduzione del prezzo derivante da vizi materiali o giuridici del bene compravenduto. Già Ernst Rabel, nella sua opera dedicata alla compravendita, era giunto alla conclusione che almeno tre modelli di diminuzione del corrispettivo potessero dirsi storicamente affermati6, ma assai più esteso è il novero di possibili soluzioni alternative, le quali possono ulteriormente articolarsi in ragione del tempo e del luogo assunti quali punti di riferimento per il calcolo. Sembra, pertanto, opportuno passare in rassegna tutte le metodologie di determinazione dell’adattamento del prezzo astrattamente configurabili, al fine di verificare quale (o quali) di esse conducano alla realizzazione del riequilibrio sinallagmatico del contratto alteradel contratto e il risarcimento del danno a norma dell’articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno»), 1489 c.c. («Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480») e 1492 c.c. («Nei casi indicati dall’art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione»). 6 Cfr. E. RABEL, Das Recht des Warenkaufs, II, Berlin-Tübingen, 1958, p. 232, secondo il quale due di questi sarebbero riconducibili al c.d. metodo assoluto e uno al c.d. metodo relativo. Il primo tipo di metodo assoluto consiste nella riduzione del prezzo nella misura corrispondente alla differenza fra valore ipotetico e valore reale del bene in conseguenza dei vizi; il secondo, invece, decurta il corrispettivo pattuito sino a raggiungere l’importo del valore reale del bene. Il metodo relativo, infine, comporta la riduzione del prezzo in misura proporzionale al rapporto fra valore vero del bene e valore di questo in assenza di difetti. 138 CAPITOLO TERZO tosi in ragione della difettosa attuazione della prestazione del venditore, che abbiamo visto essere la funzione propria dell’azione estimatoria7. In primo luogo, l’incidenza della riduzione sul prezzo originario può essere desunta dalle spese e dai costi che il compratore ha sopportato o dovrà sopportare per la regolarizzazione (qualitativa o quantitativa) della prestazione difettosa eseguita dal venditore (metodo A)8. In secondo luogo, è possibile determinare l’ammontare della diminuzione del prezzo sottraendo al valore obiettivo al tempo della consegna del bene esente da vizi quello effettivo del bene non conforme (metodo B), come prescritto dalla Section 53 (3) del SoGA 19799, laddove però la formula di calcolo è applicata al fine della determinazione della misura del risarcimento del danno, giacché il diritto inglese non conosce – salvo per quanto attiene ai provvedimenti di recepimento della direttiva 1999/44/CE10 – l’azione quanti minoris. Qualora si dia rilevanza non al tempo della consegna, ma a quello della conclusione del contratto, si darebbe luogo a una diversa specie di metodo “assoluto” (che chiameremo metodo C), nel quale la riduzione del corrispettivo è data dalla differenza fra tale valore teorico iniziale e il reale valore dei beni trasferiti. 7 In proposito, si rinvia a quanto esposto 8 L’applicazione di questo criterio – che, nel Capitolo 2. come si avrà modo di illustrare infra, è assai diffuso nella giurisprudenza spagnola – si sta facendo strada in numerose pronunce della nostra magistratura quale, ad esempio, Trib. Torino 6 marzo 2009, n. 1778, in Resp. civ. UTET, 2010, p. 491 s. (con nota di R. OMODEI SALÉ, Responsabilità del venditore per difetto di conformità e tutela del medesimo in seguito all’esercizio dei rimedi spettanti al consumatore, ivi, p. 493 ss.), riguardante una controversia fra un professionista e un consumatore, decisa con la riduzione del prezzo dell’automezzo oggetto di causa in misura pari al costo delle opere necessarie per eliminare i difetti di conformità in esso riscontrati. Interrelazioni fra riduzione del corrispettivo e spese necessarie al ripristino del bene viziato sembrano ravvisabili anche, da ultimo, in Cass. 8 luglio 2014, n. 15563, resa in tema di appalto. 9 Il testo della Section 53 del SoGA 1979 è il seguente: «Remedy for breach of warranty. (1) Where there is a breach of warranty by the seller, or where the buyer elects (or is compelled) to treat any breach of a condition on the part of the seller as a breach of warranty, the buyer is not by reason only of such breach of warranty entitled to reject the goods; but he may: (a) set up against the seller the breach of warranty in diminution or extinction of the price, or (b) maintain an action against the seller for damages for the breach of warranty. (2) The measure of damages for breach of warranty is the estimated loss directly and naturally resulting, in the ordinary course of events, from the breach of warranty. (3) In the case of breach of warranty of quality such loss is prima facie the difference between the value of the goods at the time of delivery to the buyer and the value they would have had if they had fulfilled the warranty. (4) The fact that the buyer has set up the breach of warranty in diminution or extinction of the price does not prevent him from maintaining an action for the same breach of warranty if he has suffered further damage. This section does non apply to a contract to which Chapter 2 of Part 1 of the Consumer Rights Act 2015 applies». 10 Cfr. la Section 48C SoGA, di attuazione della dir. 1999/44/CE nell’ordinamento britannico e, oggi, la Section 24 del Consumer Rights Act 2015. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 139 Poiché il rimedio de quo è naturalmente finalizzato a ricreare quell’equilibrio fra le prestazioni del venditore e del consumatore che è stato perturbato dalla presenza del difetto, il quale ha reso non più “adeguato” il prezzo inizialmente convenuto, potrebbe altresì essere affacciata l’ipotesi di calcolo (metodo D) della diminuzione del corrispettivo articolata nella sottrazione del valore dei beni non conformi dal prezzo iniziale pattuito fra le parti11. Peraltro, le formule di calcolo accolte a livello legislativo nei pochi provvedimenti che hanno affrontato tale fondamentale aspetto sono di tipo proporzionale, e non assoluto, stabilendosi nell’art. 50 CISG che «il compratore può ridurre il prezzo proporzionalmente alla differenza tra il valore che i beni effettivamente consegnati avevano al momento della consegna ed il valore che beni conformi avrebbero avuto in tale momento» (metodo E) mentre nel precedente art. 46 LUVI si statuiva che «l’acquirente può ridurre il prezzo in proporzione al valore che la cosa possedeva al momento della conclusione del contratto e a quello che essa possiede a causa della mancanza di conformità» (metodo F). Applicando sempre una metodologia proporzionale è, inoltre, possibile immaginare che la riduzione del corrispettivo che il compratore è chiamato a corrispondere al venditore il quale abbia alienato beni non conformi sia calcolata in ragione dell’incidenza percentuale della perdita di valore dei beni trasferiti sul prezzo pattuito (metodo G). Infine, è astrattamente possibile che l’abbattimento del prezzo dovuto venga rimesso a una valutazione equitativa del giudice (metodo H), così come si prevede all’art. 1226 c.c. per la liquidazione del danno allorché non sia possibile provarne l’esatto ammontare. Non costituisce, invece, un metodo di determinazione del quantum della diminuzione del corrispettivo la rimessione del medesimo al giudizio di periti o esperti, come si prevede nel codice civile spagnolo (art. 1486 c.c.s.) e come prevedeva l’art. 1644 del Code Napoléon fino alla recentissima riformulazione, avvenuta con legge n. 2015-177 del 16 febbraio 2015, giacché tale rinvio non risolve il problema della modalità di computo da adottare12, tali soggetti dovendo a loro volta ricorrere a un 11 Una simile operazione, va ricordato, non è sconosciuta all’esperienza storica in quanto era prescritta nelle fonti romane riferentisi all’azione estimatoria originariamente concessa dagli edili curuli: si vedano, infatti, D. 21, 1, 31, 16 e D. 21, 2, 32, 1. Sul punto si rinvia alla trattazione contenuta nel Capitolo 1, par. 2, nonché a H. HONSELL, Quod interest im Bonae-Fidei-Iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München, 1969, p. 73 ss. e 86 ss. e U. VON LÜBTOW, Zur Frage der Sachmängelhaftung im römischen Recht, in Studi in onore di Ugo Enrico Paoli, Firenze, 1956, p. 494. 12 Invero, il codice spagnolo prevede sì il deferimento delle operazioni di determinazione a un “perito”, ma statuisce anche che tale determinazione deve realizzare una diminu- 140 CAPITOLO TERZO formula di calcolo che sorregga e consenta di giustificare giuridicamente e tecnicamente il loro responso. 2.1. Il parametro delle spese di “ripristino” della conformità della prestazione Poiché la riduzione del prezzo costituisce un mezzo di tutela posto nella disponibilità del compratore quale strumento di reazione alla scorretta esecuzione del contratto di compravendita, non sembra peregrino immaginare che essa possa essere calcolata facendo riferimento alla somma di denaro necessaria al fine di ottenere la regolarizzazione della prestazione. Ciò, in particolare, qualora il bene oggetto del contratto riveli la presenza di vizi qualitativi – da intendersi tanto come vizi in senso stretto ex art. 1490 c.c., quanto come mancanze di qualità ai sensi dell’art. 1497 c.c. e come difetti di conformità nella nozione accolta dalla direttiva 1999/44/CE e dalla CISG – dovrebbe avvenire attraverso la diminuzione del prezzo pattuito nella misura necessaria al fine di riparare la res, mentre nell’ipotesi in cui il difetto abbia natura quantitativa la riduzione del corrispettivo dovrebbe essere operata nella quantità corrispondente alla somma di denaro che il compratore dovrà impiegare onde ottenere sul mercato l’acquisto della quantità di beni mancante. Qualora, infine, l’irregolarità dell’esecuzione del contratto sia relativa alle caratteristiche giuridiche dell’oggetto dello stesso, il quale si sia rivelato parzialmente altrui (art. 1480 c.c.), sia stato oggetto di evizione parimenti parziale (art. 1483 c.c.) ovvero sia gravato da oneri o diritti di godimento di terzi (art. 1489 c.c.), la riduzione del prezzo dovrà garantire al compratore la decurtazione del prezzo pattuito in ragione della somma necessaria al fine di consentire l’acquisto dal terzo della “parte di diritto non trasferita” ovvero allo scopo di evitare l’evizione parziale o di eliminare gli oneri e i diritti di godimento gravanti sulla cosa. Un simile modo di intendere la riduzione del corrispettivo non soltanto è astrattamente configurabile, ma a ben vedere ha trovato più di un riscontro nell’applicazione pratica, particolarmente con riferimento alla disciplina dei difetti qualitativi. Se la giurisprudenza di legittimità ha per lungo tempo tenuto ben distinte riduzione del corrispettivo, da un lato, e somme necessarie alla zione “proporzionale” del prezzo. Pertanto, da un canto, si conferma come la rimessione ad esperti non costituisca un criterio autonomo e, dall’altro, il legislatore spagnolo specifica un parametro di riferimento ulteriore rispetto al puro riferimento alla “riduzione” operato da quelli francese e italiano. Sulla vincolatività o meno della determinazione operata dai consulenti tecnici negli ordinamenti francese e, soprattutto, spagnolo cfr. A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 166 ss. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 141 regolarizzazione della prestazione, dall’altro13, una sempre più frequente parametrazione della prima sulla base dell’importo delle seconde si è fatta strada in quella di merito. Esemplare in tal senso è la decisione resa dal Tribunale di Torino il 6 marzo 200914 con riferimento ad una fattispecie in cui l’acquirente di un’automezzo, dopo aver riscontrato nel medesimo numerosi difetti, ne aveva più volte richiesto senza esito al venditore l’eliminazione, per poi ripiegare sulla richiesta giudiziale di riduzione del prezzo pagato. Tale domanda è stata accolta dal giudice, il quale ha provveduto alla sua determinazione riconoscendo al compratore una somma esattamente pari a quella che il c.t.u. aveva stimato necessaria onde rimuovere i vizi del bene. Di tenore pressoché identico è una sentenza del Tribunale di Firenze del 1° ottobre 2014, la quale, sempre in relazione alla vendita di un autoveicolo affetto da vizi, ha riconosciuto la riduzione del corrispettivo in favore dell’acquirente nella misura di euro 1760,80 oltre IVA, pari all’importo delle spese da affrontare per la loro eliminazione15. Similmente, il Tribunale di Cassino16, nel decidere una controversia relativa all’acquisto di un appartamento caratterizzato da numerose difformità rispetto al capitolato di costruzione e da difetti di progettazione e realizzazione non sanati neppure dai tentativi di riparazione operati dall’impresa costruttrice, pur affermando di procedere alla determinazione del quantum di corrispettivo da ridurre in maniera equitativa, ne determinava l’ammontare in una somma pari a tre volte quella indicata dal consulente tecnico come sufficiente per effettuare le operazioni di ripristino, giustificando la propria decisione sulla base della considerazione per cui «gli interventi praticati e quelli praticabili non sono comunque idonei a risolvere in modo definitivo i difetti dell’immobile, che dunque continuerà ad offrire una vivibilità limitata». Le spese di regolarizzazione della prestazione del venditore determinate in sede di consulenza tecnica sono pure poste a base della riduzione del corrispettivo accordata ex art. 1492 c.c., nuovamente dal Tribunale fiorentino17, in rela13 Esemplare, in tale senso, seppur resa con riferimento all’azione estimatoria esercitata dal committente di un contratto di appalto è Cass. 14 marzo 1978, n. 1276, la cui massima espressamente sancisce che «la riduzione del prezzo dell’appalto per difformità o vizi della opera deve effettuarsi sottraendo dal prezzo convenuto una somma corrispondente – in base ai prezzi contrattuali o, comunque, in base ai prezzi dell’epoca in cui era stato stipulato il contratto – alla mancata equivalenza fra prezzo contrattuale e tipo di opera consegnata e non già calcolando il costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti in base ai prezzi correnti al momento della consulenza tecnica disposta dai giudici della controversia». 14 Cfr. nota 8. 15 Trib. Firenze, 1° ottobre 2014, in Pluris. 16 Si veda Trib. Cassino, 24 novembre 2014, in Pluris. 17 Cfr. Trib. Firenze, 30 settembre 2014, in Pluris. 142 CAPITOLO TERZO zione alla fornitura di un macchinario per raffreddamento rivelatosi affetto da «gravi difetti di funzionamento, in particolare al nastro trasportatore e all’impianto di raffreddamento, che avevano di fatto impedito il suo utilizzo». Proseguendo nell’esemplificazione, può infine ricordarsi una recente sentenza del giudice di primo grado di Monza18, la quale ha riconosciuto al compratore di un’abitazione dotata di impianti elettrici e strutture deputate all’isolamento acustico e termico gravemente difettosi una decurtazione del prezzo pattuito pari al 20% del prezzo in relazione ai difetti insuscettibili di riparazione, oltre alla somma pari alle spese di ripristino per quelli riparabili. Le pronunce cui si è fatto riferimento costituiscono una chiara espressione della diffusa tendenza della giurisprudenza di merito ad assicurare all’acquirente, attraverso la riduzione del prezzo, una somma di denaro pari a quella necessaria al fine di garantirgli il conseguimento di una prestazione immune da difetti. Peraltro, la sovrapposizione fra la diminuzione del corrispettivo cui è diretto il rimedio estimatorio e l’attribuzione delle somme necessarie per l’eliminazione delle difformità della res, che da oltre dieci anni caratterizza la giurisprudenza di merito in materia di appalto, si è recentemente fatta strada anche in decisioni rese dalla Corte di Cassazione in relazione a fattispecie di compravendita. Invero, numerose massime manifestano l’attrazione della riduzione del prezzo nell’orbita delle spese di ripristino anche laddove pure si afferma testualmente l’adozione del metodo di calcolo relativo adottato dalla giurisprudenza tradizionale19. Tale tendenza si palesa con particolare evidenza, come detto, nei dicta relativi ai contratti d’appalto, ove con frequenza ormai considerevole si legge che, allorché «sia proposta la sola azione di riduzione del prezzo dell’appalto, il giudice di merito per determinare tale riduzione deve impiegare criteri obiettivi, consistenti nel raffronto del valore e del rendimento dell’opera pattuita con quelli dell’opera difettosamente eseguita; tuttavia, non è escluso che, in base a motivato apprezzamento, la diffe18 Trib. Monza, 30 19 Nel senso che la settembre 2014, in Pluris. riduzione del corrispettivo nel contratto di appalto debba essere effettuata attraverso il raffronto del valore di mercato e del rendimento obiettivo dell’opera dedotta in contratto, da una parte, e il valore e il rendimento dell’opera difettosamente eseguita, dall’altro, successivamente procedendosi al ricalcolo del corrispettivo pattuito in applicazione della percentuale così ricavata, v. ad esempio Cass. 15 giugno 1976, n. 2236. Si veda, inoltre, la già citata Cass. 14 marzo 1978, n. 1276, che esplicitamente rigetta la sovrapposizione fra riduzione del prezzo e spese di ripristino, nonché Cass. 17 aprile 1978, n. 1794, secondo cui «la riduzione proporzionale del prezzo, prevista per il contratto di appalto dall’art. 1668 c.c., non consente di ricalcolare il prezzo al di fuori del patto intercorso fra le parti, facendo ricorso ai prezzi correnti, ma solo di operare una detrazione corrispondente al valore proporzionale dei vizi o delle difformità dell’opera». LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 143 renza tra i predetti valori e rendimenti possa coincidere con il costo delle opere necessarie per eliminare vizi e difformità»20, ovvero che «il committente [il quale], deducendo difformità dell’opera eseguita dall’appaltatore, agisce per la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1668 c.c., ha l’onere di provare il deprezzamento, non essendo questo un effetto necessario e costante delle difformità dell’opera, a meno che queste difformità non dipendano dall’impiego di materiali meno pregiati di quelli contrattualmente previsti o da altre cause che per la loro intrinseca natura incidono sul pregio dell’opera; in tal caso la riduzione, che, di regola, deve essere determinata in base al raffronto del valore e del rendimento dell’opera pattuita con quelli dell’opera difettosamente eseguita, può anche farsi coincidere con il costo delle opere necessarie per la eliminazione delle difformità»21. In tal modo, benché si continui ad asserire che, in linea di principio, la riduzione del corrispettivo deve essere calcolata moltiplicando il corrispettivo pattuito per il rapporto fra valore effettivo dell’opera realizzata e valore che questa avrebbe posseduto in assenza di difformità, in concreto essa viene a porsi quale surrogato della pretesa alla riparazione della cosa, in quanto la giurisprudenza tende ad assicurare al committente, attraverso la decurtazione della prestazione pecuniaria, una somma pari a quella necessaria a sostenere le spese ad essa relative. Come accennato poc’anzi, di recente questa interpretazione del rimedio estimatorio ha travalicato i confini della materia dell’appalto – laddove l’assimilazione può probabilmente trovare una spiegazione proprio nel diverso assetto dei mezzi di tutela offerti al committente22 – per ap20 In questo senso, v. Cass. 4 ottobre 1994, n. 8043. Similmente si sono pronunciate Cass. 8 maggio 2008, n. 11409, secondo la quale «in tema di riduzione del prezzo d’appalto ex art. 1668 c.c., l’accertamento del giudice di merito deve fondarsi su criteri obiettivi, consistenti nel raffronto tra il valore e il rendimento dell’opera pattuita con quello dell’opera eseguita in modo viziato, non potendosi escludere che, in base ad un motivato apprezzamento, la differenza tra valore e rendimento possa coincidere con il costo delle opere necessarie per eliminare vizi e difformità», Cass. 16 marzo 2011, n. 6181, che, sul presupposto secondo cui «nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell’opera, può richiedere, a norma dell’art. 1668, comma 1, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell’appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 cod. civ., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi», ha ritenuto che la riduzione del prezzo tenda «a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi» e, da ultimo, Cass. 8 luglio 2014, n. 15563. 21 Cfr. Cass. 10 gennaio 1996, n. 169 e Cass. 4 marzo 2003, n. 3190. 22 Riteniamo, infatti, che le conclusioni della S.C. siano influenzate dal fatto che l’art. 1668 c.c. consente al committente di ottenere non soltanto la risoluzione del contratto e la riduzione del corrispettivo, ma pure «che le difformità e i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore», con ciò attribuendogli il diritto di ottenere l’esatto adempimento della prestazione 144 CAPITOLO TERZO prodare anche alla compravendita, come dimostra la pur isolata statuizione di Cass. 21 maggio 2008, n. 1285223, la quale, dopo aver declamato solennemente che l’esercizio dell’actio quanti minoris comporta la riduzione del prezzo pattuito nella percentuale pari al rapporto fra valore effettivo del bene conseguente alla presenza dei vizi e valore del bene esente da difetti, finisce per confermare la decisione di merito che aveva determinato l’ammontare della decurtazione «nella misura pari al costo sopportato dall’acquirente per liberare l’area fabbricabile acquistata dai rifiuti solidi che la occupavano», così asseritamente procedendo a ristabilire «il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione tenendo conto della entità della minore utilità e del minor valore effettivo» del bene compravenduto. La tendenza in discorso, manifestatasi nella giurisprudenza del nostro Paese, non è peraltro totalmente priva di riscontri in altre esperienze giuridiche e, segnatamente, suole presentarsi con frequenza laddove – come accadeva fino ai primi mesi del 2015 nell’ordinamento francese e come tuttora si verifica in quello spagnolo – l’aestimatio vitii è demandata dalla legge all’operato di tecnici, senza che però sia esplicitato il parametro sul quale questi ultimi debbono basarsi nell’effettuare le relative valutazioni. Con riferimento all’art. 1644 c.c.f., nella formulazione vigente sino al febbraio 2015, sebbene l’opinione maggioritaria fra gli interpreti fosse nel senso dell’applicazione di un metodo proporzionale di calcolo24, di promessa dalla controparte. Qualora l’appaltatore medesimo non provveda in aderenza alle richieste del committente, la giurisprudenza segnalata tende di frequente a garantire a quest’ultimo l’ottenimento della somma necessaria all’eliminazione dei difetti attraverso la riduzione del corrispettivo in pari misura, così peraltro dimenticando – come meglio si dirà infra nel testo – di fare applicazione dell’art. 2931 c.c. Sintomatica della commistione alla base del fraintenimento è Cass. 7 febbraio 1983, n. 1016, la cui massima recita: «La garanzia dell’appaltatore per le difformità ed i vizi della opera si configura non come una garanzia in senso tecnico, ma come una esplicazione particolare della comune responsabilità per inadempimento, attuabile con la riduzione proporzionale del prezzo o con l’eliminazione delle carenze a spese dell’appaltatore, la quale, secondo l’alternativa della legge, comporta per quest’ultimo l’obbligo di procedere direttamente ai lavori di correzione e riparazione, senza ulteriore compenso, restandone quindi escluso l’onore di rimborsare al committente le spese di rifacimento; consegue che la domanda del committente di condanna dell’appaltatore al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi dell’opera non costituisce una mera modalità esecutiva della richiesta di eliminazione dei vizi bensì si inquadra nell’ambito dell’obbligo di riduzione del prezzo, assumendo il riferimento ai vizi funzione parametrica della somma all’uopo richiesta». 23 La si veda pubblicata in Danno e resp., 2009, p. 161 ss., con commento di A. MASTRORILLI, Garanzia per vizi nella vendita e risarcimento in forma specifica: un rapporto controverso, ivi, p. 163 ss. 24 Cfr., ad esempio, Cass.fr., 23 marzo 1971; Cass.fr. 23 ottobre 1974; P. COËFFARD, Garantie des vices cachés et «responsabilité contractuelle de droit commun», Poitiers, 2005, LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 145 recente è parsa affermarsi una certa propensione a liquidare la riduzione del corrispettivo relativamente alla vendita di oggetti viziati identificandola con il «coût des travaux à exécuter pour remédier aux défauts cachés»25 ovvero con i costi di riparazione. Simile operazione è, poi, massicciamente praticata nei tribunali spagnoli i quali spesso26, a dispetto del tenore letterale del código civil – il cui art. 1486 fa espresso riferimento al diritto dell’acquirente di «rebajar una cantidad proporcional del precio, a juicio de peritos» –, «asocian la reducción del precio con el saneamiento del vicio oculto del bien, es decir, con la reclamación del importe necesario para su reparación»27. Peraltro, tale associazione, frequentissima in materia di compravendita di immobili28, è in gran parte figlia del fatto che l’art. 1484 c.c.s. grava il venditore non già della garanzia per vizi o dell’obbligo di consegnare beni conformi, ma di un singolare obbligo di «saneamiento por los defectos ocultos que tuviere la cosa vendida», ciò che costituisce con ogni probabilità la base della confusione fra il profilo della responsabilità dell’alienante e quello della eliminazione dei difetti29. Nonostante la discreta fortuna applicativa che il criterio di determinazione della riduzione del corrispettivo basato sull’equivalenza con le spese di ripristino della conformità dell’attribuzione patrimoniale difettosa operata dal venditore ha incontrato in taluni ordinamenti vicini al nostro30 e il recente favore mostrato da certa giurisprudenza italiana, rip. 34; C. ALBIGES, Le développement discret de la réfaction du contrat, in Mélanges M. Cabrillac, Paris, 1999, p. 3 ss. 25 Si vedano in questo senso Cass.fr., 1° febbraio 2006; App. Bordeaux, 20 ottobre 2005; App. Caen, 24 giugno 2003; Cass.be., 10 marzo 2011. 26 La tendenza cui si sta per accennare non è peraltro incontrastata, talune pronunce facendo applicazione del criterio proporzionale, come richiesto dalla legge: A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 154 s. Fanno applicazione del metodo proporzionale, ad esempio, SAP Barcellona, 28 aprile 2005, n. 262; SAP Barcellona 14 febbraio 2008, n. 82; SAP Madrid, 14 aprile 2005, n. 311. 27 Le parole fra virgolette sono tratte da A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 152 ss., il quale – oltre a procedere a un’interessante rassegna giurisprudenziale, a cui si rinvia per più ampie informazioni – informa di come talune pronunce ritengano superfluo il ricorso alla consulenza tecnica allorché la riparazione del bene sia già stata effettuata, limitandosi a riconoscere al compratore la riduzione del corrispettivo nella misura dell’importo già pagato per l’opera di ripristino. 28 Cfr. SAP Siviglia, 23 gennaio 2008, n. 37 e SAP Cantabria 18 marzo 2005, n. 87, relative alla quantificazione dell’azione estimatoria nella misura della somma necessaria a eliminare gli insetti che infestavano le travi in legno di un edificio. V. altresì SAP Barcellona 10 marzo 2006, n. 122; SAP Baleari 13 settembre 2002, n. 491; SAP Valladolid, 20 gennaio 2003, n. 23, con le quali si è concessa una riduzione del prezzo di acquisto di immobili pari alla spesa necessaria per l’esecuzione dei lavori di ripristino dell’immobile viziato. 29 Cfr. ancora A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 150 s. 30 Un’applicazione non sporadica di questo criterio è stata riscontrata anche nell’ordinamento svizzero: cfr. in argomento S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut 146 CAPITOLO TERZO teniamo che persuasive ragioni evidenzino l’inidoneità – o, rectius, l’erroneità – del metodo de quo. Invero, in primo luogo, va notato come attribuire al compratore una somma di denaro pari a quella necessaria per la regolarizzazione della prestazione dell’alienante equivalga ad assicurare a costui non già un riequilibrio del rapporto sinallagmatico perturbato dalla difettosità di quest’ultima, bensì un vero e proprio risarcimento del danno in forma specifica31: ciò esula senz’altro dalla funzione del rimedio estimatorio, che abbiamo visto storicamente affermarsi con riferimento alla conservazione delle proporzioni dello scambio soggettivamente volute dalle parti, giacché l’attribuzione del diritto di vedersi rimborsate le spese di riparazione risulta totalmente indipendente dalla misura del prezzo pattuito, dalla gravità del difetto (in quanto difetti assai lievi possono essere molto onerosi da riparare) e dall’incidenza dello stesso sul valore reale della cosa. La riduzione del corrispettivo, in altre parole, non ha affatto la funzione di «assicurare al contraente fedele vantaggi patrimoniali equivalenti a quelli che il medesimo avrebbe ottenuto dal contratto (in caso di sua regolare esecuzione), ma di […] ristabilire l’originario rapporto (economico) di proporzionalità tra le contrapposte prestazioni»32, sicché si esce certamente dall’ambito del rimedio estimatorio per entrare in quello risarcitorio qualora si intenda garantire al compratore proprio (i mezzi che gli consentono di ottenere) l’esatta realizzazione del programma negoziale originario. Quanto andiamo dicendo è confermato proprio dalla disposizione in materia di appalto che per prima ha sperimentato l’attuale impropria parametrazione della quanti minoris, ovverosia l’art. 1668 c.c., il quale da un canto concede al committente cui sia consegnata un’opera affetta da vizi o difetti il diritto di farli eliminare «a spese dell’appaltatore» e, dall’altro, gli consente di chiedere che «il prezzo sia proporzionalmente diminuito». Ora, a parte il fatto che non si vede come la riduzione calcolata sulla base delle spese di ripristino possa soddisfare il criterio di proporzionalità33, è ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, Friburgo, 1994, p. 244 e decisioni ivi citate. 31 Nello stesso senso, v. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2002, p. 12; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, Padova, 2002, p. 92; R. OMODEI SALÉ, Responsabilità del venditore per difetto di conformità e tutela del medesimo in seguito all’esercizio dei rimedi spettanti al consumatore, in Resp. civ. UTET, 2010, p. 502. 32 Sono parole di A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. I, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 158. 33 Salvo, ovviamente, che la proporzionalità – con una evidente petizione di principio – non sia valutata proprio in relazione alla misura delle spese in discorso; ma, anche così LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 147 evidente come la norma in parola preveda due distinti mezzi di tutela, caratterizzati da effetti non coincidenti, essendo l’uno rivolto a procurare la decurtazione del corrispettivo proporzionalmente al minor valore della res, l’altro a ottenere che l’appaltatore ponga rimedio al difetto di conformità, provvedendo personalmente al ripristino ovvero sostenendone le spese34. Non è, allora, difficile comprendere come predicare che l’aestimatio vitii35 debba (o possa di regola) coincidere con le spese necessarie all’eliminazione dei difetti della cosa equivalga a obliterare il rimedio estimatorio, i cui effetti caratteristici si sovrapporrebbero a quelli conseguibili – direttamente o attraverso il ricorso all’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 2931 c.c. – a mezzo di un distinto mezzo di tutela. Ma l’erroneità di quello che abbiamo chiamato “metodo A” di determinazione della riduzione può essere messa in luce altresì dalla lettura di una disposizione dettata in materia di garanzia per evizione, l’art. 1486 c.c., il quale prevede che «se il compratore ha evitato l’evizione della cosa mediante il pagamento di una somma di danaro, il venditore può liberarsi da tutte le conseguenze della garanzia col rimborso della somma pagata, degli interessi e di tutte le spese». Ora, poiché si ritiene comunemente36 che tale regola trovi applicazione nei casi in cui l’acquirente riesca ad evitare l’evizione (totale o parziale) tacitando il terzo con la dazione di opinando, è chiaro che non di proporzionalità si tratterebbe bensì di coincidenza in valore assoluto. 34 Quanto sostenuto nel testo non è peraltro influenzato dalla nota questione inerente all’oggetto del diritto all’eliminazione del vizio: se, cioè, tale diritto comporti che il committente debba in prima istanza rivolgersi all’appaltatore e soltanto in ipotesi di suo diniego o di sua inerzia possa esigere l’esecuzione ex art. 2931 c.c. (come a noi pare preferibile; così D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., Dell’appalto, in Comm. Scialoja - Branca, BolognaRoma, 2007, p. 404 s. e C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, p. 293 ss.; in giurisprudenza, v. Cass. 21 febbraio 1996, n. 1334 e Cass. 29 maggio 1980, n. 3542) ovvero che l’appaltatore debba far fronte alle sole spese di eliminazione del difetto, senza essere tenuto a procedervi personalmente (Cass. 18 aprile 2002, n. 5632; Cass. 10 gennaio 1996, n. 169; Cass. 27 febbraio 1991, n. 2110; Cass. 10 febbraio 1987, n. 1416; Cass. 2 dicembre 1980, n. 6291; Cass. 28 marzo 1962, n. 639). Sul punto v. altresì L.A. SCARANO, Garanzia per vizi nei contratti di vendita e di appalto, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, p. 261, il quale ritiene che la tutela prevista dall’art. 1668 c.c. sia riconducibile sostanzialmente al risarcimento del danno in forma specifica, sicché il committente potrebbe liberamente scegliere di pretendere che l’appaltatore gli rimborsi il costo della riparazione quale risarcimento per equivalente. 35 Anche il nomen storicamente attribuito all’operazione di determinazione della quantità di corrispettivo oggetto di riduzione sembra porsi in palese contrasto con l’idea dell’identificazione della medesima con i costi di riparazione: aestimatio vitii, infatti, significa – come ognun può intendere – stima del vizio, cioè dell’incidenza dello stesso sul valore della cosa, e non già stima della spesa relativa alle operazioni di rimozione del vizio. 36 Per tutti, v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 423 e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 862 ss. 148 CAPITOLO TERZO una somma di denaro37 a titolo transattivo o ex art. 2858 c.c. o, ancora, secondo taluni38, trasferita quale corrispettivo dell’acquisizione dal terzo del diritto di cui l’originario venditore non lo aveva reso titolare (c.d. evizione invertita), non sembra dubbio che le utilità garantite al compratore dall’art. 1486 c.c. vengano a coincidere con quelle cui il medesimo avrebbe diritto qualora la riduzione del prezzo – come pretende la giurisprudenza analizzata poc’anzi – mirasse a tutelare il suo interesse al ripristino della conformità dell’attribuzione patrimoniale. È, peraltro, evidente che così non può essere, come dimostra il fatto che è pacifico fra gli interpreti che la facoltà del venditore di liberarsi dalle «conseguenze della garanzia» rimborsando la somma pagata, gli interessi e le spese null’altro è se non una forfetizzazione del danno risarcibile subito dall’acquirente a causa del trasferimento di una res suscettibile di (parziale o totale) evizione, tanto che essa si pone quale alternativa alla liquidazione giudiziale del danno medesimo39. Anche in questa ipotesi, quindi, la riduzione del prezzo calcolata secondo il metodo A indurrebbe a riconoscere all’acquirente utilità pari a quelle che egli avrebbe ottenuto con la rituale esecuzione del contratto, mentre – come più volte abbiamo ripetuto – la funzione dell’azione estimatoria è soltanto quella di garantire la conservazione dello scambio nelle originarie proporzioni fissate dai contraenti. Merita inoltre di essere evidenziato che l’accoglimento del criticato metodo di computo renderebbe a dir poco ambiguo e confuso il rapporto fra il diritto alla riduzione del prezzo e quello al ripristino della conformità mediante riparazione nell’ambito delle vendite mobiliari soggette alla dir. 1999/44/CE (e alla disciplina di attuazione della stessa) e alla Convenzione di Vienna del 1980. Infatti, seguendo le orme delle pronunce analizzate poc’anzi, l’interprete potrebbe essere indotto a credere, in sostanza, che i due rimedi citati siano in tutto coincidenti, salvo il fatto che in un caso la riparazione è effettuata direttamente dal venditore e nell’altro essa è materialmente eseguita da terzi, l’alienante sopportandone però l’onere economico sotto forma di decurtazione del corrispettivo inizialmente pattuito. 37 Ad avviso di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 863, la tacitazione del terzo ai sensi dell’art. 1486 c.c. potrebbe avvenire anche a mezzo di una prestazione diversa dal denaro. Contra, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1486, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 210 ss. 38 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 727, il quale propende per questa soluzione in quanto maggiormente tutelante per il venditore, il quale in tal modo non si troverà esposto a eventuali “speculazioni” del compratore. 39 Si vedano, in argomento, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 863 e Cass. 26 febbraio 1976, n. 622, resa proprio con riferimento a una fattispecie di evizione parziale evitata ex art. 1486 c.c. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 149 Infine, va evidenziato come – sempre con riferimento alle vendite mobiliari cui trovano applicazione, rispettivamente, la disciplina di derivazione comunitaria e la CISG – si ritenga comunemente che il diritto al ripristino della conformità – sostanziandosi nell’offerta al venditore di una seconda opportunità di adempimento – consista soltanto nel diritto di pretendere la consegna di un bene riparato o sostitutivo e non già nel diritto ad una somma di denaro di importo corrispondente alle spese personalmente e direttamente sostenute dal compratore per la riparazione o la sostituzione40, riconoscendosi altresì che quest’ultima può costituire oggetto di una pretesa risarcitoria e non già della riduzione del prezzo41. Ne consegue che tale pretesa, in ogni caso, richiede una quantificazione giudiziale e, qualora sia avanzata in relazione alla vendita di beni mobili da un professionista a un consumatore, soggiace alle limitazioni derivanti dalla gerarchia rimediale42 imposta dall’art. 130 c.cons. Evidenziate le criticità sollevate dall’impropria identificazione posta alla base del metodo di calcolo A, è opportuno proseguire la nostra analisi passando ad esaminare i c.d. criteri assoluti di determinazione della riduzione del prezzo, rappresentati dai metodi B, C e D. 2.2. I metodi di calcolo “assoluti” Applicando le metodologie di calcolo di tipo “assoluto”, l’aestimatio vitii viene a coincidere con la differenza (metodi B e C) fra il valore 40 In relazione alla disciplina attuativa della dir. 1999/44/CE, cfr., infatti, STAUDINMATUSCHE-BECKMANN, sub § 439, 14. Aufl., Berlin, 2014, Rn. 54 ss., la quale, dopo aver osservato come nell’appalto il § 637 BGB espressamente consenta la Selbstvornahme mentre in materia di compravendita manchi qualsiasi previsione in proposito, si esprime nel senso che «Es ist daher davon auszugehen, dass ein Selbstvornahmerecht des Käufers grds nicht besteht»; nello stesso senso, BECKOK/F. FAUST, sub § 439 BGB, in Beck-Online, Rn. 4 («Ein Recht zur Selbstvornahme nach Art des § 637 kennt das Kaufrecht allerdings nicht. § 637 kann […] auch nicht analog angewendet werden») e Rn. 25 («Der Verkäufer kann daher die Nacherfüllung nicht von der Zahlung der Kostenbeteiligung, sondern nur von ausreichender Sicherheitsleistung dafür abhängig machen»). Con riferimento alla Convenzione di Vienna, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 46, in Wiener UN-Kaufrecht, Berlin, 2012, Rn. 65, il quale scrive che «Der Verkäufer hat […] den Mangel real zu beseitigen», e SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 46, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 46, il quale ammette che il compratore, se la riparazione da parte del venditore non è possibile o comporta costi irragionevoli, possa eliminare il difetto personalmente o mediante l’opera di terzi, rivalendosi sul venditore, ma avverte che in tal caso si sarebbe fuori dall’ambito della riparazione, rientrandosi nel risarcimento del danno («Schlägt die Nachbesserung fehl, nimmt der Verkäufer diese gemäss Art. 46 III oder Art. 48 nicht innerhalb angemessener Frist vor oder ist ihm dies nicht zumutbar, kann der Käufer den Mangel selbst beheben oder durch Dritte beheben lassen und dem Verkäufer die Kosten als Schadenersatz (Art. 45 I lit. b)) in Rechnung stellen»). 41 V., ad esempio, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II. Il regime delle «garanzie» nelle vendite di beni di consumo, Napoli, 2007, p. 292 ss. 42 In proposito, v. amplius al par. 3 del Capitolo 4. GER/A. 150 CAPITOLO TERZO obiettivo della res, da un lato, e il valore reale da questa posseduto, dall’altro, ovvero (metodo D) fra il prezzo pattuito e tale ultimo valore. Come già accennato, il primo criterio di computo trova un riscontro a livello normativo nell’ordinamento inglese, laddove esso è posto a base della determinazione del danno risarcibile spettante al compratore nel caso di breach of warranty of quality: a tal proposito, la Section 53 SoGA, dopo aver concesso al compratore di beni qualitativamente difettosi l’alternativa fra «(a) set up against the seller the breach of warranty in diminution or extinction of the price» e «(b) maintain an action against the seller for damages for the breach of warranty» e aver sancito che la misura di tali danni è pari alla «estimated loss directly and naturally resulting, in the ordinary course of events, from the breach of warranty», precisa che la perdita in argomento è «prima facie the difference between the value of the goods at the time of delivery to the buyer and the value they would have had if they had fulfilled the warranty»43. Ne consegue che, qualora abbia già pagato il prezzo nel momento in cui il difetto qualitativo si rivela44, l’acquirente può ottenere dalla controparte un ristoro a titolo di risarcimento del danno pari, in linea di principio, alle perdite patrimoniali direttamente e “fisiologicamente” indotte dalla violazione della garanzia, ma il legislatore inglese prevede che esse normalmente coincidano con la differenza fra il valore che i beni oggetto del contratto avrebbero avuto al tempo della consegna e quello che effettivamente possedevano a causa della violazione medesima. Solitamente tale differenza viene calcolata attraverso il riferimento ai valori di mercato45, mentre il riferimento ai costi di riparazione del bene, ove tale attività sia possibile, è ritenuto non soddisfacente giacché la spesa per la riparazione può in molti casi essere irragionevole rispetto alla gravità del difetto e alle sue stesse conseguenze sul valore del bene46. 43 In argomento, v. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 692 ss. e P.S. ATIYAH - J.N. ADAMS - H. MACQUEEN, Atiyah’s Sale of Goods, London, 2010, p. 543 s. 44 Cfr. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 695. 45 Il tema della riferibilità al prezzo di mercato, invero, «has divided the Court of Appeal in two cases set seventy years apart» (M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 692), ovverosia Slater v Hoyle & Smith (favorevole alla market rule) e Bence Graphics International Ltd v Fasson UK Ltd (che, seppur a maggioranza, ha rigettato la regola in discorso). La portata del caso Bence, però, si ritiene limitata ai casi in cui il venditore ha una dettagliata conoscenza del fatto che il compratore provvederà alla rivendita dei beni fornitigli e delle modalità che impiegherà in tal senso: cfr. ancora M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, Oxford, 2014, p. 696, il quale conclude la trattazione del tema affermando che «it is submitted that Bence should be confined to cases of detailed knowledge of sub-sale activities and that, if it and Slater are considered by a higher court in a case where they are considered to be in conflict, then Slater is to be preferred». 46 M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 703. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 151 Come già si è accennato, poiché la riduzione del prezzo va operata non su un valore teorico del bene esente da vizi, ma con riferimento al prezzo concretamente pattuito fra le parti, potrebbe sembrare più persuasiva l’adozione di una differente variante delle metodologie assolute di calcolo, in cui il valore del bene difettoso venga sottratto proprio al corrispettivo contrattualmente fissato (metodo D), alla maniera di quanto imponevano le più risalenti testimonianze storiche dell’actio quanti minoris analizzate nel Capitolo 1. Un simile modo di procedere sembra contare, peraltro, almeno un precedente giurisprudenziale anche nell’ordinamento italiano: infatti, stando alla massima di Cass. 14 marzo 1978, n. 1276, «la riduzione del prezzo dell’appalto per difformità o vizi della opera deve effettuarsi sottraendo dal prezzo convenuto una somma corrispondente […] alla mancata equivalenza fra prezzo contrattuale e tipo di opera consegnata […]», ciò che sembra proprio suggerire la determinazione del nuovo corrispettivo attraverso la sottrazione del valore del “tipo di opera consegnata” da quello originariamente pattuito. I criteri assoluti di determinazione del quantum della riduzione sono, peraltro, tutti accomunati – compreso il metodo C, che differisce dal metodo adottato dalla Section 53 (3) SoGA soltanto per il differente momento temporale di riferimento per il rilievo del valore del bene – dall’effetto di perturbare il rapporto che le parti hanno instaurato fra le attribuzioni patrimoniali del contratto con le manifestazioni di volontà negoziale, in quanto introducono in esso l’elemento estraneo consistente nel valore obiettivo della cosa compravenduta. Abbiamo avuto modo di argomentare come il rimedio estimatorio sia volto a conservare lo scambio attraverso un adattamento del suo contenuto che, da un canto, faccia corrispondere la misura dell’obbligazione di prezzo alle effettive qualità o quantità dei beni negoziati (e non a quelle che le parti si erano rappresentate) e, dall’altro, non alteri la “convenienza economica” che lo scambio presentava nel suo originario assetto. È chiaro che l’impiego di metodologie di calcolo di tipo assoluto, se è bensì in grado di assicurare il soddisfacimento della prima delle esigenze elencate, non consente di raggiungere risultati altrettanto soddisfacenti rispetto alla seconda, giacché non sempre – in particolar modo nella vendita di beni infungibili – il prezzo pattuito dalle parti coincide con l’effettivo valore del bene. Due esempi possono contribuire a chiarire quanto andiamo affermando. In primo luogo, si immagini che Tizio e Caio concludano un contratto di compravendita in forza del quale il primo aliena al secondo il diritto di proprietà su un bene del valore obiettivo di 300 per il corrispettivo di 240 e che i difetti del bene in questione ne portino il valore a 152 CAPITOLO TERZO 180. Applicando il metodo B47, Caio avrebbe diritto di vedersi riconosciuta una riduzione del corrispettivo pari a 120, sicché egli si troverebbe a pagare complessivamente 120, mentre, applicando il metodo D, l’aestimatio vitii risulterebbe pari a 60, dovendo pertanto egli corrispondere alla controparte un totale di 180. In secondo luogo, si immagini che Sempronio venda per 300 a Mevio il diritto di proprietà su un bene del valore obiettivo di 240, che a causa dell’esistenza di un diritto personale di godimento non dichiarato e opponibile all’acquirente (art. 1489 c.c.) si riduce a 180: ove si applichi il modello accolto dal SoGA, Mevio avrebbe diritto di vedere ridotto l’ammontare della propria obbligazione di prezzo sino a 240, dovendo invece soltanto 180 qualora si ritenesse di applicare il criterio D. Non v’è chi non veda come l’applicazione dell’uno e dell’altro metodo produca l’effetto di alterare significativamente il rapporto sinallagmatico fra le attribuzioni patrimoniali sancito al tempo della conclusione del contratto. Nel primo esempio, infatti, inizialmente le parti avevano convenuto un assetto in forza del quale il rapporto fra il valore obiettivo delle attribuzioni era pari a 4/5, essendo tale il rapporto fra prezzo pattuito e valore reale del diritto, ma le riduzioni conseguenti al riscontro delle reali condizioni della res contrattata alterano tale rapporto, fissandolo a 2/3 con il ricorso al metodo B e a 1 nell’ipotesi di applicazione del criterio D. Nel secondo esempio, invece, l’iniziale rapporto di valore fra le attribuzioni è pari a 5/4, ma la diminuzione del corrispettivo indotta dalla presenza dei vizi scompagina tale assetto, rideterminando rispettivamente in 4/3 e 1 il rapporto medesimo. L’applicazione del metodo D comporta, infatti, invariabilmente la fissazione di un prezzo di vendita del bene viziato pari al suo valore effettivo, con ciò potendo forse costituire un idoneo criterio determinativo allorché già la pattuizione iniziale fra le parti fosse informata alla stessa equivalenza48, ma rivelando tutta la sua carica modificativa della convenienza dell’affare per l’una o per l’altra parte, in ogni altra occasione in cui la corrispondenza in discorso non fosse originariamente sussistente. Può, pertanto, concludersi che tale metodo non sia idoneo al fine di pervenire all’esatto computo del corrispettivo da ridurre in conseguenza 47 Non è necessario dedicare al metodo C un’analisi specifica in quanto, differendo dal metodo B soltanto per il momento temporale di riferimento per l’individuazione del valore obiettivo del bene, per esso valgono in toto le considerazioni che si riferiscono al metodo B. 48 È appena il caso di notare come la tendenziale equiparazione fra valore vero e corrispettivo di vendita con riferimento ai beni di consumo, operata da gran parte degli interpreti, sia sovente smentita dall’esistenza di prezzi anche sostanzialmente differenti fra venditori diversi e anche all’interno della stessa grande distribuzione organizzata. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 153 della difettosità dell’esecuzione del contratto da parte del venditore in quanto esso, anziché adattare la misura dell’obbligazione di prezzo alle reali caratteristiche del bene mantenendo inalterati il rapporto sinallagmatico e la convenienza dello scambio fissati dalla volontà negoziale, sterilizza quest’ultimi componenti riconducendo inevitabilmente lo scambio alla rigida corrispondenza di valore fra le attribuzioni dei contraenti49. Peraltro, pur non pervenendo a simili esiti perturbativi – che potremmo definire quasi impositivi di un’equivalenza “forzosa” – anche i criteri determinativi identificati dalle lettere B e C risultano, ad un’attenta analisi, inaccettabili50. Infatti, se è vero che essi non hanno l’effetto di ricondurre costantemente l’ammontare del corrispettivo al valore reale della cosa contrattata, d’altra parte neppure conservano fra le attribuzioni patrimoniali quel rapporto di valore che vi hanno impresso le parti, comunque producendo il risultato di alterarlo in misura tanto più significativa quanto maggiore è lo scostamento fra valore reale del bene dedotto in contratto e prezzo pattuito nonché fra il primo e il valore effettivo del bene “difettoso”51. Addirittura, qualora la differenza fra i due va49 È appena il caso di notare che la metodologia di calcolo in discorso provoca risultati inaccettabili in tutte le ipotesi in cui il prezzo pattuito in contratto, per la particolare tenuità del difetto ovvero per la particolare convenienza della vendita per il compratore, sia inferiore al valore del bene difettoso: in tali ipotesi, infatti, egli non dovrebbe vedersi riconosciuta alcuna riduzione nonostante la mancanza di conformità dei beni trasferiti. 50 Contra, S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, cit., p. 245 ss., il quale propende per l’applicazione di tale metodo di calcolo con riferimento al diritto svizzero (art. 205 OR: (1) Liegt ein Fall der Gewährleistung wegen Mängel der Sache vor, so hat der Käufer die Wahl, mit der Wandelungsklage den Kauf rückgängig zu machen oder mit der Minderungsklage Ersatz des Minderwertes der Sache zu fordern. (2) Auch wenn die Wandelungsklage angestellt worden ist, steht es dem Richter frei, bloss Ersatz des Minderwertes zuzusprechen, sofern die Umstände es nicht rechtfertigen, den Kauf rückgängig zu machen. (3) Erreicht der geforderte Minderwert den Betrag des Kaufpreises, so kann der Käufer nur die Wandelung verlangen), ritenendolo d’applicazione più semplice e sostenendo che «la méthode relative est justifiée par le fait que le prix (P) peut être inférieur ou supérieur à la valeur objective de la chose sans défauts (V) (soit P>V ou P<V); il est donc inconséquent de vouloir l’appliquer dans le seul cas où, justement, le prix (P) est égal à la valeur de la chose convenue (V) (sot P=V)» (p. 246). Tale posizione, peraltro, appare quanto mai scarsamente meditata, giacché essa non già è in grado di «correggere lo squilibrio causato dal difetto senza intervenire sull’equilibrio (o lo squilibrio) che le parti hanno liberamente voluto fra le loro prestazioni reciproche al tempo della conclusione del contratto» bensì, tutt’al contrario, sostituisce allo squilibrio indotto dall’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale un nuovo squilibrio basato sull’introduzione di un correttivo della manifestazione di volontà delle parti ispirato ad un’equivalenza oggettiva fra valore del diritto e corrispettivo della sua alienazione. Sul punto rinviamo a quanto abbiamo già avuto modo di argomentare nel corso del Capitolo 2. 51 Si consideri, infatti, il seguente esempio: qualora Tizio venda a Caio il diritto di proprietà di un immobile del valore di 300 per il prezzo di 200 e successivamente Caio subisca 154 CAPITOLO TERZO lori da prendere in considerazione per l’aestimatio vitii sia maggiore del prezzo pattuito (ciò che – lo riconosciamo – può rappresentare un’eventualità di remota verificazione, ancorché non certo impossibile), il ricorso a tali metodi porterebbe all’assurda affermazione dell’esistenza di un credito del compratore nei confronti del venditore. Ne consegue, come detto, che essi debbono essere considerati in linea di principio inidonei a dare attuazione al rimedio estimatorio, piuttosto realizzando una funzione risarcitoria. L’esigenza di conservazione dei rapporti di corrispettività fra le attribuzioni patrimoniali soggettivamente pattuiti dai contraenti conduce inevitabilmente l’interprete a prendere in considerazione i c.d. metodi relativi o proporzionali (metodi E, F e G, secondo la classificazione che ne abbiamo fatto), alla cui analisi passiamo pertanto a dedicarci. 2.2. I metodi di calcolo “relativi” o “proporzionali” Come già abbiamo accennato, la Convenzione di Vienna del 1980, la precedente Convenzione dell’Aja del 1964 e la codificazione tedesca del 1900 costituiscono esempi di testi normativi che hanno espressamente accolto le metodologie di determinazione della riduzione del prezzo di tipo proporzionale. Infatti, l’art. 50 CISG dispone che l’aestimatio vitii sia operata attraverso la diminuzione del corrispettivo pattuito in misura proporzionale «alla differenza tra il valore che i beni effettivamente consegnati avevano al momento della consegna ed il valore che beni conformi avrebbero avuto in tale momento», mentre l’art. 46 LUVI sanciva la medesima regola facendo riferimento al tempo della conclusione del contratto, esattamente come previsto dal § 472 aF BGB52 e dall’attuale § 441 nF BGB53. un’evizione parziale che riduca il valore reale della porzione da lui conservata a 110, egli – applicando i metodi B e C – dovrebbe a Tizio un corrispettivo pari a 10. È lapalissiano osservare come i rapporti di valore fra le prestazioni delle parti risultino grandemente e irrimediabilmente variati, sostanzialmente costringendo il venditore a privarsi di un diritto a condizioni fortemente differenti rispetto a quelle pattuite. 52 § 472 aF [Berechnung der Minderung] (1) Bei der Minderung ist der Kaufpreis in dem Verhältnisse herabzusetzen, in welchem zur Zeit des Verkaufs der Wert der Sache in mangelfreiem Zustande zu dem wirklichen Werte gestanden haben würde. (2) Findet im Falle des Verkaufs mehrerer Sachen für einen Gesamtpreis die Minderung nur wegen einzelner Sachen statt, so ist bei der Herabsetzung des Preises der Gesamtwert aller Sachen zugrunde zu legen. In argomento cfr., per tutti, STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 472, 12. Aufl., München, 1978, Rn. 1 ss. e K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrecht. Band 2. Besonderer Teil. 1. Halbband, München, 1986, p. 57. 53 § 441 nF [Minderung] (1) Statt zurückzutreten, kann der Käufer den Kaufpreis durch Erklärung gegenüber dem Verkäufer mindern. Der Ausschlussgrund des § 323 Abs. 5 Satz 2 LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 155 Rinviando, per il momento, l’analisi delle questioni inerenti al tempo e al luogo cui fare riferimento al fine dell’applicazione dei parametri di calcolo necessari all’impiego delle formule che abbiamo denominato E ed F, osserviamo piuttosto come l’adozione delle metodolgie di calcolo in discorso abbia l’effetto di determinare il rapporto fra il prezzo pattuito dalle parti per la vendita del bene e quello che dovrà essere corrisposto in esito all’esercizio del rimedio nell’esatta proporzione esistente fra il valore oggettivo che la cosa avrebbe avuto qualora non fosse stata difettosa e quello effettivo in ragione dell’incidenza del vizio. Attraverso tale procedimento54, pertanto, è possibile realizzare quella che abbiamo visto essere la funzione propria del rimedio estimatorio: conservare il rapporto contrattuale, adeguandolo alla difettosità dell’attribuzione patrimoniale del venditore ma mantenendo fra questa e l’obbligazione di prezzo quel rapporto di corrispettività soggettivamente fissato dalle parti55 nell’esercizio della loro autonomia privata56, il quale – come si è findet keine Anwendung. (2) Sind auf der Seite des Käufers oder auf der Seite des Verkäufers mehrere beteiligt, so kann die Minderung nur von allen oder gegen alle erklärt werden. (3) Bei der Minderung ist der Kaufpreis in dem Verhältnis herabzusetzen, in welchem zur Zeit des Vertragsschlusses der Wert der Sache in mangelfreiem Zustand zu dem wirklichen Wert gestanden haben würde. Die Minderung ist, soweit erforderlich, durch Schätzung zu ermitteln. (4) Hat der Käufer mehr als den geminderten Kaufpreis gezahlt, so ist der Mehrbetrag vom Verkäufer zu erstatten. § 346 Abs. 1 und § 347 Abs. 1 finden entsprechende Anwendung. 54 Invero, il calcolo proporzionale potrebbe essere sostituito dalla mera sottrazione del minor valore obiettivo del bene in ragione del difetto, allorché (e soltanto allorché) il valore della cosa esente da difetti coincida con il prezzo d’acquisto pattuito. Cfr. STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, 14. Aufl., Berlin, 2004, Rn. 16. 55 In altre parole, il metodo relativo consente di conservare – seppure diminuito in valore assoluto – lo stesso rapporto di convenienza o di svantaggiosità del contratto inizialmente concluso. 56 Il valore della cosa esente da vizi (a) si rapporta al valore della cosa difettosa (b) come il prezzo pattuito (p) si rapporta al prezzo ridotto (x). Ne consegue che il prezzo ridotto è pari al prodotto fra il valore del bene non conforme e il prezzo pattuito, diviso per il valore del bene conforme. Ricavato il prezzo ridotto, la quantità di corrispettivo che deve essere sottratta all’originario prezzo è pari alla differenza fra quest’ultimo e il prezzo ridotto. In questo senso, cfr. espressamente, fra i tanti, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 13 ss.; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 12 ss.; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, München, 2010, p. 58 s.; H. BROX - W.D. WALKER, Besonderes Schuldrecht, München, 2011, p. 64 s.; U. KORTH, Minderung beim Kauf, Tübingen, 2010, p. 34 ss., nonché KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 36 ss.; FERRARI-KIENINGERMANKOWSKI/I. SAENGER, sub art. 50 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 4 s.; R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 238; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLERCHEN, sub art. 50, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 8 ss.; P. HUBER - A. MULLIS, The CISG. A new textbook for students and practitioners, München, 2007, p. 199 s. 156 CAPITOLO TERZO visto poc’anzi – sarebbe irrimediabilmente alterato qualora l’adattamento dell’importo del corrispettivo avvenisse attraverso la decurtazione da quest’ultimo del (minor) valore oggettivo del bene (metodo D), ovvero mediante l’applicazione della differenza fra il valore che il bene avrebbe avuto oggettivamente se non avesse presentato il difetto e il valore effettivo del bene viziato (metodo B e C)57. In ragione di quanto appena osservato, riteniamo che il metodo “relativo” costituisca il criterio da adottare per il calcolo della riduzione del prezzo per tutte le pertinenti fattispecie58 in cui il rimedio in parola è concesso al compratore di res difettose dal codice civile59 e dal codice del consumo60. 57 Tale metodo di calcolo – com’è risultato evidente dall’analisi condotta al par. precedente – altera la proporzione esistente fra le originarie prestazioni in tutte le ipotesi in cui il prezzo pagato dal compratore non sia esattamente corrispondente al valore oggettivo del bene: ove tale valore sia superiore al prezzo pagato, infatti, esso comporterebbe una riduzione del corrispettivo più che proporzionale, sfavorendo il venditore; in caso contrario, la diminuzione sarebbe operata in misura inferiore alla proporzione iniziale, ledendo l’iniziale convenienza dell’affare per il compratore. 58 Tali fattispecie sono quelle individuate nel precedente Capitolo 2. 59 L’adozione di tale metodo è propugnata anche da D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375 s. (per la vendita di cosa parzialmente altrui, ove correttamente si rimarca come ciò che va preso in considerazione è il valore della parte acquistata e non già la sua incidenza quantitativa rispetto all’intero) e p. 812 (in relazione alla garanzia per vizi), ove si legge il seguente esempio: «se la cosa è stata comprata per 90 mentre effettivamente ne varrebbe 120 ove fosse in perfetto stato, e il vizio ne diminuisce il valore di un terzo, la riduzione sarà non di 40 ma di 30 […] in quanto è giusto che il compratore conservi proporzionalmente immutata la posizione di favore che in origine aveva creduto di acquisire nel presupposto che la cosa fosse in buono stato». Similmente, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 850 s., ad avviso del quale «la riduzione del prezzo procede in modo proporzionale al fine di salvaguardare il nesso di equivalenza soggettiva posto dalle parti. In tal senso occorre accertare non quale valore abbia il bene difettoso ma in quale misura percentuale il difetto incida sul valore del bene integro: il prezzo deve allora essere diminuito in ragione della stessa percentuale». Di recente, cfr. G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 395 (in tema di cosa parzialmente altrui) e p. 451 (con riferimento all’estimatoria esperita ai sensi dell’art. 1492) In giurisprudenza, chiaramente in questo senso Cass. 26 marzo 1969, n. 981; Cass. 21 luglio 1984, n. 4278; Cass. 1° febbraio 1995, n. 1153; Cass. 16 novembre 1978, n. 5297, la quale, però, si esprime nel senso che, nei casi in cui non sia possibile l’identificazione della percentuale di riduzione del valore nel suo preciso ammontare, il giudice del merito deve provvedere con valutazione equitativa, a norma dell’art. 1226 c.c. Sul punto v. infra, par. 2.4. 60 Con riguardo alla disciplina consumeristica, a favore del metodo relativo si sono espressi, tra gli altri, M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 285 e L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, Padova, 2003, p. 444; contra, G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno Gabrielli, Torino, 2005, p. 1048, ad avviso del quale gli aggettivi “adeguata” e LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 157 Con riferimento alla disciplina di fonte europea, peraltro, pur se la direttiva non ha provveduto a esplicitare la preferenza per il metodo in parola, è nostra opinione che l’imposizione del requisito di “adeguatezza” della riduzione del prezzo sia avvenuta proprio al fine di richiamare l’applicazione dell’unico criterio che produce una diminuzione del corrispettivo convenuto tale da “adeguarne” la misura alle carenze presentate dall’attribuzione patrimoniale della controparte: tale adeguatezza, infatti, altro non è che la fissazione di un prezzo che consenta la conservazione dell’equilibrio soggettivo dello scambio fissato delle parti, ciò che richiede che il medesimo sia ribassato proporzionalmente all’incidenza dei difetti sul prezzo pattuito. Riteniamo infatti che non possa dirsi “adeguata” o “congrua”, nel senso inteso dal legislatore comunitario, una riduzione del corrispettivo che, prescindendo dalla volontà di entrambe le parti, alteri il rapporto di corrispettività fra le attribuzioni patrimoniali fissato dai contraenti. Ove così non fosse, non rimarrebbe che ritenere che tali aggettivazioni siano volte ad evocare un giudizio equitativo, il quale però darebbe adito a gravi incertezze, ambiguità e disparità di trattamento, contravvenendo all’obiettivo di armonizzazione perseguito dalla direttiva 1999/44/CE e finendo di fatto per stimolare, anziché ridurre e prevenire, il contenzioso giudiziario61. “congrua”, utilizzati per definire la riduzione del prezzo, unitamente alla previsione secondo cui nel calcolo della riduzione deve tenersi conto dell’uso del bene, «sembrano denotare la volontà del legislatore di affidare la concreta determinazione della porzione di corrispettivo da “decurtare” a una valutazione “equitativa”, da condursi volta per volta alla luce delle peculiari caratteristiche del singolo caso concreto, e quindi non effettuabile esclusivamente sulla base di un unico, ben definito e predeterminato parametro di calcolo»; similmente motivata è la contrarietà di A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Consumatori e subfornitura, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti, V, Milano, 2014, p. 252, il quale pone particolare enfasi sul ruolo dell’indennità per l’uso del bene. Ma sul punto si veda il par. 4 del presente Capitolo. 61 Secondo G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 513 «la previsione secondo la quale la riduzione del prezzo deve essere “congrua”, potrebbe indicare […] che il rimedio previsto per la vendita di beni di consumo opera in modo diverso – ossia non secondo il criterio della proporzionalità […] – rispetto al corrispondente rimedio codicistico». D’altra parte, lo stesso illustre Autore, è costretto a riconoscere come, così opinando, non sia «agevole […] individuare quale possa essere questo diverso» modo, giacché criteri di computo differenti da quello relativo portano inevitabilmente alla modificazione della «funzione del rimedio». Ritiene che il metodo di calcolo della riduzione del corrispettivo concessa al consumatore dalla direttiva 1999/44/CE costituisca «un interrogativo aperto dalla disciplina europea», potendo le espressioni “adeguata” e “congrua” sottintendere l’abbandono del metodo proporzionale, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 601. Simili dubbi, peraltro, hanno motivo di esistere soltanto qualora non si condivida l’idea che la funzione della riduzione del corrispettivo esiga, per le ragioni che abbiamo tentato di ricostruire nel Capitolo 2 e nelle pagine precedenti, una determinazione proporzionale dell’aestimatio vitii. 158 CAPITOLO TERZO Una volta identificato nel metodo “relativo” l’unico criterio di calcolo in grado di dare pratica attuazione alla finalità della riduzione del corrispettivo, è necessario affrontare il tema – poc’anzi provvisoriamente accantonato – inerente all’esatta definizione dei due termini della proporzione che, unitamente al prezzo convenuto, consentono di giungere alla determinazione del prezzo ridotto: siamo chiamati, cioè, a riflettere su cosa si debba intendere per “valore reale” o “effettivo” del bene conforme e del bene non conforme, quale momento temporale debba essere considerato ai fini della loro rilevazione e quale riferimento spaziale vada all’uopo preso in considerazione. Quanto al primo profilo, non può dubitarsi che il valore rilevante ai fini del calcolo debba essere quello oggettivo di mercato62, poiché il riferimento al valore d’affezione63, soggettivamente ricollegato dalle parti alla cosa compravenduta, finirebbe per alterare la proporzione in tutti i casi in cui quest’ultimo non sia correlato all’integrità delle cosa e alla sua effettiva idoneità agli usi cui è destinata, bensì alla sua identità. La necessità di una valutazione oggettiva del valore del bene comporta, altresì, che ai fini in parola nessun rilievo può essere attribuito al prezzo che il compratore sarebbe stato disposto a pagare ove avesse conosciuto l’esistenza del difetto64, né al fatto che il venditore, qualora fosse stato a conoscenza del vizio, non avrebbe accettato la riduzione del prezzo o non l’avrebbe accettata nella proporzione in cui essa è concretamente applicata. Il modo di operare del rimedio, infatti, è eminentemente oggettivo e prescinde dalle considerazioni soggettive delle parti circa la conve62 Ciò, pertanto, equivale a dire che secondo tale parametro debbono essere determinati sia il valore del bene esente da difetti sia quello del bene effettivamente trasferito: ne consegue che, ad esempio, ove avvenga l’evizione parziale ovvero ricorra la vendita di una cosa in parte altrui, nessun rilievo può attribuirsi al fatto che la porzione materiale della res rivelatasi altrui ovvero oggetto di evizione corrisponda a una frazione di quella che le parti avevano dedotto in contratto: il valore della porzione effettivamente acquistata andrà dedotto dall’applicazione dei criteri di mercato, senza che possa in alcun modo procedersi a determinarne il valore applicando la frazione cui si è fatto cenno al valore dell’intero o, ancor peggio, al prezzo convenuto. 63 Sulla questione della rilevanza dell’Affektionsinteresse, v. MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, cit., Rn. 13; STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 17; F. PETERS, Praktische Probleme der Minderung bei Kauf- und Werkvertrag, in BB, 1983, p. 1951 s. 64 Ne consegue che, a nostro avviso, l’affermazione di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 813, secondo cui «la riduzione […] deve in tutti i casi corrispondere al minor prezzo che il compratore avrebbe pattuito se avesse conosciuto i vizi già alla conclusione del contratto», intanto può essere considerata corretta, in quanto essa venga riferita non al prezzo che il compratore avrebbe concretamente pattuito nell’eventualità considerata, ma a quello che sarebbe stato fissato dalle parti, ove il vizio fosse stato conosciuto, tenendo conto dell’incidenza percentuale del difetto sul valore oggettivo del bene. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 159 nienza dello scambio a seguito della modifica di questo, giacché esso si attua attraverso la conservazione obiettiva della proporzione fra le rispettive attribuzioni. Il valore oggettivo del bene cui si deve fare riferimento è costituito – come è stato messo in luce da ampia parte della dottrina germanica65 – dal valore di mercato (Verkehrswert) e non già dall’eventuale valore reddituale posseduto dalla cosa (Ertragswert). Peraltro, allorché il contratto di vendita abbia ad oggetto beni, quali un’azienda ovvero case d’abitazione destinate alla locazione, rispetto ai quali il valore reddituale costituisce parametro comune di valutazione66, il valore obiettivo del bene potrà senz’altro essere desunto sulla base dell’Ertragswert ritraibile dalla cosa67. Riguardo al momento temporale con riferimento al quale va operata la rilevazione del valore della cosa, contrariamente a quanto accaduto a seguito della Schuldrechtsmodernisierung del 2002 in Germania, allorché il legislatore ha posto termine alla discussione sorta sotto la vigenza del precedente § 472 aF BGB68 identificandolo in quello della conclusione del contratto, il codice civile italiano serba in proposito il più rigoroso silenzio. Nonostante ciò, a noi sembra che, sia con riferimento alle fattispecie regolate dal codice civile sia in relazione a quelle cui trova applicazione la disciplina consumeristica, il parametro temporale rilevante debba essere il 65 Cfr., ad esempio, STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 19 ss.; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 13; BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, in Beck-Online, Rn. 9; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 441, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 6. 66 STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 20 precisa, infatti, come «die Rspr verkennt nicht, dass der Ertrag regelmäßig nur einer von mehreren Bewertungsfaktoren ist; doch ist die Ertragswertmethode bei Mietshäusern und Unternehmen heute vorherrschend». 67 Peraltro, a nostro avviso, laddove proprio il valore reddituale della cosa abbia costituito oggetto di un’espressa pattuizione fra le parti (ciò che, per inciso, sembra riguardare principalmente contratti di vendita sottratti all’applicazione della disciplina consumeristica, in ragione dell’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione di tale ultima normativa), esso deve essere considerato come qualità promessa, rilevante ai sensi dell’art. 1497 c.c. ovvero dell’art. 129, comma 2, lett. d), c.cons, sicché la mancata corrispondenza fra reddito promesso e reddito effettivo legittimerà senz’altro la riduzione del corrispettivo sulla base del valore reale del bene desunto anche attraverso il riferimento all’Ertragswert. 68 L’opinione maggioritaria era comunque già orientata nel senso della rilevanza del momento di conclusione del contratto di vendita (cfr. la lapidaria affermazione di STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 472, cit., Rn. 9: «maßgeblicher Zeitpunkt für die Festsetzung des Wertverhältnisses ist der Verkauf»), e non per quello della consegna del bene. Nella letteratura italiana, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 812, nt. 108, pur nell’ottica, errata, della natura risarcitoria del rimedio. Nel senso qui propugnato parrebbe, inoltre, la risalente Cass. 6 febbraio 1952, in Mass. Giur. it., 1952, c. 78, n. 286. 160 CAPITOLO TERZO medesimo accolto dal BGB69, giacché è proprio nell’istante della conclusione del negozio che le parti danno vita al rapporto sinallagmatico fra le attribuzioni patrimoniali e viene fissato il prezzo di vendita in rapporto al quale deve essere operata la riduzione70. Invero, valorizzando il momento, eventualmente non coincidente, della consegna del bene71, come invece prescrive la CISG 72, si verrebbe a introdurre una potenziale distorsione nel meccanismo di calcolo della diminuzione del corrispettivo, di talché per il compratore – in ragione dell’eventualità che il valore, nelle more della consegna, sia aumentato ovvero diminuito – può essere più o meno conveniente esperire il rimedio: al contrario, nell’ottica della conservazione proporzionale dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, così come il prezzo del bene non può che essere quello stabilito al tempo della conclusione del negozio, altrettanto varrà in ordine al valore della cosa. Peraltro, a nostro avviso, l’adozione del metodo proporzionale di calcolo che sopra si è illustrato consente di considerare tendenzialmente fungibili i due istanti della conclusione del contratto e della consegna, sicché nei casi in cui la compravendita abbia ad oggetto merci ancora da fabbricare o comunque beni futuri potrà senz’altro farsi riferimento al tempo 69 Il § 441, comma 3, BGB, come si è visto, fa letterale riferimento proprio allo «Zeit des Vertragsschlusses». Su questa indicazione v. STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., p. Rn. 26. 70 Lo nota giustamente anche C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo, in Le nuove leggi civ. comm., 2006, p. 199. 71 In questo senso si vedano, rifacendosi al fatto che la conformità del bene deve essere valutata al momento della consegna e non a quello della conclusione del contratto, le opinioni espresse da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 447; E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 133; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger Busnelli, Milano, 2004, p. 459. Per la rilevanza del momento della denunzia del difetto di conformità, infine, cfr. l’isolata opinione di M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, La vendita di beni di consumo, cit., p. 286. 72 L’opzione per il momento della consegna è stata accolta dalla Convenzione di Vienna del 1980, la quale sul punto ha adottato (su sollecitazione delle delegazioni di Norvegia e Finlandia, condivisa anche dal rappresentante francese) una soluzione difforme sia dal progetto UNCITRAL sia dalla LUVI, entrambe volte a dare rilevanza al momento della conclusione del contratto. La ragione di tale scelta si fonda, secondo gli Official Records, United Nations Conference on Contracts for the International Sale of Goods, I, New York, 1981, p. 118, sulla considerazione per cui il riferimento alla consegna renderebbe più semplice per il compratore valutare la convenienza della riduzione del prezzo rispetto al rimedio risarcitorio e, inoltre, eviterebbe il problema derivante dalla possibile inesistenza dell’oggetto al tempo del perfezionamento del vincolo negoziale. In argomento, v. l’approfondita disamina di A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 189 ss. nonché R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 239. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 161 della consegna degli stessi. Infatti, salvo casi eccezionali73, l’eventuale oscillazione del valore della cosa nel tempo compreso fra la stipulazione del contratto e il ricevimento dell’oggetto acquistato da parte del compratore non altera il rapporto esistente fra il valore che questo possiede se integro e quello derivante dalla presenza del difetto di conformità74. Il legislatore del 1942, al pari di quello comunitario, nessun indizio ha poi fornito rispetto al luogo con riferimento al quale deve essere condotta la rilevazione del valore del bene ai fini del calcolo del quantum della riduzione del corrispettivo. Il silenzio serbato sul punto dalle disposizioni vigenti nel nostro ordinamento rispecchia, peraltro, quello esistente nello stesso codice civile tedesco nonché nell’articolato della Convenzione internazionale in materia di Sale of Goods75. Sul tema qui trattato, la letteratura riguardante la codificazione civile germanica sembra manifestare una preferenza per la rilevanza dell’Erfüllungsort 76, ancorché tale opzione non sia supportata da motivazioni. Invero, a fronte dell’inesistenza di dati letterali vincolanti nelle disposizioni considerate, si è ritenuto che la soluzione dovesse essere ricercata dall’interprete attraverso la scelta fra cinque possibili soluzioni: il luogo di conclusione del contratto, quello di destinazione dei beni che ne costituiscono l’oggetto77, quello di consegna oppure, infine, quello in cui si trovano la sede del compratore78 o del venditore. Benché anche in questo caso, salvo eventi eccezionali, l’utilizzo del metodo di calcolo relativo consenta di concludere per una tendenziale equivalenza dei risultati raggiungibili attraverso l’applicazione dei diversi criteri appena elen73 In riferimento ai quali vale senz’altro la regola fondamentale che àncora la valutazione al momento della conclusione del negozio di compravendita. 74 In un ordine di idee assimilabile al nostro v. le osservazioni di F. BONELLI, La responsabilità per danni, in G. ALPA - M. BESSONE, La vendita internazionale, Milano, 1981, p. 298 s., nt. 81. 75 Riguardo a quest’ultima, peraltro, i già citati Official records registrano l’esistenza di una approfondita discussione in merito all’identificazione del luogo rilevante ai fini de quibus, nel corso della quale taluni Stati avevano proposto, senza esito, l’inserzione del riferimento «al luogo della consegna della cosa» o «al luogo della sede ovvero della residenza del compratore». In argomento cfr. M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UNKaufrecht (CISG), Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2000, p. 392; R. DE NICTOLIS, sub art. 50, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, cit., p. 239; 76 Si vedano STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 27 e BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, in Beck-Online, Rn. 9. 77 Con la locuzione “luogo di destinazione dei beni”, coniata con riferimento alla CISG – laddove il trasporto delle merci compravendute costituisce un’eventualità assai frequente – si designa il luogo nel quale il compratore utilizzerà il bene, onde distinguerlo dal luogo in cui avviene la consegna in senso giuridico ai sensi dell’art. 31 CISG. 78 Lo esclude SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., Rn. 12. 162 CAPITOLO TERZO cati, sembra di poter aderire alla tesi che, in relazione alle ipotesi in cui la cosa debba essere trasportata, ricollega il valore del bene rilevante ai fini della determinazione della riduzione del prezzo a quello che lo stesso possiede nel luogo di destinazione, giacché «goods that have been dispatched to a particular place derive their economic value after dispatch from their destination and not from the place of dispatch»79. L’opinione, resa con riferimento alla disciplina dell’art. 50 CISG, si palesa tanto più condivisibile laddove si noti, ulteriormente, come il luogo di destinazione coincida con lo spazio nel quale, normalmente, avverrà l’utilizzo del bene sicché proprio tale luogo segna e definisce l’utilità della cosa per il compratore, la quale costituisce il parametro sul quale costui basa la propria “disponibilità a pagare”, che si riverbera sulla determinazione del prezzo d’acquisto. Né il fatto che la cosa non debba essere trasportata sembra possa infirmare la correttezza di tale riferimento spaziale, benché in tal caso taluni facciano riferimento al luogo della consegna80. Piuttosto, sembra di poter avvertire che il criterio appena descritto ben si attagli soltanto alle compravendite che abbiano ad oggetto beni il cui utilizzo avvenga in un ben preciso luogo, risultando non pienamente soddisfacente qualora invece – come nel caso di molti beni di consumo – l’uso degli stessi avvenga prescindendo da una ben determinata collocazione spaziale: in tali ipotesi, pertanto, in considerazione della funzione della riduzione del corrispettivo, riterremmo opportuno fare riferimento al luogo del domicilio o della sede del compratore. Prima di concludere l’analisi delle metodologie di calcolo di tipo relativo sembra necessario mettere in luce come il necessario riferimento al valore reale dei beni contrattati81 e le articolate soluzioni che abbiamo 79 Sono parole di SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, New YorkOxford, 2010, p. 623. Nello stesso senso cfr. altresì STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50, in Wiener UN-Kaufrecht, Berlin, 2012, Rn. 22 ove si legge: «beim Versendungskauf und beim Verkauf auf dem Transport befindlicher Ware muß es aber auf die Wertverhältnisse am Bestimmungsort ankommen, an dem die Ware genutzt werden und für den kaufer ihren Wert haben soll». Nel senso della rilevanza del luogo in cui si trova la sede del compratore, invece, v. B. VON HOFMANN, Gewährleistungsansprüche im UN Kaufrecht, in P. SCHLECHTRIEM, Einheitliches Kaufrecht und nationales Obligationenrecht, Baden Baden, 1987, p. 301. 80 Così si esprimono, con riferimento alla CISG, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti: cfr. OLG Graz 9 novembre 1995, in CISG-online n. 308; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50, cit., Rn. 22; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MÜLLER-CHEN, sub art. 50, cit., p. 623. Sempre con riferimento al luogo di destinazione, invece, WILL, sub art. 50, in C.M. BIANCA M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, Milano, 1987, p. 373. 81 Speciale difficoltà riveste, in particolare, l’identificazione del valore effettivo della prestazione difettosa, giacché – soprattutto per quanto attiene ai difetti materiali – di frequente non esiste un prezzo di mercato relativo agli oggetti viziati. Peraltro, con riferimento all’ipotesi di consegna di un’auto avente un chilometraggio reale assai superiore a quello dichiarato, una recente pronuncia di merito (Trib. Trento 30-10-2014, in Pluris) ha accordato al LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 163 appena esposto riguardo al tempo e al luogo rilevanti ai fini della loro applicazione costituiscano un notevole appesantimento del procedimento che conduce all’attuazione del rimedio della riduzione del corrispettivo, spesso richiedendo conoscenze che trascendono quelle proprie dell’uomo medio ed evocando indirettamente la necessità di un accertamento giudiziale o peritale82. Tali inconvenienti rivestono certamente un peso rilevante nella scelta del mezzo di tutela che il compratore si determina a far valere, sicché non è inutile chiedersi se un differente metodo di calcolo possa garantire il conseguimento del risultato della conservazione del rapporto sinallagmatico fra le prestazioni delle parti, tipico del metodo relativo, senza sollevare le problematiche applicative cui si è accennato. Al primo dei quesiti così sollevati possiamo dare, senz’altro, risposta positiva. Invero, il criterio di calcolo che in apertura del presente Capitolo abbiamo denominato “metodo G” garantisce il raggiungimento di risultati identici a quelli cui conducono le metodologie relative senza richiedere la rilevazione dei due valori reali che esse invece pongono a fondamento del computo, limitandosi infatti a esigere che sia determinata l’incidenza percentuale del difetto presentato dalla res sul valore che questa avrebbe avuto ove il difetto non fosse sussistito. Né si dica che tale metodo “proporzionale puro”, nel richiedere la determinazione della percentuale di incidenza del difetto sul valore del bene costringa, in sostanza, a operare i medesimi passaggi valutativi insiti nei metodi relativi, giacché esso opera un’inversione logica per cui la percentuale di corrispettivo da ridurre non è dedotta dal rapporto fra i valori di mercato bensì direttamente dal grado di incidenza del difetto. A noi pare, pertanto, che il metodo in discorso debba essere considerato perfettamente compratore la riduzione del prezzo nella misura risultante dal valore di mercato della stessa, facendo «applicazione del criterio di stima dell’usato indicato nell’allegata rivista specializzata del settore». Invero, tale procedimento finisce per incorrere nello stesso errore che è alla base dei metodi assoluti, imponendo alle parti un prezzo ridotto pari a quello di mercato e, pertanto, non necessariamente in grado di assicurare il rispetto del principio di equivalenza soggettiva delle reciproche attribuzioni patrimoniali, sicché intanto esso potrà essere concretamente applicato soltanto in quanto il prezzo originario del bene dedotto in contratto fosse stato determinato proprio in maniera coincidente con quello di mercato (come spesso accade per i contratti di vendita fra imprese aventi ad oggetto materie prime). Qualora ciò non sia avvenuto, invece, sarà necessario fare ricorso al metodo relativo (come si dirà poco oltre) o a quello proporzionale puro. 82 Simili osservazioni sono state avanzate anche da A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 274 s., il quale però, partendo da queste condivisibili affermazioni e pur accedendo all’idea dell’adozione del metodo proporzionale puro (v. infra nel testo), giunge a ritenere che la quantificazione della riduzione, in ragione della natura tecnica della valutazione, «deberá operar necesariamente mediante una actividad de peritaje» (p. 275). 83 Nel senso dell’applicazione esclusiva del metodo proporzionale puro, v. invece A. FERRANTE, La Reducción del Precio en la Compraventa, cit., p. 275 ss. 164 CAPITOLO TERZO fungibile83 con quello relativo che abbiamo poc’anzi indicato come l’unico idoneo a dare attuazione al rimedio estimatorio84. La sua pratica applicazione si renderà particolarmente utile laddove la modesta rilevanza economica dello scambio sconsigli il ricorso a complesse e costose analisi volte alla rilevazione del valore teorico del bene dedotto in contratto e concretamente trasferito. 2.4. La riduzione del prezzo secondo equità Nonostante nel paragrafo precedente siamo pervenuti all’identificazione della più soddisfacente metodologia di calcolo della riduzione del prezzo, la quale si è dimostrata in grado non soltanto di conservare il rapporto di valore fra le prestazioni rispetto al quale le parti hanno manifestato la propria volizione al tempo della conclusione del contratto, ma altresì di porre il minor numero di problemi pratici riguardo alla materiale operazione di computo, non è inutile dedicare qualche ultima osservazione alla possibilità che la determinazione dell’incidenza del difetto sull’ammontare del corrispettivo che il compratore è tenuto a pagare sia rimessa ad una valutazione equitativa (metodo H). Sgombriamo subito il campo da equivoci, puntualizzando come intanto possa farsi riferimento all’equità in quanto della stima del vizio sia investita l’autorità giudiziaria, giacché, da un canto, qualora la riduzione del corrispettivo avvenga a seguito dell’esercizio stragiudiziale del diritto potestativo da parte dell’acquirente, egli provvede ad esprimere una valutazione dell’incidenza del difetto coerente con i criteri “legali” sopra individuati e, dall’altro, anche qualora egli si limiti a manifestare la volontà di ridurre il prezzo omettendone l’esatta determinazione, deve rite84 Tale metodo di calcolo conta almeno un precedente nella nostra giurisprudenza di legittimità, rappresentato da Cass. 16 novembre 1978, n. 5297, la cui massima recita come segue (il corsivo è nostro): «La riduzione del prezzo, prevista dall’art. 1492 c.c., va operata diminuendo il prezzo pattuito di una percentuale pari a quella che rappresenta la menomazione che il valore effettivo della cosa subisce a causa dei vizi di essa». Il ricorso al metodo proporzionale puro si può ritrovare anche nel pensiero di un illustre Autore: cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410 (ove, con riferimento all’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui, si legge che «la riduzione del prezzo […] va operata attraverso una diminuzione della somma dovuta nella stessa misura percentuale in cui decresce il valore della proprietà del bene»), p. 450 (allorché, trattando della diminuzione del corrispettivo spettante all’acquirente ai sensi dell’art. 1489 c.c., si rileva come questa vada «effettuata riducendo il prezzo contrattuale (non già il valore di mercato del bene) nella stessa percentuale della diminuzione di valore del bene conseguente alla presenza della limitazione») e p. 489 (in cui l’azione estimatoria ex art. 1492 c.c. è detta operare «come al solito, riducendo il prezzo nella stessa misra percentuale in cui il difetto incide sul valore del bene integro, al fine di mantenere inalterato l’iniziale rapporto di equivalenza tra cosa e prezzo contrattuale»). LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 165 nersi che la concreta definizione del quantum da ridurre debba essere operata in aderenza a tali criteri85. Né di equità può parlarsi allorché l’aestimatio vitii sia – già al tempo della denunzia o in esito a una trattativa più o meno articolata – operata concordemente dalle parti, giacché – così facendo – esse esercitano la propria autonomia privata e non già danno luogo a una valutazione ispirata all’equitas. Non esiguo è il numero di decisioni giurisprudenziali che fanno appello alla valutazione equitativa del giudice al fine di determinare il prezzo che il compratore è tenuto a pagare in conseguenza delle difformità presentate dall’oggetto del contratto. Un esempio particolarmente significativo in questo senso è dato da Cass. 6 ottobre 2000, n. 13332, la quale, partendo dal presupposto secondo cui la legge non imporrebbe – almeno esplicitamente – particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta in conseguenza della riduzione del prezzo, ha ritenuto che «il ricorso a criteri equitativi e al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, [sia] consentito in questa materia sia in conformità all’origine e alla tradizione storica dell’actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno»86. Come si è avuto modo di osservare più volte in precedenza, l’idea secondo cui il ricorso alla quantificazione equitativa sarebbe conforme all’origine storica e alla funzione del rimedio estimatorio è radicalmente priva di fondamento: l’analisi storica condotta nel Capitolo 1 rivela anzi che fin dalla sua nascita essa ha conosciuto precise metodologie di calcolo dell’aestimatio vitii e gli stessi ordinamenti moderni non paiono fare alcun esplicito appello a tale fonte determinativa. Ne consegue che in nessun modo la tradizione dell’istituto può essere invocata al fine di imporre la quantificazione equitativa della riduzione del corrispettivo. Piuttosto, con riferimento all’ordinamento interno, è proprio l’art. 1226 c.c. – seppur dettato per la differente materia risarcitoria – a rivelare quale ruolo possa rivestire la valutazione secondo equità con riferimento al tema che ci occupa. Così come tale disposizione consente il ricorso alla liquidazione del danno in aderenza al canone dell’equità in tutte le ipotesi in cui sia impossibile provare l’esatto ammontare del 85 Cfr. supra Capitolo 2 e, infra, par. 3 con riferimento all’ipotesi di esercizio del diritto non accompagnato dalla determinazione della riduzione del corrispettivo da operare e circa gli effetti di una dichiarazione di riduzione del prezzo difforme da quella cui condurrebbe l’applicazione dei metodi “legali” di calcolo. 86 Identica è la statuizione contenuta in Cass. 25 ottobre 1974, n. 3156. 166 CAPITOLO TERZO danno patito, di tale canone potrà farsi applicazione anche al fine della rideterminazione del corrispettivo dovuto a seguito dell’esercizio del rimedio estimatorio nei casi in cui, nonostante il ricorso a consulenze tecniche e ad ogni pertinente mezzo di prova, non sia dato raggiungere una certezza in ordine alla precisa incidenza da riconoscere al difetto sul valore della cosa e, correlativamente, sulla misura del prezzo pattuito. In altre parole, al criterio equitativo può riconoscersi cittadinanza soltanto quale criterio secondario e suppletivo, la cui applicazione deve avere luogo limitatamente alle ipotesi con riferimento alle quali «la percentuale di riduzione non possa essere stabilita nel preciso ammontare»87. Rimane soltanto da chiedersi se tanto possa dirsi anche con riferimento alla Convenzione di Vienna e sembra che l’interrogativo possa essere senz’altro sciolto in senso positivo: infatti, se è certo che nessuna formula di calcolo della riduzione del corrispettivo diversa da quella indicata all’art. 50 CISG può essere ammessa88, d’altro canto abbiamo appena riconosciuto come il ricorso all’equità possa e debba avvenire soltanto allorché sia impossibile giungere a un risultato concludente attraverso l’impiego dei metodi ordinariamente applicabili, sicché il rigoroso rispetto di tale canone applicativo non rischia in alcun modo di porsi in contrasto con il diritto uniforme. 3. La dichiarazione di riduzione del prezzo che non ne determini l’ammontare o lo determini in misura differente rispetto al risultato dell’applicazione dei criteri “legali” Una delle questioni applicative più rilevanti che si pongono, una volta che sia stato riconosciuto al compratore il diritto di provocare la riduzione del corrispettivo a mezzo di una propria dichiarazione di volontà unilaterale stragiudiziale, è quella relativa agli effetti che debbono ascriversi alla manifestazione di volontà di ridurre il prezzo non accompagnata da alcuna determinazione della sua misura89 e a quella che quan87 Le parole fra virgolette sono tratte dalla già citata Cass. 16 novembre 1978, n. 5297, la cui massima è riportata supra alla nota 84. Tale impossibilità, contrariamente a quanto ritenuto da Cass. 6 ottobre 2000, n. 13332 (citata poc’anzi nel testo), non va intesa come mera notevole difficoltà «in relazione alle particolarità del caso, alle risultanze processuali, alle posizioni difensive delle parti» ma va identificata con la situazione in cui qualunque sforzo determinativo razionalmente proporzionato al valore della controversia sia infruttuoso o appaia destinato a rivelarsi tale. 88 In tal senso v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 20; Pretore di Locarno Campagna, 27 aprile 1992, in CISG-online n. 68. 89 Nel corso del presente paragrafo designeremo tale fattispecie come dichiarazione di riduzione del prezzo “pura”. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 167 tifichi la riduzione indicando un importo diverso da quello che risulterebbe dall’applicazione dei criteri proporzionali che abbiamo visto essere propri del rimedio estimatorio90. L’importanza del tema non è affatto di poco momento, non essendo certo necessario fare appello alla consultazione dei repertori per immaginare come, per l’influenza di numerosi fattori, i compratori che riscontrino difetti qualitativi, quantitativi o “giuridici” nei beni acquistati siano frequentemente indotti a discostarsi, nell’operazione di stima del “vizio,” dalla quantificazione che risulterebbe qualora fosse impiegato il metodo di calcolo proporzionale ovvero a limitarsi a richiedere puramente e semplicemente la parziale decurtazione della somma da corrispondere. In questa seconda evenienza, l’acquirente fa valere il mezzo di tutela senza però procedere alla quantificazione dell’ammontare della pretesa conseguente, ciò che a noi pare non possa in alcun modo inficiare validità ed efficacia della dichiarazione di esercizio del diritto potestativo91, la medesima risultando integrata92 dall’operare dei criteri “legali” di calcolo, da un lato, sanciti dall’espresso dettato dell’art. 50 della Convenzione di Vienna e, dall’altro, implicitamente sottesi ai referenti normativi di diritto interno in ragione di quanto detto poc’anzi. La dichiarazione con la quale il compratore esprime la volontà di avvalersi del rimedio esti90 Questo secondo tema non sembra avere riscosso attenzione nella nostra letteratura. Ciò, peraltro, è legato al fatto che l’opinione dominante nella dottrina e nella giurisprudenza del nostro Paese riguardo alla natura giuridica dell’atto di esercizio della riduzione del prezzo consentita ai sensi degli artt. 1480, 1484, 1489 e 1492 c.c. è nel senso della sua qualificazione quale diritto potestativo ad esercizio giudiziale (cfr. Capitolo 2), ciò che comporta l’avocazione al giudice della determinazione del quantum della riduzione e, quindi, riduce considerevolmente la rilevanza del tema posto nel testo. 91 Nello stesso senso, v. per tutti BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, Rn. 6, il quale appunto scrive che «Die Minderung muss in der Minderungserklärung nicht beziffert werden; es genügt die Erklärung, „zu mindern“. Denn die Höhe der Minderung ergibt sich aus dem Gesetz». 92 Il meccanismo integrativo cui si fa riferimento nel testo è quello sancito nell’ordinamento italiano dall’art. 1374 c.c., «il quale prevede che, se le parti hanno lasciato delle lacune nel regolamento negoziale, […] queste siano colmate, nell’ordine, attraverso la legge (suppletiva), gli usi e, in mancanza anche di questi ultimi, con l’equità» (G. CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, p. 196, oggetto di riproduzione anastatica Napoli, 2013). Tale regola, in forza del noto disposto dell’art. 1324 c.c., è applicabile altresì agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, fra i quali rientra senz’altro l’atto di esercizio del diritto potestativo di riduzione del corrispettivo. Benché il criterio determinativo della riduzione del corrispettivo non sia espressamente sancito a livello legislativo dal codice civile e da quello del consumo, cionondimeno può dirsi operante l’intergrazione in discorso in considerazione del fatto che – come abbiamo visto nella pagine che precedono – l’adozione del metodo relativo di calcolo è sostanzialmente necessitata dalla funzione stessa della quanti minoris e, quindi, può dirsi penetrata nell’ordinamento per il solo fatto della previsione legislativa del rimedio estimatorio. 168 CAPITOLO TERZO matorio, esercitando il relativo diritto potestativo riconosciutogli, può avere, in sostanza, un contenuto semplice o complesso, a seconda che costui si limiti a manifestare la propria determinazione di ricorrere alla riduzione del corrispettivo ovvero, oltre a fare ciò, proceda altresì a fissare l’ammontare della decurtazione. Non sembra, quindi, possibile ritenere che la dichiarazione “pura” sia improduttiva di effetti giacché l’ordinamento prevede una apposita regolamentazione del calcolo dell’aestimatio vitii e la relativa lacuna dell’atto negoziale di esercizio del diritto di diminuzione del prezzo può e deve essere colmata attraverso l’applicazione di tale regolamentazione: pertanto la dichiarazione “pura” produce interamente e senza eccezioni tutti gli effetti tipici della riduzione del prezzo93. Differente è la situazione che si produce nell’eventualità in cui l’acquirente, pur procedendo a quantificare la riduzione, lo faccia – dolosamente, colposamente o anche senza colpa, ciò non rilevando in questa sede – in una misura diversa da quella che risulterebbe dall’applicazione dei più volte menzionati criteri; quando ciò accade, l’esercizio del relativo diritto potestativo avviene secondo modalità difformi rispetto a quelle normali, ciò che potrebbe indurre l’interprete a concludere frettolosamente nel senso che la dichiarazione di volontà del compratore sia radicalmente improduttiva di effetti. Una simile conclusione non è, però, ragionevole. Come risulta dal fatto che la quantificazione dell’ammontare della riduzione può anche mancare, la dichiarazione de qua è scomponibile in due distinti enunciati, di cui il secondo (la quantificazione, appunto) è accessorio rispetto al primo, sicché – facendo applicazione del principio di conservazione degli atti negoziali, alla cui stregua utile per inutile non vitiatur – essa, a dispetto dell’intento manifestato dall’acquirente, non potrà far soggiacere il venditore alla riduzione del corrispettivo dovuto nella misura desiderata dal dichiarante, ma neppure sarà totalmente improduttiva di effetti. 93 È appena il caso di notare come nella letteratura inglese in materia di riduzione del prezzo, con riferimento alla Section 48C SoGA (e altrettanto, con ogni probabilità, avverrà in relazione alla recente Section 24 del Consumer Rights Act 2015) si tenda a ritenere (cfr. M.G. BRIDGE, The Sale of Goods, cit., p. 706 s.) che la stima del difetto sia per intero rimessa all’iniziativa del venditore mentre sul compratore gravi l’onere della prova dell’errata quantificazione della riduzione. Come già scritto in precedenza, nel Capitolo 2, a noi pare che una simile opinione, benché possa trovare un addentellato nel fatto che il dettato letterale della disposizione citata fa riferimento al diritto del compratore non già di ridurre il prezzo ma di richiedere al venditore «to reduce the purchase price of the goods in question to the buyer by an appropriate amount», contrasti palesemente con il principio di effettività del diritto comunitario e con le finalità di tutela del consumatore della direttiva 1999/44/CE, pregiudicando fortemente la posizione di quest’ultimo il quale viene gravato dell’onere di una prova per lui assai difficile da assolvere. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 169 Deve ritenersi, in particolare, che – fermo il prodursi degli effetti tipicamente propri dell’esercizio del diritto94 – la fissazione dell’aestimatio vitii in misura diversa da quella legale abbia sostanzialmente il significato di una proposta di conclusione di un accordo relativo alla determinazione consensuale della decurtazione, facendo sorgere in capo al venditore un’obbligazione restitutoria provvisoriamente illiquida ovvero rendendo temporaneamente tale l’obbligazione di prezzo che l’acquirente debba ancora adempiere totalmente. Qualora la controparte accetti95 la proposta in discorso, le parti daranno luogo alla liquidazione pattizia della riduzione del corrispettivo, la quale avrà luogo nell’esatto ammontare fissato in forza del patto96. Ove, invece, egli rifiuti espressamente la determinazione effettuata dal compratore così come allorché, più radicalmente, contesti l’esistenza del difetto dell’attribuzione patrimoniale o la spettanza della riduzione del prezzo ovvero ancora richieda il pagamento dell’intero prezzo o proponga una decurtazione in misura diversa, l’accordo in ordine alla liquidazione pattizia della riduzione non si perfezionerà, sicché esso verrà sostituito dall’operare dei criteri determinativi legali. Peraltro, come avremo modo di approfondire nel corso del Capitolo 4, tale contegno potrà anche consentire all’acquirente di esercitare un diverso mezzo di tutela. 4. L’irrilevanza dell’uso del bene da parte del compratore ai fini della quantificazione della riduzione del corrispettivo Nel regolare le conseguenze restitutorie dell’esperimento dei rimedi sussidiari, l’art. 130, comma 8 c.cons. prevede che la determinazione del94 Pertanto, tale dichiarazione è pienamente atta a interrompere il decorso del termine prescrizionale. 95 Tale accettazione può essere esplicita, ma anche essere dedotta implicitamente dal contegno del venditore, il quale – ad esempio – si limiti a pretendere il residuo prezzo nella misura risultante dalla decurtazione proposta dal compratore. 96 Deve ritenersi che tale conseguenza si produca anche nella (peraltro, crediamo, non frequente) ipotesi in cui – pur non manifestando un’espressa adesione – il venditore non faccia constare in alcun modo il proprio dissenso rispetto alla determinazione del quantum della riduzione proposto dal compratore, giacché, date le circostanze e il fatto che l’attuazione del rimedio fatto valere da costui non può rimanere indefinitamente sospesa a causa del contegno assunto dal venditore, il dovere di buona fede gravante su quest’ultimo lo onera di far constare la propria posizione. D’altronde, da tempo, la dottrina e la giurisprudenza sono propense a valutare la “concludenza” del silenzio serbato da un contraente in relazione alle ipotesi in cui, in ragione della vigenza di un rapporto già instaurato e del dovere di buona fede, questi deve considerarsi “onerato” del dovere di far constare la propria volontà rispetto a quanto espresso dalla controparte (cfr. V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 2001, p. 202 s. e Cass. 16 marzo 2007, n. 6162). 170 CAPITOLO TERZO l’importo della riduzione del prezzo – al pari della quantificazione della somma da restituire in caso di risoluzione – debba avvenire tenendo conto anche dell’«uso del bene»97. La disposizione appare, già prima facie, quantomeno originale, dal momento che di una simile previsione non v’è traccia non soltanto nella disciplina codicistica delle garanzie per vizi98 ed evizione, ma neppure in quella, assai più articolata, contenuta nell’art. 50 CISG. Di più: non è affatto chiaro per quale motivo nella determinazione del quantum della riduzione del corrispettivo dovrebbero rilevare, quali fattori da portare in detrazione sull’importo della riduzione calcolato in base al metodo adottato, i vantaggi ritratti dal consumatore dall’utilizzo della cosa nelle more fra la consegna e l’esperimento del rimedio o l’eventuale diminuzione di valore della stessa in ragione dell’uso99, giacché ciò comporterebbe l’obbligo per il compratore di “indennizzare” il professionista per l’uso di un bene che gli appartiene100 (e del quale non intende perdere la disponibi97 Come si dirà amplius nel testo, la disposizione de qua è stata introdotta dal legislatore italiano sulla base del quindicesimo Considerando della direttiva 1999/44/CE, il quale riconosceva agli Stati membri la facoltà di «prevedere che il rimborso al consumatore può essere ridotto, in considerazione dell’uso che quest’ultimo ha fatto del bene dal momento della consegna». 98 In proposito, la consultazione del progetto ministeriale del Libro delle obbligazioni consente di riscontrare come originariamente, con riferimento alla sola risoluzione conseguente all’operare della garanzia per vizi, esso contenesse una disposizione (l’art. 332) la quale faceva obbligo al compratore di «restituire la cosa con gli utili ricavati nel frattempo», al contempo onerando il venditore di restituire il prezzo con gli interessi legali dal giorno del pagamento. In proposito v. le osservazioni di A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 334 s. L’art. 1493, comma 2 c.c., invece, prevede soltanto che, a seguito della risoluzione, «il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi», nulla disponendo per l’uso, la diminuzione di valore e i deterioramenti (v. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-1494, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 269) sia in caso di risoluzione, sia in quello di riduzione del prezzo. Sul punto si tornerà infra nel testo. 99 Secondo A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 92, il computo della riduzione del prezzo dovrebbe avvenire tenendo conto soltanto del primo correttivo, consistente nelle utilità conseguite dal consumatore attraverso l’uso del bene; su una linea di pensiero non dissimile, v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo, in Le nuove leggi civ. comm., 2006, p. 228 e A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», in Europa dir. priv., 2003, p. 455. Ad avviso di F. BOCCHINI, sub art. 1519quater, in ID., La vendita di cose mobili, cit., p. 457 s. e M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 288, invece, dovrebbe tenersi conto altresì della perdita di valore del bene conseguente all’utilizzo del medesimo da parte del consumatore. 100 Né è destinato a ritornare nella sfera giuridica dell’alienante a seguito dell’esperimento della riduzione del prezzo, contrariamente a quanto accadrebbe qualora l’acquirente si determinasse ad esercitare l’azione di risoluzione del contratto. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 171 lità) e il cui utilizzo, pertanto, è avvenuto in maniera pienamente legittima101, quale esplicazione del diritto dell’acquirente sul bene. Per vero, il valore d’uso del bene, unitamente ai frutti che il medesimo abbia prodotto102, costituisce tipicamente oggetto delle obbligazioni restitutorie che possono scaturire dalla risoluzione o dall’invalidità di un contratto traslativo103 già eseguito104. Una disciplina di questo segno, infatti, è espressamente prevista dall’art. 84 CISG105, il quale – nel regolare gli effetti dell’avoidance of the contract – pone a carico del compratore l’obbligo di restituire «all benefits which he has derived from the goods or part of them»106, comunemente interpretato quale completamento107 degli obblighi restitutori primari sanciti dall’art. 81, comma 2 della medesima Convenzione. Volgendo lo sguardo ai diritti nazionali, si può riscontrare come una disciplina di contenuto analogo sia vigente in Germania, laddove la 101 Lo notano, ex plurimis, anche E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Artt. 1519-bis - 1519-nonies. Della vendita di beni di consumo, cit., p. 134; C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo, cit., p. 229, il quale ritiene che «la disposizione [sia] di difficile comprensione»; L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 450 ss., ad avviso dei quali la decisione del legislatore italiano di imporre tale considerazione dell’uso della cosa è stata «un’infelice iniziativa»; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 849 s. 102 L’uso del bene si distingue dalla percezione dei frutti per il fatto di non consistere nell’acquisizione di utilità distinte ed autonome rispetto alla res. 103 Deve essere avvertito come, nei contratti che non trasferiscono all’accipiens il godimento del bene e la facoltà di acquisirne i frutti (si pensi, ad esempio, al deposito), il problema della restituzione di tali utilità non si ponga nei medesimi termini che si vengono esponendo nel testo, giacché la pretesa alla restituzione di queste non scaturisce dalla sopravvenuta inefficacia del titolo, bensì dall’originaria assenza di legittimazione all’appropriazione dei frutti e al godimento della cosa da parte di costui. 104 Sul tema cfr. da ultimo E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 318 ss. e p. 396 ss. 105 Con riferimento a tale disposizione v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 84 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013; J.O. HONNOLD, Uniform Law for International Sales under the 1980 United Nations Convention, The Hague, 1999, p. 515 ss.; M. BRIDGE, The Nature and Consequences of Avoidance of the Contract Under the United Nation Convention on the International Sale of Goods, in International Law Review of Wuhan University, 2008-2009, p. 118 ss. 106 Cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 84 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn 14. 107 Espressivamente, J.O. HONNOLD, Uniform Law for International Sales under the 1980 United Nations Convention, cit., p. 515 definisce le obbligazioni sancite dall’art. 84 CISG come «ancillary to the obligations of each party», mentre I. SCHWENZER - C. FOUNTOULAKIS - M. DIMSEY, International Sales Law. A Guide to the CISG, Oxford-Portland, 2012, p. 617 mettono in evidenza che «the purpose of the rule is to reinstate the parties in the economic position in which they were before exchanging performances». 172 CAPITOLO TERZO Schuldrechtsmodernisierung ha codificato nel § 346, comma 1 nF BGB108 un’ampia e stringente regola restitutoria volta a ripristinare lo status quo ante la conclusione del contratto, a mente della quale «Hat sich eine Vertragspartei vertraglich den Rücktritt vorbehalten oder steht ihr ein gesetzliches Rücktrittsrecht zu, so sind im Falle des Rücktritts die empfangenen Leistungen zurückzugewähren und die gezogenen Nutzungen herauszugeben». Tale disposizione ha portata generale, in quanto risulta applicabile ad ogni ipotesi di restituzione di beni per effetto dell’esercizio del diritto di recesso109, e con riferimento ai beni di uso quotidiano (Güter des täglichen Gebrauchs) è stata specificata dalla prassi attraverso l’elaborazione di un semplice criterio di calcolo dell’indennità, in forza del quale la stessa va determinata tenendo conto della durata dell’uso del bene fatto dall’acquirente e del rapporto fra prezzo lordo dello stesso e presumibile sua vita utile110. Nell’ordinamento italiano, il legislatore ha regolato questo aspetto delle obbligazioni restitutorie conseguenti alla risoluzione soltanto con riferimento alle vendite di beni di consumo, al citato art. 130, comma 8 c.cons., e a quelle con pagamento rateale cui accede la clausola di riserva della proprietà111, con riferimento alle quali ultime si prevede che, «se la 108 Prima della Riforma del diritto delle obbligazioni, peraltro, un’analoga disciplina trovava sede nel § 347 aF BGB, il quale – dopo aver regolato al comma 1 la responsabilità per deterioramento del bene, perimento fortuito dello stesso e altre cause di impossibilità di restituzione del medesimo – al comma 2 si occupava appunto della pretesa relativa alla compensazione per l’uso della res: «1. Der Anspruch auf Schadensersatz wegen Verschlechterung, Unterganges oder einer aus einem anderen Grunde eintretenden Unmöglichkeit der Herausgabe bestimmt sich im Falle des Rücktritts von dem Empfange der Leistung an nach den Vorschriften, welche für das Verhältnis zwischen dem Eigentümer und dem Besitzer von dem Eintritte der Rechtshängigkeit des Eigentumsanspruchs an gelten. 2. Das gleiche gilt von dem Anspruch auf Herausgabe oder Vergütung von Nutzungen und von dem Anspruch auf Ersatz von Verwendungen». Tale disciplina, però, si riferiva espressamente alle sole ipotesi di recesso convenzionale, mentre quella attualmente vigente si applica a tutte le ipotesi di recesso, anche di fonte legale. Un ampio raffronto fra la regolamentazione anteriore alla Schuldrechtsmodernisierung e quella entrata in vigore il 1° gennaio 2002 può leggersi in R. ZIMMERMANN, Restitution after Termination for Breach of Contract: German Law after Reform 2002, in A. BURROWS - A. RODGER, Mapping the Law. Essays in Memory of Peter Birks, Oxford, 2006, p. 323 ss. 109 Cfr. MÜNCHKOMM-BGB/R. GAIER, sub § 346, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 23 s. 110 Il metodo di calcolo esposto nel testo si può ritrovare in MÜNCHKOMM-BGB/R. GAIER, sub § 346, cit., Rn. 26 ss.; D. KAISER, Die Rechtsfolgen des Rücktritts in der Schuldrechtsreform, in JZ, 2001, p. 1066; HANDKOMM-BGB/R. SCHULZE, sub § 346 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 13. Tale criterio è utilizzato altresì dalla giurisprudenza: cfr., ad esempio, BGH 26 giugno 1991, VIII ZR 198/90, in NJW, 1991, p. 2484 ss. 111 Ad avviso di A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Studi in onore di Auletta, II, cit., p. 342 la disciplina apprestata dall’art. 1526 c.c. «ha lo specifico compito di precisare il contenuto dell’obbligazione restitutoria dell’accipiens in rela- LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 173 risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore», costui è tenuto a corrispondere all’alienante, fra l’altro, «un equo compenso per l’uso della cosa». Tali previsioni sono volte a garantire al venditore un’indennità parametrata al mero godimento del bene e non già legata all’effettiva sussistenza di un suo deterioramento dovuto all’uso112. La disciplina generale dedicata dall’art. 1493 c.c. agli effetti dell’esperimento dell’azione redibitoria, invece, non fa alcuna menzione di un simile obbligo dell’acquirente113, limitandosi a imporre quello di restituzione della cosa, salvo che la stessa sia perita in conseguenza dei vizi (comma 2). Ciò non ha peraltro impedito alla giurisprudenza e a parte della dottrina114 di concludere che «gli effetti restitutori previsti, nell’ambito della garanzia per vizi della cosa venduta, dall’art 1493 c.c. [debbano comprendere] non solo […] la restituzione della cosa e dei suoi frutti, ma anche […] l’accredito al possessore di determinati rimborsi, in zione ad una fattispecie (la vendita con riserva della proprietà) avente tipicamente ad oggetto beni rispetto ai quali è per definizione inutilizzabile il tradizionale criterio dei frutti». Analogamente, E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 416, la quale mette in evidenza come la regola di restituzione del godimento sia prevista, nel nostro ordinamento, da due discipline speciali caratterizzate dal fatto che «il contratto, in entrambi i casi, è naturalmente rivolto alla commercializzazione di beni di consumo». 112 In questo stesso senso v. E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 417; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012, p. 132, il quale correttamente ritiene che «il riferimento al termine “equità” implica non certo una mitigazione dell’importo, quanto la necessità di identificare tale somma attraverso la complessiva valutazione di diversi parametri: il tempo trascorso, l’uso che è stato fatto, la deperibilità del bene e il prezzo identificato per la vendita» (contra, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1526, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 447, nota 3 e Cass. 2001, n. 4208, secondo cui la legge non impone una rigida correlazione all’entità del godimento, sicché la valutazione andrebbe condotta con riferimento al margine di guadagno che il concedente si riprometteva di trarre dall’esecuzione del contratto). La giurisprudenza, peraltro, propende per ricondurre all’equo compenso di cui all’art. 1526 c.c. le pretese relative non soltanto alla remunerazione del godimento del bene, ma altresì al deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e al logoramento causato dall’uso: cfr., fra le più recenti, Cass. 10 settembre 2010, n. 19287; Cass. 8 gennaio 2010, n. 72; Cass. 23 maggio 2008, n. 13418; Cass. 13 gennaio 2005, n. 574. Va, però, precisato come l’equo compenso costituisca «la contropartita dell’uso e del naturale deterioramento della cosa, dipendente dal tempo trascorso, mentre per l’ulteriore deprezzamento dovuto a cause fuori dall’ordinario soccorre il risarcimento del danno»: così già Cass. 20 ottobre 1956, n. 3767. 113 Come accennato, il progetto ministeriale del Libro delle obbligazioni prevedeva, peraltro, all’art. 332 che a seguito della risoluzione il compratore dovesse «restituire la cosa con gli utili ricavati nel frattempo». La disposizione non è stata poi accolta nel testo definitivo del c.c. 114 L’opinione conta adesioni soprattutto nella manualistica e nella trattatistica. Fra i molti, v. R. SACCO, Le risoluzioni per inadempimento, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. Sacco, Torino, 2004, p. 669 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, cit., p. 949; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 1008. 174 CAPITOLO TERZO relazione al suo stato soggettivo di buona o di mala fede»115, fondando tali obblighi sul principio dell’indebito, mentre altra parte degli interpreti ritiene che il dovere di restituzione relativo all’uso della res, così come quello dei frutti, derivi direttamente dalla necessità che anche la fase delle restituzioni contrattuali rispetti il principio di equilibrio sinallagmatico fissato dal contratto e alterato dall’inadempimento116. In ragione della difficoltà di conciliare l’effetto conservativo dello scambio derivante dalla riduzione del prezzo con la previsione del computo «dell’uso del bene» nella determinazione dell’importo della riduzione del prezzo117, taluni – a fronte del dettato dell’art. 130, comma 8 c.cons. – hanno suggerito di intendere quest’obbligo come limitato al solo vantaggio concretamente tratto dall’uso della cosa, non comprensivo dell’eventuale diminuzione di valore della stessa118, sicché in tal modo la previsione potrebbe essere ritenuta espressione del principio dell’ingiustificato arricchimento119. Sennonché, non si vede di quale arricchimento privo di causa venga a godere il consumatore che utilizzi la cosa viziata e successivamente pretenda la riduzione del prezzo di vendita, giacché l’utilizzo del bene costituisce oggetto di una sua legittima facoltà in ragione della proprietà che vanta sullo stesso e, ciò che più conta, a seguito del115 Il testo riportato fra parentesi è estratto dalla massima ufficiale di Cass. 6 dicembre 1972, n. 3533, la quale fa riferimento agli artt. 2033, 2040 e 1149 c.c. Contra, però, Cass. 19 maggio 1969, n. 1745, la quale, facendo leva sulla possibile compensazione fra i vantaggi ritratti dall’uso e il risarcimento spettante al compratore per «l’impossibilità di un uso pieno e normale della cosa», ha ritenuto che «per effetto della garanzia cui è tenuto il venditore, il compratore di cosa affetta da vizi, il quale si avvalga del rimedio risolutorio, è esonerato così dalla restituzione dei frutti eventualmente percepiti prima della domanda come dal pagamento di un corrispettivo per il godimento diretto della cosa, sia oppur no derivato deterioramento dalla marginale utilizzazione resasi in ipotesi possibile malgrado la sua inidoneità all’uso previsto». Peraltro, va notato come la pronuncia giunga all’affermazione appena riportata senza tenere conto che, mentre l’effetto restitutorio cui è connesso l’indennizzo per l’uso del bene deriva dall’esperimento dell’azione redibitoria e quindi sorge sulla base dell’oggettiva presenza del vizio e del fatto che l’accipiens ha adoperato il bene, il credito da risarcimento del danno in capo a costui ha quale differente – e non invariabilmente ricorrente – presupposto la sussistenza della colpa del venditore: ne consegue che tale (parziale o totale) compensazione può ricorrere in concreto ma può anche non verificarsi affatto, qualora l’alienante provi di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. 116 Cfr. ancora E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 408 ss. 117 Rectius, con il riconoscimento al venditore di un diritto di credito avente ad oggetto un indennizzo per il godimento che l’acquirente abbia ritratto dalla cosa. 118 Così, come accennato, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 92 s. 119 In questo senso, infatti, A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», cit., p. 455, ad avviso del quale la disposizione de qua «non impone alcun indennizzo per la perdita di valore […], ma applica un regola di restituzione dell’arricchimento». LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 175 l’esperimento del rimedio, questo non deve essere restituito al professionista120. Invero, la previsione contenuta nel comma 8 dell’art. 130 c.cons. è stata introdotta dal legislatore italiano approfittando della facoltà concessa dal 15° Considerando della direttiva 1999/44/CE, ai sensi del quale gli Stati membri sono autorizzati a disporre che i rimborsi al consumatore possano essere «ridott[i] in considerazione dell’uso […] del bene» dal momento della consegna, nonché a dettare regole sulle modalità di attuazione della risoluzione121. Proprio la lettura del Considerando nel suo complesso sembra avvalorare la tesi secondo cui il riferimento espresso dal legislatore comunitario debba intendersi limitato alla sola risoluzione del contratto, con riguardo alla quale la regola che impone al consumatore di indennizzare il venditore delle utilità ricavate dall’uso del bene (così come delle eventuali perdite di valore che la cosa abbia subito in conseguenza dell’impiego, ove si ritenga di accogliere tale interpretazione122) può trovare spiegazione nell’utilità che il compratore ritrae da un bene il quale, a seguito dell’esperimento del rimedio, ritorna nella titolarità dell’alienante123, nonché nell’impossibilità per il venditore di commerciare la cosa come “nuova” – o, comunque, come avente la medesima vetustà o le medesime caratteristiche funzionali ed estetiche che possedeva al tempo del primo contratto – a seguito della restituzione. Ove si consideri, da un canto, che il Considerando della direttiva detta una duplice regola, la cui applicazione è espressamente limitata alla sola risoluzione del contratto soltanto con riferimento alla parte di questa che consente la regolazione a livello di legislazioni nazionali delle mo120 Lo pone in luce, giustamente, G. DE NOVA, in AA.VV., L’acquisto di beni di consumo, Milano, 2002, p. 3. 121 Tale è, infatti, il significato da attribuire all’espressione «accordi dettagliati con i quali può essere disciplinata la risoluzione», la cui natura di errata trasposizione linguistica del testo inglese («detailed arrangements whereby rescission of the contract is effected may be laid down in national law») appare lapalissianamente non appena venga confrontata con i testi in lingua francese (ove compare la dizione: «les modalités de résolution du contrat»), spagnola (che richiama «las modalidades de resolución de los contratos») o tedesca (laddove il riferimento è a «die Regelungen über die Modalitäten der Durchfürung der Vertragsauflösung»). 122 Per la quale, oltre agli Autori già citati alla nota 99, cfr. altresì L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 422. 123 Nel senso che questa costituirebbe la ragione della simile previsione contenuta nell’art. 1526, comma 1, c.c. v., per tutti, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1526, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 446 s. Per un collegamento fra l’art. 130, comma 8 c.cons. e l’art. 1526, comma 1, c.c. v. A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», cit., p. 455. 176 CAPITOLO TERZO dalità specifiche delle conseguenze dell’esperimento di tale rimedio e, dall’altro, che l’estensione della restante parte della previsione anche alla riduzione del prezzo conduce a risultati palesemente incompatibili con la logica sottesa a questo secondo mezzo di tutela124, deve a nostro avviso concludersi nel senso della contrarietà alla direttiva della scelta operata dal Governo italiano in sede di attuazione125. Tale conclusione, peraltro, appare tanto più ragionevole alla luce delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia CE, 17 aprile 2008, C-404/06, Quelle126, con la quale la Corte di Lussemburgo si è pronunciata in ordine alla compatibilità con l’art. 3 della di- 124 Cfr. infra testo e note. 125 Nello stesso senso v. S. CHERTI, L’art. 3 della direttiva 1999/44/CE al vaglio dei giudici comunitari: l’elevato livello di protezione dei consumatori come criterio di interpretazione privilegiato della normativa consumeristica, in www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com, p. 32. 126 Nella nostra letteratura, con riferimento a tale pronuncia si vedano, oltre al contributo citato alla nota precedente, G. CAPILLI, La direttiva sulla vendita dei beni di consumo al vaglio della Corte di giustizia, in Contratti, 2008, p. 734 ss.; A. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE, 17 aprile 2008, C404/06), in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 559 ss.; L. MANGIARACINA, La gratuità della sostituzione del prodotto difettoso nella direttiva 1999/44/CE: la normativa tedesca al vaglio della Corte di giustizia, in Europa dir. priv., 2009, p. 191 ss.; R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, Torino, 2014, p. 185 s. Fra i commenti apparsi nel panorama europeo, senza pretesa di completezza, cfr. M. DUPONT, Le consommateur n’est pas tenu d’indemniser le vendeur d’un bien de consommation défectueux pour l’usage qu’il en a fait jusqu’à son remplacement, in Droit de la consommation, 2008, p. 77 ss.; G. PIGNARRE - L.F. PIGNARRE, A propos de la gratuité du remplacement d’un bien non conforme, in Recueil Dalloz, 2008, p. 2637 ss.; C. SCHNEIDER - F. AMTENBRINK, «Quelle»: The possibility, for the seller, to ask for a compensation for the use of goods in replacement of products not in conformity with the contract, in Revue européenne de droit de la consommation, 2008, p. 301 ss.; G. SCHULZE, Kein Nutzungsersatz bei Ersatzlieferung: Anmerkung zu EuGH, Urteil vom 17.4.2008, C-404/06 - Quelle, in GPR, 2008, p. 128 ss.; S. LORENZ, Anmerkung zu EuGH, U. v. 17.4.2008–Rs. C-404/06, in Deutsches Autorecht, 2008, p. 330 ss.; T. MÖLLERS - A. MÖHRING, Recht und Pflicht zur richtlinienkonformen Rechtsfortbildung bei generellem Umsetzungswillen des Gesetzgebers, in JZ, 2008, p. 919 ss.; H. OFNER, Kein Nutzungsentgelt für den Verkäufer bei Austausch der nicht vertragsgemäßen Sache, in ZfRV, 2008, p. 57 ss.; S. HERRLER - L. TOMASIC, Keine Nutzungsersatzpflicht im Fall der Neulieferung, in BB, 2008, p. 1245 ss.; P.S. FISCHINGER, Kein Wertersatz für Nutzung vertragswidrigen Verbrauchsguts, in EuZW, 2008, p. 310 ss.; M. PARDO LEAL, Derecho del vendedor a exigir al consumidor una indemnización por el uso de un bien en caso de sustitución de bienes que no so conformes (Sentencia «Quelle AG» de 17 de abril de 2008, asunto C-404/06), in Revista electrónica de Derecho del Consumo y de la Alimentación, 2008, n. 18, p. 29 ss.; O. MÖRSDORF, Verpflichtung des Käufers zur Zahlung eines Nutzungsentgelts im Rahmen der Neulieferung einer mangelhaften Kaufsache, in ZIP, 2008, p. 1409 ss.; B. JUD, (Kein) Nutzungsersatz beim Austauschanspruch - Erste Entscheidung des EuGH zum neuen Gewährleistungsrecht, in Aktuelles zum Bau- und Vergaberecht. Festschrift zum 30-jährigen Bestehen der Österreichischen Gesellschaft für Baurecht, Wien, 2008, p. 215 ss. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 177 rettiva 1999/44/CE di una disposizione nazionale127 la quale accordi al venditore, che abbia provveduto alla sostituzione del bene non conforme, il diritto di pretendere dal consumatore un indennizzo pecuniario di ammontare corrispondente alle utilità che quest’ultimo abbia tratto dal bene originariamente consegnato. Dopo avere affermato che «il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al consumatore dalla direttiva», con ciò escludendo «la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità» medesima128, la sentenza afferma altresì che tale conclusione non può essere infirmata dalla facoltà, concessa ai legislatori nazionali ai sensi del 15° Considerando, di prevedere che il rimborso a favore del consumatore possa essere limitato in considerazione dell’uso che 127 Come noto, la fattispecie con riferimento alla quale è stata sollevata la domanda di pronuncia pregiudiziale (BGH, 16 agosto 2006, VIII ZR 200/05) da parte della Corte di Giustizia riguardava la disciplina della sostituzione del bene difettoso prevista dal BGB, il cui § 439, comma 4 nF («Liefert der Verkäufer zum Zwecke der Nacherfüllung eine mangelfreie Sache, so kann er vom Käufer Rückgewähr der mangelhaften Sache nach Maßgabe der §§ 346 bis 348 verlangen») sancisce l’obbligo del compratore, a fronte dell’adempimento della Nacherfüllung mediante consegna di un bene nuovo da parte del venditore, di restituire il bene originariamente ricevuto «secondo le disposizioni dettate in materia di recesso», le quali – come già si è detto supra nel testo – prescrivono (fra l’altro) l’obbligo di versare al venditore un indennizzo per le utilità ritratte dal godimento del bene rivelatosi viziato nel tempo in cui questo è stato presso il compratore. 128 Il legislatore tedesco, a seguito della pronuncia in argomento, è intervenuto sulla disciplina vigente mediante la novellazione del § 474 nF BGB, il quale ora prescrive che alle compravendite di beni mobili concluse da professionisti con consumatori il § 439, comma 4 nF si applica esentando il compratore dall’obbligo di indennizzo per il godimento del bene o la diminuzione di valore. Tale modificazione è stata introdotta dapprima al comma 2 del § 474 nF BGB, ad opera dell’art. 5 del Gesetz zur Durchführung des Übereinkommens vom 30. Oktober 2007 über die gerichtliche Zuständigkeit und die Anerkennung und Vollstreckung von Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen und zur Änderung des Bürgerlichen Gesetzbuchs del 10 dicembre 2008; a seguito della riformulazione del § 474 BGB operata dal Gesetz zur Umsetzung der Verbraucherrechterichtlinie und zur Änderung des Gesetzes zur Regelung der Wohnungsvermittlung del 20 settembre 2013, la previsione è ora contenuta al comma 5 del medesimo paragrafo. Come correttamente nota A. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE, 17 aprile 2008, C-404/06), cit., p. 567, in virtù dei descritti interventi oggi l’ordinamento tedesco conosce, «per quanto riguarda il regime delle restituzioni in caso di sostituzione del bene viziato, […] due diversi statuti: l’uno concernente le vendite di beni di consumo, in cui il consumatore vanterà la pretesa di sostituzione del bene viziato senza l’obbligo di sostenere qualsivoglia onere economico, e l’altro dedicato a tutte le rimanenti fattispecie di compravendita, in relazione alle quali pare dunque oggi a maggior ragione doversi ammettere la pretesa del venditore ad un indennizzo nella misura delle utilità che il compratore abbia tratto dal bene sostituito». 178 CAPITOLO TERZO quest’ultimo ha fatto del bene129. Ad avviso della Corte di Giustizia, infatti, il tenore letterale della disposizione mette in luce come l’unica ipotesi considerata dal legislatore comunitario nel Considerando in discorso sia quella dell’esercizio della risoluzione del contratto130, laddove «in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del bene»131. Assai differente è il caso in cui il rimedio esperito sia quello della riduzione del corrispettivo, allorché non sussiste alcuna esigenza di restituzione dei reciproci vantaggi conseguenti alla stipulazione del contratto, non producendosi lo scioglimento del rapporto132 ma soltanto l’adattamento del suo contenuto in ragione dell’esistenza del difetto di conformità del bene. Per parte nostra, riteniamo peraltro che le conclusioni cui è giunta la Corte di Giustizia nella sentenza Quelle relativamente all’inestensibilità del precetto contenuto nel 15° Considerando della direttiva 1999/44/CE a fattispecie diverse dalla risoluzione del contratto siano senz’altro condivisibili, ma non decisive ai fini della scioglimento del 129 Si veda il punto 38 della sentenza. 130 Tale intendimento è palese, ad esempio, nel testo inglese di recepimento della dir. 1999/44/CE, il quale prevede alla Section 48C del SoGA che: (3) For the purposes of this Part, if the buyer rescinds the contract, any reimbursement to the buyer may be reduced to take account of the use he has had of the goods since they were delivered to him. Come si può notare, la considerazione dell’uso del bene viene espressamente limitata dal legislatore britannico all’ipotesi di rescission, senza alcuna considerazione per la sostituzione del bene, né – com’è ovvio – per la riparazione dello stesso o la riduzione del corrispettivo. A seguito dell’approvazione del Consumer Rights Act 2015, si veda l’articolata disciplina della Section 24 (8) ss., la quale comunque continua ad applicarsi soltanto alle ipotesi in cui il consumatore risolva il contratto, esercitando il “final right to reject”. 131 Già nelle Conclusioni dell’Avvocato generale Trstenjak (al punto 55) poteva leggersi come «il fatto che la risoluzione del contratto sia citata solo nella seconda frase di tale “considerando” non significa che la prima e la seconda frase possano essere esaminate separatamente, ma è piuttosto necessario esaminare l’intero quindicesimo “considerando” come un sistema unitario». 132 Contra, A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Consumatori e subfornitura, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti, V, cit., p. 252, il quale – nel rigettare il metodo c.d. relativo quale criterio di determinazione della riduzione del prezzo in favore di quello puramente equitativo – pone l’accento proprio sulla necessità di tenere conto «dei vantaggi che il consumatore comunque riesce a ritrarre dall’impiego» del bene. Sembra, però, che l’opinione si esponga a una duplice obiezione: da un canto, anche qualora davvero si dovesse «tener conto dell’uso del bene» nel calcolo della riduzione, tale componente si porrebbe quale correttivo ex post rispetto al criterio-base e non indurrebbe necessariamente all’adozione della valutazione equitativa; dall’altro, come abbiamo tentato di dimostrare nel testo e come indirettamente confermato dalla più volte citata sentenza Quelle, le utilità che il consumatore ritrae dalla cosa non debbono affatto costituire oggetto di restituzione, giacché l’esercizio dell’estimatoria non comporta la restituzione della res al venditore. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 179 nodo interpretativo che riguarda la ripetibilità di eventuali utili conseguiti dal compratore – sia esso consumatore o meno – di un bene viziato che si determini a richiedere la riduzione del corrispettivo pattuito. Focalizzando la propria attenzione sulla distinta fattispecie di “sostituzione” del bene difettoso, il giudice europeo ha posto l’accento sulla gratuità dell’intervento di ripristino della conformità attuato mediante riparazione o sostituzione e da esso ha dedotto la contrarietà alla direttiva di una norma nazionale la quale – addossando al consumatore l’obbligo di restituzione per equivalente degli utili tratti dal bene (viziato) sostituito – ha l’effetto di violare il precetto di necessaria esenzione da spese della regolarizzazione della prestazione, di cui all’art. 3 della direttiva, e di dissuadere il consumatore stesso dall’esercizio dei propri diritti133. Tali argomenti, facendo leva su un principio – quello della gratuità della sostituzione e della riparazione del bene difettoso – che espressamente si riferisce soltanto ai rimedi primari, sono invocabili soltanto indirettamente per la fattispecie di riduzione del corrispettivo, con riferimento alla quale valgono invece pienamente le considerazioni che abbiamo avanzato in apertura del paragrafo. Infatti, mentre nell’ipotesi di risoluzione del vincolo contrattuale o in quella di sostituzione del bene il consumatore restituisce al professionista una cosa che ha effettivamente utilizzato, dalla quale ha tratto delle utilità e che, potenzialmente, potrebbe aver subito un deperimento in conseguenza dell’uso, nelle ipotesi di riparazione e di riduzione del prezzo la res rimane di titolarità del consumatore, sicché ontologicamente non possono dirsi sussistenti utilità godute da restituire per equivalente al tradens, mentre l’eventuale diminuzione di valore conseguente all’utilizzo non ha alcuna rilevanza, proprio perché il compratore conserva la proprietà del bene usato. Tanto vale, pertanto, non solo per le fattispecie regolate dalla disciplina di settore, ma per tutte le ipotesi di riduzione del prezzo richiesta dal compratore di beni che presentino vizi materiali o giuridici, giacché in tutte tali ipotesi non ha luogo la restituzione del bene all’alienante. Raggiunto tale approdo, rimane da affrontare soltanto un ulteriore profilo, limitrofo benché distinto rispetto al problema relativo all’incidenza dell’uso del bene nel calcolo del quantum della riduzione, ovverosia quello attinente alle due distinte eventualità in cui, da un lato, nel133 La Corte di Giustizia ha, anzi, accolto l’opinione sostenuta dal Governo austriaco e dall’Avvocato generale Trstenjak, al punto 47 delle Conclusioni (laddove si legge che «l’inconveniente finanziario è un inconveniente supplementare che può essere […] addirittura più gravoso degli ostacoli pratici in cui può incorrere il consumatore con la sostituzione del bene»), secondo cui il pagamento di un indennizzo per l’uso costituirebbe un «notevole inconveniente» ai sensi dell’art. 3, comma 3 della direttiva. 180 CAPITOLO TERZO l’arco temporale che precede il momento in cui l’accipiens si determina a richiedere la riduzione del prezzo, il bene non abbia manifestato alcun difetto e quindi abbia apportato al suo utilizzatore tutte le utilità che egli poteva ragionevolmente attendersi dal bene e non quelle, più ridotte, che giustificano la pretesa di diminuzione del corrispettivo e, dall’altro, quella consistente nel fatto che il compratore abbia usato la res con modalità improprie le quali, pur non costituendo la causa dell’insorgenza del difetto (preesistente alla consegna, ancorché manifestatosi in un momento successivo), abbiano determinato una particolare usura del bene o lo abbiano danneggiato134. Peraltro, sembra preferibile ritenere che anche gli accadimenti appena descritti non dispieghino alcun effetto sulla determinazione della parte di prezzo che il compratore ha diritto di ridurre (o, rectius, sulla determinazione dell’eventuale somma che il venditore possa richiedere all’acquirente a fronte dell’esercizio della riduzione del prezzo da parte di costui). Infatti, con riferimento al secondo degli stessi, va considerato 134 Pur trattando della diversa problematica attinente all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore nel contesto di un contratto concluso a distanza, l’argomento relativo alla spettanza al venditore di un’indennità a ristoro del deterioramento (dovuto ad un uso scorretto) della res vendita la quale debba essere restituita è stato affrontato da Corte giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07, con la quale la Corte di Lussemburgo ha così statuito: «L’art. 6, nn. 1, secondo periodo, e 2, della direttiva (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale preveda in modo generico che il venditore possa chiedere al consumatore un’indennità per l’uso di un bene acquistato tramite un contratto a distanza nel caso in cui quest’ultimo abbia esercitato il suo diritto di recesso entro i termini. Tuttavia, questo stesso articolo non osta a che venga imposto al consumatore il pagamento di un’indennità per l’uso di tale bene nel caso in cui egli abbia fatto uso del detto bene in un modo incompatibile con i principi del diritto civile, quali la buona fede o l’arricchimento senza giusta causa, a condizione che non venga pregiudicato il fine della detta direttiva e, in particolare, l’efficacia e l’effettività del diritto di recesso, cosa che spetta al giudice nazionale determinare». Sulla sentenza citata cfr., ex plurimis, S. PAGLIANTINI, La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (a proposito di C. giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07), in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 281 ss.; C.A. PUPPO, Contratti a distanza e recesso nella giurisprudenza comunitaria, in Contratti, 2010, p. 358 ss.; M. COGNOLATO, Contratti del consumatore e «diritto delle restituzioni» (secondo la Corte di Giustizia CE), in Obbl. e contratti, 2011, p. 29 ss.; Ş. ÖZFIRAT-SKUBINN, Der Fall Pia Messner - Ein Entscheidungsvorschlag. Zur Vereinbarkeit der deutschen Widerrufsfolgenregelung in § 357 BGB mit der Fernabsatzrichtlinie, in NJOZ, 2010, p. 2006; C. WENDEHORST, Dauerbaustelle Verbrauchervertrag: Wertersatz bei Widerruf von Fernabsatzverträgen, in NJW 2011, p. 2551 ss.; F. FAUST, Nutzungsersatz beim Widerruf eines Fernabsatzvertrags, in JuS, 2009, p. 1049. In generale, in merito al tema affrontato dalla sentenza, v. ad esempio A.M. BENEDETTI, voce Recesso del consumatore, in Enc. diritto, Ann. IV, Milano, 2011, p. 975; E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 111 ss. e, spec., p. 416 s.; M. FARNETI, sub art. 67 c.cons., in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 560. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 181 come il danneggiamento o l’insolita usura del bene derivante dal suo uso scorretto non si riverberi in alcuno svantaggio per il venditore, giacché nell’ipotesi di riduzione del prezzo egli non si trova a doverne ritornare titolare135: piuttosto l’esistenza di tali deterioramenti pone il diverso problema di sceverare136 la perdita di funzionalità e di valore derivante dalla presenza e dal manifestarsi del difetto di conformità della res e quella indotta dallo scorretto uso fattone dall’acquirente, giacché soltanto la prima può essere posta a base della valutazione preordinata alla determinazione della parte di prezzo da ridurre137. D’altra parte, neppure il fatto che, prima della manifestazione del vizio, il bene abbia consentito a chi ne ha acquisito la proprietà di farne un uso corrispondente a quello tipico di un oggetto esente da vizi può indurre a riconoscere al venditore una pretesa creditoria da opporre a quella derivante dalla riduzione del corrispettivo: infatti, non solo l’utilità apportata dall’uso del bene al compratore deve essere valutata in relazione all’intera sua vita utile e non già a una parte soltanto della medesima, ma soprattutto non può dimenticarsi come la responsabilità del venditore si basi sulla sussistenza del difetto già al momento della consegna del bene o della conclusione del contratto, sicché l’eventualità che lo stesso non si manifesti per un dato periodo non consente di ascrivere alcuna pretesa al venditore. A fortiori, quanto appena sostenuto, può essere ripetuto – con i dovuti adattamenti – anche per l’ipotesi in cui la res che costituisce oggetto del contratto di compravendita non sia affetta da vizi materiali ma sia par135 Differente sarebbe, pertanto, la conclusione cui l’interprete potrebbe giungere qualora si facesse riferimento non soltanto all’ipotesi di risoluzione del contratto, ma altresì a quella di sostituzione della cosa difettosa, con riferimento alla quale cfr. C. HERRESTHAL, Die Richtlinienwidrigkeit des Nutzungsersatzes bei Nachlieferung im Verbrauchsgüterkauf, in NJWRR, 2008, p. 2476. 136 Com’è facilmente intuibile, la distinzione fra le cause efficienti della perdita di funzionalità e/o valore del bene, benché netta in linea teorica, non è sempre facilmente accertabile all’atto pratico: ciò non infirma, però, quanto stiamo per sostenere nel testo e il fatto che la valutazione dell’incidenza dei difetti di conformità debba essere condotta non tenendo conto delle conseguenze indotte dall’uso scorretto del bene da parte del compratore. 137 Con ciò intendiamo dire che soltanto il difetto funzionale e/o di valore indotto dall’esistenza del vizio deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo della riduzione del prezzo, mentre nessun rilievo può e deve essere riconosciuto alla perdita di funzionalità e/o pregio derivante dall’uso scorretto della cosa, né in vista della determinazione del quantum di corrispettivo che il compratore può ridurre, né allo scopo di ascrivere al venditore pretese creditorie nei confronti dell’acquirente. Infatti, da un canto, il venditore non può essere tenuto a sopportare il peso economico di deterioramenti indotti da un comportamento colposo dell’attuale titolare della cosa e, dall’altro, non ha titolo per richiedere alcun ristoro in relazione a tali deterioramenti, in quanto gli stessi – a seguito della riduzione del prezzo – rimangono interamente nella sfera dell’accipiens, mantenendo costui la proprietà del bene. 182 CAPITOLO TERZO zialmente di proprietà altrui (art. 1480 c.c.) ovvero sia gravata da oneri o diritti di godimento facenti capo a terzi (art. 1489 c.c.) o, infine, sia oggetto di parziale evizione (art. 1484 c.c.). Laddove ricorrano tali irregolarità, infatti, il compratore che richieda la riduzione del prezzo non può ritenersi tenuto a indennizzare il venditore per l’uso della cosa – eventualmente anche pieno ed esclusivo138 – fatto medio tempore né per eventuali danneggiamenti che tale uso abbia arrecato alla cosa giacché, come più volte si è detto, la res non viene restituita ma rimane, in ragione e nella misura del diritto effettivamente vantato, nella titolarità di costui139. In conclusione di quanto si è venuti argomentando, riteniamo che la previsione del comma 8 dell’art. 130 c.cons. – la quale prevede che la determinazione del quantum della riduzione del prezzo conseguente all’esercizio di tale rimedio debba essere operata “tenendo conto” dell’uso del bene – non soltanto si palesi innervata di uno spirito contrario alle finalità della direttiva 1999/44/CE, ma ancor prima sia gravemente confliggente con la struttura e la funzione della riduzione del corrispettivo, la quale, non provocando l’insorgere dell’obbligazione primaria di restituzione del bene oggetto del contratto140, neppure può gravare il compratore di quella, che ne costituisce il corollario, di indennizzare il venditore per l’uso del bene. Ne consegue che, con riferimento alla disci138 Deve essere tenuto distinto da quello trattato in questa sede il profilo attinente all’eventuale indennizzo dovuto dal compratore per l’uso della cosa nei confronti del terzo proprietario ex art. 1480 c.c. ovvero del terzo che vittoriosamente rivendichi diritti sul bene ai sensi degli artt. 1484 e 1489 c.c. Qualora l’acquirente abbia usato la cosa nella sua interezza, escludendo il terzo dal godimento pur vantando un titolo di estensione minore rispetto al godimento effettivamente esercitato, la fattispecie dovrà essere valutata facendo applicazione delle regole in materia di possesso (artt. 1148 ss. c.c.) e illecito civile, ma ciò non ha alcuna influenza sul rapporto fra venditore e compratore. 139 Con riferimento all’ipotesi di deterioramento del bene dovuto a usi scorretti, è appena il caso di notare come l’esperimento della quanti minoris per ragioni non attinenti alla sussistenza di vizi materiali consenta di non incorrere nelle difficoltà pratiche relative alla distinzione fra le cause efficienti della perdita di funzionalità e/o valore del bene che si sono segnalate supra alla nota 136. 140 È appena il caso di notare come la dottrina e la giurisprudenza più recenti ritengano che tale obbligazione restitutoria non sorga neppure nella limitrofa fattispecie di risoluzione parziale di un contratto parzialmente eseguito avente ad oggetto una serie di prestazioni fra loro scindibili: qualora l’accipiens si determini a trattenere la parte di prestazione ricevuta e richieda la risoluzione parziale del contratto, egli non dovrà restituire alcunché, né corrispondere al tradens indennità per l’uso dei beni consegnati o per i frutti eventualmente percepiti. Sul punto cfr. le già citate Cass. 3 giugno 1991, n. 6244; Cass. 15 aprile 2002, n. 5434; Cass. 21 dicembre 2004, n. 23657; Cass. 20 maggio 2005, n. 10700; Cass. 2 luglio 2013, n. 16556, nonché A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 231 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 328 ss.; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, cit., p. 71 ss. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 183 plina di settore come a quella di diritto comune, deve concludersi nel senso dell’insussistenza di un obbligo del compratore di indennizzare il venditore per l’uso del bene che questi abbia fatto nelle more fra la consegna e l’esperimento del rimedio. 5. Le pretese risarcitorie del venditore relative ai difetti manifestatisi anche a causa di un comportamento colposo del compratore In chiusura del paragrafo precedente abbiamo avuto modo di affermare l’irrilevanza, ai fini del calcolo della riduzione del prezzo, del comportamento del compratore che abbia provocato un’usura del bene difettoso superiore al normale ovvero danneggiamenti del medesimo che non abbiano influito in ordine alla manifestazione del vizio, né alla gravità delle conseguenze dello stesso: in tali ipotesi, posta la necessità di tenere ben distinte la diminuzione di valore della res riconducibile alle modalità di utilizzo impiegate dall’alienante e quella indotta dalla presenza del difetto di conformità, il compratore ha diritto di conseguire la piena decuratazione del corrispettivo relativa a quest’ultima, mentre la prima non dà luogo ad alcuna pretesa risarcitoria in capo al venditore, giacché, da un canto, essa non ha in alcun modo causato o aggravato gli effetti della sussistenza della carenza qualitativa della cosa – i quali, pertanto, debbono essere posti interamente a carico dell’alienante – e, dall’altro, il bene non deve essere restituito a costui, sicché egli non viene a sopportare, neppure sotto questo punto di vista, la relativa perdita patrimoniale. Differente, a parer nostro, è la conclusione cui deve pervenire l’interprete nell’ipotesi in cui il comportamento del compratore non già dia luogo a deterioramenti o danneggiamenti diversi e ulteriori rispetto a quelli indotti dal difetto di conformità, ma si ponga piuttosto quale concausa del manifestarsi degli effetti di quest’ultimo, il quale si sarebbe rivelato con incidenza e gravità minore qualora l’acquirente non avesse impiegato la cosa secondo date modalità ovvero in determinate condizioni. Versandosi in quest’ultima fattispecie, infatti, è evidente come al venditore non possa essere addossata per intero la responsabilità in ordine alla perdita di valore e funzionalità del bene, le medesime derivando soltanto in parte dalla sussistenza di una deficienza qualitativa al tempo della consegna o della conclusione del contratto. Sebbene dettate con riferimento al risarcimento del danno, riteniamo debbano essere applicate all’eventualità in discorso le regole che sanciscono la proporzionale responsabilità del concorrente che abbia concorso a cagionare la perdita patrimo- 184 CAPITOLO TERZO niale con il proprio comportamento colposo141, quali l’art. 1227 c.c.142 e l’art. 77 CISG143. L’applicazione di entrambe queste disposizioni, pur nella loro innegabile diversità, conduce sostanzialmente alla ripartizione del peso economico in ragione dell’incidenza della perdita di valore e di utilizzabilità riconducibile, rispettivamente, al difetto intrinseco del bene e al comportamento del compratore, da operarsi tenendo bene a mente come l’ascrizione della responsabilità al venditore avvenga su base oggettiva, mentre quella del compratore abbia luogo sulla base del riscontro dell’elemento soggettivo della colpa. Pertanto, inutilizzabile il criterio della gravità della colpa144, in entrambe le ipotesi la determinazione della riduzione del prezzo da accordare all’acquirente andrà condotta valutando «l’entità 141 La medesima opinione è stata manifestata, al fine di giustificare l’assenza di una previsione normativa specifica diretta a regolare l’ipotesi cui si fa riferimento, nei lavori preparatori della riforma del diritto tedesco delle obbligazioni del 2002: cfr. BT-Drucks 14/6040 p. 235, ove si legge che «Eine Regelung über die Berechnung des Minderungsbetrags bei Mitverantwortung des Käufers für den Mangel ist ebenfalls nicht erforderlich. In welchem Verhältnis der Minderungsbetrag herabzusetzen ist, wenn der Käufer ausnahmsweise einen Mangel der Kaufsache mit zu vertreten hat, richtet sich nach den allgemeinen Vorschriften sowie nach dem Rechtsgedanken des § 254, der auch bei Berechnung des Minderungsbetrags anwendbar ist». Pertanto, il legislatore germanico suggerisce di fare applicazione, a questo proposito, della regola di ripartizione della responsabilità sancita dal § 254 BGB, la quale non è molto dissimile da quella di cui all’art. 1227 c.c. 142 È noto come la disposizione in discorso sia oggetto di due distinte ricostruzioni, l’una volta a ricondurre al comma 1 le ipotesi di concorso colposo del danneggiato nella causazione del danno e al comma 2 quelle in cui il danno è interamente ascrivibile al solo danneggiante, ma il danneggiato avrebbe potuto impedirne o attenuarne le conseguenze (cfr. C.M. BIANCA, sub art. 1227, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 403 s.; Cass. 9 gennaio 2001, n. 240; Cass. 6 giugno 2007, n. 13242), l’altra imperniata sulla distinzione fra “danno evento” e “danno conseguenza”, ritenendosi che il comma 1 abbia riguardo al concorso nel fatto produttivo del danno e il comma 2 alle conseguenze patrimoniali derivanti dal primo (v. L. MENGONI, Inadempimento delle obbligazioni (1943-1946), in Temi, 1946, p. 576 e P. RESCIGNO, Libertà del «trattamento» sanitario e diligenza del danneggiato, in Studi in onore di Alberto Asquini, IV, Padova, 1965, p. 1646 s.). 143 Sull’applicabilità della regola sancita dall’art. 77 CISG alla riduzione del prezzo esercitata a seguito del manifestarsi di difetti di conformità le cui conseguenze economiche nel patrimonio del compratore sono state aggravate da un comportamento di quest’ultimo, v. Tribunal of International Commercial Arbitration at the Russian Federation Chamber of Commerce and Industry, 24 gennaio 2000, in CISG-online, n. 1042. Contra, però, STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 77 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 7. 144 Benché, come avverte la dottrina (cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 154 s.), la gravità della colpa alla stregua della disposizione di cui all’art. 1227 c.c. debba essere valutata non nel senso della sua graduazione psicologica, ma quale riscontro dell’entità della violazione delle regole di diligenza, perizia e prudenza, di essa non può farsi impiego ai nostri fini in quanto la valutazione comparativa deve essere condotta fra un comportamento colposo – quello del compratore – e uno – quello dell’alienante – che, come detto, provoca un’ascrizione di responsabilità su base oggettiva. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 185 delle conseguenze» prodotte sul valore della res dal comportamento colposo di quest’ultimo e quelle indotte dalla presenza del difetto di conformità, per poi sottrarre dalle seconde le prime. Tale limitazione del quantum della diminuzione del prezzo postula, in ogni caso, che il venditore assolva all’onere di provare la riconducibilità di parte della perdita di valore del bene al fatto colposo del titolare della stessa e, qualora ciò ricorra, può rendersi oltremodo utile il ricorso all’esame peritale al fine di quantificare l’importo monetario corrispondente a ciascuna causa efficiente del deterioramento della cosa. 5.1. L’evizione avvenuta per negligenza del compratore Con riferimento all’evizione, contrariamente a quanto accade per i difetti materiali, è assai più difficilmente identificabile una “corresponsabilità” fra venditore e compratore, la stessa avendo riguardo alla sussistenza o meno del diritto in capo al soggetto che se ne afferma titolare. Il legislatore ha perciò disciplinato non già le conseguenze dell’evizione indotta parzialmente dal comportamento del compratore, ma la distinta ipotesi in cui, qualora costui sia convenuto da terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa, non assolvendo all’onere della chiamata in causa del venditore, soccomba nonostante esistano ragioni sufficienti a consentire il rigetto delle pretese del terzo: ove ciò si verifichi, l’acquirente perde il diritto alla garanzia (e non è legittimato, pertanto, alla riduzione del prezzo), e lo stesso accade qualora spontaneamente riconosca il diritto del terzo, salvo che riesca a dimostrare l’insussistenza di ragioni che avrebbero potuto impedire l’evizione (art. 1485 c.c.)145. È immediato notare come la disposizione de qua costituisca applicazione della regola secondo cui la responsabilità oggettiva del venditore trova il proprio limite nel fatto colposo del compratore: qualora la causazione dell’evento – manifestazione del difetto di conformità o, in questo caso, il verificarsi dell’evizione – sia parzialmente o interamente riconducibile a un comportamento che l’acquirente abbia posto in essere in violazione delle regole di diligenza, perizia e prudenza, l’ascrivibilità dell’evento alla responsabilità dell’alienante viene meno, in parte (come abbiamo veduto in relazione ai difetti materiali le cui conseguenze sono “esaltate” dallo scorretto impiego della res) o in toto (come si verifica nella fattispecie di cui all’art. 1485 c.c. ovvero allorché i difetti manifestati dalla cosa siano interamente riconducibili all’operato del suo titolare) in ragione dell’effi145 Sulla disposizione richiamata e, soprattutto, sul concetto di «ragioni sufficienti per far respingere la domanda», cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1485, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 208 ss. 186 CAPITOLO TERZO cienza causale del fatto colposo del compratore nella produzione dell’evento medesimo. 6. Riduzione del prezzo e pluralità di difetti dell’attribuzione patrimoniale Come si è avuto modo di argomentare nel corso del Capitolo 2, l’esercizio della riduzione del corrispettivo a seguito del manifestarsi di un difetto del bene oggetto del contratto di vendita comporta non soltanto una decurtazione del prezzo pattuito dalle parti ma altresì un adattamento del contenuto negoziale in forza del quale l’attribuzione patrimoniale difettosa risulta quella effettivamente dovuta in forza del contratto146. Qualora, peraltro, a seguito dell’avvenuto esperimento dell’estimatoria, la res vendita evidenzi ulteriori e distinte carenze, il compratore può senz’altro titolo fare ricorso nuovamente all’apparato di tutela messogli a disposizione dalla legge147 e – trattandosi di un difetto distinto e non ricollegabile a un aggravamento di quello già invocato a fondamento della pretesa estimatoria148 – potrà liberamente scegliere di far valere il rimedio che ritenga maggiormente idoneo, nel rispetto delle regole che presiedono all’accesso ai singoli rimedi149. Pertanto, ancorché abbia richiesto la riduzione del prezzo con riferimento al primo vizio manifestatosi, non troverà alcuna preclusione nella richiesta del ripristino della conformità della cosa (ove prevista) o della risoluzione del contratto150, 146 Cfr. 147 Già Capitolo 2, par. 3. R.J. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano disposte in nuovo ordine, III, vers. it. a cura di A. Bazzarini, Venezia, 1834, p. 47 avvertiva come «non v’ha dubbio che l’azione Estimatoria può essere ripetutamente intentata. Ma Giuliano dice, doversi badare che il compratore in tal modo non faccia lucro, ed ottenga due volte il valore della cosa». Su questo secondo punto si legga infra nel testo. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 856 efficacemente scrive che «se la cosa è affetta da più vizi, ciascuno segue la propria sorte». 148 Il punto è ben evidenziato da STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., Berlin, 1978, Rn. 1, ove correttamente si mette in luce che la riduzione del corrispettivo riguarda soltanto il singolo difetto con riferimento al quale la stessa viene fatta valere; pertanto, «tauchen nach erfolgter Minderung neue Mängel auf, so ist eine erneute Gewährleistung nicht ausgeschlossen». 149 In questo senso era chiarissimo il § 475 aF BGB, il quale disponeva appunto: «Durch die wegen eines Mangels erfolgte Minderung wird das Recht des Käufers, wegen eines anderen Mangels Wandelung oder von neuem Minderung zu verlangen, nicht ausgeschlossen». 150 Così, infatti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 857 («dopo ottenuta la riduzione del prezzo per un vizio, si può chiedere un’ulteriore riduzione per un secondo vizio […]; dopo rigettata la domanda per insussistenza di un vizio, si può riproporre per un vizio diverso una domanda uguale, oppure passare dalla redibitoria alla quanti minoris o viceversa; dopo ottenuta la riduzione del prezzo per un vizio, si può financo chiedere la risoluzione per un altro vizio») e STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., cit., Rn. 1 («Der Käufer kann also erneut mindern, er kann aber auch wandeln»). LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 187 non potendosi ritenere che l’opzione manifestata per prima comporti la perdita della facoltà di scelta in relazione a difetti manifestatisi successivamente151. Tale conclusione, dissonante con quella che deve essere raggiunta laddove il vizio invocato sia sempre il medesimo, è motivata dal fatto che ciascun autonomo difetto dell’attribuzione patrimoniale è fonte di una parimenti indipendente fattispecie di responsabilità del venditore, i cui contenuti non variano in ragione del fatto di seguire o precedere il manifestarsi di altri vizi e in relazione alla quale l’alienante non può vantare alcun affidamento che conduca a ritenere che la controparte non possa valersi del mezzo di tutela ritenuto più opportuno, ancorché diverso da quello già azionato. Nell’economia della presente trattazione, peraltro, ciò che deve essere in particolare sottolineato è che, qualora la riduzione del corrispettivo sia invocata in seconda o ulteriore battuta, successivamente all’esperimento del medesimo rimedio in relazione a differenti difetti dell’attribuzione patrimoniale, il criterio di calcolo da applicare per l’aestimatio vitii subisce una modificazione, dovendo quest’ultima essere dedotta dal rapporto fra il valore del bene in conseguenza del singolo difetto per il quale è richiesta la quanti minoris e quello che esso avrebbe avuto qualora tale singolo vizio – e non altri – non fosse sussistito. Invero, non può sfuggire come l’adattamento del contenuto contrattuale che consegue alla quanti minoris – comportando la modificazione dello stesso parametro di “regolarità” dell’attribuzione patrimoniale – si riverberi sul Sollwert, facendolo coincidere con quello del bene colpito dai soli difetti per i quali è già stata esercitata la riduzione del prezzo152. Pertanto, la decurtazione dovrà essere operata sul corrispettivo già ridotto, applicando a quest’ultimo il rapporto risultante fra il valore che il bene possiede in conseguenza di tutti i difetti che lo caratterizzano e quello che esso avrebbe avuto qualora il vizio fatto valere con l’ultima riduzione del prezzo non si fosse manifestato. Tale metodologia di determinazione è la diretta conseguenza dell’adattamento del contenuto contrattuale conseguente al fatto che la riduzione del prezzo è richiesta una volta che la stessa è già stata esercitata in precedenza per un diverso difetto: così come, qualora il compratore 151 STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., cit., Rn. 1: «Immerhin stellt sie klar, daß der Käufer durch die wegen des ersten Mangels erfolgte Minderung sein ius variandi nicht verloren hat». Nello stesso senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 857, secondo il quale l’art. 1492, comma 2 c.c. «vieta solo che […] il rimedio scelto venga cambiato per il medesimo vizio o i medesimi vizi, ma lascia impregiudicata l’autonomia di ogni singolo vizio, anche agli effetti dei rimedi invocabili se i singoli vizi vengono fatti valere in momenti successivi». 152 Cfr. STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 475, 12. Aufl., cit., Rn. 2. 188 CAPITOLO TERZO decidesse di richiedere la risoluzione, la restituzione del corrispettivo dovrebbe avvenire soltanto nei limiti di quello risultante dalla riduzione, anche allorché egli perseveri nell’invocare la tutela estimatoria la decurtazione dovrà avvenire tenendo conto del diverso assetto delle pattuizioni fra le parti originato dalla precedente riduzione. 7. La riduzione del corrispettivo non ancora (in tutto o in parte) pagato Come più volte si è ripetuto, qualora – una volta riscontrati i difetti della res consegnata – il compratore si determini all’esercizio della riduzione del corrispettivo, viene a prodursi una modificazione del contenuto della pattuizione negoziale in esito alla quale la res effettivamente trasferita diviene “conforme al contratto” e il prezzo concordato inizialmente subisce una decurtazione pari all’importo della riduzione. Pertanto, se il prezzo non è stato ancora pagato, a seguito dell’esercizio del rimedio153 il compratore è tenuto nei confronti del venditore soltanto nei limiti del corrispettivo diminuito e non più in ragione del quantum che aveva costituito l’oggetto dell’accordo; correlativamente, il credito dell’alienante subisce un adattamento nella misura della riduzione. Ne consegue che il venditore non è più legittimato a pretendere il pagamento del prezzo convenuto154, né ad eccepire l’inesattezza della prestazione offerta dal debitore, qualora quest’ultimo offra di corrispondere il prezzo risultante dalla decurtazione indotta dall’aestimatio vitii. Nell’ipotesi che si sta considerando, quindi, la riduzione del prezzo avviene semplicemente attraverso la dichiarazione unilaterale del compratore, il quale potrà limitarsi a pagare il corrispettivo risultante155. La 153 Sino a che il compratore non richiede la riduzione del prezzo, egli è tenuto a corrispondere al venditore l’intero corrispettivo pattuito e non può opporsi alla pretesa all’adempimento eventualmente avanzata da costui: soltanto l’esercizio del rimedio, infatti, provoca la rimodulazione delle obbligazioni delle parti la quale legittima il compratore a rifiutare l’adempimento dell’obbligazione di prezzo inizialmente pattuita. Qualora, però, i difetti dei beni consegnati si siano già manifestati, benché la mera esistenza del difetto non abbia alcuna influenza sulla permanenza dell’obbligo di pagare il corrispettivo, il compratore potrà eventualmente paralizzare la pretesa dell’alienante denunziando la presenza dei vizi: cfr. infra nel testo. 154 Cfr. esattamente M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 399, il quale ulteriormente precisa come «einer Kaufpreisklage des Verkäufers kann der Käufer in Höhe des sich nach Art. 50 errechnenden Minderungsbetrags das Recht auf Minderung als Einrede entgegenhalten». 155 Nello stesso senso, v. S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, cit., p. 300 e M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 399. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 189 riduzione dell’importo della somma dovuta dal compratore non costituisce la conseguenza della parziale compensazione fra il credito avente ad oggetto la somma convenuta originariamente in contratto e quello dell’acquirente ad una somma di importo pari all’incidenza della diminuzione di valore del bene; per contro, l’esercizio del diritto potestativo di riduzione del prezzo comporta – come abbiamo chiarito nel Capitolo precedente – l’automatica modificazione del contenuto dell’originaria pattuizione contrattuale relativa al quantum del corrispettivo156. Qualora il compratore abbia subito l’iscrizione dell’ipoteca legale a garanzia del pagamento del residuo prezzo non ancora pagato (art. 2817, n. 1, c.c.) ovvero abbia concesso pattiziamente al venditore la garanzia ipotecaria su un diverso bene di sua proprietà, egli potrà altresì chiedere la diminuzione – in ragione della proporzione della riduzione del prezzo sull’ammontare totale di questo – della somma per la quale l’ipoteca è stata iscritta, purché la riduzione da operarsi sia superiore al quinto della somma originaria157. 7.1. L’eccezione di inadempimento Qualora il difetto del bene si sia già manifestato, taluni interpreti ritengono che il compratore abbia la facoltà di paralizzare la pretesa del venditore che richieda il pagamento integrale del corrispettivo anche senza dover immediatamente dichiarare la propria volontà di fare ricorso all’aestimatoria (o a uno degli altri mezzi di tutela a lui concessi): secondo tale indirizzo interpretativo, sviluppatosi con particolare riferimento alla normativa di diritto uniforme, contrasterebbe con il fondamentale principio di buona fede158 la pretesa dell’alienante al versamento dell’intero prezzo di vendita, giacché il difetto esistente nel bene non gli consenti156 Cfr. ancora M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 399, il quale nota come «die Möglichkeit des Käufers, den Kaufpreisanspruch des Verkäufers in entsprechender Höhe zu kürzen», derivi direttamente dalla legge, senza necessità di immaginare compensazioni fra crediti reciproci. 157 Nel senso che la disposizione dell’art. 2873, comma 2, c.c. (la quale consente la riduzione dell’importo dell’iscrizione laddove siano stati eseguiti pagamenti parziali tali da estinguere almeno un quinto del debito originario) debba essere ritenuta espressiva di una regola valevole per tutti i casi di parziale estinzione del credito per cui l’ipoteca è stata iscritta, prescindendosi dalla causa di tale parziale estinzione, cfr. G. GORLA - P. ZANELLI, sub art. 2873, in IID., Del pegno, delle ipoteche, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1992, p. 475. 158 Proprio nel senso che «eine solche vorläufige Zahlungspflicht wäre mit Treu und Glauben unvereinbar» si esprime M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UNKaufrecht (CISG), cit., p. 399, il quale si appella altresì al brocardo secondo cui dolo facit qui petit quod redditurus est. 190 CAPITOLO TERZO rebbe di esigere la prestazione promessagli, ma soltanto una più circoscritta. A nostro avviso, tale argomento necessita di essere attentamente soppesato: infatti, da un canto, il compratore potrebbe determinarsi ad esercitare – o, addirittura, essere tenuto ad esperire in prima battuta, come accadrebbe ove si versi in un’ipotesi di vendita di beni di consumo159 – un rimedio distinto dalla riduzione del prezzo, quale la riparazione o la sostituzione, ciò che lascerebbe impregiudicato il diritto del venditore a percepire per intero il corrispettivo pattuito160; dall’altro, benché possa senz’altro ammettersi che il compratore si limiti a denunziare l’irregolarità dell’attribuzione traslativa e si riservi di esercitare in un momento successivo il rimedio che ritenga più opportuno, anche a seguito delle eventuali necessarie indagini circa la natura e l’incidenza del difetto sul valore della res, l’affermazione della facoltà di costui di rifiutare il pagamento al venditore a cagione della mera esistenza del vizio deve confrontarsi – almeno per quanto riguarda i contratti non rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione di Vienna161 – con la clau159 È superfluo rammentare in questa sede come il consumatore non abbia titolo per esercitare direttamente la riduzione del prezzo ove la sostituzione e/o la riparazione siano possibili: sulle condizioni che consentono l’esercizio dei rimedi sussidiari, e in particolare della riduzione del prezzo, nell’ipotesi di vendita di beni di consumo, cfr. quanto si esporrà infra al Capitolo 4. 160 Si può aggiungere, inoltre, che, chiedendo la regolarizzazione della prestazione, il compratore manifesta un’inequivoca volontà di eseguire il contratto nei termini decisi in sede di conclusione dello stesso, sicché non residua alcun margine per riconoscergli il diritto di rifiutare l’adempimento dell’obbligazione di prezzo, salvo quanto si sta per dire nel testo con riferimento all’eccezione di inadempimento. Si veda comunque infra nel testo per approfondimenti sull’eccezione d’inadempimento sollevata dal consumatore e sui limiti che essa incontra a fronte dell’offerta di rimpiazzo o riparazione del bene da parte dell’alienante. 161 Va ricordato come, ai sensi dell’art. 7, comma 2 CISG, le questioni concernenti materie disciplinate dalla Convenzione «che non sono espressamente risolte da essa devono essere risolte in conformità con i principi generali sui quali essa si basa ovvero, in mancanza di tali principi, in conformità con la legge applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato». Sebbene la Convenzione preveda, all’art. 71, un’eccezione di sospensione il cui tenore rieccheggia in parte quello del mezzo di tutela concesso all’art. 1461 c.c., essa non concede invece espressamente al compratore l’eccezione di inadempimento, limitandosi a sancire indirettamente il principio ad essa sotteso laddove, all’art. 58, prescrive che «se il compratore non è obbligato a pagare il prezzo in un altro momento determinato, egli deve pagarlo quando, in conformità al contratto e alla presente Convenzione, il venditore mette a sua disposizione i beni o i documenti rappresentativi di essi» (in argomento, v. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 3 e SCHLECHTRIEMSCHWENZER/HAGER - MAULTZSCH, sub art. 58, 5. Aufl., München, 2008, Rn. 2), e all’art. 81, comma 2 laddove, occupandosi delle restituzioni conseguenti alla risoluzione del contratto, stabilisce che, «se entrambe le parti sono obbligate ad effettuare restituzioni, esse devono procedervi contemporaneamente» (sulla Zug-um-Zug-Rückabwicklung imposta dall’art. 81, LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 191 sola generale dell’exceptio inadimpleti (o, rectius, versandosi in ipotesi di inesatto adempimento, non rite adimpleti162) contractus. comma 2 CISG, cfr. STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 81 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 14). Sembra, pertanto, di poter concludere che le compravendite cui si applica la CISG consentano il ricorso dell’acquirente all’exceptio in parola, non tanto perché la stessa costituisce applicazione del generale principio di buona fede, ma in quanto quello di contestualità degli adempimenti parrebbe costituire un principio desumibile dallo stesso diritto uniforme, come previsto dal citato art. 7. Sul punto cfr. anche KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/P. HUBER, sub art. 45 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 8. 162 Comunemente si distingue fra exceptio non adimpleti contractus ed exceptio non rite adimpleti contractus, la prima avente riguardo alle ipotesi in cui il comportamento della parte non eccipiente ha dato luogo a un inadempimento totale della prestazione e la seconda concretantesi in un adempimento inesatto, dal punto di vista temporale, quantitativo, qualitativo o delle obbligazioni accessorie (cfr. G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, Milano, 1955, p. 126). L’utilità di tale distinzione, peraltro, è revocata in dubbio da chi ha messo in evidenza come, alla stregua dell’art. 1218 c.c., inadempimento e inesatta esecuzione della prestazione siano sostanzialmente equiparati (in tal senso v. L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, Milano, 1974, p. 39, nota 47) e la differenziazione riposi fondamentalmente «nella diversa incidenza dell’onere della prova» (v. Cass. 24 luglio 1954, n. 2668; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 695 s.), Peraltro tale differenziazione sul piano probatorio (per la quale l’eccipiente che lamenti la mera inesattezza della prestazione della controparte sarebbe tenuto a dimostrare tale inesattezza – v., ad esempio, Cass. 10 febbraio 2000, n. 1457 e Cass. 11 novembre 1996, n. 9825, secondo cui «nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora il convenuto contesti l’esattezza dell’adempimento della controparte, spetta al medesimo dimostrare la differenza tra ciò che è stato prestato e ciò che era dovuto, non potendosi far gravare sull’attore, che ha l’onere di dimostrare il proprio adempimento, anche la prova di aver adempiuto esattamente» – mentre, qualora la prestazione sia totalmente mancante, potrebbe limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, la quale sarebbe gravata dell’onere di provare di avere già adempiuto, di essere pronta ad adempiere ovvero della non ancora maturata esigibilità della prestazione – Cass. 29 maggio 1998, n. 5306 e Cass. 18 dicembre 1992, n. 13445 –), sembra possa dirsi superata a seguito del noto dictum di Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533 (pubblicata in Corr. giur., 2001, p. 1565 ss., con nota di V. MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 349 ss., con nota di B. MEOLI, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova), la quale ha affermato che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore-convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando an- 192 CAPITOLO TERZO Tale mezzo di tutela163 è posto a disposizione della parte di un contratto a prestazione corrispettive la quale può sospendere l’adempimento della propria prestazione qualora l’altra parte non esegua esattamente o non offra di eseguire la controprestazione164. Esso quindi risponde in pieno all’esigenza di chi riceva una prestazione difettosa e, pur non essendosi ancora determinato a provocare lo scioglimento del contratto ovvero ad azionare un diverso rimedio, intenda cautelarsi evitando di adempiere la propria prestazione165 senza avere la certezza circa il fatto cora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. Nello stesso senso, proprio con riferimento all’exceptio non rite adimpleti contractus, v. Cass. 10 aprile 2008, n. 9439. Critici nei confronti di questo revirement giurisprudenziale (da ultimo accolto da Cass. 15 aprile 2014, n. 8736, in Giur. it., 2014, con nota di M. COCCO, L’onere della prova nell’eccezione di inadempimento, p. 1856 s.), che in caso di exceptio non rite grava l’adempiente di un onere probatorio assai difficile da assolvere, F. ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, in Tratt. contratto Roppo, Milano, 2006, p. 459 ss.; G. VILLA, Onere della prova, inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 729 ss.; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2011, p. 66 ss. 163 L’eccezione di inadempimento è ritenuta, in particolare, uno strumento di “autotutela” della parte contrattuale: sul punto, con varie sfumature, cfr. – oltre all’opera di L. BIGLIAZZI GERI citata alla nota precedente – G. SCADUTO, L’«exceptio non adimpleti contractus» nel diritto civile italiano, in Annali Sem giur. Regia Univ. Palermo, 1921, p. 75 ss.; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento, in Noviss. D., VI, Torino, 1960, p. 354 ss.; R. LUZZATTO, L’eccezione di inadempimento (Note su una recente pubblicazione), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, p. 740 ss.; F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 222 ss.; ID., Importanza dell’inadempimento e «exceptio inadimpleti contractus», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, p. 321 ss.; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 5 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, voce Eccezione d’inadempimento, in Dig. disc. priv. - sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 331 ss.; EAD., sub art. 1460, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 7 ss.; A. SATURNO, L’autotutela privata. I modelli della ritenzione e dell’eccezione di inadempimento in comparazione col sistema tedesco, Napoli, 1995, p. 57 ss.; F. ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, in Tratt. contratto Roppo, cit., p. 413 ss.; contra, però, G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 35, secondo il quale «l’eccezione di inadempimento non rappresenta una forma di autotutela né un’applicazione di altri istituti (risoluzione, ritenzione, compensazione) ma un diritto potestativo autonomo che, nei contratti con prestazioni corrispettive, sorge in ogni contraente di fronte all’inadempienza dell’altro e vale a paralizzare temporaneamente l’esercizio del diritto di quest’ultimo all’adempimento». In giurisprudenza, inquadrano l’eccezione di inadempimento fra gli strumenti di autotutela, fra le altre, Cass. 10 febbraio 1968, n. 454; Cass. 23 gennaio 1969, n. 206; Cass. 21 ottobre 1969, n. 3439; Cass. 2 febbraio 1973, n. 328; Cass. 8 febbraio 1982, n. 280; Cass. 5 novembre 1990, n. 10620; Cass. 11 novembre 1992, n. 12121; Cass. 6 agosto 1997, n. 7228; Cass. 3 febbraio 2000, n. 1168; Cass. 19 dicembre 2003, n. 19556; Cass. 16 giugno 2008, n. 16216; Cass. 4 novembre 2009, n. 23345; Cass. 21 maggio 2012, n. 8002. 164 Per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 360. 165 Benché la natura giuridica dell’eccezione d’inadempimento sia oggetto di dibattito fra coloro che sono propensi a inquadrarla come diritto sostanziale (di tipo personale, per L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, cit., p. 63 s.; sussumibile nelle LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 193 che l’altra parte farà altrettanto, risolvendosi ad attuare la propria o a regolarizzare quanto già prestato. Posta l’idoneità astratta del mezzo di autotutela rispetto alle esigenze del compratore che riceva beni qualitativamente o giuridicamente difettosi, secondo la definizione che ne abbiamo dato al Capitolo precedente, è necessario però vagliare se questi sia effettivamente legittimato ad opporre al venditore che reclami il pagamento del corrispettivo l’eccezione codificata all’art. 1460 c.c. Si ritiene comunemente che l’exceptio inadimpleti contractus costituisca un rimedio cui è possibile fare ricorso166 nel contesto di contratti a prestazioni corrispettive167 qualora una delle due parti non adempia o non offra di adempiere168, in tutto o in parte, per colpa o per causa a sé garanzie reali, a cagione della sua opponibilità ai terzi, secondo G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 207 ss.) e quanti, invece, vi ravvisano una eccezione processuale di diritto sostanziale (in questo senso, pur con diversità d’accenti, cfr. G. SCADUTO, L’«exceptio non adimpleti contractus» nel diritto civile italiano, cit., p. 92; A. DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento, cit., p. 355; G. PUGLIATTI, voce Eccezione (teoria generale), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 165; F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, cit., p. 222 ss.; F. ADDIS, Le eccezioni dilatorie, in V. ROPPO, I rimedi. 2, cit., p. 418 s.), v’è sostanziale concordia «sulla efficacia sostanziale dell’eccezione, e quindi sulla esercitabilità stragiudiziale e sulla [insussistenza della] rilevabilità d’ufficio della stessa» (A. SATURNO, L’autotutela privata. I modelli della ritenzione e dell’eccezione di inadempimento in comparazione col sistema tedesco, cit., p. 63 ss., il quale rileva come anche in Germania la dottrina in materia di Einrede des nicht erfüllten Vertrags si divida «fra la teoria dell’eccezione (Einredetheorie)», abbracciata dalla maggioranza degli interpreti [BECKOK BGB/H. SCHMIDT, sub § 320 BGB, in Beck-Online, Rn. 8; JAUERNIG/A. STADLER, sub § 320 BGB, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 3] «e la c.d. teoria della pretesa unitaria di scambio (einheitlichen Austauschanspruchs), anche chiamata teoria della immanenten Leistungsbeschränkung, della limitazione intrinseca della prestazione [v., ad esempio, K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. Band 1. Allgemeiner Teil, 14. Aufl., München, 1987, p. 205 ss.]»). La giurisprudenza italiana è nettamente favorevole alla configurazione dell’exceptio inadimpleti contractus quale «eccezione in senso proprio, rimessa alla disponibilità e all’iniziativa dell’interessato, senza che il giudice abbia il dovere di esaminarla o rilevarla d’ufficio» (Cass. 5 agosto 2002, n. 11728; Cass. 29 settembre 1999, n. 10764; Cass. 18 marzo 1983, n. 1934), riconoscendone al contempo la natura di «strumento di tutela non solo in sede processuale, ma anche al di fuori del giudizio, rendendo legittimo un rifiuto della prestazione altrimenti non consentito» (Cass. 14 maggio 1977, n. 1944). 166 Secondo Cass. 29 settembre 1999, n. 10764, il contraente che voglia valersi dell’eccezione di inadempimento non ha l’onere di adottare «forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà [di farvi ricorso] (onde paralizzare l’avversa domanda di adempimento) [possa desumersi] in modo non equivoco». 167 Nel senso che il nesso di interdipendenza fra le prestazioni esistente nei contratti a prestazioni corrispettive costituisce la ragione della possibilità concessa ad una parte di sospendere l’adempimento sino a che la controparte non adempia ovvero offra di adempiere a sua volta, v. per tutti Cass. 6 febbraio 2008, n. 2800 e C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 361. 168 L’opinione preferibile ammette l’esperibilità dell’exceptio inadimpleti contractus anche allorché l’obbligazione non adempiuta abbia carattere accessorio, purché la stessa con- 194 CAPITOLO TERZO non imputabile169, le prestazioni dovute in forza del negozio concluso. Il tema dell’ammissibilità dell’esercizio dell’eccezione in discorso da parte del compratore al fine di esimersi dal pagare il corrispettivo dovuto ha costituito oggetto di notevole approfondimento da parte della dottrina tedesca, che in proposito distingue il momento temporale anteriore alla consegna dei beni da quello successivo. Anteriormente alla traditio delle cose che costituiscono oggetto del contratto di vendita, infatti, si ritiene che il Käufer – il quale riscontri in esse difetti quantitativi, qualitativi o giuridici – possa senz’altro rifiutare di accettarle in applicazione della regola generale contenuta nel § 320 BGB e far valere l’eccezione di inadempimento, al fine di evitare il pagamento del corrispettivo170. In tale fase, infatti, l’attuazione del programma negoziale obbedisce pienamente alle regole generali, giacché nel diritto germanico il compratore non è ancora stato investito della proprietà del bene171. In relazione alle fattispecie in cui la consegna sia già avvenuta, invece, fino alla Modernisierung des Schuldrechts gli interpreti si interrogavano circa la compatibilità dell’Einrede des nichterfüllten Vertrags (o nicht gehörig erfüllten Vertrages) con la disciplina speciale delle garanzie del venditore di derivazione romanistica contenuta ai §§ 459 ss. aF BGB172, da molti considerato come «un sistema chiuso, esclusivo, che creti un inadempimento di non scarsa importanza in considerazione dell’interesse del creditore e della complessità dell’affare: in questo senso cfr. F. REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., XIV, cit., p. 223; A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 30 ss. e, in giurisprudenza, Cass. 12 febbraio 2010, n. 3373; Cass. 19 luglio 2004, n. 13344; Cass. 18 marzo 1999, n. 2474. 169 L’esercizio dell’eccezione di inadempimento non postula la sussistenza di un inadempimento imputabile, giacché tale rimedio «non tende a favorire uno dei contraenti nei confronti dell’altro, ma semplicemente ad impedire che una parte venga a trovarsi avvantaggiata nei confronti dell’altra, […] a conservare uno stato d’uguaglianza tra i contraenti» (G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 113; similmente, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 366 s., il quale rileva come l’interesse a non eseguire la prestazione in assenza della controprestazione sussiste ed è egualmente meritevole di tutela anche allorché la mancanza dell’adempimento derivi da ragioni non imputabili all’altro contraente). Ed effettivamente, la legittimità del rifiuto di adempiere può dirsi ricorrente sia qualora sussista un inadempimento colpevole sia qualora la controparte dimostri che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lei non imputabile, poiché in questo secondo caso la prestazione non è più dovuta ai sensi dell’art. 1463 c.c. 170 V., fra i tanti, PALANDT/GRÜNEBERG, sub § 320, München, 2014, Rn. 9; MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 3; U.G. SCHROETER, Das Wahlrecht des Käufers im Rahmen der Nacherfüllung, in NJW, 2006, p. 1762. 171 Si veda MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 433 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 56. 172 Cfr., per tutti, MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 3. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 195 precludeva l’ingresso delle norme generali dell’inadempimento contrattuale e l’applicabilità dei rimedi che la disciplina generale del [negozio] accorda alla parte non inadempiente»173. In ragione di ciò, l’interrogativo veniva prevalentemente risolto in senso negativo, ritenendosi che l’acquirente potesse e dovesse scegliere fra Wandlung, Minderung e, se del caso, risarcimento del danno, senza potersi appellare all’eccezione di cui al § 320 BGB174, non vantando – almeno secondo la classica lezione della Gewährleistungstheorie175 – una pretesa all’esatto adempimento relativamente alle qualità della res. Gli effetti sostanziali di tale rigida opzione erano, peraltro, ammorbiditi dalla tendenza del BGH a riconoscere al compratore (cui pure la giurisprudenza negava il ricorso all’eccezione di inadempimento in senso proprio) un’«allgemeine Mängeleinrede», a mezzo della quale egli poteva raggiungere il medesimo effetto pratico tipicamente assicurato dal rimedio generale: «die Bezahlung des Kaufpreises verweigern könne[n], solange er sich noch nicht zwischen seinen verschiedenen Gewährleistungsrechten entschieden habe»176. Dopo che la legge di riforma del diritto delle obbligazioni del 2002 ha segnato il definitivo abbandono del sistema romanistico della garanzia, gli argomenti che avevano indotto gli interpreti a disconoscere il diritto del compratore di eccepire l’inesatto adempimento del venditore che avesse consegnato beni difettosi sono venuti meno, giacché il testo novellato del BGB ha foggiato l’apparato rimediale azionabile dal Käufer 173 Così, letteralmente, C.M. BIANCA, La nuova disciplina della compravendita: osservazioni generali, in G. CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? Atti del Convegno svoltosi a Ferrara il 7-8 marzo 2003, Padova, 2004, p. 180, il quale correttamente ricorda come per lo stesso riconoscimento “generale” del diritto del compratore di cosa viziata al risarcimento del danno fu necessario un intervento in via interpretativa, giacché esso era espressamente sancito soltanto nelle due ipotesi di bene privo delle qualità promesse e cosa affetta da vizi dolosamente taciuti. Nello stesso senso, v. L. ENNECCERUS - H. LEHMANN, Recht der Schuldverhältnisse. Ein Lehrbuch, Tübingen, 1958, p. 440. 174 Cfr. MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4; H. BROX, Die Einrede des nichterfüllten Vertrags beim Kauf, Köln, 1948, p. 46 ss.; K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrecht. Band 2. Besonderer Teil. 1. Halbband, cit., p. 69. 175 La letteratura riguardante la natura giuridica della responsabilità del venditore nel diritto tedesco è talmente copiosa da rendere superflua e, al contempo, esposta al rischio di superficialità ogni indicazione bibliografica. Ci limitiamo, pertanto, a rinviare a una delle più serie e documentate esposizioni dei termini del dibattito apparse in lingua italiana e agli AA. ivi citati: R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 17 ss. 176 MÜNCHKOMM-BGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4, ove si richiama BGH 18 gennaio 1991, V ZR 11/90, in NJW, 1991, p. 1048 ss. In argomento v. anche A. LEHMANNRICHTER, Die Anwendbarkeit von § 320 I 1 BGB im Kaufrecht bei vereinbartem Ausschluss der Mängelrechte des Käufers, in Jura, 2002, p. 585 ss. 196 CAPITOLO TERZO attraverso un solido radicamento nella disciplina generale delle Leistungstörungen e, correlativamente, ha assunto pienamente le qualità materiali e giuridiche del bene compravenduto nell’impegno obbligatorio del venditore177 (§ 433 nF BGB). Ne consegue che sono venuti meno i motivi che gli Autori consideravano ostativi rispetto all’affermazione del diritto dell’acquirente cui siano consegnati beni non conformi di invocare l’exceptio non rite adimpleti contractus. Si ritiene178, pertanto, che tale eccezione possa non soltanto essere esercitata allorché, rivelatasi impossibile o “impraticabile” la Nacherfüllung, egli ricorra alla riduzione del prezzo o al recesso dal contratto, ma altresì che ad essa sia possibile fare ricorso fino a quando il venditore non abbia provveduto a regolarizzare la prestazione, al fine di paralizzare la richiesta di pagamento del corrispettivo, e in particolar modo quella di corresponsione dell’intero corrispettivo pattuito179. 177 C.M. BIANCA, La nuova disciplina della compravendita: osservazioni generali, in G. CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? cit., p. 179 e S. GRUNDMANN, La nuova disciplina della compravendita: la violazione dell’impegno contrattuale, ivi, 193 ss., nonché R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, I. Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, cit., p. 62 s. e, di recente, R. FAVALE, Invalidità del contratto di vendita e vizi della cosa: la loro interferenza nel modello tedesco, in Rass. dir. civ., 2014, p. 236 ss. Nella letteratura tedesca, cfr. ex plurimis BECKOK/F. FAUST, sub § 433 BGB, in Beck-Online, Rn. 38 ss.; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 433 BGB, Rn. 47 ss.; STAUDINGER/A. MATUSCHEBECKMANN, sub § 433, München, 2004, Rn. 89; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, 15. Aufl., cit., Rn. 60 ss.; P. HUBER, Der Nacherfüllungsanspruch im neuen Kaufrecht, in NJW, 2002, p. 1005; C.W. CANARIS, Die Neuregelung des Leistungstörungs- und des Kaufrechts - Grundstrukturen und Problemschwerpunkte, in E. LORENZ, Karlsruher Forum 2002. Schuldrechtsmodernisierung, Karlsruhe, 2003, p. 54 ss.; H.C. GRIGOLEIT - C. HERRESTHAL, Grundlagen der Sachmängelhaftung im Kaufrecht, in JZ, 2003, p. 118 ss.; S. LORENZ, Rücktritt, Minderung und Schadensersatz wegen Sachmängeln im neuen Kaufrecht: Was hat der Verkäufer zu vertreten?, in NJW, 2002, p. 2497. 178 Cfr. BECKOK/F. FAUST, sub § 437 BGB, in Beck-Online, Rn. 164; MÜNCHKOMMBGB/V. EMMERICH, sub § 320, cit., Rn. 4; JAUERNIG/A. STADTLER, sub § 320, 15. Aufl., München, 2014, Rn. 4; D. REINICKE - K. TIEDKE, Kaufrecht, 8. Aufl., Köln-München, 2009, p. 77 s.; B. GRUNEWALD, Die allgemeine Mängeleinrede des Käufers, ein Auslaufmodell oder eine Rechtsfigur mit Zukunft?, in FS Westermann, Köln, 2008, p. 245 ss. 179 Sia in pendenza dei tentativi di adempimento successivo del venditore, sia qualora sia già stata esercitata la Minderung, il compratore non potrà integralmente esimersi dal pagamento del corrispettivo, giacché ciò si porrebbe in contrasto con quanto previsto dal comma 2 del § 320 BGB, il quale prevede che «ist von der einen Seite teilweise geleistet worden, so kann die Gegenleistung insoweit nicht verweigert werden, als die Verweigerung nach den Umständen, insbesondere wegen verhältnismäßiger Geringfügigkeit des rückständigen Teils, gegen Treu und Glauben verstoßen würde». Qualora, invece, egli si determini a recedere dal contratto, potrà senz’altro evitare di dover procedere al pagamento anche soltanto parziale. Sul punto, v. BECKOK/F. FAUST, sub § 437 BGB, in Beck-Online, Rn. 164. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 197 Volgendo l’analisi all’oggetto primario del nostro studio, costituito dalle regole vigenti nell’ordinamento italiano, è d’immediata evidenza come il riconoscimento al compratore di beni difettosi del diritto di eccepire l’altrui inesatto adempimento evochi, anche all’interno dei nostri confini, il tema della compatibilità fra il regime speciale di responsabilità che il codice civile, il codice del consumo e la CISG apprestano per l’ipotesi di difettosità del bene compravenduto e il ricorso ad un rimedio tipico della disciplina generale dell’inadempimento dei rapporti contrattuali sinallagmatici, qual è l’exceptio inadimpleti contractus. In particolare, poiché l’art. 1460 c.c. letteralmente consente a «ciascuno dei contraenti [di] rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria», potrebbe inferirsi – similmente a quanto accadeva in Germania prima dell’entrata in vigore del Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts – che lo strumento di tutela in discorso possa essere invocato soltanto allorché ricorra l’inattuazione di un’obbligazione in senso tecnico, così ponendo il problema della sua esperibilità con riferimento alle ipotesi in cui sussistano vizi materiali e giuridici oggetto di “garanzia” ai sensi della disciplina della compravendita di diritto comune, il cui inquadramento dogmatico è notoriamente origine di secolari incertezze. Con riferimento al primo punto, a nostro parere, la specialità degli apparati rimediali previsti per un tipo contrattuale non costituisce affatto, almeno ex se, un ostacolo all’applicazione dell’eccezione di inadempimento, come peraltro dimostra la pacifica applicabilità della medesima all’ipotesi di vizi dell’opera oggetto del contratto d’appalto180, dovendosi piuttosto valutare se sussistano specifiche ragioni di incompatibilità fra gli uni e l’altra. In maniera non dissimile da quanto avveniva nell’ordinamento tedesco sino al 2002, è proprio facendo leva sui corollari della ricostruzione in chiave di “garanzia” dei mezzi di tutela che il codice civile mette a disposizione del compratore che una parte della dottrina del nostro Paese nega a costui l’accesso all’eccezione ex art. 1460 c.c., sottolineando come, da un canto, la consegna della cosa viziata 180 Si vedano, in particolare, Cass. 17 maggio 2004, n. 9333 e Cass. 20 marzo 2012, n. 4446, secondo cui le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrano – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l’opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può – al fine di paralizzare la pretesa avversaria – opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta. Cfr. altresì Cass. 20 gennaio 2010, n. 936 e Cass. 13 marzo 2007, n. 5869. 198 CAPITOLO TERZO non dia luogo ad alcun inadempimento, giacché l’acquirente riceve proprio la cosa di cui è divenuto proprietario per effetto del consenso o dell’individuazione181, e, dall’altro, l’eccezione di inadempimento si porrebbe quale manifestazione di un’inammissibile pretesa all’esatto adempimento182. Seguendo tale impostazione, i vizi materiali del bene che ricadono nella garanzia dovuta ai sensi dell’art. 1490 c.c. così come le ipotesi di altruità della cosa ed evizione non legittimerebbero il compratore alla sospensione del pagamento del prezzo, mentre il difetto quantitativo della prestazione, la consegna di cosa diversa e la stessa mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.) spianerebbero la strada all’esercizio dell’exceptio inadimpleti contractus, dando luogo ad altrettanti inadempimenti del programma obbligatorio. Sennonché, non vi è chi non veda come un simile approdo appaia assai poco soddisfacente, sacrificando ad una visione rigidamente “ortodossa” della garanzia la considerazione dell’incidenza delle cennate vicende sul sinallagma contrattuale e la stessa natura dell’istituto dell’eccezione di inadempimento183. Infatti, come ha insegnato, ormai quasi settant’anni or sono, il più autorevole assertore della teoria della garanzia, da un lato, l’inadempimento della lex contractus non si traduce sempre e inevitabilmente nell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale184 e, dall’altro, il concetto di sinallagma contrattuale non si esaurisce nel rapporto di corrispettività fra due prestazioni dedotte in obligatione, potendo avere ad oggetto anche quelle «tutelate, in tutto o in parte, nella forma del diritto di garanzia»185. Se così è, e se si considera che, a di181 Si esprime in questi termini, ad esempio, F. MARTORANO, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Napoli, 1959, p. 35 ss. 182 L’argomento si trovava già in H. BROX, Die Einrede des nichterfüllten Vertrags beim Kauf, cit., p. 76. Nella nostra dottrina se ne trovano tracce in A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 513 s., ad avviso del quale in tanto potrebbe concedersi l’eccezione di inadempimento in quanto sussista «una pretesa all’esatto adempimento da parte dell’eccipiente». Lo stesso Autore, d’altro canto, stempera la portata dell’affermazione, ammettendo «un diritto di sospendere l’adempimento come misura “cautelare” preventiva per il tempo strettamente necessario al compratore per domandare la risoluzione o la riduzione del prezzo». 183 Anche in relazione a questo punto, pertanto, riteniamo che la trattazione possa essere soddisfacentemente condotta senza necessità di sposare l’una o l’altra ricostruzione della garanzia, giacché – come si sta per dire nel testo – l’applicabilità generalizzata dell’eccezione d’inadempimento al contratto di compravendita discende da un corretto intendimento del concetto di “sinallagma contrattuale” e dalla considerazione della natura dell’eccezione in parola. 184 L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 16 s., il quale si rifà alla lezione di W. FLUME, Eigenschaftsirrtum und Kauf, Münster, 1948, p. 41 ss. 185 Il virgolettato è tratto da L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 17. Un’intuizione in tal senso, come riconosce lo stesso LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 199 spetto del tenore letterale della disposizione codicistica che la sancisce, l’exceptio inadimpleti contractus è un mezzo di tutela volto a garantire il mantenimento dell’equilibrio sinallagmatico del rapporto di scambio, non sembra possa essere ravvisata alcuna ragione ostativa alla sua applicazione a fronte della sussistenza di vizi nel bene compravenduto, quale che sia la disciplina – codicistica186, consumeristica187 o di diritto uniforme – applicabile ai diritti del compratore188. Una volta chiarito questo punto fondamentale, è però necessario affrontare quelli, non meno importanti, attinenti all’identificazione dei limiti e delle modalità di esercizio dell’eccezione in parola. Ci siamo chiesti se l’acquirente che riscontri la presenza di un difetto nel bene alienatogli possa, prima di esercitare uno dei mezzi di tutela che l’ordinamento gli accorda, sottrarsi all’obbligo di pagamento del corrispettivo pattuito invocando l’inesatto adempimento della controparte. La risposta, come abbiamo visto, è, in linea di principio, senza dubbio positiva, ma in conMengoni, si può trovare già in D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1952, p. 245 ss., ove si afferma che «il rapporto di corrispettività, il sinallagma, corre non sempre e necessariamente fra due obbligazioni, ma, ancor più in generale, fra due attribuzioni patrimoniali: una delle due parti, cioè, o anche ciascuna delle due, può, invece di assumere obbligazioni, trasferire all’altra un proprio diritto, e trasferirlo come effetto del semplice consenso, senza che per ciò venga meno la natura di contratto corrispettivo; sempre purché fra le due attribuzioni patrimoniali corra, appunto, il particolare nesso di corrispettività, la quale ultima, poi, a mio avviso, è […] da intendere nel senso di sinallagmaticità, secondo il significato tradizionale di questo termine» (nell’edizione del 1971, p. 303). 186 Vedi, ad esempio, Cass. 21 giugno 2010, n. 14926. 187 Con riferimento alle vendite di beni di consumo, non si dubita che, fra i «diritti attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico» non contemplate dal codice del consumo ma che costui può invocare in forza del generale rinvio di cui all’art. 135, comma 1 c.cons. rientri l’exceptio non adimpleti contractus: per tutti, v. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 391. 188 Nel senso dell’ammissibilità dell’eccezione di inadempimento sia in relazione all’ipotesi di consegna di beni qualitativamente viziati, sia qualora rispetto ai beni trasferiti sussistano “difformità giuridiche”, rientranti nelle garanzie codicistiche, si pronuncia da tempo la nostra giurisprudenza. Esemplare, nel primo senso, è Cass. 6 agosto 1997, n. 7228, secondo la quale «la parte evocata in giudizio per il pagamento della merce ad essa venduta può limitarsi ad eccepire nell’ambito del potere di autotutela di cui all’art. 1460 c.c., al fine di ottenere il rigetto della pretesa avversaria, l’inesatto adempimento della parte vincitrice in qualunque delle configurazioni che questo può assumere, in esso compreso quindi il fatto che la cosa consegnata in esecuzione del contratto fosse affetta da vizi o da mancanza di qualità essenziali». Il principio di diritto si trova ripetuto con lievissime variazioni in Cass. 1° luglio 2002, n. 9517 e Cass. 4 novembre 2009, n. 23345, a conferma di un orientamento ormai sedimentato, che ha superato la remota contrarietà di Cass. 3 luglio 1967, n. 1633. Con riferimento all’ipotesi di vendita di cosa altrui, cfr. Cass. 19 luglio 1965, n. 1638: «nell’ipotesi di vendita di cosa altrui il venditore non può pretendere l’adempimento delle obbligazioni assunte dal compratore ignaro della alienità del bene acquistato, qualora egli sia tuttora inadempiente a quello a lui incombente di trasferire la proprietà della cosa alienata». 200 CAPITOLO TERZO creto è influenzata anche dal contegno del venditore e dal novero dei rimedi che la legge mette a disposizione dell’acquirente. Iniziando dal primo profilo appena evidenziato, non sembra dubbio che, ove l’alienante – a fronte della denunzia del difetto – offra189 di effettuare la riparazione o la sostituzione del bene consegnato, l’acquirente non possa continuare a rifiutare l’adempimento dell’obbligazione di prezzo, giacché tale rifiuto è legittimo soltanto qualora la controparte, come sancisce l’art. 1460 c.c., «non adempi[a] o non offr[a] di adempiere contemporaneamente la propria» prestazione. Pertanto, poiché nella disciplina consumeristica delle garanzie la regolarizzazione della prestazione costituisce, in una prima fase, una scelta obbligata connessa alla nota gerarchizzazione dei mezzi di tutela, il compratore potrà sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto, nonostante l’alienante abbia offerto concretamente di procedere all’esecuzione di uno dei rimedi ripristinatori, soltanto qualora la riparazione e la sostituzione della res siano entrambe impossibili ovvero costui non vi provveda entro un congruo termine190, mentre nelle vendite regolate dal codice civile e dalla CISG questi potrà denunziare la mancata conformità del bene e proporre contestualmente l’exceptio senza incontrare simili limitazioni, salvo che la controparte, di propria iniziativa, offra effettivamente di eliminare il difetto di conformità ovvero di fornire un oggetto sostitutivo191. Un ulteriore limite al ricorso all’eccezione di inadempimento deriva, inoltre, dall’ampiezza dell’apparato rimediale che l’ordinamento concretamente appresta per la tipologia di difetto manifestatosi: infatti, qualora tale difetto, per la sua spiccata tenuità192, non consenta al compratore di 189 Si ritiene che tale offerta non debba obbligatoriamente essere avanzata con le modalità previste per l’offerta formale, essendo sufficiente la manifestazione concreta di una seria volontà di pronto ed esatto adempimento: così, A. ZACCARIA, sub art. 1460, in Comm. breve Cian - Trabucchi, Padova, 2014, p. 1609. Viceversa, qualora la parte non eccipiente perseveri nel proprio rifiuto di adempiere, la controparte può lecitamente continuare ad eccepire l’inadempimento anche qualora la prima offra garanzie (ancorché idonee) in ordine all’adempimento della propria prestazione (così Cass. 22 marzo 1968, n. 908). 190 Non sembra pertinente l’ulteriore situazione contemplata dall’art. 130, comma 7 c.cons., consistente nel fatto che «la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata [abbia] arrecato notevoli inconvenienti al consumatore», giacché in ipotesi costui non ha ancora azionato alcuno dei rimedi a sua disposizione. Peraltro, qualora i tentativi infruttuosi di riparazione o sostituzione siano avvenuti prima che il corrispettivo sia stato pagato e questi abbiano causato notevoli inconvenienti al consumatore, non dubitiamo che egli, nelle more fra l’esaurimento di tali tentativi e l’esercizio di uno dei rimedi secondati, possa esimersi dall’adempimento dell’obbligazione di prezzo, nei limiti generali che stanno per essere precisati nel testo. 191 Si tenga, peraltro, sempre presente che il secondo periodo dell’art. 50 CISG prevede che l’acquirente non possa ridurre il prezzo qualora la controparte abbia già esercitato con successo il right to cure ovvero tale esercizio sia stato rifiutato. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 201 azionare alcun mezzo di tutela contrattuale nei confronti del venditore193, neppure può dirsi ricorrente un’alterazione del sinallagma negoziale che legittimi la proposizione dell’eccezione, mentre allorché, seppur rilevante, l’inesattezza della prestazione legittimi l’esercizio di un solo mezzo di tutela del compratore, è corretto ritenere che l’eccezione possa essere sollevata soltanto qualora tale mezzo venga azionato, e sempre che esso sia compatibile con la sospensione del pagamento194. Così delimitato l’an del diritto del compratore di invocare l’exceptio inadimpleti contractus, dobbiamo ora affrontare il profilo del quantum dell’esenzione dal pagamento del corrispettivo che l’eccipiente può conseguire attraverso il suo esercizio, sia allorché questo avvenga prima della scelta del rimedio, sia – ciò che più ci interessa – a seguito della manifestazione della volontà di ridurre il prezzo. In relazione alla prima ipotesi, l’ampiezza della sospensione dell’obbligo di pagamento obbedisce, nella sostanza, a un criterio di proporzionalità rispetto al difetto lamentato e alla connessa lesione dell’interesse del compratore, in aderenza al generale richiamo alla buona fede operato dal comma 2 dell’art. 1460 c.c. È, infatti, indubbio che, in generale, l’ec192 Si rammenti, a questo proposito, che – ad esempio – vizi rilevanti ai fini del ricorso alle azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c. sono soltanto quelli che rendano la cosa «inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore» (art. 1490 c.c.). Qualora il bene trasferito risulti affetto da vizi che non ne compromettano la funzionalità, né ne diminuiscano apprezzabilmente il valore, il compratore non può esercitare nei confronti della controparte alcuna azione, sicché deve ritenersi precluso altresì il ricorso all’eccezione di inadempimento. Dissentiamo, pertanto, dall’orientamento propenso a ritenere che l’esperimento di quest’ultima, in ragione della temporaneità delle conseguenze che produce, non debba «essere subordinato alla presenza dei presupposti prescritti dalla legge in vista di ben più gravi conseguenze» (così M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI, I contratti in generale, II, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1782 s.). 193 A nulla rileva che il compratore possa, eventualmente, chiedere il risarcimento del danno giacché l’eccezione di inadempimento è volta a tutelare il diritto della parte all’esecuzione della controprestazione dovuta dall’altro contraente, e non già a consentirgli di non eseguire la propria qualora ritenga di avere diritto al risarcimento del danno a causa dell’inesattezza della prestazione della controparte. Ne consegue che, nell’ipotesi di contratto di compravendita, il compratore che intenda far valere la differenza di valore fra il bene “promesso” e quello effettivamente trasferito (e non corrispondere tale somma al venditore) ha maggior convenienza ad esercitare la riduzione del prezzo piuttosto che l’azione risarcitoria, giacché soltanto la prima gli consente sia la rideterminazione del corrispettivo per atto unilaterale sia l’esercizio dell’eccezione di inadempimento. 194 Ad esempio, in una vendita di cosa parzialmente altrui in relazione alla quale le circostanze non autorizzano a desumere che l’acquirente «non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario» (art. 1480 c.c.), costui può ottenere soltanto la riduzione del corrispettivo pattuito, sicché non sembra meritevole di tutela l’eventuale pretesa di limitarsi a denunciare la parziale altruità della cosa e di sospendere integralmente il pagamento del prezzo nell’attesa di procedere alla “scelta” del rimedio da far valere. 202 CAPITOLO TERZO cezione di inadempimento obbedisca al canone fondamentale della tendenziale equivalenza fra inattuazione (o inesatta attuazione) della prestazione altrui e rifiuto di esecuzione della propria195 ed è altrettanto certo che di tale canone debba farsi applicazione anche qualora, vertendosi in materia di compravendita, la prestazione inesattamente eseguita sia quella relativa all’attribuzione patrimoniale del venditore. Ne consegue che la sussistenza del difetto nella res consegnata non legittima la sospensione tout court del pagamento del corrispettivo pattuito, bensì soltanto un rifiuto di ampiezza proporzionale alla diminuzione di valore, funzionalità e utilità subita dalla cosa, giacché l’inadempimento legittimato dall’eccezione non deve dare luogo ad una reazione eccessiva o esorbitante. Essendo improntato al criterio di proporzionalità, l’adempimento parziale dell’obbligazione di prezzo conseguente all’esercizio dell’exceptio non rite adimpleti contractus finisce quindi per obbedire, nella sostanza, a criteri determinativi assimilabili a quelli che abbiamo visto presiedere al calcolo della riduzione del prezzo, i quali troveranno in questa sede un’applicazione analogica196 e – diremmo, dato il carattere conservativo-cautelare197 del mezzo di tutela – meno rigida, la 195 Secondo la giurisprudenza, la quale fa largo uso del requisito in argomento, la buona fede richiesta in chi intenda avvalersi dell’eccezione di inadempimento «è identificabile in un comportamento che, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza e della lealtà, risulti ragionevole e logico in senso oggettivo e trovi, quindi, concreta giustificazione nel raffronto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività fra le medesime» (Cass. 25 febbraio 1987, n. 1991 e Cass. 16 gennaio 1996, n. 307). Essa, pertanto, comporta la necessità di «verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte» (Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720). Nello stesso senso, in dottrina, cfr. G. PERSICO, L’eccezione di inadempimento, cit., p. 140 s., il quale ritiene che l’applicazione dell’eccezione postuli la sussistenza di un rapporto «di successione, di causalità e di proporzionalità tra le inadempienze dell’una e quelle dell’altra parte», dovendo l’inadempienza dell’eccipiente essere successiva a quella dell’eccepito, essere causata da quest’ultima e non essere esorbitante rispetto ad essa. Similmente, di recente, si esprime A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 51, il quale ritiene che la buona fede costituisca un «quid che sorregg[e] il rimedio e che consent[e] di escluderne, al contempo, usi distorti o capziosi», atteggiandosi alla stregua di «una valutazione di proporzionalità tra gli inadempimenti che si fronteggiano […] con lo scopo di verificare […] che la difesa (l’inadempimento legittimato) sia proporzionata all’attacco (l’inadempimento legittimante)», e la accosta al giudizio di ragionevolezza imposto dall’art. 9:201 dei Principi di diritto europeo dei contratti. 196 Non a caso, infatti, A.M. BENEDETTI, sub art. 1460, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 71 scrive che «il ricevimento di un quantitativo di merce inferiore a quella ordinata può giustificare un pagamento limitato alla sola quantità effettivamente recapitata al creditore», così facendo applicazione proprio del criterio generale LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 203 clausola di buona fede imponendo soltanto una tendenziale corrispondenza fra l’importanza dell’inadempimento legittimante e quella dell’inadempimento legittimato e non già la precisa determinazione della riduzione della controprestazione. Non è dubbio peraltro che, ove le deficienze dei beni consegnati siano tali da azzerarne il valore e da menomare totalmente l’utilità degli stessi per l’acquirente, costui sia senz’altro autorizzato ad astenersi integralmente dall’adempimento della propria obbligazione198, potendo al più discutersi se tale comportamento lo oneri della restituzione di quanto ricevuto, altrimenti dandosi luogo a un’ingiusta locupletazione a danno della controparte. Qualora, invece, il compratore abbia già esercitato la riduzione del corrispettivo, quest’ultimo ha già subito la rideterminazione nella misura della riduzione sicché, invero, si è ormai fuori dal campo di applicazione dell’eccezione di inadempimento, non sussistendo più un’inesatta esecuzione della prestazione da parte del venditore. Ne consegue che, esercitato il rimedio, il pagamento del prezzo dovrà avvenire nella misura risultante dalla diminuzione e l’acquirente non avrà titolo per ottenere alcuna ulteriore dilazione, anche qualora la controparte contesti la sussistenza del difetto che ha dato luogo alla riduzione ovvero l’ammontare della medesima: infatti, rifiutando di adempiere l’obbligazione di prezzo determinata da una sua stessa manifestazione di volontà, egli darebbe luogo all’inadempimento di un debito liquido ed esigibile, al contempo addirittura ponendosi contra factum proprium. 7.2. La clausola solve et repete Deve a questo punto considerarsi l’ipotesi che la possibilità del compratore di eccepire l’inesatto adempimento della controparte venga limitata attraverso l’apposizione al contratto di vendita di un patto «con cui si stabilisce che [egli] non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta» (art. 1462 c.c.). La clausola solve et repete199 consente alle parti di attribuire a un contraente il diritto di para(si veda il par. 2) di determinazione della riduzione del corrispettivo, pur con riferimento a un’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione di consegna. 197 L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, cit., p. 4. 198 In questo senso cfr. Cass. 4 novembre 2009, n. 23345, la quale, sul presupposto di fatto secondo cui l’impresa eccipiente aveva ricevuto legname da ardere anziché legname idoneo alla lavorazione, ha ritenuto legittimo l’integrale rifiuto del pagamento opposto dalla stessa, essendo stato consegnato un bene di nessuna utilità per l’acquirente. 199 La letteratura italiana in materia di clausola solve et repete conta un amplissimo numero di note a sentenza e commenti giurisprudenziali; fra le opere di respiro più ampio si 204 CAPITOLO TERZO lizzare la proponibilità di talune eccezioni della controparte, al duplice scopo di evitare che l’esecuzione degli obblighi contrattuali sia impedita o ritardata dal ricorso puramente strumentale alle eccezioni dilatorie e di «garantire una rapida esecuzione del programma negoziale, rinviando a un momento successivo la valutazione delle ragioni che potrebbero essere addotte per sottrarsi all’adempimento»200. Nel precisare le conseguenze della previsione di una clausola siffatta sulla possibilità, per il compratore che riceva beni difettosi, di sospendere il pagamento del prezzo, in primo luogo è necessario tracciare un’“actio finium regundorum” al fine di precisare le fattispecie relativamente alle quali l’autonomia privata può spingersi a negare a costui la facoltà di opporre eccezioni, giacché questa trova un argine insormontabile in relazione alle vendite concluse da professionisti con consumatori: l’art. 33, comma 2, lett. r), c.cons.201, infatti, restringe in maniera assai penetrante la possibilità di «limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore», sancendo la presunzione di vessatorietà della relativa clausola, con la conseguenza che un’eventuale previsione siffatta verrebbe colpita dalla sanzione di cui all’art. 36, comma 1, c.cons.202. Pertanto, le compravendite c.d. b-to-c assicurano possono consultare, nel novero degli scritti posteriori all’emanazione del nuovo codice, G.G. AULETTA, Valore ed efficacia della clausola del «solve et repete» nei suoi vari tipi, in Giur. it., 1947, I, 1, c. 423 ss.; A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., XVII, Torino, 1970, p. 847 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 86 ss.; C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. 1255 ss.; E. LECCESE, La clausola solve et repete, Milano, 1998; C. LUCCHI, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv. - sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 586 ss.; D. POLETTI, voce Solve et repete (clausola del), in Enc. giur. Treccani, XXIX, Aggiorn., Roma, 1999; A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2011, p. 113 ss. 200 Sono parole di F. ADDIS, La tutela dilatoria nei contratti a prestazioni corrispettive nell’ottica della creazione di un diritto privato europeo, in G. VETTORI, Remedies in contract. The Common Rules for a European Law, Padova, 2008, p. 15 nota 30 (saggio pubblicato anche in Studi in onore di Giorgio Cian, I, Padova, 2010, p. 21 ss.). 201 In argomento, v. A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 123 ss.; ID., L’eccezione di inadempimento del (e contro il) contraente debole, in Obbl. e contr., 2010, p. 568 ss.; F. PADOVINI, sub art. 1469-bis, in G. ALPA - S. PATTI, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2003, p. 577 s.; D. POLETTI, sub art. 1469-bis, in C.M. BIANCA - F.D. BUSNELLI, Commentario al Capo XIV Bis del codice civile: dei contratti del consumatore, Padova, 1998, p. 418 ss. 202 Una clausola come quella descritta nel testo sarebbe quindi sussumibile nel novero di quelle la cui vessatorietà è presunta iuris tantum ai sensi della c.d. “lista grigia” di cui all’art. 33, comma 2, c.cons. (in questo senso v. anche A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 123; ID., L’eccezione di inadempimento del (e contro il) contraente debole, cit., p. 569, ove correttamente si esclude che LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 205 sempre al consumatore – allorché il professionista non proceda alla regolarizzazione della prestazione, nei termini che si sono illustrati poc’anzi – la libertà di eccepire, al fine di ritardare il pagamento del corrispettivo, l’inesatto adempimento dell’obbligazione di conformità dei beni al contratto, così come gli eventuali vizi giuridici o quantitativi della prestazione, senza che il consumatore stesso sia costretto ad esercitare immediatamente la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Qualora, invece, il contratto non sia b-to-c e, pertanto sia soggetto alla disciplina di diritto comune203 o alla Convenzione di diritto uniforme204, siffatte limitazioni dell’autonomia privata non sussistono, sicché i contraenti ben possono inserire nel regolamento negoziale205 una clausola limitativa della facoltà di proporre eccezioni, con l’effetto di privare l’acquirente della possibilità di invocare la sussistenza del difetto del bene a giustificazione della sospensione del pagamento del corrispettivo206. In la clausola “solve et repete” possa essere ricondotta alla presunzione di cui alla lett. t) del medesimo art. 33, comma 2, c.cons.), e non già presunta iuris et de iure in forza della c.d. “lista nera” contenuta all’art. 36, comma 2, c.cons. (in particolare, alla lett. b) del citato comma): infatti, sebbene tale ultima disposizione sia caratterizzata da «una formula assai ampia e tendenzialmente onnicomprensiva» (così M. FACCIOLI, sub art. 36 c.cons., in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, Padova, 2013, p. 408), la stessa non colpisce le clausole che, pur se astrattamente riconducibili alla sua sfera applicativa, trovano una specifica regolamentazione nel contesto dell’art. 33, comma 2, c.cons. Più precisamente, sembra preferibile ritenere che l’identificazione dell’ambito di applicazione delle presunzioni sancite dall’art. 36, comma 2, c.cons. debba essere condotta ricalcando quello riconosciuto alle medesime previsioni nell’ambito della “lista grigia”, senza dilatazioni che conducano a commistioni fra presunzioni distinte, pena l’irragionevolezza del sistema (in questo senso, cfr. ancora M. FACCIOLI, sub art. 36 c.cons., in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 409). 203 Deve, comunque, essere rammentato che, allorché la clausola “solve et repete” sia contenuta in condizioni generali di contratto, essa – ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c. – deve essere specificamente approvata per iscritto dall’aderente, sotto pena di inefficacia: cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 469 e Cass. 5 ottobre 1976, n. 3272. 204 L’art. 58 CISG, peraltro, adotta il principio di contestualità delle prestazioni (Prinzip der Zug-um-Zug-Leistung, di cui costituisce applicazione anche l’art. 81, comma 2 in tema di restituzioni contrattuali), prescrivendo che «se il compratore non è obbligato a pagare il prezzo in un altro momento determinato, egli deve pagarlo quando, in conformità al contratto e alla presente Convenzione, il venditore mette a sua disposizione i beni o i documenti rappresentativi di essi. Il venditore può fare di tale pagamento una condizione per la consegna dei beni o dei documenti». In argomento, cfr. D. MASKOW, sub art. 58, in C.M. BIANCA M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, Milano, 1987, p. 420 ss. e STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 7 ss., il quale mette correttamente in luce come tale regola abbia carattere dispositivo. 205 Sulla dubbia applicabilità dell’art. 1341, comma 2 c.c. anche ai contratti sottoposti alla Convenzione di Vienna, v. Capitolo 5. 206 Si badi che siffatta pattuizione è ben possibile anche qualora il contratto sia soggetto alla disciplina della Convenzione di Vienna, il cui art. 58, comma 3 attribuisce bensì al 206 CAPITOLO TERZO tali ipotesi207, pertanto, costui è tenuto a ridurre immediatamente il corrispettivo ovvero a risolvere il contratto, altrimenti dovendo adempiere immediatamente e per intero all’obbligazione di prezzo anche laddove abbia riscontrato e denunziato la sussistenza di difetti. L’apponibilità della clausola solve et repete alle vendite cui si è appena fatto cenno pone, peraltro, all’interprete l’ulteriore interrogativo circa la riconducibilità all’imperativo codificato nell’art. 1462 del nostro codice civile dello stesso diritto di riduzione del prezzo: in altre parole, mette conto verificare se la pattuizione in discorso possa impedire al compratore l’esercizio immediato dell’aestimatoria prima del pagamento del corrispettivo, costringendolo all’adempimento per l’intero e alla successiva richiesta di restituzione della parte di prezzo non dovuta. Il tema è, pertanto, quello dell’identificazione dei limiti di efficacia208 del patto, e la sua trattazione richiede di mettere a frutto l’elaboracompratore un diritto di ispezione (Untersuchungsrecht) dei beni, subordinando alla possibilità di tale esame l’attualità dell’obbligo di pagamento del prezzo, ma, da un canto, questa costituisce norma palesemente dispositiva (in proposito, v. ancora STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 58 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn 24 ss. e J. LOOKOFSKY, sub art. 58, in ID., The 1980 United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods, The Hague, 2000, No. 247, il quale si esprime nei termini di gap-filling rule) e, dall’altro, «does not state the legal consequence of the buyer’s discovery that the goods do not conform to the contract» (D. MASKOW, sub art. 58, in C.M. BIANCA - M.J. BONELL, Commentary on the International Sales Law, cit., p. 425), non giungendo ad affermare che – qualora l’esame riveli la presenza di vizi delle merce – questi possa, per ciò solo, sottrarsi alla richiesta di pagamento del corrispettivo. Ne consegue che questo aspetto sembra dover essere regolato in aderenza alle pattuizioni delle parti (frequenti sono quelle “cash on delivery” e “cash against invoice”, ritenute comunemente impeditive del rifiuto di pagamento da parte dell’acquirente motivato dalla presenza di difetti: D. MASKOW, op. cit., p. 426) o, in mancanza, alla legge nazionale applicabile al contratto, come prescrive l’art. 7 CISG. 207 Per i sottotipi della vendita (di cose mobili) su documenti e con pagamento contro documenti, l’art. 1528 c.c. prevede, peraltro, una regola legale dispositiva, derogabile da patti o usi contrari, secondo cui «quando i documenti sono regolari, il compratore non può rifiutare il pagamento del prezzo adducendo eccezioni relative alla qualità e allo stato delle cose, a meno che risultino già dimostrate». Tale regola è volta – similmente alla clausola negoziale solve et repete (P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1527-1529, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 464) – ad «assicurare snellezza e rapidità nell’esecuzione del rapporto», rinviando ad un momento successivo l’esame delle eccezioni relative alle qualità materiali della cosa, purché i documenti siano formalmente regolari. Contrario all’inquadramento della regola in argomento quale ipotesi legale di solve et repete è, peraltro, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 471, dovendosi intendere l’art. 1528 c.c. come non ostativo rispetto alla possibilità per l’acquirente di rifiutare il pagamento del prezzo qualora sussistano prove “liquide” del difettoso adempimento del venditore. 208 Sembra, infatti, che la conseguenza della previsione di limitazione della proponibilità di eccezioni o azioni che esorbiti dai confini dell’art. 1462 c.c. non riposi nella nullità della clausola, quanto piuttosto nella sua (parziale) inefficacia relativa: nello stesso senso, cfr. A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Bu- LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 207 zione dottrinale e giurisprudenziale relativa all’esegesi del termine “eccezioni”, contenuto nella disposizione dell’art. 1462 c.c. Il termine anzidetto, volutamente assai ampio ma altrettanto generico, ha aperto il campo ai più diversi sforzi esegetici, il cui minimo comune denominatore è costituito sostanzialmente dal riconoscimento che il solve et repete consente a colui nel cui interesse è pattuito di paralizzare l’eccezione d’inadempimento209 e quella “di pericolo” (art. 1461 c.c.) sollevate dalla controparte: al di fuori di tale “nucleo duro” di c.d. eccezioni sinallagmatiche, la definizione dell’ambito di operatività della clausola vede gli interpreti profondamente divisi. Ai fini che ci interessano, peraltro, due sono le questioni dirimenti. La prima: se la convenzione solve et repete possa essere estesa sino a interdire il ricorso non soltanto alle eccezioni sinallagmatiche, ma pure alle altre eccezioni, alle azioni e ai diritti sostanziali di cui è titolare la parte contrattuale gravata dell’obbligo di previo adempimento. La seconda: se, risolta positivamente la prima questione, fra le azioni e i diritti sostanziali paralizzabili a mezzo del patto in argomento possa rientrare il diritto del compratore di ridurre il corrispettivo a cagione dei difetti quantitativi, materiali o giuridici della res trasferita. Lo scioglimento delle riserve appena formulate si confronta, da un canto, con la cennata ampiezza e genericità del riferimento alle «eccezioni [dirette a] evitare o ritardare la prestazione dovuta» e, dall’altro, con la sicura esclusione delle «eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto»210, la cui espunzione dall’ambito applicativo del solve et repete è da taluni ricollegata al fatto che siffatte difese porrebbero «in discussione il fatto costitutivo del credito», il cui venir meno snelli, cit., p. 129; C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1258; C. LUCCHI, Solve et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 588. Nel senso della «inoperatività» della clausola si esprime A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 849. 209 Peraltro, persino su questo punto, si segnala un dissenso della giurisprudenza di legittimità, da tempo impegnata in un’attività di erosione della sfera applicativa della clausola disciplinata dall’art. 1462 c.c.: infatti, secondo Cass. 16 luglio 1994, n. 6697, «la garanzia da eccezioni dilatorie, propria della clausola “solve et repete”, non ha un’efficacia tale da paralizzare in toto l’exceptio inadimpleti contractus, bensì resta correlata all’ambito di operatività dell’exceptio non rite adimpleti contractus, sicché essa non incide sulla possibilità di far valere la mancata esecuzione, totale o parziale della controprestazione» (similmente, Cass. 3 dicembre 1981, n. 6406). La dottrina è per lo più orientata a rigettare tale limitazione: cfr., per tutti, D. POLETTI, voce Solve et repete (clausola del), in Enc. giur. Treccani, cit., p. 5. 210 Già nel vigore del codice abrogato, in assenza di una disciplina legislativa del “solve et repete”, era condivisa l’opinione secondo cui le eccezioni di nullità e annullabilità del contratto sfuggono alla sua pattuizione: cfr., per tutti, P. GRECO, La clausola «solve et repete»: ragioni e limiti della sua efficacia, cit., p. 144. 208 CAPITOLO TERZO “travolgerebbe” anche la stessa clausola ex art. 1462 c.c.211, mentre da altri è motivata sulla base «della particolare gravità dei fatti sui quali i tre rimedi si fondano»212. A quest’ultima esclusione, la maggior parte degli interpreti213 condivisibilmente giustappone quella relativa alle eccezioni fondate sull’intervenuta estinzione dell’obbligazione per adempimento della medesima o altra causa estintiva214, in quanto, da un canto, «poiché il pagamento realizza in pieno l’interesse tutelato dalla clausola» non si vede come questa possa sopravvivere «all’interesse per la cui tutela è stata istituita e rite211 In tal senso si esprimono, ad esempio, A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 848 e C. LUCCHI, Solve et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 588, ove l’osservazione è arricchita dall’argomento ascarelliano (v. infatti, T. ASCARELLI, Sulla clausola «solve et repete» nei contratti, cit., c. 293) secondo cui l’esclusione delle eccezioni d’invalidità dall’area del solve sarebbe funzionale a garantire la sussistenza della causalità delle attribuzioni patrimoniali. 212 Così L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90 nota 2, la quale osserva come l’art. 1462 c.c. assimili tre istituti assai diversi fra loro, la cui operatività invero soltanto nell’ipotesi di annullamento comporta il venir meno del negozio e, con esso, della clausola solve et repete. Nel senso che l’esclusione delle tre tipologie di eccezione espressamente contemplate non potrebbe riposare sui pretesi effetti “caducatori” (invero prodotti, a tutto concedere, dal provvedimento giudiziale, e non già dall’atto di parte) che queste verrebbero a spiegare sul contratto cfr. anche C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1255 ss. e D. POLETTI, voce Solve et repete (clausola del), in Enc. giur. Treccani, cit., p. 3. 213 Si vedano, infatti, A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 849; L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 351 ss.; C. MIRAGLIA, voce Solve et repete, in Enc. dir., cit., p. 1259; A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 130 s. 214 Con riferimento alla compensazione legale, peraltro, l’insensibilità al solve può essere predicata – contrariamente a quanto ritenuto da L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 90 nota 5 – non soltanto se si condivida l’opinione tradizionale (per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 4. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 493 ss.) circa il suo modus operandi, la quale ritiene che essa operi di diritto, salvo però dover essere fatta valere ope exceptionis, ma altresì qualora si ricolleghi l’effetto estintivo della compensazione all’emissione di una dichiarazione unilaterale extraprocessuale di parte (così, fra gli altri, P. PERLINGIERI, sub art. , in ID., Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 273 e M.C. DALBOSCO, La compensazione per atto unilaterale (c.d. compensazione legale) tra diritto sostanziale e processo, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 357 ss.). Invero, così come la stessa autorevole A. ammette – come si dirà poco oltre – che la clausola limitativa della proponibilità di eccezioni non spieghi efficacia nei confronti delle ipotesi di risoluzione su diffida (art. 1454 c.c.) o a seguito della dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456), le quali richiedono per la loro operatività «la reazione difensiva dell’interessato», altrettanto dovrebbe dirsi per la compensazione legale, anche qualora si ritenga che la stessa si produca a seguito della dichiarazione stragiudiziale di parte. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 209 nuta valida»215 e, dall’altro, deve notarsi come il realizzarsi di una fattispecie di estinzione dell’obbligo comporti l’invariabile venir meno dello stesso fondamento della pretesa all’adempimento, cosicché – una volta che questa sia intervenuta – non sembra possa più farsi luogo a considerazioni relative all’attuazione del sinallagma contrattuale. D’altro canto, la giurisprudenza216 è orientata a sostenere che il solve possa costituire un argine nei confronti delle azioni il cui contenuto sia identico a quello delle eccezioni paralizzabili, giacché, diversamente opinando, «si determinerebbe tra le parti una gara nell’ottenere, ciascuna prima dell’altra, una sentenza favorevole, e ben scarsa sarebbe la tutela che il patto in questione offrirebbe alla parte che lo ha imposto, perché esso si risolverebbe in un incentivo alla controparte ad agire sempre ed immediatamente per la tutela dei propri diritti»217. Ne consegue che l’azione di adempimento, quale “speculare positivo” dell’exceptio inadimpleti contractus, verrebbe posta fuori gioco dalla pattuizione ex art. 1462 c.c., e così quella di risoluzione per inadempimento, giacché volta a far dichiarare l’estinzione del rapporto contrattuale onde evitare l’adempimento218. Orbene, se si condivide l’idea – che abbiamo esposto nel Capitolo 2 – che la riduzione del corrispettivo abbia natura di diritto potestativo suscettibile di esercizio mediante un atto unilaterale stragiudiziale, le sue sorti di fronte all’imperativo del solve debbono, a nostro parere, essere parificate non a quelle cui è destinata l’azione di risoluzione ma a quelle delle ipotesi di risoluzione del contratto c.d. stragiudiziali, laddove l’estinzione degli effetti contrattuali, con il corollario del venir meno degli obblighi incombenti sulle parti, ha luogo “di diritto”, senza il medio della domanda giudiziale. Con riferimento a tali ipotesi, è stato acutamente posto in luce219 come la clausola che limiti la proponibilità di eccezioni debba confrontarsi con la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla norma per la sua operatività, fra i quali rientra la circostanza 215 Sono parole di A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 848. 216 Si veda, ad esempio, Cass. 5 ottobre 1976, n. 3272. 217 Così T. ASCARELLI, Sulla clausola «solve et repete» nei contratti, cit., c. 291. Contra, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 384 s. e A. DALMARTELLO, voce Solve et repete (patto o clausola del), in Noviss. D., cit., p. 857, il quale fa leva sull’argomento letterale e sulla ratio della norma, volta a colpire le resistenze defatigatorie. 218 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 92. 219 Da L. BIGLIAZZI GERI, sub art. 1462, in EAD., La risoluzione per inadempimento, II, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 92, le cui tesi sono accolte di recente da A.M. BENEDETTI, sub art. 1462, in ID., Le autodifese contrattuali, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 132. 210 CAPITOLO TERZO che la prestazione sia «dovuta»: poiché le cause estintive o modificative – risoluzione su diffida (art. 1454 c.c.), per decorso del termine essenziale (art. 1457 c.c.) o conseguente alla dichiarazione di voler profittare di una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.); risoluzione per impossibilità sopravvenuta totale (art. 1463 c.c.) o parziale (art. 1464 c.c.); scioglimento del rapporto contrattuale per avvenuto esercizio del diritto di recesso; ecc. – che intervengono sul rapporto comportano il venir meno o il mutamento dell’oggetto della pretesa, sembra doveroso ritenere che queste risultino insensibili al solve, similmente a quanto accade per le eccezioni di avvenuto adempimento o di estinzione dell’obbligazione per altra causa ammessa220. Se così è, poiché anche le vicende derivanti dall’esercizio della riduzione del corrispettivo incidono in maniera immediata sulla realtà giuridica sostanziale, modificando il contenuto delle prestazioni dovute da entrambe le parti del contratto di compravendita, è inevitabile concludere che anche con riferimento a tale diritto la pattuizione limitativa della proponibilità di eccezioni non possa dispiegare i propri effetti paralizzanti221. In conclusione, pertanto, riteniamo che la clausola solve et repete contenuta in contratti di compravendita soggetti alla disciplina del codice civile222 impedisca senz’altro al compratore di sottrarsi al pagamento 220 Questa conclusione è avversata da C. LUCCHI, Solve et repete (patto o clausola del), in Dig. disc. priv. - sez. civ., cit., p. 591, per cui l’espressa previsione normativa dell’inefficacia della clausola solve et repete nei confronti delle sole eccezioni di nullità, annullabilità e rescindibilità del negozio non potrebbe essere dilatata sino a coprire vicende caratterizzate da analoghi effetti estintivi, ma di gravità tale da poter consentire un loro esame anche in un tempo successivo all’intervenuto adempimento. A noi pare, però, che – a parte lo scarso affidamento che può essere attribuito all’argomentum a contrario – opinare in tal senso equivarrebbe ad ascrivere alla clausola de qua un effetto esorbitante rispetto allo stesso interesse tutelato, consistente nella ricezione della prestazione cui si ha diritto senza dover incorrere in contestazioni dilatorie: se, però, per l’intervento di fatti successivi, la prestazione risulta non più dovuta o dovuta in termini differenti rispetto a quanto inizialmente pattuito, l’affermazione della praticabilità del solve assicurerebbe al soggetto attivo della clausola non già ciò cui ha diritto, ma qualcosa cui non ha più, in tutto o in parte, diritto. Né potrà dirsi che, in ragione di quanto appena affermato, sarebbe allora irragionevole ritenere che la clausola spieghi effetto nei confronti dell’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. (o, ad esempio, di quella per eccessiva onerosità sopravvenuta), giacché in tal caso, nel momento in cui la parte si determina all’esperimento della stessa, la prestazione da essa dovuta rimane tale. 221 D’altronde, benché – come visto supra – non abbia luogo alcuna compensazione in senso tecnico, la riduzione del prezzo opera un adattamento della misura del corrispettivo il cui svolgersi coincide descrittivamente con il modo di operare della compensazione: sarebbe, pertanto, antinomico predicare l’insensibilità al solve della rideterminazione del credito conseguente all’operare della compensazione e ammettere, invece, che questo possa paralizzare la quanti minoris. 222 La CISG, invero, non contiene alcuna disciplina degli aspetti cui si è dedicata attenzione nel testo, limitandosi – come già si è accennato – a prevedere all’art. 71 una regola- LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 211 integrale del corrispettivo adducendo il mero fatto dell’avvenuto riscontro e della denunzia del difetto qualitativo, giuridico o quantitativo della res trasferita, ma non spieghi efficacia nei confronti dell’avvenuto esercizio del rimedio estimatorio, a seguito del quale il venditore ha titolo per richiedere l’adempimento dell’obbligazione di prezzo soltanto nei più ristretti limiti conseguenti alla decurtazione imposta dal minore valore delle cose vendute. 7.3. Il corrispettivo parzialmente pagato ma in misura inferiore rispetto all’importo del prezzo risultante dalla riduzione Raggiunte le conclusioni cui siamo approdati, rimane da affrontare il diverso ma limitrofo problema riguardante le circostanze in cui il prezzo di acquisto sia stato in parte corrisposto e in parte rimanga da pagare, ovvero sia stato pattuito il pagamento del corrispettivo mediante un certo numero di rate. In relazione a tali ipotesi, l’adattamento del contenuto negoziale indotto dalla riduzione del corrispettivo deve essere operato senza alterare il programma negoziale divisato dalle parti nel contratto e, pertanto, deve ritenersi che la decurtazione dell’importo operi in misura diversa a seconda che il prezzo sia stato suddiviso in rate di importo proporzionale rispetto al corrispettivo totale (o – similmente – in un certo numero di rate, il cui singolo importo è indirettamente determinato dalla somma dovuta) ovvero in valore assoluto, prescindendosi da alcun rapporto di proporzionalità. Nella prima eventualità, a nostro avviso, la riduzione del prezzo opera in maniera proporzionale su tutte le rate – siano queste già state pagate ovvero ancora da pagare223 – giacché il frazionamento del debito del compratore in un numero predefinito di pagamenti aventi un determinato importo, rapportato all’ammontare totale di questo si riverbera nel fatto che tale proporzione deve essere conservata anche a seguito della diminuzione del somma dovuta. Infatti, nell’ipotesi considerata, il compratore gode del beneficio del termine riguardo a una somma determinata non già in valore assoluto, ma per relationem in via proporzionale sull’intero prezzo, sicché ha diritto di conservare tale beneficio anche a mentazione dell’eccezione di pericolo. Ne consegue che, anche sotto questo aspetto, dovrà farsi applicazione della «legge applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato» (art. 7, comma 2, CISG), giacché non sembra che la Convenzione esprima alcun principio generale invocabile al riguardo. 223 In questo senso, nella dottrina germanica, cfr. ad esempio STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 38. 212 CAPITOLO TERZO seguito della riduzione224. Proprio per tale ragione, il creditore-venditore non avrà neppure titolo per invocare la compensazione legale fra le somme già riscosse in più e i crediti vantati per le successive rate, essendo questi ultimi ancora inesigibili. Ove, invece, la dilazione di pagamento ovvero la rateazione del prezzo siano avvenute attraverso la pattuizione di pagamenti di importi determinati in valore assoluto senza considerazione dell’incidenza proporzionale sul totale della somma dovuta, il beneficio del termine accordato al compratore riguarda somme predeterminate, sicché non sembra che costui sia portatore di un interesse meritevole di tutela alla decurtazione dell’importo di ciascuna rata225 e la diminuzione del corrispettivo opera integralmente su ciascuna rata a partire dall’ultima e via via risalendo alle precedenti. Ricorrendo questa ipotesi, pertanto, l’acquirente è tenuto al puntuale ed esatto pagamento della somma dovuta a ciascuna delle scadenza prefissate e non ha titolo per pretendere di rimodulare l’ammontare di ciascun adempimento a cagione della riduzione del prezzo totale. Pertanto, si può concludere che, qualora il venditore richieda il pagamento delle rate di corrispettivo pattuite, il compratore potrà opporre a costui la riduzione dell’importo di queste, ove le stesse siano state calcolate in misura proporzionale all’ammontare totale del prezzo, mentre sarà tenuto senz’altro al pagamento della parte di prezzo pattuita ove questa sia stata determinata prescindendo da un rapporto proporzionale con il corrispettivo totale e la domanda dell’alienante non superi l’ammontare del prezzo ridotto226. 8. La riduzione del corrispettivo già integralmente pagato ovvero pagato in misura superiore all’importo del prezzo risultante dalla riduzione Qualora il corrispettivo pattuito sia stato integralmente saldato dal compratore in un tempo antecedente rispetto al momento in cui lo stesso 224 Ciò, del resto, è quanto accade nel caso di parziale “estinzione anticipata” di mutui e altri contratti di finanziamento, laddove il pagamento anticipato di più rate comporta non già il venir meno di rate successive per un pari importo, bensì l’abbassamento dell’importo di ciascuna delle rate stesse, fermo il loro numero. 225 In un esempio: se Tizio si è obbligato a pagare il prezzo di 100 mediante il pagamento di quattro rate dell’importo, rispettivamente, di 40, 20, 10 e 30, non può pretendere di ridurre l’importo di ciascuna rata nella proporzione risultante dalla riduzione del prezzo complessivo, ma la decurtazione opererà per intero sulla rata di importo pari a 30 e, qualora la diminuzione del corrispettivo superi tale ammontare, si estenderà per il residuo alle scadenza anteriori. 226 Come si è detto nel testo, proprio nella determinazione delle rate di prezzo attraverso il riferimento al metodo proporzionale, ovvero mediante la determinazione in valore as- LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 213 si determina a richiederne la riduzione, questo deve essere parzialmente restituito227 nella misura pari all’incidenza del difetto, determinata secondo le modalità di calcolo analizzate nei paragrafi precedenti228. Allo stesso modo, allorché il prezzo originariamente convenuto – nonostante non sia stato versato per intero – sia stato comunque corrisposto in misura eccedente l’ammontare di quello diminuito, per effetto della riduzione sorge il diritto alla restituzione di quanto pagato in più. La natura giuridica della pretesa che, in queste due ipotesi, viene ad esistenza in capo al compratore per effetto della dichiarazione di riduzione del prezzo è quella di un diritto di credito, avente ad oggetto la parziale restituzione di una prestazione pecuniaria229. Con riferimento alla Convenzione di Vienna, gli interpreti si dividono fra coloro che tendono a riconoscere nello stesso art. 50 CISG il fondamento dell’obbligazione restitutoria in discorso230 e quanti, invece, soluto, risieda il fattore discriminante ai fini della determinazione dell’efficacia della riduzione del prezzo, proporzionale nel primo caso e sul solo residuo nel secondo. 227 Ciò è pacifico in dottrina come in giurisprudenza: cfr., per tutti, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 814; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore. L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, Padova, 2000, p. 198; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 91; D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, Köln-München, 2009, Rn. 500; JAUERNIG/C. BERGER, sub § 441, cit., Rn. 6; nella letteratura riguardante la CISG, STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 25; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MULLER-CHEN, sub art. 50 CIGS, 6. Aufl., München, 2008, Rn. 16; M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 408; S. VENTURI, La réduction du prix de vente en cas de défaut ou de non-conformité de la chose. Le Code suisse des obligations et la Convention des Nations Unies sur les contrats de vente internationale de marchandises, cit., p. 300. In giurisprudenza, v. le pronunce citate alla nota 239. 228 L’affermazione di tale obbligo restitutorio è esplicita nell’art. 120, comma 2 CESL, il quale statuisce che «il compratore che abbia diritto a ridurre il prezzo […] ed abbia già pagato un importo superiore al prezzo ridotto può esigere che il venditore restituisca l’eccedenza». 229 Nello stesso senso, v. D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, cit., Rn. 500; MÜNCHKOMM-BGB/H.P. WESTERMANN, sub § 441 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 17 («Die Folgen einer bereits vorliegenden Überzahlung auf den später gekürzten Kaufpreis normiert § 441 Abs. 4 ausdrücklich durch Gewährung eines Rückzahlungsanspruchs, der direkt aus dieser Norm, nicht etwa aus § 346 Abs. 1 folgt»); KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 51; M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 408; A. STOFFER, Gegenstand und Normzweck des Art. 50 CISG, in IHR, 2007, p. 228 s. 230 Si vedano SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/M. MULLER-CHEN, sub art. 50 CIGS, cit., Rn. 16; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25; Cour de Justice de Genève, 15 November 2002, in CISG-online n. 853. MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 26, nel fare riferimento sia all’art. 50 sia all’art. 81, esclude comunque espressamente che possano venire in considerazione le disposizioni di legge nazionali in materia di Bereicherungsrecht. 214 CAPITOLO TERZO ritengono che la medesima trovi il proprio fondamento nel generale precetto sancito dall’art. 81, comma 2 con riferimento alla risoluzione, ai sensi del quale «la parte che ha eseguito il contratto in tutto o in parte può chiedere all’altra parte la restituzione di tutto ciò che la prima parte ha fornito o pagato in base al contratto. Se entrambe le parti sono obbligate ad effettuare restituzioni, esse devono procedervi contemporaneamente»231. Per quanto attiene all’ordinamento italiano, invece, non sembra possa esservi dubbio circa la riconducibilità della pretesa restitutoria ai principi in materia di ripetizione dell’indebito232. Contrariamente a quanto accade con riferimento alla restituzione dell’intero prezzo conseguente alla risoluzione del contratto, laddove l’esatta qualificazione della fonte degli obblighi restitutori si interseca con i problemi legati alla sopravvenuta inefficacia del contratto e alla retroattività che costituisce la cifra distintiva del rimedio233, in relazione alla riduzione del prezzo l’adattamento del contenuto negoziale comporta la mera ridefinizione delle 231 In questo senso, cfr. B. AUDIT, La vente internationale de marchandises. Convention des Nations-Unies du 11 avril 1980, Paris, 1990, p. 138 e KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 52, secondo il quale «since a right to restitution is not expressly mentioned in Art. 50, some authors argue that the buyer must resort to Art. 81(2)’s restitution provisions for buyers who have avoided a contract post-payment. While the debate at first glance seems to be largely moot since a restitution claim under Art. 50 or Art. 81(2) generates identical results in practice, the issue becomes relevant in respect to the claim for interest. In this regard, the most consistent solution appears to consist in basing all repayment claims on Art. 82(1)». 232 Nel diritto tedesco la questione inerente al fondamento della pretesa restitutoria era discussa nel vigore del § 472 aF BGB (v. in proposito M. HIRNER, Der Rechtsbehelf der Minderung nach dem UN-Kaufrecht (CISG), cit., p. 409 ss., ove ricostruzione del dibattito, e S. LORENZ, Rechtsgrundlagen des Anspruchs “aus Minderung”, in JuS, 1993, p. 727 ss.), mentre oggi si ritiene pacificamente che esso riposi nel quarto comma del § 441 nF BGB (così STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 40 e BECKOK/F. FAUST, sub § 441 BGB, in Beck-Online, Rn. 15), giacché lo stesso dispone che «Hat der Käufer mehr als den geminderten Kaufpreis gezahlt, so ist der Mehrbetrag vom Verkäufer zu erstatten. […]». 233 Il tema è noto e in questa sede non può riservarvisi che un accenno. Per indicazioni bibliografiche e l’illustrazione delle principali ragioni poste a fondamento delle due tesi antagoniste (l’una favorevole all’applicazione delle regole dell’indebito, l’altra persuasa dell’incompatibilità fra queste ultime e il regime delle restituzioni conseguenti allo scioglimento del contratto) si consultino, senza alcuna pretesa di completezza: E. MOSCATI, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 435 ss.; A. DI MAJO, Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1994, p. 291 ss.; ID., Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed europeo, in Europa dir. priv., 2001, p. 531 ss.; E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit.; A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, cit., p. 245 ss. e C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, in Europa dir. priv., 1999, p. 793 ss. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 215 prestazioni delle parti negoziali, ferma la conservazione dello scambio: ne consegue che l’obbligazione restitutoria avente ad oggetto la parte di prezzo corrisposta in misura superiore a quella dovuta segue le medesime regole che trovano applicazione ai c.d. “pagamenti isolati” non dovuti, in quanto l’estimatoria non dà luogo ad alcun “azzeramento” degli effetti del contratto, né comporta la necessità di una sua “liquidazione”234 con l’applicazione di regole speciali dovute all’esistenza del sinallagma. Secondo un’opinione largamente accettata con riferimento alla Convezione di Vienna, che sembra potersi senz’altro estendere al diritto interno, l’obbligazione restitutoria conseguente all’esercizio della riduzione del corrispettivo è denominata nella stessa valuta utilizzata dal compratore per il pagamento del prezzo235, anche qualora il contratto di compravendita prevedesse l’impiego di una moneta differente, giacché, da un canto, l’accettazione del pagamento da parte del venditore dà luogo a una sorta di datio in solutum che fa venir meno l’obbligo di pagare con i pezzi monetari pattuiti originariamente e, dall’altro, l’obbligazione restitutoria non può che avere ad oggetto una somma denominata nella medesima valuta dell’obbligazione che va (parzialmente) restituita. Quanto al luogo di adempimento dell’obbligazione, in assenza di una pattuizione ad esso relativa, questo va determinato in applicazione dei criteri legali pertinenti: nel diritto interno, pertanto, troverà applicazione il generale criterio sancito dal secondo capoverso dell’art. 1182 c.c., in forza del quale le prestazioni aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro debbono «essere adempiut[e] al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza», mentre per i contratti ai quali trova applicazione il diritto uniforme alcune decisioni giurisprudenziali hanno proceduto a identificazioni oscillanti fra l’originario luogo di consegna della merce236 e quello in cui era avvenuto il pagamento del prezzo237, ma è prevalente l’opinione secondo cui lo stesso va individuato nella sede del compratore, facendo un’applicazione simmetrica della previsione di cui all’art. 57, comma 1, lett. a)238. 234 Le due espressioni utilizzate nel testo sono di E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 38 s. 235 Così, ad esempio, KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 52; MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 26; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25. 236 Cfr. la decisione del BGH, 22 ottobre 1980, VIII ZR 264/79, in NJW, 1981, p. 1158 ss., facendo applicazione della regola che prevede il pagamento del prezzo presso la sede del venditore anche al caso di restituzione di una parte della somma. 237 OLG Hamm, 5 novembre 1997, in CISG-online n. 381. 238 Nel senso del testo v. P. HUBER - A. MULLIS, The CISG. A new textbook for students and practitioners, cit., p. 314; MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 27, ove 216 CAPITOLO TERZO Avendo natura restitutoria, l’obbligazione in discorso è pacificamente inquadrata fra i debiti di valuta239, giacché essa viene in considerazione per il suo ammontare nominale e non in termini di potere di acquisto. Peraltro, il compratore che abbia versato al venditore una somma superiore al corrispettivo ridotto ha diritto non soltanto alla restituzione della parte di prezzo pagato in più, ma pure alla corresponsione degli interessi corrispettivi su tale somma ai sensi dell’art. 2033 c.c.240, con decorrenza non già dal tempo del pagamento241 ma da quello in cui ha acquisito efficacia la dichiarazione di riduzione del prezzo effettuata dall’acquirente242: da un lato, infatti, prima di tale istante il credito difetta del requisito della liquidità e, dall’altro, come il compratore non è tenuto a versare al venditore un indennizzo per l’uso della res e per le maggiori si precisa che «hinzuweisen ist allerdings darauf, dass dies für den Gerichtsstand nur dann relevant wird, wenn die betreffende Vorschrift des Internationalen Prozessrechts vorsieht, dass es auf den Erfüllungsort der streitigen (Zahlungs-)Verpflichtung ankommt und für dessen Bestimmung (als lex causae) das UN-Kaufrecht zur Anwendung beruft. Wird dagegen der Erfüllungsort vertragseinheitlich bestimmt und an der Sachleistungspflicht ausgerichtet und/oder autonom definiert […], so kommt es – für den Gerichtsstand – auf die Regeln des UN-Kaufrechts nicht an»; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/I. BACH, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 52 e STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 25. Quest’impostazione è seguita anche da talune pronunce giurisprudenziali: OLG Düsseldorf, 2 luglio 1993, in CISG-online n. 74; Cour d’appel de Grenoble, 23 ottobre 1996, in CISG-online n. 305; LG Gießen, 17 dicembre 2002, in CISG-online n. 766. 239 In questo senso sono orientate, senza eccezioni, la nostra giurisprudenza (Cass. 29 gennaio 2013, n. 2060; Cass. 6 febbraio 1989, n. 724; Cass. 6 febbraio 1985, n. 846) e la nostra dottrina: per tutti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 974. In generale, sulla natura di debito di valuta delle obbligazioni restitutorie aventi ad oggetto somme di denaro, v. U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, Milano, 1974, p. 428 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 810; in giurisprudenza, v., fra le tante, Cass. 12 marzo 2014, n. 5639; Cass. 15 marzo 2004, n. 5237; Cass. 1° dicembre 2000, n. 15358; Cass., 5 gennaio 1995, n. 195; Cass., 10 ottobre 1992, n. 11041. 240 Non può dubitarsi, peraltro, che al compratore debba essere riconosciuta la compensazione dell’eventuale maggior danno che egli provi essergli derivato per la ritardata restituzione della somma quantificata con l’estimatoria (v. Cass. 29 gennaio 2013, n. 2060 e Cass. 14 febbraio 1963, n. 318), ma tale pretesa dovrà essere fatta valere attraverso l’esercizio del diritto al risarcimento del danno. In argomento, v. pertanto il Capitolo 6. 241 In tal senso, invece, con riferimento all’obbligazione restitutoria avente ad oggetto il prezzo conseguente all’esperimento dell’azione di risoluzione, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4604 e Cass. 18 settembre 2014, n. 19659. 242 Si muove in un ordine di idee non dissimile C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 755 ss., laddove ritiene che nell’ipotesi di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1479 c.c. l’alienante sia tenuto al pagamento degli interessi sul prezzo dal giorno della domanda giudiziale di risoluzione ovvero da quello della risoluzione stragiudiziale, facendosi applicazione degli artt. 2033 ss. c.c. Senza entrare nel merito della questione della retroattività degli effetti della risoluzione, l’opinione appena riportata dimostra la correttezza del calcolo del termine di decorrenza degli interessi con riferimento al momento di efficacia del rimedio stragiudiziale. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 217 utilità ottenute dalla stessa sino al manifestarsi del difetto – in quanto l’uso è avvenuto in maniera corrispondente al titolo del diritto vantato dall’acquirente –, così costui non può essere chiamato a restituire i frutti civili del denaro ricevuto prodottisi sino al momento in cui era intatta la causa dell’attribuzione dell’intero prezzo, non essendo ancora stata esercitata l’estimatoria. Tale soluzione, per le medesime ragioni, deve ritenersi preferibile anche in relazione ai contratti di compravendita cui trova applicazione il diritto convenzionale uniforme243, laddove essa può trovare un addentellato normativo nell’art. 78 CISG244, il quale prescrive l’obbligo di corrispondere interessi a carico di colui che non proceda al pagamento di qualsiasi tipo di somma esigibile245, al fine di compensare il creditore «for the loss of the use of money»246. Benché taluni interpreti ritengano che all’acquirente che agisce in restituzione a seguito dell’esercizio del rimedio ex art. 50 CISG spettino gli interessi in forza dell’applicazione estensiva della regola dettata all’art. 81 con riferimento alla risoluzione del contratto247, la quale li fa decorrere dal momento del pagamento del prezzo, tale opinione non può essere accolta per l’assorbente ragione che essa non tiene conto del fatto che la fissazione del dies a quo contenuta in tale disposizione si spiega con gli effetti retroattivi della risoluzione del contratto248, che non si verificano nell’ipotesi di riduzione. 243 Con riferimento a queste fattispecie si è precisato che «since the seller’s duty to pay interest is a restitutionary one, interest should be paid in the currency in which the seller earned the interest. This may not be the currency in which payment was made by the buyer»: KRÖLLMISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 84 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 14. Contra, però, China International Economic & Trade Arbitration Commission, in CISG-online n. 1065, la quale ha fatto applicazione della moneta in cui era avvenuto il pagamento. 244 Così MÜNCHKOMM-BGB/P. HUBER, sub art. 50 CISG, cit., Rn. 28. 245 La versione in lingua italiana dell’art. 78 risulta, invero, piuttosto approssimativa, facendo riferimento al ritardo nel pagamento del «prezzo o qualsiasi altra somma»: la reale portata della disposizione è meglio resa dal testo inglese, il quale fa sorgere la pretesa alla corresponsione degli interessi in ogni ipotesi in cui «a party fails to pay the price or any other sum that is in arrears». 246 Le parole fra virgolette sono di KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 1. Non si dubita, peraltro, che sia possibile ottenere il risarcimento relativo al maggior danno, ai sensi dell’art. 74 CISG, il quale spesso si verifica qualora il compratore sia costretto a ricorrere al finanziamento bancario al fine di far fronte alla carenza di liquidità indotta dal mancato pagamento: cfr. ancora KRÖLL-MISTELISPERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, cit., Rn. 14, il quale correttamente avverte come «such claim is subject to the traditional limitations on damages, including the principle that such damages must be a foreseeable consequence of the breach». 247 In tal senso, ad esempio, STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 50 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, cit., Rn. 26. 248 In proposito, cfr. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 81 CISG, 1. Aufl., München, 2011, Rn. 1 ss., spec. Rn. 18 ss. 218 CAPITOLO TERZO Mentre nell’ordinamento interno la misura degli interessi è legalmente fissata secondo il meccanismo di rideterminazione annuale previsto dall’art. 1284 c.c. e se ne prevede la normale inidoneità a produrre a loro volta interessi (art. 1283 c.c.), l’art. 78 CISG non provvede a definire né il saggio di interesse applicabile, né a precisare la natura semplice o composta degli interessi da corrispondere, ciò che ha provocato un dibattito fra quanti hanno concluso che la lacuna debba essere colmata facendo applicazione del pertinente diritto nazionale e quanti, invece, hanno tentato di elaborare una soluzione unitaria basandosi sui principi della Convenzione249. La pretesa del compratore al pagamento di tali frutti civili pertanto incrocia, nei rapporti contrattuali regolati dal diritto internazionale uniforme della compravendita, una delle più spinose e discusse questioni sollevate da tale testo normativo, rendendo gravemente incerta – ogni qual volta le parti non abbiano predisposto una disciplina pattizia in materia – non tanto la sussistenza quanto la misura del credito vantato: infatti, se l’opinione maggioritaria tradizionale propende per fare applicazione degli interessi semplici250, la determinazione del tasso costituisce oggetto di ampia discussione, all’interno della quale l’adesione all’una o all’altra delle due fondamentali e opposte tesi251 sopra accennate non è comunque risolutiva. Infatti, da un lato, anche ove si identifichi il diritto nazionale invocabile in quello designato secondo i criteri di collegamento 249 Su tale complessa questione cfr., fra gli altri, G. REINHART, Fälligkeitszinsen und UNKaufrecht, in Praxis des Internationalen Privat- und Verfahrensrechts, 1991, p. 376 s.; F. FERRARI, Uniform Application and Interest Rates Under the 1980 Vienna Sales Convention, in Cornell Review on the Convention on Contracts for the International Sale of Goods, 1995, 3 ss. (reperibile alla url: http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/biblio/1ferrari.html); U. MAGNUS, Währungsfragen im Einheitlichen Kaufrecht: Zugleich ein Beitrag zu Seiner Lückenfüllung und Auslegung, in RabelsZ, 1989, p. 140 s.; G. PONZANELLI, sub art. 78, in C.M. BIANCA, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili. Commentario, Padova, 1992, p. 308 s.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 78 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 11 ss.; J. GOTANDA, Awarding Damages Under the United Nations Convention on the International Sale of Goods: A Matter of Interpretation, in Georgetown Journal of International Law, 2005, p. 138 ss. 250 Così SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/P. SCHLECHTRIEM, sub art. 78 CIGS, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 43. Ma v. KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, cit., Rn. 28, il quale segnala talune pronunce giurisprudenziali che hanno fatto applicazione degli interessi composti, ritenuti maggiormente idonei a realizzare il principio di integrale compensazione. 251 Va inoltre ricordato come talune decisioni abbiano fatto riferimento agli usi commerciali (Juzgado Nacional de Primera Instancia en lo Comercial, 6 ottobre 1994, in CISGonline n. 378) o, addirittura, ai Principi UNIDROIT (Internationales Schiedsgericht der Bundeskammer der gewerblichen Wirtschaft in Österreich, 15 giugno 1994, in CISG-online n. 121). LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 219 di diritto internazionale privato252, non esiste uniformità di vedute «concerning whether procedural or substantive law governs the issue of the rate at which [the interests] should accrue»253, taluni facendo riferimento alla legge nazionale del luogo di stabilimento del soggetto creditore254, altri a quella del luogo di stabilimento del debitore255, a quella del locus destinatae solutionis256 o, ancora, a quella dello Stato la cui moneta deve essere utilizzata per il pagamento257; dall’altro, chi propende per l’impiego di una soluzione unitaria desumibile dalla Convenzione – ciò che sarebbe meglio rispondente al principio fondamentale dell’uniformità della sua applicazione – è orientato a proporre l’adozione del saggio d’interesse «equivalent to the prevailing market interest rate commonly used in the country of the currency in which payment is to be made»258, così ponendo la questione della conoscibilità e della prova di tali tassi. Seppure contornata dalle incertezze appena descritte, la pretesa dell’acquirente al pagamento degli interessi sulla somma oggetto di restituzione può dirsi comunemente riconosciuta sia nel diritto nazionale sia in quello uniforme. Quanto, invece, all’obbligo di procedere a un proporzionale rimborso delle spese affrontate dal compratore per la stipulazione del contratto e per la cosa, data la particolare articolazione del dato normativo, la connessione con il tema del risarcimento del danno, l’impossibilità di identificare una soluzione unitaria per tutti i corpora normativi analizzati e il fatto che tali rimborsi prescindono dal fatto che il prezzo sia già stato in tutto o in parte pagato, rinviamo senz’altro al prossimo par. e al Capitolo 6. Definita l’estensione del credito restitutorio vantato dal compratore che agisca per la riduzione del prezzo, rimangono soltanto da precisare i termini di prescrizione di tale diritto, i quali non possono ritenersi compressi nelle strette maglie disegnate dal legislatore per l’esercizio dei ri252 Cfr. OLG Koblenz, 31 gennaio 1997, in CISG-online n. 256; Trib. Padova, 31 marzo 2004, in CISG-online n. 823; OLG Hamm, 8 febbraio 1995, in CISG-online n. 141; Handelsgericht des Kantons Zurich, 9 settembre 1993, in CISG-online n. 79. 253 KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/J. GOTANDA, sub art. 78 CISG, cit., Rn. 23. 254 Cfr. LG Stuttgart, 31 agosto 1989, in CISG-online n. 11; LG Frankfurt am Main, 16 settembre 1991, in CISG-online n. 26; Bezirksgericht Arbon, 9 dicembre 1994, in CISG-online n. 376. 255 È il caso di Tribunal Cantonal de Vaud, 11 marzo 1996, in CISG-online n. 333. 256 Così, Arrondissementsrechtbank Almelo, 9 agosto 1995, in CISG-online n. 365 e Kantonsgericht Nidwalden, 3 dicembre 1997, in CISG-online, n. 331. 257 Si veda Arbitration Court attached to the Hungarian Chamber of Commerce and Industry, 17 novembre 1995, in CISG-online n. 250. 258 Cfr. J. GOTANDA, Awarding Damages Under the United Nations Convention on the International Sale of Goods: A Matter of Interpretation, cit., p. 137. 220 CAPITOLO TERZO medi assegnati all’acquirente di cose difettose. Tali limiti temporali, come comunemente riconosciuto259, riguardano soltanto i mezzi di tutela volti a far valere la “garanzia” per vizi e per difetto di conformità, con riferimento ai quali sussiste la necessità di un contenimento dell’arco temporale nel corso del quale l’alienante può essere chiamato a rispondere delle carenze della propria prestazione traslativa, ma – una volta che tali rimedi sono stati esperiti – i conseguenti rapporti che vengono in essere fra le parti seguono le regole generali260. Ne consegue che il diritto di credito del compratore è soggetto alla prescrizione ordinaria261 decennale, decorrente dal momento in cui la riduzione del prezzo ha spiegato i propri effetti ai sensi dell’art. 1334 c.c., mentre quello avente ad oggetto gli interessi si prescrive nel termine breve di cinque anni dalla maturazione (art. 2948 c.c.). 9. Gli obblighi restitutori aggiuntivi In conclusione della disamina degli effetti prodotti dall’esercizio della riduzione del prezzo, ci sembra opportuno evidenziare una vistosa asimmetria che caratterizza la disciplina che il nostro codice civile appresta in relazione alle ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale operata dal venditore manifesta dei difetti. 259 Si veda, ad esempio, 260 Con riferimento alla STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 43. Convenzione di Vienna, qualora una delle due parti abbia la propria sede nel territorio della Repubblica Italiana, i diritti del compratore alla restituzione della somma pagata in eccedenza e alla corresponsione degli interessi sembra debbano essere fatti valere in aderenza ai termini prescrizionali sanciti dalla legge scelta dalle parti ovvero applicabile secondo i criteri di collegamento di diritto internazionale privato, mentre non può trovare applicazione la Convenzione di New York del 14 giugno 1974 “on the limitation period in the International Sale of Goods”, in quanto la stessa – pur determinando «when claims of a buyer and a seller against each other arising from a contract of international sale of goods or relating to its breach, termination or invalidity can no longer be exercised by reason of the expiration of a period of time» (art. 1) – non è stata ratificata dal nostro Paese, salvo che «the rules of private international law make the law of a contracting State applicable to the contract of sale» (art. 3, lett. b). 261 Nella letteratura tedesca, v. PALANDT/H. PUTZO, sub § 441, cit., Rn. 22; HANDKOMMBGB/I. SAENGER, sub § 441 BGB, 8. Aufl., München, 2014, Rn. 6; STAUDINGER/A. MATUSCHEBECKMANN, sub § 441, cit., Rn. 43 la quale appunto scrive che «für den Anspruch aus § 441 Abs 4 gilt die regelmäßige Verjährungsfrist», ciò che significa, in quell’ordinamento giuridico, fare applicazione del termine generale triennale sancito dal § 195 BGB (sulla riforma del Verjährungsrecht, e in particolare sull’abbreviazione e il riordino dei termini previsti per il compimento della prescrizione, v. S. DELLE MONACHE, Profili generali del nuovo sistema della prescrizione, in G. CIAN, La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? Atti del Convegno svoltosi a Ferrara il 7-8 marzo 2003, Padova, 2004, p. 123 ss.). LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 221 Ci riferiamo, in particolare, all’articolata regolamentazione delle restituzioni dettata agli artt. 1479, 1483 e 1493 c.c. in relazione alle sole ipotesi di risoluzione del contratto in ragione dell’alienità della cosa venduta, dell’evizione totale della stessa e della sussistenza di vizi redibitori. Alla stregua di tali norme, mentre il risarcimento del danno è in ogni caso condizionato alla ricorrenza di un comportamento imputabile al venditore a titolo di colpa262, colui che abbia acquistato una cosa ignorando che la stessa non era di proprietà del venditore ha diritto263 – per il solo fatto dell’oggettiva inattuazione della attribuzione patrimoniale264 – oltre che alla restituzione del prezzo pagato, al rimborso delle «spese e [de]i pagamenti legittimamente fatti per il contratto» (art. 1479, comma 2 c.c.), nonché delle «spese necessarie e utili fatte per la cosa e, [in caso di] mala fede [scil. del venditore], anche di quelle voluttuarie» (art. 1479, comma 3 c.c.). Al medesimo titolo, e sempre a prescindere dalla colpa, in caso di evizione, al compratore è altresì dovuta una somma di denaro pari al valore dei frutti che egli sia tenuto a restituire al terzo evincente, ai rimborsi dovuti a costui e alle spese di denunzia della lite (art. 1483, comma 2 c.c.). Similmente, il primo comma dell’art. 1493 c.c. fa obbligo al venditore di beni di viziati di «rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita». Come ben può notarsi, di simili previsioni non v’è traccia in relazione alla riduzione del prezzo, i cui effetti – come già più volte abbiamo avuto modo di notare – non vengono fatti oggetto di specifica considerazione da parte del legislatore del 1942. D’altro canto, nelle due ipotesi considerate per prime, tali obblighi restitutori sono posti a carico del venditore in forza di disposizioni espressamente dettate al fine di disciplinare le ipotesi di vendita di cosa 262 Sul punto si rinvia senz’altro al Capitolo 6. 263 Pertanto tali rimborsi sono dovuti “in aggiunta” al risarcimento del danno, qualora sussistano gli estremi per la concessione di quest’ultimo, secondo P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1478-79, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 176 s.; D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 368; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 770. In giurisprudenza, v. ad esempio Cass. 28 novembre 1957, n. 4517, la quale, qualora il venditore versi in colpa, ritiene che al compratore evitto spettino non soltanto la restituzione del prezzo, il rimborso delle spese e dei pagamenti fatti legittimamente per il contratto, ma altresì il risarcimento del danno commisurato all’interesse positivo. Sul punto si tornerà in seguito, in particolare nel Capitolo 6. 264 Cfr. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 178, il quale scrive che «il rimborso delle spese è compreso nella garanzia e rappresenta un effetto (di natura non risarcitoria) implicato dalla pura e semplice risoluzione». Nel senso che tali rimborsi prescindono dalla colpa del venditore e non possiedono natura risarcitoria v. altresì C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 759 s. 222 CAPITOLO TERZO totalmente altrui e di evizione totale, nelle quali viene accordata all’acquirente – oltre, al risarcimento del danno – la sola risoluzione del contratto e non già la quanti minoris. Inoltre, il rimborso delle spese e dei pagamenti fatti per il contratto si spiega agevolmente con riferimento all’ipotesi in cui il rapporto contrattuale si sciolga, mentre può apparire non pertinente qualora si faccia luogo alla mera correzione dei contenuti del contratto. Potrebbe, pertanto, dedursi che tali rimborsi non siano dovuti nelle fattispecie di mera difettosità giuridica dell’attribuzione traslativa qui considerate, in relazione alle quali il compratore debba limitarsi a far valere la tutela estimatoria in esito al giudizio di cui all’art. 1480 c.c., con la conseguenza che il ristoro delle relative perdite potrebbe al più costituire oggetto di una domanda risarcitoria. Tale conclusione parrebbe trovare un forte addentellato proprio nella disciplina riguardante i difetti materiali, laddove gli obblighi di rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per la vendita sono sanciti espressamente soltanto con riguardo agli effetti dell’azione redibitoria (art. 1493 c.c.), pur se la garanzia per vizi consente l’esercizio di quest’ultima e dell’estimatoria alle medesime condizioni e contempla una perfetta libertà di scelta dell’acquirente in proposito265. Il silenzio della legge circa la sussistenza degli obblighi di rimborso de quibus nell’ipotesi di riduzione del prezzo in relazione a una fattispecie che pacificamente concede all’acquirente l’uno e l’altro rimedio senza distinzioni di sorta in ordine alla legittimazione attiva parrebbe poter essere interpretato come inequivoca pertinenza di tali obblighi alla sola risoluzione. Siffatta conclusione, però, appare decisamente affrettata. Invero, benché sia innegabile che le obbligazioni restitutorie imposte dalle disposizioni richiamate fanno specifico riferimento alle fattispecie caratterizzate dalla liquidazione del contratto e sono disegnate dal legislatore quali effetti propri della risoluzione, nondimeno più di un argomento può essere rinvenuto al fine di estendere l’operatività del precetto ad esse sotteso anche alle ipotesi in cui sia fatta valere la tutela estimatoria. In primo luogo, un indice in tal senso può desumersi dallo stesso dettato normativo, giacché in tema di evizione parziale l’art. 1484 c.c., dopo aver evocato l’applicazione della disciplina prevista per la vendita di cosa parzialmente altrui, fa rinvio al secondo comma dell’art. 1483 c.c., il quale – appunto – sancisce uno degli obblighi di rimborso in argomento, imponendo al venditore la corresponsione in favore dell’acquirente di una somma di denaro pari al valore dei frutti che questi sia te265 Si veda il par. 1 del Capitolo 4. LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 223 nuto a restituire al terzo evincente, ai rimborsi dovuti al medesimo e alle spese di denunzia della lite. Poiché l’evizione parziale può condurre alla sola riduzione del corrispettivo o alla risoluzione del contratto secondo che debba ritenersi che il compratore avrebbe o meno acquistato il bene senza quella parte di cui è rimasto evitto266, tale rinvio consente di ritenere che l’obbligo di rimborso in argomento sussista nell’una e nell’altra ipotesi267. Non v’è dubbio, infatti, che – qualora avesse inteso escludere un simile risultato – a un legislatore attento, com’era quello del 1942, sarebbe bastato limitare il rinvio, inserendovi un inciso volto a circoscrivere l’applicazione degli obblighi risarcitori ai soli casi che legittimano lo scioglimento del rapporto contrattuale. Ma al di là di tale, pur rilevante, argomento letterale, la cui univocità potrebbe essere messa in dubbio notando come i rimborsi dei frutti e delle spese da rimborsare al terzo di cui all’art. 1483, comma 2 c.c. a ben vedere non trovino la propria giustificazione nella risoluzione268, a noi pare che la conclusione cui siamo giunti sulla base del rinvio contenuto all’art. 1484 c.c. trovi un solido fondamento in più ampie considerazioni sistematiche. Invero, gli obblighi di rimborso che le disposizioni citate pongono a carico del venditore non costituiscono affatto un effetto proprio e caratterizzante del meccanismo risolutorio, come dimostra il fatto che la dottrina comunemente ritiene che «in via di principio, l’indennizzo delle spese fatte per il contratto costituisce una posta di danno negativo, come tale perciò, di regola, non risarcibile in favore del risolvente in base [al 266 Esattamente in questi termini G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 408. 267 Nel trattare dei rimborsi in parola in relazione alla fattispecie di evizione parziale, infatti, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 874 non distingue fra le ipotesi che legittimano la risoluzione e quelle che consentono soltanto di far valere la quanti minoris. Prende espressamente posizione nel senso che sia nel caso di risoluzione della vendita sia qualora il compratore debba contentarsi della riduzione del prezzo «il venditore è tenuto a tutti i rimborsi» contemplati dalla legge in relazione alla fattispecie di evizione totale, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 723, il quale precisa che «se però si è avuta non la risoluzione (totale) del contratto ma una semplice riduzione del prezzo, quei rimborsi sono dovuti in misura proporzionale all’entità della parte evitta». 268 Giustamente infatti D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 709 scrive che «non è agevole spiegare il fondamento di questo rimborso dei frutti dal venditore, quando non vi è colpa di costui e non si possa quindi considerarlo come una voce del risarcimento del maggior danno. Non lo si spiega certo con la pura e semplice risoluzione del contratto, la quale importa rimessione in pristino, e quindi che il compratore, non avendo mai avuto alcun diritto ai frutti, deve perciò restituirli, senza diritto ad indennizzo; e d’altra parte il doverli restituire al terzo evincente anziché al venditore è indifferente per il compratore, e in nulla aggrava la sua posizione». 224 CAPITOLO TERZO più diffuso intendimento de]ll’art. 1453, comma 1»269 c.c. Infatti, il risarcimento del danno derivante dalla risoluzione pronunciata ai sensi della disposizione appena richiamata è identificato dall’opinione più diffusa in una somma atta a rifondere il c.d. interesse positivo, ovverosia ad assicurare il conseguimento delle utilità che derivano dall’esatta esecuzione della prestazione270, e non già nella tutela dell’interesse c.d. negativo, consistente nell’evitare di affrontare spese rese inutili dall’inesecuzione del programma negoziale. In ogni caso, poi, tali somme dovrebbero ritenersi costituire possibile oggetto di un obbligo risarcitorio, e non già di un debito restitutorio. Possiamo, pertanto, concludere che i rimborsi in argomento costituiscano un aspetto peculiare del regime delle garanzie di cui agli artt. 1479 ss., il quale sembra essere informato al principio secondo cui «chi ha dato causa alla inoperatività del contratto deve rimborsare all’altra parte le spese inutilmente erogate»271. Ma tale regime, per quanto singolare e proprio poiché non aderente ai principi generali che presiedono alla risoluzione272, non può essere applicato in maniera così vistosamente asimmetrica, come accadrebbe qualora si predicasse l’operatività delle restituzioni in argomento soltanto con riferimento all’ipotesi di risoluzione e non a quella di riduzione del corrispettivo273. 269 In questo senso, v. A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 175 nota 5. 270 In questo senso, fra i tanti, C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, cit., p. 322; A. DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, p. 158; A. BELFIORE, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1326 s.; R. SACCO, I rimedi sinallagmatici, in ID. - G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. Sacco, cit., p. 673, il quale anzi scrive che «appare […] in declino l’opposta regola del diritto civile germanico e svizzero, in cui l’attore in risoluzione ha diritto ai danni nel limite del solo interesse negativo, come se il contratto fosse nullo»; L. BIGLIAZZI GERI - U. BRECCIA - F.D. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile 1.2. Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, p. 867. In giurisprudenza, cfr. ad esempio Cass. 28 marzo 2001, n. 4473; Cass. 15 aprile 1994, n. 3598; Cass. 16 aprile 1984, n. 2457. 271 Sono parole di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 975, il quale così si esprime trattando delle restituzioni dovute ai sensi dell’art. 1493 c.c. al compratore nel caso di vittorioso esperimento dell’azione redibitoria a fronte della sussistenza di vizi. Non vi è chi non veda come tale fattispecie sia, sotto il punto di vista de quo, assolutamente identica a quella di cui all’art. 1479. 272 Lo mette in luce, con grande lucidità d’analisi, A. LUMINOSO, sub art. 1453, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento, I, 1, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 248 ss. 273 Cfr. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1484, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 203 s., i quali – dopo aver affermato che la differenza fra evizione totale e parziale dal punto di vista delle conseguenze attiene alla misura della restituzione del corrispettivo e dei rimborsi – scrivono che «non si vedrebbe una consistente ragione perché non debbano essere rimborsate le spese necessarie od utili fatte per una cosa, o LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 225 Invero – contrariamente a quanto abbiamo visto in relazione all’indennizzo per l’uso della cosa, la cui spettanza laddove il rapporto contrattuale sia posto nel nulla riposa nel fatto della restituzione del bene, che per definizione difetta qualora si opti per la tutela estimatoria – i rimborsi relativi alle spese e ai pagamenti legittimamente fatti per il contratto così come quelli inerenti alle spese fatte per la cosa sono legati al venir meno della ragione della spesa in conseguenza del manifestarsi del difetto dell’attribuzione patrimoniale. L’acquirente, infatti, in tanto sostiene i relativi esborsi in quanto confida nella regolare esecuzione del contratto. Ne consegue che, qualora la controparte non gli procuri l’acquisto del diritto sulla res vendita (ovvero di tale diritto egli sia privato, ovvero ancora l’acquisto sia caratterizzato da difetti giuridici o materiali), di tali esborsi egli deve essere tenuto indenne nella misura in cui essi siano divenuti inutili in ragione dell’inesattezza della prestazione traslativa della controparte. Ma tale inutilità, che investe nella sua interezza le spese sostenute per il contratto e per la cosa in caso di risoluzione, si ripropone pro parte anche nell’ipotesi in cui sia esercitata la riduzione del prezzo, almeno in relazione a quelle spese e a quei pagamenti il cui importo si ponga in relazione proporzionale, da un canto, con l’ampiezza e l’esenzione da difetti del diritto acquistato e, dall’altro, con la misura del prezzo da corrispondere274. Pertanto, se la disciplina della garanzia è informata al principio secondo cui chi ha dato causa all’imperfetta esecuzione del contratto deve tenere indenne la controparte dalle spese che siano, per tale ragione, divenute inutili, tale regola non può che valere sia qualora il compratore decida di avvalersi della risoluzione del contratto, sia ove (debba o) ritenga di avvalersi della quanti minoris275. Con una differenza fondamentale, come abbiamo accennato: mentre nell’ipotesi di risoluzione le spese elencate dalla legge vanno rimborsate parte di cosa, che va restituita all’evincente», così affermando che anche i rimborsi sanciti dall’art. 1479, comma 3 c.c. trovano applicazione alla fattispecie di evizione parziale. Invero, deve convenirsi, non è dato rinvenire alcuna ragione condivisibile volta a negare la pertinenza degli obblighi restitutori de quibus rispetto alla riduzione del corrispettivo. 274 Si pensi, in relazione alle spese e ai pagamenti fatti per il contratto, alle spese relative all’imposizione fiscale proporzionale, alla redazione dell’atto (si ponga mente, ad esempio, ai compensi notarili, tipicamente parametrati sul prezzo convenuto per la vendita) e alle eventuali spese di mediazione (di regola calcolate in misura proporzionale sul corrispettivo convenuto). Quanto alle spese fatte per la cosa, possono assumere rilevanza quelle di manutenzione. 275 Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 376; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410; R. LUZZATTO, La compravendita, Torino, 1961, p. 195. 226 CAPITOLO TERZO integralmente, nel caso in cui sia fatta valere l’estimatoria i rimborsi avranno ad oggetto tutte e soltanto le spese il cui ammontare dipenda dall’ammontare del prezzo convenuto o, comunque, dall’“effettiva estensione” dell’acquisto. Pertanto, nell’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui e di cosa gravata da diritti e oneri ex art. 1489 c.c., essi riguarderanno le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto, il cui importo dipenda dal prezzo pagato, nonché le spese fatte per la cosa, per la parte in cui queste dipendano – come di regola avviene – dall’ampiezza del diritto acquistato276. Altrettanto vale qualora l’acquirente subisca l’evizione parziale277, con l’unica precisazione che in questo caso il venditore è tenuto altresì alla corresponsione integrale degli ulteriori rimborsi di cui all’art. 1483, comma 2 c.c., giacché l’importo degli stessi è già ex se commisurato alla sola parte della cosa di cui il venditore non ha trasferito la proprietà. Qualora, invece, la tutela estimatoria sia fatta valere a fronte della sussistenza di un difetto materiale, al compratore che agisca con la riduzione del prezzo spetta soltanto il rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per il contratto278, non tanto perché l’art. 1493 c.c. – nel disciplinare gli effetti dell’azione redibitoria in tema di vizi – tace relativamente alle spese fatte per la cosa279, quanto piuttosto poiché la spet276 Invero, non si vede perché le spese (necessarie o utili, o anche voluttuarie qualora il venditore fosse in mala fede) di manutenzione di un immobile dovrebbero essere rimborsate in toto in caso di risoluzione e rimanere, invece, integralmente a carico del compratore (salvo il risarcimento del danno, subordinato alla colpa della controparte) qualora costui eserciti la riduzione del prezzo, comunque avendo acquistato soltanto una porzione o una quota della cosa. 277 Cfr., nello stesso senso, oltre a P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1484, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 203 s. poc’anzi citati, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 723. 278 In senso contrario, curiosamente, si esprime D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 815, il quale in questo caso ritiene che «l’avere la legge previsto il rimborso delle spese di contratto solo per il caso di risoluzione induce a ritenere che non si sia voluto ammetterlo per il caso di semplice riduzione del prezzo», dopo avere manifestato un’opposto avviso nelle fattispecie analizzate appena supra in materia di vendita di cosa parzialmente altrui ed evizione parziale. Nello stesso senso, v. altresì G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 162. Condivide, invece, la nostra opinione R. LUZZATTO, La compravendita, cit., p. 260 e 277 s. 279 La dottrina ritiene, infatti, che – nonostante il silenzio della norma – in caso di risoluzione per vizi materiali siano dovuti pur sempre i rimborsi relativi alle spese fatte per la cosa: secondo taluni, però, tali crediti deriverebbero dall’applicazione diretta (C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 974) o analogica (D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 816 s.) dell’art. 1479, comma 3 c.c., mentre secondo altri (P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492-94, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 269) dovrebbe farsi applicazione della «più blanda disposizione dell’art. 1150 c.c.» LA QUANTIFICAZIONE DELLA RIDUZIONE 227 tanza di queste di norma non dipende dall’integrità materiale del bene o dal prezzo pagato, ma piuttosto dalla titolarità del diritto sul bene, che nell’ipotesi in parola è fin dall’inizio piena e a mezzo della riduzione del corrispettivo non viene meno. Ciò posto, non possiamo peraltro esimerci dal rimarcare come il principio informatore che abbiamo visto animare le conseguenze dell’attivazione di quella speciale forma di responsabilità che è costituita dalla garanzia codicistica, sebbene debba trovare piena applicazione con riferimento a entrambi i mezzi di tutela che ne costituiscono il contenuto – altrimenti dandosi luogo a un’irrazionale asimmetria –, invero sia a sua volta un principio peculiare del sistema della garanzia, non trovando riscontro al di fuori di questa. La risoluzione del contratto prevista in generale dall’art. 1453 c.c., infatti, non condivide la finalità di (quasi) restitutio in integrum che è tipica della redibitoria280, ma dà luogo a un meccanismo liquidatorio che tipicamente comporta la restituzione delle prestazioni eseguite ma non già delle spese inutilmente sostenute, circa le quali ci si può eventualmente soltanto interrogare riguardo alla possibilità che costituiscano oggetto di un obbligazione risarcitoria281. Come meglio si dirà nel Capitolo 6, inoltre, tali restituzioni neppure spettano al compratore che faccia ricorso alla riduzione del prezzo in relazione a una vendita di beni di consumo o a una vendita internazione di merci soggetta alla Convenzione di Vienna del 1980, giacché tali apparati di tutela sono volti a garantire al compratore il soddisfacimento del suo pieno interesse all’esatta esecuzione del contratto del vendita. 280 Sul punto, v. E. 281 Tale distinzione BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 101 ss. non ha rilievo meramente nominalistico-qualificatorio, in quanto il diritto al risarcimento del danno è subordinato di norma – ma non con riferimento alla Convenzione di Vienna – alla ricorrenza di un contegno riprovevole imputabile del venditore a titolo di colpa. In argomento, rinviamo comunque al Capitolo 6. CAPITOLO QUARTO IL RAPPORTO CON GLI ALTRI STRUMENTI DI TUTELA CONTRATTUALE DELL’ACQUIRENTE SOMMARIO: 1. Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto nel sistema codicistico della garanzia per vizi. – 1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi di tutela: premessa. – 1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha diritto alla sola riduzione del prezzo. – 1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi in cui entrambi risultano esperibili. – 2. Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c.. – 3. La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo. – 3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto . – 3.2. L’ininfluenza di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto. – 3.3. L’esercizio stragiudiziale e giudiziale del diritto alla riduzione del prezzo. La sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Duarte Hueros e il potere/dovere del giudice di disporre d’ufficio la riduzione. – 4. Il rapporto fra riduzione del prezzo e altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nella Convenzione di Vienna. – 4.1. I presupposti di esperibilità dei singoli mezzi di tutela del compratore. – 4.2. La riduzione del corrispettivo quale mezzo di tutela del compratore caratterizzato dalla sfera applicativa più ampia. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi. – 5. La riduzione del prezzo nel quadro del crescente favor per i mezzi di tutela del compratore che non provocano lo scioglimento del rapporto contrattuale. 1. Il concorso della riduzione del prezzo con la risoluzione del contratto nel sistema codicistico della garanzia per vizi 1.1. L’identità dei presupposti sostanziali e i rapporti fra i due mezzi di tutela: premessa Dopo che nei Capitoli precedenti si sono chiarite la natura e le conseguenze giuridiche del rimedio estimatorio, deve essere ora fatto oggetto di considerazione il rapporto che corre fra il mezzo di tutela in discorso e l’altro che il codice civile appresta per il caso di difetti materiali del bene compravenduto, ossia l’azione di risoluzione, comunemente detta redibitoria. In particolare, debbono in questa sede essere affrontate le questioni inerenti al campo di applicazione dell’uno e dell’altro rimedio 230 CAPITOLO QUARTO e alle ipotesi in cui al compratore è concesso l’esercizio di uno soltanto degli stessi nonché quella, assai delicata, relativa alla sommaria ed ellittica disciplina apprestata dall’art. 1492, comma 2, c.c., ove il legislatore ha precisato come «la scelta [sc. tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo] è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale». I presupposti che consentono il ricorso alla quanti minoris sono comuni, per la più parte, a quelli che legittimano l’esperimento dell’azione redibitoria e trovano la loro travagliata descrizione nel rinvio ai «casi previsti dall’art. 1490» e nella mancanza nella cosa venduta delle «qualità promesse ovvero [di] quelle essenziali per l’uso a cui è destinata». Come si è visto nel Capitolo 2, il vizio e la mancanza di qualità sono prevalentemente ricostruiti dagli interpreti in chiave d’inesattezza materiale della prestazione, sia dal punto di vista del difetto, che deve attenere alla cosa nella sua materialità1, sia dal punto di vista degli oggetti cui è riferibile la disciplina, identificati nei beni materiali. Infatti, il legislatore italiano, da un canto – sulla scia di una risalente tradizione – ha dedicato all’eventualità in cui la cosa oggetto dello scambio sia affetta da difetti attingenti la sua condizione giuridica la diversa disciplina della c.d. garanzia per evizione (artt. 1481 ss. c.c.), e dall’altro ha foggiato la c.d. garanzia per vizi attraverso previsioni le quali si spiegano soltanto con riferimento a difetti materiali, mentre appaiono inconferenti rispetto alla considerazione della situazione giuridica del bene compravenduto, come accade per l’onere imposto al compratore di ispezionare la cosa, pena la perdita della garanzia ove i vizi fossero facilmente riconoscibili (art. 1491 c.c.). Abbia visto come il codice civile vigente abbia scelto di perpetuare la dicotomia “vizio”-“mancanza di qualità”, tentando una difficile definizione dei rispettivi ambiti di operatività, circa i quali la dottrina e la giu1 È, infatti, opinione comune in dottrina quella secondo cui l’art. 1490, comma 1, c.c. – nel delineare la nozione di “vizio” – si riferisca soltanto ai vizi materiali, che attingono la res nella sua materialità, incidendo sulla sua utilizzabilità o sul suo valore economico: in questo senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 772 ss.; C. MIRABELLI, sub art. 1490, in ID., Dei singoli contratti, in Comm. UTET, Torino, 1968, p. 94; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, p. 885 ss., il quale ritiene che le norme della garanzia per vizi e mancanza di qualità, in quanto onerano il compratore della pronta verifica della cosa e della denunzia tempestiva dei difetti della stessa, trovino spiegazione soltanto in relazione a inesattezze materiali della prestazione. Di diverso avviso sono P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, BolognaRoma, 1981, p. 249, i quali notano come la legge non prescriva espressamente il requisito della materialità, ma si limitano al contempo a contestare la regola secondo cui la garanzia ex artt. 1490 ss. avrebbe riguardo esclusivamente alle cose materiali, contemporaneamente ammettendo che «è normale che un vizio del diritto rientri in una fattispecie diversa da quella dell’art. 1490: evizione parziale, responsabilità per oneri o diritti sulla cosa, invalidità per errore o dolo, nullità o inefficacia del negozio per inalienabilità del diritto». IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 231 risprudenza avevano manifestato e continuano a manifestare molti dubbi e oscillazioni2. Infatti, nella difficoltà di fornire definizioni valide per la generalità delle ipotesi, si è ritenuto che i vizi consistano in imperfezioni materiali o anomalie strutturali derivanti da difetti di formazione, fabbricazione o conservazione della cosa, mentre le qualità atterrebbero anch’esse alla struttura materiale o alla funzionalità del bene ma costituirebbero attributi esprimenti la funzionalità, l’utilità e il pregio del bene3, la cui rilevanza sarebbe limitata alle ipotesi in cui la loro sussistenza sia stata promessa ovvero esse siano indispensabili per l’uso cui la cosa è normalmente destinata. Le seconde, quindi, si identificherebbero con gli attributi di materia, struttura e funzione che la cosa appartenente a un determinato tipo deve possedere in quanto necessari al suo normale utilizzo4. Le prime, invece, potrebbero essere riferite a qualunque caratteristica strutturale o funzionale del bene, ancorché secondaria o non incidente sulla sua concreta facoltà di utilizzo, la quale sia stata oggetto di una esplicita o implicita promessa5 all’interno delle pattuizioni contrattuali, delle comunicazioni pubblicitarie ovvero risulti essere stata assicurata in virtù delle complessive circostanze dell’affare. Condividendo lo scetticismo che la più autorevole dottrina ha mostrato nei confronti di una così artificiosa distinzione6, volta a separare fenomeni ontologicamente identici a cagione della necessità di imporre un ordine nella caotica ricostruzione delle patologie della vendita consegnata dalla giurisprudenza sorta sul codice abrogato7, abbiamo già tentato di argomentare come – nonostante le incertezze indotte dal dato positivo – debba ritenersi che i vizi e le mancanze di qualità trovino un unico statuto di tutela nelle disposizioni di cui agli artt. 1490-1495 c.c. 2 In argomento, cfr. il Capitolo 2 e, per una dettagliata analisi dell’evoluzione storica ivi tratteggiata, v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. I. Dai fondamenti storicocomparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, Napoli, 2007, p. 183 ss. 3 Così C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 892 ss., il quale fa riferimento anche a Cass. 3 dicembre 1970, n. 2544, la quale si è pronunciata nel senso che «la mancanza di qualità è inerente alla natura della merce, riguarda le differenze di sostanza, di razza, di materia, di tessuto, di fibra, di colore, di metodo e di origine, riferendosi genericamente a tutti quegli elementi sostanziali che, nell’ambito dello stesso genere, influiscono sulla classificazione della cosa in un tipo o in una specie piuttosto che in un’altra». 4 Così A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2011, p. 289, il quale specifica come rilevanza particolare, da questo punto di vista, debba essere conferita ai requisiti di sicurezza che i prodotti devono possedere ai fini della commercializzazione nello spazio giuridico comunitario (sul punto, cfr. ID., Certificazione di qualità di prodotti e tutela del consumatoreacquirente, in Europa dir. priv., 2000, p. 27 ss.). 5 In tal senso, cfr. Cass. 16 aprile 1992, n. 4681 e A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 289. 6 Cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 473 ss. 7 In argomento v. amplius supra, al Capitolo 2. 232 CAPITOLO QUARTO Nelle ipotesi in cui la res compravenduta presenti un “vizio” o manchi di qualità essenziali o promesse, il compratore può invocare – oltre al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1495 c.c. – la risoluzione o la riduzione del corrispettivo, con una facoltà di scelta che, in linea di principio, è rimessa alla discrezionalità dell’acquirente. L’alternatività fra redibitoria ed estimatoria, pur soffrendo talune eccezioni sulle quali torneremo nel paragrafo seguente, non conosce alcuna graduazione relativa alla gravità del difetto materiale, giacché ove questo renda il bene inidoneo all’uso, ne diminuisca apprezzabilmente il valore ovvero lo privi di qualità essenziali o promesse l’ordinamento dà ingresso alla tutela redibitoria così come a quella estimatoria, senza alcuna distinzione. In particolare, non ha pregio l’affermazione che non di rado si ritrova nelle pronunce di legittimità8, secondo la quale l’esperimento dell’azione redibitoria sarebbe possibile soltanto qualora il vizio concretamente sussistente nella res dia luogo a un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. Non è, infatti, necessario rievocare le più radicali tesi che escludono in toto la riconducibilità della garanzia per vizi al terreno dell’inadempimento per avvedersi del fatto che quella sancita dagli artt. 1490 ss. c.c. è una forma di responsabilità speciale che – sia o meno riconducibile all’inattuazione di un impegno obbligatorio – obbedisce a logiche proprie, in forza delle quali la valutazione della gravità della violazione della lex contractus è operata, per le fattispecie sussumibili nell’art. 1490 c.c., sulla base dei presupposti dell’inidoneità della cosa all’uso cui è destinata o dell’apprezzabile diminuzione del suo valore9, e per quelle di cui all’art. 1497 c.c., con il rinvio al carattere del8 Si veda, da ultima, Cass. 25 settembre 2013, n. 21949. Nello stesso senso, v. altresì Cass. 15 febbraio 1986, n. 914; Cass. 10 gennaio 1981, n. 247; Cass., 9 ottobre 1976, n. 3362, la quale ultima ha affermato che «avendo il legislatore stabilito in quali casi il compratore ha diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta ed avendo in tali casi attribuito al medesimo, a tutela di detto suo diritto, l’azione di risoluzione del contratto, deve ritenersi che egli abbia già fatto in astratto una valutazione dell’importanza dell’inadempimento», aggiungendo però che la facoltà di scelta fra le due azioni sarebbe svuotata di significato ove si postulasse «l’identità delle condizioni di accoglibilità delle due azioni, identità che verrebbe meno se per la risoluzione dovesse farsi la valutazione in concreto dell’importanza dell’inadempimento, a norma dell’art. 1455 c.c., inapplicabile invece alla quanti minoris». In dottrina, v. F. GALGANO, voce Vendita, in Enciclopedia del dir., XLVI, Milano, 1993, p. 491 ss.; M.G. CUBEDDU, Vizio apprezzabile e garanzia della cosa venduta, in Riv. dir. civ., 1990, p. 180; di recente, A. MUSY S. FERRERI, La vendita, in Tratt. Sacco, Torino, 2006, p. 228. 9 In questo senso si esprime altra parte della giurisprudenza di legittimità: v. Cass. 29 novembre 2004, n. 22416 (la quale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1492 c.c., ha ritenuto «non […] esatto che l’art. 1492 preveda una possibilità di risoluzione più ampia rispetto a quella (basata sull’inadempimento di non scarsa importanza) prevista dall’art. 1455, del quale, invece, costituisce applicazione restrittiva, avendo il legislatore, quando l’inadempimento del venditore si sostanzi nella conse- IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 233 l’essenzialità o alla sussistenza di una promessa. Peraltro, tali presupposti possono senza dubbio essere considerati applicazioni specifiche del generale principio sancito in materia di risoluzione per inadempimento dall’art. 1455 c.c., sicché la disputa in ordine all’applicazione o meno di quest’ultima norma si palesa, in ultima analisi, sterile, in quanto il vizio e la mancanza di qualità sono definiti dall’art. 1490 c.c. e dall’art. 1497 c.c. in maniera unitaria e la loro ricorrenza legittima la risoluzione non meno della riduzione del corrispettivo, come pianamente si deduce dal fatto che tali azioni trovano entrambe la loro legittimazione nella sussistenza di vizi che «rendano la cosa inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in maniera apprezzabile il valore» ovvero nella carenza di qualità «promesse ovvero […] essenziali per l’uso». In altre parole, il principio generale di non scarsa importanza non reagisce sull’ambito di applicazione dei due rimedi redibitori, giacché tali criteri sceverano le ipotesi che attivano la responsabilità del venditore – la quale può tradursi nello scioglimento del contratto o nella sua modificazione, a scelta dell’acquirente – da quelle che non vi danno luogo, e non già pongono supposte graduazioni fra i mezzi di tutela in discorso. 1.2. Le ipotesi in cui, essendo preclusa la risoluzione, il compratore ha diritto alla sola riduzione del prezzo Come si è accennato, la libera scelta fra i rimedi edilizi incontra talune limitazioni che restringono la disponibilità dei mezzi di tutela alla sola riduzione del prezzo, sicché – anche non condividendo l’inaccettabile gna di una cosa affetta da vizi, operato una diretta valutazione dell’importanza dell’inadempimento in relazione ai presupposti dell’inidoneità della cosa all’uso cui è destinata o dell’apprezzabile diminuzione del suo valore, previsti dall’art. 1490, primo comma, c.c., richiamato dall’art. 1492»); Cass. 11 aprile 1996 n. 3398; Cass., sez.un., 25 marzo 1988, n. 2565 (che espressamente hanno ribadito il fatto che i presupposti sostanziali per l’esperimento delle azioni redibitorie si identificano con la presenza di «vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 cod. civ., il quale detta in materia una disciplina completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 cod. civ. sull’importanza dell’inadempimento»). In dottrina, l’opinione è sostenuta da A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 487; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 446; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1490, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 252; L. GAROFALO, Garanzia per vizi ed azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 288. Contra, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 950, il quale – nel quadro di un’argomentazione tesa a identificare sostanzialmente la redibitoria e l’ordinaria azione di risoluzione – ritiene sempre operante, anche in materia di garanzia, il «limite generale che subordina la risoluzione per inadempimento imputabile alla non scarsa importanza dell’inadempimento stesso (art. 1455 c.c.)», mentre, qualora «il difetto non costituisc[a] inadempimento imputabile trova applicazione il principio che subordina la risoluzione alla mancanza di un apprezzabile interesse alla prestazione difettosa (art. 1464 c.c.)». 234 CAPITOLO QUARTO opinione, riguardante la rilevanza da ascrivere all’art. 1455 c.c. ai fini della concessione dell’azione redibitoria, criticata nel paragrafo precedente – può senz’altro dirsi che, nell’area della garanzia contro i vizi, l’estimatoria ha un campo di applicazione più ampio dell’azione concorrente. Un primo limite è esplicitato dall’art. 1492 proprio in quel comma 1 che concede al compratore i mezzi di reazione all’imperfetta attribuzione patrimoniale ricevuta, laddove il legislatore prevede espressamente che la libera scelta fra redibizione e diminuzione del prezzo possa venir meno qualora, «per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione». Il riferimento operato dalla legge deve essere inteso ai c.d. usi normativi, previsti dall’art. 1 disp. prel. c.c. quali fonti del diritto non scritte, e non già alle consuetudini negoziali (art. 1340 c.c.). Usi siffatti, nel silenzio serbato dalla legge, possono avere carattere generale o locale, concernere la generalità dei consociati o – come forse accade più frequentemente – determinate categorie di venditori o compratori10, solitamente appartenenti al ceto imprenditoriale. La limitatissima casistica giurisprudenziale che è possibile consultare sull’argomento11 non fornisce indicazioni utili al fine di delimitare il campo di operatività degli usi, i quali possono pertanto riguardare sia vizi determinati, sia l’universalità dei vizi che possono affliggere una certa categoria di beni12. Il contenuto dell’esclusione prescinde in linea di principio dalla gravità del difetto, ma può concordarsi con l’opinione di chi ha ritenuto che essa non possa riguardare vizi che rendano la cosa assolutamente inidonea all’uso cui è destinata13, in quanto ciò comporterebbe un eccessivo sacrificio in capo al compratore. D’altro canto, non sembra possa farsi ricorso agli usi al fine di sceverare fra ipotesi di vizi di maggiore impor10 In questo senso D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, p. 803. 11 Tale casistica, se si escludono le pronunce aventi ad oggetto specificamente la vendita di animali (art. 1496 c.c.), si riduce alle sole Cass. 5 agosto 1977, n. 3551 e Cass. 5 agosto 1985, n. 4388. 12 Come ad esempio la vendita di filati nell’ipotesi posta a base della decisione di Cass. 5 agosto 1977, n. 3551, la cui massima recita: «qualora gli usi concernenti determinate categorie di compravendite assoggettino l’accertamento o la rilevanza dei vizi della cosa venduta a regole particolari, dette regole debbono trovare applicazione sia quando venga esercitata l’azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo, sia quando sia chiesto soltanto il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento imputabile al venditore (nella specie, in applicazione del principio enunciato, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva risolto, per l’esistenza di vizi, la vendita di filati avvenuta in provincia di Como, senza tener conto dell’art. 83 della raccolta degli usi locali, i quali, in presenza degli accertati vizi, vietano la risoluzione del contratto e prevedono una particolare forma risarcitoria del danno». 13 Cfr. esattamente D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 235 tanza14, legittimanti la riduzione del corrispettivo non meno della risoluzione del contratto, da quelle più lievi, per le quali potrebbe trovare accoglimento soltanto l’azione quanti minoris15, giacché «una siffatta limitata portata del vizio non basta, di per sé sola, ad escludere la risoluzione, ma occorre che esista un[o specifico] uso in tal senso»16. Non pare, infatti, possa dirsi esistente un uso il quale escluda in linea di principio la risoluzione in tutti i casi in cui il vizio abbia scarsa entità, né esistono parametri certi attraverso i quali sarebbe possibile identificare la maggiore o minore gravità di questo17. A fronte della manifestazione di un vizio nel bene compravenduto, la libertà di scelta dei rimedi di cui l’acquirente può avvalersi è altresì, e più pesantemente, limitata dalla previsione contenuta nel terzo comma del citato art. 1492 c.c., il quale non consente al compratore l’esercizio dell’azione di risoluzione in tutte le ipotesi18 in cui la cosa sia stata alie14 Sul punto si veda quanto già esposto in conclusione del precedente paragrafo, nonché Cass. 1° febbraio 1995, n. 1153, la quale chiaramente propende per l’insussistenza di una simile differenziazione: «in tema di garanzia della cosa venduta, qualora ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 1490 c.c. (inidoneità della cosa all’uso cui è destinata o apprezzabile diminuzione del suo valore), il compratore ha la facoltà di scegliere liberamente fra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, prescindendo dal minore o maggior grado di gravità del vizio denunziato». Nel senso, inoltre, che la gravità del difetto legittima l’azione estimatoria non meno della redibitoria, cfr. Cass. 21 agosto 1985, n. 4471, secondo la quale «la facoltà del compratore, in presenza di vizi della cosa venduta, di chiedere, anziché la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., non viene meno per il fatto che detti vizi presentino gravità tale da escludere la possibilità di utilizzare il bene nella sua funzione tipica (nella specie, autovettura usata, risultante dall’anomalo assemblaggio di due tronconi di veicoli diversi), rientrando nella disponibilità del compratore medesimo l’optare per un mantenimento della residua utilità della cosa, con un congruo riequilibrio, in suo favore, dell’ammontare del corrispettivo». 15 In questo senso, invece, sembra rivolgere le proprie argomentazioni C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patolgia della vendita, in Scritti in onore di Angelo Falzea, cit., p. 299. 16 Sono parole di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803. 17 L’introduzione di una simile distinzione comporterebbe un’ulteriore difficoltà classificatoria, costringendo l’interprete a rintracciare criteri e caratteri che consentano di distinguere, oltre che tra mancanza di qualità essenziali e vizi, anche – all’interno di quest’ultima categoria – tra vizi di maggiore o minore gravità, senza che la legge offra – in proposito – alcun tipo di appiglio. Come abbiamo veduto poco supra, errata deve essere altresì ritenuta la tendenza rintracciabile in una parte della giurisprudenza, propensa a introdurre tale differenziazione a mezzo del riferimento all’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. 18 È opportuno precisare sin d’ora che l’ostacolo all’esperimento dell’azione redibitoria costituito dagli eventi cui fa riferimento l’art. 1492, comma 3 c.c. sussiste soltanto qualora detti eventi si verifichino prima della proposizione della domanda giudiziale o nel corso del giudizio (ovvero, ove si ammetta la risoluzione della vendita per atto stragiudiziale – cfr. M. PALADINI, L’atto unilaterale della risoluzione per inadempimento, Torino, 2013, p. 129 ss. –, prima che tale atto sia divenuto efficace nei confronti del venditore), mentre il perimento susseguente all’intervenuta sentenza di risoluzione rimane a carico del venditore – che è ritor- 236 CAPITOLO QUARTO nata o trasformata ovvero sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore19. La ragione di tale esclusione è stata ed è tuttora assai dibattuta20, soprattutto con riferimento alla previsione riguardante il perimento della cosa derivante da caso fortuito. Rinviando l’analisi approfondita di tale ipotesi alla sede in cui sarà operato lo scrutinio di applicabilità della preclusione in parola alla vendita di bene di consumo affetto da difetto di conformità, sembra fin d’ora utile svolgere alcune considerazioni riguardo alla disposizione nel suo complesso, al fine di verificare quanto ampia sia l’area di esenzione dalla possibilità di esperimento dell’azione redibitoria e, pertanto, quale sia l’ambito di applicazione esclusivo del rimedio estimatorio. A nostro avviso, l’opzione sottesa al dettato dell’art. 1492, comma 3, c.c. costituisce un’eredità della risalente concezione dell’azione redibitoria quale rimedio autonomo e speciale, distinto dall’ordinaria azione di risoluzione per inadempimento di diritto comune21. nato proprietario del bene – qualora sia causato dai vizi della cosa o dipenda da caso fortuito, viceversa – al pari della trasformazione o dell’alienazione – consentendo a costui di rifiutare la restituzione del prezzo ove dipenda da colpa del compratore (nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 803; A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2014, p. 488). Si veda infra nel testo per approfondimenti. 19 Questa seconda parte della regola rieccheggia il tema, già trattato nel Capitolo 1, riguardante la possibilità di esperire l’actio redhibitoria da parte del compratore di schiavo o animale il quale sia successivamente deceduto, cui si ricollega il noto “mortuus redhibetur”. Cfr., sul punto, la bibliografia citata nel Capitolo 1, nonché L. GAROFALO, Perimento della cosa e azione redibitoria in un’analisi storico-comparatistica, in Europa dir. priv., 1999, p. 843 ss., spec. p. 847 s. 20 Secondo taluni il fondamento della regola risiederebbe nel fatto che attraverso la trasformazione e l’alienazione il compratore utilizzerebbe definitivamente la prestazione (v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 960), secondo altri queste darebbero luogo a una rinunzia tacita del compratore ad avvalersi del rimedio risolutorio (in questo senso, Cass. 11 maggio 1984, n. 2891; Cass. 29 luglio 2013, n. 18202; ma è facile ribattere che tale volontà tacita non può essere ravvisata ogni volta in cui trasformazione e alienazione avvengano senza che l’acquirente sia consapevaole del difetto: così già E. BETTI, Influenza dell’alienazione da parte del compratore sulla responsabilità del venditore per vizio redibitorio, in Riv. dir. comm., 1925, II, p. 335 ss., il quale pone altresì in luce come la stessa rivendita del bene fatta dall’acquirente che abbia scoperto il difetto potrebbe essere motivata dal tentativo di sfuggire a un maggior danno e non dalla supposta tacita rinunzia alla risoluzione), mentre un’ampia corrente dottrinale ritiene che l’art. 1492, comma 3 c.c. costituisca applicazione della regola res perit domino (v. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 271; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 447 s.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu Messineo, cit., p. 488; R. OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata, Padova, 2004, p. 14 ss.). 21 Nel senso che la disposizione volta a negare il ricorso del compratore all’azione redibitoria possiede natura eccezionale cfr. già l’autorevole insegnamento di G.G. AULETTA, La ri- IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 237 Di tale specialità costituisce evidente indice la regola che ci occupa, la quale è comprensibile soltanto ove si guardi al problema che essa intende risolvere avendo ben chiaro come il legislatore abbia disegnato il rimedio redibitorio – contrariamente a quanto ha fatto per l’azione generale di risoluzione22 – ponendosi come prioritario scopo quello di garantire la sua funzionalità rispetto al fine della rimessione delle parti nello stato esistente anteriormente allo scambio, garantendo l’equivalenza non soltanto quantitativa ma – per quanto possibile – anche qualitativa fra la situazione giuridica delle parti in data anteriore alla conclusione del contratto e quella di cui le stesse godranno a seguito dell’intervenuta risoluzione23. Di qui, a nostro avviso, nasce la regola che vieta la risoluzione del contratto di vendita laddove il bene sia medio tempore perito, soluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 474 e, sotto il vigore della codificazione abrogata, di R. FUBINI, La teoria dei vizi redibitorii, cit., p. 566. Nello stesso ordine di idee, nel quadro di una penetrante analisi, ricca di spunti anche comparatistici, si pone C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, in Europa dir. priv., 1999, p. 816 ss., spec. 822 s., il quale nota che «sul piano delle moderne codificazioni l’impossibilità della restituzione è diventata neutra ai fini della risoluzione del contratto». Sul punto cfr., infine, L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 291 ss. e G. SICCHIERO, sub art. 1453, in ID., La risoluzione per inadempimento, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2007, p. 332 ss., il quale ritiene «davvero difficile argomentare [dall’art. 1492] un principio di più ampia portata», anche in considerazione dell’assenza di una regola di analogo tenore nella disciplina del contratto di appalto. 22 In riferimento alla quale, ad esempio, l’art. 1458 c.c. prevede espressamente che la risoluzione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi sulla cosa, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione. Ne consegue che nell’ipotesi dell’ordinaria risoluzione per inadempimento il legislatore ha preferito consentire comunque la risoluzione del contratto anche in presenza di eventi, come l’alienazione della cosa, i quali ostano alla restituibilità della stessa e pertanto alla perfetta ricostituzione dello status quo ante in senso quantitativo e qualitativo. 23 In proposito, non è senza importanza notare come il legislatore abbia espressamente dettato, con riferimento alla disciplina dell’azione di risoluzione prevista in materia di vendita, una disposizione specifica (l’art. 1493 c.c.) volta a sancire la retroattività degli effetti del rimedio e, in particolare, gli obblighi restitutori conseguenti al suo esperimento. Questa scelta, che taluno (L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 291) ha ritenuto tale «da rendere superfluo il ricorso al pur invocabile – perché armonico rispetto alla conformazione del legislativa del mezzo stesso – art. 1458», può essere letta, ancor più radicalmente, quale ulteriore segno della volontà legislativa di dettare una disciplina della risoluzione per vizi del bene tendenzialmente autosufficiente, in quanto, nel prevedere che «il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi», in combinato disposto con la previsione sancita dall’art. 1492, comma 3, c.c., dà vita a un sistema in sé completo, in cui non soltanto – come accade in generale – la risoluzione comporta il sorgere delle obbligazioni restitutorie, ma – contrariamente a quella che è la regola valevole per la risoluzione per inadempimento – la possibilità della restituzione in natura delle prestazioni assurge eccezionalmente a condizione di praticabilità del rimedio (come lo stesso Garofalo mostra di ritenere a p. 264 s.). 238 CAPITOLO QUARTO alienato o trasformato. Nella persuasione della specialità del rimedio24, il legislatore del 1942 ha inteso condizionare la sua percorribilità alla sussistenza del requisito della possibilità di operare una rimessione in pristino anche qualitativa della situazione giuridica facente capo alle parti dello scambio25. Ben conscio del fatto che lo scioglimento del contratto per vizi funzionali non è, ex se, condizionato dalla praticabilità in concreto della restituzione del bene26, la quale ne costituisce mera conseguenza e non già presupposto27, ha però seguito una strada opposta con riferimento alla garanzia per vizi, nella quale la redibitoria sembra essere strutturata alla stregua dell’avveramento di un evento dedotto in condizione 24 Nella dottrina francese afferma la specialità dell’azione redibitoria, ad esempio, P. COËFFARD, Garantie des vices cachés et «responsabilité contractuelle de droit commun», Poitiers, 2005, p. 32, il quale però avverte come fra gli interpreti transalpini si sia fatta largo anche l’opposta opinione, secondo la quale l’art. 1646 c.c.f. concederebbe al compratore «une variété d’action résolutoire» (così, infatti, M. LE TOURNEAU, La responsabilité des vendeurs et fabricants, Paris, 2001, p. 221). 25 In maniera consonante con quanto da noi sostenuto, L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 263 scrive di un consapevole rifiuto, da parte del legislatore, delle conseguenze che sarebbero derivate dall’applicazione delle regole generali. Tale rifiuto è motivato dall’estraneità delle conseguenze medesime «al modello di redibitoria che, consegnato dai giuristi romani ai dottori del diritto comune e da questi non solo raccolto ma anche rivisitato, era penetrato nelle moderne codificazioni […] manifestando la risalente e perdurante attitudine a rimettere il compratore e il venditore, mercé lo scioglimento ex tunc del vincolo tra loro, nella situazione antecedente alla conclusione ed esecuzione del contratto» 26 La giurisprudenza, invece, in talune ipotesi ha proceduto a colmare la mancanza di una disciplina generale inerente al perimento del bene oggetto del contratto attraverso l’applicazione delle regole speciali previste in tema di vendita, credendole erroneamente espressive di un principio generale: in questo senso, ad esempio, Cass. 18 febbraio 1983, n. 1254, ad avviso della quale «il principio per cui la risoluzione del contratto è preclusa dall’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario opera ai sensi dell’art. 1492, comma 3, che è espressione di una regola generale e, quindi, non ha valore limitatamente al contratto di compravendita». 27 Così, tra i tanti, R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 11 ss. e C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 822 s. Cfr. anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 262. Non è inutile ricordare, in proposito, l’opinione di L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., p. 9, secondo il quale l’azione di risoluzione prevista in tema di garanzia per vizi costituirebbe una risoluzione per viam restitutionis, ovverosia un’azione «diretta a far precipuamente a far valere, sulla base del contratto, la pretesa alla restituzione». Nel concordare con l’illustre A. circa la rilevanza della fase restitutoria nell’economia del mezzo, sembra però debba escludersi che il codice civile del 1942 possa ancora accreditare una ricostruzione dell’azione redibitoria in forza della quale la risoluzione del contratto costituirebbe soltanto una conseguenza mediata della restitutio, con tradimento palese dell’intendimento del legislatore (il quale, all’art. 1493 c.c., ha catalogato gli obblighi restitutori fra gli effetti della risoluzione). IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 239 risolutiva28, e non tanto quale rimedio volto a rimediare alla rottura dell’equilibrio sinallagmatico attraverso una modificazione del contenuto delle obbligazioni contrattuali29. Le conclusioni così raggiunte non sono infirmate dalla constatazione dell’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte del compratore nell’ipotesi in cui la cosa sia perita in conseguenza dei vizi, che costituisce senz’altro un’ipotesi di impossibilità di restituzione. Tale eccezione è coerente con la tradizione30 e partecipa della più generale regola che addossa al venditore le conseguenze derivanti dai vizi della cosa31, di cui sono 28 Rieccheggiando quindi la ricostruzione francese della risoluzione del contratto, consacrata nel Code Napoleon (S.K. MYOUNG, La rupture du contrat pour inexécution fautive en droit coréen et francais, Paris, 1996, p. 198 ss.) e nel codice civile italiano del 1865, ma non accolta dalla codificazione attuale (che – prevedendo la retroattività degli effetti della risoluzione soltanto tra le parti – si situa, ad avviso di C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798, a metà strada tra il modello francese della nullità e quello tedesco della liquidazione del rapporto). Non è senza importanza osservare come il principale argomento utilizzato al fine di confutare l’adeguatezza della ricostruzione volta a spiegare l’operare della risoluzione quale condizione risolutiva sia costituito dalla inconciliabilità dello stesso con il risarcimento dei danni positivi (così, per tutti, G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 100 e, di recente, E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, p. 329 s.): sul punto cfr. il Capitolo 6. 29 Questo è, infatti, il contenuto della risoluzione per inadempimento secondo la ricostruzione più recente: v., pur con diversità di accenti, A. BELFIORE, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano, 1988, p. 261 ss.; ID., voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1328; C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 798 ss.; E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 333 ss., alla cui trattazione, in questa sede, non può che farsi rinvio. L’idea si intravvede chiaramente, pur confinata all’interno della trattazione dedicata all’ammissibilità del risarcimento dell’interesse positivo, già in L. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 303. Nel diritto tedesco tale concezione della risoluzione (apparsa per la prima volta negli scritti di H. STOLL, Die Wirkung des vertragsmäßigen Rücktritts, Bonn, 1921 e ID., Rücktritt und Schadensersatz, in AcP, 1929, p. 183 ss.) si è riverberata in un “epocale” cambiamento in occasione della Schuldrechtsreform del 2002, allorché il legislatore germanico ha adottato (con il nuovo § 325 BGB) l’idea della combinabilità del Rücktritt e dello Schadensersatz wegen Nichterfüllung, prima radicalmente esclusa: cfr. I. DU MONT, Die kombination von Rücktritt und Schadensersatz im neuen Schuldrecht. Eine ökonomische und rechtsvergleichende Analyse am Beispiel des Kaufvetrags, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2007, p. 20 ss. 30 In questo senso L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 263 ss., il quale segue la tesi già fatta propria da D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809. 31 Infatti, la citata Cass. 18 febbraio 1983, n. 1254, nel descrivere la regola sancita dall’art. 1492, comma 3 c.c. precisa che la stessa trova applicazione soltanto allorché l’impossibilità della restituzione si verifichi «senza colpa di colui che ha consegnato il bene, poiché non è lecito addebitare ad un contraente le conseguenze di un evento (perimento in senso fisico o giuridico di un bene) che è stato determinato quanto meno in modo prevalente da fatto imputabile all’altro contraente». Qualora, invece, tale impossibilità si verifichi in conseguenza 240 CAPITOLO QUARTO espressione la previsione dell’obbligo di costui di risarcire i danni provocati dai vizi medesimi (art. 1494, comma 2, c.c.), nonché la riconosciuta possibilità di ottenere la risoluzione anche a seguito dell’avvenuta vendita del bene per conto di chi spetta ai sensi dell’art. 1513, comma 1, c.c., finalizzata a evitarne il perimento o il deterioramento32. Venendo ora a trattare delle singole fattispecie impeditive dell’esercizio dell’azione redibitoria, non pare possano avanzarsi dubbi circa il fatto che, con il richiamo al perimento della cosa33, il legislatore abbia inteso includere tutte le ipotesi in cui si verifichi la distruzione della stessa, ossia la totale compromissione della sua integrità fisica34, senza considerazione della causa che l’ha determinata, purché estranea ai difetti della cosa35. Il perimento, pertanto, costituisce il totale annientamento della cosa nella sua materialità, che la renda inutilizzabile. Peraltro, il puro e semplice riferimento che l’art. 1492, comma 3, c.c. opera al perimento tout court solleva il problema del trattamento delle ipotesi di deterioramento e di perimento meramente parziale della cosa viziata. Portando alle estreme conseguenze il principio secondo cui la redibitoria è volta a ricostituire lo status quo ante in modo quantitativamente e qualitativamente identico, sembrerebbe coerente ritenere che anche in tali ipotesi la soluzione debba essere nel senso della concessione della sola azione di riduzione del prezzo36: com’è stato efficacemente scritto, dei vizi del bene, essa può essere messa in relazione con la sfera giuridica del venditore, in armonia con gli artt. 1490 e 1494, comma 2 c.c. 32 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 808. 33 Sul perimento v. A. MAGAZZÙ, voce Perimento della cosa, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 35 ss. e ID., Il perimento della cosa e la teoria dell’efficacia giuridica, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, I, 2, Milano, 1978, p. 1201 ss.; nel vigore del codice abrogato, cfr. C. MAIORCA, La cosa in senso giuridico. Contributo alla critica di un dogma, Torino, 1937, p. 225 ss. 34 Come avverte A. MAGAZZÙ, voce Perimento della cosa, p. 36, tale definizione va compendiata con l’osservazione del principio fisico secondo cui «in natura nulla veramente si distrugge: […] si danno infatti solo trasformazioni dei corpi (e della materia che li costituisce)», sicché il perimento costituisce una modificazione della cosa la quale la renda del tutto inutilizzabile. 35 Deve, infatti, ritenersi che l’espressione «per colpa del compratore» vada letta, con operazione di ortopedia interpretativa, come riferentesi ad ogni ipotesi di perimento «per fatto proprio del compratore», in quanto «l’acquirente, dopo la consegna, usa “una cosa propria e non ha obblighi di custodia”, [sicché] è difficile ravvisare la violazione di un dovere di diligenza da parte sua» (sono parole di P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272, cui presta adesione anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 266). Pertanto, d’ora innanzi, si farà riferimento all’ipotesi de qua mediante l’uso della locuzione corretta. 36 In questo senso si pronuncia taluna giurisprudenza: Cass. 4 aprile 1998, n. 3500, la cui massima recita: «nell’ipotesi che la cosa presenti vizi, secondo quanto dispone l’art. 1492 IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 241 «essendo la restituzione possibile solo se involga la cosa nella sua iniziale integrità, inibisce la risoluzione anche la parziale impossibilità di quella derivante […] da un incompleto perimento del bene per caso fortuito o per fatto proprio del compratore»37. Peraltro, la correttezza di siffatta conclusione è stata revocata in dubbio sulla base della considerazione secondo cui il deterioramento non potrebbe giammai comportare l’impossibilità dell’esatta rimessione in pristino38, e lo stesso perimento parziale del bene potrebbe al più costituire ragione per l’operare di una preclusione dell’azione redibitoria soltanto parziale39, ovvero riferentesi alla sola parte della cosa acquistata la quale sia effettivamente perita40. c.c., sono attribuiti al venditore due rimedi, l’azione di risoluzione e quella di riduzione del prezzo, ma la prima resta esclusa tutte le volte in cui la restituzione sia diventata impossibile essendo la cosa “perita per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi l’ha alienata o trasformata”. Ed è pacifico che tale situazione si verifica allorché la restituzione non sia più possibile, non soltanto per effetto dell’alienazione o trasformazione della cosa, ma anche a causa dell’espropriazione, dello smarrimento, della consumazione o della sua messa extra commercium. Analoga situazione si verifica nel caso del perimento, del deterioramento della cosa, o della modificazione della sua consistenza da parte dell’acquirente»; similmente, riguardo a un caso di deperimento colposo, Cass. 28 aprile 1992, n. 5034; più risalente, Cass. 6 agosto 1965, n. 1874, la quale si esprime chiaramente nel senso che preclusiva della possibilità di ottenere la risoluzione è non soltanto l’impossibilità totale della restituzione del bene compravenduto, ma pure l’impossibilità parziale di questa. 37 Così L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 267. Nello stesso senso, v. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 806 e G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 166 s. 38 Per questa obiezione cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 973. Non pare dubbio, in proposito, che il mero deterioramento del bene, anche ove di notevole entità e pertanto rilevante ai sensi della disposizione che ci occupa, non renda impossibile ex se la restituzione della cosa oggetto dello scambio, la quale può senz’altro essere riconsegnata al venditore nello stato in cui si trova. L’opinione di Bianca è seguita anche da R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 57, il quale ultimo – riguardo all’ipotesi di perimento parziale fortuito del bene – precisa la portata della propria apertura nei confronti dell’esperibilità dell’azione di risoluzione esprimendosi nel senso che questa debba essere sempre unita all’accollo, in capo al compratore, delle diminuzioni di valore subite dal bene, facendo però salva l’ipotesi in cui «l’inadempimento dell’alienante rispetto all’impegno traslativo assunto con il contratto sia stato di gravità tale da determinare la disapplicazione [del principio res perit domino], nel qual caso il compratore potrà ottenere la restituzione integrale del prezzo». 39 Tale ipotesi di risoluzione, alla quale ha dedicato ampia attenzione A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, passim, ma spec. 213 ss., è ritenuta oggi ammissibile da parte considerevole degli interpreti laddove il contenuto contrattuale sia oggettivamente o soggettivamente scindibile: per tutti, cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile 5. La responsabilità, Milano, 2012, p. 328 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica - Zatti, Milano, 2001, p. 975 s.; M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in E. GABRIELLI, Il contratto in generale, II, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, Torino, 2006, p. 1766 s. 40 Nel senso che il perimento parziale lascerebbe intatta la facoltà del compratore di chiedere la risoluzione del contratto con riferimento alla parte di bene non toccata dal peri- 242 CAPITOLO QUARTO Invero, nonostante sia indubbio che il deterioramento subito dalla cosa nelle more fra la consegna e la domanda di risoluzione non consenta una perfetta “restaurazione” delle situazioni giuridiche delle parti anche in senso qualitativo, non sembra possibile accedere a una così rigorosa lettura del principio posto dall’art. 1492, comma 3 c.c., e ciò non soltanto perché lo stesso tenore letterale della disposizione non fa menzione della rilevanza del mero deterioramento, ancorché “colposo”, del bene, ma soprattutto in quanto essa si tradurrebbe nel riconoscimento al compratore di un facile strumento di paralisi delle iniziative del compratore e, in ultima analisi, in una sostanziale interpretatio abrogans dell’azione redibitoria. Non vi è chi non veda, infatti, come l’affermazione dell’irresolubilità delle vendite rispetto alle quali le cose consegnate abbiano subito un deterioramento, da un canto, imponga la necessità di stabilire una soglia minima di rilevanza della corruzione della stessa, in assenza di qualsivoglia indice normativo conferente e, dall’altro, armi la mano del venditore con una facile eccezione volta a scaricare sulla controparte l’onere di dimostrare l’insussistenza del deterioramento ovvero l’irrilevanza dello stesso o, ancora, la sussistenza già al tempo della consegna delle alterazioni della cosa dedotte dall’alienante. Così opinando, pertanto, soltanto l’acquirente che non abbia utilizzato il bene ovvero, pur avendolo utilizzato, lo abbia in nulla o in misura trascurabile deteriorato potrebbe avere titolo per l’esperire l’azione redibitoria e la sua libertà di scelta fra le azioni edilizie proclamata solennemente dal comma 1 dell’art. 1492 c.c. verrebbe a costituire un’ipotesi recessiva rispetto alla normale esperibilità della sola quanti minoris. Ne consegue, pertanto, che – coerentemente con quanto accadeva nel diritto romano41 – il deterioramento non può dirsi ostativo della possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, dovendosi soltanto riconoscere al venditore una pretesa creditoria pari alla diminuzione di valore del bene conseguente al suo deterioramento42. Passando a considerare l’ipotesi di trasformazione della cosa, è necessario osservare come la rilevanza della relativa fattispecie non si limiti mento, v. ancora R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 49 ss. 41 Cfr., infatti, D. 21, 1, 23, pr., laddove al compratore veniva imposta una prestazione pecuniaria a favore del venditore qualora il bene da restituire a seguito dell’esperimento dell’azione redibitoria si fosse deteriorato per cause imputabili all’acquirente nelle more fra la vendita e la restituzione. 42 Come si vedrà amplius al successivo par. 2, un indice che suffraga indirettamente l’opinione accolta nel testo può essere tratto dall’art. 1479 c.c., il cui comma 2 regola le conseguenze restitutorie della risoluzione della vendita motivata dall’altruità della cosa facendo obbligo al venditore di restituire all’acquirente il prezzo pagato, «anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata». IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 243 ai soli casi di totale cambiamento di specie43, ma si estenda a qualsiasi ipotesi di apprezzabile e ineliminabile alterazione della sua originaria destinazione, senza che però possa darsi ingresso anche alle diverse ipotesi in cui questa «sia vincolata a pertinenza o […] sia unita ad altra, pur essendo suscettibile di separazione»44, giacché tale eventualità non incide sulla possibilità della restituzione. A sua volta, l’alienazione della cosa – richiamata dall’art. 1492, comma 3, c.c. quale ulteriore ipotesi la cui ricorrenza offre al compratore la disponibilità del solo rimedio estimatorio – può dirsi ricorrere tanto nell’ipotesi di alienazione del medesimo diritto acquistato sul bene per effetto del contratto di vendita, quanto pure ove il compratore costituisca sul bene stesso diritti diversi e di contenuto più limitato45, purché questi siano opponibili al suo avente causa46 e causino l’impossibilità per il venditore di recuperare la titolarità e il pieno esercizio del diritto venduto. Ad avviso di un ormai sedimentato orientamento giurisprudenziale47, la trasformazione e l’alienazione della cosa avrebbero il descritto 43 Tale orientamento restrittivo trovava, invece, accoglimento in una risalente giurisprudenza, la quale interpretava il requisito della trasformazione della cosa nel senso della sua rilevanza soltanto nelle ipotesi in cui la stessa non potesse radicalmente più adempiere alla sua originaria funzione economica: in questo senso cfr. 25 febbraio 1963, n. 464, la quale faceva appunto riferimento ad una modificazione dello stato materiale tale da compromettere l’originaria funzione economica del bene. 44 Le parole sono di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 961. 45 Così anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., p. 271, il quale fa riferimento ai diritti reali limitati costituiti sulla piena proprietà. Non sembra, invero, che nel concetto di “alienazione” possano rientrare gli atti costitutivi di diritti personali di godimento. 46 Laddove i diritti acquistati dal terzo subacquirente non siano opponibili all’alienante, infatti, non ricorre la ratio sottostante al divieto, giacché la possibilità di restituzione della cosa nello stato (giuridico, stavolta) in cui si trovava antecedentemente alla vendita, per definizione, sussiste in toto. 47 La mole delle pronunce allineate all’orientamento in parola è davvero imponente e trova i primi esempi già nella giurisprudenza degli anni ’50 dello scorso secolo; tra le tante, si vedano Cass. 11 maggio 1984, n. 2891; Cass. 1° febbraio 1993, n. 1212; Cass. 15 gennaio 2001, n. 489; Cass. 24 maggio 2002, n. 7619; Cass. 29 novembre 2004, n. 22416. Di recente, cfr. altresì Cass. 3 giugno 2008, n. 14665, la quale – a quanto ci consta, per la prima volta – ha considerato anche l’aspetto delle conseguenze del comportamento implicante rinunzia tacita altresì dal punto di vista del rimedio risarcitorio: «la trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art. 1492, comma 3, c.c., occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente che l’acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo; tanto vale a maggior ragione con riguardo all’azione di risarcimento dei danni di cui all’art. 1494 c.c., che è azione distinta da quella di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo di cui all’art. 244 CAPITOLO QUARTO effetto preclusivo dell’alternativa fra le azioni edilizie soltanto ove non solo possiedano i caratteri appena descritti, ma possano altresì essere ritenute espressive di una volontà tacita del compratore di rinunziare all’azione redibitoria, accettando la cosa medesima nonostante il vizio. In altre parole, ad avviso delle corti, non sarebbe l’obiettivo verificarsi della fattispecie di trasformazione o alienazione a rilevare48, bensì il significato che questa verrebbe ad assumere ove possa ritenersi espressione di una volontà tacita di rinunzia al rimedio: ciò che costituisce senz’altro un’inammissibile interpretazione (parzialmente) abrogante, giacché la preclusione dell’esercizio di un rimedio cui si sia rinunziato non ha certo bisogno di una norma specifica per operare49, ma consegue alla perdita della titolarità del relativo diritto e all’applicazione del principio di non contraddizione. Ne consegue che, in questi casi come in quelli di perimento fortuito e per fatto del compratore, l’alternativa fra le azioni edilizie viene meno per il solo fatto obiettivo dell’alienazione o della trasformazione, salva la sola ipotesi in cui tali eventi debbano ritenersi conseguenza diretta dei vizi, in armonia con il principio che ispira il primo periodo del terzo comma dell’art. 1492 c.c., permettendo la risoluzione nelle ipotesi in cui l’impossibilità della restituzione consegua esclusivamente alla sussistenza dei difetti della cosa. Se la proponibilità della domanda di risoluzione è esclusa in tutti i casi in cui la cosa oggetto del contratto di compravendita sia stata alienata o trasformata ovvero sia perita per caso fortuito o per fatto del compratore, deve, però, essere chiarito l’effetto che tali accadimenti producono riguardo all’azione di risoluzione già pendente, in quanto proposta in data anteriore al verificarsi dei medesimi. In proposito, la dottrina tende a trattare in maniera omogenea i casi di trasformazione e alienazione del bene nonché di perimento dello stesso per fatto del compratore. La chiara opzione del legislatore del 1942, nel dettare la norma contenuta nell’art. 1492, comma 3, c.c., è stata nel senso di interdire la facoltà dell’acquirente di ottenere la redibizione in presenza di tali presupposti (nonostante – come si è accennato e come 1492 c.c., non soggetta, quindi, alle preclusioni di cui al comma 3 di tale articolo, ma solo alla decadenza e alla prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.». La conclusione, peraltro, non poteva essere differente, giacché l’impossibilità della restituzione del bene non può giocare alcun ruolo preclusivo in ordine alle pretese risarcitorie. 48 Ciò che, invece, sarebbe coerente con il fondamento del divieto, da noi ravvisato nell’obiettiva impossibilità di operare l’esatta restituzione in natura della prestazione. 49 Nello stesso senso, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805 e C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 963, il quale nota come la tesi giurisprudenziale conduca all’assurda disapplicazione della preclusione laddove «l’acquirente abbia trasformato o rivenduto il bene senza la consapevolezza del difetto». IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 245 meglio si vedrà infra50 – l’impossibilità o la difficoltà della restituzione non costituiscano affatto un ostacolo insormontabile alla praticabilità del rimedio risolutorio di diritto comune); pertanto, in tutte le ipotesi in cui il verificarsi delle fattispecie in discorso sia riconducibile alla sfera del compratore, la maggioranza degli interpreti51 ritiene che questi perda la facoltà di esperire il rimedio redibitorio, pur quando tale fattispecie venga ad avverarsi in data posteriore alla proposizione della domanda giudiziale. Al contrario, con riguardo all’ipotesi di perimento fortuito del bene nelle more del giudizio redibitorio, risulta sedimentato (in dottrina52 e in giurisprudenza53) un orientamento che ne esclude l’efficacia preclusiva in ordine all’accoglimento dell’azione redibitoria facendo leva sulla duplice considerazione secondo cui, da un lato, il venditore, una volta spiegata la domanda giudiziale, verrebbe a trovarsi in una situazione di mora acci50 Si rimanda sul punto al par. 3.2. 51 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805; P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272; R. OMODEISALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 43 ss. In giurisprudenza, Cass. 8 novembre 1991, n. 11892, la cui massima recita: «in tema di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, nel caso di perimento della cosa stessa dopo la proposizione della domanda di risoluzione, spetta al compratore che sia rimasto nel possesso della cosa di dimostrare che la sua obbligazione di restituzione si è estinta in dipendenza di caso fortuito con la conseguenza che, in difetto di tale prova, il perimetro della cosa si presume imputabile al compratore stesso, onde gli è preclusa l’azione di risoluzione del contratto a termine del comma 3 dell’art. 1492 c.c.». Peraltro, il richiamo all’estinzione dell’obbligazione di restituzione in conseguenza del perimento fortuito non è pienamente conferente, poiché tale obbligazione in pendenza del processo per definizione ancora non può dirsi sorta, e può venire ad esistenza soltanto ove la domanda di risoluzione sia accolta. 52 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805; P. GRECO G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 968 s., il quale, però, limita l’operatività della regola ai casi in cui il compratore abbia offerto la restituzione della cosa al venditore (nei modi previsti per la liberazione del debitore ai sensi degli artt. 1206 ss. c.c.) e questi abbia ingiustificatamente rifiutato di riceverla, sicché a seguito della sentenza di risoluzione risulti che il venditore ha rifiutato senza fondato motivo l’esecuzione di un onere connesso al legittimo esercizio di un rimedio contrattuale. Nel vigore del codice abrogato, v. G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 166, nonché ID., Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 74. 53 In proposito, v. Cass. 17 giugno 1974, n. 1790; Cass. 12 maggio 1981, n. 3137; Cass. 8 novembre 1991, n. 11892, secondo la quale la domanda di risoluzione può trovare accoglimento anche qualora, dopo la proposizione della stessa, la cosa sia perita, purché il perimento derivi da caso fortuito. In precedenza, sull’argomento, si era già pronunciata negli stessi termini Cass. 13 aprile 1959, n. 1078, la quale ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto avanzata dal compratore di un animale, poi deceduto, sulla base della considerazione che il decesso era avvenuto per fatto dello stesso acquirente e non per caso fortuito. 246 CAPITOLO QUARTO piendi rispetto al proprio diritto di credito alla restituzione del bene, pertanto dovendo sopportare il peso del fortuito ai sensi dell’art. 1207, comma 154, e dall’altro, la durata del processo non può andare a detrimento della parte incolpevole le cui pretese siano ritenute fondate55. Peraltro, il richiamo alla mora del creditore non sembra affatto cogliere nel segno: anteriormente alla pronuncia della sentenza di risoluzione del contratto, infatti, non sussiste alcun obbligo56, per l’acquirente, di restituire il bene al venditore, poiché tale dovere sorge soltanto quale obbligo restitutorio discendente dalla risoluzione57 (art. 1493 c.c.). Non esistendo un obbligo restitutorio in capo all’acquirente, a fortiori non può sussistere un credito del venditore alla medesima prestazione – e un onere di collaborazione di costui onde renderne possibile l’adempimento –, il cui mancato ricevimento possa integrare gli estremi della mora del creditore. Né, anche ove non si volesse accedere a questa ricostruzione, sembra possa ritenersi che la mera proposizione della domanda giudiziale costituisca un’offerta ai sensi dell’art. 1209 c.c.58. A noi sembra, piuttosto, che un risultato soddisfacente rispetto al tema che ci occupa possa essere raggiunto sulla base della considerazione che gli eventi ostativi alla facoltà del compratore di domandare la risoluzione possano senz’altro essere suddivisi in due categorie: da un canto, l’alienazione, la trasformazione e il perimento per fatto del compratore, i quali conseguono a un comportamento volontario o comunque imputabile all’acquirente, e dall’altro il perimento fortuito, per definizione indipendente dalla volontà di costui e a lui non imputabile. 54 Per questa considerazione cfr. G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1937, p. 166 e, più di recente, P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272, i quali fanno leva sul fatto che il venditore «non ha tempestivamente accettato la risoluzione e la restituzione». 55 Così, in particolare, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805. 56 Contra, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 967, il quale ritiene trattarsi non già di un’obbligazione bensì di «un onere della parte sotto il profilo della sua necessarietà per realizzare un effetto favorevole». Lo stesso Bianca, peraltro, critica la tesi che riconduce alla mora credendi la ragione dell’esenzione dalla preclusione in caso di perimento fortuito della cosa sulla base della considerazione per cui «il venditore non ha un diritto di credito né alla risoluzione del contratto né alla restituzione del bene, e non può pertanto parlarsi di una sua mora se non addiviene alle richieste del compratore». 57 Nel senso del testo cfr. anche L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 271 e R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 45. Dubbioso appare anche D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 805 nota 102. 58 Così L. GAROFALO, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit. p. 271. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 247 Tale bipartizione risulta fondamentale al fine di sceverare le ipotesi in cui la domanda redibitoria introdotta dal compratore può continuare a essere coltivata e trovare accoglimento da quelle in cui tale domanda deve essere respinta. Invero, l’opzione del legislatore nel senso della parificazione di tutte le fattispecie ora ricordate non può essere conservata anche laddove si voglia regolare la sopravvenienza di tali cause di preclusione nel corso del processo, giacché ciò comporterebbe una palese equiparazione di trattamento fra ipotesi assai distanti. Ove il sopravvenire della causa preclusiva si verifichi per causa imputabile al compratore, egli ne dovrà sopportare interamente le conseguenze e il giudice dovrà, pertanto, respingere la domanda risolutoria59. Diversamente opinando, infatti, l’acquirente potrebbe aggirare la preclusione posta dall’art. 1492, comma 3 c.c., proponendo dapprima la domanda giudiziale e, in seguito, trasformando o alienando a terzi il bene viziato. Con riferimento alle due ipotesi di perimento, invece, non vi è chi non veda come le stesse non possano essere equiparate. Come si avrà modo di approfondire nel corso del par. 3.2, la negazione del rimedio redibitorio nel caso in cui la distruzione del bene avvenga per caso fortuito costituisce una peculiare tecnica di attuazione del principio che addossa al proprietario il rischio del perimento della cosa. Peraltro, qualora il perimento fortuito della cosa avvenga in data successiva alla proposizione della domanda giudiziale di risoluzione, ove si ritenesse che la domanda stessa non possa per ciò solo trovare accoglimento, essendosi verificata una delle preclusioni previste dall’art. 1492, comma 3, c.c., si verrebbero a pregiudicare le ragioni dell’attore soltanto a cagione del necessario svolgimento del processo. Ne consegue, a nostro avviso, che in questa ipotesi la domanda di risoluzione dovrà, nonostante tutto, essere accolta, applicandosi il principio secondo cui pretium succedit in locum rei e pertanto sostituendosi all’obbligo di restituzione del bene in natura l’obbligazione avente a oggetto il pagamento di una somma di denaro pari al valore del bene perito. Ove, invece, il perimento consegua a un contegno, omissivo o commissivo, imputabile al compratore, questi dovrà coerentemente sopportarne le conseguenze, non potendosi estendere la conversione in denaro del credito restitutorio all’eventualità in cui l’impossibilità di restituzione in natura derivi da un fatto a lui imputabile. 59 Notano correttamente P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1492, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 272 che sul compratore, a seguito della proposizione della domanda giudiziale, grava un obbligo di custodia e conservazione della res che dovrà essere restituita. 248 CAPITOLO QUARTO 1.3. I rapporti sostanziali e processuali fra i rimedi edilizi nelle ipotesi in cui entrambi risultano esperibili L’art. 1492, comma 2 c.c., non diversamente dalla disposizione che più di frequente le è accostata60, ha costituito per lungo tempo terreno di contrastanti prese di posizione sia in dottrina61 sia in giurisprudenza62, per poi trovare alla fine degli anni ’80 del secolo scorso63 una soluzione ormai divenuta stabile presso le nostre corti, le quali sostengono in maniera pressoché generalizzata che non soltanto sarebbe inammissibile un cumulo alternativo fra i due rimedi edilizi, ma pure un cumulo condizio60 La disposizione cui s’intende fare riferimento è – come ognuno può immaginare – quella contenuta nel comma 2 dell’art. 1453 c.c., la quale, però, regola il concorso alternativo fra il rimedio risolutorio e la domanda di adempimento – in materia di risoluzione del contratto per inadempimento – prevedendo che la proposizione della domanda di adempimento non preclude all’attore una successiva richiesta di risoluzione mentre la scelta di far valere quest’ultima impedisce l’esperimento della domanda di esatto adempimento. Il parallelismo fra le disposizioni in discorso è assai frequente nella letteratura (cfr., ex plurimis, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 957; D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809; C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 765 ss. e in Scritti in onore di Angelo Falzea, III, t. 1, Milano, 1991, p. 285 ss., dal quale luogo sono tratte le citazioni che seguono), benché la sovrapponibilità delle disposizioni non sia affatto totale. È d’immediata intelligenza, infatti, come la riduzione del prezzo non sia volta ad ottenere l’esatto adempimento del contratto bensì a provocare una modificazione del contenuto del medesimo implicante l’accettazione della prestazione già eseguita (lo evidenzia anche C.M. BIANCA, op. loc. citt.). 61 Si schierano contro l’ammissibilità del cumulo subordinato C.G. TERRANOVA, La garanzia per vizi della cosa venduta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p. 107; D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 809 s.; F. LAPERTOSA, La garanzia per i vizi nella vendita e nell’appalto, in Giur. civ., 1998, II, p. 54. Favorevoli, invece, si mostrano C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 958 ss.; A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 489 s.; C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, cit., p. 288 ss. 62 In senso favorevole al cumulo subordinato, v. ad esempio Cass. 6 ottobre 1978, n. 4462; contra, nel senso dell’inammissibilità, cfr. Cass. 19 maggio 1962, n. 1146; Cass. 19 luglio 1983, n. 4980. 63 Vedi Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565: in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492, comma 3, c.c.), ma in via concorrente con l’azione di risoluzione (art. 1492, comma 1), deve negarsi l’ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 c.c. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 c.c. sull’importanza dell’inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l’una e l’altra. Il dictum di tale pronuncia è stato successivamente confermato, tra le altre, da Cass. 10 aprile 1996, n. 3299; Cass. 11 aprile 1996, n. 3398; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1434; Cass. 29 novembre 2004, n. 22415. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 249 nale (c.d. subordinato)64 con il quale il compratore spieghi l’azione estimatoria subordinatamente al rigetto della domanda volta a ottenere la risoluzione, proposta in via principale. La giurisprudenza argomenta nel senso appena descritto partendo da un presupposto inoppugnabile, quello secondo cui le due azioni non si pongono fra loro in rapporto di maius ad minus65, bensì sono esperibili in presenza dei medesimi presupposti66 – coincidenti con il manifestarsi di un “vizio” avente le caratteristiche scolpite nell’art. 1490 c.c. –, per desumerne che, pertanto, non potrebbero darsi ipotesi in cui il rigetto dell’azione redibitoria possa lasciare spazio all’accoglimento della domanda di riduzione del prezzo, e pertanto la proposizione di questa seconda sarebbe sempre inammissibile. Peraltro, benché l’unicità dei presupposti sostanziali di esperimento dei due rimedi edilizi sia difficilmente smentibile, è stata autorevolmente 64 Non è certo questa la sede per approfondire l’istituto del cumulo di azioni o di domande, in ordine al quale si rimanda senz’altro a C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2005, p. 176 s. e, per il tema che qui maggiormente interessa – ovvero quello del cumulo condizionale – alla ricca trattazione che vi dedica C. CONSOLO, Il cumulo condizionale di domande, I e II, Padova, 1985. 65 L’espressione, felice, è di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 802. Va segnalato, però, come la corte di legittimità non sia affatto monolitica nel riconoscere l’unicità dei presupposti di esperimento delle azioni redibitorie, giacché – come si è visto poc’anzi (cfr. testo e nota 8) – un buon numero di decisioni fanno riferimento al criterio posto dall’art. 1455 c.c. al fine di sceverare fra vizi di maggiore gravità, che legittimerebbero l’esperimento dell’uno e dell’altro mezzo di tutela, e vizi “di scarsa importanza”, la presenza dei quali consentirebbe soltanto il ricorso all’estimatoria. Seguendo una simile impostazione, il cumulo condizionale non si rivelerebbe affatto precluso, venendo meno l’argomento fondamentale usato per negarne la percorribilità. 66 Ovviamente, l’affermazione è condivisibile nei limiti e con le eccezioni descritti supra, al paragrafo precedente, riguardanti i casi in cui la risoluzione sia esclusa dagli usi ovvero la cosa alienata sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore, ovvero questi l’abbia alienata a sua volta o l’abbia trasformata. E infatti in questo senso si pronuncia anche la giurisprudenza: cfr., per tutte, Cass. 24 ottobre 1995, n. 11036, la cui massima recita: «In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l’azione redibitoria e quella estimatoria (o quanti minoris), essendo incompatibili tra loro, in quanto preordinate alla tutela di un medesimo diritto l’una attraverso la risoluzione e l’altra mercè il mantenimento del contratto, non possono essere esercitate contestualmente, né alternativamente, né subordinatamente, l’una rispetto all’altra, incombendo sul compratore l’onere di operare la scelta relativa, non si applica alle ipotesi in cui l’azione di riduzione è accordata al compratore in via esclusiva (art. 1492, comma 3, c.c.). Pertanto, in caso di alienazione o trasformazione della cosa venduta, da parte del compratore, qualora originariamente sussista dubbio sull’ammissibilità dell’azione redibitoria, ovvero l’ammissibilità della stessa sia contestata dal venditoreconvenuto, il compratore-attore legittimamente può – per il caso in cui detta azione redibitoria dovesse essere ritenuta inammissibile ed al fine di non perdere ogni garanzia – chiedere anche l’unica tutela apprestatagli dall’art. 1492, comma 3, c.c. nell’ipotesi innanzi indicata, vale a dire l’azione di riduzione del prezzo». Similmente, Cass. 10 aprile 1996, n. 3299 e la stessa Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565. 250 CAPITOLO QUARTO messa in dubbio la fondatezza del rigido corollario che le sezioni unite hanno ritenuto di poterne desumere, sostenendosi che la conclusione cui giungono i giudici di legittimità sia fondamentalmente il frutto di un fraintendimento di regole sostanziali e processuali67. La perfetta e incondizionata alternatività fra le azioni edilizie comporta che il compratore di un bene affetto da vizi materiali possieda una libera facoltà di scelta fra l’uno e l’altro rimedio68, ma – per volere del legislatore – tale libertà si consuma con la proposizione della domanda giudiziale, la quale fissa irretrattabilmente l’opzione del compratore (art. 1492, comma 2, c.c.). Tale scelta si pone in netta discontinuità con quella operata in materia di appalto, ove l’art. 1668, comma 1, c.c. non fa menzione di una simile conseguenza, sicché il committente ha la possibilità di mutare la propria scelta sia ove espressa in via stragiudiziale sia ove tradottasi nell’instaurazione del giudizio, purché nel rispetto delle regole e delle preclusioni del processo civile. Nel primo caso, infatti, la scelta potrà essere mutata liberamente da colui il quale abbia ricevuto l’opera viziata, almeno sino al momento in cui l’appaltatore abbia aderito alla richiesta di costui, con ciò fissandone irrevocabilmente la scelta69. Nel secondo caso, poi, la mancanza di una disposizione di segno simile a quella posta in materia di vendita consente a una parte degli interpreti di concludere nel senso della praticabilità del mutamento della domanda in corso di causa, sino al momento della rimessione della causa in deci67 Facciamo riferimento a C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, in Scritti in onore di Angelo Falzea, cit., p. 290, il quale afferma la sussistenza di un «“cortocircuito” fra premesse di diritto sostanziale e soluzione di ordine processuale». 68 Si è già visto supra, infatti, come il presupposto oggettivo fondamentale che condiziona l’esperibilità di entrambe le azioni sia la ricorrenza del vizio materiale, non avendo alcuna incidenza nella disciplina della vendita di diritto comune la maggiore o minore gravità dello stesso, di talché la ricorrenza di un vizio, tale da rendere la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o da diminuirne in maniera apprezzabile il valore, legittima la richiesta e l’accoglimento della redibizione così come della riduzione del corrispettivo. Si deve, però, ancora una volta ricordare come si diano talune ipotesi – esistenza di usi contrari (art. 1492, comma 1, c.c.), perimento non conseguente ai vizi, alienazione o trasformazione della cosa acquistata (art. 1492, comma 3, c.c.) – in cui l’azione estimatoria può essere esercitata quale unico rimedio a disposizione del compratore. 69 In questo senso, v. D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2007, p. 440, i quali ricordano come questa sia l’opinione comune anche con riferimento all’art. 1453 c.c. Ne consegue che la scelta operata in via stragiudiziale potrà «essere cambiata poi nella citazione (o nella riconvenzionale), e a maggior ragione prima di questa». 70 Cfr., ad esempio, C. GIANNATTASIO, L’appalto, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1977, p. 210 s., il quale esclude soltanto la congiunta proponibilità di entrambi i rimedi, in quanto volti alla tutela del medesimo interesse, mentre ammette che, proposta giudizialmente una delle domande in via principale o riconvenzionale nel giudizio di primo grado, si passi all’al- IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 251 sione70, nonché della sicura cumulabilità condizionale dei due rimedi71. In particolare, non risulta possibile la proposizione della domanda giudiziale di risoluzione e il suo successivo mutamento in quella di adempimento72, in quanto ciò trova ostacolo nel disposto dell’art. 1453, comma 2, c.c., mentre tale divieto non sembra applicabile al diverso caso in cui la richiesta di risoluzione sia mutata in quella di riduzione del prezzo, giacché quest’ultimo rimedio non ha natura di domanda di esatto adempimento e quindi non pare ricorrere la ratio giustificativa della regola restrittiva in parola73. Ne consegue che al committente deve essere riconotra prima della rimessione della causa in decisione o addirittura per la prima volta in appello, non trattandosi di domanda nuova, appunto perché volta a tutelare lo stesso interesse di quella precedentemente spiegata. Nello stesso senso si esprime Cass. 22 febbraio 1999, n. 1475, la quale, dopo aver espressamente dichiarato inapplicabile al contratto d’appalto la regola sancita dall’art. 1492, comma 2, c.c. con riferimento al contratto di vendita, ritiene che pure l’applicazione dell’art. 1453, comma 2, c.c. non sia d’ostacolo al mutamento della domanda in corso di causa sulla base della considerazione secondo cui tale disposizione «impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo». L’opinione pare essere sedimentata nella giurisprudenza della S.C.: Cass. 27 aprile 1993, n. 4921; Cass. 6 febbraio 1986, n. 736; Cass. 20 gennaio 1977, n. 290; implicitamente, Cass. 4 agosto 1990, n. 7872. Pur a seguito delle riforme del processo civile, che hanno reso rilevabile d’ufficio l’inammissibile mutatio libelli, la tesi è confermata da Cass. giugno 2011, n. 12238 e Cass. 27 maggio 2010, n. 13003. 71 In giurisprudenza, cfr. ad esempio Cass. 12 luglio 2000, n. 9239; Cass. 27 aprile 1993, n. 4921. 72 Il principio generale posto dall’art. 1453, comma 2, c.c. è applicabile all’appalto in quanto la “garanzia” dell’appaltatore, diversamente da quella che fa capo al venditore secondo il codice civile, è pacificamente considerata sussumibile nella responsabilità da inadempimento, sicché soggiace alle regole generali in tema di risoluzione, le quali devono essere correttamente riferite non soltanto all’ipotesi in cui il committente chieda l’esecuzione dell’opera non ancora compiuta (domanda di adempimento in senso stretto), ma pure a quelle in cui sia richiesta l’eliminazione del vizio o il rifacimento dell’opera (domanda di c.d. esatto adempimento). In questo senso, Cass. 27 aprile 1993, n. 4921 e D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 440. Contra, peraltro, Cass. 9 febbraio 1995, n. 1457, secondo cui la domanda con la quale si chiede la condanna dell’appaltatore alla eliminazione dei vizi della cosa non costituirebbe azione contrattuale di esatto adempimento bensì per responsabilità extracontrattuale, sicché il divieto di mutare in corso di causa la domanda di risoluzione del contratto di appalto in quella di condanna alla eliminazione dei vizi dell’opera, non conseguirebbe alla preclusione di cui all’art. 1453, comma 2, c.c., bensì discenderebbe dai principi generali in materia di domanda giudiziale. 73 Sul punto non sembra conferente neppure il richiamo all’applicazione analogica dell’art. 1492, comma 2, c.c. operato da D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 440, in quanto non ricorrono i presupposti per l’applicazione analogica, trattandosi di apparato rimediale speciale avente natura diversa da quella tipica delle “garanzie” in materia di appalto. Della nostra stessa opinione, d’altronde, era lo stesso Rubino in D. RUBINO, L’appalto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1958, p. 371 s., ove l’illustre A. ammetteva pacificamente, oltre al cumulo condizionale, l’interscambiabilità delle domande nel corso del processo. 252 CAPITOLO QUARTO sciuta tale facoltà di mutamento in corso di causa e, altresì, quella di proposizione contemporanea, con la medesima citazione, in via di cumulo subordinato, non ostandovi l’art. 1453, comma 2, c.c., che non può trovare applicazione per la ragione anzidetta, e anzi tale scelta si palesa decisamente consigliabile poiché consente di ottenere almeno la riduzione della controprestazione ove la difformità dell’opera non venga valutata tale da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione74, legittimando l’accoglimento della domanda principale. Uno sguardo oltre confine, inoltre, rivela la “stravaganza” della scelta operata dal legislatore italiano anche ove confrontata con le opzioni prescelte dai codificatori europei nella disciplina dello stesso contratto di vendita. Infatti, non soltanto di una disposizione di contenuto simile a quella dell’art. 1492, comma 2, c.c. non v’è traccia nella direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 199975 (né nella Convenzione di Vienna del 1980, che ne costituisce l’antesignana), ma neppure il code Napoléon o l’abrogato76 § 462 aF BGB77 attribuiscono all’esercizio giudiziale di una 74 Va infatti ricordato come l’art. 1668 c.c. conceda la risoluzione al committente soltanto qualora le difformità o i vizi dell’opera siano di gravità tale «da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione», ovvero, secondo l’orientamente maggioritario, la cosa risulti totalmente diversa da quella commissionata o manchi di una qualità essenziale (Cass. 25 luglio 1992, n. 9001 e D. RUBINO - G. IUDICA, sub art. 1668, in IID., L’appalto, in Commentario Scialoja - Branca, cit., p. 429 s.). 75 Sulle regole che presidiano la scelta del rimedio da parte del consumatore, e quindi sul rapporto fra riduzione del prezzo e altri rimedi previsti dalla direttiva dal punto di vista processuale, reagisce la natura giuridica dei medesimi, che per le fattispecie regolate dalla direttiva è ascrivibile – sia per quanto riguardo la riduzione del prezzo sia per quanto attiene alla risoluzione – alla categoria dei diritti potestativi. Ne consegue che la scelta del legislatore comunitario è stata senz’altro condizionata, oltre che dalla difficoltà di imporre regole processuali in un provvedimento europeo di armonizzazione, altresì dall’opzione di fondo riguardante la natura giuridica dei rimedi. Sul punto v. infra il par. 3. 76 Ci si riferisce qui al testo abrogato del BGB in quanto il confronto con il testo successivo alla Schldrechtsmodernisierung del 2002 sarebbe meno calzante, avendo il legislatore tedesco, come noto, abbandonato la configurazione dei rimedi posti a tutela dell’interesse del compratore all’interno della garanzia edilizia di foggia romanistica, in favore dell’accoglimento dell’apparato rimediale suggerito dalla direttiva 1999/44/CE, declinato – per quanto riguarda i rimedi secondari – nei due diritti potestativi ad esercizio stragiudiziale della Minderung e del Rücktritt. 77 Peraltro, benché l’abrogato § 462 aF BGB non prevedesse fra Wandlung e Minderung un onere di scelta irretrattabile (limitandosi a disporre che «wegen eines Mangels, den der Verkäufer nach den Vorschriften der §§ 459, 460 zu vertreten hat, kann der Käufer Rückgängigmachung des Kaufes (Wandelung) oder Herabsetzung des Kaufpreises (Minderung) verlangen»), l’opinione maggioritaria era propensa a ritenere non possibile il cumulo alternativo delle due azioni, sulla base della considerazione secondo cui, diversamente opinando, si sarebbe dato adito alla sottoposizione al giudice di una domanda indeterminata. Sul punto v. STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 465, 12. Aufl., München, 1978, p. 379 ss. e A. GEORGIADES, Die Anspruchskonkurrenz im Zivilrecht und Zivilprozessrecht, München, 1967, p. 250 ss. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 253 delle azioni edilizie la conseguenza di consumare irrevocabilmente la scelta dell’acquirente e di impedire il cumulo subordinato. L’art. 1492, comma 2, c.c. sembra aver trovato, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza della Cassazione, un’articolazione rigidamente sillogistica, con la quale dalla premessa maggiore dell’irrevocabilità della scelta dell’azione al tempo della domanda giudiziale e dalla premessa minore dell’identità delle condizioni di diritto sostanziale che legittimano (la richiesta e) l’accoglimento delle azioni edilizie si è tratta la conclusione dell’inammissibilità non soltanto della proposizione dell’una dopo il rigetto dell’altra78, ma soprattutto del loro esercizio in regime di cumulo subordinato. La coerenza del sillogismo e la sua rispondenza alle regole logiche deve, però, essere vagliata alla luce di una corretta lettura del diritto sostanziale e del diritto processuale. Si è più volte ricordato come i presupposti di esperibilità delle due azioni, seppure legati inscindibilmente alla ricorrenza di un vizio materiale del bene come descritto dall’art. 1490, comma 1, c.c., non siano privi di punti di divaricazione, con la conseguenza che l’azione estimatoria possiede un campo di applicazione lievemente più ampio rispetto alla redibitoria, pur se questo non coincide con la sussistenza di un vizio di minore gravità79. Ne consegue che, come la stesse sezioni unite riconoscono, in tutti i casi di dubbia o contestabile fondatezza80 dell’azione di risoluzione, sia questa dovuta all’incerta esistenza o portata degli usi ovvero alla controversa ricorrenza delle ipotesi descritte dal terzo comma dell’art. 1492 c.c., la proposizione di entrambi i rimedi edilizi in via di cumulo subordinato non può essere ritenuta in contrasto con il dovere di scelta imposto dal secondo comma dello stessa disposizione, giacché l’esperimento in via principale della domanda di redibizione ha il solo scopo di provocare un accertamento preliminare in ordine alla sussistenza o meno della stessa nel patrimonio dell’attore. Nell’affermare ciò, 78 Ma v. contra D. 79 Si veda, infatti, RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 810 s. supra, al paragrafo 1.1 per la constatazione secondo cui, in ragione dell’autonomia del concetto di vizio redibitorio, risulta improprio il ricorso – operato da una parte degli interpreti e della giurisprudenza – alla clausola generale sull’importanza dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c. ai fini del riconoscimento dell’applicabilità dell’azione redibitoria, intesa quale peculiare fattispecie di risoluzione per inadempimento. Si è già tentato di dimostrare come, al contrario, la valutazione dell’importanza del vizio sia operata a priori dal legislatore con la stessa definizione della fattispecie. In questo senso, si vedano, gli autori e le pronunce citate alla nota 8. 80 Come si avrà modo di rilevare poco oltre nel testo, il richiamo all’ammissibilità, operato invece da Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565 e da tutte le successive sentenze conformi, è improprio. 254 CAPITOLO QUARTO il collegio appare memore dell’autorevole insegnamento81, già penetrato nella giurisprudenza degli anni ’5082, che riteneva casi di electio impossibile quelli in cui il compratore ha a disposizione soltanto la quanti minoris, sicché la regola posta dall’art. 1492, comma 2, c.c. non avrebbe potuto applicarsi già perché mancava il presupposto della libera scelta. La conclusione così raggiunta è senz’altro condivisibile, ma viene accolta dalla giurisprudenza proprio e soltanto in ragione del fatto che in tali ipotesi non ha luogo il concorso fra le due azioni, mentre laddove entrambe esistano nel patrimonio del compratore – e quindi sia pienamente operante la disposizione che ricollega l’irrevocabilità della scelta alla proposizione della domanda giudiziale – essa pone i più volte ricordati ostacoli al cumulo subordinato delle domande. Per parte nostra, riteniamo possibile avanzare più di un dubbio circa la correttezza di quest’ultima soluzione propugnata dai giudici di legittimità, e ciò non soltanto in quanto siamo persuasi che l’esperimento della riduzione del prezzo possa efficacemente avvenire in via stragiudiziale83 ma soprattutto in quanto nella stessa eventualità in cui la proposizione delle azioni edilizie avvenga per via giudiziale, dando luogo all’esperimento di domande che evocano un tutela giurisdizionale costitutiva o determinativa, non sembra che l’identità di causa petendi costituisca una ragione sufficiente per negare in rito l’esperibilità dell’estimatoria in via subordinata. Poiché l’art. 1492, comma 2, c.c. ricollega alla sola proposizione della domanda giudiziale l’effetto di fissare in maniera irretrattabile la scelta del rimedio, l’acquirente ha sempre la possibilità di modificare la pretesa avanzata in via stragiudiziale84, salva l’eventualità in cui il venditore abbia aderito alla richiesta così avanzata. Una simile eccezione era, peraltro, espressamente prevista dal previgente § 465 aF BGB85, il quale – coerentemente con le premesse della Vertragstheorie, un tempo domi81 Risalente a D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 810, nonché a S. ROMANO, Vendita, contratto estimatorio, in Tratt. Grosso Santoro-Passarelli, cit., p. 268 e D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1962, p. 283. 82 Si vedano, infatti, Cass. 27 maggio 1953, in Giust. civ., 1953, I, p. 2174 e Cass. 13 aprile 1959, ivi, 1959, I, p. 1265. 83 Cfr. amplius supra, Capitolo 2, par. 6. 84 Conformemente si esprime D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 819, ad avviso del quale «a differenza di quanto dispone l’art. 1286, comma 2 per le obbligazioni alternative, finché la scelta sia stata fatta con atto stragiudiziale, anche se comunicato al venditore mediante notifica, il compratore può revocarla in un secondo momento, del pari stragiudizialmente o con la domanda giudiziale, e passare all’altra azione». 85 Per un rapido ragguaglio sulla disposizione citata cfr. PALANDT/H. PUTZO, sub § 465, 61. Aufl., München, 2002, Rn. 1 ss. Sulla medesima disposizione v. anche la ormai classica trattazione di STAUDINGER/H. HONSELL, sub § 465, 12. Aufl., München, 1978, Rn. 1 ss. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 255 nante – disponeva che «die Wandlung oder die Minderung ist vollzogen, wenn sich der Verkäufer auf Verlangen des Käufers mit ihr einverstanden erklärt», sicché l’accordo delle parti circa il rimedio aveva l’effetto di fissare definitivamente la scelta dello stesso da parte del compratore86. Nonostante l’assenza di una disposizione di tenore assimilabile a quello del § 465 aF BGB, non sembra dubbio che altrettanto possa dirsi con riferimento al nostro diritto, tanto qualora si ritenga che entrambe le azioni edilizie costituiscano mezzi di tutela ad esercizio necessariamente giudiziale – ciò che conferisce alla proposizione stragiudiziale delle stesse la natura non già di esercizio del rimedio ma di mera proposta di modifica del contenuto dell’originario contratto di vendita o di scioglimento dello stesso, alla quale il venditore può senz’altro sottrarsi ovvero aderire – quanto ove si ritenga che l’estimatoria87 abbia natura di diritto potestativo esercitabile mediante un atto unilaterale stragiudiziale. Infatti, accedendo all’impostazione tradizionale, l’adesione del venditore all’atto stragiudiziale della controparte, al pari della sua mancata opposizione unita a un contegno collaborativo nell’attuazione della pretesa fatta valere dalla controparte88, conduce alla conclusione di un vero e proprio negozio modificativo dell’originaria compravendita, a mezzo del quale essa può essere risolta ovvero adattata con riferimento al prezzo dovuto e all’accettazione delle caratteristiche che l’oggetto della compravendita ha rivelato. Dalla natura contrattuale di tale pattui86 Peraltro, nella nostra prospettiva di indagine, sembrerebbe che l’eventualità in discorso dia luogo, più che a un accordo contrattuale fra le parti volto a sciogliere il contratto o a modificarne il corrispettivo, all’esercizio di un diritto del compratore rispetto al quale l’accettazione del venditore si pone quale volontà esterna volta soltanto a rendere irrevocabile l’opzione manifestata dal primo, in ragione dell’esaurimento degli effetti della fattispecie di responsabilità del venditore. Sul punto si rinvia a quanto già esposto in sede di trattazione della natura giuridica del rimedio della riduzione del prezzo e a quanto si dirà poco infra nel testo, nonché alla limpida trattazione di K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. II Band: Besonderer Teil. 1. Halbband, München, 1986, p. 53 ss. 87 Invero, come più volte abbiamo ricordato, in dottrina è rappresentata anche la tesi secondo cui l’azione redibitoria potrebbe essere esercitata a mezzo di un atto unilaterale stragiudiziale: in questo senso si pronuncia, infatti, M. PALADINI, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, cit., p. 131, il quale peraltro mostra di considerare la riduzione del prezzo quale rimedio ad esercizio necessariamente giudiziale. 88 Riteniamo, infatti, che non sia necessaria l’espressa accettazione dell’alienante onde provocare l’effetto dell’attuazione della risoluzione o della riduzione del corrispettivo richieste dall’acquirente per vie stragiudiziali: qualora, a seguito della richiesta in tal senso, il primo tenga un contegno inequivoco tale da consentire l’attuazione di questa (ad esempio, non sollecitando il pagamento del residuo prezzo ancora dovuto e pari alla riduzione proposta in ragione dei difetti del bene), può dirsi sussistente un consenso tacito all’attuazione del rimedio, con riferimento al quale successive contestazioni darebbero luogo a un inammissibile venire contra factum proprium. 256 CAPITOLO QUARTO zione89 – che seguendo l’impostazione maggioritaria non sembra discutibile – consegue l’irretrattabilità, una volta perfezionato, del consenso delle parti, le quali potranno sciogliere il patto estintivo o modificativo soltanto per mutuo consenso. Inoltre, configurando la richiesta stragiudiziale di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo quali mere proposte contrattuali, deve coerentemente ritenersi che queste siano revocabili sino al momento della conclusione del contratto (art. 1328 c.c.)90. Se, poi, si accede alla tesi, che abbiamo propugnato nel Capitolo 2, secondo la quale la riduzione del corrispettivo ha natura di diritto potestativo sostanziale ad esercizio (anche) stragiudiziale, è immediato riconoscere che la dichiarazione con la quale essa viene fatta valere produce effetti immediati nella sfera del venditore, senza necessità di una sua accettazione espressa o tacita, come invece sarebbe richiesto seguendo l’opinione tradizionale. Ne consegue che l’esercizio in via stragiudiziale del rimedio è ex se idoneo a concretare una vera e propria “scelta”, giacché è in grado di attivare la responsabilità del venditore, il quale si trova in una posizione di soggezione rispetto alla controparte. Non vi è chi non veda come, adottando la prospettiva da noi proposta, si pervenga ad ascrivere alla previsione secondo cui la scelta fra estimatoria e redibitoria «è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale» un significato maggiormente lineare: invero, qualora si ritenga che l’atto stragiudiziale diretto a ottenere l’una o l’altra tutela non produca alcun effetto nella sfera giuridica della controparte, giacché questo si potrebbe produrre soltanto con l’atto introduttivo del giudizio, non si spiegherebbe il motivo per cui il legislatore abbia fatto riferimento alla “scelta”, definendo irrevocabile soltanto quella «fatta con la domanda 89 Alla natura contrattuale della pattuizione modificativa o estintiva dell’originario contratto di compravendita consegue linearmente l’onere per le parti di rispettare il requisito della forma scritta ove il negozio oggetto di modificazione o di risoluzione abbia natura di negozio formale, secondo il principio ormai tralatizio che impone ai negozi c.d. accessori la medesima forma prescritta per il negozio principale. Sul punto, v., per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile 3. Il contratto, Milano, 2000, p. 736 e – in giurisprudenza – Cass. 7 gennaio 1984, n. 131; Cass. 15 maggio 1998, n. 4906; Cass. 14 novembre 2000, n. 14730; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234. 90 In argomento non riveste alcuna rilevanza il disposto dell’art. 1286, comma 2, c.c., il quale sancisce l’irrevocabilità della dichiarazione di scelta di una delle prestazioni alternative da parte di colui cui spetta la concentrazione. Ciò per almeno due ragioni: da un canto, l’opinione tradizionale postula che la scelta operata con atto stragiudiziale non sia idonea a costituire esercizio del rimedio, il quale potrà dirsi proposto (e quindi effettivamente scelto) soltanto in esito all’introduzione della domanda giudiziale; dall’altro, e più radicalmente, deve negarsi che, con riferimento alla facoltà di scelta fra le azioni edilizie previste dall’art. 1492 c.c., ricorra un’ipotesi di obbligazione alternativa, giacché l’esperimento delle azioni edilizie non comporta il sorgere di obbligazioni in capo al venditore bensì introduce un giudizio di accertamento costitutivo o determinativo, il cui esito è costituito da una modificazione della realtà giuridica di diritto sostanziale che prescinde dal momento obbligatorio. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 257 giudiziale», implicitamente ammettendo la possibilità di una scelta rilevante per il diritto anche in via stragiudiziale. Ne consegue, a nostro avviso, che l’art. 1492, comma 2 c.c. deve essere interpretato nel senso che il compratore, ferma l’efficacia della dichiarazione di riduzione del prezzo emessa fuori dal processo91, può successivamente mutare l’opzione del rimedio da esercitare in sede giudiziale, virando sulla redibizione, salvo che la riduzione del prezzo abbia avuto luogo e quindi la fattispecie di responsabilità del venditore abbia già condotto al riconoscimento al compratore delle utilità che la legge gli riconosce92. Ciò chiarito per quanto riguarda i rapporti fra le parti anteriori al processo o comunque svolgentisi al di fuori di questo, procediamo a motivare il nostro dissenso dalla tesi giurisprudenziale che dichiara inammissibile il cumulo subordinato delle domande redibitoria ed estimatoria. L’irrevocabilità della scelta e il connesso effetto preclusivo descritto dall’art. 1492, comma 2, c.c. discendono, secondo il dettato letterale della disposizione, dalla proposizione della domanda giudiziale, sicché si è ritenuto di poter concludere che essi prescindano «dall’ulteriore svolgimento dell’azione e dalle ulteriori vicende del bene», poiché «ciò che importa è che al venditore sia notificato l’atto col quale il compratore propone la domanda che sancisce la sua decisione circa il mantenimento della vendita a prezzo ridotto o la sua totale risoluzione»93. Così facendo, però, si sottovaluta la natura di azione costitutiva della risoluzione e sembra prestarsi adesione a quelle ricostruzioni che ricollegano l’effetto costitutivo già alla dichiarazione di parte, sicché la pronuncia giudiziale sarebbe soltanto dichiarativa di un effetto modificativo della realtà giuridica già prodottosi e la cui verificazione l’autorità giudiziaria si limiterebbe ad attestare con forza di giudicato94. Infatti, predicare l’insensibi91 La richiesta stragiudiziale di risoluzione, invece, spiegherà efficacia ove sia raggiunto un accordo fra le parti, come sopra illustrato, qualora – come anche noi riteniamo – se ne riconosca la natura necessariamente giudiziale, mentre seguirà lo stesso regime qui previsto per la riduzione del corrispettivo ove si aderisca alla tesi (per la quale v. la nota 87) che ne considera possibile anche l’esercizio mediante dichiarazione unilaterale emessa fuori dal processo. 92 Con ciò intendiamo dire che, poiché la scelta fra i rimedi è irrevocabile soltanto quando operata con la domanda giudiziale, le eventuali contestazioni o il comportamento motivato da intenti dilatori e defatigatori della parte alienante – traducendosi in un ostacolo alla realizzazione della tutela cui è preordinata la diminuzione del corrispettivo – consente all’acquirente di mutare avviso e, attraverso l’introduzione del giudizio, richiedere la risoluzione, fissando in maniera questa volta irrevocabile il mezzo invocato. 93 Così C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 955, il quale avverte che l’irregolarità processuale e l’estinzione del processo non rimuovono l’effetto preclusivo, salva l’eventualità di nullità della domanda. 94 Invero, a nostro avviso, il giudice non è chiamato a un’operazione di tale tenore neppure allorché l’estimatoria sia esercitata per via giudiziale, giacché essa, pur essendo oggetto 258 CAPITOLO QUARTO lità della preclusione nei confronti delle sorti del processo, salvo il solo caso di nullità della domanda, equivale proprio a riconoscere l’effetto costitutivo in capo all’atto introduttivo del giudizio e a disconoscere che esso sia conseguenza della pronuncia giudiziale. È evidente, in tale dottrina, l’influenza di riflessioni che affondano le proprie radici nella scienza giuridica germanica e, in particolare, nella ricostruzione della Gestaltungserklärung quale unica causa della produzione dell’effetto costitutivo, che attribuisce al giudice soltanto il dovere di accertare l’effetto già realizzatosi, e non già quello di produrlo attraverso l’atto che definisce il giudizio95. Corollario dell’impostazione in parola è l’inapponibilità di condizioni all’atto di esercizio di diritti potestativi e, pertanto, il carattere di actus legitimi degli stessi96, giacché, risalendo la modificazione della realtà giuridica direttamente alla dichiarazione negoziale, questa dovrebbe necessariamente avere carattere incondizionato. Tale ricostruzione deporrebbe chiaramente a sfavore della possibilità di un cumulo condizionale che veda la richiesta di riduzione del prezzo subordinata al mancato accoglimento di quella di risoluzione, giacché, ritenendosi che la dichiarazione dia luogo di per sé alla modificazione della realtà giuridica, una volta che questa sia stata emessa, il diritto potestativo dovrebbe considerarsi già esercitato senza che in capo al compratore possa residuare una possibilità di ritrattazione. Con la manifestazione di volontà egli ha consumato la propria scelta, la quale può essere modificata soltanto nell’ipotesi di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, che si traduce nella nullità dell’atto con cui è stata operata l’electio. Non sembra, peraltro, che tale impostazione possa essere condivisa. Da tempo la nostra dottrina, al pari di quella germanica, non soltanto ha ridimensionato la portata del principio secondo cui gli atti unilaterali redi un diritto potestativo sostanziale, il cui esercizio può avvenire indifferentemente attraverso un atto stragiudiziale o a mezzo di quello che introduce il processo, qualora sia proposta per via giudiziale sembra possedere comunque natura di azione costitutiva (o, rectius, costitutivodeterminativa). Ne consegue che quanto si sta per dire in ordine alla proponibilità dell’estimatoria in via subordinata rispetto alla redibitoria potrebbe valere pure per l’opposta ipotesi in cui la quanti minoris sia proposta in via principale e la risoluzione sia chiesta subordinatamente al suo rigetto: sennonché, non sussistendo fattispecie concrete rispetto alle quali l’estimatoria possa essere rigettata e la redibitoria viceversa accolta, riteniamo che tale eventualità concreti un mero caso di scuola. 95 Per questo orientamento cfr., ad esempio, L. ENNECCERUS - H.C. NIPPERDEY, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts: ein Lehrbuch, I, 2, Tubingen, 1960, p. 1193. 96 Per tutti, A. VON TUHR, Der Allgemeine Teil des Deutschen Burgerlichen Rechtes, II, 1, Berlin, 1957, p. 212; K. LARENZ - M. WOLF, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, 9. Aufl., München, 2004, p. 919 s., i quali espressamente limitano la rilevanza del principio «nur für einseitige Gestaltungserklärungen, nicht für einseitige Rechtsgeschäfte allgemein». IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 259 cettizi, e in particolare quelli di esercizio di diritti potestativi, avrebbero natura di atti bedingungsfeindlichen, non tollerando l’apposizione dell’elemento condizionale97, ma altresì ha abbandonato la concezione delle azioni costitutive sopra delineata, riconoscendo correttamente nella sola pronuncia giudiziale la fonte dell’effetto costitutivo sostanziale98. La domanda giudiziale, infatti, costituisce soltanto l’atto con il quale l’attore 97 Per tutti, P. RESCIGNO, voce Condizione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 790 (il quale riporta le autorevoli conformi opinioni di M. ALLARA, Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Torino, 1952, p. 301 [con riferimento alla remissione del debito] e S. PIRAS, La rinunzia nel diritto privato, Napoli, 1940, p. 54 ss. [che ammette l’apposizione della condizione al negozio di rinunzia]), il quale ritiene che il principio in argomento abbia ragione d’essere soltanto con riferimento agli atti giuridici in senso stretto, in ordine ai quali al dichiarante non spetta il dominio degli effetti, rimesso interamente alla legge, mentre con riferimento agli atti negoziali non si rinviene alcuna ragione condivisibile per limitare a tal punto l’autonomia privata. Invero, se ormai si riconosce dalla dottrina pressoché unanime la facoltà di creare negozi unilaterali atipici, non si vede perché non dovrebbe essere permessa anche l’apposizione dell’elemento condizionale ai negozi già disciplinati dal legislatore, salvi i casi in cui la legge stessa ponga un divieto espresso (come accade agli artt. 108 [che dichiara nulla la condizione apposta al negozio matrimoniale], 137 [il quale sottopone al medesimo trattamento il riconoscimento del figlio naturale sottoposto a condizione], 475, comma 2 [in tema di accettazione dell’eredità, nulla ove condizionata], 520 [in punto di rinunzia condizionata all’eredità, parimenti nulla], 2010 [che dichiara nulla la condizione apposta alla girata di titolo all’ordine] c.c.) a cagione della particolarità dell’atto ovvero l’inapponibilità possa essere desunta dalla necessità di tutelare il destinatario della dichiarazione «in ordine al perdurare del rapporto» (P. RESCIGNO, ibidem). Si dubita, pertanto, sulla base di quest’ultima considerazione, dell’ammissibilità del recesso sottoposto a condizione e, per motivi analoghi, legati all’efficacia modificativa o estintiva del rapporto giuridico sottostante, potrebbe dubitarsi – pur mettendo a partito questi più recenti e maturi approdi della dottrina – della possibilità di apporre una condizione alla domanda di risoluzione del contratto. Deve, però, essere messa in luce la profonda diversità intercorrente fra le ipotesi appena considerate: il recesso, infatti, è un negozio giuridico unilaterale con il quale una parte esercita in via stragiudiziale (o giudiziale) un diritto potestativo sostanziale, mentre le azioni edilizie costituiscono atti giudiziali di esercizio di un diritto potestativo sostanziale, il quale trova la propria attuazione in via giudiziale. Non è senza rilevanza, in proposito, il fatto che la dottrina tedesca abbia ormai limitato l’operatività del principio di inapponibilità dell’elemento condizionale alle ipotesi in cui il Gestaltungsrecht venga esercitato in via stragiudiziale, con esclusione di quelle in cui esso sia fatto valere giudizialmente, giacché in questo secondo caso dovrebbe applicarsi la disciplina tipica degli atti processuali, la quale – in linea di principio e salva diversa previsione – non pone preclusioni alla facoltà delle parti di sottoporre il proprio comportamento processuale a condizioni il cui verificarsi è interno al processo (per riferimenti, v. C. CONSOLO, Il cumulo condizionale di domande, I, cit., p. 49 ss.), come accade allorché si tratti di decisioni dell’organo giudicante (cfr. PALANDT/H. HEINRICHS, sub § 143, 61. Aufl., München, 2002, p. 145; JAUERNIG/O. JAUERNIG, sub § 158, 10 Aufl., München, 2003, p. 113, il quale – richiamando la giurisprudenza del BGH – fa riferimento ai negozi unilaterali bedingungsfeindlichen limitando la categoria a quelli che lo siano per espressa previsione normativa ovvero allorché l’apposizione della condizione comporti una situazione di incertezza intollerabile). 98 Per tutti, v. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2005, p. 81. 260 CAPITOLO QUARTO manifesta la volontà che, in esito a un procedimento giudiziale, venga prodotta una determinata modificazione giuridica, i cui presupposti devono essere previamente verificati dal giudice, sicché la realtà giuridica non muta se non all’esito di tale complessivo procedimento, nel corso del quale l’autorità giurisdizionale dapprima verifica la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la produzione dell’effetto costitutivo e successivamente procede a dar vita a detto effetto attraverso l’atto conclusivo del giudizio99. Poiché le cennate difficoltà e obiezioni in ordine all’ammissibilità del cumulo condizionale delle domande costitutive sembrano essere legate almeno in parte, dalla dottrina e – se non ci inganniamo – anche dalla giurisprudenza, proprio alla natura e alla rilevanza da queste attribuita all’atto introduttivo del giudizio, ove – invece – correttamente si attribuisca al solo atto di definizione del medesimo l’effetto di produrre il mutamento giuridico sotteso alla volontà del privato, esse sono destinate a cadere. Se così è, viene meno già in limine uno dei più vigorosi argomenti addotti a sostegno della tesi che riconduce la preclusione di cui si tratta all’impossibilità di sottoporre a condizione l’esercizio di un diritto potestativo, seppure a necessario esercizio giudiziale, in quanto lo stesso sarebbe immediatamente modificativo della situazione giuridica della controparte. Pertanto, soltanto un divieto espresso di legge potrebbe raggiungere detto risultato, non essendo invece contrario ai principi il fatto che l’attore possa presentare in regime di cumulo subordinato le domande di risoluzione e di riduzione del corrispettivo. Va, quindi, verificato se un simile divieto possa essere rintracciato nella previsione dell’art. 1492, comma 2, c.c., il quale invero si limita a sancire che la scelta del rimedio «è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale»100. Come già si è detto, ad avviso della giurisprudenza la previsione ora ricordata comporterebbe l’«inammissibilità» dell’abbinamento in via gra99 Peraltro, come osserva C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, cit., p. 309 (nonché ID., Il cumulo condizionale di domande, I, cit., p. 374 ss.), la stessa giurisprudenza della nostra Cassazione è, altrove, propensa ad ammettere il cumulo condizionale di azioni costitutive in via subordinata: è il caso della proposizione dell’azione di risoluzione in via principale e dell’azione di annullamento in via subordinata o dell’azione di rescissione in via principale e dell’azione di annullamento di nuovo in via subordinata. 100 Si noti che, nell’ipotesi di esercizio dei rimedi edilizi in via di eccezione, la possibilità di richiesta in via subordinata è generalmente ammessa, dalla dottrina (cfr. per tutti C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 957 ss.) e dalla giurisprudenza, in quanto si ritiene che le eccezioni, operando «in una sfera più direttamente processuale, non [siano] mai in concorso, potendo il convenuto farle valere tutte insieme liberamente, purché utili alla propria difesa secondo il libero apprezzamento della parte» (così Cass. 19 maggio 1962, n. 1146). IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 261 duata delle due azioni edilizie, il quale potrebbe consentire al compratore di proporre in via principale la domanda di risoluzione e, in via subordinata, invocare la tutela estimatoria, ma che sarebbe percorribile soltanto ove, eccezionalmente, uno soltanto dei due rimedi risulti concretamente fondato101. Nel riferirsi al concetto di «inammissibilità», il quale rieccheggia e rimanda direttamente alla negazione in rito della tutela giurisdizionale, le sezioni unite e le successive pronunce di legittimità102 e di merito sembrano operare un’impropria contaminazione fra il piano sostanziale e quello processuale103. In verità, il tema consiste nel chiedersi se, ed eventualmente a quali condizioni, il compratore di un bene viziato sia titolare, sul piano sostanziale, del diritto di chiedere la risoluzione del contratto di vendita e, al contempo, in via alternativa, del diritto – parimenti sostanziale – di domandare la riduzione del corrispettivo pattuito. Così sceverato il campo d’indagine, consegue che, in merito a siffatta problematica, può farsi questione soltanto di fondatezza, e non già di ammissibilità dell’azione. L’art. 1492, comma 2, c.c. richiede soltanto che al momento della presentazione della domanda giudiziale l’acquirente operi la propria scelta fra i rimedi edilizi, sicché certamente precluso – e, pertanto, correttamente qualificabile come «inammissibile» – è l’esercizio in via di cumulo alternativo delle due azioni, il quale si risolve in un mancato assolvimento dell’onere di scelta gravante sull’attore ai sensi della disposizione citata, mentre non lo è il cumulo subordinato di azione redibitoria e quanti minoris in quanto con esso il compratore esprime la propria scelta. Né inammissibile può dirsi, uti singula, la domanda di riduzione del corrispettivo esercitata in via subordinata rispetto all’altra, sicché in ogni caso, ove l’attore spieghi le due domande in regime di cumulo subordinato, il giudice è tenuto a pronunciarsi nel merito con riguardo a entrambe104. La sussistenza di una vasta area di congruenza fra i presupposti di esperibilità delle due azioni non può comportare l’inammissibilità della 101 Si è già ricordato più volte come i casi in cui la causa petendi delle due azioni non è esattamente congruente sono quelli regolati dall’art. 1492, comma 1 (che richiama i casi per i quali gli usi escludano la risoluzione) e comma 3 (a mente del quale la risoluzione non può essere pronunciata allorché la stessa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore, ovvero costui l’abbia alienata o trasformata). 102 Cfr. le già citate Cass. 10 aprile 1996, n. 3299; Cass. 11 aprile 1996, n. 3398; Cass. 27 gennaio 2004 n. 1434; Cass. 29 novembre 2004, n. 22415. 103 La critica è posta a base dell’articolato scritto di C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, cit., p. 310 ss. 104 In questo stesso senso si veda C. CONSOLO, Il concorso di azioni nella patologia della vendita, cit., p. 311. 262 CAPITOLO QUARTO proposizione dell’una in via condizionata rispetto al rigetto dell’altra, in ragione del fatto che l’accoglimento della domanda subordinata sarebbe incompatibile con il rigetto della principale, ma soltanto l’eventuale rigetto nel merito (per infondatezza) di entrambe le domande ove ricorra una fattispecie concreta per cui la causa petendi delle due azioni sia identica. Pertanto, l’autorità giudiziaria è tenuta alla trattazione nel merito di entrambe le domande, senza che a ciò possa ostare il fatto della tendenziale coincidenza dei presupposti delle stesse, coincidenza che, nell’ipotesi concretamente sottoposta al vaglio del giudice, deve essere scrutinata attraverso un esame condotto nel merito. Soltanto in esito a un simile giudizio, infatti, è possibile verificare se la cosa abbia subito trasformazioni ovvero sia perita o ancora esistano usi che escludono la redibizione, e, pertanto, ricorrano o meno le condizioni che legittimano l’accoglimento della quanti minoris e non dell’azione di risoluzione105. Nella questione che ci occupa, la giurisprudenza appare mossa più che altro da ragioni di economia processuale, le quali, nella necessità di trovare un addentellato normativo, si sono riverberate in un ricorso improprio al concetto di inammissibilità dell’esperimento dei due rimedi in regime di cumulo subordinato, quando piuttosto si sarebbe dovuto prendere atto della possibile “inutilità” dello stesso qualora entrambe le domande risultino fondate, inutilità che però non consente di negare in rito la richiesta tutela106. 105 Si consideri, inoltre, che il perimento della cosa per fatto del compratore, la sua trasformazione e alienazione si traducono in motivo di rigetto della domanda risolutoria anche ove tali situazioni sopravvengano in corso di causa. 106 Tale posizione, la cui erroneità abbiamo appena messo in luce, limita i propri palesi effetti distorsivi alle fattispecie in cui la causa petendi delle azioni edilizie non è perfettamente sovrapponibile per chi, come noi, ritiene che la nozione di vizio di cui all’art. 1490 c.c. incorpori in sé la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento richiesta in generale per la risoluzione del contratto dall’art. 1455 c.c., ma provoca asimmetrie ancor più pronunciate ove si accolga la tesi, diffusa anche in giurisprudenza, secondo cui, «nel caso di azione redibitoria, non ogni vizio della merce giustificherebbe la risoluzione della vendita, ma soltanto quello che concreti un inadempimento del venditore di non scarsa importanza in relazione all’interesse del compratore». Ove si aderisca a questa impostazione, la preclusione del cumulo appare tanto più irragionevole, in quanto priva il compratore della possibilità di invocare il rimedio della riduzione del corrispettivo anche nei casi in cui questo sia l’unico a poter essere giudicato fondato. In considerazione dell’erroneità della tesi che ricollega alla non scarsa importanza del vizio la praticabilità del rimedio redibitorio, le considerazioni da ultimo svolte possono anche apparire di poco momento, ma altrettanto non può dirsi del profilo attinente alla prescrizione delle azioni: infatti, ove si ritenesse inammissibile il cumulo subordinato dei rimedi edilizi, il compratore sarebbe esposto al concreto rischio di incorrere nella prescrizione dell’azione estimatoria pur a seguito del rigetto dell’azione redibitoria – in ragione dell’intervenuto perimento della cosa per caso fortuito o colpa del compratore, trasformazione ovvero alienazione IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 2. 263 Riduzione del prezzo e risoluzione del contratto negli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. Passando all’analisi dei rapporti intercorrenti fra azione di risoluzione e riduzione del prezzo sul terreno dell’“inesattezza giuridica” dell’attribuzione traslativa, può senza dubbio notarsi come questi siano connotati da una disciplina più scarna rispetto a quella dedicata all’ipotesi di vizi redibitori e da una tendenziale maggiore semplicità. Le fattispecie di vendita di cosa parzialmente altrui (art. 1480 c.c.), evizione parziale (art. 1484 c.c.) e vendita di cosa gravata da oneri o diritti di godimento di terzi (art. 1489 c.c.) legano la disponibilità del rimedio risolutorio all’interesse del compratore, il quale intanto può ottenere lo scioglimento del contratto in quanto le circostanze inducano a ritenere che egli non avrebbe acquistato la res qualora fosse stato a conoscenza della parziale altruità della stessa, della sua rivendicabilità o espropriabilità da pare del terzo ovvero degli oneri o diritti di godimento su di essa gravanti. Qualora, invece, debba opinarsi nel senso che l’acquirente, ove fosse stato al corrente delle cennate vicende, avrebbe comunque concluso il contratto di compravendita, egli potrà reagire alla difettosità dell’attribuzione traslativa a mezzo della riduzione del prezzo. L’assetto normativo disegnato dal legislatore del 1942 per le fattispecie ora considerate è, pertanto, radicalmente diverso da quello adottato per le tutele edilizie, essendosi (almeno in parte) esclusa la libertà di scelta del compratore in ordine al rimedio maggiormente idoneo, in favore di una rigida alternatività in forza della quale costui – oltre a richiedere il risarcimento del danno, qualora l’inattuazione del programma negoziale sia imputabile al venditore107 – può esperire soltanto il rimedio che la legge gli mette a disposizione in ragione dell’esito del giudizio cui si è fatto cenno. Sebbene gli interpreti siano tendenzialmente concordi della stessa – sicché egli risulterebbe in sostanza privato di tutela, in considerazione della brevità del termine annuale e del fatto che si ritiene che la proposizione di una delle azioni edilizie non comporti l’interruzione della prescrizione riguardo all’altra. La proposizione immediata, in via subordinata, anche del rimedio volto alla riduzione della prestazione corrispettiva sembra costituire l’unica via a disposizione del compratore al fine di evitare di incorrere nella prescrizione della pretesa subordinata, sicché ritenere inammissibile il cumulo si risolverebbe in un’inaccettabile compromissione della sfera giuridica del compratore, conseguente a un mero errore di costui nella scelta del rimedio in concreto azionabile. 107 Per tutti, A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410 e D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 376. G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394 correttamente pone in luce come la colpa in discorso si sostanzi «nello stato soggettivo di conoscenza dell’alienità della cosa (situazione alla quale viene equiparata quella di conoscibilità di tale alienità con l’uso dell’ordinaria diligenza)». 264 CAPITOLO QUARTO nel ritenere che tale giudizio partecipi sostanzialmente della logica sottesa al principio di non scarsa importanza dell’inadempimento dell’inadempimento legittimante la risoluzione, di cui all’art. 1455 c.c., questi finiscono per dividersi allorché si passi alla valutazione della specialità della previsione in discorso, taluni ritenendo che le disposizioni citate si limitino a specificare che l’apprezzamento della gravità dell’inattuazione deve tenere conto dell’incidenza della parziale alienità e degli altri accadimenti rispetto all’interesse dell’acquirente108, mentre secondo altri esigerebbero la formulazione di un giudizio foggiato su quello richiesto dall’art. 1419, comma 1 c.c. per i casi di nullità parziale del contratto109. L’alternativa esegetica in parola è, peraltro, gravida di conseguenze ai nostri fini, giacché, sebbene non si riverberi direttamente sull’ampiezza del campo di applicazione esclusivo della riduzione del corrispettivo, viene ad influenzarlo indirettamente in quanto conduce ad una differente ripartizione dell’onere della prova relativa alle circostanze legittimanti la risoluzione. Ove si riconducesse la disciplina speciale nell’alveo di quella generale della risoluzione, infatti, il compratore potrebbe invocare lo scioglimento del vincolo negoziale limitandosi «a dimostrare l’inadempimento e quelle circostanze che ne confermino l’im108 In tal senso si pronuncia chiaramente C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 779 s., il quale ritiene che «la supposizione di ciò che l’acquirente avrebbe fatto se avesse saputo della parziale alienità del bene è […], più che un oggetto di indagine, l’espressione del giudizio di gravità dell’inadempimento in relazione all’interesse e all’utilità del compratore: e ciò secondo la regola generale della risoluzione». Similmente, v. A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 410, che parimenti fa riferimento a un giudizio che prescinde dalla considerazione del versante psicologico per investire essenzialmente l’interesse e l’utilità del compratore. In giurisprudenza, v. Cass. 11 maggio 1984, n. 2890, ad avviso della quale «l’esistenza di uno ius in re sulla cosa venduta legittima ex art. 1489 c.c. il compratore, che non ne abbia avuto conoscenza al momento della conclusione del contratto, a far valere la risoluzione di quest’ultimo o una riduzione del prezzo anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell’onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sul bene. In tale ipotesi, peraltro, la risoluzione non può essere automaticamente pronunziata dovendosi stabilire, ai sensi dell’art. 1480 c.c., secondo le circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall’onere, e comunque non può essere pronunziata ove al momento della decisione lo ius in re più non sussista ed il diritto di proprietà abbia riacquistato il suo normale contenuto, ed il ritardo nel ripristino della consistenza del bene abbia inciso in modo scarsamente rilevante – ai sensi dello art. 1455 c.c. – sull’interesse del compratore, salvo il diritto dello stesso al risarcimento di eventuali danni (e l’incidenza sulla regolamentazione delle spese giudiziali)». 109 Così, chiaramente, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375 s. e, di recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394, il quale scrive appunto che il criterio adottato dall’art. 1480 c.c. (e richiamato dagli artt. 1484 e 1489 c.c.) coincide con quello che il legislatore ha adottato in tema di nullità parziale al fine di distinguere fra ipotesi “vizianti” e ipotesi in cui la stessa limita i propri effetti alla sola clausola o parte del negozio rispetto alla quale si è verificata la causa di nullità. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 265 portanza»110, mentre il riferimento al criterio adottato in materia di nullità parziale richiederebbe a costui la prova del fatto che non avrebbe proceduto a perfezionare l’acquisto qualora avesse conosciuto il peculiare stato giuridico del bene111. Non vi è chi non veda come ciò influisca in maniera determinante sulla concreta possibilità del compratore di ottenere la risoluzione nelle ipotesi considerate, anche in considerazione del fatto che l’adozione della prospettiva esposta per seconda avrebbe quale ulteriore effetto quello di obbligare il giudice, in caso di dubbio, a fare applicazione del principio di conservazione del negozio e, pertanto, a negare lo scioglimento del contratto112. È nostra opinione, in proposito, che l’avere il legislatore del 1942 consapevolmente rigettato la qualificazione in termini di nullità della vendita di cosa altrui113, attraverso la “conversione legale” di una causa di nullità – il difetto (parziale, nell’ipotesi di cui all’art. 1480 c.c.) di potere dispositivo dell’alienante – in una causa di risoluzione114, costituisca un indice non trascurabile dall’interprete, che deve condurre al trattamento della fattispecie in discorso secondo le regole che presiedono alle ipotesi di inattuazione del programma negoziale e non a quelle di invalidità dello stesso. Ciò, peraltro, è confermato dal fatto che, da un canto, il giudizio evocato dalla disposizione in materia di nullità parziale impone la considerazione dell’interesse di tutte le parti del contratto e non già di una soltanto115 e, dall’altro, il criterio selettivo in parola si applica, per espresso richiamo fattone dall’art. 1489 c.c., anche all’ipotesi di vendita di una res gravata da oneri e diritti di godimento di terzi, laddove non sussiste un difetto di potere dispositivo dell’alienante bensì una semplice imperfetta realizzazione del risultato traslativo116, sicché il riferimento al criterio det110 C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 780. 111 Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 375. 112 Esattamente nel senso che, con riferimento alla nullità parziale, l’incertezza in ordine alla prova che i contraenti non avrebbero concluso il negozio senza quella parte o quella clausola che è stata colpita da nullità dovrebbe indurre il giudice a non dichiararne l’integrale nullità, in applicazione del principio di conservazione, v. A. DI MAJO, La nullità, in ID. - G.B. FERRI - M. FRANZONI, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, 7, Torino, 2002, p. 104. 113 L’art. 1459 c.c. 1865 sanciva, infatti, che: «La vendita della cosa altrui è nulla: essa può dar luogo al risarcimento dei danni se il compratore ignorava che la cosa era d’altri. La nullità stabilita da questo articolo non si può mai opporre dal venditore». 114 Sul punto v. le osservazioni di G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 387 e spec. 393 s. 115 Nello stesso senso C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 780. 116 In argomento, cfr. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 433 ss., il quale scrive che «il fondamento della tutela» concessa dalla disposizione in argomento risiede «nel “vizio del diritto” trasmesso o, meglio, nell’inesattezza giuridica dell’attribuzione 266 CAPITOLO QUARTO tato dall’art. 1419 c.c. si porrebbe quale impropria estensione di un canone discretivo pensato per ipotesi di natura radicalmente diversa. Ne consegue che la disponibilità del rimedio risolutorio in capo al compratore nelle fattispecie regolate dagli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c. può affermarsi ogni volta in cui, in ragione dell’importanza della parziale deficienza del diritto rispetto all’interesse dell’acquirente all’esatto adempimento, conduca a ritenere che costui non avrebbe acquistato la cosa qualora avesse conosciuto il difetto della prestazione traslativa promessa dalla controparte117 ma non postula l’assolvimento di uno specifico onere probatorio in ordine a tale volontà ipotetica. Quanto fin qui si è venuto esponendo si attaglia direttamente alle fattispecie regolate dagli articoli più volte richiamati, mentre è assai discussa l’applicabilità della disciplina in argomento qualora il compratore della cosa parzialmente altrui fosse in mala fede al tempo della conclusione del contratto118. Infatti, in relazione a tale ipotesi, una volta decorso inutilmente il termine per la regolarizzazione dell’attribuzione traslativa, secondo taluni dovrebbero trovare applicazione i rimedi generali contro l’inadempimento119, mentre in giurisprudenza è rappresentata l’opinione secondo cui la tutela del compratore in mala fede si esaurirebbe nel diritto di ottenere il riequilibrio sinallagmatico del contratto a mezzo dell’estimatoria120; secondo altri, infine, sarebbe possibile invocare la ridutraslativa che partecipa dei caratteri comuni alla garanzia». Lo stesso Luminoso, a p. 434, nota 252 precisa altresì come sussista concordia in dottrina nel ritenere profondamente diverse la vendita di cosa altrui e l’evizione rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 1489 c.c., in quanto nelle prime la responsabilità del venditore deriva dal mancato acquisto o dalla perdita della proprietà in capo al compratore, mentre nella seconda quest’ultimo subisce una mera lesione qualitativa del diritto acquistato. Nitidamente, sulla distinzione in argomento, v. altresì Cass. 2 agosto 1975, n. 2947 e Cass. 6 dicembre 1984, n. 6401. 117 Negli stessi termini cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 780. 118 Con riferimento agli artt. 1478 ss. c.c., la mala fede – come già si è avuto modo di illustrare nel corso del Capitolo 2 – deve essere intesa quale sinonimo di sussistenza, nel compratore, della convinzione che la controparte sia titolare e legittimata a disporre del diritto compravenduto e che, quindi, sussistano i presupposti per l’immediato acquisto dello stesso in forza dell’operare del principio del consenso traslativo. Sul punto si veda E. RUSSO, Vendita e consenso traslativo, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2010, p. 184. 119 In tal senso, v. P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1480, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 179, nota 3; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 782 s.; S. ROMANO, Vendita. Contratto estimatorio, in Tratt. Grosso - Santoro-Passarelli, Firenze, 1960, p. 86. Cfr. altresì L. MENGONI, Gli acquisti “a non domino”, Milano, 1975, p. 21 s., il quale propende per l’applicazione dell’art. 1453 c.c. 120 Cass. 29 marzo 1996, n. 2892, la quale lega indissolubilmente la risolubilità del contratto di compravendita al fatto che l’acquirente, al tempo della sua conclusione, versasse in una situazione di ignoranza della parziale altruità della res e «possa ritenersi, secondo le cir- IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 267 zione del corrispettivo e la risoluzione del contratto secondo i medesimi criteri sopra esposti121, ciò che costituisce la soluzione preferibile ove si condivida l’idea che la responsabilità del venditore di cosa altrui, anche qualora l’acquirente sia a conoscenza dell’altruità del bene, sia una speciale forma di responsabilità contrattuale per inattuazione dell’attribuzione patrimoniale traslativa122. Ciò posto, non sembra inutile porre due interrogativi volti a precisare ulteriormente i rapporti intercorrenti fra i due rimedi che il compratore si vede riconosciuti nelle ipotesi ora in considerazione. In primo luogo, data l’alternatività disegnata dall’art. 1480 c.c., è concesso al compratore richiedere la diminuzione del prezzo anche allorché – potendosi ritenere che egli non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui non è divenuto proprietario o che è stata oggetto di evizione o pur in presenza dei vizi giuridici che la caratterizzano – sussistano gli estremi che legittimerebbero la risoluzione? In secondo luogo, quali regole sostanziali e processuali presiedono alla scelta fra la domanda di risoluzione, quella di (esatto) adempimento e la riduzione del corrispettivo? Partendo dal primo dei due profili, può dirsi che esso si sostanzia nel chiedersi se la ricorrenza delle circostanze che legittimano il ricorso alla risoluzione non si riverberi soltanto nel consentire al compratore di chiedere e ottenere lo scioglimento del contratto, ma abbia altresì l’effetto di concentrare in esso la scelta, privandolo del rimedio estimatorio. Così intesa, l’alternativa fra riduzione del prezzo e risoluzione non avrebbe alcun punto di sovrapposizione, in quanto nel patrimonio del compratore potrebbe essere presente soltanto l’uno o l’altro mezzo di tutela, in ragione dell’importanza da riconoscere all’inesattezza dell’attribuzione patrimoniale, ma giammai entrambe. Una simile conclusione, peraltro, seppur possa sembrare imposta dal dettato dell’art. 1480 c.c., il quale mette a disposizione dell’acquirente, rispettivamente, «la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno» e «una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno», a seconda dell’esito del giudizio di importanza dell’inadempimento, appare immotivata123. Come abcostanze, che non avrebbe acquistato il bene senza quella parte di cui è divenuto proprietario; pertanto, in mancanza dell’una o dell’altra delle predette condizioni, il compratore può solo chiedere la riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1480 c.c.». 121 Così D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377. 122 In argomento, v. amplius A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 405, il quale si esprime nel senso che il fondamento della tutela del compratore in mala fede risieda pur sempre nell’«oggettiva inattuazione dell’attribuzione traslativa (non riconducibile né all’art. 1453 c.c. né all’art. 1463 c.c.), indipendente dalla colpa del venditore». 123 E, infatti, seppur senza che tale opzione esegetica venga supportata da motivazioni, si pronunciano nel senso che, anche sussistendo i presupposti per la risoluzione, il compra- 268 CAPITOLO QUARTO biamo osservato nel corso del Capitolo 2, il debole argomento letterale appena accennato si confronta con prevalenti ragioni logico-sistematiche, non soltanto poiché appare irragionevole negare ingresso alla richiesta del compratore diretta a ridurre il corrispettivo sol perché «deve ritenersi, secondo le circostanze, che [egli] non avrebbe acquistato la cosa» qualora ne avesse conosciuto la reale condizione giuridica, così sacrificando l’interesse concreto in favore di un giudizio astratto, ma soprattutto giacché la regola posta dall’art. 1480 c.c. non costituisce una restrizione della possibilità di far valere la quanti minoris, ma è il mero “negativo” del criterio volto a consentire la risoluzione soltanto nelle ipotesi di maggiore gravità, sicché la disponibilità della riduzione del corrispettivo per l’acquirente di beni materialmente o giuridicamente imperfetti soffre eccezioni soltanto qualora la gravità del difetto si traduca in una totale inesecuzione del programma contrattuale124. Che questa sia la soluzione più corretta – e che, pertanto, anche qualora la valutazione prescritta dalla legge conduca a ritenere che il compratore possa provocare la risoluzione del contratto, cionondimeno egli potrà sempre, ove lo preferisca, limitarsi a ridurre il corrispettivo pattuito – è altresì confermato dal fatto che l’esperibilità del mezzo risolutorio è normativamente legata al solo interesse del compratore, sicché la preclusione di quello estimatorio non può essere argomentata neppure sulla base di un supposto contrario interesse del venditore. Passiamo ora ad analizzare il secondo interrogativo posto poco sopra, premettendo che né l’art. 1480 c.c., né i successivi artt. 1484 e 1489 c.c. provvedono a chiarire se la proposizione dell’uno o dell’altro rimedio spieghi effetti preclusivi sull’esperibilità dell’altro e se i medesimi possano o meno essere esercitati in regime di cumulo subordinato. Non diversamente da quanto accade con riferimento alla “garanzia per vizi”, la riduzione del prezzo esercitata con atto stragiudiziale produce immediati effetti modificativi del rapporto contrattuale fra le parti, sicché essa – anche qualora venga fatta valere in ipotesi che legittimerebbero lo scioglimento del contratto – è preclusiva della presentazione di tore possa scegliere di limitarsi a esigere la riduzione del corrispettivo, D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 377 e G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 394, testo e nota 1041. 124 Non a caso, laddove l’altruità o l’evizione riguardino la res nella sua interezza, e non si limitino a una porzione materiale (o giuridica, secondo l’opinione che sembra prevalere: cfr. Capitolo 2) della stessa, al compratore è concessa la sola azione di risoluzione, in quanto in capo allo stesso difetta senz’altro l’interesse al mantenimento dello scambio, essendo il medesimo totalmente inattuato o essendo venuto meno in toto il risultato programmato. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 269 una domanda giudiziale di risoluzione, almeno in ogni caso in cui il venditore non si opponga all’esercizio del rimedio, contestandone la fondatezza125. Qualora, invece, il compratore della cosa in parte altrui, oggetto di parziale evizione ovvero gravata da oneri o diritti di godimento di terzi si determini ad agire per via giudiziale, non sussistono ragioni per ritenere che estimatoria e risoluzione si pongano in regime di concorso elettivo, giacché la causa petendi posta a fondamento dei due mezzi di tutela – contrariamente a quanto accade con riferimento alle azioni edilizie – è differente, sicché è senz’altro ammissibile anche il loro esercizio in regime di cumulo subordinato126. Contrariamente a quanto ha fatto con riferimento alle azioni edilizie, il legislatore neppure ha dettato, per le fattispecie contemplate dagli artt. 1480, 1484 e 1489 c.c., regole relative al trattamento dell’ipotesi in cui la restituzione della cosa oggetto del contratto sia impossibile a causa del perimento della stessa o per altra causa, sicché è opportuno chiedersi se tale eventualità reagisca o meno sull’esperibilità della risoluzione da parte del compratore. In argomento, l’unico indice normativo utile è fornito dal secondo comma dell’art. 1479 c.c., il quale – con riferimento all’ipotesi di vendita di bene (interamente) altrui – precisa che la risoluzione è possibile anche qualora la cosa, nelle more fra la conclusione del contratto (o, rectius, la consegna) e la domanda di scioglimento, sia «diminuita di valore o [si sia] deteriorata», non ostando a ciò neppure il fatto che detti avvenimenti siano imputabili a un comportamento dell’acquirente127. Più in ge125 Qualora, invece, il venditore reagisca all’esercizio del diritto di ridurre il corrispettivo lamentando l’insussistenza dei presupposti per l’esperimento del rimedio o l’inesattezza della misura dell’aestimatio vitii, l’acquirente potrà anche mutare i propri propositi e chiedere la risoluzione attraverso la presentazione della domanda giudiziale. Si veda amplius supra, par. 1.3. 126 In tal senso è orientata anche la giurisprudenza: cfr. Cass. 29 ottobre 1992, n. 11757, resa con riferimento a un’ipotesi di vendita di un appartamento locato, secondo la quale «l’art. 1489 c.c. […] nel regolare la garanzia per gli oneri e i diritti reali o personali gravanti sulla cosa venduta, attribuisce al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480 c.c. I due rimedi, pertanto, sono alternativi, in relazione alla diversità dei presupposti, e possono essere esperiti nello stesso giudizio, in via, rispettivamente, principale e subordinata». 127 L’art. 1479, comma 2 c.c. detta, per tale eventualità, mere disposizioni di tipo risarcitorio, sancendo che il deterioramento o la diminuzione di valore del bene non fanno nascere in capo al venditore alcuna pretesa, salvo che queste siano cagionate dal fatto del compratore e costui ne abbia ricavato un utile: in tale ipotesi l’ammontare del risarcimento è pari all’utile ritratto, da intendersi in senso ampio, come comprensivo non soltanto degli incrementi patrimoniali stricto sensu, ma di ogni vantaggio diretto o indiretto derivante dall’uso 270 CAPITOLO QUARTO nerale, inoltre, come si avrà modo di argomentare approfonditamente nel par. 3128, non sembra possa dirsi sussistente un principio generale che leghi la necessaria preclusione della risoluzione all’impossibilità della restitutio in natura del bene oggetto del contratto, sicché non è lecito dubitare che il compratore possa, in linea di principio, chiedere e ottenere lo scioglimento del contratto anche allorché la res sia perita, ovvero sia stata alienata o trasformata129. Peraltro, qualora l’impraticabilità della retroversione del bene dipenda da un fatto doloso o colposo dell’acquirente ovvero, secondo taluni, sia avvenuto «un atto di consumo del bene in senso lato»130, la via che porta allo scioglimento del rapporto contrattuale sarebbe comunque preclusa, in tal modo introducendosi un causa di esclusione della risoluzione di tenore non dissimile da quella un tempo sancita dal § 351 aF BGB131, oggi non più riprodotta a seguito della riforma dello Schuldrecht del 2002. Una simile limitazione non sembra, però, trovare addentellati nel testo normativo, il quale – al contrario – al comma 2 dell’art. 1479 c.c. mostra di considerare la “corruzione” dell’integrità del bene derivante da un comportamento riconducibile alla sfera dell’acquirente quale evento legittimante mere pretese risarcitorie e non già quale ostacolo all’esperimento dell’azione contrattuale, sicché sembra più corretto ritenere che l’impossibilità della restitutio in integrum non privi il compratore del rimedio più radicale132. Come si avrà modo di illustrare in maniera più approfondita nel corso del prossimo paragrafo, infatti, la risoluzione non postula indefettibilmente la praticadel bene, ancorché consistente in una mera maggiore comodità o amenità (cfr. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 765). Tale somma, peraltro, si ritiene debba essere detratta in via diretta dal quantum dovuto dal venditore a titolo di restituzione del prezzo o di eventuale indennizzo. 128 Cfr. infra, il par. 3.2. 129 Nello stesso senso, con riferimento alla vendita di cosa altrui, v. C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 766 s. 130 Sono parole di C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, cit., p. 767, cui prestano adesione anche P. GRECO - G. COTTINO, sub art. 1478-79, in IID., Vendita, in Comm. Scialoja - Branca, cit., p. 177. Gli AA. citati non dubitano, invece, che la risoluzione possa essere richiesta allorché l’impossibilità della restituzione derivi da una causa non imputabile al compratore. 131 Il cui tenore era il seguente: «Der Rücktritt ist ausgeschlossen, wenn der Berechtigte eine wesentliche Verschlechterung, den Untergang oder die anderweitige Unmöglichkeit der Herausgabe des empfangenen Gegenstandes verschuldet hat. Der Untergang eines erheblichen Teiles steht einer wesentlichen Verschlechterung des Gegenstandes, das von dem Berechtigten nach § 278 zu vertretende Verschulden eines anderen steht dem eigenen Verschulden des Berechtigten gleich». 132 Sul punto, v. E. BARGELLI, Il sinallagma rovesciato, cit., p. 379 s., spec. nota 153, e R. OMODEI SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 19 ss. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 271 bilità della restituzione in natura, bensì può aver luogo anche allorché tale carattere difetti, in tal caso dandosi luogo al pagamento da parte dell’accipiens del valore della prestazione ricevuta. 3. La riduzione del prezzo e gli altri strumenti di tutela contrattuale dell’acquirente nelle vendite mobiliari al consumo 3.1. I rapporti fra diritto al “ripristino della conformità” mediante riparazione e sostituzione, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto Nel sistema del Titolo III della Parte IV133 del codice del consumo, la riduzione del corrispettivo costituisce un c.d. rimedio secondario o sussidiario, il ricorso al quale presuppone non soltanto l’esistenza, nel bene consegnato al compratore in esecuzione del contratto di vendita, di un “difetto di conformità” rispetto alle previsioni contenute nel contratto medesimo, ma altresì il verificarsi di eventi impeditivi della realizzazione dei c.d. rimedi primari, consistenti nella regolarizzazione della prestazione attraverso la sostituzione o la riparazione della cosa ad opera del venditore. La riduzione del prezzo, infatti, al pari della risoluzione del contratto134, non può essere esercitata per il solo fatto della sussistenza di un difetto di conformità del bene, giacché il ricorso del consumatore ai rimedi c.d. “secondari” è subordinato al verificarsi di una delle situazioni descritte dall’art. 130, comma 7 c.cons., ovvero l’impossibilità o eccessiva onerosità dei rimedi primari, la causazione al consumatore di “notevoli inconvenienti” nell’effettuazione di riparazione e sostituzione o, infine, l’eccessivo ritardo del venditore nel provvedere a queste ultime135. 133 Si fa riferimento al Titolo III nella sua interezza, senza l’indicazione del Capo, giacché sembra del tutto superflua la creazione di un Capo autonomo laddove si consideri che esso esaurisce il contenuto dell’intero Titolo III: lo ha notato, già in sede di primo commento all’allora recentemente approvato d.lgs. n. 206 del 2005, G. DE CRISTOFARO, Il «Codice del consumo», in Nuove l. civ. comm., 2006, p. 798, nt. 136. 134 Invero, la qualificazione giuridica del mezzo di tutela volto a porre nel nulla lo scambio non è pienamente coincidente nelle varie versioni linguistiche della direttiva 1999/44/CE, giacché, a fianco della «risoluzione del contratto» e della résolution du contrat delle versioni in lingua italiana e francese, si pongono l’opzione per la «Vertragsauflösung» operata dal testo tedesco, maggiormente vicina all’idea della descrizione dello scioglimento del contratto quale vicenda effettuale piuttosto che quale strumento per ottenerla, e quella per la rescission of contract del testo inglese, anch’essa volta a designare il fenomeno di “unmaking of a contract” e non tanto a qualificare il mezzo che consente di pervenirvi. 135 Cfr. S. JANSEN, Price reduction as a remedy in European contract law and the consumer acquis, in A.L.M. KEIRSE - M.B.M. LOOS, Alternative ways to Ius Commune. The Europeanisation of private law, Cambridge-Antwerp-Portland, 2012, p. 175. 272 CAPITOLO QUARTO Come più volte si è avuto modo di osservare, l’opzione di fondo accolta dalla direttiva 1999/44/CE sul versante dei mezzi di tutela è la medesima che già ha ispirato la Convenzione di Vienna del 1980136, l’una e l’altra attribuendo espressamente al compratore il diritto di ottenere la correzione o la sostituzione del risultato traslativo prodottosi in maniera difforme da quanto disegnato nel programma negoziale, all’uopo concedendo i rimedi della riparazione e sostituzione del bene difettoso (art. 3, comma 2 della direttiva e, nell’ordinamento italiano, art. 130, comma 2 c.cons.)137. Contrariamente a quanto previsto dalla CISG138, però, il provvedimento normativo europeo (all’art. 3, commi 3 e 5) «sottrae all’acquirente il diritto di scelta del rimedio esperibile, per introdurre una graduazione gerarchica che privilegia il ripristino della conformità (riparazione/sostituzione) e, solo nel caso in cui si riveli impossibile, sproporzionato, o risulti inadempiuto dal venditore entro un termine ragionevole o senza notevoli inconvenienti, consente al consumatore il ricorso alla tu136 Ampiamente, sull’iter storico che ha condotto all’assetto posto a base della Convenzione di Vienna e, successivamente, della direttiva 1999/44/CE, v. R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, Napoli, 2007, p. 213 ss. Cfr. altresì F. RAGNO, Convenzione di Vienna e diritto europeo, Padova, 2008, p. 236 ss., la quale analizza la funzione di modello svolta dalla CISG nell’elaborazione della direttiva in materia di vendite di beni di consumo. 137 In argomento v., di recente, G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 514 ss. Sull’influenza della Convenzione di Vienna riguardo all’opzione in argomento, cfr. altresì, fra i primi contributi apparsi nella nostra letteratura, A. RENDA, Prime annotazioni in merito alla imminente direttiva sulle garanzie contrattuali: una occasione mancata?, in Dir. consumi, 1997, p. 565; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 8 ss.; A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine al d.legisl. n. 24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, Padova, 2003, p. 11; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2002, p. 1 ss.; D. CORAPI, La direttiva 99/44/CE e la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale: verso un nuovo diritto comune della vendita?, in Europa dir. priv., 2002, p. 655 s.; F. ADDIS, Tradizione e innovazione nella vendita di beni di consumo: unità e frammentazione nel sistema delle garanzie, in Giust. civ., 2004, II, p. 324 ss. Secondo S. TROIANO, The CISG’s Impact on Eu Legislation, in F. FERRARI, The CISG and its Impact on National Systems, München, 2009, p. 348, la direttiva 1999/44/CE può essere vista come una sorta di “cavallo di Troia” attraverso il quale è avvenuta la diffusione nel diritto contrattuale europeo dei principi e delle regole della CISG in materia di difetti di conformità dei beni compravenduti. 138 Deve essere sottolineato come la diversità di cui si sta per dire nel testo non si limiti al confronto con la Convenzione di Vienna, ma segni una discontinuità pure nei confronti della Proposta di direttiva del 18 giugno 1996, sicché appare legittima la conclusione di G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 902, il quale intravvede nella scelta finale compiuta dalle istituzioni comunitarie il «punto di emersione» delle antinomie tra interessi del mercato alla manutenzione del contratto (e perciò alla conservazione dell’operazione economica) ed esigenze individuali di riappropriazione della libertà di scelta. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 273 tela risolutoria o la richiesta di riduzione del prezzo»139. In ragione di tale gerarchizzazione dei mezzi di tutela, la libertà del compratore in ordine alla scelta del rimedio più confacente risulta significativamente compressa in favore dell’affermazione della primazia della tecnica rimediale diretta al ripristino della conformità. La gerarchia imposta all’ordine dei rimedi, infatti, risulta essere rigida140 e non consente deroghe per iniziativa unilaterale del compratore141, sicché il ricorso immediato alle tutele secondarie è possibile soltanto ove sussista il consenso del venditore. Pertanto, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto debbono essere considerati a pieno titolo quali rimedi sussidiari142, il cui esperimento non può costituire l’immediata scelta del compratore, essendo condizionato al verificarsi delle ipotesi di esclusione dei rimedi riconducibili all’esatto adempimento previste al comma 5 dell’art. 3, dir. 1999/44/CE. Siffatta previsione del legislatore comunitario è stata fatta oggetto di copiose critiche da parte della dottrina143, che ne ha messo in 139 Le parole fra virgolette sono di G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., p. 902. 140 In questo senso si esprime la dottrina largamente maggioritaria: cfr., ad esempio, A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 359 s.; D. STAUDENMAYER, Die EG-Richtlinie über den Verbrauchsgüterkauf, in NJW, 1999, p. 2395; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, cit., p. 515, il quale propone una lettura del comma 7 dell’art. 130 c.cons. funzionale a limitare tale rigidità, di cui si dirà infra. 141 In termini di «inderogabil[ità] in pregiudizio del venditore, che non può vedere mutato l’ordine di esercizio dei rimedi per iniziativa unilaterale del compratore» si esprime, infatti, A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 583. 142 Cfr. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 133, il quale sottolinea come il testo legislativo comunitario contenga l’affermazione di una primazia della «regolarizzazione del bene rispetto alle tecniche di tipo [ri]solutorio o modificative del rapporto, realizzata attraverso l’adozione di un sistema rimediale in cui lo scioglimento del vincolo e la riduzione del prezzo sono subordinati all’impossibilità [variamente articolata] di conseguire la prestazione contrattualmente dovuta»; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, cit., p. 247 ss., il quale dedica però (p. 284 ss.) più di un tentativo ricostruttivo al fine di “scardinare” l’ordine gerarchico, al fine di renderlo maggiormente confacente all’interesse del contraente debole; A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Mercati regolati, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti, Milano, 2014, p. 250. Nella manualistica tedesca, v. ad esempio D. REINICKE - K. TIEDTKE, Kaufrecht, Köln-München, 2009, Rn. 396, i quali scrivono che «der Verkäufer erhält eine “zweite Chance”, ordnungsgemäß zu erfullen» sicché viene a crearsi «ein zweistufiges Rechtsbehelfssystem», e D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, 15. Aufl., München, 2010, p. 43 ss., ove si fa esplicito riferimento alla sussistenza di un «“Recht” des Käufers zur zweiten Andienung». 143 Si vedano, ad esempio, A. LUMINOSO, Chiose in chiaroscuro in margine al D.Lgs. n. 24 del 2002, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Tratt. Galgano, cit., p. 35 ss.; L. GAROFALO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 391 ss., il quale ritiene che «rapportato alla compravendita il doppio grado di tutela rappre- 274 CAPITOLO QUARTO dubbio la rispondenza al fine della tutela del consumatore144, ritenendo preferibile la diversa strada consistente nell’offrire a costui la più libera scelta di avvalersi dell’uno o dell’altro rimedio, senza alcun “onere” di preventivo ricorso a quelli primari145. Al di là delle possibili valutazioni in sent[i] un vero e proprio regresso», peraltro controbilanciato dalla concessione del diritto al ripristino della conformità del bene al contratto, «riconosciuto a favore dell’acquirente non consumatore unicamente da una corrente dottrinale, che, per quanto autorevole, è praticamente ignorata dalla giurisprudenza di legittimità»; M. BIN, Per un dialogo con il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni nella vendita alla luce della disciplina comunitaria, in Contr. e impr. Europa, 2000, p. 406 ss.; F. MACARIO, Brevi considerazioni sull’attuazione della direttiva in tema di garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 150 ss.; R. CALVO, L’attuazione della direttiva n. 44 del 1999: una chance per la revisione in senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Contr. e impr. Europa, 2000, p. 467 ss., ove si legge non potersi escludere «che la nuova disciplina sulle garanzie legali, sostanzialmente ispirata al favor contractus, generi addirittura l’effetto di porre in corto circuito l’esigenza di tutela della parte debole là dove, di fatto, la natura del vizio – pur astrattamente emendabile – abbia distrutto l’affidamento riposto dal comune contraente sulle capacità professionali del produttore o del rivenditore»; M.G. FALZONE CALVISI, Garanzie legali nella vendita: quale riforma?, in Contratto e impr. Europa, 2000, p. 448 la quale stigmatizza la tendenza a celare la natura strumentale dei provvedimenti di tutela del consumatore rispetto al reale scopo di promozione degli scambi e del mercato interno. 144 Tale critica non è condivisa da Corte giust. UE, 16 giugno 2011, cause riunite C65/09 e C-97/09, I. Putz e Gebr. Weber GmbH, ad avviso della quale «la direttiva privilegia, nell’interesse di entrambe le parti del contratto, l’esecuzione di quest’ultimo mediante i rimedi previsti in primis, rispetto all’annullamento del contratto o alla riduzione del prezzo di vendita» (corsivo nostro). Sui contenuti di tale pronuncia ritorneremo poco infra nel testo. 145 Nel senso, condiviso da autorevoli commentatori germanici (C.W. CANARIS, Die Nacherfüllung durch Lieferung einer mangelfreien Sache beim Stückkauf, in JZ, 2003, p. 831 ss.; ID., L’attuazione in Germania della direttiva concernente la vendita di beni di consumo, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, cit., p. 242, ove l’illustre A. evidenzia la corrispondenza a quanto previsto dalla disciplina del BGB in tema di appalto della previsione dell’allora introducendo § 323 nF BGB ai sensi del quale la possibilità per il compratore di esercitare il Rücktritt è subordinata alla concessione e alla scadenza di un idoneo termine fissato al venditore per l’esatto adempimento; nella manualistica, v. altresì D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 43 ss.), secondo cui le indubbie criticità evidenziate con riferimento alla graduazione gerarchica dei rimedi possono essere almeno parzialmente stemperate cfr., peraltro, G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1035, ad avviso del quale, da un canto, la concessione al professionista di una seconda possibilità per regolarizzare la prestazione inesatta, implicita nell’esperimento dei rimedi primari, non comporta un significativo peggioramento della posizione del consumatore, ponendosi addirittura in tendenziale coerenza con la regola adottata dal nostro legislatore in tema di risoluzione stragiudiziale del contratto a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) e, dall’altro, gli effetti negativi derivanti dalla preclusione dell’esercizio immediato della risoluzione e della riduzione del prezzo possono essere limitati attraverso un’adeguata interpretazione estensiva delle ipotesi in presenza delle quali il consumatore può esperire direttamente tali mezzi di tutela. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 275 ordine all’opportunità della scelta operata, in questa sede è necessario stabilire se e a quali condizioni tale gerarchizzazione degli strumenti di tutela consenta la realizzazione della volontà del consumatore di avvalersi [della risoluzione del contratto oppure, ciò che più interessa ai nostri fini,] della riduzione del prezzo. In proposito, la lettera della legge sembra restringere grandemente gli “spazi di manovra” del compratore il quale non intenda offrire una seconda chance per l’esatto adempimento al professionista146, giacché il ricorso ai rimedi sussidiari è condizionato principalmente all’oggettiva impossibilità o all’eccessiva onerosità147 delle tutele ripristinatorie148 della 146 Riallacciandoci a quanto già affermato nel Capitolo 3, ribadiamo in questa sede come il diritto del consumatore al ripristino della conformità – sostanzialmente riconducibile, in ragione della gerarchia rimediale di cui si è detto, all’offerta di una seconda opportunità di adempimento – consista soltanto nel diritto di pretendere la consegna di un bene riparato o di un rimpiazzo e non già nel diritto ad una somma di denaro di importo corrispondente alle spese personalmente e direttamente sostenute dal compratore per la riparazione o la sostituzione (così anche A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 595 s. e, per quanto riguarda la sostituzione, R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 210 ss.). Invero, posto che il pagamento della somma di denaro in discorso non può costituire oggetto immediato della pretesa del compratore – il quale ha soltanto titolo per pretendere che la controparte provveda in proprio al ripristino –, è indubbio che, in caso di inadempimento del professionista, il consumatore neppure possa attivare l’esecuzione in forma specifica ex art. 2930 c.c. onde ottenere la sostituzione mediante la consegna del bene sostitutivo, giacché (a tacer d’altro) tale procedimento presuppone l’esistenza di un obbligo relativo a beni specifici e determinati (C. MANDRIOLI, voce Esecuzione per consegna o rilascio, in Dig. disc. priv. - sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 619 ss.; S. SATTA, L’esecuzione forzata, Milano, 1964, p. 14), e non (come è tipico delle vendite di beni di consumo) definito soltanto dalla sua appartenenza a un genus (nello stesso senso, G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallgmatiche, cit., p. 897), e del diritto dell’esecutante sui ben stessi, mentre nel caso di sostituzione il diritto del compratore sul rimpiazzo nasce a seguito della traditio (R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 212 s. e A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 592 s.). La dottrina è pure incerta circa la percorribilità della strada offerta dall’art. 2931 c.c. onde ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di riparazione: sul punto, con varietà d’accenti, v. A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 592; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 86; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 442; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro Zaccaria, Padova, 2013, p. 847. 147 L’onere di dimostrare l’impossibilità o l’eccessiva onerosità del rimedio si ritiene gravi sul venditore; cfr. per tutti R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 149 nota 55. Peraltro, qualora sia costui a richiedere la seconda chance di adempimento e il consumatore manifesti la volontà di paralizzarne l’inziativa adducendo l’impossibilità o l’eccessiva onerosità di riparazione o sostituzione onde risolvere il contratto o diminuire il corrispettivo, parrebbe potersi concludere che la prova debba essere fornita da quest’ultimo, in aderenza al principio di cui all’art. 2697 c.c. 148 Il termine utilizzato nel testo va inteso nella sua mera valenza descrittiva, in quanto la questione inerente alla natura giuridica da riconoscere ai rimedi primari non è oggetto 276 CAPITOLO QUARTO conformità del bene (art. 130, comma 3, c.cons.). Tale limite, peraltro, non soltanto attiene alla possibilità di ricorrere in via immediata ai mezzi di tutela sussidiari, ma opera ancor prima in relazione alla libertà di scelta fra riparazione e sostituzione del bene149, giacché il rimedio azionato deve sempre possedere il carattere della possibilità e non eccessiva onerosità150. L’impossibilità del rimedio deve essere intesa – in maniera aderente al dettato della disposizione di recepimento – in modo oggettivo151, sicd’esame nella presente trattazione. In argomento, sono state assunte posizioni notevolmente variegate, taluni ritenendo che gli stessi abbiano qualità di azioni di esatto adempimento (cfr. P. SCHLESINGER, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Corr. giur., 2002, p. 562; E. CORSO, sub art. 1519-quater, in EAD., Della vendita di beni di consumo, in Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 109 ss.; C. ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, p. 232 ss.; in termini di «diritto del compratore a pretendere l’adempimento correttivo (successivo)», v. inoltre A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 595), altri indentificandoli con altrettante misure di tutela ripristinatoria o restitutoria (v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo. Commentario, Padova, 2006, p. 181 s.), altri ancora con una «garanzia in forza specifica del risultato atteso dal compratore» (A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, p. 549), altri infine quali strumenti di risarcimento del danno in forma specifica (C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 814). 149 Contrariamente alla Convenzione di Vienna del 1980 (art. 46, comma 2: «Se le merci non sono conformi al contratto, l’acquirente non può esigere dal venditore la consegna di altre merci in sostituzione a meno che il difetto di conformità costituisca un’inosservanza essenziale del contratto e che tale consegna sia richiesta al momento della denuncia del difetto di conformità, effettuata ai sensi dell’art. 39 o entro un termine ragionevole a decorrere da tale denuncia»), la direttiva 1999/44/CE non prevede il limite al diritto di domandare la sostituzione del bene consistente nell’essenzialità dell’inadempimento. Su questa diversità, v. A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 75. 150 La diversità di cui si è riferito nella nota precedente potrebbe, peraltro, essere di molto circoscritta ove si noti come la richiesta di sostituzione avanzata a fronte di un difetto di conformità di scarsa importanza costituisca, nella maggior parte dei casi, una pretesa da reputare «eccessivamente onerosa» rispetto alla riparazione: così, ad esempio, sono orientati G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in Contr. e impr. Europa, 2001, p. 75, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 208 e M. RÖCKEN, Das neue Schuldrecht, Köln, 2002, p. 500. 151 Ad avviso di R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 253, la nozione di impossibilità rilevante ai fini in discorso deve essere ricavata dall’esegesi dell’art. 1218 c.c. Sul carattere oggettivo dell’impossibilità v., altresì, A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 587, il quale ritiene che l’impossibilità della sostituzione si identifichi con l’infungibilità del bene oggetto del contratto e quella della riparazione con l’oggettiva inesistenza di metodi atti ad eliminare il difetto, e A. DE FRANCESCHI, I rimedi del consumatore nelle vendite di beni di consumo, in G. DE CRISTOFARO, Mercati regolati, in Tratt. contratti Roppo - Benedetti, cit., p. 245. Con riferimento alla direttiva, cfr. D. STAUDENMAYER, Die EG-Richtlinie über den Verbrauchersgüterkauf, cit., p. 2395, nonché A. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita dal codice civile alla direttiva IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 277 ché al venditore che non sia personalmente in grado di procedere all’effettuazione della riparazione o della sostituzione non è consentito sottrarsi alla pretesa adducendo un’inidoneità di carattere meramente soggettivo, essendo piuttosto costui gravato dell’onere di rivolgersi a terzi per ottenere il risultato richiesto dal consumatore. Benché oggettiva, l’impossibilità richiesta dalla disposizione de qua non può, però, essere intesa anche come assoluta, giacché essa deve essere parametrata alla condizione del professionista medio che operi nel contesto commerciale che caratterizza il venditore152, potendosi senz’altro affermare la rilevanza delle difficoltà tecniche e organizzative le quali esorbitino dalla normale competenza e dai mezzi usualmente a disposizione. Nella medesima accezione oggettiva153 deve essere parimenti inteso il requisito di eccessiva onerosità154 del rimedio, il quale si sostanzia nell’imposizione al venditore medio, a cagione dell’opzione del consumatore per uno dei mezzi di tutela disponibili, di costi «notevolmente più elevati, e non dunque semplicemente maggiori, di quelli indispensabili per eseguire la tecnica […] alternativa»155. L’eccessiva onerosità costituisce, 1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 859 s., ove si ritiene possa rilevare anche l’inesigibilità. Rileva come, nel definire come “oggettiva” l’impossibilità rilevante ai fini in argomento, il legislatore italiano abbia precisato un carattere della stessa che non risultava dal testo dell’art. 3, comma 3 della dir. 1999/44/CE, R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 149. 152 Così F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 436 e R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite di beni di consumo, cit., p. 253, il quale si pronuncia nel senso che «il venditore non può essere ex post tenuto alla riparazione gratuita nell’ipotesi in cui [il consumatore] richieda un impegno inesigibile, giacché mette sottosopra l’equilibrio negoziale voluto ex ante dalle parti». 153 In questo senso depone chiaramente l’undicesimo Considerando della direttiva 1999/44/CE, laddove si esplicita come il procedimento che presiede alla qualificazione come «sproporzionato» (la direttiva, infatti, si esprime in termini di «sproporzione» e non già di «eccessiva onerosità», locuzione di conio del nostro legislatore nazionale sostanzialmente equivalente a quella utilizzata dal provvedimento europeo: v. A. LUMINOSO, La riparazione e la sostituzione del bene, in M. BIN - A. LUMINOSO, Le garanzie nella vendita dei beni di consumo, cit., p. 394) di un rimedio deve essere operato «obiettivamente»: così anche A. LUMINOSO, La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 587. 154 Si ritiene che il venditore, ove richiesto dell’esecuzione di un esatto adempimento secondo una modalità eccessivamente onerosa rispetto all’altra possibile, abbia il diritto di rifiutare di procedervi: G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 210. 155 R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 152, il quale mette altresì in luce come il giudizio di eccessiva onerosità sia funzionale a «delimitare gli oneri economici incombenti sull’alienante in séguito alla richiesta di regolarizzazione del bene, tramite la predisposizione di un sistema atto ad evitare che il consumatore abusi dei propri diritti, azionando una modalità di ripristino della conformità quando l’altra permetta di conseguire il medesimo risultato a costi significativamente minori». 278 CAPITOLO QUARTO pertanto, un requisito da interpretare in senso eminentemente relativo, risultando da un giudizio volto a comparare le conseguenze economiche derivanti dall’esecuzione dell’uno o dell’altro rimedio con quelle che conseguono all’esperimento dell’altro mezzo di tutela, al fine di verificare se l’uno comporti costi notevolmente maggiori e pertanto sproporzionati rispetto all’altro156, tenendo conto degli elementi descritti dal quarto comma dell’art. 130 c.cons. Stanti così le cose, onde identificare l’ampiezza della facoltà di ricorso ai rimedi del second’ordine, risulta di cardinale importanza chiarire se – come tende a ritenere parte autorevole della nostra letteratura157 – il giudizio comparativo imperniato sulla “sproporzione” delle conseguenze economiche derivanti in capo al venditore abbracci tutti i rimedi che la direttiva mette a disposizione del compratore, oppure al contrario – come suggerito da altra parte degli interpreti158 – si sostanzi in un raf156 In questo senso, R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 250 ss.; R. OMODEI-SALÈ, sub art. 130, in Comm. breve dir. cons. De Cristofaro - Zaccaria, cit., p. 852; A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 363; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 208. 157 Si veda, da ultimo, A. LUMINOSO, La vendita, in Tratt. Cicu - Messineo, cit., p. 588. Una simile esegesi, in sede di commento alla direttiva, era stata avanzata anche da G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 207 e W. FABER, Zur Richtlinie bezüglich Verbrauchsgüterkauf und Garantien für Verbrauchsgüter, in JBL, 1999, p. 428 i quali svalutavano l’espressione «in confronto all’altro rimedio» (posta invece dalla Corte di Giustizia a base della propria decisione sul tema de quo, di cui si dirà fra poco nel testo) sulla base dell’argomentazione secondo cui, limitando la comparazione a ciascun ordine di mezzi di tutela, la sostituzione non avrebbe mai potuto essere considerata sproporzionata ogni qual volta la riparazione fosse nel caso di specie non possibile, e viceversa, con notevole irrigidimento dell’apparato rimediale. Nel senso che il giudizio di eccessiva onerosità si debba articolare in due fasi successive – l’una relativa alla comparazione dei costi che il venditore dovrebbe affrontare per procedere alla sostituzione o alla riparazione con quelli che sarebbero a suo carico in caso di risoluzione o riduzione del prezzo, l’altra riguardante la verifica dei costi di ciascun rimedio primario rispetto all’altro – v. anche A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., p. 550. Si pronuncia in senso favorevole al confronto non soltanto fra rimedi primari, ma riguardo a tutti i mezzi di tutela, di recente, anche E.M. LOMBARDI, Garanzia e responsabilità nella vendita di beni di consumo, Milano, 2010, p. 384 ss. 158 Nel senso che la valutazione dell’eccessiva onerosità debba essere condotta attraverso la commisurazione rispetto al rimedio appartenente allo stesso grado gerarchico, cfr. STAUDINGER/A. MATUSCHE-BECKMANN, sub § 439, 14. Aufl., Berlin, 2004, Rn. 41; G. D’AMICO, La compravendita. I, in Tratt. CNN Perlingieri, Napoli, 2013, p. 507; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 9 s.; ID., Il sistema dei rimedi: risoluzione del contratto, riduzione del prezzo e pretesa risarcitoria, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14.15 settembre 2001, cit., p. 90, ove si valorizza lo stesso dato testuale della direttiva 1999/44/CE che si vedrà essere posto a base della decisione della Corte di Giustizia UE cui si farà riferimento poco infra nel testo, ossia la relatività del giudi- IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 279 fronto limitato ai mezzi rivolti a procurare l’adempimento successivo dell’obbligazione di conformità, cosicché, da un canto, anche la mera possibilità di esecuzione di uno soltanto di questi opererebbe quale automatica “concentrazione” della scelta del consumatore su tale mezzo di tutela e, dall’altro, soltanto la contestuale impossibilità159 sia della sostituzione sia della riparazione160 potrebbe dare adito – già in prima battuta – all’esercizio della riduzione del prezzo e della risoluzione. zio di sproporzione del rimedio, che l’art. 3, n. 3 afferma debba essere condotto con riferimento all’altro rimedio, e non in generale; R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali. II. Il regime delle “garanzie” nelle vendite al consumo, cit., p. 251, il quale fa leva sull’eterogeneità dei rimedi appartenenti alle due differenti categorie, ciò che però non pare costituire, di per sé, una ragione sufficiente a giustificare l’opzione interpretativa così operata, in quanto la diversa natura dei mezzi di tutela del compratore offerti dalla direttiva non osta ex se alla comparazione dell’onerosità di ciascuno di essi rispetto agli altri (ma v. anche L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 399 ss., secondo cui il concetto di onerosità potrebbe attagliarsi soltanto alla valutazione relativa di “prestazioni”, quali sono riparazione e sostituzione del bene, e non già a diritti potestativi, come invece debbono essere configurati la riduzione del corrispettivo e la risoluzione del contratto; sennonché, sembra di poter obiettare come la comparazione avuta di mira dal legislatore comunitario riguardi non già il rimedio in sé quanto le sue conseguenze economiche, la cui valutazione prescinde dalla natura giuridica della situazione soggettiva azionata). 159 L’impossibilità dell’esecuzione della riparazione ovvero della sostituzione avrà, normalmente, carattere materiale, ma non può escludersi la rilevanza di quella avente natura giuridica (così F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, cit., p. 436). 160 La sostituzione, in particolare, potrà senz’altro dirsi impossibile allorché il bene oggetto dello scambio abbia carattere infungibile (per tutti, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 77 e W. FABER, Handbuch zum neuen Gewärleistungsrecht, Wien, 2001, p. 121 s.), ciò che rende di particolare problematicità il trattamento dell’ipotesi in discorso riguardo alla compravendita di beni usati. Al riguardo sembra potersi concordare con C.W. CANARIS, L’attuazione in Germania della direttiva concernente la vendita di beni di consumo, in AA.VV., L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Alberto Trabucchi. Padova 14-15 settembre 2001, cit., p. 241, il quale avverte come il tenore del sedicesimo Considerando della direttiva (a mente del quale «la particolare natura dei beni usati ne rende generalmente impossibile la sostituzione» – corsivo nostro) non escluda in radice la facoltà del consumatore di richiedere la sostituzione di un bene usato, costituendo l’uso pregresso del bene null’altro che un’ulteriore caratteristica dello stesso, da considerare nella scelta del bene sostitutivo (così M. DI PIETROPAOLO, sub art. 1519-bis, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 129 s.). Peraltro, allorché il bene difettoso sia contraddistinto nella sua unicità proprio dall’uso pregresso che ne sia stato fatto (si pensi, ad esempio, alla Fender Stratocaster “Blackie” appartenuta a Eric Clapton o alla Mercedes 300 SL di Herbert von Karajan), la sostituzione sarà di regola impossibile. Ove il bene sia fungibile, invece, deve concordarsi con la dottrina maggioritaria circa l’irrilevanza della sua deduzione in contratto quale cosa generica o specifica (esattamente in questo senso, G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 203 s. e R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 247 s., il quale ultimo, però, ritiene che la fungibilità del bene debba essere valutata alla stregua di un criterio soggettivo, ri- 280 CAPITOLO QUARTO Riguardo a questo punto si è espressa, pochi anni or sono, la Corte di giustizia UE161, la quale è stata chiamata a pronunciarsi su due vicende processuali originatesi in Germania e relative a beni rivelatisi difettosi e non riparabili dopo essere stati installati162, con riferimento alle quali i chiamando la scelta operata dal legislatore tedesco con il nuovo § 439 BGB, laddove non ha trovato ingresso la limitazione della Nacherfüllung mediante Lieferung einer mangelfreien Sache ai soli casi di fungibilità dell’oggetto compravenduto). La riparazione, invece, è intrinsecamente impossibile allorché nessuna prestazione di facere possa ripristinare la conformità del bene di consumo consegnato (mutuiamo la definizione da G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 204), nonché nelle ipotesi in cui essa non possa radicalmente essere realizzata nei termini e con le modalità previste (i.e.: senza arrecare notevoli inconvenienti al consumatore e nell’arco di un congruo periodo di tempo dalla richiesta: art. 130, comma 5 c.cons.). 161 Cfr. Corte giust. UE, 16 giugno 2011, cause riunite C-65/09 e C-97/09, I. Putz e Gebr. Weber GmbH, la quale ha ritenuto contrastare con l’art. 3, n. 3 della direttiva 1999/44/CE la normativa nazionale che «attribuisca al venditore il diritto di rifiutare la sostituzione di un bene non conforme, unico rimedio possibile, in quanto essa gli impone, in ragione dell’obbligo di procedere alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e di installarvi il bene sostitutivo, costi sproporzionati tenendo conto del valore che il bene avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto di conformità». Sulla sentenza in discorso si vedano, ex plurimis, K. SEIN - P. KALAMEES, Recoverability of Removal and Installation Costs in Case of Defective Consumer Goods: How Would the Weber and Putz Case Be Solved under Common European Sales Law?, in GPR, 2011, p. 289 ss.; S. LORENZ, Ein- und Ausbauverpflichtung des Verkäufers bei der kaufrechtlichen Nacherfüllung. Ein Paukenschlag aus Luxemburg und seine Folgen, in NJW, 2011, p. 2241 ss.; C. EISENBERG, Aktuelle Entwicklungen zum Nacherfüllungsanspruch im Kaufrecht - bahnbrechende Entscheidungen von EuGH und BGH, in BB, 2011, p. 2634 ss.; H. SCHULTE-NÖLKE, Der EuGH gestaltet das Kaufrecht radikal um, in ZGS, 2011, p. 289 ss.; D. KAISER, EuGH zum Austausch mangelhafter eingebauter Verbrauchsgüter, in JZ, 2011, p. 978; F. MAULTZSCH, Der Umfang des Nacherfüllungsanspruchs gemäß Art. 3 VerbrGK-RL, Anmerkung zum Urteil des EuGH v. 16.6.2011 - verb. Rs. C-65/09 (Gebr. Weber GmbH/Wittmer) und C-87/09 (Putz/Medianess Electronics GmbH), in GPR, 2011, p. 235 ss.; J. LUZAK, Who should bear the risk of the removal of the non-conforming goods?, in EuVR, 2012, p. 35 ss.; C. D’ANGELO, La gratuità del rimedio specifico della sostituzione nella disciplina della vendita di beni di consumo: nota a Corte di Giustizia 16 giugno 2011, cause riunite C-65/09 e C-87/09, in www.comparazionedirittocivile.it, s.d.; A. JOHNSTON - H. UNBERATH, Joined Cases C-65/09 & C-87/09, Gebr. Weber GmbH v. Jürgen Wittmer and Ingrid Putz v. Medianess Electronics GmbH, Judgment of the Court of Justice (First Chamber) of 16 June 2011, in CMLR, 2012, p. 793 ss.; S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The Weber-Putz Case-Law - From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V. COLAERT, Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, Cambridge-Antwerp-Portland, 2013, p. 725 ss.; M. FORNASIER, Kaufrecht: Nacherfüllungsanspruch auf Aus- und Einbau nur bei Verbrauchsgüterkauf, in EuZW, 2013, p. 159; S. SZALAI - M. HOFMANN, Keine einheitliche (richtlinienkonforme) Auslegung des Kaufrechts, in VuR, 2013, p. 102 ss. (nota a BGH 17 ottobre 2012, VIII ZR 226/11, in NJW 2013, p. 220 ss., la quale ha escluso l’applicabilità del principio sancito dalla Corte di Giustizia alle vendite concluse fra imprenditori e fra consumatori). 162 In particolare, il procedimento Gebr. Weber GmbH concerneva la vendita di una partita di piastrelle le quali, a seguito della posa, si erano rivelate di lucidità e tono di colore non uniforme, sicché il consumatore era stato indotto a richiederne la sostituzione (essendo IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 281 giudici rimettenti hanno chiesto alla Corte di Lussemburgo di chiarire se il venditore, in primo luogo, possa rifiutare l’esecuzione del rimedio preteso dal consumatore, qualora esso gli imponga costi irragionevoli (“assolutamente sproporzionati”) tenendo conto del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità e dell’entità del difetto di conformità e, in secondo luogo, debba o meno farsi carico delle spese di rimozione del bene non conforme e di installazione di quello offerto in sostituzione. Con un dictum che ha incontrato copiose critiche, soprattutto nella dottrina tedesca163, la Corte di giustizia ha ritenuto, in primo luogo, che, qualora si interpretasse l’art. 3 della direttiva nel senso che questa non obbliga il venditore a farsi carico della rimozione del bene non conforme e dell’installazione del bene sostitutivo164, si avrebbe la conseguenza che il consumatore – per poter esercitare i diritti attribuitigli da tale articolo – dovrebbe sopportare tali spese aggiuntive derivanti dalla consegna, da parte del venditore, di un bene non conforme, ciò che si porrebbe in contrasto con il precetto di immunità da spese del ripristino della conformità sancito dall’art. 3, n. 3 della dir. 1999/44/CE165. Ma ciò che più imimpossibile la riparazione) e il rimborso delle spese di rimozione, mentre la causa innescata dalla signora Ingrid Putz riguardava la vendita di un elettrodomestico da incasso che, dopo essere stata installato, era risultato malfunzionante e impossibile da riparare: la Medianess Electronics GmbH aveva offerto la sostituzione del bene ma la signora Putz aveva preteso altresì la rimozione della res difettosa e l’installazione di quella sostitutiva o, in alternativa, il rimborso delle relative spese. 163 L’atteggiamento critico nei confronti delle conclusioni cui è giunta la Corte di giustizia UE è evidente nella maggior parte dei contributi citati alla nota 161; un giudizio globale in tal senso si può ritrovare in S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The Weber-Putz Case-Law From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V. COLAERT, Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, cit., p. 727, il quale scrive appunto che «the ECJ’s decision […] has almost unanimously been criticized by German literature, in part very harshly (less so in other countris)». 164 È appena il caso di notare come, anteriormente alla sentenza in argomento, dottrina e giurisprudenza germaniche fossero pacificamente orientate nel senso che sia i costi relativi alla rimozione del bene difettoso sia quelli di installazione della cosa sostitutiva potessero essere oggetto di rifusione da parte del venditore soltanto in forza di una domanda risarcitoria, fondata sulla colpa di quest’ultimo e non già sull’oggettiva mancanza di conformità dell’oggetto del contratto di vendita. Cfr. in proposito S. GRUNDMANN, Consumer Sales: The WeberPutz Case-Law - From Traditional to Modern Contract Law, in E. TERRYN - G. STRAETMANS - V. COLAERT, Landmark Cases of EU Consumer Law - In Honour of Jules Stuyck, cit., p. 727 s. 165 Ad avviso del Collegio, peraltro, indici in senso contrario non potrebbero essere dedotti neppure dall’uso del termine “Ersatzlieferung”, il quale in ipotesi – nel descrivere la prestazione cui è tenuto il venditore – farebbe riferimento alla sola consegna del bene sostitutivo e non già ad ulteriori operazioni anteriori o posteriori, quali la rimozione del bene viziato e l’installazione di quello nuovo: infatti, «per quanto riguarda il termine “sostituzione”, si deve rilevare che la sua esatta portata varia nelle diverse versioni linguistiche. Mentre in alcune di 282 CAPITOLO QUARTO porta ai nostri fini è che con il punto 71 della sentenza I. Putz e Gebr. Weber GmbH è stata definitivamente avvalorata la tesi secondo la quale il legislatore dell’Unione avrebbe «inteso attribuire al venditore il diritto di rifiutare la riparazione o la sostituzione del bene difettoso unicamente in caso di impossibilità o di sproporzione relativa166, sicché, nell’ipotesi in cui uno solo di tali due rimedi sia esperibile, il venditore non potrebbe rifiutare l’unico rimedio che consenta di ripristinare la conformità del bene al contratto». Pertanto sembra legittimo dedurre che, ad avviso del giudice europeo, l’eccessiva onerosità della sostituzione o della riparazione del bene richiesta dal consumatore possa consentire al professionista di rifiutare l’adempimento della misura richiesta soltanto qualora l’altro rimedio primario sia possibile e, comparativamente, quello prescelto dall’acquirente possa dirsi comportare un sacrificio economico irragionevole, ma giammai possa autorizzarlo a sottrarsi alla pretesa avanzata dal consumatore offrendo la riduzione del corrispettivo o la risoluzione del contratto. Infatti, qualora il mezzo di tutela primario fatto valere dal compratore imponga all’alienante «costi sproporzionati tenendo conto del valore che il bene avrebbe se fosse conforme e dell’entità del difetto di conformità», egli sarebbe comunque tenuto a darvi attuazione, potendo al più ottenere una proporzionale diminuzione dell’importo relativo alle spese di rimozione del bene difettoso e di installazione del bene sostitutivo da corrispondere alla controparte, che il giudice nazionale potrà operare tenendo conto, da un lato, del valore che il bene avrebbe ove fosse conforme e dell’entità del difetto e, dall’altro, della finalità di garanzia di un elevato livello di tutela dei consumatori che anima la direttiva. Ponendosi dal punto di vista del consumatore, sembra di poter evidenziare come la portata della pronuncia sia venata proprio di una partitali versioni, quali quelle in lingua spagnola (“sustitución”), inglese (“replacement”), francese (“remplacement”), italiana (“sostituzione”), olandese (“vervanging”) e portoghese (“substituição”), tale termine si riferisce all’operazione nel suo complesso, all’esito della quale il bene non conforme deve essere effettivamente “sostituito”, obbligando quindi il venditore a porre in essere tutto ciò che è necessario per ottenere tale risultato, altre versioni linguistiche, segnatamente quella in lingua tedesca (“Ersatzlieferung”), potrebbero suggerire una lettura leggermente più ristretta. Tuttavia, come rilevato dai giudici remittenti, anche in quest’ultima versione linguistica detto termine non si limita ad evocare la semplice consegna di un bene sostitutivo e potrebbe, al contrario, indicare l’esistenza di un obbligo di effettuare la sostituzione dello stesso al bene non conforme» (punto 54). 166 Il giudizio di sproporzione, pertanto, avrebbe sì natura eminentemente relativa, ma dovrebbe essere operato unicamente con riferimento ai rimedi primari giacché, ad avviso della Corte di Lussemburgo, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, non assicurando l’esatta esecuzione del programma negoziale, «non consentono di garantire lo stesso livello di protezione del consumatore garantito dal ripristino della conformità del bene» (punto 72). IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 283 colare attenzione alla ratio consumeristica della normativa167, giacché la Corte finisce per imporre l’esecuzione della sostituzione168, unico rimedio possibile fra quelli primari, in ragione della preferenza accordatagli dal consumatore e senza considerazione degli ingenti costi economici che esso comporta in capo al venditore169, anche in ragione del fatto che a costui è addossato l’obbligo di «procedere alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e ad installarvi il bene sostitutivo, ovvero a sostenere le spese necessarie per tale rimozione e per l’installazione del bene sostitutivo». Al contempo, ove letto a contrariis, il dictum parrebbe legittimare la conclusione secondo cui il consumatore non possa avvalersi direttamente dei rimedi secondari anche laddove uno di quelli primari sia impossibile da eseguire e l’altro appaia eccessivamente oneroso in riferimento al costo che il professionista dovrebbe sopportare ove fosse chiesta la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, dovendo comunque esperire il rimedio primario possibile. È, però, facile immaginare che quest’ultima eventualità costituisca senz’altro un’ipotesi recessiva, giacché è più che plausibile prevedere che, a fronte della volontà del consumatore di azionare direttamente una delle forme di tutela sussidiarie, ben difficilmente il venditore negherà il proprio consenso alla richiesta, evitando così le pesanti conseguenze economiche derivanti dal rimedio primario rimasto bensì possibile, ma comportante costi sproporzionati. Qualora, però, per qualsiasi ragione, non sia possibile ottenere il consenso del venditore all’esercizio di un rimedio del second’ordine, non sembra dubbio che l’opzione interpretativa avallata dalla Corte di Giustizia con la sentenza I. Putz e Gebr. Weber GmbH si traduca in un fattore di irrigidimento del sistema di tutela del consumatore, in quanto essa comporta l’impossibilità per costui di esercitare la riduzione del 167 Come già anticipato, è la stessa Corte di Giustizia a mostrare di ritenere che la scelta della direttiva di privilegiare i rimedi attraverso i quali è possibile il ripristino della conformità del bene al contratto si spieghi «per il fatto che, generalmente, i due ultimi rimedi sussidiari non consentono di garantire lo stesso livello di protezione del consumatore garantito dal ripristino della conformità del bene». 168 Poco sopra, si è evidenziata l’opinione dottrinale che ne censura l’imposizione in via preferenziale, in quanto funzionale alla tutela del solo interesse del professionista alla conservazione dell’operazione economica. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia nella pronuncia in parola, viceversa, sembra potersi evidenziare come l’imposizione della sostituzione si sia rivelata piuttosto funzionale alla tutela dell’interesse del consumatore, al quale – ove la considerazione dell’eccessiva onerosità dei rimedi fosse stata estesa anche alla comparazione con le tutele sussidiarie – sarebbe stata riconosciuta, con ogni probabilità, la sola riduzione del prezzo ovvero la risoluzione del contratto. 169 In sostanza, pertanto, la possibilità di uno soltanto dei rimedi primari opera quale automatica “concentrazione” della scelta sul rimedio non impossibile, anche ove eccessivamente oneroso per il professionista rispetto ai rimedi secondari. 284 CAPITOLO QUARTO prezzo o la risoluzione del contratto, in tutte le ipotesi in cui almeno una fra riparazione e sostituzione sia possibile. Ovviamente, il ricorso ai rimedi sussidiari – benché reso arduo in via diretta dalla descritta posizione della Corte di Lussemburgo – rimane sempre possibile in seconda battuta, allorché il professionista non provveda tempestivamente all’esecuzione della riparazione o della sostituzione richieste dal consumatore170 ovvero queste ultime, benché realizzate, abbiano arrecato notevoli inconvenienti all’acquirente [art. 130, comma 7, lett. b) e c)]. L’esecuzione del rimedio ripristinatorio richiesto dal compratore deve infatti avvenire entro quello che l’art. 130, comma 5, c.cons. definisce un «congruo termine»171, decorrente dal momento dell’effettuazione della scelta172, sicché non solo il comportamento volutamente dilatorio del professionista, ma pure i ritardi imputabili alla sua negligenza o imperizia rilevano al fine di affermarne l’inadempimento sotto il profilo in discorso173. Più complicata è, invece, la definizione di cosa la legge intenda laddove fa riferimento a “notevoli inconvenienti” derivanti dalla sostitu170 In giurisprudenza, in applicazione di questa regola v. Giud. pace Roma, 1° marzo 2006, in www.consumerlaw.it e Trib. Modena, 30 agosto, 2008, in Obblig. e contr., 2009, p. 78 s., i quali hanno dato ingresso alla richiesta – rispettivamente – di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo, a seguito della mancata sostituzione del bene da parte del professionista. È, invece, discusso se, a seguito del ritardo del professionista nell’esecuzione del rimedio scelto dal consumatore, questi possa soltanto optare per la risoluzione o la riduzione del prezzo, ovvero abbia facoltà di domandare l’esecuzione della misura ripristinatoria non azionata in precedenza: sul punto si vedano, per la soluzione più liberale, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 77, e per quella restrittiva, A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 366, nt. 134. 171 La congruità del termine deve essere valutata, ad avviso dell’opinione maggioritaria (cfr. R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 187 e M.G. CUBEDDU, sub art. 1519-quater, in S. PATTI, Commentario sulla vendita di beni di consumo, Milano, 2004, p. 263), mediante un giudizio di ragionevolezza, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti e della necessità di operare un bilanciamento degli interessi delle parti, senza che l’impiego dell’aggettivo “congruo” riferito al termine in parola possa consentire di dare ingresso nella materia de qua alla rigida determinazione minima contenuta nell’art. 1454 c.c. (sul punto, v., peraltro, le preoccupazioni mostrate da A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 77). 172 Pertanto, il legislatore italiano, da un canto, ha pertanto provveduto a precisare il dies a quo di decorrenza del termine rilevante ai fini della valutazione di tempestività e, dall’altro, ha modificato il riferimento alla “ragionevolezza” operato dalla direttiva in quello alla “congruità”. 173 Ad avviso di F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, cit., p. 438 e R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 188 il venditore ha, in ogni caso, l’obbligo (discendente dal principio generale di buona fede nell’esecuzione dei rapporti contrattuali) di informare il consumatore del tempo necessario all’esecuzione del rimedio da questi prescelto. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 285 zione o riparazione già effettuata, scontrandosi sul punto ricostruzioni assai divaricate fra loro174. Secondo l’orientamento che sembra preferibile175, la locuzione in discorso dovrebbe intendersi fare riferimento a tutte le inesattezze della prestazione ripristinatoria da eseguirsi da parte del professionista aventi natura diversa dal ritardo nell’esecuzione della sostituzione o della riparazione. Ne consegue che la ricorrenza dell’ipotesi contemplata dalla lett. c) dell’art. 130, comma 7 c.cons.176 si traduce nel comportamento del professionista il quale, in esito alla sostituzione o al tentativo di riparazione, fornisca al consumatore un bene ancora affetto da difetti di conformità. Al di là delle espresse previsioni di legge, sembra peraltro di poter inferire ulteriori ipotesi al verificarsi delle quali il consumatore è legittimato all’esercizio della riduzione del prezzo o della risoluzione del contratto di vendita. Infatti, non è dubbio che egli possa esercitare il rimedio sussidiario che prediliga qualora il professionista faccia constare il proprio rifiuto all’esecuzione della riparazione o della sostituzione richiesta, salvo che il rifiuto debba considerarsi fondato in ragione della impossibilità o eccessiva onerosità del rimedio scelto177 ovvero già a priori le pre174 Oltre all’orientamento che riteniamo preferibile, per il quale si legga infra nel testo, si segnala l’opinione secondo la quale i “notevoli inconvenienti” dovrebbero essere identificati nelle ipotesi in cui, ottenuta bensì la piena conformità del bene a seguito della sostituzione o della riparazione, il professionista possa dirsi non avere salvaguardato – in tale fase – gli interessi del compratore, violando con ciò i doveri di protezione su di lui incombenti (così L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 410), nonché quella che ritiene di poterli identificare senz’altro nelle circostanze che, pur non incidendo sulla conformità del bene, comportino un inconveniente attinente alla perdita di valore dello stesso ovvero a sopravvenienze che ledano l’interesse del consumatore riguardo alla cosa (in questo senso, M. COSTANZA, sub art. 130, in C.M. BIANCA, La vendita di beni di consumo. Commentario, Padova, 2006, p. 220). 175 Per il quale v. per tutti, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 89 ss. 176 Sembra, però, opportuno precisare, aderendo in ciò alla ricostruzione prospettata da R. CAMPIONE, La sostituzione del bene nella vendita, cit., p. 189 ss., che il significato dell’espressione “notevoli inconvenienti” è suscettibile di variare a seconda del contesto in cui viene utilizzata, giacché essa allude al risultato insoddisfacente della sostituzione e della riparazione nel contesto dell’art. 130, comma 7, mentre pare fare riferimento ai disagi, pericoli, incomodi e fastidi, purché di rilevante entità, che la riparazione o la sostituzione sono idonee ad arrecare al consumatore, compromettendone eventualmente lo stesso interesse alla ricezione del bene reso conforme, nel caso dei commi 4 e 5 dello stesso art. 130 c.cons. 177 Coerentemente con questa fondamentale osservazione, d’altronde, il legislatore tedesco ha espressamente previsto al § 440 nF BGB che «außer in den Fällen des § 281 Abs. 2 und § 323 Abs. 2 bedarf es der Fristsetzung auch dann nicht, wenn der Verkäufer beide Arten der Nacherfüllung gemäß § 439 Abs. 3 verweigert […]». L’opinione, peraltro, nell’ordinamento italiano, appare sedimentata a livello dottrinale: cfr., per tutti, L. GAROFALO - A. RO- 286 CAPITOLO QUARTO stazioni ripristinatorie appaiano insuscettibili di essere portate a compimento entro un periodo di tempo ragionevole e in assenza di rilevanti inconvenienti per il consumatore178. Peraltro, con riferimento a queste seconde eventualità, stante – diversamente dall’ipotesi di rifiuto – l’impossibilità di ravvisare un dato certo al quale ancorare la loro verificazione, riguardante un giudizio prognostico di possibile ardua formulazione, se può senz’altro convenirsi sull’indubbia rilevanza delle fattispecie in cui è oggettivamente certo o altamente probabile il verificarsi del ritardo ovvero degli inconvenienti in parola179, più problematica appare, già prima facie, la diversa ipotesi in cui sia l’affidamento del consumatore nelle capacità di adempimento del professionista a essere ormai compromesso, senza che possa però operarsi una valutazione attendibile in termini di certezza o probabilità di insuccesso del tentativo di Nacherfüllung. Il problema è stato affrontato, a livello generale, dal legislatore germanico, il quale – con il § 323, comma 2, n. 3 nF BGB – ha consentito a ogni creditore di ottenere direttamente il recesso laddove la prestazione inizialmente effettuata sia inesatta o sia mancata e «particolari circostanze giustifichino, in considerazione degli interessi di ambedue le parti, il recesso immediato»180. Sebbene una così ampia facoltà di accesso ai rimedi sussidiari, con ogni probabilità, non possa essere predicata con riferimento al nostro diritto, né paia pienamente compatibile con la disciplina europea, essa può cionondimeno costituire una valida linea-guida qualora se ne limiti l’ambito applicativo alle ipotesi in cui l’inadempiDEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 405 e R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 286. Ad avviso di A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 87 il fondamento di tale conclusione dovrebbe essere ravvisato nell’operare della decadenza del professionista dal beneficio del termine, sicché a seguito del rifiuto dovrebbe ritenersi realizzata l’ipotesi di cui alla lett. b) del comma 7 dell’art. 130 c.cons., con l’ovvia conseguenza della praticabilità immediata dei rimedi secondari. 178 L’intuizione si trova già in G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 205. Nello stesso senso, v. altresì R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 287 e, nella dottrina germanica, D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 55. 179 Così, infatti, v. ancora G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 205 e, più di recente, L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 406 s., i quali, peraltro, si riferiscono in generale al «concreto pericolo» che al consumatore possano derivare, dal tentativo di ripristino della conformità, notevoli inconvenienti o ingiustificati ritardi. 180 Sul punto, cfr. S. LORENZ, Arglist und Sachmangel - Zum Begriff der Pflichtverletzung in § 323 V 2 BGB, in NJW, 2006, p. 1925 ss.; BECKOK/H. SCHMIDT, sub § 323 BGB, in BeckOnline, Rn. 28 ss.; nella manualistica, D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Allgemeiner Teil, München, 2010, p. 227 ss. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 287 mento del professionista sia stato caratterizzato da gravità e circostanze tali da compromettere seriamente l’affidamento che l’uomo medio può riporre nelle possibilità di adempimento del proprio debitore181. Soltanto la realizzazione delle situazioni descritte nelle pagine che precedono consente al consumatore l’esercizio dei c.d. rimedi secondari, i quali si pongono – in linea di principio – sullo stesso piano, non sussistendo tra essi una graduazione gerarchica182. Infatti, fra essi il legislatore non pone preferenze di sorta, benché una parte della dottrina abbia ritenuto di poter argomentare la priorità del rimedio della riduzione del prezzo sulla base del principio di conservazione del contratto183. Non sembra, però, che tale preferenza sia in concreto ravvisabile, giacché l’indubbio favor per la conservazione dell’operazione economica, sotteso alla normativa di settore, si limita a riverberarsi nella necessaria priorità di azionamento dei rimedi ripristinatori, ma non si spinge a influenzare l’ulteriore profilo attinente al rapporto fra le tutele di second’ordine. Piuttosto, il vero limite alla piena concorrenza dei due rimedi secondari – che si traduce nel riconoscimento di un campo di applicazione notevolmente più ampio alla riduzione del corrispettivo, rispetto alla risoluzione – è indotto dal fatto che, per espressa previsione dell’art. 130, comma 10 c.cons., «un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto». Tale previsione si discosta in maniera significativa dalla formulazione della direttiva 1999/44/CE, la quale si limita a prevedere che la conseguenza della privazione del rimedio risolutorio consegua tout court alla sussistenza di un difetto di conformità minore. In primo luogo, pertanto, l’espressione «difetto di conformità minore» è stata mutata, in 181 Sostanzialmente in questo senso R. CALVO, Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, cit., p. 287, il quale richiama la regola vigente in tema di risoluzione del contratto di somministrazione (art. 1564 c.c.). Per i limiti applicativi della disposizione nel diritto tedesco, v. MÜNCHKOMM-BGB/W. ERNST, sub § 323 BGB, 6. Aufl., München, 2012, Rn. 79. 182 Cfr. A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 10; M. COSTANZA, sub art. 130, in C.M. BIANCA, La vendita di beni di consumo. Commentario, cit., p. 221 s.; F. BOCCHINI, sub art. 1519-quater, in ID., La vendita di cose mobili, in Comm. Schlesinger - Busnelli, Milano, 2004, p. 452; G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI, I contratti dei consumatori, in Tratt. contratti Rescigno - Gabrielli, cit., p. 1045 ss.; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II. Besonderer Teil, cit., p. 42 s. e 59; S. JANSEN, Price reduction as a remedy in European contract law and the consumer acquis, in A.L.M. KEIRSE - M.B.M. LOOS, Alternative ways to Ius Commune. The Europeanisation of private law, cit., p. 175 ss. 183 In questo senso, v. C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita di beni di consumo. Commentario, Padova, 2006, p. 206, ove si legge che «tra un rimedio che rettifica il contratto e un rimedio che lo estingue la preferenza è accordata al primo». 288 CAPITOLO QUARTO sede di attuazione, nel senso dell’adozione della diversa dizione avente riguardo a un «difetto di conformità di lieve entità», ciò che, però, non sembra comportare divergenze riguardo all’ambito di applicazione della disposizione. Invero, nell’uno e nell’altro dettato è evidente come il legislatore si riferisca al medesimo concetto, circoscrivendo la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita ai casi in cui il difetto di conformità non abbia scarsa importanza. L’opzione di fondo del legislatore comunitario non coincide con quella che anima la Convenzione di Vienna del 1980, ove la risoluzione del contratto [art. 49, comma 1, lett. a), CISG] è sottoposta al severo limite della ricorrenza di un fundamental breach of contract (come definito dall’art. 25 CISG), ciò che sembra costituire nozione decisamente più rigorosa di quella cui allude il dettato della norma europea, inconciliabile con la ratio consumeristica del provvedimento. Sembra piuttosto che la scelta della direttiva di non definire compiutamente il concetto di «difetto di conformità non minore»184 sia stata senz’altro consapevole, mossa probabilmente dall’intento di consentire la concreta individuazione dei contenuti e dei confini della limitazione in parola in sede di recepimento, attraverso l’utilizzo di nozioni e categorie proprie di ciascun ordinamento185. Proprio in quest’ottica sembra essersi mosso, dal punto di vista in argomento, il legislatore italiano, il quale – come visto – ha precisare la nozione offerta dall’art. 3, par. 6 della direttiva attraverso il riferimento alla “lieve entità”, che sembra rimandare allo scrutinio di “non scarsa importanza” dell’inadempimento cui rimanda l’art. 1455 c.c. in tema di risoluzione del contratto per inadempimento. Peraltro, la pertinenza del riferimento al concetto di importanza del184 Merita di essere segnalato come, rispetto al contratto di appalto, la difformità del criterio rilevante ai sensi dell’art. 130, comma 10, c.cons. per identificare le ipotesi in cui risulta possibile l’esperimento del rimedio risolutorio sia assai più pronunciata di quanto si vedrà tra poco accadere riguardo all’ordinaria disciplina della vendita, poiché l’art. 1668, comma 2, c.c. richiede a tal fine che «le difformità o i vizi dell’opera [siano] tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione», con ciò ponendo un criterio più consonante con quello adottato dalla Convenzione di Vienna del 1980. L’osservazione è comune in dottrina: per tutti, cfr. L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 443. 185 In questo senso si pronunciava già G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 211, il quale preconizzava la possibilità che l’attuazione della disposizione e la sua concreta applicazione avvenissero in consonanza con le tendenze interpretative e applicative correnti in sede nazionale riguardo alle disposizioni di diritto interno avente contenuto simile a quello della disposizione in parola, facendo riferimento – ad esempio – alla nozione di unerhebliche Minderung des Wertes oder Tauglichkeit dell’(ora abrogato) § 459, comma 1, aF BGB. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 289 l’inadempimento186 è stata messa in dubbio187 sulla base della considerazione secondo cui il requisito posto dalla direttiva e dalla disposizione di attuazione avrebbe carattere rigidamente oggettivo, riferendosi eminentemente e direttamente alla condizione del bene e, in particolare, all’entità del difetto, senza considerazione per l’aspetto del pregiudizio cagionato all’interesse del compratore richiamato, invece, dalla norma codicistica. Secondo l’interpretazione in discorso, quindi, il riscontro della “lieve entità” del difetto non richiederebbe affatto un autonomo accertamento delle conseguenze pregiudizievoli derivanti al creditore dalla sussistenza della mancanza di conformità della cosa, bensì si dovrebbe esaurire nell’oggettiva valutazione del difetto, «innalzandone la soglia di apprezzabilità, ai fini della risoluzione del contratto, alle ipotesi di più grave incidenza sul valore o sulla funzionalità del bene»188. Pertanto, la locuzione utilizzata dalla direttiva verrebbe a svolgere lo stesso ruolo rivestito, rispetto alla nozione di vizio di cui all’art. 1490 c.c., dalla “apprezzabilità” della diminuzione del valore e dalla “inidoneità” all’uso, ponendo il limite di rilevanza della fattispecie del difetto di conformità ai fini della richiesta del rimedio risolutorio. Sennonché sebbene, da un canto, la tesi esposta colga senz’altro nel segno allorché evidenzia la necessità di un giudizio attinente direttamente alla misura oggettiva della gravità del difetto, al contempo, non può sfuggire come l’adozione di detta prospettiva non possa prescindere dalla considerazione delle ripercussioni (queste sì, soggettive) che detto difetto provochi nella sfera giuridica del consumatore, sicché non appare affatto errato il richiamo alla considerazione dell’interesse del compratore sotteso al riferimento all’art. 186 Sul quale v., in generale, M.G. CUBEDDU, L’importanza dell’inadempimento, Torino, 1995, passim; G. COLLURA, Importanza dell’inadempimento e teoria del contratto, Milano, 1992, passim; di recente, P. GALLO, L’inadempimento, in ID., Trattato del contratto, III, Torino, 2010, p. 2113 ss. 187 Si vedano le perplessità manifestate da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 438 s. 188 La citazione è tratta proprio da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 439. 189 L’interpretazione del requisito dell’importanza dell’inadempimento e, correlativamente, la ricostruzione del criterio di valutazione della medesima è ormai sedimentata nella giurisprudenza di legittimità proprio nel senso della preferenza per una valutazione oggettiva dell’inadempimento, cui però si unisce indefettibilmente la considerazione dell’incidenza della mancata o inesatta prestazione in ordine all’interesse soggettivo della controparte: Cass. 9 agosto 1982, n. 4457; Cass. 1° ottobre 1984, n. 4841; Cass. 5 marzo 1987, n. 2345; Cass. 24 ottobre 1988, n. 5755; Cass. 28 marzo 1995, n. 3669; Cass. 26 luglio 2000, n. 9800; Cass. 7 febbraio 2001, n. 1773. 290 CAPITOLO QUARTO 1455 c.c.189. Invero, soltanto nelle ipotesi di macroscopica rilevanza del vizio, la valutazione dell’incidenza di questo può essere condotta in maniera indipendente dalla considerazione delle conseguenze che l’esistenza di detta difformità produce rispetto all’interesse del compratore, mentre nelle ipotesi in cui la portata di questa non abbia tali caratteri di evidenza, lo scrutinio di rilevanza deve essere condotto avendo riguardo al grado di incidenza del difetto riguardo all’interesse del compratore190. Ne consegue che ben difficilmente la valutazione della gravità del difetto può prescindere dalla considerazione dell’interesse del compratore, giacché la levità del vizio – al contrario dell’inidoneità all’uso cui la cosa è (si potrebbe dire) normalmente destinata – sembra difficilmente definibile in via assoluta, necessitando di essere precisata in relazione alle legittime aspettative del compratore. Pertanto, pare che le contrapposte tesi in argomento debbano piuttosto compendiarsi nel senso della scissione del giudizio di “levità” del difetto in due fasi logicamente distinte: la prima, consistente nell’accertamento dell’effettiva sussistenza di una difformità della cosa rispetto alla previsioni contrattuali e nell’eventuale presa d’atto della sua incidenza non macroscopica; la seconda, vertente sulla verifica della concreta, significativa rilevanza del difetto riguardo all’interesse del compratore. Ogni qual volta a tale analisi conseguano valutazioni negative in ordine a entrambe le fasi, la risoluzione del contratto non potrà che considerarsi preclusa, residuando al consumatore deluso la sola via della riduzione del corrispettivo191. Il dettato dell’art. 130, comma 10, c.cons. solleva, peraltro, ben più gravi ragioni di perplessità riguardo alla precisazione – non presente nel testo della direttiva e inserita dal legislatore nella disposizione de qua – secondo cui il diritto alla risoluzione del contratto verrebbe meno per il consumatore allorché il bene sia affetto da un difetto di conformità non 190 Un esempio può aiutare a chiarire la nostra posizione. Ove Tizia acquisti presso una rinomata merceria una certa quantità di pregiata seta al fine di farne un vestito, il fatto che tale stoffa sia caratterizzata da lievi nuances di colore che la rendano disomogenea deve essere considerato senz’altro alla stregua di un difetto di non lieve importanza, in quanto frustra la finalità dell’impiego soggettivamente avuto di mira dall’acquirente, pur possedendo – alla stregua di un criterio oggettivo – i caratteri di difformità di difficile apprezzamento. Al contrario, laddove Caio si determini all’acquisto di una partita di stoffe onde trarne panni da utilizzare nell’espletamento di pulizie domestiche, il medesimo difetto non potrà che risultare irrilevante sia alla stregua del criterio oggettivo sia in base a quello soggettivo. 191 Com’è agevole intuire, quindi ove il consumatore riceva la consegna di un bene affetto da un difetto di conformità lieve e il venditore non abbia posto rimedio alla difformità tramite la riparazione o la sostituzione, questi potrà fare ricorso alla sola riduzione del prezzo, residuando la concorrenza – e pertanto la facoltà di scelta – fra tale mezzo di tutela e la risoluzione del contratto nella sola ipotesi di sussistenza di un difetto non lieve. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 291 lieve e per lo stesso «non [sia] stato possibile o [sia] eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione». La locuzione in parola, nel ricollegare alla mancata esecuzione dei rimedi ripristinatori derivante soltanto da impossibilità o eccessiva onerosità degli stessi la conseguenza della privazione del consumatore della facoltà di ottenere lo scioglimento del rapporto, sembra escludere che detta conseguenza possa prodursi allorché la riparazione o la sostituzione del bene non siano avvenute entro un congruo termine oppure siano state operate arrecando notevoli inconvenienti al compratore. Così opinando, infatti, se ne dovrebbe concludere che il legislatore italiano abbia inteso limitare l’area di esercizio esclusivo della riduzione del corrispettivo, creando una disparità di trattamento fra ipotesi che lo stesso art. 130, comma 7, c.cons. considera equivalenti in vista dell’accesso ai rimedi sussidiari192. Peraltro, tale disparità di trattamento sembra non essere irragionevole. Al contrario, essa – oltre a garantire un più elevato livello di tutela del consumatore193, ciò che ne rende senz’altro legittima l’esistenza ai sensi dell’art. 8, paragrafo 2 della direttiva – può con ogni probabilità essere considerata quale strumento di un razionale fine di differenziazione fra l’ipotesi in cui il difetto di conformità sia non emendabile attraverso la sostituzione o la riparazione della cosa e quella, opposta, in cui appaia praticabile il procedimento di ripristino del bene, ma esso non si realizzi per un fatto riconducibile alla sfera del venditore, quale l’irragionevole ritardo, ovvero si realizzi arrecando notevoli inconvenienti al compratore. Ove si consideri tale aspetto, la scelta operata dal legislatore italiano, benché forse non del tutto consapevole194, si vena addirittura di opportunità, in quanto in queste seconde eventualità la concessione al consumatore, nonostante la levità del difetto, del rimedio risolutorio si atteggia a misura (lato sensu) sanzionatoria nei confronti della condotta del professionista il quale, pur potendo procedere al ripristino della 192 Si pronuncia, invece, per un’interpretazione della disposizione in parola aderente al dettato della direttiva, M.G. CUBEDDU, sub art. 130, in C.M. BIANCA, Commentario alla vendita di beni di consumo, in le nuove leggi civili commentate, 2006, p. 281, ad avviso della quale l’unico indice rilevante al fine di sceverare fra le ipotesi di impraticabilità del rimedio risolutorio e quelle in cui permane la libera scelta del consumatore fra i rimedi sussidiari sarebbe quello relativo alla sussistenza o meno di un difetto di conformità lieve della cosa. 193 In questo senso, v. A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 95. 194 Il dubbio è sollevato anche da L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 441, i quali ritengono plausibile che il legislatore italiano, in realtà, intendesse soltanto «ribadire la sussidiarietà della risoluzione del contratto rispetto alla coppia di rimedi riparazione/sostituzione». 292 CAPITOLO QUARTO conformità del bene, abbia compromesso con il proprio comportamento l’attuazione di questo195. A conclusione dell’indagine relativa all’ambito di operatività dei rimedi secondari e, in particolare, di quello della riduzione del corrispettivo sembra opportuno porre l’accento sul fatto che l’opzione di fondo della direttiva 1999/44/CE ha contemporaneamente ridotto l’ambito di applicazione della tutela foggiata sul modello dell’azione estimatoria, avendo espresso una spiccata preferenza di principio per i rimedi ripristinatori della conformità del bene la quale si è tradotta nell’affermazione della sussidiarietà dei rimedi tramandatici dall’esperienza giuridica romana, ma al contempo sembra avere rovesciato i termini del rapporto fra redibizione e riduzione del prezzo a favore di questo secondo rimedio. Attraverso la previsione dell’art. 6, paragrafo 6, la direttiva rende palese come lo specifico favor per le tutele ripristinatorie si inscrive, in realtà, in un più ampio disegno volto a valutare lo scioglimento del contratto in conseguenza del difetto di conformità quale extrema ratio resa disponibile per le sole fattispecie in cui l’inadempimento dell’obbligazione di conformità gravante sul venditore assuma contorni di particolare gravità, altrimenti rendendosi disponibile la sola tutela riequilibratoria dell’economia della pattuizione. Tale, infatti, è il significato della negazione della risoluzione con riferimento a tutte le ipotesi in cui il difetto di conformità appaia di lieve gravità. Ciò che, però, forse ancor più importa sottolineare, in esito all’analisi del complessivo strutturarsi del sistema della “garanzia europea”, è come, nel disegno di tale sistema, alla riduzione del prezzo sia assegnato il ruolo di rimedio elettivo per l’attuazione dell’istanza perequativa della situazione giuridica delle due parti del contratto di vendita di beni di consumo, sinora in molti casi frustrata – nel nostro ordinamento – dalla soglia di rilevanza del vizio redibitorio. Intendiamo dire, cioè, che la posizione della definizione di difetto di conformità quale concetto riassuntivo di ogni e qualsiasi difformità fra le caratteristiche materiali (quantitative e qualitative) del bene concretamente consegnato e quelle pattuite dai contraenti nel contratto consente di ritenere rilevanti, ai fini dell’attivazione della garanzia, non soltanto le difformità le quali comportino l’inidoneità del bene all’uso ovvero un apprezzabile diminuzione del suo valore, ma – appunto – anche le carenze o le discrepanze di lieve entità o addirittura bagatellari, e che la riduzione del corrispettivo sembra essere 195 Per quest’opinione cfr. anche L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 442 e, in precedenza, A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 95. IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 293 il mezzo di tutela foggiato per dare ingresso a tali fattispecie nel sistema di tutela creato dalla direttiva. Invero, se è indubbio che anche con riferimento a tali tipologie di difetti di conformità si ripropone la primazia dei rimedi ripristinatori, appare peraltro innegabile come la richiesta di riparazione e, ancor più, di sostituzione della cosa avanzata dal compratore con riferimento all’ipotesi di difformità lievi o lievissime incapperà, il più delle volte, in un giudizio di sproporzione del rimedio per via della sua eccessiva onerosità in relazione alla incidenza concreta del vizio sulle qualità della cosa e sulla sua idoneità a soddisfare gli interessi avuti di mira dal compratore. Se è così, indisponibile per definizione il rimedio risolutorio, al consumatore si spianerà la strada del ricorso alla riduzione del prezzo, la quale verrà appunto a svolgere pienamente, anche in questi casi, il proprio ruolo di mezzo di tutela dell’equilibrio contrattuale soggettivamente definito dalle parti in sede di conclusione del contratto. Tale ruolo, attuabile soltanto per le fattispecie più “gravi” con riferimento alla garanzia per vizi di diritto comune, in ragione della soglia minima di rilevanza del vizio redibitorio, viene invece a costituire pienamente la cifra distintiva del rimedio nell’economia del sistema della garanzia in tema di vendita di beni di consumo, consentendo la conservazione dello scambio fra le parti, e consentendola nelle medesime proporzioni stabilite dagli stessi contraenti, con riferimento all’intera gamma di difetti di conformità. 3.2. L’ininfluenza di perimento, trasformazione, deterioramento e alienazione sul diritto del consumatore alla risoluzione del contratto Nel tracciare i rispettivi ambiti di applicazione dei rimedi secondari, la direttiva – e, con essa, la normativa italiana di recepimento – non sembra delineare ulteriori elementi di diversità rispetto a quanto sancito dall’art. 3, comma 6 (nel diritto interno, dall’art. 130, comma 10, c.cons.) e, in particolare, è silente riguardo al tema dell’impossibilità di “redibizione” del bene conseguente alla sua alienazione o trasformazione, ovvero al suo perimento o deterioramento, risolto dalla disciplina della vendita di diritto comune attraverso la previsione del più volte citato art. 1492, comma 3, c.c.196. Come si è visto al par. 1, tale ultima disposizione 196 La lacuna è stata segnalata, già in sede di commento alla direttiva, da G. DE CRIDifetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., p. 201, nt. 34 (ove l’A. nota come il considerando n. 15 della direttiva 1999/44/CE preveda espressamente che le «modalità particolari» – sul punto appare assolutamente errata la traduzione italiana, la quale fa riferimento ad «accordi dettagliati» – della risoluzione del contratto possano essere determinate dai diritti nazionali) e da A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della Direttiva STOFARO, 294 CAPITOLO QUARTO consente l’esercizio dell’azione di risoluzione al compratore di cosa viziata soltanto qualora costui sia materialmente in condizione di restituirla al venditore, salvo il solo caso in cui l’impossibilità di restituzione sia cagionata dal perimento della cosa in conseguenza dei vizi che la affliggono. Qualora la regola in discorso possa essere estesa anche alla disciplina delle vendite di beni di consumo, la riduzione del corrispettivo verrebbe ad assumere un’estensione applicativa ancor maggiore rispetto a quella propria della risoluzione, a differenza di quest’ultima potendo trovare accoglimento non solo nelle ipotesi in cui i difetti del bene abbiano carattere minore ma pure allorché la restituzione di questo non sia possibile. A questo riguardo, la dottrina ha manifestato posizioni diverse e articolate, fra cui è sembrata rimanere minoritaria l’opinione di quanti ritengono che, pur in assenza di un espresso richiamo a tale limitazione, il perimento del bene, ove dovuto a causa non imputabile al tradens, costituisca un limite immanente al sistema197, il quale pertanto non consentirebbe al consumatore l’esperimento del rimedio risolutorio. Secondo la tesi in discorso, infatti, opinare diversamente significherebbe, da un canto, sacrificare in maniera eccessiva l’interesse del venditore198 e, dall’altro, porsi in contrasto con il principio generale (ricavabile dallo stesso n. 1999/44CE «su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», in Studium iuris, 2000, p. 265 s. Approfonditamente, sul punto, R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 143 ss. le cui conclusioni sono brevemente ripetute in ID., sub art. 130, in Comm. dir. cons. De Cristofaro Zaccaria, Padova, 2013, p. 853 ss. Cfr., altresì, tra i molti contributi che hanno toccato l’argomento: A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 11 s.; A. ZACCARIA - G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, cit., p. 96 ss.; L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 424 ss.; A. NICOLUSSI, Recensione a «L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo», in Europa dir. priv., 2003, p. 454 ss. 197 Abbiamo sopra tentato di argomentare come, a nostro avviso, tale impossibilità non costituisca affatto un limite generale immanente al rimedio risolutorio, ma – per una consapevole scelta del legislatore del 1942, influenzata dall’origine storica della garanzia per vizi – abbia informato la definizione dell’ambito di operatività dell’azione redibitoria concessa dal codice civile al compratore di beni viziati. Deve, pertanto, essere verificato in questa sede se tale opzione meriti di essere conservata anche con riferimento alla vendita di beni di consumo o debba piuttosto ritenersi ad essa estranea. 198 In tal senso, F. RUSCELLO, Le garanzie post-vendita nella Direttiva 1999/44/CE del 15 maggio 1999, in Studium iuris, 2001, p. 838 s., ad avviso del quale «non sempre il consumatore e la realizzazione del suo interesse possono essere assunti a parametro di riferimento assoluti dell’interpretazione del fatto […]. Per quanto, infatti, si voglia tutelare la situazione del consumatore, sembra che sia indispensabile sempre e comunque fare ricorso ai princìpi che, per espressione di valori fondamentali, non si possono applicare solo nei confronti di uno dei soggetti del rapporto obbligatorio senza contravvenire al principio di eguaglianza […]. Si pensi ai doveri di correttezza […] e di buona fede […]». IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRATTUALE 295 art. 1492 c.c. nonché da altri indici normativi anche sovranazionali, quale ad esempio l’art. 82, comma 1 della CISG) secondo cui tra risoluzione e possibilità di restituzione sussisterebbe una connessione ineludibile, sicché la prima sarebbe percorribile soltanto allorché sia possibile la restitutio in integrum della cosa «in uno stato sostanzialmente uguale» a quello in cui la stessa si trovava al momento della consegna199 (c.d. Prinzip der unversehrten Rückgabe200). In un ordine d’idee opposto, il tentativo di porre un’actio finium regundorum fra i due rimedi riguardo alle ipotesi in discorso è stato da molti operato sulla base dell’esatta considerazione secondo cui il riconoscimento – mediante l’applicazione diretta201 o analogica dell’art. 1492, comma 3, c.c. alla disciplina delle vendite mobiliari al consumo – di limiti all’esercizio della risoluzione, ulteriori rispetto a quelli cui la direttiva fa esplicito riferimento (quale sarebbe la possibilità di restituzione del bene), comporterebbe un insanabile contrasto con la previsione della stessa direttiva (art. 8, comma 2), la quale esclude in radice la possibilità di ridurre il livello di tutela del consumatore assicurato dalla normativa di fonte europea, come avverrebbe mediante l’introduzione di cause di esclusione del diritto alla risoluzione del contratto non contemplate da quest’ultima202. Da questo condivisibile punto di partenza, tali interpreti 199 Cfr. l’interessante argomentazione di A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 11; fa riferimento al principio desumibile dall’art. 82, comma 1 della Convenzione di Vienna anche C.M. BIANCA, sub art. 130, in ID., La vendita dei beni di consumo, Padova, 2006, p. 201. 200 Sul principio de quo si rinvia, per la letteratura italiana, all’approfondita trattazione di R. OMODEI-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata. Risolubilità del contratto e obbligazioni restitutorie, cit., p. 92 ss.; nella letteratura internazionale, ex plurimis, si leggano M. KREBS, Die Rückabwicklung im UN-Kaufrecht, München, 2000; F. MOHS, Die Vertragswidrigkeit im Rahmen des Art. 82 Abs. 2 lit. c CISG, in IHR, 2002, p. 59 ss.; KRÖLL-MISTELIS-PERALES VISCASILLAS/M. BRIDGE, sub art. 82 CIGS, München, 2011, Rn. 17 ss.; SCHLECHTRIEM-SCHWENZER/C. FOUNTOULAKIS, sub art. 82, 6. Aufl., München, 2013, Rn. 10 ss.; FERRARI-KIENINGER-MANKOWSKI/F. FERRARI, sub art. 82 CIGS, 2. Aufl., München, 2011, Rn. 5 ss.; STAUDINGER/U. MAGNUS, sub art. 82 CIGS, in Wiener UN Kaufrecht, Berlin, 2013, Rn. 5 ss. Sul punto v. infra, par. 4. 201 L’applicazione diretta, ove non fosse radicalmente esclusa dalle considerazioni che seguiranno nel testo, non potrebbe – a nostro avviso – neppure fondarsi sulla previsione dell’art. 135, comma 2, c.cons., il quale, sancendo che «per quanto non previsto» dal titolo dedicato alla disciplina della vendita di beni di consumo, «si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita», si limita a sancire che, per gli aspetti non regolati della disciplina di derivazione comunitaria, il consumatore può far ricorso alle disposizioni del codice civile in materia di vendita e non consente affatto l’applicazione di eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti riconosciuti dalla disciplina di settore, derivanti da disposizioni ad essa esterne. 202 In questo senso, cfr. L. GAROFALO - A. RODEGHIERO, sub art. 1519-quater, in L. GAROFALO - V. MANNINO - E. MOSCATI - P.M. VECCHI, Commentario alla disciplina della vendita di 296 CAPITOLO QUARTO hanno tratto argomento per negare che l’oggettiva impossibilità di restituzione della cosa al professionista valga, di per sé, a privare il consumatore della possibilità di ottenere la risoluzione del contratto203. Pertanto, il compratore che abbia ricevuto un bene difettoso potrebbe sciogliere il contratto di vendita anche qualora il bene stesso sia perito (per caso fortuito o per fatto dell’accipiens), deteriorato ovvero sia stato oggetto di trasformazione o alienazione a terzi204. Nell’impossibilità di restituirlo, egli sarebbe tenuto a corrispondere al professionista una somma pari al valore del bene, debito il quale si compenserebbe, parzialmente o totalmente, con il credito vantato per la restituzione del prezzo pagato205. Per parte nostra, riteniamo che le menzionate perplessità avanzate da taluni interpreti in ordine alla compatibilità dell’introduzione di limitazioni alla risoluzione rispetto al diritto europeo siano fondate. Cionondimeno, crediamo che una simile affermazione possa essere avanzata soltanto in esito a un’analisi che consenta di acclarare se la regola che nega al compratore l’accesso alla tutela