trópoς profili monografie Direttore Gaetano C Università di Torino Comitato scientifico Gianluca C Università degli Studi di Torino Nicholas D University of Dundee Federico L University of North Carolina at Chapel Hill Jeff M University of Tasmania Roberto S Università di Torino Gianni V Professore emerito Università di Torino trópoς profili MONOGRAFIE Le collane “trópoς orizzonti” e “trópoς profili” estendono la proposta nata con la rivista «trópoς» attraverso la pubblicazione di opere collettanee (nella sezione “orizzonti”) e monografiche (nella sezione “profili”) che riflettono su temi della tradizione ermeneutica, ma che si prestano altresì a interagire con altri ambiti disciplinari, dall’estetica all’architettura, dalla politica all’etica. Johann Michel Ricoeur e i suoi contemporanei Bourdieu, Derrida, Deleuze, Foucault e Castoriadis Traduzione di Luca Possati « Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales – CEMS ». Copyright © MMXIV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre Pour Fabrice Joubard Indice Introduzione Capitolo I L’habitus, il racconto e la promessa Capitolo II Il senso della dismisura. Un hegelianesimo con riserva Capitolo III Il fuori–soggetto e il divenir–soggetto Capitolo IV La cura di sé e la cura degli altri Capitolo V Immaginari e istituzioni Origine dei testi Introduzione È diventato quasi un truismo oggi considerare Paul Ricœur un “filosofo del dialogo”. L’esigenza del dialogo non dipende in lui da una disposizione d’animo, bensì da un principio ermeneutico: al contrario della filosofia della tabula rasa, il pensiero progredisce soltanto appropriandosi di un senso già dato; la riflessione porta i suoi frutti soltanto attraverso il dialogo, fosse anche in maniera conflittuale, con il “grande libro della filosofia”. Ricœur ha fatto di questo principio ermeneutico un’arte di filosofare e un’arte di scrivere: non c’è un problema con il quale si sia confrontato che non sia stato già trattato senza riferirsi a tradizioni interpretative. Questo non è il segno della pigrizia di un pensiero che può riflettersi soltanto in quello degli altri; non è questo il sintomo di un pensiero che si tranquillizza potendo progredire soltanto grazie ai più grandi; non è nemmeno soltanto la virtù dell’umiltà di un pensatore che sa di essere preceduto. Filosofare filosofando con gli altri, significa posizionarsi dapprima come “discepolo del senso”, prima di conquistarne il divenire. Accettare questo principio ermeneutico non significa affermare che le tradizioni filosofiche avrebbero già detto tutto e che bisognerebbe farne soltanto gli interpreti, o peggio gli incensatori. L’ermeneutica ricœuriana non si traduce mai in un semplice elogio della tradizione, nella misura in cui si preoccupa del senso delle innovazioni intellettuali, sempre tesa verso la nascita di nuovi paradigmi filosofici o scientifici. Se essa non fosse altro che “antiquaria”, secondo le parole di Nietzsche, e storia della filosofia, l’opera di Paul Ricœur non si sarebbe mai presa la cura di confrontarsi con i pensieri emergenti del suo tempo, dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo alle neuroscienze, passando Introduzione attraverso la nouvelle histoire. Il discepolo di un senso già là è allo stesso tempo alla ricerca di un senso nuovo. Tra questi paradigmi innovatori, lo strutturalismo occupa un posto di primo piano nell’itinerario del nostro autore a cavallo degli anni –, nel momento in cui la linguistica strutturale acquista un ruolo dominante nelle scienze umane e sociali in Francia. Formato inizialmente alla scuola della fenomenologia, sulla quale si è sforzato di “innestare” la tradizione ermeneutica, Ricœur non ha in alcun modo rifiutato i prerequisiti e i risultati di questa “scienza” innovatrice. Nulla sarebbe più falso che vedere in Ricœur uno dei più virulenti dispregiatori dello strutturalismo francese. Come dimostra il suo rapporto con la psicanalisi freudiana, egli ha considerato il suo confronto con lo strutturalismo una sfida; una sfida contro quel che in questo paradigma si presenta come un’anti–fenomenologia: la messa tra parentesi, anzi l’estirpazione della coscienza sovrana come donatrice di senso. Ci si può rappresentare lo strutturalismo come una fenomenologia rovesciata. Non è più il “mondo” che viene messo tra parentesi in favore delle “riduzioni” operate da un soggetto trascendentale. È invece il soggetto trascendentale stesso che è messo fuori gioco a vantaggio di un’attenzione ai “sistemi di segni”. Certo, Ricœur è sempre stato molto critico rispetto allo strutturalismo come pensiero inglobante e totalizzante, scettico sul passaggio da una “scienza strutturale” a una “filosofia strutturale”. Troviamo, in una parte sostanziale della sua posizione già nell’Essai sur Freud , un gesto epistemologico molto kantiano che consiste nel mostrare la giustificazione e i limiti di una teoria dalle ambizioni scientifiche ch’essa avanza. Questo gesto lo conduce per esempio a mostrare che l’antropologia strutturale di Lévi–Strauss è molto ben attrezzata per analizzare le aree culturali “totemiche”, dominate dalle “società senza storia”, ma non riesce a rendere conto, da sola, della configurazione di . P. R, De l’interprétation. Essai sur Freud, Paris, Seuil, ; trad. it. di E. Renzi, Milano, Il Saggiatore, (I ed. ). Introduzione quelle società “kerigmatiche” che si sono costituite a partire dalla tradizione interpretativa del testamento giudeo–cristiano. In quest’ultima figura, l’ermeneutica, come tecnica d’interpretazione dei testi, supplisce alle mancanze di un’antropologia culturale per la quale la sincronia vince sulla diacronia, l’evento è neutralizzato dal sistema. Denunciare le pretese abusive dello strutturalismo non vuol dire privarsi dell’apporto prezioso delle analisi strutturali, anche per rendere conto della dimensione sincronica dei sistemi sociali e testuali delle nostre aree culturali. L’ermeneutica e lo strutturalismo sono così chiamati, malgrado le loro rispettive posizioni epistemologiche, a scambiare le proprie prospettive, come se queste fossero altrettanti “profili” irriducibili di uno stesso oggetto: Niente analisi strutturale senza intelligenza ermeneutica del trasferimento di senso (senza “metafora”, senza translatio) senza questa donazione indiretta di senso che istituisce il campo semantico, a partire dal quale possono essere identificate delle omologie strutturali. [. . . ] All’inverso, però, non c’è neppure intelligenza ermeneutica senza il riferimento a un’economia, a un ordine, in cui la simbolica significa. Anche se non è possibile nessun passaggio tra la svolta idealista della fenomenologia di marca husserliana e i principi dello strutturalismo, la prospettiva di un innesto dell’ermeneutica sulla fenomenologia, che Ricœur include tra i suoi obiettivi, apre opportunità inedite di accostamento tra queste due tradizioni. La questione non si pone soltanto sul piano epistemologico ma affetta direttamente anche la costituzione del soggetto. Sul piano epistemologico, le analisi strutturali, nel corso della seconda ermeneutica di Ricœur centrata sul testo, rappresentano un momento cruciale nella dialettica dello spiegare e del comprendere: il testo come configurazione interna . P. R, « Structure et herméneutique », in P. R, Le conflit des interprétations, Paris, Seuil, , p. (trad. it. di R. Balzarotti, F. Botturi, G. Colombo, Milano, Jaca Book, ). Introduzione diventa autonomo rispetto alle intenzioni del suo autore e del suo contesto originario di produzione. Le analisi strutturali offrono un metodo prezioso per spiegare, in un senso non causale, le strutture interne di un testo. Possiamo arrivare a dire che che il momento “esplicativo” s’identifica, in Ricœur, con la spiegazione strutturale. Inoltre, l’incorporazione della spiegazione strutturale nel modello epistemologico ricœuriano offre allo stesso tempo l’occasione di rifiutare la variante “psicologizzante” e “romantica” dell’ermeneutica nella quale l’interprete pretende di coincidere con il “genio” del creatore. A questo proposito, Ricœur condivide con i suoi contemporanei strutturalisti, come Barthes, il principio canonizzato della “morte dell’autore” secondo cui « leggere un testo significa considerare il suo autore come già morto e il libro come postumo » . Grazie al rigore delle analisi dei più eminenti strutturalisti, facendo correlativamente “morire” l’autore di un testo, l’interpretazione dei testi riceve chiaramente un sostegno scientifico senza dovere, inoltre, prendere in prestito i suoi principi fondatori dalle “scienze della natura”. Grazie alla spiegazione, nella sua variante strutturale, una fine dialettica soppianta la dicotomia giudicata “rovinosa” tra spiegare e comprendere che Ricœur imputa a Dilthey . La spiegazione di tipo strutturale rappresenta soltanto un “momento”, tanto necessario quanto insufficiente, nella misura . P. R, « Qu’est–ce qu’un texte? », in P. R, Du texte à l’action, Paris, Seuil, , p. (trad. it. di G. Grampa, Milano, Jaca Book, ). . L’operazione d’innesto delle analisi strutturali sull’ermeneutica non potrebbe tuttavia lasciare indenne lo strutturalismo stesso e soddisfare i suoi più illustri rappresentanti. Come sottolinea Betty Rojtman, è al prezzo di certe “mutilazioni” dello strutturalismo che Ricœur incorpora il momento strutturale nel processo dell’ermeneutica: « Evidentemente, la considerazione esclusiva dell’immanenza del testo, propria della semiotica, non potrebbe ridursi a un problema di metodo. Dietro questa scelta c’è tutta una filosofia dell’uomo e della rappresentazione, tutta una contestazione ideologica che vengono a profilarsi [. . . ]. l’effetto di riflessione del linguaggio, che Ricœur vorrebbe restringere allo stretto campo poetico, resta così per la generazione degli anni un postulato fondatore, caratteristico della scrittura come tale » (B. Rojtman, “Paul Ricœur et les signes”, Cités, n. , , p. ). Introduzione in cui rifiuta per principio la fuoriuscita del testo dal mondo. La ragione di essere dello strutturalismo — la costituzione di una scienza autonoma del linguaggio, del testo e dell’azione — è al tempo stesso la sua debolezza: la perdita del referente e del mondo. La chiusura linguistica (i segni non rinviano gli uni agli altri secondo giochi differenziali) diventa una “chiusura ontologica” . Spetta allora all’ermeneutica, in una movenza post–heideggeriana, prendere il posto delle analisi strutturali: poiché un testo è destinato a essere letto, poiché un testo è un invito a riconfigurare il mondo, la comprensione e l’interpretazione si spostano dall’autore al lettore. Laddove lo strutturalismo si chiude sulle relazioni di dipendenza reciproca in un sistema dato, l’ermeneutica si apre al mondo e all’essere. L’oggetto dell’interpretazione non sono le presunte intenzioni dell’autore, bensì le molteplici ricezioni di un testo, così de–reificato, in contesti differenziati. Da quasi–cosa il testo diventa un laboratorio di sperimentazione dove si gioca il confronto tra il mondo del testo e il mondo del lettore. Così si giustifica pienamente una dialettica che si traduce in adagio sotto la penna di Ricœur: spiegare di più per comprendere meglio. Con questa dialettica, Ricœur lotta su due fronti: da una parte, se la prende con l’ermeneutica psicologica e rifiuta « un irrazionalismo della comprensione immediata, concepita come un’estensione al dominio del testo dell’intropatia attraverso la quale un soggetto si trasporta in una coscienza straniera nella situazione del faccia–a–faccia intimo ». Dall’altra, egli critica l’iper–formalismo strutturalista che « genera l’illusione positivista di un’oggettività testuale chiusa su se stessa e indipendente da ogni soggettività dell’autore e del lettore » . Allo stesso tempo, la posta in gioco epistemologica della costituzione di una “scienza del testo” — che deve essa stes. J. D, « Clôture des signes et véhémence du dire. À propos de la critique du structuralisme de Paul Ricœur », in M. R D’A, F. A (dir.), Paul Ricœur, “Cahiers L’Herne”, Paris, L’Herne, , p. . . P. R, « De l’interprétation », in P. R, Du texte à l’action, cit., p. –. Introduzione sa produrre come conseguenza una “scienza dell’azione” per transfert metodologico — approda a una nuova espressione della sua antropologia filosofica. All’illusione o alle false pretese, al modo di una appercezione trascendentale, di una comprensione o di una conoscenza immediata di sé, Ricœur preferisce affidarsi alle virtù della lunga via dell’interpretazione delle “mediazioni” nelle quali la vita umana si oggettiva come opera, linguaggio, istituzioni. Appartiene precisamente alle analisi strutturali la preoccupazione di oggettivare l’insieme di queste mediazioni. Al modello della comprensione immediata di sé Ricœur sostituisce il modello della spiegazione delle oggettivazioni del sé, senza sposare tuttavia un certo positivismo secondo il quale le “scienze dello spirito” ignorerebbero la destinazione finale della spiegazione: la comprensione mediata di sé (il sé che include non soltanto l’io, ma l’insieme delle declinazioni pronominali: tu, voi, noi. . . ). Anche spiegare di più deve potere equivalere al comprendersi meglio. Per questa ragione l’ermeneutica del sé, che designa al meglio l’antropologia filosofica di Paul Ricœur, deve contribuire al togliere la parentesi del “soggetto” messo fuori gioco in uno strutturalismo di stretta obbedienza. Non per tornare in maniera subdola la principio fondatore del subjectum, ma per sviluppare l’ermeneutica di un soggetto sempre in cerca del senso, degli altri e del mondo. In questo spirito Ricœur ricostruisce un’ermeneutica secondo il formalismo strutturalista, a rischio di snaturare l’ambizione dei suoi fondatori, ma con il vantaggio di costituire un’ermeneutica interamente rinnovata. È quel che emerge chiaramente dal lungo dibattito con l’antropologia di Lévi Strauss che non può espellere, secondo Ricœur, la questione del senso e delle poste in gioco fondamentali dell’esistenza: Nel retroterra del mito vi è una questione estremamente significativa, una questione sulla vita e sulla morte: “Nasciamo da uno solo o da due?”. Anche se formalizzata nella figura “lo stesso nasce dallo . Questa è l’ambizione del secondo saggio di ermeneutica di Ricœur, dal titolo evocativo: Du texte à l’action. Introduzione stesso o dall’altro” si tratta della questione dell’angoscia riguardo all’origine [. . . ]. Il mito non è un operatore logico di proposizioni qualsiasi, ma di proposizioni che puntano verso situazioni limite, l’origine e la fine, la morte, la sofferenza, la sessualità. I precedenti sviluppi ci inducono a pensare che il rapporto di Ricœur con lo strutturalismo non si lascia riassumere nell’alternativa binaria dell’adesione a–critica e del rifiuto sistematico. Certamente, il nostro autore non può essere qualificato come un pensatore strutturalista. La sua famiglia di pensiero resta quella legata alla tradizione ermeneutica. Ma — ed è una delle singolarità innegabili della sua filosofia nel panorama ermeneutico contemporaneo — il paradigma ermeneutico è incorporato non come un supplemento, bensì come una necessità epistemologica e antropologica nel processo di una teoria generale dell’interpretazione . Non sarà dunque sbagliato qualificare, in tal senso, la sua ermeneutica come strutturale (e non come strutturalista in quanto filosofia inglobante) per quel che è in gioco dello statuto delle “scienze dello spirito”, sul piano epistemologico, e dello statuto del soggetto, sul piano antropologico. Potremmo arrivare a designare la sua ermeneutica come post–strutturalista (o meglio post–strutturale) nel senso stretto delle correnti che attraversano le varianti dello strutturalismo e smuovono delle risorse per cercare di superare il suo iper–formalismo e il suo assioma di chiusura interna. Esitiamo tuttavia ad assumere questa espressione per qualificare l’impresa filosofica del nostro autore, poiché Ricœur non l’ha mai fatta sua, poiché raramente rientra nel novero di quei pensatori che nella letteratura francofona sono raggruppati sotto il qualificativo generico di “post–strutturalisti”. Tale ricezione contrasta . P. R, « Qu’est–ce qu’un texte? », cit., p. –. . Jean Grondin è il primo, ci sembra, ad aver sottolineato la singolarità di quel che egli chiama “l’ermeneutica positiva” di Paul Ricœur. Cfr. soprattutto J. G, « L’herméneutique positive de Paul Ricœur. Du Temps au récit », in C. B, R. R (dir.), Temps et récit en débat, Paris, Cerf, , p. –. Introduzione con i numerosi studi nord–americani che cercano di aprire una strada specifica verso il post–strutturalismo di Ricœur . Questa denominazione non ha tuttavia nulla di evidente in se stessa, dal momento che non esistono, propriamente parlando, scuole o correnti post–strutturaliste chiaramente identificate, e dal momento che solo pochi pensatori si autodefiniscono in questo modo. Un tale qualificativo si presenta di più come una ricostruzione retrospettiva, che deriva dalla storia delle idee, nell’obiettivo di identificare una generazione di pensatori che hanno segnato la storia intellettuale francese, principalmente dalla fine degli anni fino all’inizio degli anni . Questi pensatori, generalmente filosofi o di formazione filosofica, hanno conosciuto in seguito un riconoscimento internazionale raramente eguagliato da altri autori francesi contemporanei. Il problema derivante dallo slittamento concettuale della denominazione generica di “post–strutturalismo”, è che non esiste un vero consenso per determinare chi si debba includere in questa galassia intellettuale. Se i nomi di Derrida, Foucault, Deleuze e spesso Bourdieu ritornano frequentemente per designare . Tra i primi studi che qualificano chiaramente l’ermeneutica di Ricœur come post–strutturalista, citiamo S.H. C, Paul R, London, Routledge, , p. –; G.B. M, « Ricœur and the Hermeneutics of the Subject », in L.E. Hahn (dir.), The Philosophy of Paul Ricœur, Chicago, Open Court, . Vedere anche l’importante contributo di Mario Valdes (« Introduction: Paul Ricœur’s Post–structuralist Hermeneutics », in M. V (dir.), A Ricœur Reader: Reflection and Imagination, Toronto, Toronto University Press, , p. –) che oppone alla chiusura semiologica strutturalista una semantica del discorso ermeneutico. Per una discussione serrata della tesi di Valdes, si veda l’articolo di Banzelão Julio Teixeira (« Situating Ricœur within the Hermeneutic Tradition », Divyadaan, vol. , n. , , p. –) che s’interroga sulla difficoltà di classificare l’ermeneutica di Ricœur tra i suoi contemporanei strutturalisti. . Non c’è in realtà una definizione precisa e veramente consensuale del post–strutturalismo nella letteratura esistente, a fortiori francese. The Gale Encyclopedia of US History definisce questa corrente come « una reazione di fronte all’ambizione dello strutturalismo di esplorare in maniera completa e oggettiva l’insieme dei fenomeni culturali tale contro–movimento nega l’oggettività dei codici linguistici e culturali, le categorie di concettualizzazione e insiste sull’instabilità dei significati, delle categorie, sulla impossibilità di ogni sistema universale di regole per rendere conto della realtà ». Introduzione questa corrente di pensiero , ciò è anche dovuto all’influenza della ricezione di questi autori oltre–Atlantico, secondo un’altra denominazione: French–Theory. Le due denominazioni generiche, per quanto siano fluttuanti, non si ricoprono esattamente, nella misura in cui ci sono alcuni pensatori che associamo volentieri alla French–Theory, ma che difficilmente potremmo qualificare come post–strutturalisti. D’altronde, a volte sono inseriti nel panorama della French–Theory autori come Lacan o Barthes che generalmente si collocano nella categoria degli strutturalisti, sebbene essi siano anche spesso considerati dei post–strutturalisti . Tutto ciò non facilita punti di riferimento e identificazioni chiare. La French–Theory è una denominazione (come quella spesso connessa di “post–moderno” che ha fatto furore dopo la sua popolarizzazione da parte di Jean–François Lyotard ) più elastica e più inglobante di quella di “post–strutturalismo” . Il problema si complica dal momento che gli autori etichettati come post–strutturalisti condividono in larga misura una critica del soggetto moderno che ritroviamo nei fondatori dello strutturalismo di lingua francese (Saussure, Lévi–Strauss, Lacan, Althusser. . . ). Da questo punto di vista, non è del tutto chiara la frontiera tra le due correnti, tanto . J. A, « Qu’est–ce que le poststructuralisme français? À propos de la notion de discours d’un pays à l’autre », Langage et société, /, n. . Questo contributo si focalizza soprattutto sulla riappropriazione dei post–strutturalisti francesi da parte delle scienze sociali tedesche. . L’articolo « Poststructuralism » dell’Encyclopædia Britannica. Encyclopædia Britannica Online, inserisce Barthes e Lacan nel panorama dei post–strutturalisti. . J.–F. L, La condition post–moderne, Paris, Minuit, . Per una messa in prospettiva di questa corrente (« la critica della critica ») vedi: J. H, Le discours philosophique de la modernité, tr. fr. par C. B et R. R, Paris, Gallimard, ; G. H, De la Reinassance à la post–modernité. Une histoire de la philosophie moderne et contemporaine, Bruxelles, De Boeck Université, . La critica poststrutturalista del soggetto raggiunge la critica postmoderna della Modernità razionalista e universalista ereditata dai Lumi. . Come ha mostrato François Cusset in un’opera di riferimento (French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze et les mutations de la vie intellectuelle aux États–Unis, Paris, La Découverte, ), la French Theory comprende autori che hanno in comune soprattutto una critica del soggetto indirizzata verso una rilettura dei maestri del sospetto (Nietzsche, Freud, Marx). Introduzione più che certi autori classificati come post–strutturalisti usano concetti centrali che mostrano un radicamento chiaramente strutturalista (ad esempio la nozione di champ in Bourdieu, il concetto di différance in Derrida). In ogni caso, è notevole il fatto che Ricœur sia raramente incluso in questi appellativi generici (ad eccezione della denominazione post–strutturalista negli studi anglofoni ), a dispetto del suo lungo percorso americano (soprattutto all’università di Chicago), a dispetto del dinamismo della comunità ricœuriana nord–americana , a dispetto della sua critica del soggetto fondatore e della sua rilettura di Freud e Marx , a dispetto della sua traversata dello strutturalismo e del suo tentativo di superarlo. Le condizioni politiche, in una veine gauchisante, della ricezione, in certe università americane, di autori come Deleuze, Derrida o Foucault, escludono Ricœur da questa appartenenza. Se si esita, come abbiamo detto, a definire l’ermeneutica ricœuriana come post–strutturalista (o post–strutturale), tuttavia può valere la pena di confrontare quest’opera con quella di certi . Patricia L. M colloca Ricœur (con Derrida, Foucault, Lacan) nella corrente post–strutturalista (Nursing Research. A Qualitative Perspective, Sudbary, Jones and Bartlett Publishers, , p. –). L’articolo di Kim Atkins su Ricœur nell’Internet Encyclopedia of Philosophy parla ugualmente di Ricœur come di un « filosofo ermeneuta poststrutturalista che usa il modello del testo come quadro generale per analizzare il pensiero ed estenderlo in seguito allo studio della scrittura, dei discorsi, delle azioni e dell’arte ». . Nel corso dei suoi numerosi anni d’insegnamento negli Stati Uniti, Ricœur ha formato intere generazioni di studenti e di discepoli che sono oggi raccolti nella influente Society for Ricœur Studies fondata da G. Taylor (The Society for Ricœur Studies è l’equivalente nordamericano del Fonds Ricœur di Parigi). La vitalità degli studi ricœuriani oltre–Atlantico (ugualmente in America latina, e questo da alcuni anni in questo campo conosce una vera effervescenza, soprattutto in Brasile, Argentina e Cile) ha portato alla creazione di una rivista internazionale, Études ricœuriennes/Ricœur Studies, pubblicata dall’università di Pittsburgh. . A causa di questa traversata dei “maestri del sospetto” Andy Lock e Tom Strong (Social Constructionism: Sources and Stirrings in Theory and Practice, Cambridge, Cambridge University Press, , p. –) qualificano l’ermeneutica ricœuriana come poststrutturalista. Sul rapporto di Ricœur con i “maestri del sospetto”, cfr. l’opera di riferimento di A. S–B, Ricœur and the Hermeneutics of Suspicion. Continuum Studies in Continental Philosophy, London, Continuum, . Introduzione pensatori che includiamo nel post–strutturalismo. Tale l’ambizione del nostro libro; un’ambizione che immediatamente riconosce i propri limiti. Da una parte, non abbiamo intenzione di trattare in maniera esaustiva l’insieme degli autori che appartengono al post–strutturalismo (meno ancora quelli associati alla French Theory o alla posizione detta post–moderna), siano essi di lingua francese o no. Il dialogo che intraprendiamo si limita a Bourdieu, Derrida, Deleuze e Foucault. Fatto notevole, aggiungiamo Castoriadis, autore che non è frequentemente associato al post–strutturalismo, anche se la sua proteiforme filosofia è stata profondamente segnata soprattutto dalla psicoanalisi lacaniana. Dall’altra, anche se ci riconosciamo specialisti dell’opera di Paul Ricœur, per averla commentata fin dai tempi della nostra ricerca di dottorato, non abbiamo però la pretesa di essere specialisti delle opere di Bourdieu, Derrida, Deleuze, Foucault o Castoriadis. Anche se frequentiamo queste opere da molti anni, non abbiamo l’ambizione di apportare qualcosa di nuovo alla gigantesca letteratura secondaria, che si è lentamente accumulata attorno ad esse. Il nostro obiettivo è quello di capire meglio il pensiero di Ricœur, riflettendolo in quello delle principali figure della filosofia contemporanea di lingua francese. Sarebbe infine certamente vano e fuori dalla nostra portata il voler aprire un dialogo sull’insieme delle sfaccettature delle rispettive opere dei nostri autori: il confronto si restringe essenzialmente allo statuto antropologico del soggetto correlato a una domanda di natura etico–politica. Attorno a un tale nodo problematico i post–strutturalismo hanno senza dubbio rivelato le loro migliori armi intellettuali; attorno a questo stesso nodo problematico si è dispiegata una parte sostanziale dell’opera di Paul Ricœur. Per questo ci sono ragioni per farle risuonare insieme. Per il fatto che la denominazione post–strutturalista conserva un certo slittamento concettuale, per il fatto ch’essa è meno una parola d’ordine di riconoscimento che il frutto di una ricostruzione storica, per il fatto che tra i pensatori etichettati come tali vi sono tante differenze quanti sono i mondi comuni Introduzione che li raccolgono, non abbiamo scelto la strada di un confronto sistematico tra Ricœur e il “post–strutturalismo”. Abbiamo invece privilegiato i confronti diadici che contengono altrettante coppie tensionali. Ci si potrebbe stupire del fatto che Ricœur abbia discusso relativamente poco con i suoi contemporanei post–strutturalisti. Sarebbe tuttavia falso affermare che nessun dialogo abbia avuto luogo. Bisogna ancora una volta distinguere tra gli scambi autentici, che furono rari, ad eccezione del dibattito con Derrida sulla metafora e sul perdono , e, dall’altra parte, quei testi di Ricœur in cui si discute tale o tal altra analisi di un post–strutturalista, senza che questo abbia dato luogo a un dibattito tra gli autori. In quest’ultimo caso, bisogna inoltre distinguere tra quegli autori che sono stati oggetto di un trattamento coerente (Foucault e Derrida), senza diventare tuttavia figure centrali e ricorrenti nel pensiero di Ricœur, gli autori raramente citati (Bourdieu e Deleuze) e quelli che non sono praticamente mai evocati (Castoriadis). Siamo d’altronde sorpresi nel constatare che, quando la discussione ebbe luogo, essa raramente riguardò (ad eccezione del souci de soi foucaultiano) la questione del soggetto e dell’etico–politico, bensì maggiormente i campi della teoria dei tropi (Derrida), della teoria letteraria (Deleuze ), o dell’epistemologia storica (Foucault e Bourdieu ). Di qui il rischio del nostro libro: mettere in scena una discussione tra Ricœur e certi suoi contemporanei, laddove questa non ha veramente avuto luogo. Questo rischio esiste, da una parte, nella misura in cui non si tratta di restituire qualcosa che . Cfr. la risposta di D (« Le retrait de la métaphore », Poésie, , , p. –) alle critiche che Ricœur gli rivolge in P. R, La métaphore vive, Paris, Seuil, , p. –. . Cfr. la riappropriazione della problematica sviluppata in Proust et les signes (Paris, Puf, ) che Ricœur svolge nel secondo tomo di Temps et récit (Paris, Seuil, , p. ). . Cfr. la discussione sull’Archéologie du savoir (Paris, Gallimard, ) nel terzo tomo di Temps et récit (Paris, Seuil, , p. –). . Cfr. la discussione sul concetto di habitus in Elias e Bourdieu in La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, Seuil, , p. –. Introduzione ha già avuto luogo, ma di costruire qualcosa di interamente nuovo attraverso un lavoro di lettura e di interpretazione. Dall’altra, nella misura in cui potrebbe essere grande la tentazione di dare sistematicamente il “ruolo importante” al nostra autore. Non c’è “filosofia senza punto di vista”, come Ricœur stesso scandisce; il nostro recupera l’eredità di una certa tradizione ermeneutica critica che l’autore del Conflit des interprétations ha contribuito a forgiare. Nella misura in cui, tuttavia, il nostro ricœurismo non è mai stato senza riserve, nella misura in cui non abbiamo mai nascosto certe nostre simpatie rispetto ad autori detti post–strutturalisti, speriamo così di non essere ingiusti nelle nostre interpretazioni. Se non cerchiamo di minimizzare i conflitti di interpretazioni tra Ricœur e i suoi contemporanei, tali conflitti non appariranno necessariamente dove ci si potrebbe attendere. Nulla sarebbe più ridicolo che opporre in tal senso l’anti–umanismo dei cosiddetti post–strutturalisti e l’umanismo che l’antropologia politica e filosofica di Paul Ricœur è supposta contenere. Nulla sarebbe più falso e ridicolo, quand’anche Ricœur stesso rifiuterebbe di definirsi anti–umanista, sebbene egli condivida fino a un certo punto la critica e la decostruzione del soggetto moderno presente in Foucault, Bourdieu, Deleuze o Derrida. Tutta la nostra interpretazione si giocherà sullo statuto di questo “fino a un certo punto”, che fa giustamente di Ricœur un “post–strutturalista” (senza esserlo interamente), o meglio una categoria specifica di post–strutturalista, come ci invita a pensare Lubomir Dolozel nella sua classificazione . Per queste ragioni, l’oggetto della nostra ricerca e del nostro interrogativo concerne tanto “ Ricœur e i post–strutturalisti” quanto “Ricœur come post–strutturalista tra i post–strutturalisti”. . L. F, A. R, La Pensée , Paris, Gallimard, . . L. D (Poetics Today, vol. , n. , , p. –) classifica l’ermeneutica di Ricœur come una delle quattro branchie del poststrutturalismo, insieme alla decostruzione, le teorie empiriche della letteratura e l’interazionismo pragmatico.