strumentazione elettronica di misura ii

Dispense per il corso di:
STRUMENTAZIONE ELETTRONICA DI MISURA II
Prof. D'ANTONA GABRIELE
A cura di
Ugo Ambrosetti
e
Massmiliano Galli
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II”
a cura di Ugo Ambrosetti e Massimiliano Galli
Indice :
Sezione 1 – Introduzione al Corso
1.1 - Trasmissione dell’informazione
1.2 - Trasmissioni numerico
1.3 - Segnali analogici, certi ed aleatori
1.3.1 - Rappresentazione di segnali analogici
1.3.2 - Rappresentazione di processi aleatori
1.4 - Segnali numerici
1.5 - Teoria delle probabilità
1.6 - Segnali e sistemi
1.6.1 - Caratteristiche dei sistemi
1.6.2 - Caratteristiche dei segnali
1.6.3 - Aspetti fisici delle grandezze energetiche
2.1 - Serie di Fourier
2.1.1 - Segnali reali
2.1.1.1 - Simmetria coniugata
2.1.1.2 - Interpretazione degli Xn come fasori
2.1.1.3 - Serie Trigonometrica
2.1.2 - Serie di Fourier a banda limitata
2.2 - Teorema di Parseval
2.2.1 - Spettro di Potenza per segnali periodici
2.3 - Esempi di Sviluppi in Serie di Fourier
3.1 - Definizione T.d.F.
3.2 - Densità di energia
3.3 - Appendici
3.3.1 - Sintesi delle proprietà della trasformata di Fourier
3.3.2 - Trasformate di segnali
4.1 - Teorema del Campionamento
4.1.1 - Aliasing
4.1.2 - Energia di un segnale campionato
4.1.3 - Uso pratico
4.2 - Trasformata discreta di Fourier
4.2.1 - Relazione tra DFT e trasformata Z
4.2.2 - Filtraggio numerico via DFT
5.1 - Teoria delle probabilità
5.1.1
5.1.2
5.1.3
5.1.4
5.1.5
-
Assiomi delle probabilità
Teoremi di base
Probabilità condizionali
Teorema di Bayes
Indipendenza statistica
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II”
a cura di Ugo Ambrosetti e Massimiliano Galli
5.2 - Variabili aleatorie
5.2.1 - Funzioni di densità e di distribuzione di probabilità
5.2.2 - Medie, momenti e momenti centrati
5.2.3 - Variabile aleatoria a distribuzione uniforme
5.3 - Processi Stazionari ed Ergodici
5.3.1
5.3.2
5.3.3
5.3.4
5.3.5
5.3.6
5.3.7
-
Media di insieme
Medie temporali
Medie temporali calcolate come medie di insieme
Processi stazionari
Processi stazionari ed erodici
Riassumendo
Processo ad aleatorietà parametrica
6.1 - Correlazione e Covarianza
6.1.1 - Correlazione
6.1.2 - Covarianza e Indipendenza Statistica
6.1.3 - Statistiche dei Processi
6.1.4 - Autocorrelazione
6.1.4.1 - Proprietà dell’autocorrelazione
6.2 - Densità Spettrale
6.2.1 - Teorema di Wiener
6.2.2 - Esempi
6.3 - Stima spettrale
Sezione 2 – Meccanismi di Rumore
7.1
7.2
7.3
7.4
-
Introduzione
Rumore termico
Rumore shot (equazione di Schottky)
Rumore 1/f (excess noise)
7.4.1 - Proprietà statistiche del rumore 1/f
7.4.1.1 - Stazionarietà
7.4.1.2 - Gaussianità
7.4.1.3 - I processi di rumore 1/f sono presenti all’equilibrio termico?
8.1 - Rumore nei bipoli passivi
8.2 - Rapporto segnale rumore dei generatori
8.3 - Rumore nelle reti due porte
8.3.1
8.3.2
8.3.3
8.3.4
8.3.5
-
Reti passive
Rapporto SNR in uscita
Fattore di rumore
Reti attive
Fattore di rumore per reti in cascata
9.1 - Gli amplificatori operazionali
9.1.1 - Il componente ideale
9.1.2 - Configurazioni lineari
9.1.2.1 - Amplificatore in configurazione invertente
9.1.2.2 - Circuito integratore e derivatore
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II”
a cura di Ugo Ambrosetti e Massimiliano Galli
9.1.3 - Configurazioni a scatto
9.1.3.1 - Il comparatore
9.1.3.2 - Comparatore con isteresi
9.1.3.2 - Multivibratore astabile
9.2 - L’amplificatore differenziale
9.2.1 - La reiezione del modo comune
9.3 - L’amplificatore per strumentazione
9.3.1 - Schema circuitale
9.3.2 - Il bilanciamento degli ingressi
9.4 - Il rumore negli amplificatori operazionali
9.4.1
9.4.2
9.4.3
9.4.4
9.4.5
-
Circuito equivalente (modo differenziale)
Il rumore nell’amplificatore operazionale
Circuito equivalente per Offset e Derive
Bias e Offset all’uscita di una generica configurazione
Progetto a basso rumore
Sezione 3 – Rivelazione dei segnali
10.1 - Filtraggio
10.1.1 - Filtro del primo ordine
10.1.2 - Filtro a “finestra mobile”
10.1.3 - Filtraggio lineare ottimo
10.1.3.1 - Filtro di Wiener
10.1.3.2 - Filtro adattato
10.2
10.3
10.4
10.5
-
Tecniche di correlazione
Rivelazione del segnale (Riassunto)
BoxCar sampling gate
Lock-in
Sezione 4 – PLL (Phase Locked Loop)
11.1 - Principio di funzionamento
11.2 - Introduzione ai blocchi fondamentali
11.2.1
11.2.2
11.2.3
11.2.4
-
Phase Detector
Phase-Frequency Detector e Charge Pump
Voltage-Controlled Oscillator
Low-Pass Filter
11.3 - Dinamica del Phase-Locked Loop
Sezione 5 – Collegamenti e mezzi trasmissivi
12.1 - Dimensionamento di un collegamento
12.2 - Collegamenti in cavo
12.2.1 - Costanti distribuite, grandezze derivate, e condizioni generali
12.2.2 - Trasmissione in cavo
12.2.2.1 - Casi limite
12.2.3 - Tipologie di cavi
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a cura di Ugo Ambrosetti e Massimiliano Galli
12.2.3.1 - Coppie simmetriche
12.2.3.2 - Cavo coassiale
12.3 - Collegamenti in fibra ottica
12.3.1
12.3.2
12.3.3
12.3.4
12.3.5
-
Generalità
Propagazione luminosa
Multiplazione a divisione di lunghezza d’onda – WDM
Ridondanza e pericoli naturali
Sonet
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Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE:
1.1 Trasmissione dell’informazione:
L’origine del segnale da trasmettere è indicata come sorgente, di tipo analogico o numerico per i due
tipi di segnale. Ciò che giace tra sorgente e destinatario viene descritto da una entità astratta
denominata canale di comunicazione, le cui caratteristiche condizionano i messaggi trasmessi. Il
canale può ad esempio imporre una limitazione alla banda di frequenze del segnale in transito; cause
fisiche ineliminabili producono inoltre, al lato ricevente, l’insorgere di un segnale di disturbo additivo,
comunemente indicato con il termine di rumore, che causa la ricezione di un segnale diverso da quello
stesso presente all’uscita del canale. Pertanto, ci si preoccupa di caratterizzare il canale in modo da
scegliere i metodi di trasmissione più idonei a rendere minima l’alterazione sul messaggio trasmesso.
L’entità delle alterazioni subite dal messaggio viene spesso quantificata in termini di rapporto segnale
rumore (SNR o SIGNAL-TO-NOISE RATIO), che rappresenta un indice di qualità del collegamento stesso,
e che per ora definiamo genericamente come il rapporto tra l’entità del segnale utile ricevuto e quello
del rumore ad esso sovrapposto (n = segnale utile ricevuto / rumore). La linea di trasmissione è
costituita da un mezzo trasmissivo su cui si propaga un segnale di natura elettrica, occorrono perciò
un sistema di traduzione e dei dispositivi di adattamento (es. equalizzatori, amplificatori, codificatori di
linea..) per rendere le caratteristiche del segnale adatte a quelle della linea.
1.2 Trasmissioni numerico:
Qualora si desideri trasmettere un segnale numerico, questo deve in generale essere convertito in un
segnale analogico mediante l’utilizzo di dispositivi chiamati Modem, come rappresentato dalla figura
seguente.
Il progetto del canale numerico è caratterizzato da un fattore di qualità individuato dalla probabilità di
errore che è definita come la frequenza con cui i simboli ricevuti differiscono da quelli trasmessi. Nelle
trasmissioni numeriche, si può introdurre una ridondanza nella sequenza trasmessa, inviando più
simboli di quanti non ne produca la sorgente; i simboli in più sono scelti con criteri che li rendono
dipendenti tra loro, per rendere possibile la riduzione della probabilità d’errore: il ricevitore è in grado
di accorgesi che si è verificato un errore (se non c’è la dipendenza) e può attuare delle contromisure
(es. correzione dell’errore isolato FEC, oppure può chiedere la ritrasmissione). Queste trasformazioni
di codifica devono poi essere rimosse all’uscita con un decodificatore.
Poniamoci ora il problema di utilizzare un canale numerico per effettuare una trasmissione analogica.
Il vantaggio di tale “contorsione” è da ricercarsi nel migliore comportamento delle trasmissioni
numeriche rispetto ai disturbi, nonché alla loro generalità. Per ottenere il risultato desiderato, occorre
applicare alla sorgente analogica un procedimento di campionamento, prelevandone i valori ad istanti
discreti, e quindi di quantizzazione, rappresentando tali valori mediante un insieme finito di simboli. Il
risultato è una sequenza numerica che può essere di nuovo convertita nel segnale originario,
utilizzando un dispositivo di conversione digitale-analogica (DAC) dal lato del ricevitore.
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Sezione 1: Introduzione al corso
La riduzione dei valori campionati ad un numero finito di elementi introduce un’ulteriore distorsione.
L’entità del rumore di quantizzazione è inversamente legata alla risoluzione.
CLAUDE SHANNON, enunciò negli anni ’50 una serie di teoremi, che sono la base dell’analisi dei sistemi
di comunicazione:
•
Un qualsiasi canale pone un limite al massimo flusso informativo che transita in esso. Il limite
deriva dai vincoli che il canale impone sulla massima banda B del segnale in transito, sulla
massima potenza di segnale S ricevuta, e sulla potenza di rumore N presente al ricevitore. Il
massimo flusso di informazione in transito prende il nome di capacità di canale C, e può
essere espresso come:
C = B log2 (1 + S/N)
[bit/sec]
•
Una qualsiasi sorgente produce un flusso informativo in bit/secondo tanto più elevato quanto
minore è la distorsione introdotta dal processo di quantizzazione.
•
Considerando una coppia sorgente + canale, dato che il canale limita il massimo flusso
informativo prodotto dalla sorgente, quest’ultima verrà necessariamente riprodotta con una
distorsione tanto maggiore quanto minore è la capacità di canale.
1.3 Segnali analogici, certi ed aleatori:
I segnali analogici, indicati con s (t) rappresentano l’andamento nel tempo di una grandezza elettrica
(es. segnale vocale: in cui un’onda trasversale di pressione-velocità è convertita in una tensione da un
microfono, oppure segnale di immagine, che è bidimensionale, e definito su di un piano anziché nel
tempo, rappresentato da una grandezza S (x, y) che ne individua la luminanza, e scandito per linee
generando un segnale temporale. Un segnale può anche assumere valori complessi, in questo caso il
segnale assume contemporaneamente due diversi valori: parte reale e parte immaginaria, oppure
modulo e fase). E’ importante distinguere tra i segnali cosiddetti certi e quelli aleatori. Un esempio di
segnale certo può essere una cosinusoide di cui sia nota sia l’ampiezza che la fase, mentre un
segnale aleatorio non è noto con esattezza prima che questo venga prodotto (ad esempio il rumore di
un ruscello, o le notizie presenti in un telegiornale). L’insieme di tutti i segnali aleatori appartenenti ad
una medesima classe viene indicato nel suo complesso come processo aleatorio, ed un segnale
particolare di questo insieme come una sua realizzazione.
1.3.1 Rappresentazione di segnali analogici:
Lo studio delle proprietà dei segnali si articola prendendo in considerazione per gli stessi
rappresentazioni alternative, scelte in modo da poter valutare più agevolmente le alterazioni subite dai
segnali nel passaggio attraverso sistemi fisici. In particolare, sarà definito lo sviluppo in serie di Fourier
per la rappresentazione dei segnali periodici, e quindi la trasformata di Fourier che descrive una
classe più ampia di segnali. L’analisi di Fourier consente di definire il concetto di banda occupata da
un segnale, nonché di come la sua potenza e/o energia si distribuisce in frequenza; quest’ultimo
andamento viene indicato con il termine di Spettro di Densità di Potenza (o di Energia).
1.3.2 Rappresentazione di processi aleatori:
Anche nel caso in cui il segnale non è noto a priori, e dunque è impossibile calcolarne la trasformata
di Fourier in forma chiusa, si può ugualmente giungere ad una rappresentazione che caratterizzi le
realizzazioni del processo nei termini della distribuzione (statistica) in frequenza della potenza di
segnale. Ciò è possibile considerando la funzione di autocorrelazione, che esprime il grado di
interdipendenza statistica tra i valori assunti in istanti diversi dalle realizzazioni del processo, e che
costituisce un elemento unificante ai fini della stima spettrale dei segnali (processi molto correlati
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Sezione 1: Introduzione al corso
siano caratterizzati da una densità di potenza di tipo colorato che indica la prevalenza di alcune
frequenze su altre, mentre processi scarsamente correlati saranno identificati da una densità di
potenza di tipo bianco ovvero la presenza di tutte le lunghezze d’onda in ugual misura).
1.4 Segnali numerici
Sono indicati con la notazione s [k], per evidenziare che il loro dominio è l’insieme dei numeri interi.
Sono valide le stesse definizioni fornite a riguardo dei segnali analogici, relativamente ai concetti di
potenza, energia e periodicità, utilizzando qui delle sommatorie in luogo degli integrali.
Un segnale viene chiamato numerico quando assume valori appartenenti ad un insieme finito di
simboli; per questo motivo, la sua essenza è indicata anche come sequenza simbolica.
Segnali tempo-discreti: si può alternativamente rappresentare ogni carattere con un diverso valore di
tensione, ottenendo un segnale analogico che è una rappresentazione a più livelli di tensione della
sequenza originaria. Il concetto di occupazione di banda, applicabile ai segnali analogici, è qui
sostituito da quello di velocità di emissione, espressa in simboli/secondo, ed indicata come frequenza
di simbolo. Una sequenza prodotta da una sorgente numerica si presta facilmente ad essere
trasformata in un’altra, con un diverso alfabeto ed una differente frequenza di simbolo.
1.5 Teoria delle probabilità:
Molti dei concetti utilizzati per trattare i processi aleatori, per definire la quantità di informazione di un
messaggio, le prestazioni di un canale, il dimensionamento di reti di comunicazione, sono fondati sulla
conoscenza della teoria delle probabilità, che verrà pertanto illustrata, almeno nei suoi concetti
fondamentali nel proseguo della dispensa.
1.6 Segnali e sistemi:
Un sistema è un gruppo di oggetti che interagiscono armoniosamente, e che sono combinati in modo
da conseguire un obbiettivo desiderato. Un segnale è un evento che veicola un contenuto
informativo. Nel nostro caso, possiamo interessarci alla risposta di un sistema ad un dato segnale. A
volte, un sistema è descritto unicamente in termini della sua risposta a determinati segnali.
1.6.1 Caratteristiche dei sistemi:
Idealizziamo ora un sistema come una trasformazione T [.], tale che ad ogni segnale di ingresso x (t)
corrisponda una uscita y (t):
T [x (t)] = y (t)
In base a tale formalismo, riportiamo alcune caratteristiche dei sistemi, che ne descrivono il
comportamento in termini più generali:
•
Linearità: un sistema è lineare quando l’uscita associata ad una combinazione lineare di
ingressi, è la combinazione lineare delle uscite previste per ogni singolo ingresso:
Al contrario, un legame ingresso-uscita senza memoria14 del tipo y (t) = g (x (t)), in cui g (.) è
una generica funzione non lineare, non è lineare !
•
Stazionarietà o Permanenza: un sistema è permanente (o stazionario) se l’uscita associata
ad un ingresso traslato nel tempo, è la traslazione temporale dell’uscita che si avrebbe per lo
stesso ingresso non traslato, ovvero se:
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Sezione 1: Introduzione al corso
T [x (t)] = y (t), allora T [x (t − ζ )] = y (t −ζ)
Nel caso contrario, il sistema è detto tempo-variante.
•
Casualità o Realizzabilità fisica: determina l’impossibilità di osservare un’uscita, prima di
aver applicato un qualunque ingresso. Una definizione alternativa asserisce che i valori di
uscita y (t) ad un istante t = t0, non possono dipendere da valori di ingresso x (t) per t > t0.
•
Stabilità: è definita come la proprietà di fornire uscite limitate (in ampiezza) per ingressi
limitati.
1.6.2 Caratteristiche dei segnali:
Da un punto di vista analitico, un segnale è una funzione del tempo per il quale si possono operare le
classificazioni:
•
Segnale di potenza: un segnale analogico può avere una estensione temporale limitata,
oppure si può immaginare che si estenda da meno infinito a infinito. Nel secondo caso il
segnale si dice di potenza se ne esiste (ed è diversa da zero) la media quadratica:
Un segnale di potenza è inoltre detto Segnale periodico di periodo T, nel caso in cui si verifichi
che
s (t) = s (t + T)
per qualsiasi valore di t.
•
Segnale di energia: un segnale di durata limitata o illimitata, se esiste il valore:
In particolare, se un segnale ha durata limitata, ovvero è nullo per t al di fuori di un intervallo
[t1, t2] , allora è anche di energia.
•
Segnale impulsivo: un segnale di energia, che tende a zero come (o più velocemente di 1/t)
Riassumendo:
• Un segnale impulsivo è di energia;
• Un segnale a durata limitata è impulsivo, e di energia;
• Un segnale periodico non è di energia, ma di potenza;
4
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Sezione 1: Introduzione al corso
1.6.3 Aspetti fisici delle grandezze energetiche:
•
Potenza istantanea: se consideriamo una resistenza R, ed applichiamo ai suoi capi una
tensione v (t), in essa scorre una corrente i (t) = v(t) / R, e la potenza ceduta alla resistenza ad
ogni istante t è pari a:
p (t) = v (t) i (t)
che si misura in Watt (equivalente a Joule/secondo), e che rappresenta la potenza istantanea
assorbita.
•
Energia: se integriamo p (t) su di un intervallo temporale T, si ottiene l’energia complessiva
assorbita da R nell’intervallo T:
nello stesso intervallo T, la resistenza assorbe una potenza:
[Watt]
che costituisce una media a breve termine dell’energia assorbita nell’intervallo T.
Se un segnale x (t) è periodico con periodo T, i valori di eT (t) = pT (t) coincidono con quelli calcolabili
con T comunque grande. Se R = 1 , tali valori coincidono inoltre con le definizioni di potenza ed
energia del segnale:
•
Potenza dissipata: se la resistenza è diversa da 1 le due quantità non coincidono più. Nelle
misure fisiche in genere si ottiene la potenza dissipata sullo strumento di misura (o irradiata
dall’antenna, o dagli altoparlanti) espressa in Watt. Per risalire alla potenza/energia di segnale
delle grandezze elettriche presenti ai suoi capi (tensione o corrente) occorre dividere (o
moltiplicare) la potenza in Watt per R.
•
Valore efficace: si indica allora come valore efficace quel livello di segnale continuo che
produrrebbe lo stesso effetto energetico.
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Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 2 – SERIE DI FOURIER:
2.1 Serie di Fourier:
Come anticipato, un segnale periodico x (t) è un segnale di potenza, che assume ripetutamente gli
stessi valori a distanza multipla di un intervallo temporale T denominato periodo, ovvero tale che:
x (t) = x (t + T)
L’inverso di T è detto frequenza fondamentale F = 1 / T o prima armonica di x (t), espressa in Hertz,
dimensionalmente pari all’inverso di un tempo [sec−1].
Per i segnali periodici esiste una forma di rappresentazione basata sulla conoscenza di una serie
infinita di coefficienti complessi {Xn} denominati coefficienti di Fourier, calcolabili a partire da un
periodo del segnale come:
e che permettono la ricostruzione di x (t), sotto forma di una combinazione lineare di infinite funzioni
esponenziali complesse
, mediante l’espressione nota come serie di Fourier:
Osserviamo che:
• La conoscenza di {Xn} equivale a quella di x (t) e viceversa, esistendo il modo di passare dall’una
all’altra rappresentazione;
sono funzioni trigonometriche a frequenza
• Le funzioni della base di rappresentazione
multipla (n-esima) della fondamentale, detta anche n-esima armonica.
• I termini
• Il coefficiente
sono chiamati componenti armoniche di x (t) a frequenza f = nF;
rappresenta la componente continua (o valor medio) di x (t);
• La serie di Fourier dà valori esatti in tutti i punti in cui x (t) è continuo, mentre in corrispondenza di
discontinuità di prima specie fornisce un valore pari alla media dei valori agli estremi, cosicché il
valore dell’energia di un periodo è preservato;
• I coefficienti di Fourier Xn possono essere calcolati anche per un segnale di estensione finita T.
Antitrasformando, il segnale diventa periodico!
• Se poniamo nF = f (con f variabile continua), possiamo interpretare le componenti armoniche come i
valori campionati di una funzione (complessa) delle frequenza: Xn = X (nF). Ad X (f) si dà il nome di
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Sezione 1: Introduzione al corso
inviluppo dello spettro di ampiezza di x (t), che si ottiene estendendo la definizione dei coefficienti di
Fourier:
• I coefficienti Xn sono valori complessi. Al loro posto si possono usare, in alternativa:
essendo:
2.1.1 segnali reali:
2.1.1.1 Simmetria coniugata:
I coefficienti della serie di Fourier possono essere calcolati anche per segnali complessi; nel caso
particolare di x (t) reale i coefficienti di Fourier risultano godere della proprietà di simmetria coniugata,
espressa come
e che significa che i coefficienti con indice n negativo possiedono una parte reale uguale a quella dei
coefficienti con (uguale) indice positivo, e parte immaginaria cambiata di segno. Ciò comporta una
proprietà analoga per il modulo e la fase di {Xn}, e dunque possiamo scrivere:
Tali relazioni evidenziano che:
•
Se x (t) è reale, i coefficienti Xn risultano avere modulo pari e fase dispari, ovvero parte reale
pari e parte immaginaria dispari.
Un corollario di questo risultato è che:
•
Se x (t) è reale pari, i coefficienti Xn sono reali (pari), mentre se x (t) è reale dispari, gli Xn sono
immaginari (dispari).
2.1.1.2 Interpretazione degli Xn come fasori:
Confrontando la formula di ricostruzione:
e quella:
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Sezione 1: Introduzione al corso
ricavata per il caso di un coseno, e tenendo conto della proprietà di simmetria coniugata
,
si nota come un segnale reale possa essere pensato composto a partire da un insieme infinito di
fasori
(pari al doppio dei coefficienti Xn), rotante ognuno con una velocità angolare
multipla della frequenza fondamentale.
2.1.1.3 Serie Trigonometrica:
Nel caso in cui gli Xn abbiano simmetria coniugata, la formula di ricostruzione può scriversi:
ovvero in forma di serie di coseni; si noti che X0 è necessariamente reale, in quanto la fase deve
risultare una funzione dispari della frequenza.
In modo simile, le proprietà relative alle parti reale ed immaginaria permettono di scrivere:
in cui:
Pertanto, nel caso in cui x (t) sia un segnale reale, la serie di Fourier si riduce ad uno sviluppo in
termini di funzioni trigonometriche, ed in particolare ad una serie di soli coseni nel caso in cui x (t) sia
pari, oppure una serie di soli seni, nel caso in cui sia dispari.
2.1.2 Serie di Fourier a banda limitata:
Consideriamo un’onda quadra con duty-cycle del 50%:
rappresentata mediante una serie troncata di Fourier in cui si considerano solo i coefficienti Xn con
indice
e per =T/2 si ottiene
Sappiamo che
da zero solo con n dispari e quindi:
, che risulta diversa
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Sezione 1: Introduzione al corso
Essendo inoltre x (t) reale pari, sappiamo che può essere espresso come serie di coseni:
2.2 Teorema di Parseval:
Stabilisce l’equivalenza di due rappresentazioni del segnale dal punto di vista energetico. La potenza,
infatti, è calcolabile in modo simile in entrambi i domini del tempo e della frequenza, risultando:
Sviluppiamo i calcoli che danno luogo al risultato mostrato:
Ortogonalità degli esponenziali complessi: nei precedenti calcoli si è fatto uso del risultato:
che deriva dalla circostanza che la funzione integranda (per n m) è periodica con periodo uguale o
= 1, e dunque il
sotto-multiplo di T, e quindi a valor medio nullo; per n = m invece essa vale
risultato. Questo prende il nome di Proprietà di Ortogonalità degli esponenziali complessi.
2.2.1 Spettro di Potenza per segnali periodici:
L’integrale seguente, oltre a misurare la potenza del segnale periodico x (t), ne misura la norma
quadratica da un punto di vista algebrico.
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Sezione 1: Introduzione al corso
Tornando ad esaminare il risultato
espresso dal teorema di Parseval, notiamo che
è la potenza di una singola componente armonica di x (t):
e quindi osserviamo che:
di un segnale periodico x (t) è pari alla somma delle potenze delle sue
La potenza totale
componenti armoniche
Si presti attenzione che il risultato è una diretta conseguenza dell’ortogonalità della base di
rappresentazione. In generale, la potenza di una somma non è pari alla somma delle potenze;
l’uguaglianza ha luogo solo nel caso di in cui gli addendi siano ortogonali.
La successione
rappresenta come la potenza totale si
ripartisce tra le diverse armoniche a frequenza f = nF, e prende il nome di Spettro di Potenza del
segnale x (t).
risultano reali e positivi. Inoltre, se x (t) è reale,
Osserviamo che necessariamente i termini
, e quindi si ottiene
; pertanto un segnale reale è
risulta
caratterizzato da uno spettro di potenza pari.
2.3 Esempi di Sviluppi in Serie di Fourier:
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Sezione 1: Introduzione al corso
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Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 3 – TRASFORMATA DI FOURIER:
Abbiamo già osservato che lo sviluppo in serie di Fourier può essere applicato ad un segnale limitato
nel tempo, e che l’uso della formula di ricostruzione rende periodico il segnale originario. Se però
facciamo tendere ad infinito il periodo “fittizio” T su cui sono calcolati i coefficienti Xn, le armoniche
della serie di Fourier tendono ad infittirsi, fino ad arrivare ad una distanza infinitesima; allo stesso
tempo, la periodicizzazione del segnale ricostruito tende via via a scomparire.
3.1 Definizione:
La trasformata di Fourier serve a rappresentare quei segnali per i quali non sussiste una struttura
periodica, ed è un operatore funzionale che, applicato ad un segnale definito nel dominio del tempo,
ne individua un altro nel dominio della variabile continua frequenza (a differenza della serie discreta di
Fourier, idonea al caso in cui siano presenti solo armoniche della fondamentale). L’operazione di
trasformazione è spesso indicata con la simbologia X (f) = F {x (t)}, ed il segnale trasformato si indica
con la stessa variabile di quello nel tempo, resa maiuscola. La sua definizione formale dal punto di
vista analitico è:
la cui esistenza è garantita per segnali x (t) impulsivi (ovvero per i quali
cioè
assolutamente sommabili). Un segnale impulsivo è anche di energia, mentre non è sempre vero il
viceversa. Spesso però, X (f) esiste anche per segnali di energia; vedremo inoltre che può essere
definita (grazie ad operazioni di passaggio al limite) anche per segnali di potenza periodici.
L’antitrasformata di Fourier
è l’operatore analitico che svolge l’associazione inversa a
,e
che consente di ottenere, a partire da un segnale definito nel dominio della frequenza, quel segnale
nel dominio del tempo la cui trasformata è il primo segnale.
L’operazione di antitrasformazione è definita come:
e vale ovunque x (t) sia continuo, mentre nelle discontinuità di prima specie fornisce il valor medio di x
è anche detto spettro di ampiezza complessa,
(t). Il risultato della trasformata
sono detti spettri di modulo e fase.
mentre M (f) ed
La formula di ricostruzione, se messa a confronto con la serie di Fourier, può essere pensata come
una somma integrale di infinite componenti
di ampiezza (complessa) infinitesima,
evidenziando come ora siano presenti tutte le frequenze e non solo le armoniche.
Una seconda analogia con la serie di Fourier deriva dal considerare un segnale x (t) di durata limitata
T, e calcolare
per
. In tal caso, è facile verificare che risulta
con Xn pari all’n-esimo coefficiente di Fourier calcolato per x (t) su quello stesso
periodo.
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Sezione 1: Introduzione al corso
3.2 Densità di energia:
Similmente al caso dei segnali periodici, viene ora stabilita una relazione tra l’energia di un segnale, e
la distribuzione della stessa nel dominio della frequenza. Definiamo come prodotto scalare tra i
segnali di energia x (t) e y (t) (detto anche energia incrociata) il valore:
che, nel caso in cui x (t) = y (t), coincide con l’energia
trasformata di Fourier possiamo scrivere:
di x (t). Se entrambi x (t) e y (t) possiedono
Il risultato:
esprime il teorema di Parseval per segnali di energia, ed implica che le trasformate di segnali
ortogonali, sono anch’esse ortogonali. Ponendo ora x (t) = y (t), si ottiene:
Esaminando quest’ultima espressione, possiamo indicare:
come lo spettro di densità di energia di x (t). Infatti, l’integrale
rappresenta il contributo
all’energia totale
di x (t), limitatamente alla banda di frequenze comprese tra f1 ed f2.
3.3 Appendici:
3.3.1 Sintesi delle proprietà della trasformata di Fourier:
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Sezione 1: Introduzione al corso
3.3.2 Trasformate di segnali:
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Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 4 – CENNI SUL CAMPIONAMENTO E
L’ELABORAZIONE NUMERICA DEI SEGNALI
4.1 Teorema del Campionamento:
Un segnale con spettro nullo a frequenze maggiori di W, è univocamente
definito a partire dai valori che assume agli istanti t = n / 2W , con n intero.
La frequenza 2W è chiamata frequenza di Nyquist. In virtù del teorema, l’andamento di un segnale x
(t) limitato in banda tra −W e W può essere ricostruito in base ai suoi campioni, presi a frequenza
doppia della sua banda a frequenze positive, per mezzo della formula:
in cui la funzione sinc (2Wt) è mostrata in figura, assieme ad una sua replica traslata.
Per dimostrare il risultato, studiamo il circuito riportato in figura che mostra uno schema simbolico che
(come vedremo) realizza le stesse operazioni della formula di ricostruzione, operando un
campionamento con periodo Tc = 1/ 2W .
Calcoliamo innanzitutto lo spettro di ampiezza X• (f) del segnale che esce dal moltiplicatore, che ha
subito un’alterazione notevole rispetto a quello di X (f) in ingresso. Infatti, il segnale:
ha uno spettro di ampiezza:
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Sezione 1: Introduzione al corso
dove il penultimo passaggio scambia l’integrale di una somma con una somma di integrali, e l’ultimo
passaggio tiene conto della proprietà di convoluzione con un impulso. In definitiva si è mostrato che X•
(f) è costituito dalle repliche di X (f) centrate a multipli della frequenza di campionamento. Pertanto, il
filtro passa-basso H (f) (chiamato anche con il nome di filtro di restituzione) lascia passare solo una
delle repliche spettrali, e dunque è evidente come:
Per quanto riguarda la formula di ricostruzione che fa uso dei campioni x(n/2W) e delle funzioni
sinc(2Wt), deriva anch’essa dallo schema illustrato, e può essere interpretata con l’aiuto della figura
sotto. Infatti, y (t) è il risultato della convoluzione tra x• (t) e h (t), e dunque ogni impulso di cui è
composto x• (t), quando convoluto con h (t), trasla la forma d’onda h (t) all’istante nTc a cui è centrato
l’impulso.
In formule:
con:
Questo risultato mostra come il teorema del campionamento definisca essenzialmente una formula di
interpolazione: i valori del segnale ricostruito hanno l’esatto valore dei campioni di segnale negli istanti
di campionamento, mentre negli istanti intermedi il valore si forma dalla somma di tutte le “code” dei
sinc adiacenti. Il processo di costruzione grafica ora descritto è riportato nella figura precedente.
4.1.1 Aliasing:
Questo termine ha origine dalla parola inglese alias (copia, clone) e sta ad indicare il fenomeno che si
produce nell’applicare il teorema del campionamento quando i requisiti non sono soddisfatti, e cioè
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Sezione 1: Introduzione al corso
quando la frequenza di campionamento è inferiore alla frequenza di Nyquist, ossia fc = 1/Tc < 2W
(ovvero Tc > 1 / 2W ). In questo caso le repliche spettrali che compongono X• (f) sono più ravvicinate,
e si sovrappongono (l’aliasing è indicato anche come fold-over, ripiegamento). Quando questo
avviene, il filtro passa-basso di restituzione non è più in grado di estrarre la replica centrata in f = 0, e
dunque alla sua uscita è presente y (t) ≠ x (t), che si differenzia da x (t) in particolar modo per i
contenuti energetici nella regione delle frequenze più elevate. In un segnale audio, ad esempio, ci si
accorge che c’è aliasing quando è udibile una distorsione (rumore) congiuntamente ai passaggi con
maggior contenuto di alte frequenze. Il fenomeno dell’aliasing può insorgere, oltre che nel caso in cui
si commetta il banale errore di adottare Tc > 1 / 2W , anche a causa di una imperfetta limitazione in
banda di x (t) (che viene in genere filtrato proprio per accertarsi che sia
Altri problemi possono essere causati dal filtro di restituzione H (f), che difficilmente si riesce a
realizzare ideale. Questo può presentare infatti una regione di transizione tra banda passante e banda
soppressa di larghezza non nulla (vedi figura sotto). In questo caso occorre sovracampionare con
periodo Tc = 1 / 2W0 < 1 2W , in modo che le repliche spettrali siano più distanziate tra loro, e quindi il
filtro di ricostruzione possa isolare la replica centrale.
4.1.2 Energia di un segnale campionato:
Si può dimostrare che le funzioni sinc costituiscono una base di rappresentazione ortogonale, in
quanto:
Pertanto, il valore dell’energia di un segnale limitato in banda è calcolabile a partire dai suoi campioni,
e vale:
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Sezione 1: Introduzione al corso
4.1.3 Uso pratico:
Lo schema proposto a inizio capitolo aveva il solo scopo di visualizzare gli aspetti teorico-matematici
del teorema del campionamento. Per coglierne i lati pratici, consideriamo innanzitutto che non viene
generato il segnale X• (f), in quanto il campionamento di x (t) è realizzato per mezzo di un circuito
Sample and Hold (S&H, ovvero campiona e mantieni) il quale produce una uscita costante (per un
tempo τ ), pari al valore assunto dall’ingresso negli istanti di campionamento (detti di clock = orologio);
l’uscita del S&H viene quindi quantizzata, ovvero misurata e convertita in un valore numerico dal
dispositivo Q(·) .
I valori così ottenuti possono essere memorizzati, oppure trasmessi. Per ricostruire il segnale
originario si adotta un DAC (Digital to Analog Converter, ossia Convertitore Digitale-Analogico) che
può essere realizzato dai tre componenti mostrati in figura, ossia un dispositivo che per ogni diverso
valore numerico genera un segnale di ampiezza pari ad uno dei livelli di quantizzazione, un S&H ed
un filtro passa-basso di restituzione. Osserviamo ora come il S&H “emuli” il segnale x• (t), realizzando
al suo posto il segnale x° (t), mediante un treno di impulsi rettangolari modulati in ampiezza, in
accordo allo schema di principio disegnato al suo interno. Pertanto, il filtro di ricostruzione non è
alimentato da x• (t), ma dal segnale x° (t) . Per determinare quale sia in questo caso l’uscita del filtro di
restituzione H (f), scriviamo l’ ingresso x° (t) come:
e dunque:
Osserviamo quindi che usare rettangoli di base τ < Tc al posto degli impulsi, equivale a moltiplicare X•
(f) per un inviluppo di tipo (sin x)/x che, seppur con τ << Tc non causa grossi inconvenienti (gli zeri
posti ad 1/τ si allontanano dall’origine e (sin x)/x vicino ad x = 0 è quasi costante), per τ prossimo a Tc
produce una alterazione dell’ampiezza della replica in banda base.
In tal caso (τ è noto) il filtro di ricostruzione può essere realizzato in modo da avere un andamento
inverso a quello del (sin x)/x , e tale che H (f) · τ sinc (f τ ) = costante. Infatti, questo accorgimento
prende il nome di (sin x)/x correction.
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Sezione 1: Introduzione al corso
4.2 Trasformata discreta di Fourier
L’analisi in frequenza di un segnale, può essere condotta mediante a programmi di elaborazione a
computer, utilizzando i campioni xm = x (mTc) estratti dallo stesso, prelevati ad intervalli fissi Tc.
Disponendo di una sequenza di N valori xm, m = 0, 1, ...,N − 1, si definisce DISCRETE FOURIER
TRANSFORM (DFT) la nuova sequenza:
univocamente definita per n = 0, 1, ...,N−1, e che costituisce una approssimazione della sequenza di
campioni della trasformata X (f) = F {x (t)}, calcolata per f = n / NTc , e divisa per Tc:
Notiamo subito che la prima formula è valida per qualsiasi n, ed ha un andamento periodico con
periodo N, a cui corrisponde una frequenza f = 1/Tc , in accordo con la separazione tra le repliche
spettrali prevista dal teorema del campionamento; per questo motivo, qualora il segnale originario x (t)
contenga componenti a frequenze maggiori di 1/2Tc , gli Xn con indici prossimi ad N/2 presentano
errore di aliasing. Allo scopo di concretizzare le differenze tra la trasformata di Fourier ed i valori forniti
dalla DFT, in figura sono riportati i valori |Xn| per la DFT di una sinusoide, adottando due diverse
finestre di analisi, prelevando alla medesima frequenza di campionamento (100 Hz) un numero
variabile di campioni (mostrato in figura), e ponendo i rimanenti a zero, per calcolare in tutti i casi la
medesima DFT a 256 punti. Il risultato è quindi confrontato con quello ottenibile per via analitica
calcolando la F-trasformata dello stesso segnale, adottando le medesime finestre temporali, di durata
uguale al primo caso. Le curve relative al caso di 8 campioni (ed 8 msec) si ottengono a partire da
meno di un periodo di segnale, e mostrano la presenza di un forte componente continua. Aumentando
la durata della finestra, l’approssimazione di calcolare una F {} mediante la DFT migliora, anche se
persiste un ridotto potere di risoluzione spettrale.
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Sezione 1: Introduzione al corso
Il passaggio dai campioni xm alla sequenza Xn è invertibile, ricorrendo alla INVERSE DISCRETE
FOURIER TRASFORM (IDFT)
che per m esterno a [0 , N−1] continua a valere, ed assume valori periodici, coerentemente a quanto
accade per lo sviluppo in serie di Fourier. Infatti, i valori Xn sono anche equivalenti ai rispettivi
coefficienti di Fourier, calcolati su di una finestra temporale del segnale x (t) limitato in banda, come se
questa fosse un periodo di un segnale periodico. Per approfondire le implicazioni di questa
affermazione, affrontiamo la sezione successiva.
4.2.1 Relazione tra DFT e trasformata Z:
Così come per i segnali analogici sussiste una relazione tra la trasformata di FOURIER e quella di
LAPLACE, così nel contesto delle sequenze, esistono legami tra DFT e trasformata zeta, definita
come:
che, nel caso in cui la serie converga per |z| = 1, permette di definire la trasformata di Fourier per
sequenze X (ejω), ottenuta calcolando X (z) sul cerchio unitario z = ejω:
che, se la sequenza x (n) è ottenuta per campionamento, con periodo T ≤ 1/2W , di un segnale x(t)
limitato in banda tra ±W, coincide (per −π ≤ ω < π) con la trasformata:
20
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Sezione 1: Introduzione al corso
calcolata in − 1/2T ≤ f < 1/2T . Al di fuori di tale intervallo, X (ejω) è periodica in ω con periodo 2π,
analogamente a ciò che risulta per la trasformata di Fourier X• (f) di un segnale campionato; in
particolare, se x (m) è ottenuta campionando con periodo T > 1/2W , allora X (ejω) corrisponde proprio
ad:
affetta da aliasing.
Se la X (z), ottenuta per una sequenza x (n) aperiodica, è campionata in N punti equispaziati e
disposti sul cerchio unitario, ossia per
con k = 0, 1, . . . ,N − 1, si ottiene una sequenza periodica:
a cui è possibile applicare la IDFT per ottenere una nuova sequenza di valori nel tempo, periodica di
periodo N, espressa come:
I valori (n) dipendono da quelli x (n) = x (t)|t=nT del segnale originario x (t), campionato agli istanti t =
nT, mediante la relazione:
4.2.2 Filtraggio numerico via DFT:
La definizione di DFT illustrata al ben si presta a calcolare il risultato relativo ad un integrale di
convoluzione, a patto di seguire alcune accortezze.
Convoluzione discreta:
Dati due segnali x (t) e h (t) limitati in banda tra −W e W, anche il risultato della convoluzione
y (t)
= x (t) * h (t) è limitata in banda, ed i suoi campioni h (n) = h (nTc) (con Tc > 1/2W ) possono essere
calcolati a partire da quelli di x (t) e h (t) come:
21
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Sezione 1: Introduzione al corso
Convoluzione circolare:
Date due sequenze x (n) ed h (n) di durata finita N, il prodotto Y (k) = X (k) H (k) delle rispettive DFT :
possiede antitrasformata:
periodica in n di periodo N, e pari a:
in cui (n) e (n) sono le sequenze periodiche di periodo N ottenute replicando infinitamente le
sequenze originali x (n) ed h (n). La convoluzione è detta circolare perché è possibile immaginare le
sequenze x (n) ed h (n) incollate su due cilindri concentrici, e la somma svolta sui prodotti degli
elementi coincidenti. Ad ogni valore di n, corrisponde una diversa rotazione relativa (con angolo
multiplo di 2π/N) dei cilindri, ed il campione di h (.) che era allineato ad x (N − 1) rientra dall’altro lato,
per corrispondere con x (0).
Convoluzione tra sequenze limitate:
Sappiamo che la convoluzione produce un risultato di durata pari alla somma delle durate degli
operandi; per l’esattezza, nel caso di due sequenze x (n) ed h (n) di durata N ed M, il risultato della
convoluzione discreta:
ha estensione N+M−1. Pertanto, perché la convoluzione circolare produca lo stesso effetto di una
convoluzione discreta, occorre costruire delle sequenze x0(n) e h0(n) di lunghezza almeno pari ad
N+M−1, ottenute a partire dai valori di x (n) ed h (n), a cui si aggiungono M−1 ed N−1 valori nulli,
rispettivamente. In tal modo, il prodotto X0(k) H0(k) tra le DFT ad N+M−1 punti di queste due nuove
sequenze, può essere antitrasformato, per fornire il risultato corretto.
Convoluzione di segnali via DFT:
Due segnali x(t) e h(t) limitati in banda non possono, a rigore, essere limitati nel tempo; viceversa, una
finestra di segnale non può, a rigore, essere rappresentata dai suoi campioni. Infatti, l’effetto della
convoluzione in frequenza tra la trasformata della finestra (nominalmente illimitata in banda) e lo
spettro del segnale, produce una dispersione frequenziale di quest’ultimo. Ciononostante, disponendo
di un numero di campioni sufficientemente elevato, si può assumere che la trasformata della finestra
si attenui, fino a rendersi trascurabile, oltre ad una certa frequenza. Inoltre, l’adozione di una
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Sezione 1: Introduzione al corso
frequenza di campionamento più elevata, provoca un allontanamento delle repliche spettrali del
segnale campionato.
In queste due ipotesi, è lecito ritenere l’elaborazione condotta sui campioni di segnale equivalente a
quella da svolgere sul segnale originario. Consideriamo ora il caso di operare su campioni prelevati
alla frequenza opportuna, e di voler determinare la risposta di un filtro caratterizzato dalla propria h(n)
di durata finita M, ad un ingresso x(n) di durata indefinita. Per applicare i risultati fin qui descritti,
occorre suddividere la sequenza x(n) in segmenti xq(n) di lunghezza L.
in modo che:
ed operare una successione di convoluzioni discrete
in modo da ottenere:
per la linearità della convoluzione.
Osserviamo ora che ognuno dei termini yq(n) risulta di estensione N=M+L−1 punti, e può essere
calcolato mediante una DFT inversa ad N punti del prodotto X0q(k) H0(k) tra le DFT ad N punti delle
versioni allungate con zero (ZERO PADDED) di xq(n) ed h(n). Infine, notiamo che l’estensione
N=M+L−1 dei termini yq(n) è maggiore di quella dei segmenti originali xq(n), di lunghezza L: pertanto la
sequenza y(n) si ottiene sommando ai primi M−1 valori di ognuna delle yq (n), gli ultimi M−1 valori
risultanti dalle operazioni precedenti. Per questo motivo, il metodo prende il nome di OVERLAP AND
ADD.
23
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Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 5 – PROBABILITA’ E PROCESSI:
5.1 Teoria delle probabilità:
Tratta delle caratteristiche regolari di fenomeni irregolari o casuali. Una prima definizione di probabilità
è quella fornita dalla teoria frequentistica, la quale asserisce che se, ripetendo N volte un esperimento,
si verifica la circostanza A per nA volte, per essa si osserva una frequenza relativa nA/N, da cui si
deriva la probabilità di A come:
In termini più astratti, l’insieme di tutte le circostanze possibili può essere pensato come un insieme
algebrico, i cui elementi (o punti) sono appunto le diverse circostanze. I punti possono essere
raggruppati in sottoinsiemi (eventualmente vuoti o di un solo punto) per i quali valgono le proprietà di
unione, intersezione, complemento, inclusione... I fenomeni fisici sono posti in relazione con i punti
degli insiemi suddetti mediante il concetto di spazio campione , che è l’unione di tutti i possibili
risultati di un fenomeno aleatorio. Sottoinsiemi dello spazio campione sono detti eventi. L’intero spazio
è l’evento certo, mentre l’insieme vuoto corrisponde all’evento impossibile (od evento nullo). Una
di eventi, corrisponde all’evento che si verifica ogni qualvolta se ne verifichi un suo
unione
componente, mentre l’intersezione
è verificata se tutti i componenti lo sono.
5.1.1 Assiomi delle probabilità:
Costituiscono le basi su cui sono costruiti i teoremi seguenti, ed affermano che:
•
•
: la probabilità di un evento è compresa tra 0 ed 1;
: la probabilità dell’evento certo è 1;
• Se
allora
indipendenti è la somma delle singole probabilità.
: la probabilità dell’unione di eventi mutuamente
5.1.2 Teoremi di base:
•
: la probabilità dell’evento impossibile è nulla.
•
: un evento ed il suo complemento
riempiono lo spazio (detto anche teorema delle probabilità totali1)
•
volta sola.
: la probabilità dell’evento intersezione si conta una
24
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
• Se
allora
il secondo.
: quando l’evento B è contenuto in A il verificarsi del primo implica
5.1.3 Probabilità condizionali:
Può avvenire che il verificarsi di un evento influenzi il verificarsi o meno di un altro: Si dice allora che
lo condiziona, ovvero che l’evento influenzato è condizionato. La probabilità che avvenga A, noto che
B si sia verificato, si scrive
, e si legge probabilità (condizionata) di A dato B, che è definita
come:
in cui
che
A
partire
è la probabilità congiunta che A e B si verifichino entrambi, ed a patto
(altrimenti anche Pr (A/B) è zero!).
dalla
precedente definizione, si ottiene quella della probabilità congiunta:
; inoltre, gli eventi condizionante e condizionato possono invertire i
. Eguagliando le due
rispettivi ruoli, permettendo di scrivere anche:
espressioni, si ottiene:
e anche:
Come ultima definizione, ricordiamo che le probabilità Pr (A) e Pr (B) sono indicate come marginali.
5.1.4 Teorema di Bayes:
A volte, non tutti i possibili eventi sono direttamente osservabili: in tal caso la probabilità marginale Pr
(A) è indicata come probabilità a priori. Qualora l’evento A sia in qualche modo legato ad un secondo
evento B, che invece possiamo osservare, la probabilità condizionata Pr (A/B) prende il nome di
probabilità a posteriori perché, a differenza di quella a priori, rappresenta un valore di probabilità
valutata dopo la conoscenza di B. In generale, però, si conosce solamente Pr (A) e Pr (B/A) (queste
ultime sono dette probabilità condizionate in avanti), e per calcolare Pr (A/B) occorre conosce anche
Pr (B). Quest’ultima quantità si determina saturando la probabilità congiunta Pr (A,B) rispetto a tutti gli
eventi marginali Ai possibili:
a patto che risulti
cioè che l’insieme degli {Ai} costituisca una partizione
dello spazio degli eventi . Tale circostanza è mostrata in figura. L’ultima relazione ci permette di
enunciare il teorema di Bayes, che mostra come ottenere le probabilità a posteriori a partire da quelle
a priori e da quelle condizionate in avanti:
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Sezione 1: Introduzione al corso
5.1.5 Indipendenza statistica:
Si verifica quando:
in quanto il verificarsi di B non influenza A. Come conseguenza, per due eventi statisticamente
indipendenti avviene che:
5.2 Variabili aleatorie:
Finora si è parlato di eventi in modo astratto, mentre spesso ci si trova ad associare ad ogni punto
dello spazio campione un valore numerico: lo spazio campione diventa allora l’insieme dei numeri e
prende il nome di variabile aleatoria. La realizzazione di un evento corrisponde ora all’assegnazione di
un valore (tra i possibili) alla variabile aleatoria; tale valore “prescelto” prende dunque il nome di
realizzazione della v.a. Distinguiamo inoltre tra variabili aleatorie discrete e continue, a seconda se la
grandezza che descrivono abbia valori numerabili o continui. La caratterizzazione della variabile
aleatoria, in termini probabilistici, si ottiene indicando come la “massa di probabilità” si distribuisce
sull’insieme di valori che la variabile aleatoria può assumere, per mezzo delle 2 funzioni di variabile
aleatoria seguenti.
5.2.1 Funzioni di densità e di distribuzione di probabilità:
Così come un oggetto non omogeneo è più o meno denso in regioni differenti del suo volume
complessivo, così la densità di probabilità mostra su quali valori della variabile aleatoria si concentra
la probabilità. Così, ad esempio, la densità della v.a. discreta associata al lancio di un dado può
essere scritta:
il cui significato discutiamo subito, con l’aiuto dei due grafici
seguenti. D e x indicano rispettivamente la v.a. (il numero che uscirà) ed una sua realizzazione (una
delle 6 facce). I 6 impulsi centrati in x = n rappresentano una concentrazione di probabilità nei sei
possibili valori; l’area di tali impulsi è proprio pari alla probabilità di ognuno dei sei risultati. E’ facile
verificare che:
e che risulta:
ovvero pari alla probabilità che la v.a. D assuma un valore tra a e b. In particolare, non potendosi
verificare na probabilità negativa, si
con
. na funzione di v.a. strettamente collegata alla
densità è la funzione distribuzione di probabilità, definita come:
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Sezione 1: Introduzione al corso
che risulta una funzione non decrescente di x, limitata ad un massimo valore di 1, ed il cui andamento
mostriamo sotto alla pD (x), nel caso dell’esempio del lancio del dado. Le definizioni date mantengono
validità nel caso di v.a. continua, originando le curve mostrate nei due grafici a lato. Ora è ancora piú
evidente la circostanza che pX (x) è una densità, e diviene una probabilità solo quando moltiplicata per
un intervallo di x.
Istogramma:
Citiamo infine la stretta relazione che intercorre tra la densità di probabilità e l’istogramma.
Quest’ultimo può essere realizzato se si dispone di una serie di realizzazioni della v.a., e si ottiene
suddividendo il campo di variabilità della grandezza X in sottointervalli, e disegnando rettangoli
verticali, ognuno di altezza pari al numero di volte che (nell’ambito del campione statistico a
disposizione) X assume un valore in quell’intervallo. Dividendo l’altezza di ogni rettangolo per il
,e
numero di osservazioni N, si ottiene una approssimazione di pX (x), via via più precisa con
con una conseguente riduzione dell’estensione degli intervalli.
5.2.2 Medie, momenti e momenti centrati:
Indichiamo con g (x) una funzione di una variabile aleatoria . Si definisce valore atteso (o media,
media di insieme, media statistica) di g (x) rispetto alla variabile aleatoria X la quantità:
che corrisponde ad una media (integrale) pesata dei diversi valori g (x), ognuno con peso pari alla
probabilità pX (x) dx; la notazione EX {.} indica quindi tale operazione di media integrale, assieme alla
, il valore atteso prende il nome di momento
v.a. (x) rispetto a cui eseguirla. Nel caso in cui
di ordine n, che corrisponde quindi al valore atteso della n-esima potenza della v.a., e che si indica
come:
Verifichiamo subito che
. Il momento di primo ordine:
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Sezione 1: Introduzione al corso
prende il nome di media della v.a. X (a volte denominata centroide), mentre con n = 2 si ha la media
.
quadratica
Nel caso di variabili aleatorie discrete, i momenti sono definiti come
, in cui
, pesando quindi le possibili realizzazioni xi con le rispettive probabilità. Nel caso in
cui
come:
, il relativo valore atteso è chiamato momento centrato di ordine n, ed indicato
E’ immediato constatare che
nome di varianza, e si indica:
e che
. Il momento centrato del 2° ordine prende il
Una relazione notevole che lega i primi due momenti (centrati e non) è:
, prende il nome di deviazione standard. Mentre la media mX
La radice quadrata della varianza,
indica dove si colloca il “centro statistico” della densità di probabilità,
indica quanto le singole
determinazioni della v.a. siano disperse attorno ad mx.
5.2.3 Variabile aleatoria a distribuzione uniforme:
Applichiamo le definizioni dei momenti ad un caso pratico: la variabile aleatoria uniforme è
caratterizzata da uno stesso valore di probabilità per tutta la gamma di realizzazioni possibili, limitate
queste ultime ad un unico intervallo non disgiunto; pertanto, la densità di probabilità è esprimibile
mediante una funzione rettangolare:
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Sezione 1: Introduzione al corso
in cui
rappresenta l’estensione dell’intervallo di esistenza della variabile aleatoria. E’ facile verificare
che il parametro mX, che indica l’ascissa a cui è centrato il rettangolo, corrisponde esattamente al
momento di primo ordine di X. Il calcolo della varianza invece fornisce:
5.3 Processi Stazionari ed Ergodici:
Dopo aver descritto come caratterizzare statisticamente singoli valori (denominati variabili aleatorie),
occupiamoci del caso in cui si voglia descrivere da un punto di vista probabilistico un intero segnale, la
cui reale identità non sia nota a priori. Un segnale siffatto viene detto membro (o realizzazione) di un
processo aleatorio, e può essere indicato come
, che corrisponde ad una descrizione formale
degli istanti temporali (tipicamente
che prevede una coppia di insiemi: il primo di questi è l’insieme
un intervallo) su cui sono definiti i membri del processo; il secondo è relativo ad una variabile aleatoria
, i cui valori identificano ognuno una particolare realizzazione del processo.
Pertanto, una singola realizzazione = , per cosí dire, indicizza il processo, le cui istanze effettive
, con
, sono note solo dopo la conoscenza di
. Il processo aleatorio è quindi
definito come l’insieme dei segnali
, con
e
.
è una variabile aleatoria, la
Se viceversa fissiamo un particolare istante temporale tj , il valore
cui realizzazione dipende da quella di
; pertanto, è definita la densità
(indipendente
da ), che possiamo disegnare in corrispondenza dell’istante tj in cui è prelevato il campione; a tale
riguardo, si faccia riferimento alla figura sotto, che mostra le densità di probabilità definite a partire dai
membri di un processo.
Figura 4.1: Un processo non ergodico
5.3.1 Media di insieme:
E’ definita come il valore atteso di una potenza n-esima dei valori del segnale, ossia un suo momento,
eseguito rispetto alla variabilità dovuta a , ed è pertanto calcolata come:
29
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
in cui l’ultima eguaglianza evidenzia come una media di insieme dipenda dalla distribuzione
di
per tutti i
, mostrata in basso in figura. Notiamo che in linea di principio, la media di
insieme dipende dall’istante tj in cui è prelevato un valore.
5.3.2 Medie temporali:
In alternativa, possiamo fissare una particolare realizzazione di , e quindi identificare un singolo
membro
, che è ora un segnale certo; per lo stesso, possono quindi essere calcolate le medie
:
temporali, indicate con una linea sopra alla quantità di cui si calcola la media
In particolare, ritroviamo il valore medio:
e la potenza (media quadratica):
Notiamo che una generica media temporale:
• non dipende dal tempo;
• è una variabile aleatoria (dipende infatti dalla realizzazione di
).
5.3.3 Medie temporali calcolate come medie di insieme:
L’estrazione da
di un valore ad un istante casuale
, definisce una ulteriore variabile
, che disegniamo a fianco dei
aleatoria, descritta dalla densità di probabilità (condizionata)
sia nota, le medie temporali di ordine n
singoli membri mostrati in figura 4.1. Qualora la
possono essere calcolate (per quel membro) come i momenti:
Ciò equivale infatti ad effettuare una media ponderata, in cui ogni possibile valore di x è pesato per la
sua probabilità
dx.
5.3.4 Processi stazionari:
Qualora
non dipenda da tj , ma risulti
per qualsiasi
, il processo
è detto stazionario in senso stretto. In tal caso tutte le medie di insieme non dipendono piú
dal tempo, ossia
per
, e le
in basso in figura 4.1 sono tutte uguali.
e
non dipendono da t, il processo
Se invece solamente le prime due medie di insieme
è detto stazionario in media ed in media quadratica, od anche stazionario in senso lato.
Supponiamo ora di suddividere il membro
in piú intervalli temporali, e di calcolare per ciascuno
di essi le medie temporali, limitatamente al relativo intervallo. Nel caso in cui queste risultino uguali tra
30
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
loro, e di conseguenza uguali alla media temporale
, il membro è (individualmente)
stazionario. Ovviamente, se tutti i membri sono individualmente stazionari, lo è anche il processo a cui
appartengono.
5.3.5 Processi stazionari ed ergodici:
Questa importante sottoclasse di processi stazionari identifica la circostanza che ogni membro del
processo è statisticamente rappresentativo di tutti gli altri. Ciò si verifica quando la densità di
è sempre la
probabilità (a destra in figura 4.1) dei valori estratti da un singolo membro
stessa, indipendentemente dal particolare
, ottenendo in definitiva
, e dunque
indipendentemente dalla realizzazione e, per la stazionarietà, anche
. In questo caso le medie temporali
, calcolabili come momenti sulla
singola realizzazione, sono identiche per tutti i membri , ed identiche anche alle medie di insieme
calcolate per un qualunque istante. Enunciamo pertanto la definizione:
Un processo stazionario è ergodico se la media temporale calcolata su di una
qualunque realizzazione del processo, coincide con la media di insieme relativa ad
una variabile aleatoria estratta ad un istante qualsiasi (per la stazionarietà) da una
realizzazione qualsiasi (per l’ergodicità).
Esempio: la potenza di segnale:
Mostriamo come il calcolo della potenza di un membro di un processo ergodico sia equivalente a
quello del momento di 2° ordine del processo:
Questo risultato mostra come sia possibile calcolare la potenza di una realizzazione di un processo,
senza conoscerne la forma d’onda. In particolare osserviamo che, essendo
,
per i segnali a media nulla (mx = 0) si ottiene
ed il valore efficace
coincide con la
deviazione standard
. La radice della potenza è inoltre spesso indicata come valore RMS (ROOT
MEAN SQUARE), definito come
, ovvero la radice della media quadratica (nel tempo).
Se il segnale è a media nulla, xRMS coincide con il valore efficace; se x (t) è membro di un processo
ergodico a media nulla, xRMS coincide con la deviazione standard.
5.3.6 Riassumendo:
• Se un processo è ergodico, è anche stazionario, ma non il viceversa. Esempio: se
ad una costante (aleatoria), allora è senz’altro stazionario, ma
ergodico.
pari
, e quindi non
31
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
• Se un processo è ergodico è possibile:
- Calcolare le medie di insieme in forma di medie temporali a partire da una singola
realizzazione oppure
- Ottenere le medie temporali di una qualunque realizzazione a partire dalle medie di
insieme, disponendo della statistica pX (x).
• Se l’eguaglianza tra medie di insieme e temporali sussiste solo fino ad un determinato ordine e non
oltre, il processo non è ergodico in senso stretto. Per ciò che concerne le Telecomunicazioni, è
spesso sufficiente la proprietà di ergodicità in senso lato, ovvero limitata al 2°ordine, che garantisce
,e
.
5.3.7 Processo ad aleatorietà parametrica:
Questo è il nome dato a processi
per quali il parametro µ compare in modo esplicito nella
espressione analitica dei segnali membri. Come esempio, il segnale periodico:
rappresentato in figura, ha come parametro un ritardo , che è una variabile aleatoria che ne rende
è una v.a. uniformemente distribuita tra 0 e T, ovvero
imprecisata la fase iniziale. Se
, allora il processo è stazionario, ergodico, e la sua densità di probabilità
risulta:
Il valor medio mX = E {x} è pari alla media temporale
, la varianza è quella della d.d.p. uniforme
e la potenza vale:
Se la
fosse stata diversa, il processo avrebbe potuto perdere ergodicità. Se ad esempio
si sarebbe persa la stazionarietà: infatti prendendo ad esempio
le realizzazioni avrebbero valori minori del valor medio
, tutte
.
Processo armonico:
Si tratta di un processo ad aleatorietà parametrica, i cui membri hanno espressione:
32
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
dove µ è una v.a. uniforme con d.d.p.
. In tal caso il processo è stazionario ed
ergodico, e si ottiene che una valore estratto a caso da un membro qualsiasi è una v.a. con d.d.p.
.
33
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
CAPITOLO 6 – DENSITA’ SPETTRALE:
Descriviamo qui l’effetto del passaggio di un segnale, o di un processo, attraverso un sistema fisico,
concentrando l’attenzione sulle modifiche subite dallo spettro di densità di potenza, o di energia.
Mentre per i segnali periodici e di energia siamo già in grado di determinare lo spettro di ampiezza
dell’uscita come
, e da questo ottenere lo spettro di densità di potenza o di
, nel caso in cui x (t) rappresenti una generica realizzazione di un processo,
energia come
prima di giungere ad un risultato analogo occorre quantomeno definire lo spettro di potenza del
generico ingresso
; ora cercheremo di esprimere i concetti precedentemente definiti per
giungere alla definizione della funzione di autocorrelazione, la cui trasformata di Fourier è pari
appunto alla densità cercata (teorema di WIENER).
6.1 Correlazione e Covarianza:
Abbiamo precedentemente osservato come la caratterizzazione statistica del primo ordine pX (x) un
processo
stazionario ergodico, consenta il calcolo di valor medio mx e varianza
,
nonchédella potenza
, valida per una qualunque realizzazione del
processo. Definiamo ora una statistica del secondo ordine che permetterà di determinare anche lo
spettro di densità di potenza delle realizzazioni del processo. La statistica di secondo ordine si basa
sulla considerazione di 2 istanti (vedi prima figura a destra) t1 e t2, in corrispondenza dei quali
di un processo
, due variabili aleatorie
estraiamo, da una realizzazione
. Al variare della realizzazione campionata, tutte le coppie di valori estratti
sono altrettante determinazioni di una variabile aleatoria bidimensionale, descritta da una densità di
probabilità congiunta
, che in linea di principio dipende anche dagli istanti t1 e t2. La
seconda figura esemplifica come la densità congiunta sottenda un volume unitario, e descriva con il
suo andamento le regioni del piano x1x2 in cui cadono un maggior numero di coppie (ovvero dove la
probabilità è più densa).
6.1.1 Correlazione:
Questa grandezza dipende dalla definizione di un valore atteso, formalmente analogo a quanto già
visto per il caso unidimensionale, che prende il nome di momento misto di ordine (i, j) e che risulta:
34
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
e che nel caso in cui i = j = 1 prende il nome di correlazione e si indica come:
Prima di proseguire, soffermiamoci un istante per meglio comprendere il significato di
. La
correlazione fra due variabili aleatorie è indicativo del legame che esiste tra le due, nel senso di
quanto l’una ha un valore che dipende da quello dell’altra, ed ha un valore assoluto tanto più elevato
quanto più i valori di x1 e x2 sono legati in modo deterministico in effetti però, non sempre questo
accade, e pertanto è opportuno basarsi sull’uso di momenti centrati come descritto al punto
successivo.
6.1.2 Covarianza e Indipendenza Statistica:
Nel caso in cui le due variabili aleatorie siano statisticamente indipendenti, e cioè si possa scrivere
, l’integrale che definisce la correlazione si fattorizza e pertanto:
Definendo ora la covarianza
come il momento misto centrato, di espressione:
possiamo verificare che:
Se due variabili aleatorie x1 ed x2 sono statisticamente indipendenti, queste si
è nulla.
dicono INCORRELATE, in quanto la covarianza
La proprietà esposta ha valore in una sola direzione, in quanto se due variabili aleatorie esibiscono
non è detto che siano statisticamente indipendenti. L’unico caso in cui ciò si verifica, è
quello relativo alle variabili aleatorie estratte da un processo gaussiano.
6.1.3 Statistiche dei Processi:
Nel caso in cui il processo da cui si estraggono x1 ed x2 sia stazionario, si ottiene che:
e cioè la correlazione dipende solo dall’intervallo
. Infatti se un processo è stazionario, le
proprietà statistiche non dipendono da traslazioni temporali. Nel caso in cui il processo sia anche
ergodico, allora le medie di insieme hanno lo stesso valore delle corrispondenti medie temporali, e
35
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
dunque la correlazione (media di insieme) può essere calcolata in base alla sua media temporale
equivalente, a partire da una qualunque realizzazione del processo
Ovviamente è vero anche l’inverso, e cioè: il valor medio del prodotto tra due campioni, estratti (a
caso) a distanza a partire da una specifica realizzazione7, ha un valore che è calcolabile come
media di insieme a partire dalla conoscenza della densità di probabilità congiunta
.
6.1.4 Autocorrelazione:
La media temporale
appena introdotta prende il nome di integrale di autocorrelazione, ed è
definito anche per segnali di energia, come:
in cui l’operatore di coniugato generalizza l’operazione anche al caso di segnali complessi. Simile, ma
diversa, è la definizione di integrale di intercorrelazione, che esprime lo stesso calcolo, ma relativo a
due segnali x (t) ed y (t) processi diversi:
L’integrale di autocorrelazione è anche detto funzione di autocorrelazione, in quanto il suo argomento
è un tempo (l’intervallo tra due campioni) e dunque
può essere visto come un segnale
(funzione di anzichè di t). Nello studio abbiamo già incontrato un integrale (di convoluzione) il cui
risultato è una funzione del tempo; la somiglianza tra i due è più profonda di una semplice analogia, in
quanto si può scrivere
in cui è il consueto simbolo di convoluzione8. In base a quest’ultima osservazione otteniamo che la
costruzione grafica, che fornisce il risultato dell’integrale di autocorrelazione, è del tutto simile a quella
già illustrata per la convoluzione, con la differenza che ora non si effettuano ribaltamenti di asse. La
figura sotto ne illustra l’applicazione ad un caso noto, per il quale
, e che fornisce quindi
lo stesso risultato di
.
36
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
6.1.4.1 Proprietà dell’autocorrelazione:
Elenchiamo ora alcune caratteristiche della funzione di autocorrelazione:
•
•
•
, le rispettive
Traslazioni temporali: Se consideriamo i segnali
ed
sono identiche. Questo risultato mostra come
autocorrelazioni
l’autocorrelazione non tenga conto dell’informazione legata alla fase dei segnali: infatti x (t) e y
(t) hanno la stessa densità spettrale, a meno di un contributo di fase lineare, ed hanno uguale
autocorrelazione.
Durata Limitata: La funzione di autocorrelazione di un segnale di durata limitata è anch’essa
a durata limitata, e di estensione doppia rispetto alla durata del segnale originario.
Segnali Periodici: L’autocorrelazione di un segnale periodico di periodo T è anch’essa
il secondo fattore integrando è traslato di
periodica, con lo stesso periodo. Infatti per
un numero intero di periodi.
Illustriamo ora invece due proprietà fondamentali:
•
Massimo nell’origine: La
calcolata in
In particolare,
qualunque altro valore di
od all’energia se x (t) è di energia.
in cui l’ultimo segno
•
risulta = per
fornisce il valore massimo di
per
è uguale alla potenza del segnale x (t),
se x (t) è periodico.
Simmetria coniugata: è possibile verificare che risulta
è reale. Nel caso in cui x (t) è reale, si ottiene
subito che
l’autocorrelazione di un segnale reale è reale pari.
, da cui osserviamo
, ovvero
6.2 Densità Spettrale
Mostriamo ora il metodo con cui determinare lo spettro di densità di potenza nel caso di processi,
questo stesso strumento è valido anche per gli altri tipi di segnale:
6.2.1 Teorema di Wiener
37
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
Lo spettro di densità di potenza
(o di energia
) di x (t) è uguale alla trasformata di Fourier
. La dimostrazione del teorema è la seguente, per
della sua funzione di autocorrelazione
segnali di energia si scrive:
in cui abbiamo prima applicato il teorema di Parseval, poi la proprietà di traslazione nel tempo, e
quindi espresso
come
. Per segnali di potenza la dimostrazione è del tutto simile, e
valida anche per realizzazioni di processi. In particolare, se il processo è ergodico, la media di insieme
risulta uguale alla media temporale calcolata per ogni realizzazione del processo, e pertanto
lo spettro di densità di potenza di un processo si ottiene trasformando la funzione di autocorrelazione
calcolata come media di insieme, oppure trasformando quella calcolata come media temporale per
una delle sue realizzazioni. Pertanto, grazie al Teorema di Wiener, è possibile ottenere
anche
per processi, oppure fare “la prova del nove” per segnali di energia o periodici.
6.2.2 Esempi:
Processo armonico: E’ definito in base ad una sua generica realizzazione
che, se il parametro µ è una variabile aleatoria uniformemente distribuita tra −
e
(ossia
, descrive un processo ergodico. Sappiamo che una sua realizzazione (ad
esempio quella con = 0) ha una densità di potenza
quindi ottenere l’autocorrelazione senza dover svolgere l’integrale:
. Possiamo
Il risultato trovato, conferma che l’autocorrelazione di un segnale periodico è periodica; riflettiamo
dunque sulla circostanza che anche un seno, od un coseno con qualunque altra fase, avrebbe avuto
la stessa Rx (t). Ciò è d’altra parte evidente, avendo tutti questi segnali uguali densità Px (f).
Processo gaussiano bianco limitato in banda: Il processo n (t) è chiamato bianco perché costante
in frequenza, e descritto da una densità di potenza pari a
38
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
in cui W è l’occupazione di banda a frequenze positive. In tali ipotesi otteniamo:
sono in correlati (ed essendo il processo
In particolare, campioni presi a distanza
gaussiano anche statisticamente indipendenti); questo risultato giustifica, almeno da un punto di vista
teorico, una ipotesi che viene spesso fatta: quella di trovare sovrapposti ai campioni di segnale, dei
campioni di rumore statisticamente indipendenti.
tende a zero più rapidamente, cosicchè il rumore si mantiene correlato per
All’aumentare di W,
un tempo sempre minore, ovvero due campioni estratti ad una stessa distanza t hanno una
correlazione sempre minore. Un risultato simile vale anche più in generale, in quanto
di un qualsiasi processo (tranne nel caso periodico, riconducibile ad una
l’autocorrelazione
, ovvero da un certo t in poi la correlazione è
combinazione di processi armonici) tende a 0 con
trascurabile.
Segnale dati: Abbiamo già descritto un generico segnale numerico come una somma di repliche di
una funzione g (t), con ampiezze an rappresentative dei valori da trasmettere:
La presenza della variabile aleatoria a distribuzione uniforme tra
(per cui
),
rende x (t) un processo ergodico. Nelle ipotesi in cui le ampiezze an siano determinazioni di variabili
aleatorie indipendenti ed identicamente distribuite, a media nulla e varianza
(t) vale
in cui
, l’autocorrelazione di x
è l’autocorrelazione di g (t), e dunque:
Osserviamo innanzitutto che è per questa via che si sono caratterizzate le densità di potenza proprie
è la densità di
dei codici di linea. Limitandoci a voler interpretare il risultato, notiamo che
39
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 1: Introduzione al corso
energia di una singola replica di g (t). La sua ripetizione, con periodo T, fornisce una densità di
potenza media
varianza (potenza)
. Se ogni replica di g (t) è moltiplicata per una v.a. indipendente a media nulla e
, la densità di potenza
aumenta di egual misura.
6.3 Stima spettrale:
Il teorema di Wiener ci aiuta qualora di desideri conoscere la densità di potenza per un processo, di
. Spesso però si ha a che fare con
cui siamo in grado di stimare o postulare un
segnali di cui, pur ricorrendo le ipotesi di appartenenza ad un processo ergodico, si ignorano le
statistiche di insieme. Un altro caso tipico è quello di un segnale che, pur se rappresentativo di molti
altri, non presenta caratteristiche spettrali costanti nel tempo, e sono proprio le variazioni di queste
ultime ad interessare. In questi casi, tutto ciò che si può fare è di tentare una stima dello spettro di
potenza del segnale, a partire da un suo segmento temporale. Esistono al riguardo tecniche differenti
che non prenderemo in esame.
40
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
CAPITOLO 7 – MECCANISMI DI RUMORE:
7.1 Introduzione:
Il rumore può essere classificato nelle seguenti forme:
•
Rumore bianco: associato a processi di agitazione termica o a processi di tipo Poissoniano.
•
Rumore 1/f: il suo nome deriva da una distribuzione spettrale con andamento proporzionale
a 1/fα con α~1. E’ anche conosciuto come rumore di flicker o rumore rosa.
•
Passeggiata casuale (1/f2): detto anche random-walk, processo di Wiener, moto
Browniano.
1- Rumore Bianco:
•
Rumore termico (Johnson – Nyquist):
Il rumore termico è causato dal moto termico casuale del portatori di carica nel conduttore e
dipende dalla temperatura assoluta. Fu osservato sperimentalmente nel 1927 da J.B. Johnson
(Bell Telephone Laboratories) misurando il rumore termico sui resistori, nell’anno successivo
H. Nyquist fornì un’analisi teorica del fenomeno in base ai principi della termodinamica e della
meccanica statistica.
Il fenomeno è caratterizzato dalla temperatura T dei portatori di carica in agitazione termica. La
frazione di portatori con energia hv è data da:
Per hv / kT << 1, possiamo linearizzare questa equazione da cui risulta:
per cui la densità spettrale unilatera di potenza disponibile è:
Questa espressione afferma che le fluttuazioni spontanee ai capi di un conduttore mantenuto
in equilibrio termico alla temperatura T sono indipendenti dal meccanismo di conduzione, dalla
natura del materiale, dalla geometria e dalla resistenza del conduttore stesso, dipende solo
dalla temperatura.
L’affermare che hv / kT << 1 significa che a temperatura ambiente (T=300 K) possiamo
considerare costante la densità spettrale di potenza disponibile: kT = 4,1x10-21 W/Hz fino alla
frequenza per cui:
41
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
A bassa temperatura possiamo ancora considerare costante la distribuzione spettrale, ma fino
a frequenze più basse:
•
Rumore shot:
Questo processo di rumore è legato alla granulosità dei portatori di carica. La loro distribuzione
è di tipo Poissoniano ed è quindi caratterizzata dal numero medio di eventi µ per intervallo di
tempo. La varianza di questo processo è quindi µq2, dove q è la carica dei portatori. La densità
spettrale unilatera di potenza disponibile è 2µq2. Ma Io=µq è il valor medio della corrente, per
cui:
Anche in questo caso (almeno per le frequenze per le quali è trascurabile il tempo di transito
dei portatori di carica) la distribuzione spettrale è bianca ed è proporzionale alla corrente
media.
2- Rumore 1/f (flicker, pink noise):
Si manifesta in una grande varietà di fenomeni fisici ma la sua origine non è del tutto chiara. Il
contributo flicker cresce in modo inversamente proporzionale alla frequenza per cui tende a
dominare sul rumore bianco e frequenze di Fourier sufficientemente basse, cioè per tempi di
misura (integrazione) lunghi:
Il rumore flicker pone un limite alla riduzione dell’incertezza di misura al crescere del tempo di
misura (flicker floor).
3- Passeggiata casuale:.
È un processo di diffusione casuale. La sua distribuzione spettale S(f) è proporzionale a 1/f2,
tende quindi a prevalere sul rumore flicker a frequenze ancora più basse rispetto a quelle in cui
esso domina. La varianza del processo aumenta in modo proporzionale al tempo.
Occorre inoltre tener in considerazione la presenza di:
Derive (drift): sono fenomeni d’invecchiamento (nel misurando o nello strumento di misura),
variazioni molto lente, di solito monotone, del risultato della misura. Per strumenti di precisione
vengono spesso indicate le derive temporali massime del sistema (es. deriva di offset per
amplificatori operazionali, deriva di frequenza per oscillatori piezoelettrici).
42
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
7.2 Rumore termico:
Prendiamo in considerazione una linea di trasmissione priva di perdite, terminata ad entrambi i lati
con un resistore di valore pari alla sua impedenza caratteristica Zo=R.
All’equilibrio termico alla temperatura T, la potenza di rumore media N generata da ciascun
resistore si propaga lungo la linea di trasmissione e viene completamente assorbita dall’altra
estremità:
cortocircuitando istantaneamente entrambe le estremità della linea di trasmissione la potenza di
rumore prodotta da ciascun resistore si propaga lungo la linea e viene riflessa ad ogni estremità,
producendo onde stazionarie. L’energia viene immagazzinata in un oscillatore armonico
unidimensionale, la lunghezza d’onda del modo m-esimo è:
dove l è la lunghezza della linea, f è la frequenza propria del modo e v è la velocità di fase
dell’onda e.m.
Il numero di modi Δm in una banda di frequenza Δf=B è:
La potenza di rumore media N generata da ogni resistore si propaga per un tempo t = l / v prima di
essere riflessa. L’energia media ΔW immagazzinata nella linea di trasmissione è:
Dalla fisica statistica, secondo la legge di equipartizione, ad ogni grado di libertà (modo
d’oscillazione) corrisponde un ugual energia media pari a kT (metà sotto forma di campo elettrico e
metà sotto forma di campo magnetico). Perciò per i Δm modi considerati abbiamo un energia pari
a:
43
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
quindi:
le fluttuazioni spontanee ai capi di un conduttore magnetico in equilibrio termico alla temperatura T
sono indipendenti dal meccanismo di conduzione, dalla natura del materiale, dalla geometria e
dalla resistenza R del conduttore. Dipendono solo dalla temperatura.
L’energia media di un oscillatore armonico unidimensionale è:
quindi l’approssimazione di Nyquist è corretta a basse frequenze e a temperature non troppo
basse.
7.3 Rumore shot (equazione di Schottky):
Il rumore di shot è prodotto dal passaggio casuale di elettroni (o lacune) attraverso una barriera di
potenziale. L’arrivo di ogni carica dà luogo ad un impulso di corrente I (t). La forma effettiva
dell’impulso di corrente è inessenziale fino a quando il tempo di osservazione T è sufficientemente
maggiore al tempo di transito attraverso la barriera di potenziale e l’impulso può essere
considerato come una funzione delta di Dirac. Nel caso più complicato, in cui l’impulso può essere
approssimato con una forma d’onda rettangolare g(t) di durata τ ampiezza e/ τ ; la sua trasformata
di Fourier è:
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Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
La sua densità spettrale di energia è:
Solo dove il prodotto f τ, frequenza per tempo di transito è sufficientemente piccolo, allora la
densità spettrale di energia può essere considerata costante e ci si riduce al caso precedente:
Se n è il numero medio di elettroni che attraversano la barriera di potenziale nel tempo T, allora la
corrente di rumore è:
dove
.
7.4 Rumore 1/f (excess noise):
Fu osservato sperimentalmente per la prima volta nel 1925 di J.B. Johnson come fluttuazione
casuale di corrente nelle emissioni termiche delle valvole:
Un aspetto stupefacente è la sua ubiquità: si presenta in una vasta classe di processi di trasporto,
moto degli elettroni in un resistore, battito cardiaco, intensità delle macchie solari, rumore sismico,
flusso stradale, livello delle piene del Nilo, correnti oceaniche, correnti nelle fibre nervose e molto
altri processi simili…
Lo spettro di potenza del processo diverge, alle basse frequenze, in modo inversamente
proporzionale alla frequenza:
45
Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli
Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
Andiamo ora ad analizzare la divergenza. La potenza totale di rumore tende all’infinito:
per uno spettro di rumore 1/f il contributo all’integrale per decade (f2/f1 = 10) [oppure per ottava
(f2/f1 = 2)] è costante.
La frequenza più bassa che possiamo pensare di osservare è pari all’inverso dell’età dell’universo
circa 2x109 anni, ovvero circa 6x1016 secondi, da cui f1 10-17 Hz.
Mentre l’intervallo di tempo più breve che possiamo pensare di osservare è ad esempio quello
impiegato da un elettrone per percorrere un spazio pari alla lunghezza d’onda di Compton λc alla
velocità della luce c,
che corrisponde ad una frequenza massima f2
1021 Hz.
Ci sono quindi 38 decadi fra la massima e la minima frequenza osservabile e la potenza di rumore
flicker è al più 38 volte la potenza di rumore flicker contenuta nella decade tra 1 Hz e 10 Hz.
Se anche estendiamo questa argomentazione fino a considerare il tempo di Plance come intervallo
di tempo più breve osservabile:
otterremmo f2 1043 Hz, che conduce a prendere in considerazione 59 decadi in totale.
La conclusione di questo discorso è che sostanzialmente non dobbiamo preoccuparci della
divergenza matematica prodotta dal rumore 1/f.
Nel 1926 W. Schottky tentò di darne un modello teorico studiando il contributo alla corrente della
valvola termoionica da parte di trappole superficiali sul catodo che rilasciano elettroni secondo una
legge esponenziale:
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
La trasformata di Fourier di ogni singolo processo di rilassamento è:
Nel caso di un treno di questi impulsi di rilassamento
otteniamo:
la densità spettrale è:
dove n è il “rate” medio di impulsi e <…> indicano una media d’insieme.
Questo spettro però presenta una regione piatta e dopo una zona di transizione diventa
proporzionale a
nella regione ad alta frequenza. Per Schottky questo era sufficiente a
spiegare le osservazioni di Johnson.
Un singolo processo di rilassamento non era sufficiente: consideriamo allora la sovrapposizione di
diversi processi di rilassamento con costanti di tempo uniformemente distribuite tra λ1 e λ2, e di
ampiezza costante.
per frequenze comprese tra λ 1 e λ2 lo spettro presenta un comportamento del tipo 1/f.
Da simulazioni numeriche lo spettro non è sensibile a piccole deviazioni da una distribuzione
perfettamente uniforme dei tempi di rilassamento, questi possono essere distribuiti secondo altre
leggi, per esempio possono avere:
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
in questo caso è possibile integrare esattamente lo spettro e ottenere:
dove:
è la funzione ipergeometrica.
Senza utilizzare l’espressione completa possiamo comunque ricavare il comportamento delle
spettro tra la regione di frequenze λ 1 < λ < λ2 con la seguente approssimazione:
ottenendo così un intera classe di processi di rumore flicker con esponenti diversi.
7.4.1 Proprietà statistiche del rumore 1/f:
Il comportamento spettrale del rumore è un aspetto importante ma non è l’unico: la densità
spettrale di potenza caratterizza completamente un processo stocastico se questo è stazionario
(ergodico) e gaussiano.
7.4.1.1 Stazionarietà:
non dipendono da t.
Nel 1969 Brophy verifica che la statistica dei passaggi per lo zero è poissoniana, come atteso per
un processo stazionario, nello stesso anno però Greenstein e lo stesso Brophy riportano tracce di
non stazionarietà. Nel 1975 Stosiek e Wolf trovano che le proprietà statistiche del rumore 1/f sono
completamente consistenti con le assunzioni di stazionarietà.
7.4.1.2 Gaussianità:
Un processo gaussiano è completamente caratterizzato dalla media e dalla densità spettrale.
Processi lineari come processi di diffusione sono sempre gaussiani: questa caratteristica è un
indicazione della linearità del processo a livello microscopico. Nel 1978, R.F. Voss cerca di
misurare sperimentalmente queste caratteristiche in conduttori e semiconduttori. L’esperimento
verifica il comportamento gaussiano di questi sistemi ma non lo loro linearità.
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
7.4.1.3 I processi di rumore 1/f sono presenti all’equilibrio termico?
I processi di rumore 1/f sono associati ad un processo di conduzione nel campione. Nel 1976 Voss
e Clarke hanno misurato la densità spettrale di tensione misurata ai capi di film metallico e i
risultati suggeriscono che il rumore sia il risultato delle fluttuazioni della temperatura di equilibrio
che modulano la resistenza. Le fluttuazioni di resistenza sono quindi presenti anche in assenza di
una corrente. Alla stessa conclusione giungono anche Beck e Spruit nel 1978. Non vi è però
alcuna garanzia di equilibrio termico in questi esperimenti.
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
CAPITOLO 8 – RUMORE TERMICO:
8.1 Rumore nei bipoli passivi:
Ai capi di un resistore R a temperatura T è presente una tensione a vuoto n (t), realizzazione di un
processo gaussiano a media nulla, che è l’effetto del moto caotico degli elettroni all’interno della
resistenza. Lo spettro di densità di potenza della tensione a vuoto ha espressione:
in cui k = 1.38x10−23 Joule/°K è la costante di Boltzman ed h = 6.62x10−34 Joule·sec è la costante di
Plank: questi valori fanno sì che l’approssimazione Pn (f)
2kTR sia valida ad ogni frequenza di
interesse.
In un bipolo passivo di impedenza Z (f) = R (f) + j X (f), solamente la parte reale (componente
resistiva) concorre a generare il processo di rumore termico, che pertanto possiede una densità di
potenza Pn (f)
2KTR(f). Nel caso in cui il bipolo contenga più resistori a temperature diverse, si
può definire una temperatura equivalente Te (f); un bipolo passivo equivale pertanto allo stesso
bipolo non rumoroso (a temperatura zero), con in serie un generatore di rumore con densità di
potenza Pn (f)
2kTe(f) R(f). Questo generatore equivalente, è quindi descritto da una potenza
disponibile di rumore pari a:
8.2 Rapporto segnale rumore dei generatori:
Un generatore di tensione Vg (f), che possiede una propria impedenza interna Zg (f) a temperatura
equivalente Tg (f), produce anch’esso un processo di rumore in virtù della componente reale
Rg (f) = R{Zg (f)} di Zg (f), e Zg (f) può quindi schematizzarsi con il circuito equivalente mostrato in
figura. Pertanto, oltre alla potenza disponibile di segnale Wdg (f) = Pg(f) / 4Rg(f) , troviamo anche
una potenza disponibile di rumore Wdn (f) = 1/2kTg (f), e dunque un rapporto segnale rumore
disponibile:
che come osserviamo dipende da f, sia a causa di Wdg (f) che di Tg (f).
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
8.3 Rumore nelle reti due porte:
Se colleghiamo un generatore rumoroso a
temperatura Tg all’ingresso di una rete due porte a
temperatura TQ, è lecito aspettarsi all’uscita della rete
un processo di rumore dipendente sia dal generatore
che dalla rete, e la cui potenza disponibile Wdnu (f)
può essere espressa in funzione di una temperatura
equivalente di uscita Teu (f), tale che:
D’altra parte a Teu (f) concorrono sia la temperatura
del generatore Tg (f), che la rete con una propria TQu
(f) “equivalente di uscita”; scriviamo dunque:
in cui la potenza disponibile in ingresso alla rete con
guadagno disponibile Gd (f) è riportata in uscita,
moltiplicandola per Gd (f). Se effettuiamo l’operazione
inversa per il contributo di rumore dovuto a TQu,
otteniamo:
in cui:
ovvero:
in cui:
è detta anche temperatura di sistema Ts = Tei , poiché riporta in ingresso alla rete tutti i contributi al
rumore di uscita, dovuti sia al generatore che alla rete.
Siamo però rimasti con un problema irrisolto: che dire a riguardo di TQi e TQu ?
8.3.1 Reti passive:
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Supponiamo ora tutti i componenti alla stessa temperatura TQ. In questo caso si può mostrare che
risulta:
in modo a poter scrivere:
Questo risultato evidenzia come per una rete passiva (con 0
Gd
1), la temperatura di rumore
equivalente in uscita sia una media pesata delle temperature del generatore e della rete. Nei casi
limite in cui Gd = 0 oppure 1, la Teu (f) è pari rispettivamente a TQ e Tg (f); infatti i due casi
corrispondono ad una “assenza” della rete oppure ad una rete che non attenua.
8.3.2 Rapporto SNR in uscita:
Se si valuta il rapporto segnale rumore in uscita alla rete, otteniamo:
Ricordando che il generatore in ingresso presenta un SNRi (f) pari a:
Possiamo valutare il peggioramento prodotto dalla presenza della rete:
8.3.3 Fattore di rumore:
Il coefficiente F (f) è chiamato fattore di rumore della rete passiva, e rappresenta il peggioramento
dell’SNR dovuto alla sua presenza. Notiamo subito che se Tg (f) = TQ, allora F = Ad: una rete
passiva che si trova alla stessa temperatura del generatore, esibisce quindi un fattore di rumore
pari all’attenuazione. Infatti, mentre la potenza disponibile di rumore è la stessa (essendo
generatore e rete alla stessa temperatura), il segnale si attenua di un fattore Ad.
8.3.4 Reti attive:
In questo caso il rumore introdotto dalla rete ha origine non solo dai resistori, e dunque non è più
vero che TQu (f) = [1 − Gd (f)] TQ. Inoltre, il guadagno disponibile può assumere valori Gd > 1. In
questo caso, si può esprimere l’SNR in uscita dalla rete come:
ed il peggioramento come:
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Quest’ultima espressione dipende ancora da Tg. Allo scopo di ottenere una grandezza che
dipenda solamente dalla rete due porte, di definisce ora fattore di rumore il valore:
che rappresenta il peggioramento di SNR causato dalla rete quando il generatore è a temperatura
ambiente T0 = 290°K = 17°C. E’ proprio F (f) che viene fornito dal costruttore della rete due porte
attiva, in modo da permettere il calcolo di TQi (f) = T0 [F (f) − 1], e dunque:
8.3.5 Fattore di rumore per reti in cascata:
Sappiamo che il guadagno disponibile dell’unica rete due porte equivalente alle N reti poste in
cascata, è pari al prodotto dei singoli guadagni, ovvero:
Come determinare invece il fattore di rumore equivalente complessivo? Con riferimento alla figura
sopra, il singolo contributo di rumore dovuto a ciascuna rete può essere riportato all’ingresso della
rete stessa, individuando così una temperatura:
I singoli contributi possono quindi essere riportati a monte delle reti che li precedono, dividendo la
potenza (ovvero la temperatura) per il guadagno disponibile delle reti “scavalcate”. Dato che i
contributi di rumore sono indipendenti, le loro potenze si sommano, e dunque è lecito sommare le
riportate all’ingresso, in modo da ottenere un unico contributo complessivo
singole temperature
di valore:
in cui, sostituendo le espressioni per i
si ottiene:
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sapendo che:
si ottiene:
che costituisce proprio l’espressione cercata:
Il risultato si presta alle seguenti considerazioni:
• La prima rete due porte deve avere un F più piccolo possibile, in quanto quest’ultimo non può
essere ridotto in alcun modo e contribuisce per intero ad F(T);
• la prima rete deve avere Gd più elevato possibile, in quanto quest’ultimo divide tutti i contributi di
rumore delle reti seguenti.
Pertanto l’elemento che determina in modo preponderante il rumore prodotto da una cascata di reti
due porte è la prima rete della serie, ed il suo progetto deve essere eseguito con cura particolare,
anche tenendo conto del fatto che le due esigenze sopra riportate sono spesso in contrasto tra
loro. E’ inoltre appena il caso di ricordare che l’espressione ottenuta non è in dB, mentre spesso F
è fornito appunto in dB; pertanto per il calcolo di F(T) occorre prima esprimere tutti gli Fi in unità
lineari.
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CAPITOLO 9 – RUMORE NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI:
9.1 Gli amplificatori operazionali:
L'amplificatore operazionale come circuito integrato è uno dei circuiti lineari maggiormente usati.
Grazie alla produzione in larghissima scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da
renderne conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative. L'amplificatore operazionale
è un amplificatore in continua: ciò significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita;
il nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale amplificatore, e cioè il
funzionamento all'interno di elaboratori analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche.
Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare, amplificazione e resistenza
d'ingresso elevatissime (praticamente infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli
amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali caratteristiche, per cui hanno una
resistenza d'ingresso molto grande, una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione,
ovvero un guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato. A titolo di esempio, uno dei più
usati, il µA741, ha un guadagno di 200000, una resistenza d'ingresso di 2 MΩ ed una resistenza di
uscita di 75 Ω. La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in genere non
supera i 25 mA. Consideriamo l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a dire la
forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli amplificatori operazionali più conosciuti,
come già detto, è il 741, disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in
contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei costruttori, diventando LM741, oppure
µA741, o altro ancora.
9.1.1 Il componente ideale:
L’amplificatore operazionale è un dispositivo che presenta due morsetti in ingresso e uno in uscita
Nella forma più diffusa dispone inoltre di due alimentazioni, di solito simmetriche V+ (+Eb) e V- (Eb). Tutti i segnali in ingresso e in uscita, nonché le alimentazioni, sono riferiti al medesimo
potenziale di massa, morsetto comune.
La tensione in ingresso e quella in uscita a vuoto sono definite dalle seguenti relazioni:
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dove Av rappresenta il guadagno in tensione dell’amplificatore operazionale. I morsetti in ingresso
sono detti rispettivamente invertente quello contrassegnato con il segno meno (-) e non invertente
quello contrassegnato con il segno più (+). Con le convenzioni assunte, se la tensione in ingresso
vin risulta positiva (v1>v2), la tensione d’uscita vout risulta negativa. Pertanto il guadagno proprio
Av è negativo. Come sopra citato, l’amplificatore operazionale ideale presenta un guadagno
proprio Av infinitamente grande; gli ingressi sono perfettamente bilanciati e le caratteristiche di
funzionamento non variano nel tempo. Inoltre, in un comportamento ideale, la resistenza di
ingresso Rin risulta infinitamente grande, la resistenza di uscita Rout è nulla e la banda passante
deve intendersi infinitamente estesa. Nella pratica il comportamento reale dell’amplificatore
operazionale si discosta più o meno dalle caratteristiche ideali. Si producono pertanto moltissimi
tipi di amplificatori operazionali integrati che ottimizzano una o più delle caratteristiche in relazione
all’applicazione cui sono destinati. Di norma l’amplificatore operazionale (a parte casi specifici) è
reazionato, cioè una parte della tensione o della corrente in uscita viene riportata in ingresso
tramite opportune reti di reazione; per tale motivo il guadagno Av è detto anche guadagno ad
anello aperto.
9.1.2 Configurazioni lineari:
9.1.2.1 Amplificatore in configurazione invertente:
Di particolare importanza per il funzionamento lineare è la reazione negativa, controreazione. Nel
seguito vengono esaminate alcune applicazioni tipiche in controreazione, con riferimento ad
amplificatori operazionali a comportamento ideale. Si consideri lo schema circuitale sotto
rappresentato, dove l’uscita viene riportata al morsetto invertente (-) tramite la resistenza R2.
Nell’ipotesi che l’amplificatore operazionale abbia un comportamento ideale, il morsetto invertente
(-) assume il potenziale del morsetto non invertente (+) che è posto a massa. Infatti, nel
funzionamento lineare, se il guadagno intrinseco dell’amplificatore operazionale è infinitamente
grande, a una tensione finita in uscita vout deve corrispondere una tensione nulla in ingresso, fra i
morsetti invertente e non invertente. Si dice usualmente che il morsetto invertente (-) è a massa
virtuale.
Inoltre, essendo la resistenza di ingresso Rin del solo amplificatore infinitamente grande, la
corrente i1 che giunge al nodo invertente non può entrare nell’amplificatore e pertanto sarà tutta
deviata nella resistenza di reazione R2. Risulta quindi:
Il guadagno in tensione dell’amplificatore reazionato è pertanto Avf=-R2/R1 (da cui la
denominazione di configurazione invertente). La resistenza di ingresso dello stadio completo è
invece Rin = vin/i1=R1.
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Il circuito riportato sopra è un’estensione del caso in precedente e realizza la funzione di
sommatore. Per esso risulta infatti:
essendo Rf la resistenza di retroazione (feedback).
Quanto detto per i valori istantanei, si può generalizzare al regime sinusoidale, sostituendo alle
resistenze R1 ed R2 le impedenze generiche Z1 e Z2. In tal caso il guadagno della configurazione
reazionata AVf = -Z2 / Z1 risulta funzione della frequenza.
9.1.2.2 Circuito integratore e derivatore:
Fra le configurazioni che realizzano funzioni di elaborazione analogica dei segnali ricordiamo i
classici circuiti integratore e derivatore, riportati in figura:
Dall’analisi di tali schemi, si ottiene facilmente:
Caso (A) - integratore:
avendo indicato con vC0 il valore iniziale della tensione ai capi del condensatore C.
Caso (B) - derivatore:
Lo stadio integratore, in particolare, trova largo impiego negli strumenti di misura.
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9.1.2.3 Amplificatore in configurazione non invertente:
Si consideri ora lo schema circuitale mostrato sopra. Nell’ipotesi che l’amplificatore operazionale
presenti un comportamento ideale, si deduce facilmente che:
Dalla questa configurazione si ottiene, ponendo R1=
di tensione”:
e R2= 0, la configurazione a “inseguitore
In pratica si pone in corto circuito l’uscita vout con il morsetto invertente (-) in ingresso. Tale
configurazione costituisce un’importante realizzazione, in quanto consente di disaccoppiare il
segnale di misura. In tal modo, infatti, il generatore di segnale vin non viene caricato e la potenza
fornita al carico da vout viene prelevata dalle alimentazioni dell’amplificatore operazionale. Il
circuito prende il nome di inseguitore di tensione (voltage follower, buffer) poiché la tensione in
uscita vout riproduce quella in ingresso (essendo unitario il guadagno Avf).
9.1.3 Configurazioni a scatto:
9.1.3.1 Il comparatore:
Il comparatore è un componente diffusamente impiegato per realizzare numerosi schemi circuitali
adottati nelle campo delle misure.
Il comparatore, nel funzionamento ideale riassunto in figura, è un dispositivo la cui uscita vo può
assumere solo due stati (da cui il nome di bistabile) in relazione al valore della tensione in ingresso
vi rispetto alla tensione di riferimento VR. Nell’esempio i valori possibili dell’uscita sono dati dalle
tensioni di alimentazione Eb+ ed Eb-.
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Il morsetto non invertente (+), cui è applicata la tensione di riferimento VR, può anche essere
collegato a massa: in tal caso si parla di comparatori di zero, in quanto la tensione di riferimento
risulta VR = 0. Infine, si può scegliere la logica del comparatore, scambiando gli ingressi vi e VR. In
tal modo, la caratteristica ingresso-uscita (vi v0) viene ribaltata rispetto all’asse delle ascisse.
Talvolta, a causa dell’inevitabile rumore sovrapposto ai segnali, si potrebbero avere scatti impropri
del comparatore. In questi casi è utile dotare il comparatore di una certa isteresi.
9.1.3.2 Comparatore con isteresi:
Il comparatore con isteresi è un dispositivo dotato di reazione positiva, che consente di ottenere
due soglie di scatto differenti: VL per valori in discesa del segnale vi applicato e VH per valori in
salita del segnale d’ingresso. Lo schema sotto si riferisce a un comparatore con isteresi attorno
allo zero: VR=0.
Dall’esame dello schema circuitale si deduce che una parte della tensione in uscita vo viene
riportata sul morsetto non invertente tramite il partitore (R1 R2). Anche tale dispositivo presenta in
uscita solo due stati stabili Eb+ ed Eb-. Pertanto i valori possibili per la tensione al morsetto non
invertente risultano:
Infatti, supponendo che l’uscita si trovi in uno dei due stati possibili, per esempio vo= Eb-, la
tensione al morsetto non invertente risulta v+= VL= βEb-.
D’altra parte, perché ciò accada deve essere vi > v+= VL = βEb-. Quando la tensione applicata vi
diventa minore di tale valore il comparatore scatta e la sua uscita si porta al valore Eb+. Ulteriori
diminuzioni della vi non hanno alcun effetto, anzi rafforzano tale condizione.
Supponiamo ora che la tensione in ingresso vi riprenda a crescere, partendo dalla condizione in
cui vo= Eb+. La tensione al morsetto non invertente risulta v+= VH= βEb+ e il comparatore scatta
solo quando la tensione applicata raggiunge e supera tale soglia.
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Sotto (figura A) è rappresentato l’effetto sulla commutazione del bistabile dovuto a un disturbo
sovrapposto al segnale applicato vi. Nella figura B è mostrato l’effetto benefico dell’isteresi: sono
evitate le commutazioni ravvicinate e indesiderate. La fascia di isteresi deve tuttavia essere
coordinata con l’ampiezza del disturbo affinché non si perda la correlazione con la soglia di scatto
nominale.
9.1.3.2 Multivibratore astabile:
Il comparatore a isteresi, opportunamente reazionato anche sul morsetto invertente con una rete
RC, non permane indefinitamente in nessuno dei due stati possibili e costituisce pertanto un
multivibratore astabile. Nella figura è mostrato anche il suo funzionamento come oscillatore a onda
quadra. Per analizzare il comportamento a regime, si supponga che l’uscita del dispositivo,
nell’istante t0, commuti passando dal valore Eb- al valore Eb+. Da tale istante la tensione in uscita
vo = Eb+ carica il condensatore C attraverso la resistenza R, con costante di tempo RC.
L’esponenziale di carica tende asintoticamente al valore della tensione di alimentazione Eb+. La
tensione sul morsetto non invertente risulta invece v+= VH= βEb+.
Quando la tensione vc sul condensatore, procedendo per valori positivi, raggiunge e supera
nell’istante t1 il valore di tensione VH, si ha la commutazione dell’astabile e la sua uscita passa dal
valore Eb+ al valore Eb-. La tensione di riferimento v+ al morsetto non invertente diventa ora VL e il
condensatore comincia a scaricarsi, con un esponenziale ad andamento decrescente, che tende
asintoticamente al valore Eb-, finché al tempo t2 si ha una nuova commutazione dell’uscita vo dal
valore Eb- al valore Eb+. Il risultato di questa successione di commutazioni porta alla generazione
di un’onda quadra.
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9.2 L’amplificatore differenziale:
Lo scopo di un amplificatore differenziale è quello di amplificare, con guadagno AD, solo la
differenza fra i due segnali v1 e v2 applicati ai suoi due ingressi:
Nell’espressione precedente le tensioni v1 e v2 sono considerate riferite a un punto comune. In
pratica, può essere difficile amplificare solo la tensione differenziale, a causa della tensione di
modo comune, ossia di quella componente di v1 e v2 che può ritenersi applicata
contemporaneamente e in ugual misura ai due ingressi.
Per chiarire questo fatto, definiamo:
Allora i due segnali in ingresso possono esprimersi nella forma:
Questa scomposizione è utile per analizzare il comportamento dell’amplificatore differenziale. In
particolare, si può applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, considerando i contributi
sull’uscita vout dovuti separatamente agli ingressi v1 e v2 e tenendo conto del noto funzionamento
degli operazionali ideali.
Caso A) - Considero solo la presenza di v1 . Si ha:
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Caso B) - Considero solo la presenza di v2 . La tensione sul morsetto non invertente (+) risulta:
e quindi:
In definitiva, la tensione complessiva è:
Dove sono stati introdotti i guadagni A1 e A2 con cui le tensioni in ingresso v1 e v2 si presentano
sull’uscita vout. Se ora si esprimono le tensioni in ingresso v1 e v2 in funzione delle componenti di
modo comune vC e differenziale vD si ottiene:
I guadagni di modo comune AC e differenziale AD risultano allora:
Da tali espressioni si può dedurre la condizione tipica per un comportamento rigorosamente
differenziale, caratterizzato da un guadagno nullo per il modo comune (AC=0). Tale condizione
risulta evidentemente:
Se viene realizzata la condizione precedente sui rapporti fra le diverse resistenze, viene
amplificata (e invertita) solo la differenza vD fra i segnali in ingresso, mentre nessun contributo
della tensione di modo comune vC è presente sull’uscita. In molte applicazioni può accadere che,
a fronte di una piccola tensione differenziale vD, sia presente un elevato valore della tensione di
modo comune vC. In questi casi è necessario garantire una completa reiezione del modo comune
e quindi tendere ad annullare il guadagno AC. In pratica può risultare difficile soddisfare
esattamente la condizione precedente sui rapporti fra le resistenze, a causa delle inevitabili
tolleranze sui valori delle resistenze. Per ovviare all’inconveniente, spesso può bastare la
sostituzione di una delle quattro resistenze, per esempio R4, con un potenziometro multigiri: in tal
modo, variando la resistenza R4, si possono compensare entro certi limiti le tolleranze sui valori
delle resistenze commerciali.
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9.2.1 La reiezione del modo comune:
La reiezione del modo comune viene espressa di solito mediante il CMRR (Common Mode
Rejection Ratio). Questo è definito come il rapporto fra i moduli dei guadagni differenziale e di
modo comune; spesso viene dato anche in dB (Common Mode Rejection, CMR):
In pratica bisognerà tener presente che, oltre al disadattamento delle resistenze esterne, lo stesso
amplificatore operazionale, nel suo funzionamento reale, determina la comparsa di componenti di
modo comune sull’uscita. Gli elementi per una caratterizzazione al riguardo sono forniti dai
costruttori nei data-sheet. Per concludere osserviamo alcuni limiti dell’amplificatore differenziale.
Lo schema di richiede di variare due resistenze (R2 e R1) per la regolazione del guadagno
differenziale; contemporaneamente, al fine di soddisfare sempre la reiezione del modo comune, è
necessario controllare anche le altre due resistenze (R3 e R4). Un ulteriore vincolo, nella
definizione delle resistenze, è rappresentato dalle resistenze d’ingresso, che dovrebbero risultare
sempre sufficientemente elevate. Per esempio, la resistenza di ingresso al segnale differenziale vD
è costituita dalla somma delle resistenze R1 e R3. Assumere troppo elevati questi valori, potrebbe
creare difficoltà nella scelta di R2 e R4, soprattutto se è richiesto un alto guadagno. In pratica,
questi inconvenienti possono essere efficacemente superati con l’amplificatore per
strumentazione.
9.3 L’amplificatore per strumentazione:
9.3.1 Schema circuitale:
L’amplificatore per strumentazione è un dispositivo che presenta molti dei requisiti richiesti a un
buon amplificatore differenziale. Essenzialmente è costituito da due stadi non invertenti (OP1 e
OP2), montati secondo una struttura bilanciata:
Per l’analisi del dispositivo osserviamo che, se gli amplificatori operazionali OP1 e OP2 hanno un
comportamento ideale, esiste un corto circuito virtuale ai loro ingressi. Pertanto la corrente nella
resistenza Rg risulta:
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Le tensioni in uscita da OP1 e OP2 sono applicate allo stadio differenziale successivo, contenente
l’amplificatore OP3:
La tensione in uscita da OP3, se le resistenze R3 ed R4 sono perfettamente bilanciate, risulta in
definitiva:
Il guadagno differenziale AD può così essere stabilito agendo su una sola resistenza Rg. La
resistenza di ingresso per entrambi i canali v1 e v2 è particolarmente elevata (in teoria infinitamente
grande). Il dispositivo è di norma disponibile su circuito integrato e ciò limita notevolmente le derive
dovute a fenomeni termici e consente di ottenere, con opportune tecnologie costruttive, un
accurato valore degli elementi resistivi interni. Il controllo del guadagno avviene mediante il
resistore Rg esterno al circuito integrato. In molti integrati, tale resistenza può essere variata in
modo programmabile (PGIA, Programmable Gain Instrumentation Amplifier). Riguardo al
funzionamento dell’amplificatore per strumentazione, si noti ancora che, se consideriamo una
tensione di modo comune vC in ingresso, cioè se risulta v1 = v2 = vC, allora, per effetto del corto
circuito virtuale in ingresso, dovuto alla presenza della controreazione, anche il morsetto non
invertente di entrambi gli operazionali OP1 e OP2, che costituiscono lo stadio di ingresso
simmetrico, presenta la tensione vC di modo comune. Allora non circola corrente nella resistenza
Rg e quindi neppure nelle resistenze di reazione R2. Pertanto le uscite degli operazionali OP1 e
OP2 risultano vo1 = vC e vo2 = vC, e questi si comportano, nei riguardi del modo comune, come degli
inseguitori di tensione. Da queste considerazioni consegue che la facoltà di reiezione del modo
comune è completamente affidata al successivo stadio differenziale e alla sua corretta
realizzazione. Si osservi infine che la reiezione del modo comune varia con la frequenza. Infatti,
talvolta sono presenti nei circuiti elementi volutamente non resistivi, per ottenere particolari funzioni
di trasferimento; in altri casi dobbiamo considerare gli elementi parassiti (capacità e induttanze) nei
circuiti equivalenti, le cui impedenze assumono rilievo al crescere della frequenza.
9.3.2 Il bilanciamento degli ingressi:
L’amplificatore per strumentazione è una struttura bilanciata e il migliore comportamento
complessivo, nei riguardi della reiezione del modo comune, si ottiene quando anche il resto del
circuito risulta il più possibile bilanciato. Per valutare la reiezione del modo comune
dell’amplificatore per strumentazione, in relazione al bilanciamento degli ingressi, riferiamoci allo
schema in figura:
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
In figura, H ed L sono i morsetti di ingresso dell’amplificatore per strumentazione; V1 e V2 i segnali
di ingresso; R1 e R2 le resistenze complessive dei generatori equivalenti di segnale e dei cavi di
collegamento. Come noto, le tensioni applicate V1 e V2 possono esprimersi in funzione delle
componenti di modo comune VC e differenziali VD (vedi figura B). Così, considerando solo la
tensione di modo comune VC, che qui ci interessa, il circuito di figura B diventa quello di figura A.
In questo schema, ZD è l’impedenza differenziale fra i due ingressi H ed L, mentre ZCH e ZCL sono
le impedenze che ciascun ingresso presenta verso massa. Nei casi pratici, le impedenze ZD, ZCH e
ZCL presentano valori estremamente elevati e dello stesso ordine di grandezza. Un valore tipico è
109Ω in parallelo con 2pF. Si può valutare l’effetto della tensione di modo comune VC cominciando
a calcolare il suo contributo direttamente sugli ingressi H ed L, ai capi dell’impedenza ZD.
Il generatore equivalente di Thevenin fra i morsetti H ed L sarà caratterizzato dai seguenti
parametri VT e ZT:
Poiché nella pratica le impedenze verso massa degli ingressi possono ritenersi uguali: ZCH= ZCL=
ZC e molto maggiori di R1 ed R2; si ha:
avendo posto ∆R=R2-R1.
Il generatore equivalente di Thevenin risulta applicato all’impedenza differenziale ZD (con ZD>>ZT),
dove si stabilisce praticamente tutta la tensione a vuoto VT dovuta al modo comune. Questa
tensione equivalente VT viene amplificata con guadagno differenziale AD, proprio dell’amplificatore
per strumentazione, e produce sull’uscita un contributo:
Da cui si deduce che la reiezione del modo comune, complessiva del sistema, migliora al diminuire
dello sbilanciamento delle resistenze di ingresso ∆R = R2-R1.
Oltre che dalla differenza ∆R, il CMRR dipende anche da numerosi altri fattori. Pertanto i costruttori
di amplificatori per strumentazione forniscono usualmente il CMRR ottenibile con il dispositivo, per
un assegnato valore dello sbilanciamento delle resistenze (tipicamente ∆R = 1kΩ) e per assegnati
valori del guadagno differenziale AD e della banda passante B.
65
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
9.4 Il rumore negli amplificatori operazionali:
9.4.1 Circuito equivalente (modo differenziale):
9.4.2 Il rumore nell’amplificatore operazionale:
per questa configurazione il guadagno è G = 1 + R2/R1. La funzione rumore può essere così
scritta:
9.4.3 Circuito equivalente per Offset e Derive:
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
9.4.4 Bias e Offset all’uscita di una generica configurazione:
Contributo di voff:
Contributo di ib e ioff:
Il contributo della tensione di offset è pesato per il guadagno, non posso quindi fare nulla. Posso
però cancellare il contributo delle correnti di polarizzazione:
R3 = R1 // R2
In questo caso avrei:
Negli amplificatori operazionali con cancellazione della corrente di polarizzazione R3 non serve, in
tal caso scriviamo:
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Sezione 2 : Meccanismi di Rumore
Il rumore vale:
dove R3 comprende la resistenza di sorgente, nel caso in cui R3 sia impiegata per compensare la
corrente di polarizzazione delle stadio d’ingresso:
Data la presenza di rumore termico nei resistori occorre scegliere una R1 sufficientemente bassa.
9.4.5 Progetto a basso rumore:
Dato un sensore con caratteristiche note (funzione di trasferimento, impedenza e rumore
propagato) come si può ottimizzate il progetto per ottenere il rumore equivalente in ingesso più
basso possibile?
L’amplificatore deve essere adattato al sensore. Nel progetto devono essere soddisfatte diverse
specifiche: guadagno, banda passate, impedenza d’ingresso e uscita, stabilità, tipologia di
alimentazione altre ad altre richieste sul rumore. Il progetto di solito viene solitamente affrontato
partendo dalle specifiche sul guadagno e sulla banda passante, le richieste sul rumore sono
usualmente le ultime che vengono prese in considerazione. Nel caso in cui sia importante
realizzare un sistema a baso rumore è necessario tener conto di questo aspetto sin dalle prime
scelte di progetto. In funzione della sorgente si sceglie il dispositivo (bjt, jfet,IC) più appropriato. Va
in seguito scelto il punto di lavoro ottimale del dispositivo dal punto di vista del rumore e in fine
occorre scegliere la configurazione (retroazione) che soddisfi le richieste di guadagno e banda
passante. La ricerca progettuale del minimo rumore ottenibile può proseguire fino alla condizione
limite NF = 3 dB per cui amplificatore e sorgente contribuiscono in ugual misura al rumore totale
E’ importante la scelta del dispositivo attivo, eseguita secondo questi criteri:
per resistenze di sorgente di valore molto basso può risultare conveniente l’utilizzo di un
trasformatore d’adattamento. Amplificatori oppure IC a transistori bipolari sono preferibili per valori
di resistenza di sorgente medio-bassi; la corrente di polarizzazione d’ingresso non può essere
trascurabile. Per valori più elevati di resistenza di sorgente sono preferibili dispositivi a transistori
jfet oppure MOS. Dispositivi tipo MOS presentano tuttavia livelli di rumore di flicker più elevati
rispetto agli altri dispositivi.
Per sorgenti con elevata impedenza interna è utile scegliere amplificatori con bassa in; viceversa
per sorgenti a bassa impedenza interna è meglio impiegare amplificatori a bassa en.
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
CAPITOLO 10 – RIVELAZIONE DEI SEGNALI:
Nella rivelazione (misura) di segnali deboli dobbiamo curare due aspetti fondamentali: l’elettronica
a basso rumore (schermi, ritorni di massa,...) e la “rivelazione del segnale”(signal recovery) per
riuscire a distinguere fra segnale e rumore questi devono avere qualche caratteristica che li
differenzia. Questo può essere fatto a seconda delle esigenze del caso impiegando due tecniche:
•
Filtraggio (teoria statistica della stima): occorre nel caso si debba ricostruire la forma
originale del segnale per consentire la stima di alcuni parametri quali ampiezza, periodo,…
•
Correlazione (teoria statistica della rivelazione): utile per rivelare la presenza di un segnale
di forma nota senza ricostruire la sua forma.
Il problema che cercheremo di risolvere in questo capitolo è la ricostruzione o la rivelazione di un
segnale s(t) attraverso una sua osservazione sperimentale x(t) con x(t) = s(t) + n(t) dove n(t) è il
rumore additivo. La soluzione dipende dal tipo di segnale: armonico, impulsivo,…
10.1 Filtraggio:
Il compito del filtro è quello di eliminare le componenti spettrali del segnale x(t) che non
contengono alcuna informazione su s(t) che intendiamo stimare. È importante fare attenzione,
nella scelta del filtro, ad alcune sue caratteristiche fondamentali quali il suo comportamento al
rumore e ai disturbi.
Il metodo di Gauss (minimi quadrati) consente la stima di una grandezza costante s avendo a
disposizione una serie di misure x = {x1, x2,…,xj,…,xn} in modo da minimizzare il valore atteso della
scarto quadratico:
Questo approccio richiede, almeno in linea di principio, la conoscenza di infiniti valori di misura xj,
in pratica la stima si compie su un numero finito di osservazioni sperimentali e quindi con un
incertezza, se i campioni sono indipendenti, pari a:
Minimizzando il valore assoluto dello scarto avremmo ottenuto la mediana anziché il valore medio.
Nel caso avessimo un segnale x(t) = s + n(t) con n(t) processo casuale e con E[n] = 0, dovremmo
analizzare la media temporale (in linea di principio per un tempo infinito, in pratica su
un’osservazione sperimentale temporalmente finita). La varianza della stima di s dipenderà dal
tempo di filtro e dalla statistica del rumore:
dove H(f) è la funzione di trasferimento del filtro e Sn(f) è la densità spettrale del rumore n(t).
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
10.1.1 Filtro del primo ordine:
Un caso interessante, sebbene poco realistico, è il caso di rumore bianco a spettro limitato (spettro
bilatero):
per
e nulla altrove
la funzione di autocorrelazione è:
la funzione di autocorrelazione si annulla per τi = 1 / B (con i intero > 0)
I campioni del rumore a distanza Δτ = 1 / B sono fra loro correlati. Sommando n di questi campioni,
presi sul tempo totale T = n / B, oppure integrando su questo intervallo di tempo, la varianza della
stima di s è:
Per un rumore con spettro arbitrario le cose si complicano; è possibile dimostrare che la varianza
della stima è data dall’espressione:
per intervalli di tempo di osservazione T sufficientemente lunghi possiamo approssimare
l’espressione con:
che per T → ∞ si annulla (stima di s consistente, non polarizzata), come è desiderabile che
avvenga.
Esempio:
Un caso più realistico è quello di un rumore bianco filtrato da un filtro passabasso del primo ordine:
in questo caso la varianza della stima di s, all’uscita del filtro è:
che si riduce a:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
nel caso in cui il tempo d’integrazione T è molto maggiore della costante di tempo caratteristica RC
(tempo di correlazione del rumore n(t))
Questo ci conduce al risultato che la banda equivalente di rumore per un sistema del primo ordine
è Bn = 1 / 4RC = (π/2) f -3dB
Questa tipologia di filtri è usata anche quando il segnale s non è una costante ma una funzione del
tempo lentamente variabile rispetto al tempo d’integrazione.
10.1.2 Filtro a “finestra mobile”:
La forma più semplice di filtro che possiamo considerare è un
integratore su un intervallo di tempo T (voltmetro, contatore
elettronico):
la risposta all’impulso per questo tipo di filtro è:
a cui corrisponde una funzione di trasferimento:
Il filtro svolge la funzione principale di eliminare componenti di alta frequenza del rumore.
Il tempo d’integrazione T deve essere sufficientemente piccolo rispetto alla rapidità di variazione
del segnale.
La figura riporta un segnale ad onda quadra di ampiezza unitaria a cui è stato sommato del rumore
con distribuzione d’ampiezza di tipo gaussiano con varianza pari a uno. Sono riportati alcuni
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
esempi di filtraggio con media mobile per tempi d’integrazione T crescenti, quando il tempo
d’integrazione è confrontabile con il periodo dell’onda quadra la deformazione dei fronti di salita e
discesa è evidente.
Il filtro si comporta bene nel caso di fluttuazioni casuali; quando sono invece presenti disturbi
impulsivi di grande ampiezza entra in crisi, la sua risposta contiene ancora questi contributi
impulsivi. In questo caso possono risultare preferibili filtri non lineari,ad esempio, il filtro a mediana
che qui vediamo confrontato con quello a media mobile in presenza dell’impulso:
Si possono fare altri esempi di filtri non lineari: il filtro α calcola il valor medio dei dati nell’intervallo
T escludendo i valori nella cosa della distribuzione locale [F(x) < α ; F(x) > 1 - α].
I filtri non lineari offrono una gamma di soluzioni ad hoc per problemi particolari, la teoria a loro
relativa non ha carattere generale come invece è per i filtri lineari.
10.1.3 Filtraggio lineare ottimo:
Possiamo progettare un filtro che sfrutti in modo ottimale la diversa distribuzione in frequenza del
segnale e del rumore. Torniamo a considerare la stima di una costante s a partire da n
osservazioni x = {x1, x2,…,xj,…,xn}
devo determinare le costanti ai in modo da minimizzare l’errore quadratico medio Q = E [(s- )2]
Principio di ortogonalità:
min{Q} equivale a determinare le costanti ai in modo tale che lo scarto (errore) sia ortogonale ai
dati E [(s- )2xi]=0 per ogni i.
Passando al caso più generale della stima dell’andamento del segnale s(t) in base all’osservazione
dell’andamento di x(t)=s(t)+n(t) in un certo intervallo di tempo t є [a,b]; sia il segnale da stimare sia
il segnale misurato (l’osservazione) sono funzione del tempo. In questo problema di filtraggio non
abbiamo una combinazione lineare di variabili casuali, ma un integrale del prodotto
dell’osservazione per una funzione di pesatura h(t), di cui dobbiamo determinare la forma:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
La forma della funzione pesatura si ottiene imponendo la minimizzazione dell’errore quadratico
medio attraverso il principio di ortogonalità:
nell’ipotesi di stazionarietà, otteniamo:
10.1.3.1 Filtro di Wiener (1942):
È possibile ricavare la funzione pesatura h(t) da questa equazione integrale.
Molti lavori seguirono al lavoro iniziale di Wiener e Kolmogoroff sui filtri, il maggior contributo fu
dato da Kalman (nel 1960) che introdusse un filtro tempo discreto ricorsivo, con esso la miglior
stima del segnale s(t) soddisfa un’equazione differenziale “guidata” dal segnale x(t). Il filtro di
Kalman non è caratterizzato da un espressione esplicita per la risposta impulsiva del filtro ma da
un algoritmo adattativo.
Supponiamo di conoscere l’osservazione x(t) sull’intero asse dei tempi; supponiamo che i processi
coinvolti (segnale s(t) e rumore n(t)) siano stazionari. Scriviamo la stima del segnale come
integrale di convoluzione di x(t) con la funzione di pesatura h(t):
Lo stimatore del processo può essere interpretato come la risposta di un sistema lineare e
stazionario con la risposta all’impulso h(t), il cui ingresso è il segnale x(t).
Questo sistema non è causale, cioè non è fisicamente realizzabile perché ad ogni istante, per la
stima, si richiede la conoscenza del futuro oltre che del passato (h(t)≠0 per t<0)
Significato fisico del filtro di Wiener (dominio della frequenza di Fourier)
Applicando il principio di ortogonalità e ponendo τ = t - ξ ricavo l’equazione integrale:
trasformando secondo Fourier ambo i membri ottengo:
cioè la funzione di trasferimento cercata è:
la sua antitrasformata ci fornisce h(t).
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Nel caso in cui di nuovo segnale e rumore siano indipendenti (Ssn(f)=0) allora:
arriviamo alla forma:
L’errore di stima si calcola dell’espressione Q = E [(s- ) ]:
Concludendo:
• L’errore di stima si annulla quando segnale e rumore occupano regioni spettrali differenti
(non si sovrappongono) Sss(f) Snn(f) = 0; in questo caso H(f)=1 dove Sss(f)≠0 e H(f)=0 dove
Sss(f)=0.
• In assenza di rumore n(t)=0 il filtro ottimo ha un modulo costante e un comportamento
lineare della fase sullo spettro del segnale x(t).
• In presenza di rumore la banda del filtro viene ridotta per ridurre il rumore all’uscita del
filtro; si riduce così anche il segnale all’uscita del filtro; il valore ottimale della banda
passante è quello al di sotto del quale il segnale all’uscita si riduce più rapidamente del
rumore.
Il filtro di Wiener è insensibile alla fase del segnale di ingesso; la funzione h(t) è legata alla
funzioni di autocorrelazione. Un approccio che tiene conto invece di questo aspetto è il filtro
adattato.
10.1.3.2 Filtro adattato:
Conoscendo la forma dell’impulso del segnale s(t) l’obiettivo è quello di determinare l’occorrenza si
un evento impulsivo, la sua ampiezza A e l’istante di occorrenza to.
Calcoliamo il prodotto di convoluzione tra il segnale x(t) e una funzione di filtro w(t):
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Si dimostra che quando w(t)=s(-t), ovvero la risposta impulsiva del filtro uguale alla forma del
segnale invertito nel tempo, la funzione di trasferimento del filtro W(f) è ovviamente la trasformata
di Fourier di w(t)=s(-t), cioè W(f)=S*(f). Il filtro inoltre fornisce il miglior rapporto segnale rumore
(nel caso di rumore bianco).
Significato fisico - il modulo:
l’espressione W(f)=S*(f) indica che il modulo della funzione di trasferimento del filtro è massima
proprio per quelle frequenze a cui abbiamo il maggior contributo del segnale e allo stesso modo,
dove il segnale ha un contenuto spettrale trascurabile la funzione di trasferimento del filtro è bassa.
Significato fisico – la fase:
A partire dal segnale impulsivo a sinistra, tutte le componenti spettrali sono in fase all’istante t=0; il
filtro con funzione di trasferimento s(t) produce uno sfasamento fra le componenti spettrali in modo
da costruire il segnale s(t). il ritardo di fase introdotto dal filtro adattato cancella esattamente quelle
dovute al primo filtro, riportando in fase tutte le componenti spettrali.
Nota storica:
La teoria del filtro adattato (così come per quello di Wiener) è stata sviluppata durante la seconda
guerra mondiale per la rivelazione di segnali radar, segnali di forma nota, di cui interessa misurare
soprattutto il ritardo in ricezione per stabilire la distanza del bersaglio.
Rapporto segnale rumore:
segnale: il quadrato del valore massimo del segnale m(t), all’uscita del filtro, cioè m2(t0)
rumore: la varianza σ2 del rumore all’uscita del filtro
SNR = m2(t0) / σ2
Il segnale di uscita per l’ingresso A s (t- t0) sarà l’antitrasformata del prodotto:
A W(f) S(f) e (-j2πfto)
La varianza del rumore sarà data dall’integrale dello spettro del rumore di uscita:
Sn(f) | W(f) |2
Il rapporto segnale rumore sarà quindi:
se il rumore è bianco (Sn(f) = cost), si dimostra che SNR è massimo per W(f)=S*(f ) e vale:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Quando consideriamo un segnale sinusoidale al posto di un segnale impulsivo, queste
considerazioni ci dicono che la funzione peso ottimale è un segnale sinusoidale alla stessa
frequenza, così come per un onda quadra la funzione peso ottimale risulta essere un’onda quadra
alla stessa frequenza (lock-in).
10.2 Tecniche di correlazione:
Le tecniche di correlazione si diversificano in base ai casi che dobbiamo affrontare:
•
Individuare la presenza di un segnale disponendo di un segnale di riferimento (correlazione
incrociata con segnale di riferimento).
•
Individuare la presenza di un segnale in assenza di riferimento, sfruttando la correlazione
fra osservazioni diverse allo stesso segnale: a tempi diversi (autocorrelazione)
oppure allo stesso tempo, utilizzando due o più misure dello stesso segnale (Twiss-Brown)
Analizziamo un esempio: l’estrazione di un segnale sinusoidale dal rumore, con segnale di
riferimento, usando il primo metodo (correlazione incrociata):
conosciamo la frequenza ma non la fase ne l’ampiezza del segnale e vogliamo stimare
quest’ultima. Il segnale di riferimento r(t) = sin (2πft) ha la stessa frequenza.
Eseguo la correlazione incrociata tra i due segnali:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Posso ora determinare sia l’ampiezza A che la fase φ. In pratica l’osservazione del segnale
avverrà su un tempo finito T e quindi anche la stima di RXT(τ) sarà incerta; l’incertezza nasce dalle
fluttuazioni del termine che nasce dalla media temporale (su un tempo finito) del prodotto n(t)r(t).
Incertezza nella stima delle funzioni di correlazione:
in generale abbiamo:
per 0 ≤ τ < T. dove si suppone di avere a disposizione un’osservazione sperimentale su un
intervallo di tempo T + τ, per il valore massimo di τ a cui siamo interessati. L’incertezza sulla stima
sarà:
dove entrano in gioco i momenti statistici del quarto ordine.
Se i processi x(t) e y(t) (statistica del secondo ordine) allora questa espressione si riduce alla
forma:
Si annulla per T che tende a infinito (stima consistente), mentre per T sufficientemente grande
l’espressione si riduce a :
per τ = 0 l’integrando si riduce a 2RXX(ξ), mentre per τ sufficientemente grande l’integrando si
riduce a RXX(ξ) sfruttando la relazione:
Nel caso in cui due processi x(t) e y(t) sono a media nulla e a banda limitata, B si ottiene:
Twiss-Brown:
Un caso particolare è quello in cui possiamo scrivere i due processi come:
dove i due processi di rumore non sono fra loro correlati, e con il segnale, e la loro varianza è
rispettivamente N e M. È il caso della misura della stessa grandezza con due sensori diversi.
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Tornando al caso particolare dell’estrazione di una sinusoide di frequenza f nota con un riferimento
ideale y(t) = r(t) = m(t) = 0 (senza rumore)
per misurare a bassi rapporti segnale-rumore A2/2σn2 << 1 otteniamo:
Nel caso in cui non è disponibile un segnale di riferimento consideriamo il caso in cui non si
conosca né la frequenza né l’ampiezza del segnale sinusoidale immerso nel rumore e si voglia
stimare questi parametri. Eseguiamo allora l’autocorrelazione del segnale misurato:
da cui determiniamo i parametri incogniti (frequenza e ampiezza) ma non la fase.
Per ritardi sufficientemente grandi possiamo agevolmente stimare i parametri della sinusoide.
Anche in questo caso devo ricordarmi che sto effettuando una misura su un tempo finito quindi
avrò delle fluttuazioni sulla stima.
Tecnica Twiss-Brown:
Quando due sensori che misurano lo stesso segnale con rumori tra loro indipendenti:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
La correlazione incrociata di questi processi fornisce la varianza del segnale RXY(0)=S.
L’errore di stima, dove effettivamente non ci sia alcuna correlazione tra i rumori associati alle due
osservazioni attraverso i due sensori (dal caso di un processo di rumore a banda limitata):
Nel caso di nostro interesse diventa:
in condizioni di basso rapporto segnale-rumore, dove N = M (sensori tra loro uguali), allora:
La varianza si riduce con la radice quadrata del tempo d’integrazione T. Questa tecnica è
impiegata in varie discipline (radioastronomia, termometria di rumore, … , misure di rumore di fase
negli oscillatori). Il suo grande pregio sta nella capacità di ridurre l’incertezza di misura del sistema
a correlazione al di sotto del rumore proprio del singolo canale del sistema.
10.3 Rivelazione del segnale (Riassunto):
Ipotesi: rumore additivo x = s(t) + n(t)
•
Filtraggio: Il compito del filtro è quello di eliminare le componenti spettrali del segnale x(t)
che non contengono alcun informazione sul segnale s(t) che intendiamo stimare.
Attenzione nella scelta del filtro, al suo comportamento imprevisto verso il rumore o disturbi
ad esempio impulsivi.
•
Correlazione:
1.Nel caso si un segnale x(t) e di un riferimento ideale Rnr(τ):
dove T = intervallo di tempo dell’osservazione (integrazione) di x(t).
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
2. Quando abbiamo a disposizione un segnale di riferimento Rxx(τ)
3. Tecnica Twiss-Brown:
10.4 BoxCar sampling gate:
Il caso del filtro adatto è la soluzione ottimale dal punto di vista del rapporto SNR, tuttavia in molte
situazioni il miglioramento rispetto al caso di un integrazione sulla durata di un impulso può
risultare modesto rispetto alla complicazione e alla specificità dell’implementazione di un filtro
adatto. Una soluzione alternativa molto interessante e relativamente semplice da implementare è
quella di integrare su impulsi successivi.
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
L’interruttore del circuito è chiuso in corrispondenza di ogni impulso integrando il segnale
all’ingresso; quando l’interruttore invece rimane aperto la tensione ai capi del condensatore non
cambia. Questa semplice soluzione consente di accumulare il segnale in corrispondenza del picco
migliorando il rapporto segnale-rumore. Questa tecnica funziona anche nel caso di una forma del
segnale più generale, di cui si intende ricostruire la forma; in questo caso occorre integrare su un
piccolo intervallo di tempo rispetto alla durata del segnale e accumulare su più eventi successivi;
cambiare la regione d’integrazione e di nuovo accumulare…
la ricostruzione della forma del segnale richiede un tempo proporzionale al numero di medie che si
effettuano su ogni intervallo di tempo su cui è suddiviso il segnale e dal loro numero. Importante
notare che mi serve un segnale di riferimento.
È ovviamente possibile realizzare una scansione automatica del ritardo rispetto all’inizio del
segnale.
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
10.5 Lock-in:
Per aggirare i problemi causati dal remore 1/f, derive e offset una tecnica efficace e di largo
impiego è quella della rivelazione sincrona; il segnale viene opportunamente modulato in modo
tale da spostare spettralmente l’informazione del nostro esperimento dalla d.c. bassa frequenza a
una frequenza f lontana dai termini di deriva, rumore 1/f.
• Sorgente segnale modulato a frequenza f;
• Amplificatore a.c.:
• Rivelazione sincrona.
Lo schema di principio è il seguente:
Consideriamo di voler misurare una sinusoide di frequenza e fase nota, in presenza di rumore. Il
segnale di controllo è un onda quadra sincrona con la sinusoide applicata all’ingresso. L’effetto
della commutazione sincrona è quello di rettificare il segnale sinusoidale collegandosi all’uscita
dell’amplificatore che in quell’istante fornisce un uscita positiva. L’uscita del filtro è un segnale
costante proporzionale all’ampiezza della sinusoide. Il processo di rettificazione risulta ininfluente
sul rumore; all’ingresso del filtro avremo ancora del rumore con le stesse proprietà statistiche. Si
può migliorare a piacere il rapporto segnale-rumore aumentando il tempo d’integrazione del filtro.
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Potendo così misurare l’ampiezza dell’onda sinusoidale di debolissima intensità immersa nel
rumore. L’eventuale amplificazione del segnale avviene alla frequenza di modulazione lontano
dalla continua (e dal rumore 1/f); gli effetti di eventuali offset di questo componente sono ininfluenti.
Confronto tra misure d.c. e con lock-in in presenza di rumore bianco:
Nota storica: radiometro di Dicke:
L’introduzione di questa tecnica di misura è comunemente attribuita a Dicke. Il suo problema era
quello di effettuare misure di debolissime potenze a microonde (radiazione termica).
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Per aggirare il problema della stabilità del sistema di amplificazione del segnale misurava la
differenza del segnale prodotto dalla sorgente in studio e una sorgente di riferimento (terminazione
a temperatura nota)
Altre descrizioni equivalenti del funzionamento del Lock-in:
•
•
•
•
Strumento che esegue l’analisi spettrale del segnale al suo ingresso alla frequenza del
segnale di riferimento; la continua comunicazione tra le due posizioni del deviatore è
equivalente a moltiplicare il segnale d’ingresso per un onda quadra (fondamentale +
armoniche dispari).
Correlazione incrociata tra il segnale e un riferimento periodico.
Traslazione in frequenza dello spettro del segnale d’ingresso; le componenti spettrali del
segnale attorno alla frequenza del segnale di riferimento vengono traslate a bassa
frequenza.
Demodulatore di un segnale modulato in ampiezza.
Tornando al nostro schema di principio, quando la sinusoide d’ingresso è in fase con il segnale di
riferimento, l’uscita dal filtro è massima. In generale l’uscita sarà proporzionale al coseno della
differenza di fase tra riferimento e segnale. Di solito sono disponibili due canali d’uscita; uno per la
componente in fase, l’altro per la componente in quadratura.
consideriamo un filtro del primo ordine:
assumiamo che il rivelatore sincrono esegua il prodotto tra il segnale x(t) ed il riferimento r(t);
prendiamo in considerazione questa volta un riferimento sinusoidale a frequenza fissa fr.
r(t) = cos (2π fr t)
L’uscita del rivelatore sincrono è:
u(t) = x(t) r(t)
L’operazione prodotto è evidentemente un operazione non lineare tra i due segnali.
Consideriamo il comportamento di questo componente rispetto a due diversi segnali d’ingresso:
• Segnali periodici:
non necessariamente alla stessa frequenza del riferimento ; A(t) è lentamente variabile nel
tempo rispetto al tempo d’integrazione del filtro.
•
Processo casuale con spettro Sn(f)
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
Per quanto riguarda il primo tipo di contributi, il segnale di uscita dal rivelatore sincrono è:
quando ∆f = 0, il segnale ha la stessa frequenza del riferimento:
all’uscita del filtro rimane:
i(t) = A(t) cos Φ
nel caso di un segnale a frequenza diversa da quella del riferimento (Φ = 0):
all’uscita del filtro rimane il contributo A(t) cos (2 π ∆f t) se ∆f rientra nella banda passante del filtro,
altrimenti verrà attenuata.
Per quanto riguarda la parte casuale eseguiamo l’autocorrelazione del segnale prodotto tra
riferimento e segnale casuale, ricordando che moltiplicare due segnali nel dominio del tempo
significa, nel dominio della frequenza di Fourier, eseguire la loro convoluzione.
Se n(t), componente casuale in ingresso, e r(t) riferimento sono indipendenti all’uscita del rivelatore
abbiamo:
a cui corrisponde lo spettro:
che corrisponde alla traslazione dello spettro del processo casuale:
in questo caso stiamo facendo riferimento a spettri bilaterali.
lo spettro ottenuto viene poi filtrato:
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Sezione 3: Rivelazione dei segnali
La varianza del rumore prodotta dal processo casuale a ciascuna delle due uscite si calcola
immediatamente integrando sulla banda del filtro. Se il rumore ha uno spettro costante attorno ad fr
e ricordandoci della banda equivalente del filtro del primo ordine otteniamo:
esempi:
-
Amplificatori a chopper: questa tecnica era largamente utilizzata per realizzare amplificatori
in continua ad altro guadagno, di precisione. Il segnale d’ingresso viene modulato
moltiplicandolo per un onda quadra di frequenza fissa e ampiezza costante; l’onda quadra
così ottenuta viene amplificata e demodulata per riottenere un segnale in continua.
-
Modulazione derivata: in questo caso si modula non il fascio di luce ma una variabile
indipendente, la lunghezza d’onda del monocromatore.
la tecnica prende il nome di modulazione derivata perché il segnale d’uscita rappresenta la
derivata prima del picco di assorbimento.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
CAPITOLO 11 – PLL (Phase Locked Loop)
11.1 Principio di funzionamento:
Gli elementi che compongono un PLL in una configurazione generica sono : un comparatore o
rivelatore di fase (PD: Phase Detector), un filtro d'anello (LPF: Low-Pass Filter), un VCO (Voltage
Controlled Oscillator).
Il Phase Detector è un circuito che produce un'uscita media, Vout, che è linearmente proporzionale
alla differenza di fase, ΔΦ, applicata ai suoi due ingressi. Definiamo la pendenza della linea
guadagno del PD, indicata con KΦ ed espressa in [V/rad]. Un Voltage Controlled Oscillator ideale è
un circuito la cui frequenza di uscita è funzione lineare della sua tensione di controllo
KVCO denota il guadagno o la sensibilità del circuito, espressa in [rad=s=V ].
Per introdurre il concetto di aggancio di fase, si consideri il problema di allineare la fase della
frequenza di uscita di un VCO con la fase di un clock di riferimento. Come mostrato nella figura
sotto, il fronte di salita di VVCO è in ritardo di Δt secondi rispetto a VCK e lo scopo che ci prefiggiamo
è quello di eliminare questo errore. Ipotizzando che il VCO abbia un solo ingresso di controllo, Vcont
si può notare che per variare la fase bisogna variare la frequenza di oscillazione e calcolare
l'integrale:
La fase di uscita del VCO può essere allineata con la fase del riferimento se: la frequenza del VCO
è cambiata momentaneamente o un mezzo di comparazione delle due fasi, cioè un phase
detector, è utilizzato per determinare quando il VCO e il segnale riferimento sono allineati.
L'operazione di allineamento della fase del segnale di uscita del VCO con quella del segnale di
riferimento è appunto chiamata aggancio di fase. Da queste osservazioni, possiamo riassumere
che un PLL consiste semplicemente in un PD e in un VCO inseriti in un anello retroazionato.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Il PD compara le fasi di Vout e Vin e genera un errore che varia la frequenza del VCO finché le due
fasi non sono allineate, cioè fino a quando l'anello non è agganciato. Questa topologia, comunque,
deve essere modificata perché la forma d'onda all'uscita del PD consiste in una componente
continua (desiderabile) e in una componente in alta frequenza (non voluta). Inoltre la tensione di
controllo dell'oscillatore deve rimanere fissata a regime, cioè l'uscita del PD deve essere filtrata. Si
deve così interporre un filtro passa basso (LPF) tra il PD e il VCO. Questo filtro deve sopprimere le
componenti in alta frequenza del segnale di uscita del PD e estrarre solo la componente continua
che sarà la tensione di controllo del VCO. E' importante ricordare che l'anello di retroazione
compara le fasi dell'ingresso e dell'uscita. Se il guadagno dell'anello è abbastanza elevato, in
condizioni di regime, la differenza tra la fase di ingresso Φin e la fase di uscita Φout si riduce fino ad
un valore molto piccolo, permettendo l'allineamento della fase. Se l'anello è agganciato, si può
affermare che Φout - Φin è costante e preferibilmente piccolo. Si definisce allora anello agganciato
in fase se Φout - Φin non cambia con il tempo. Da questo segue che:
e perciò:
In conclusione possiamo affermare che, quando agganciato, un PLL produce una uscita che ha un
piccolo errore di fase rispetto all'ingresso ma esattamente la stessa frequenza. Si supponga, come
mostrato in figura, che il segnale d'ingresso sperimenti un gradino di fase Φin = ω1t+Φ1u(t-t1).
Siccome l'uscita del LPF non può cambiare istantaneamente, il VCO inizialmente continua a
oscillare alla frequenza ω1. L'aumento della differenza di fase tra l'ingresso e l'uscita crea larghi
impulsi all'uscita del PD, forzando Vcont a crescere gradualmente. Come risultato, la frequenza del
VCO comincia a cambiare, cercando di minimizzare l'errore di fase. Si nota anche che il loop non è
agganciato durante il transitorio perché l'errore di fase varia con il tempo. Si possono fare due
osservazioni:
• Dopo che il sistema è ritornato in condizioni di aggancio, tutti i parametri (eccetto la fase
totale di ingresso e di uscita) sono ritornati alle condizioni iniziali, cioè Φout - Φin, Vcont e la
frequenza del VCO non sono cambiati;
• La tensione di controllo dell'oscillatore può servire come punto di osservazione nell'analisi
del PLL.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Supponiamo ora che la frequenza del segnale di ingresso del PLL sperimenti un piccolo salto Δω
all'istante t = t1. Come nel caso del salto di fase, il VCO inizialmente continua ad oscillare alla
frequenza ω1, ma il PD genera impulsi sempre più lunghi e Vcont aumenta con il tempo. Come ωout
si avvicina a (ω1+ Δω), la larghezza degli impulsi generati dal PD diminuisce, fermandosi al valore
che produce una componente continua uguale a (ω1+ Δω - ω0) / KVCO. In contrasto al gradino di
fase, questo caso produce un cambiamento permanente sia sulla tensione di controllo che
sull'errore di fase. Analizzando i due casi, si può affermare che affinché il transitorio del sistema
sia esaurito, sia la fase che la frequenza devono avere raggiunto i rispettivi valori di regime. In
conclusione i Phase Locked Loop sono sistemi dinamici, cioè la loro risposta dipende dai valori
passati dell'ingresso e dell'uscita, questo a causa della presenza del LPF e del VCO che
introducono dei poli e degli zeri nella funzione di trasferimento di anello.
11.2 Introduzione ai blocchi fondamentali:
Prima di analizzare l'evoluzione temporale di un PLL analogico è opportuno introdurre i blocchi
fondamentali che costituiscono l'anello.
11.2.1 Phase Detector:
Il Phase Detector è un dispositivo che produce un'uscita media, Vout, che è linearmente
proporzionale alla differenza di fase, ΔΦ, applicata ai suoi due ingressi. Un esempio di PD è
rappresentato dalla porta logica OR esclusivo o XOR.
Con riferimento alla figura, se la differenza di fase tra gli ingressi varia, così fa la larghezza degli
impulsi di uscita, generando una tensione continua proporzionale a ΔΦ. Questo circuito produce
un impulso ad entrambi i fronti di salita e di discesa. Se la differenza di fase aumenta da zero fino
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
a ΔΦ radianti, l'area sotto ogni impulso aumenta di V0ΔΦ. Siccome ogni periodo contiene due
impulsi, il valore medio della tensione di uscita aumenta di 2V0ΔΦ / (2π), producendo un guadagno
di V0/π. Si può notare che il guadagno è indipendente dalla frequenza di ingresso. La relazione
ingresso-uscita si può desumere osservando che la tensione di uscita media Vout vale
(V0/π)(π/2)=V0/2 per ΔΦ=π/2 e V0 per ΔΦ=π. Se ΔΦ>π, la tensione media inizia a calare,
scendendo a V0/2 per ΔΦ=3π/2 e zero per ΔΦ=2π. La caratteristica è quindi periodica, avendo
guadagni sia negativi che positivi. Affinché la porta XOR funzioni correttamente da PD è
necessario sottrarre un offset di tensione pari a V0/2 ai segnali d'ingresso, ottenendo la
caratteristica mostrata in figura. Questa f.d.t. attraversa l'asse delle ascisse in π/2, evidenziando
che l'eventuale sistema, a transitorio esaurito, avrà un offset di fase pari proprio a π/2. La
caratteristica di figura rappresenta anche la funzione di trasferimento di una cella di Gilbert o
moltiplicatore analogico (figura sotto), che veniva usata come rivelatore di fase qualora ai due
ingressi venivano applicati segnali non modulati di uguale pulsazione. Il circuito genera un'uscita la
cui componente continua è proporzionale alla differenza di fase tra i due ingressi.
11.2.2 Phase-Frequency Detector e Charge Pump:
La transizione del sistema retroazionato dalla condizione di non aggancio a quella di aggancio è
un fenomeno non lineare perché agli ingressi del Phase Detector ci sono due segnali con
frequenze differenti. L'implementazione del solo Phase Detector ha come limite proprio l'intervallo
di acquisizione ristretto e si può dimostrare che questo è nell'ordine di ωLPF , cioè il loop si
aggancia solo se la differenza tra ωin e ωout è meno che ωLPF , cioè la frequenza di taglio del filtro
d'anello. Se da una parte si vorrebbe ridurre la frequenza di taglio ωLPF per ridurre il ripple sulla
tensione di controllo, dall'altra diminuisce il range di acquisizione. Si può notare che anche se la
frequenza di ingresso ha un valore preciso e controllato, un ampio range di acquisizione è spesso
necessario perché la frequenza centrale del VCO può variare considerevolmente con il processo e
la temperatura. Per rimediare al problema del limitato range di acquisizione, si può introdurre, oltre
ad un Phase Detector, un Frequency Detector: l'idea alla base è quella di comparare ωin e ωout e
per mezzo di un FD generare una componente continua VLPF2 proporzionale a ωin-ωout, utilizzarla
come ingresso al VCO e retroazionare negativamente il sistema in una anello. All'inizio il FD guida
ωout verso ωin mentre l'uscita del PD rimane ininfluente. Quando la differenza |ωin-ωout| è
sufficientemente piccola, il Phase-Locked Loop si trova in condizioni di aggancio. Tale schema
incrementa il range di acquisizione per tutto il range di funzionamento del VCO.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Per segnali periodici è possibile unire i due loop utilizzando un dispositivo che è sensibile alla
differenza sia della fase sia della frequenza. Chiamato Phase-Frequency Detector (PFD) il circuito
è costituito da logica sequenziale per creare tre stati e risponde al fronte di salita, o di discesa, dei
due ingressi. Questo circuito può essere realizzato in diverse topologie, ma la più semplice
consiste in due flip-flop di tipo D, resettabili e sensibili al fronte di salita. L'ingresso D viene
mantenuto sempre al livello logico 1 e gli ingressi di interesse A e B, sono il clock dei dispositivi.
Se QA = QB = 0 e A sale, allora QA assume il livello 1. Se questo evento è seguito da una
transizione in salita di B allora anche QB sale a 1 e la porta AND azzera entrambi i flip-flop. In altre
parole, QA e QB sono simultaneamente alti per brevi periodi di tempo, ma la differenza tra i loro
valori rappresenta l'informazione corretta di fase o di frequenza.
E' interessante tracciare il grafico della caratteristica input-output del PFD; definendo l'output come
la differenza tra il valore medio di QA e QB quando ωA = ωB e trascurando gli effetti dello stretto
impulso di reset, si può notare che l'uscita varia simmetricamente come |ΔΦ| inizia da zero. Per
ΔΦ = ±360°, Vout raggiunge il suo massimo o il suo minimo e successivamente cambia segno.
Siccome l'informazione utile è la differenza tra i valori medi di QA e QB, le due uscite possono
essere filtrate con un LPF indipendentemente l'una dall'altra e poi prelevare il segnale
differenziale. Un approccio più comune è quello di interporre una Charge Pump (CP) tra il PFD e il
LPF.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Una Charge Pump consiste in due generatori di corrente uguali che pompano carica nel filtro di
loop o la estraggono. Queste due situazioni sono comandate dal PFD attraverso le sue uscite
logiche denominate UP e DOWN. In figura si riporta una pompa di carica comandata da un PFD
che insiste su di una capacità. Se QA = QB = 0, allora S1 e S2 sono aperti e Vout rimane costante.
Se QA è alto e QB è basso, allora I1 carica Cp. Al contrario, se QA è basso e QB è alto, allora I2
scarica Cp. Così se per esempio A è in anticipo rispetto a B, allora QA continua a produrre impulsi e
Vout continua a salire. Questo circuito possiede una caratteristica importante: se A è in anticipo su
B di una quantità finita, allora QA produrrà un treno di impulsi indefinito, permettendo alla CP di
iniettare I1 in Cp e forzando Vout a salire costantemente, fino a raggiungere +∞ nel caso ideale.
Questo comportamento, che è dovuto alla presenza della capacità nel sistema che introduce un
polo nell'origine, indica che la fase quando il sistema è agganciato sarà esattamente zero; in
contrasto con quello che succede se implementassimo solo un semplice PD. Tale
implementazione è sensibile alla differenza di fase e di frequenza e attiva la CP opportunamente.
Quando il loop si accende, ωout può essere lontana da ωin e il PFD e la CP variano la tensione di
controllo del VCO in modo che ωout si avvicini a ωin. Quando la frequenza di ingresso e di uscita
sono sufficientemente vicine, il PFD opera come un PD, realizzando l'aggancio di fase. Il sistema
si aggancia quando la differenza di fase si annulla e la CP rimane relativamente inattiva. Si vuole
ora determinare una relazione lineare che lega la differenza di fase e la carica immessa nella
capacità nell'unità di tempo. Questo permette poi di ricavare la funzione di trasferimento del blocco
PFD/CP da inserire nel sistema retroazionato.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Il sistema in figura è non lineare, ma si può verificare che ogni volta che è presente un errore di
fase φ0, la tensione d'uscita presenta una rampa descritta dall'equazione Ip = Cp dV/dt, mentre per
il resto del periodo la tensione d'uscita rimane invariata . Si può allora pensare il segnale φ0 come
una funzione a gradino u(t) posizionato nell'origine temporale, mentre l'uscita è una rampa della
quale si vuole individuare la pendenza.
dove Tin è il periodo del segnale di ingresso. Di questo sistema si conosce la risposta Y(s) ad un
ingresso X(s), quindi è possibile risalire alla funzione di trasferimento imponendo H’(s)=Y(s)=X(s).
Nel dominio s:
mentre X(s) è un gradino di ampiezza φ0, X(s) = φ0/s. Infine:
a funzione di trasferimento del PFD/CP con la capacità possiede un polo nell'origine, in contrasto
con il semplice PD/LPF. L'equazione che definisce H’(s) è la funzione di trasferimento tra l'errore di
fase φ0 e la tensione ai capi della capacità Cp, invece la f.d.t. cercata vuole mettere in relazione la
differenza di fase con la corrente erogata dalla CP. Questa precisazione permette di eliminare
completamente dalla f.d.t. del blocco PFD/CP il tipo di filtro inserito. Con riferimento all'equazione
sopra scritta, si può notare che è presente il termine 1/sCp che rappresenta l'impedenza della
capacità, cioè la f.d.t. del filtro utilizzato nella modellizzazione del blocco. Un ulteriore passo di
astrazione consiste nel togliere questo termine, individuando così la funzione di trasferimento
cercata:
dove Ip(s) è la corrente erogata dalla Charge-Pump e Φ0(s) è l'errore di fase.
11.2.3 Voltage-Controlled Oscillator:
La definizione di voltage-controlled oscillator data nell'equazione ωout = ω0 + KVCOVcont specifica la
relazione tra la tensione di controllo e la frequenza di uscita. La dipendenza è detta senza
memoria perché un cambiamento in Vcont determina un cambiamento immediato in !out.
Consideriamo la forma d'onda V0(t) = Vm sin ω0t. L'argomento della sinusoide è chiamato fase
totale del segnale e in questo caso la fase varia linearmente con il tempo, mostrando una
pendenza uguale a ω0. Possiamo affermare anche che più velocemente varia la fase, più alta sarà
la frequenza della sinusoide, suggerendo che la frequenza possa essere definita come la derivata
della fase nel tempo:
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Questa equazione indica che, se la frequenza di una forma d'onda è conosciuta come funzione del
tempo, allora la fase può essere calcolata come:
In particolare, siccome per un VCO, ωout = ω0 + KVCOVcont, si ha:
La fase iniziale Φ0 non è importante e si può assumere uguale a zero. Se il VCO è utilizzato in un
PLL, allora solo il secondo termine della fase totale nell'equazione è d'interesse. Questo termine
KVCO ∫ Vcont dt è chiamato eccesso di fase, Φe, infatti nell'analisi di un PLL, si può vedere il VCO
come un sistema che ha come ingresso la tensione di controllo e come uscita l'eccesso di fase
Il VCO opera quindi come un integratore ideale, avente una funzione di trasferimento:
In questa sezione si è presa come riferimento una forma d'onda sinusoidale, ma nell'applicazione
d'interesse l'uscita del VCO sarà un'onda quadra che rappresenterà uno degli ingressi del PFD.
Dato che la tensione di controllo del VCO deve essere una quantità lentamente variabile nel tempo
è necessario l'introduzione di un filtro passa basso per eliminare le componenti in alta frequenza di
Vcont.
11.2.4 Low-Pass Filter:
La figura mostra il modello lineare di un PLL e l'equazione che segue è la sua funzione di anello
aperto:
Siccome il guadagno d'anello aperto ha due poli nell'origine e ciascuno di questi contribuisce con
una perdita di fase nel diagramma di Bode di 90°, il sistema non possiede una margine di fase
sufficiente per garantire la stabilità. Al fine di stabilizzare il sistema, si deve modificare la
caratteristica di fase in modo tale che la fase sia meno di 180° alla frequenza di taglio ωLPF. Questo
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
può essere realizzato introducendo uno zero nel guadagno d'anello, cioè posizionando un
resistore in serie con la capacità Cp come in figura.
La funzione di trasferimento ad anello aperto vale:
Il sistema presenta un problema significativo: dato che la corrente della Charge Pump insiste sulla
serie della resistenza e della capacità, ogni volta che viene iniettata della carica nel filtro d'anello,
la tensione di controllo del VCO subisce un grande variazione. Anche in condizioni di aggancio, sia
la differenza tra le correnti I1 e I2, sia l'iniezione di carica e sia il clock feedthrough di S1 e S2
introducono una variazione considerevole in Vcont. Il ripple risultante disturba notevolmente il VCO,
degradando la fase di uscita. Per risolvere questo problema, si introduce una seconda capacità in
parallelo a Rp e Cp, come mostrato nello schema seguente, che ha la funzione di sopprimere il
gradino iniziale.
Il filtro d'anello ora è del secondo ordine, causando un PLL del terzo ordine e rendendo la stabilità
del sistema più complessa. Ciò nonostante, se C2 è circa un quinto o un decimo di Cp, la risposta
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
in frequenza e il tempo di aggancio rimangono relativamente gli stessi. La funzione di trasferimento
del sistema PFD/CP/LPF risultante vale:
11.3 Dinamica del Phase-Locked Loop:
Per determinare le condizioni di aggancio e sgancio di un PLL in regime di funzionamento statico o
dinamico, si definiscono due parametri:
•
Pull-in Range: è l’intervallo di frequenze in cui il PLL può raggiungere l'aggancio da
qualsiasi condizione di partenza, in un tempo che potrebbe essere anche molto lungo.
Prima che avvenga l'aggancio si verificano delle oscillazioni non lineari della frequenza di
uscita del VCO. Nel caso si utilizzi un PFD/CP questo stato si estende per l'intero range di
funzionamento del VCO.
•
Lock Range Banda di acquisizione dell'aggancio: questo è l'intervallo di frequenze nel
quale il PLL raggiunge l'aggancio senza che si verifichino comportamenti non lineari della
frequenza di uscita del VCO.
Il Pull-in Range si estende per un più ampio intervallo di frequenze rispetto al Lock Range, infatti
quest'ultimo è caratterizzato dal fatto che in questo intervallo non interviene il Frequency Detector,
cioè la differenza di fase non supera i 360°. L'analisi che segue è valida solo nell'ultimo caso con la
condizione ulteriore che il ripple sulla tensione di controllo del VCO sia sufficientemente piccolo.
Per garantire anche quest'ultima condizione è necessario che la frequenza di taglio del PLL, nelle
condizioni peggiori, cioè quando il divisore N è minimo, sia almeno dieci volte più piccola della
frequenza nominale del PFD.
Possiamo identificare la funzione di anello come:
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E' possibile ricavare un'espressione approssimata di ωLPF ipotizzando che quest'ultima sia più
grande della pulsazione dello zero e più piccola della pulsazione del polo:
Nel grafico viene riportato l'andamento dell'approssimazione trovata, confrontato con quello della
frequenza di taglio trascurando solo lo zero della f.d.t.. Quest'ultima espressione può essere
derivata dall'equazione della funzione di anello ponendo |(1+sτs)|s=jω ≈ ωτs
Chiudendo l'anello del sistema in si ricava una funzione di trasferimento del 3° ordine:
Non è possibile trovare i poli della funzione di anello chiuso in forma chiusa, così si rende
necessaria un'approssimazione: si suppone che i termini di ordine maggiore siano trascurabili
rispetto a quelli di ordine inferiore. Le conseguenze ignorando questi termini sono più evidenti sulle
caratteristiche iniziali, come overshoot, mentre sono meno evidenti sul tempo di aggancio.
Trascurando il termine in s3 si ottiene:
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
Questa equazione può essere riscritta come:
avendo posto:
Per analizzare il comportamento nel tempo della f.d.t., è meglio esprimerla in una forma più
intuitiva: la frequenza istantanea di una forma d'onda è uguale alla derivata nel tempo della fase,
ω=dΦ/dt e siccome la fase e la frequenza sono relazionate tramite un operatore lineare, si può
esprimere la funzione di trasferimento come rapporto tra un ingresso ed un'uscita in frequenza:
Si consideri ora un PLL, il quale è inizialmente agganciato alla frequenza ω0 e il divisore N viene
cambiato in modo che la nuova frequenza di funzionamento del PLL sia ωf . Bisogna precisare che
il valore per N che è usato in tutte queste equazioni è il valore di N tale da generare in uscita un
segnale alla pulsazione ωf . Questo equivale a cambiare la frequenza di riferimento da ω0/N a
ωf/N, cioè l'ingresso del sistema è costituito da una funzione gradino (ωf - ω0) / N u(t) = Δω u(t). Lo
zero presente nella funzione di trasferimento ha un effetto rilevante sull'overshoot e sul tempo di
salita, ma ha un piccolo effetto sul tempo di aggancio, quindi l'equazione risultante nel dominio del
tempo, avendo trascurato anche lo zero, è data da:
Il sistema esibisce la stessa risposta se un gradino di fase è applicato come ingresso.
Proseguendo con l'analisi si può scrivere:
cioè si vuole raggiungere ωf - ω0 a meno di un errore toll. Al fine di minimizzare il tempo di
aggancio è necessario massimizzare i termini ξ e ωn. Questi due parametri però non sono liberi,
soprattutto ξ determina la stabilità del sistema.
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
quindi il tempo di aggancio è inversamente proporzionale alla frequenza di taglio del sistema
secondo la relazione seguente:
Il risultato qui ottenuto è valido solo se il PLL si trova in condizioni di aggancio e la frequenza
nominale del PFD è almeno dieci volte più grande della frequenza di taglio. L'analisi teorica fin qui
condotta non prende in considerazione lo stato di non aggancio. E' possibile darne una
spiegazione intuitiva analizzando più in dettaglio i ripple della tensione di controllo del VCO. Le
equazioni qui trovate si riferiscono comunque ad una condizione di aggancio dell'anello, ma nel
capitolo successivo verranno modificate opportunamente per estenderne la validità. Le componenti
in alta frequenza sovrapposte alla componente continua della tensione di controllo del VCO (in
figura) possono essere modellizzate calcolando la funzione di trasferimento tra la corrente della
CP e Vcont, nell' ipotesi di non chiudere l'anello di retroazione.
la f.d.t. è:
Imponendo un gradino di corrente I0/s e antitrasformando si ricava l'equazione:
L'equazione così trovata relaziona la tensione di controllo del VCO e la corrente mediata sul
periodo erogata dalla CP e il termine I0 rappresenta proprio quest'ultimo coefficiente:
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Sezione 4 : PLL (Phase Locked Loop)
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Sezione 5 : Collegamenti e Mezzi Trasmissivi
CAPITOLO 12 – COLLEGAMENTI E MEZZI TRASMISSIVI
12.1 Dimensionamento di un collegamento:
Introduciamo subito alcune definizioni e concetti, che aiutano a meglio analizzare il problema del
dimensionamento di un collegamento. I parametri fondamentali del collegamento sono espressi
dalla potenza disponibile del trasmettitore WdT , dalla minima potenza che occorre ricevere WRMin
(spesso indicata come sensibilità) e dall’attenuazione disponibile Ad del mezzo di trasmissione che
si intende utilizzare.
Determinazione di WRMin :
Si ottiene in base alla conoscenza del livello di rumore NO/2 in ingresso al ricevitore e dell’SNR o
della Pe che si desidera ottenere.
Nel caso analogico, se:
risulta:
mentre in quello numerico, in cui la Pe determina il valore di Eb/No = WB / FbNo, si ottiene:
Benché la valutazione delle prestazioni svolta ai precedenti capitoli consideri potenze di segnale,
lo stesso valore SNR esprime anche un rapporto tra potenze disponibili, dato che sia segnale che
rumore hanno origine da generatori che condividono la stessa impedenza interna. Infatti:
così come l’SNR non varia se, anziché le potenze disponibili, si considerano quelle assorbite da un
carico (lo stadio di ingresso del ricevitore), dato che segnale e rumore subiscono il medesimo
rapporto di partizione.
Guadagno di Sistema:
Questo rapporto è detto Guadagno di sistema e rappresenta il massimo
valore di attenuazione Ad che è possibile superare. La differenza in decibel
GsdB = WdT [dBW] − WRMin [dBW] rappresenta la stessa quantità, in una
forma che rende più intuitivo il suo utilizzo nel determinare un limite alla
massima attenuazione disponibile: deve infatti risultare:
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Sezione 5 : Collegamenti e Mezzi Trasmissivi
Margine di sistema:
La differenza tra GsdB ed AddB , che per quanto appena detto deve risultare maggiore o uguale a 0,
prende il nome di Margine di sistema, e rappresenta l’eccesso di potenza (in dB) che viene
trasmessa, rispetto alla minima indispensabile:
Attenuazione supplementare:
L’eccesso di potenza MdB deve comunque risultare maggiore della somma (in dB) di tutte le
possibili ulteriori cause di attenuazione del segnale, indicate collettivamente come attenuazioni
supplementari:
In questa categoria rientrano tutte le cause di attenuazione non previste nella situazione ideale e
che possono, ad esempio, avere origine dal fallimento delle condizioni per il massimo
trasferimento di potenza, oppure essere causate da un fenomeno piovoso in un collegamento
radio, o dipendere dalla perdita di segnale dovuta alla giunzione tra tratte in fibra ottica....
Grado di servizio:
Il concetto di grado di servizio è stato associato al valore di probabilità con cui può verificarsi un
fenomeno di blocco in un elemento di commutazione. Un concetto del tutto analogo sussiste,
qualora le attenuazioni supplementari siano grandezze aleatorie, e la loro somma possa superare
il valore del margine a disposizione: in tal caso, la potenza ricevuta si riduce sotto la minima WRMin ,
ed il collegamento “va fuori specifiche”. Pertanto, in sede di dimensionamento di un collegamento,
indichiamo con grado di servizio la percentuale di tempo per la quale si mantiene WR > WRMin ,
ovvero la probabilità che le attenuazioni supplementari non superino il margine, ossia:
12.2 Collegamenti in cavo:
12.2.1 Costanti distribuite, grandezze derivate, e condizioni generali:
Un conduttore elettrico uniforme e di lunghezza infinita, è descritto in base ad un modello a
costanti distribuite, espresso in termini delle costanti primarie costituite dalla resistenza r, la
conduttanza g, la capacità c e l’induttanza l per unità di lunghezza. La teoria delle linee uniformi
definisce quindi due grandezze derivate dalle costanti primarie: l’impedenza caratteristica Z0 (f) e la
costante di propagazione γ (f).
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Impedenza caratteristica:
E’ definita come:
e rappresenta il rapporto tra V (f) ed I (f) in un generico punto del cavo, permettendo di scrivere:
Costante di propagazione:
E’ definita come:
mentre la grandezza
rappresenta il rapporto dei valori di tensione presenti tra due punti di
un cavo di lunghezza infinita, distanti d, permettendo di scrivere:
Condizioni di chiusura:
Qualora il cavo di lunghezza d sia chiuso ai suoi estremi su di un generatore con impedenza Zg (f)
e su di un carico Zc (f), risultano definiti i coefficienti di riflessione del generatore e del carico:
Osserviamo subito che nel caso in cui Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), risulta rg (f) = rc (f) = 0.
Quadripolo equivalente:
L’impedenza vista dai morsetti di ingresso e di uscita di un cavo, interposto tra generatore e carico,
vale rispettivamente:
Allo stesso tempo, la funzione di trasferimento intrinseca risulta:
Condizioni di adattamento:
Nel caso in cui Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), come sappiamo, il quadripolo si comporta in modo perfetto. In
tal caso, risultando rg (f) = rc (f) = 0, si ottiene che Zi (f) = Zu (f) = Z0 (f) e Hq (f) = Vq(f) / Vi(f) =
: il cavo si comporta allora come se avesse lunghezza infinita. In tal caso, inoltre, risulta
che Hi (f) = 1/2 ed Rg (f) = Ru (f); pertanto il guadagno disponibile risulta:
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Condizione di Heaviside:
Nel caso in cui i valori delle costanti primarie siano tali da risultare r · c = l · g, relazione nota come
condizione di Heaviside, allora per la costante di propagazione si ottiene:
pertanto, α(f) è costante e β(f) cresce linearmente con la frequenza, realizzando così le condizioni
di un canale perfetto, in quanto:
Allo stesso tempo, l’impedenza caratteristica:
è solo resistiva ed indipendente dalla frequenza, rendendo semplice realizzare la condizione di
adattamento Zg (f) = Zc (f) = R0, che determina al contempo anche il massimo trasferimento di
potenza. In definitiva, la funzione di trasferimento complessiva Hq (f) = Hi (f) Hq (f) Hu (f) vale in
questo caso:
equivalente quindi ad un canale perfetto con guadagno:
e ritardo:
al contempo, l’attenuazione disponibile risulta indipendente da f, e pari a:
12.2.2 Trasmissione in cavo:
In generale, le costanti primarie del cavo non soddisfano le condizioni di Heaviside, e le
impedenze di chiusura non sono adattate. In tal caso si ha rg (f) ≠ 0 e/o rc (f) ≠ 0, e devono essere
applicate le equazioni del quadripolo equivalente.
Cavo molto lungo:
Se il cavo è sufficientemente lungo da poter porre
, ossia:
le equazioni:
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divengono e posso scrivere:
mentre la funzione di trasferimento intrinseca si semplifica in:
nel caso generale risulta pertanto:
che mostra due cause di distorsione lineare.
La prima dipende dal disadattamento di impedenze in ingresso ed uscita. Qualora si realizzi invece
la condizione Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), si ottiene:
, che
La seconda causa di distorsione dipende dal comportamento non perfetto di Hq (f) =
in teoria può essere completamente corretto, solo nel caso in cui le costanti primarie soddisfino le
condizioni di Heaviside. In pratica, però, il risultato è diverso, perché le “costanti primarie” non
sono costanti.
Effetto pelle:
Si tratta di un fenomeno legato all’addensamento del moto degli elettroni verso la superficie del
cavo, al crescere della frequenza. Per questo motivo, si riduce la superficie del conduttore
realmente attraversata da corrente elettrica, a cui corrisponde un aumento della resistenza per
unità di lunghezza r. Si può mostrare che, per frequenze maggiori di 50-100 KHz, la resistenza per
unità di lunghezza r aumenta proporzionalmente a
, e quindi si può scrivere
cui la costante
dipende dal tipo di cavo. In tali condizioni, l’attenuazione disponibile risulta:
, in
a cui corrisponde un valore in dB pari a:
Il valore A0 riassume in sè tutte le costanti coinvolte, prende il nome di attenuazione chilometrica,
ed è espresso in db/Km, ad una determinata frequenza (ad es. 1 MHz). Pertanto, poiché
nell’applicare la formula occorre mantenere congruenza dimensionale, si ottiene in definitiva:
in cui fR rappresenta la frequenza di riferimento per la quale è disponibile il valore si A0. Questo
risultato può essere usato come formula di progetto, e mette in evidenza come l’attenuazione in dB
dei cavi sia linearmente proporzionale alla lunghezza.
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Equalizzazione:
In presenza di effetto pelle, la funzione di trasferimento intrinseca:
presenta una dipendenza da f tutt’altro che perfetta, causando potenzialmente distorsioni lineari
sui segnali in transito. Un problema analogo sorge, anche in assenza di effetto pelle, qualora si
manifesti un disadattamento di impedenze ed il cavo non sia sufficientemente lungo. Se la banda
di segnale è sufficientemente estesa da causare una distorsione lineare non trascurabile, o se la
particolare natura del segnale (ad es. numerico) richiede la presenza di un ritardo strettamente
costante con f, è necessario prevedere uno stadio di equalizzazione.
Diafonia:
La diafonia, indicata in inglese con il termine di crosstalk, consiste nei fenomeni di interferenza tra i
messaggi trasportati su cavi disposti in prossimità reciproca, e dovuti a fenomeni di induzione
elettromagnetica ed accoppiamenti elettrostatici. Il fenomeno è particolarmente rilevante in tutti i
casi in cui molti cavi giacciono fasciati in una medesima canalizzazione, condividendo un
lunghezza significativa di percorso. Nel caso di comunicazioni foniche, la diafonia può causare
l’ascolto indesiderato di altre comunicazioni; nel caso di trasmissioni numeriche o di segnali
modulati, la diafonia produce un disturbo additivo supplementare, che peggiora le prestazioni
espresse in termini di probabilità di errore o di SNR.
Con riferimento allo schema della figura soprastante, consideriamo un collegamento D-C su cui
gravano due cause di interferenza di diafonia: il collegamento da E ad F produce il fenomeno di
paradiafonia (in inglese NEXT, near end crosstalk), mentre il collegamento da B ad A produce il
fenomeno di telediafonia (FEXT, far end crosstalk). Nel primo caso, il segnale disturbante ha origine
in prossimità del punto di prelievo del segnale disturbato, mentre nel secondo ha origine in
prossimità del punto di immissione. L’entità del disturbo è quantificata mediante un valore di
attenuazione di diafonia tra le sorgenti disturbanti e l’estremo disturbato. La circostanza che, nei
rispettivi punti di immissione, i segnali disturbanti hanno la stessa potenza della sorgente che
emette il segnale disturbato, permette di definire lo scarto di paradifonia.
come la differenza in dB tra l’attenuazione di paradiafonia AEC|dB e l’attenuazione del
collegamento ADC|dB . Il livello di potenza del segnale disturbante proveniente da E ed osservato al
punto C risulta quindi pari a:
ossia di ∆AEC dB inferiore al segnale utile. Una definizione del tutto analoga risulta per la
telediafonia (FEXT), per la quale il livello di potenza del segnale disturbante proveniente da B ed
osservato al punto C risulta:
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in cui lo scarto di telediafonia ha il valore:
12.2.2.1 Casi limite:
Cavo a basse perdite:
E’ un modello applicabile per tutte quelle frequenze per cui risulti r << 2πfl e g << 2πfc. In tal caso
si ha:
Di conseguenza, è facile realizzare Zg = Zc = R0, che determina:
quindi il cavo non presenta distorsioni di ampiezza, ha una attenuazione trascurabile, e manifesta
una distorsione di fase lineare in f, realizzando quindi le condizioni di canale perfetto.
Cavo corto:
E’ il caso di collegamenti interni agli apparati, o tra un trasmettitore-ricevitore e la relativa antenna.
La ridotta lunghezza del cavo permette di scrivere:
in quanto:
12.2.3 Tipologie di cavi:
Descriviamo i principali tipi di cavo utilizzati, per i quali forniamo in tabella i valori tipici delle
grandezze essenziali, nelle condizioni illustrate nel testo che segue.
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12.2.3.1 Coppie simmetriche:
Linee aeree:
Sono costituite da una coppia di conduttori nudi, di bronzo od acciaio rivestito in rame, con
diametro Φ da 2 a 4 mm, sostenuti da una palificazione che li mantiene a distanza di 15 - 30 cm.
L’uso delle linee aeree è andato estinguendosi con il tempo, ma rimane largamente diffuso nei
paesi più poveri. I valori riportati in tabella sono riferiti a conduttori con Φ = 3 mm, a frequenza di 1
KHz; la r già a 100 KHz cresce al valore di 20 Ω/Km, mentre la conduttanza g a 100 KHz e con
tempo molto umido, può crescere fino a decine di volte il suo valore nominale ad 1 KHz. I valori
riportati mostrano come le condizioni di Heaviside non siano rispettate, in quanto rc >> lg, anche
se lo scarto è inferiore rispetto al caso delle coppie ritorte. L’impedenza caratteristica riportata in
tabella, di circa 600 Ω, è ottenuta applicando il modello a basse perdite, con le costanti primarie
indicate.
Coppie ritorte:
Sono costituite da una coppia di conduttori in rame, con Φ da 0.4 ad 1.3 mm, rivestiti di materiale
isolante, ed avvolti tra loro secondo eliche con passo grande rispetto al diametro. Un numero
variabile di tali coppie (tra qualche decina e qualche centinaio) sono poi raggruppate assieme, e
rivestite con guaine protettive isolanti o metalliche; il risultato dell’operazione è interrato o sospeso
mediante una fune in acciaio. L’uso delle coppie ritorte, nato allo scopo di realizzare il
collegamento tra utente e centrale telefonica, si è esteso al cablaggio di reti locali (LAN) con
topologia a stella (IEEE 802.3); in tale contesto, i cavi sono indicati come UTP (unshielded twisted
pair). I valori riportati in tabella sono riferiti a conduttori con Φ = 0.7 mm, a frequenza di 1 KHz; la r
a 100 KHz è circa doppia. La g dipende sostanzialmente dall’isolante utilizzato, mentre l’aumento
di c è evidentemente legato alla vicinanza dei conduttori. Anche in questo caso, risulta rc >> lg, e
dunque le condizioni di Heaviside non sono verificate. Nel passato, si è fatto largo uso
dell’espediente di innalzare artificialmente l, collocando ad intervalli regolari una induttanza
“concentrata” (le cosiddette bobine Pupin), realizzando così nella banda del canale telefonico un
comportamento approssimativamente perfetto. Al crescere della frequenza, però, le bobine Pupin
producono un effetto passabasso, aumentando di molto il valore di attenuazione; attualmente, le
stesse coppie ritorte sono utilizzate per la trasmissione di segnali numerici PCM, e dunque le
bobine Pupin sono state rimosse, ed al loro posto inseriti ripetitori rigenerativi. L’impedenza
caratteristica riportata in tabella, di circa 600 Ω, è valida a frequenze audio, con cavi Φ = .7 mm.
Prevalendo l’aspetto capacitivo, al crescere della frequenza Z0 si riduce a 100-200Ω, con fase di
-10 gradi. L’attenuazione chilometrica riportata, è sempre relativa al caso Φ = .7 mm; per diametri
di 1.3 mm si ottengono valori circa dimezzati, mentre con Φ = .4 mm il valore di A0 risulta
maggiore. Una ultima osservazione deve essere fatta, per spiegare che l’avvolgimento della
coppia su se stessa ha lo scopo di ridurre i disturbi di diafonia. Infatti, se il passo dell’elica è
diverso tra le coppie affasciate in unico cavo, le tensioni e correnti indotte da una coppia su di
un’altra non interessano sempre lo stesso conduttore, ma entrambi in modo alternato.
L’avvolgimento della coppia disturbante, inoltre, produce una alternanza dei conduttori in vicinanza
della coppia disturbata, aggiungendo una ulteriore alternanza del verso del fenomeno di disturbo.
Con questi accorgimenti, si trovano attenuazioni di diafonia a frequenze vocali, dell’ordine di 80-90
dB su 6 Km. All’aumentare della frequenza, e della lunghezza del percorso comune, l’attenuazione
di diafonia diminuisce (e quindi l’interferenza aumenta), fino a mostrare valori di 60-70 dB a 750
KHz su 1.6 Km.
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12.2.3.2 Cavo coassiale:
Un conduttore centrale è ricoperto di dielettrico, su cui è avvolto il secondo conduttore, intrecciato
a formare una sorta di calza, e racchiuso a sua volta in una guaina isolante. La particolare
conformazione del cavo lo rende molto più resistente ai fenomeni di interferenza; indicando con Φ
il diametro del conduttore interno e con D quello esterno, la teoria mostra che si determina un
minimo di attenuazione se D/Φ = 3.6; per questo sono stati normalizzati i diametri mostrati nella
tabella. Il tipo con Φ/D = 8.4/38 mm è sottomarino, e presenta la minima attenuazione chilometrica;
A0 aumenta al diminuire della sezione del cavo. Finché D/Φ = 3.6, l’impedenza caratteristica
dipende solo dal dielettrico, con l’espressione generale fornita in tabella, ottenendo i valori di 50 e
75 Ω con dielettrico aria e polietilene rispettivamente. I valori delle costanti primarie riportati in
tabella sono ottenuti facendo uso delle seguenti relazioni:
in cui si è posto f (in Hz nelle formule) pari a 1 MHz, D e d sono espressi in metri, εr è la costante
dielettrica, e tanδ è l’angolo di perdita del dielettrico; nel caso del polietilene, risulta εr = 2.3 e
tanδ = 3 · 10−4.
12.3 Collegamenti in fibra ottica
12.3.1 Generalità:
Natura fisica della fibra Una fibra ottica è realizzata in vetro o silicio fuso, ovvero qualunque
materiale dielettrico trasparente alla luce, tanto che può essere realizzata anche in plastica. Il suo
utilizzo è quello di trasportare energia luminosa in modo guidato. Una caratteristica che deriva
direttamente dalla sua natura, è l’immunità della fibra ottica ai disturbi di natura elettromagnetica;
tale proprietà impedisce fenomeni di interferenza (diafonia), così come non permette di prelevare
segnale dall’esterno (intercettazione).
Il segnale luminoso:
Le lunghezze d’onda delle radiazioni elettromagnetiche nel campo del visibile sono comprese tra
50 nm (1 nm =10−9 metri) dell’ultravioletto fino a circa 100 µm dell’infrarosso, che corrispondono a
frequenze (ricordando ancora che f = c/λ) che vanno da 6·1015 Hz a 3·1012 Hz. Questi valori
individuano una banda passante veramente notevole se comparata ad altri mezzi trasmissivi:
supponiamo infatti di effettuare una modulazione che occupi una banda pari allo 0.1% della
frequenza portante. Se f0 = 1 GHz, si ha 1 MHz di banda; ma se f0 = 1014, si ha una banda di 100
GHz.
Trasmissione ottica:
Anche se sono teoricamente possibili schemi di modulazione analogici, le fibre ottiche sono usate
prevalentemente per trasportare informazione di natura numerica, in cui la luce emessa da una
sorgente è accesa o spenta (ovvero modulata in ampiezza con uno schema ON/OFF).
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All’altro estremo della fibra, un fotorivelatore effettua una rivelazione incoerente dell’energia
luminosa, che viene nuovamente convertita in un segnale elettrico. Le prime fibre ottiche risalgono
al 1970, e fornivano attenuazioni dell’ordine di 20 dB/Km. Attualmente si sono raggiunti valori di
attenuazione di 0.2 dB/Km, pari ad un quarto di quella dei migliori cavi coassiali. D’altra parte, a
differenza del rame, il materiale utilizzato per le fibre (vetro o silicio) è largamente disponibile in
natura. Inoltre, a parità di diametro, una fibra ottica trasporta un numero anche 1000 volte
maggiore di comunicazioni rispetto ad un cavo coassiale, fornendo quindi anche un risparmio di
spazio.
Propagazione luminosa e indice di rifrazione:
Lo spazio libero è il mezzo di propagazione in cui la luce viaggia più velocemente. Il rapporto tra
c=3·108 m/sec, e la velocità di propagazione v di un mezzo trasparente, è l’indice di rifrazione n del
mezzo stesso. Quando un raggio luminoso incontra un mezzo con diverso indice n (ad esempio,
da n1 ad n2 < n1) una parte di energia si riflette con angolo uguale a quello incidente, e la restante
parte continua nell’altro mezzo, ma con diverso angolo. Risulta n2 / n1 = cos θ1 / cos θ2, e dunque
il raggio rifratto è più inclinato nel mezzo con n inferiore (dove viaggia più veloce). Esiste un valore
θc = arccos (n2 / n1) sotto il quale non si ha rifrazione, ma tutto il raggio viene riflesso.
E’ proprio su questo fenomeno che si basa l’attitudine delle fibre ottiche di trasportare energia
luminosa. La fibra ottica è infatti costituita da un nucleo (core) centrale con indice di rifrazione n1,
circondato da un rivestimento (cladding) con indice n2 < n1; entrambi racchiusi in una guaina
(jacket) di materiale opaco. Quando una sorgente luminosa è posta davanti alla fibra, l’energia si
propaga mediante diversi modi di propagazione, definiti nel contesto della meccanica quantistica, e
identificabili in chiave di ottica geometrica come i diversi angoli di incidenza. Il modo principale è
quello che si propaga lungo l’asse rettilineo, mentre i modi secondari sono quelli con angolo < θc,
che si riflettono completamente al confine tra core e cladding. I modi associati ad angoli più elevati
di θc vengono progressivamente assorbiti dalla guaina, e dunque non si propagano. Il valore:
prende il nome di apertura numerica, e permette di risalire al massimo angolo di incidenza
mediante la relazione θc = arcsin ∆/n1. Come si vede, ∆ è tanto più piccolo quanto più n1 ed n2
sono simili; al diminuire di ∆, si riduce anche la potenza luminosa che viene immessa nella fibra
ottica, ma si ottiene il beneficio illustrato di seguito.
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12.3.2 Propagazione luminosa:
Dispersione modale:
Questo fenomeno è dovuto al fatto che i modi propagazione relativi agli angoli di incidenza più
elevati, percorrono di fatto più strada, e dunque impiegano più tempo per giungere a destinazione.
Pertanto, ogni singolo impulso luminoso presente in ingresso produce in uscita più impulsi
distanziati nel tempo, uno per ogni modo di propagazione. Dato che inoltre avviene un continuo
scambio di energia tra i diversi modi, si ottiene che l’uscita sarà un segnale con una sagomatura
allargata.
L’entità della dispersione temporale (differenza tra ritardo max e min) sarà tanto maggiore quanto
più il collegamento è lungo, e quanti più modi partecipano alla propagazione. L’effetto più
appariscente del fenomeno descritto consiste nella limitazione della massima frequenza con cui gli
impulsi luminosi possono essere posti in ingresso alla fibra; impulsi troppo vicini risulterebbero
infatti indistinguibili in uscita. Pertanto la massima frequenza di segnalazione in una fibra ottica,
dipende dalla lunghezza della fibra stessa. Si chiamano fibre multimodo le fibre ottiche in cui sono
presenti più modi di propagazione. Queste sono del tipo STEP INDEX se n cambia in modo
brusco, o GRADED INDEX se il core ha un indice graduato. Nel secondo caso la dispersione
temporale è ridotta; infatti quando i modi secondari attraversano la sezione periferica del core,
incontrano un indice di rifrazione n ridotto, e quindi viaggiano più veloci. Una diversa (e drastica)
soluzione al problema della dispersione temporale, è fornita dalle fibre ottiche monomodo: queste
sono realizzate con un core di diametro così piccolo, da permettere la propagazione del solo modo
primario. Ovviamente le ultime due soluzioni (graded index e fibra monomodo) si sono rese
possibili grazie ai progressi nei processi di fabbricazione. Per concretizzare il discorso, è
sufficiente citare che il diametro del core passa dai 50 µm per le fibre multimodo, a circa 8 µm nel
caso monomodo.
Attenuazione:
In modo simile ai cavi elettrici, anche le fibre ottiche sono mezzi dissipativi, in quanto parte
dell’energia in transito viene assorbita dalla fibra stessa e trasformata in calore. I fenomeni di
assorbimento sono legati alla presenza di impurità chimiche, che possono ridurre la trasparenza
oppure avere dimensioni (a livello molecolare) comparabili con le lunghezze d’onda in gioco. Per
questi motivi, la caratteristica di attenuazione chilometrica ha un andamento fortemente
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dipendente da λ, e sono stati individuati 3 intervalli di lunghezze d’onda (detti finestre) per i quali
l’assorbimento è ridotto, ed in cui sono effettuate le trasmissioni ottiche.
La prima finestra (con attenuazione maggiore) è stata l’unica disponibile agli inizi, a causa
dell’assenza di trasduttori affidabili a frequenze inferiori, ed è tuttora usata per collegamenti
economici e scarsamente critici. La seconda finestra ha iniziato ad essere usata assieme alle fibre
monomodo, grazie all’evoluzione tecnologica dei trasduttori, mentre l’uso della terza finestra si è
reso possibile dopo essere riusciti a limitare la dispersione cromatica delle fibre. Un’altra fonte di
attenuazione può avere origine dalle giunzioni tra tratte di fibre ottiche: l’uso di connettori produce
una perdita di 0.4 ÷ 1 dB, ed i giunti meccanici circa 0.2 dB oppure anche 0,05 dB se ottimizzati
per via strumentale. Si possono infine fondere tra loro le fibre, con perdite tra 0,01 e 0,1 dB.
Dispersione cromatica e trasduttori elettro-ottici:
Dopo aver ridotto od eliminato il fenomeno di dispersione modale, si è individuata una ulteriore
causa di dispersione temporale dell’energia immessa nella fibra ottica: il problema si verifica se il
segnale di ingresso non è perfettamente monocromatico, ovvero sono presenti diverse lunghezze
d’onda. Dato che il valore dell’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda, λ diverse si
propagano con velocità differenti e raggiungono l’altro estremo della fibra in tempi successivi. La
dispersione cromatica nominale D0 della fibra si misura in [psec / Km·nm], e dà luogo ad una
dispersione temporale D = D0 · L · ∆λ tanto maggiore quanto più è lunga la fibra, e quanto più è
estesa la gamma cromatica ∆λ della sorgente. Per ridurre il fenomeno è possibile:
•
•
Utilizzare una lunghezza d’onda λ per la quale la dispersione cromatica è ridotta. Ad
esempio, una fibra di silicio produce una dispersione cromatica 15 volte inferiore a 1.3 µm
che non a 1.5 µm.
Scegliere una sorgente con la minima estensione cromatica ∆λ possibile.
Per ciò che riguarda il secondo punto, i trasduttori usati per primi sono stati gli economici LED
(Light Emitting Diode), che richiedono una circuiteria di interfaccia semplice, sono poco sensibili
alle condizioni ambientali, e quindi risultano affidabili. D’altra parte, i LED emettono luce su più
lunghezze d’onda, mentre per limitare la dispersione cromatica (e quindi raggiungere frequenze di
segnalazione più elevate) occorre ricorrere ai Diodi Laser (LD). I laser forniscono anche una
maggiore potenza, e quindi divengono indispensabili per coprire distanze maggiori. D’altra parte
sono più costosi, hanno vita media ridotta rispetto ai LED, e richiedono condizioni di lavoro più
controllate. Notiamo inoltre che una fibra ottica posta inizialmente in opera mediante sorgenti LED,
può essere potenziata (in termini di banda) sostituendo il LED con il laser. L’uso di sorgenti che
operano in III finestra, che (presentando una attenuazione ridotta) permette di operare con tratte
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più lunghe, obbliga in generale a ridurre la frequenza di segnalazione, a causa della maggiore
dispersione cromatica. Quest’ultima limitazione è stata rimossa da un particolare tipo di fibra, detta
dispersion shifted, che presenta un minimo di dispersione cromatica D in III finestra anziché in II, e
che raggiunge valori migliori di 3.5 psec/Km·nm.
Prodotto Banda-Lunghezza e Codici di linea:
Come anticipato, la dispersione cromatica D risulta proporzionale alla lunghezza del collegamento
L ed all’estensione cromatica ∆λ della sorgente. Se pensiamo di effettuare una trasmissione con
codici NRZ e periodo T = 1/fL , ed imponiamo che la dispersione temporale sia non maggiore di
TL/4, otteniamo D0 · L · ∆λ ≤ 0.25 · T, in cui D0 è la dispersione cromatica [psec/Km·nm], L è la
lunghezza [Km], ∆λ è l’estensione cromatica della sorgente [nm], e T è la durata di un bit [psec].
Associando ora il concetto di banda B alla frequenza di segnalazione fs = 1/Ts , si può affermare
che il prodotto della banda per la lunghezza è pari al valore:
che è una grandezza dipendente dalla coppia fibra-sorgente. Inserendo i valori di ∆λ (della
sorgente) e D0 (della fibra), si ottiene una costante da usare per calcolare la banda (frequenza)
massima trasmissibile per una data lunghezza (o viceversa). Qualora si usi un codice RZ, i cui
simboli hanno durata metà del periodo di bit T, la dispersione temporale tollerabile può essere
elevata al 50% di T, e quindi in questo caso il prodotto banda-lunghezza risulta doppio rispetto al
caso precedente:
La tabella che segue riporta i valori di PBLNRZ per alcune coppie fibra-sorgente:
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Trasduttori ottico-elettrici:
La conversione del segnale uscente dalla fibra ottica meriterebbe una ampia trattazione
approfondita, ma qui ci limitiamo a riferire esclusivamente poche cose fondamentali. Il trasduttore
utilizzato fin dall’inizio, economico ed affidabile, è il diodo P-I-N, che però non è adatto all’impiego
con λ più elevate. Un secondo tipo di trasduttore molto usato è il diodo APD (Avalanche Photo
Detector), caratterizzato da un “effetto valanga” che lo rende più sensibile di 10-15 dB rispetto ai
P-I-N; d’altra parte però gli APD sono più delicati, e più sensibili alla temperatura. La tabella che
segue riporta i valori di sensibilità WR (ossia la minima potenza che è necessario ricevere) di
diversi fotorivelatori, per una probabilità di errore per bit Pe = 10−11.
Nella tabella è riportato anche il valore della frequenza di segnalazione fb a cui si riferisce la
sensibilità, in quanto le prestazioni conseguite dal decisore che si trova a valle del trasduttore
dipendono, come noto, da Eb / N0 , in cui Eb è l’energia per bit che vale Eb = WR · Tb = WR / Fb .
Pertanto, i trasduttori dimezzano la sensibilità (che aumenta di 3 dB) se la velocità fb raddoppia, in
quanto si dimezza l’energia per bit Eb. La sensibilità a frequenze diverse da quelle in tabella può
quindi essere calcolata come:
12.3.3 Multiplazione a divisione di lunghezza d’onda – WDM:
Abbiamo visto come nelle fibre ottiche siano presenti tre diverse finestre di valori di lunghezza
d’onda per cui si ha una bassa attenuazione; è possibile effettuare allora tre diverse comunicazioni
nella stessa fibra, ognuna nella propria finestra.
L’acronimo WDM (Wavelength Division Multiplex) identifica proprio questa tecnica di multiplazione,
estesa al caso in cui le diverse comunicazioni avvengano anche nella medesima finestra. Il modo
più semplice ed intuitivo di realizzare la multiplazione di lunghezza d’onda è di adottare dei rifrattori
prismatici, realizzando un circuito ottico del tipo illustrato in figura. I dispositivi di multiplazione di
forma d’onda del tipo descritto vengono detti passivi e reversibili, in quanto non necessitano di
alimentazione, ed uno stesso apparato può indifferentemente svolgere una funzione e la sua
inversa. La passività del WDM rende questa tecnica attraente, qualora si pensi di distribuire fibre
ottiche di casa in casa: ognuno avrebbe una sua lunghezza d’onda λi, e la fibra sarebbe una per
tutto il condominio.
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Se le λi sono troppo vicine tra loro (con una spaziatura dell’ordine di 0.015 nm), allora i prismi non
riescono più nel compito di separazione geometrica, e conviene ricorrere ad una separazione della
potenza (si fa uscire parte di segnale luminoso da jacket) ed un filtraggio (realizzato otticamente
mediante gelatine) di ognuna delle λi. Così facendo però si perde molta potenza.
12.3.4 Ridondanza e pericoli naturali:
Le fibre vengono normalmente interrate, e per questo sono esposte ai pericoli di essere mangiate
da talpe e topi, o di essere interrotte a causa di lavori stradali od agricoli. Quelle sottomarine sono
a rischio per via di squali e reti a strascico. E’ più che opportuno prevedere una adeguata
ridondanza, in modo che in caso di interruzione di un collegamento sia possibile deviare tutto il
traffico su di un altro collegamento.
12.3.5 Sonet:
Questo è l’acronimo di Synchronous Optical Network ed è uno standard mondiale definito allo
scopo di permettere l’interconnessione diretta tra reti in fibra ottica. Lo stesso standard è noto
anche come Synchronous Digital Hierarchy (SDH). L’unità di multiplazione fondamentale è un
flusso numerico da 51.84 Mbps, ovvero 3 volte tanto (155,52 Mbps) per l’Europa.
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