I servizi pubblici tra ordinamento nazionale, comunitario ed internazionale: evoluzione e prospettive Massimo Capantini PREMESSA. I.1. ECHI DELLA TRADIZIONE FRANCESE DEL SERVICE PUBLIC. I.2 IL SERVIZIO PUBBLICO DALLA PROSPETTIVA ITALIANA. I.3. I SERVIZI PUBBLICI NELLE INDICAZIONI DEL LEGISLATORE STATALE. SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO. I.4.A) SERVIZIO PUBBLICO ED EQUILIBRIO TRA REGOLE DEL MERCATO UNICO E INTERESSE GENERALE. IL RUOLO DELLA I.4.B) OCCASIONI CONSIGLIO COMMISSIONE E DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. DI INDIVIDUAZIONE COMUNITARIA DI “SERVIZI PUBBLICI”. EUROPEO DI LAEKEN AL LIBRO I.4. I VERDE DEL I.4.C) ULTIMI 2003. I.4.D) SVILUPPI SVILUPPI: DAL DEFINITORI IN AMBITO REGIONALE. I.4.E) IL PROFILO COMMERCIALE DEI SERVIZI PUBBLICI NEL GATS. II.1. L’IPOTESI DI UN TESTO DI RIFERIMENTO IN MATERIA DI SERVIZI PUBBLICI. SUI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE. RIFERIMENTO. II.3.A) GLI II.2. PROSPETTIVE DI CODIFICAZIONE NEL LIBRO VERDE II.3. RICOGNIZIONE DEI POSSIBILI CONTENUTI DI UN TESTO DI OBBLIGHI DI SERVIZIO PUBBLICO. II.3.B) LA QUALITÀ DEL SERVIZIO E LA PROTEZIONE DEGLI UTENTI. II.3.C) LA GESTIONE DI SERVIZI E INFRASTRUTTURE. II.3.D) IL FINANZIAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI. II.3.E) SOGGETTI E PRINCIPI DELL’AMMINISTRAZIONE DI REGOLAZIONE. II.4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. Premessa La disciplina amministrativa dei servizi pubblici presenta da sempre un punto controverso nella propedeutica definizione di “servizio pubblico”. I numerosi tentativi, susseguitisi (con alterne fortune) per definire la nozione e identificarne e disciplinarne le 1 fattispecie, costituiscono un esercizio storicamente più che secolare, condiviso in senso orizzontale da molteplici ordinamenti nazionali. Da tempo, poi, il dibattito dottrinale, normativo e giurisprudenziale si articola anche in senso verticale, su una pluralità di livelli (nazionale, sub-nazionale, comunitario e mondiale), che concorrono da diverse prospettive a delineare la nozione di servizio pubblico, assumendo ciascuno come propria la competenza a definire alcuni profili della materia. Nella consapevolezza di tale situazione, la prima parte del presente lavoro tenterà di coglierne alcuni degli ultimi sviluppi, mentre la seconda sarà dedicata ad introdurre l’ipotesi (ventilata di recente anche in ambito comunitario, nonché ispiratrice della ricerca cui il presente volume si riferisce) di una sistemazione delle regole in materia di servizi pubblici attraverso un strumento quadro (statuto) di valore generale. I.1. Echi della tradizione francese del service public Nella cultura giuridica europea di tradizione amministrativa, l’ambito francese è quello ove storicamente si è prodotto il più duraturo e continuato sforzo di definizione e valorizzazione del servizio pubblico, sforzo del quale vale la pena preliminarmente rammentare in breve alcuni passaggi. La nozione di service public si forma, come noto, già al termine del sec. XIX, con la crisi della concezione liberale dello Stato fondato sull’esercizio della puissance publique, e con l’affermarsi di valori solidaristici sottesi al crescente interventismo pubblico in economia1. In ambito giurisprudenziale, ad essa si ricorre per individuare, 1 Cfr. ex multis, da ultimo G.F. Cartei, Il servizio universale, Milano, Giuffré, 2002, p. 1 ss.; E. Scotti, Il pubblico servizio, Padova, Cedam, 2003, p. 13 ss.; G.E. Berlingerio, Studi sul pubblico servizio, Milano, Giuffré, 2003, p. 54 ss. 2 tra le activites de gestion (in principio regolate dal diritto privato), quelle che, pur non costituendo espressione di una potestà pubblica (activité d’autorité), venivano ricondotte all’Amministrazione e al sindacato del g.a. in quanto prestate da apparati pubblici per il soddisfacimento di nuovi bisogni della collettività (quali ad es. l’istruzione, le ferrovie, le poste, l’assistenza)2. Formatosi con l’estensione della giurisdizione amministrativa, come criterio di riparto rispetto al diritto comune, il service public veniva studiato nei suoi caratteri contingenti, al fine di ricostruirne nozione e principi. Questo mentre la sua connaturata elasticità lo dilatava fino a farlo coincidere, potenzialmente con qualsiasi attività il cui compimento, indispensabile all’esistenza e allo sviluppo della convivenza sociale, doveva essere regolato, assicurato e controllato dai pubblici poteri, in quanto unici soggetti capaci di garantire tale risultato (Duguit). In tale concezione classica, il service public si candidava a legittimare l’azione e l’esistenza stesse dell’Amministrazione, quale fondamento (e limite) del pubblico potere e dell’applicazione del diritto amministrativo. Analogamente, il diritto pubblico veniva a coincidere con le disposizioni di organizzazione dei servizi pubblici, intesi come l’insieme delle attività essenziali all’interesse generale, cui il potere pubblico era subordinato e finalizzato. Tale tradizione, animata dal successivo contrapporsi tra le teorie soggettiva ed oggettiva, associava all’attività di service public la compresenza: a) di un regime giuridico amministrativo modellato da règles exorbitants du droit commun (profilo formale) e b) di un soggetto pubblico in essa impegnato (profilo soggettivo), ovvero c) di un bisogno fondamentale della collettività da soddisfare tramite l’attività (profilo oggettivo)3: tre elementi la cui necessaria compresenza impediva alla concezione 2 Cfr. l’ancora illuminante F. Merusi, Servizio pubblico, in Noviss. Dig., vol. XVII, Torino, Utet, 1970, p. 215 ss. 3 Cfr. N. Rangone, I servizi pubblici, Bologna, il Mulino, 1999, p. 13; Berlingerio, op. cit., p. 64 ss. 3 classica di preservare a lungo la propria efficacia iniziale a fronte dell’evolversi del dato reale. Come noto infatti, fin dalla sua genesi, la nozione, pur connotata da un’evidenza empirica e da un’importanza indiscusse, soffre di lampanti debolezze dogmatiche, riconducibili principalmente: a) all’immanente indeterminatezza del suo oggetto, per cui il riconoscimento concreto di un servizio pubblico sembra doversi effettuare sempre in funzione della contingente situazione economica e dei bisogni dei cittadini in un determinato momento storico (peraltro filtrati e tradotti da scelte essenzialmente politiche); b) alla dinamica e progressiva dissociazione, a fronte del dato reale, della nozione rispetto ai suoi elementi costitutivi4. Il secondo punto, in particolare, si impone con l’esteso interventismo statale in campo economico nel primo dopoguerra, per cui si ha, «sotto il profilo giuridico, la rottura della duplice equazione tra organo ed attività, da un lato, e tra attività e disciplina giuridica dall’altro»5: la natura pubblica dell’impresa non implica più la presenza di un service public, e imprese private si trovano sovente a fornire servizi pubblici, talora perfino senza l’investitura dell’autorità amministrativa, ed in regime ora di diritto amministrativo, ora di diritto comune6. Tale debolezza non trovava ristoro nella coeva giurisprudenza (peraltro, come detto, ambito di elezione della nozione), da questo momento impegnata, rispetto alla “misteriosa” materia dei service public, a ricercare una base di legittimazione per la propria giurisdizione sugli atti relativi (specie quelli dei soggetti privati chargés d’une mission de service public) piuttosto che a fornire elementi di identificazione generale7. 4 Cfr. G.F. Cartei, op. cit., p. 4 ss. Ibid., 8. 6 Cfr. A. Clini, Servizi pubblici e diritto di sciopero in Francia: la ricerca di un contemperamento, in Dir. pubbl. comp. eur., 2002, p. 1811 ss. 7 Cfr. ibid., p. 1812. 5 4 Ciò mentre in dottrina, tramontando la concezione classica, i tentativi tesi ad individuare una nozione globalmente condivisa, accomunati in qualche modo dalla valorizzazione del profilo oggettivo, conducono: ora alla genesi di nuovi concetti (come quello di “servizio pubblico virtuale”8), ora all’affacciarsi dell’ipotesi che la nozione altro non sia che un’“etichetta” ad uso discrezionale dei giudici (c.d. gouvernment des juges), ora, in tempi più recenti, all’idea che il servizio pubblico si identifichi a partire dal solo profilo oggettivo (ossia l’attività di qualunque associazione mirante al soddisfacimento di un interesse generale)9. Soluzione, quest’ultima, non esaustiva agli occhi della giurisprudenza del Conseil d’État, che giunge talora a prospettare come tratto distintivo della propria giurisdizione (e dell’attività amministrativa) i concetti di mission e affectation, assai affini a quello recessivo di service public, e per i quali si ritiene imprescindibile il concorso di un (pur minimo) grado di puissance publique10. Sul finire degli anni Ottanta, un’ulteriore contributo proviene dalla giurisprudenza costituzionale: esulando dall’inquadramento tradizionale del service public nel prisma dell’applicazione del diritto e della giurisdizione amministrativi, essa individua la “sotto-nozione” di service public constitutionnel nelle attività ritenute necessarie non già in forza di scelte politiche del legislatore (che possono elevare al rango di servizio pubblico attività legittimamente prestate anche da privati), bensì in quanto direttamente contemplate da principi o regole di valore costituzionale, e per ciò stesso erogabili unicamente da soggetti pubblici11. In un periodo di poco successivo, peraltro, sull’accidentato terreno del service public, il Conseil d’État si confronta con gli orientamenti comunitari, reagendo su posizioni tradizionali di difesa della nozione. Questa sembrerebbe recuperare uno 8 Cfr. G. Caia, La disciplina dei servizi pubblici, in L. Mazzaroli (et alii), Diritto Amministrativo, Bologna, Monduzzi, 1998, p. 919. 9 Relativamente a tale risalente percorso dottrinale, cfr. Clini, op. cit., p. 1813 ss. 10 Cfr. B. Sordi, Servizi pubblici e concorrenza: su alcune fibrillazioni tra diritto comunitario e tradizione continentale, in Quaderni fiorentini, XXXI, 2002, p. 589. 11 Cfr. Clini, op. cit., p. 1815. 5 statuto del tutto pubblicistico, per riproporsi come nozione fondante del diritto amministrativo, identificativo della collettività, perno delle libere attività economiche e strumento di superamento delle disparità12. Una reazione che, a seguito di successive riflessioni dialettiche con l’ordinamento comunitario, si è poi assestata su posizioni che ammettono un maggiore equilibrio tra servizio pubblico e mercato, ovvero tra regimi pubblicistici tradizionali di privilegio e regole di mercato unico e concorrenza13. I.2 Il servizio pubblico dalla prospettiva italiana L’esperienza italiana di individuazione di una nozione di servizio pubblico emerge, come quella transalpina, dalla crisi dello Stato liberale autoritario. Al di là del suo ruolo ideologico, tuttavia, ad essa non viene inizialmente conferita alcuna valenza discretiva di riparto giurisdizionale e di perimetrazione del diritto amministrativo14. Della sua indeterminatezza si dà conto già nelle prime analisi di epoca precostituzionale. Emblematicamente, l’opera sistematica e della scuola di V. E. Orlando non riconosce, nell’ambito del diritto pubblico, alcuna validità giuridica alla nozione, limitandosi a collocarla tra le attività non giuridiche a carattere sociale, il cui profilo qualificante sembra al più rinvenibile nella loro appartenenza alla “sfera” dell’Amministrazione15. 12 Cfr. Conseil d’ État, Rapport pour 1994, Service public, services publics: déclin ou renouveau, in EDCE, n. 46. 13 Cfr. Conseil d’ État, Rapport pour 1999, Réflexion sur l’intérêt général, EDCE, n. 50, 333 ss. Un esempio della maggiore sensibilità rispetto ai principi comunitari, ancorché non direttamente concernenti regole di concorrenza, viene anche dalla recente giurisprudenza proprio del Conseil d’État (ord. 8 novembre 2002, n. 250813 e sent. 18 giugno 2003, n. 250608, Société Tiscali Télécom, in Giorn. dir. amm., 2003, 1089 ss. con commento di N. Rangone), in cui il rispetto del principio comunitario di trasparenza prevale (con i caratteri dell’urgenza) sulle esigenze di continuità del servizio universale nella telefonia (attraverso la certezza dei finanziamenti provenienti dal Fondo di compensazione alimentato dagli operatori del settore). 14 Cfr. D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999, p. 403. 15 Cfr. da ultimo Cartei, op. cit., p. 14; Scotti, op. cit., p. 18 ss.; Berlingerio, op. cit., p. 49 ss. 6 Letture successive, in una prospettiva di maggiore certezza giudica, si centrano sul profilo oggettivo, e su quello (successivamente mai più messo in discussione) della necessaria destinazione alla collettività di prestazioni dai requisiti amministrativi, da imputare in regime di monopolio allo Stato (teoria c.d. nominalistica)16: prestazioni che in alcuni casi vengono ricondotte a moduli tipici dell’attività amministrativa (quale, nella teoria delle prestazioni amministrative, l’ammissione, seppur con opportune deroghe in ordine al tasso di discrezionalità)17. In questa fase, tuttavia, nessuna elaborazione soggettivistica addiviene ad una soddisfacente lettura unitaria del fenomeno, né tanto meno ad una qualificazione utile in chiave normativa di ciò che vada considerato servizio pubblico, stante la crescente inadeguatezza, rispetto al dato reale, dell’ancoraggio al profilo soggettivo18. In epoca repubblicana, il dibattito sui servizi pubblici riprende quota in soccorso di una nozione in pieno stato recessivo, alimentato peraltro da un contesto ostile a tentativi di lettura unitaria. L’organizzazione pubblica assume una complessità incomparabilmente maggiore rispetto all’epoca in cui la nozione si era affacciata come entità comprimaria delle preminenti funzioni pubbliche. Il dilagante interventismo pubblico in economia e il sovraccarico di attività assunto dello Stato, infatti, secondo le discipline e le vesti formali più varie, porta alla dissociazione irreversibile tra servizio pubblico e regime amministrativo/istituzione amministrativa, e al superamento delle teorie formalistiche e soggettive19. 16 Cfr. rispetto al consolidamento del dato oggettivo della destinazione al pubblico delle prestazioni, oltre che della sottoposizione del servizio pubblico al principio di legalità, Scotti, op. cit., p. 26 ss. 17 Sul peso avuto, nel dibattito in materia di servizi pubblici, dalle concezioni nominalistiche (DeValles) e dalla teoria delle prestazioni amministrative (Alessi), cfr. Merusi, op. cit., p. 217; e G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti d’utenza, Padova, Cedam, 2001, p. 135 ss.; Cartei, op. cit., p. 19 ss.; R. Villata, Pubblici servizi, Milano, Giuffré, 2003, 3; Scotti, op. cit., p. 26 ss. 18 Cfr. Rangone, I servizi pubblici, cit., p. 16. 19 Cfr. Sordi, op. cit., p. 588. 7 Conscia di tali dinamiche, autorevole dottrina rilevava l’obsolescenza di concezioni soggettive, senza tuttavia avanzare soluzioni evolutive che vadano oltre la riesumazione della teoria degli ordinamenti sezionali20. Ma è attorno alla costituzionalizzazione della materia, con la menzione di servizi pubblici essenziali nell’art. 43 Cost., che si impongono riflessioni nuove e di altissimo profilo, che travalicano l’assunto delle nazionalizzazioni e danno un significato organico all’intera costituzione economica21. Nell’opera di Pototschnig, in particolare, incontriamo forse il più lucido e rigoroso tentativo di riconduzione ad unità della categoria dei servizi pubblici22. Il profilo qualificante diviene quello oggettivo degli interessi in gioco e della natura dell’attività economica svolta, a discapito delle obsolete rigidità nominaliste. Ciò non di meno, l’imprescindibile presenza del pubblico si reincarna nei poteri di programmazione e controllo che la legge pone per il perseguimento dei fini sociali di cui all’art. 41, c. 3 Cost. Questo, se da un lato sembra garantire l’unitarietà della nozione, dall’altro la rende suscettibile di un’interpretazione oltremodo dilatata, potenzialmente inclusiva di qualsiasi forma di intervento pubblico in economia (come d’altronde l’“onnipresenza” statale dell’epoca sembra suggerire)23. Pur con indiscussi meriti di esattezza teorica, tale lettura presta quindi il fianco a critiche di genericità: il contributo all’“individuazione” dei servizi pubblici addotto da Pototschnig si esaurisce, inoltre, all’interno del circuito costituzionale, peraltro non senza dubbi in merito al legame stabilito tra art. 41, c. 3 e art. 43 Cost.24. Il legislatore, conseguentemente, rimane privo di indicazioni utili all’individuazione concreta delle 20 Rispetto al contributo di Nigro, cfr. Cartei, op. cit., p. 37 ss.; Scotti, op. cit., p. 31-32. Al riguardo, v. amplius il contributo di S. Panizza – E. Di.Capua, in questo volume. 22 Per una ricostruzione della teoria di U. Pototschnig (in particolare in I servizi pubblici, Padova, Cedam, 1964), cfr. D. Sorace, I servizi pubblici, in Amministrare, 2001, p. 385 ss. 23 Per questa ed altre critiche all’opera di Pototschnig, cfr. Cartei, op. cit., p. 40 ss.; Villata, op. cit., p. 6 ss. 24 Cfr. Merusi, op. cit., p. 219 21 8 attività con status di servizio pubblico, in una situazione di perdurante incertezza determinata anche dall’ambiguo valore degli strumenti di programmazione e controllo. I successivi esperimenti definitori prendono le distanze da posizioni univoche soggettiviste/oggettiviste. Questi ora si limitano ad accertare la natura di clausola generale della nozione, la quale sarebbe così riferibile a fenomeni che i pubblici poteri individuano di volta in volta a partire dalle circostanze sociali contingenti (Merusi)25. Ora cercano invece di limitare, almeno nominalmente, il campo alle sole attività (prestate indifferentemente dal pubblico o da privati) accessorie e strumentali rispetto alle più tipiche funzioni pubbliche (Guarino), ovvero esecutive di queste ultime e riconducibili all’Amministrazione in forza di una disciplina che assegna a quest’ultima compiti di controllo (Zuelli)26. Altre concezioni meno funzionaliste interpretano come servizi pubblici solamente le attività, da qualsiasi soggetto prestate, sottoposte a poteri di diritto pubblico per essere orientate a fini sociali (collocandosi a metà fra tradizione e impostazione costituzionale)27 ovvero, con riferimento soprattutto ai servizi pubblici locali, come attività che divengono tali, ed istituzionalmente proprie di un ente pubblico, nel momento in cui questo opta per la loro assunzione (Marino)28. Tra le ultime ricostruzioni, si ricordi in primo luogo quella che prende ancora a riferimento il combinato degli artt. 41 e 43 Cost. per giungere a definire servizio pubblico l’attività economica il cui risultato è quello di apprestare le condizioni per rendere effettivi libertà e diritti. Giuridicamente tale attività si svolgerebbe secondo tre possibili modalità: come libera ovvero, se in tal modo si rivelasse insoddisfacente e quindi contrastante con l’utilità sociale, regolata da misure pubbliche di coordinamento 25 Cfr. ibid., p. 220. Riguardo ai contributi di Guarino e Zuelli, cfr. Cartei, op. cit., p. 42 ss. 27 Cfr. E. Ferrari, I servizi sociali, Milano, Giuffré, 1986, p. 169 ss. 28 Cfr. I.M. Marino, Servizi pubblici e sistema autonomistico, Milano, Giuffré, 1987, p. 103 ss.; Scotti, op. cit., p. 37. 26 9 e/o di indirizzo sulla base dell’art. 41 Cost.; oppure, se le prime modalità risultassero fallimentari, in regime di riserva pubblica ex art. 43 (Perfetti)29. In secondo luogo, si rammenti poi la dottrina che, contestando tra l’altro la robustezza e l’utilità della ricostruzione precedente, ripropone la validità di una concezione soggettiva (aggiornata) del servizio pubblico. Questo troverebbe il suo nucleo essenziale nella decisione della p.A. di assumere un’attività come servizio pubblico, conseguendone la titolarità e predisponendone mirati strumenti organizzatori, di vigilanza e controllo: con la conseguenza che la gestione può anche essere affidata ad imprese private, «senza con ciò perdere l’intrinseco legame del servizio con la struttura organizzativa della collettività» (Villata)30. In ultimo, merita tener presente anche la posizione che, discostandosi dalle due appena ricordate, ricostruisce storicamente il dibattito in materia di servizi pubblici assestandosi su posizioni radicali di stretta delimitazione dell’istituto. Questo, in particolare, ricorrerebbe ormai solo in presenza di attività articolate da un lato in numerosi poteri pubblicistici, diversificati per finalità, principi e titolarità; dall’altro in prestazioni (economiche) di diritto comune, tese al soddisfacimento concreto di bisogni generali. In tale architettura, le seconde trarrebbero così il loro carattere di sostanziale pubblicità dall’essere “incastonate” nei primi, riproponendo così caratteri affini a quelli delle funzioni pubbliche e del service public francese, e giustificando l’applicazione coerente delle regole di diritto amministrativo. Al di là di quest’ambito assai limitato (come testimonierebbero le normative settoriali dei singoli servizi), vi sarebbero soltanto “attività private di interesse pubblico”, rispetto alle quali «dovrebbe cadere il riferimento al pubblico servizio e dovrebbe invece riconoscersi l’operatività del 29 Cfr. L. Perfetti, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Padova, Cedam, 2001. R. Villata, Pubblici servizi, Giuffré, Milano, 2003, p. 12; cfr. anche V. Cerulli Irelli, Corso di Diritto Amministrativo, Torino, Giappichelli, 2001, p. 56. Su posizioni analoghe, anche Caia (op. cit., p. 925), seppure con un’attenzione particolare alle modalità di organizzazione dell’attività. 30 10 principio di libera iniziativa economica privata e delle correlate posizioni sostanziali di autonomia privata, sia pur regolata e controllata»31. Mentre il dibattito dottrinale risente oramai fortemente dell’influenza comunitaria, si affacciano negli ultimi anni elaborazioni di origine giurisprudenziale relativamente nuove ed autonome, frutto di epocali scelte legislative32. Con la devoluzione alla competenza esclusiva del g.a. di tutte le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33 d.lgs. 80/1998, riscritto dall’art. 7 legge 205/2000)33, la giurisprudenza di grado superiore si è ben presto trovata ad interpretare le profonde modificazioni esogene al proprio operare, figlie della nuova funzione del servizio pubblico quale criterio di riparto tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria. Questo, senza dubbio, con interessanti analogie rispetto a quanto accaduto in Francia più di un secolo prima, anche se in tal caso la giurisprudenza aveva pilotato il corso degli eventi anziché che esservi assoggettata. Rivelando il carattere spigoloso ed ineffabile della nozione di servizio pubblico, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione si pronunciano in modo significativamente difforme nel tentativo di tracciarne i confini. Il primo, seppure in modo non univoco, opta per un’estensione del concetto (e con esso della giurisdizione esclusiva del g.a. e del rispetto dell’art. 97 Cost.), il quale accoglie potenzialmente qualsiasi azione dell’Amministrazione, trasfigurando in termini attuali niente meno che la concezione classica del service public34. 31 Scotti, op. cit., p. 55. Riguardo alla dissociazione tra il dibattito dottrinale e quello giurisprudenziale, cfr. V. Parisio, Pubblici servizi e funzione di garanzia del giudice amministrativo, Milano, Giuffré, 2003, p. 61 ss. 33 Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in G.U. 8 aprile 1998, 82. Al riguardo, v. amplius A. De Lorenzo, in questo volume. 34 Cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, in Foro it., 2000, I, 365 (con nota di F. Fracchia, Giurisdizione esclusiva, servizio pubblico e specialità del diritto amministrativo, in cui in particolare, p. 371); v. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325, in Foro amm. 2000, 3602. Cfr. anche Sordi, op. cit., p. 577. 32 11 La Corte di Cassazione, invece, attenta all’equilibrio tra giurisdizioni, opera una lettura maggiormente oggettiva, seppur muovendo da premesse non sempre condivisibili. Essa esclude che le attività private soggette a semplice controllo, vigilanza o mera autorizzazione della p.A., possano considerarsi servizio pubblico. Questo, viceversa, sarebbe tale solo in presenza di una «prestazione resa alla generalità da parte di un soggetto, anche privato, che sia inserito nel sistema dei pubblici poteri o sia a questo collegato, e che sia sottoposta ad un regime giuridico derogatorio al diritto comune»35. Pur con il merito di circoscrivere una materia sfuggente, l’orientamento del supremo giudice di legittimità, globalmente considerato, non sfugge a critiche puntuali, tra cui quella che sottolinea il rischio (opposto) di annichilire il contenuto del servizio pubblico. Ciò in ragione del fatto che questo, ai fini del riparto giurisdizionale, escluderebbe da un lato, ed in modo esplicito (art. 33, c. 2 lett. e, d.lgs. 80/1998), i rapporti d’utenza (donde la difficoltà di individuare in che cosa consista l’elemento essenziale della prestazione resa alla generalità); dall’altro anche le prestazioni strumentali all’erogazione del servizio (Cass. sez. un., 30 marzo 2000, n. 72)36. I.3. I servizi pubblici nelle indicazioni del legislatore statale Episodio normativo sintomatico del tramontare della concezione liberale di Stato ed Amministrazione, la legge Giolitti (legge 29 marzo 1903 sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni), unitamente al R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 (Testo unico delle leggi sull’assunzione dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle 35 Corte di Cassazione, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032, in Foro it., 2002, I, 1842, con nota di E. Ferrari, Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione. Cfr. anche Corte di Cassazione, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71/S e n. 72/S (in Foro it., 2000, I, 2210-2211, con nota di D. D’Alfino). Cfr. anche Parisio, op. cit., p. 63. 36 Cfr. Ferrari, op. cit., p. 1849. Relativamente all’elaborazione recente di criteri distintivi del servizio pubblico da parte del g.a., cfr. Parisio, op. cit., p. 4 ss. 12 province) reca anche la prima e più ricca identificazione normativa puntuale di servizi pubblici (locali)37. Il Testo unico rileva retrospettivamente per più aspetti. Se da un lato, infatti, il legislatore mai si sarebbe in seguito riprodotto in un’individuazione tanto organica e in un’attività disciplinare “frontale” di tale respiro, va detto che il Testo difetta proprio di una nozione giuridica di servizio pubblico dai caratteri positivi comuni. Ciò che ha finito, da un lato, per conferire all’elenco di servizi municipalizzabili (art. 1) un valore meramente esemplificativo ed empirico38; dall’altro per rendere, nonostante alcune singolari interpretazioni39, l’espressione pubblici servizi una clausola generale riferibile ad attività generalmente economiche, che pubbliche sono già prima dell’eventuale assunzione da parte delle amministrazioni locali. Il carattere risalente dell’elenco dimostra che qualsivoglia indicazione concreta di servizio pubblico dipende da dati contingenti sociali ed economici, interpretati nel loro tempo dalle amministrazioni competenti e, specie in senso geografico, da quelle territorialmente più idonee (da qui la possibile, ma di fatto inesplorata, provincializzazione dei servizi nel Testo unico40), secondo un tacito criterio che potremmo definire di sussidiarietà ante litteram41. 37 R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, in G.U. 4 marzo 1926, n. 52. Cfr. B. Spadoni, I servizi pubblici locali. Dalla municipalizzazione alla liberalizzazione, 2003, in www.dirittodeiservizipubblici.it. 38 Cfr. Cartei, op. cit., p. 17 39 Cfr. Camera - Mangini, Commento alla legge 29 marzo 1903, n. 103 sulla assunzione diretta dei pubblici servizi da parte del Comune, Rocca S. Casciano, 1903, 29, ove gli autori affermano che è la p.A. a creare i servizi pubblici all’atto dell’assunzione; più condivisa e significativa è invece l’allora acuta osservazione riguardo alla mutevolezza del servizio pubblico in funzione delle diverse dottrine economiche, politiche e sociali. 40 Cfr. F. Merusi in resoconti del conv. Regolazione e gestione dei servizi pubblici locali. A cento anni dalla legge 29 marzo 1903, n. 103, Bologna, 29 marzo 2003, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. 41 L’elenco include infatti, tra le altre, attività oggi difficilmente configurabili come servizi pubblici, legate alla società prevalentemente contadina dell’epoca (utilizzazione di fertilizzanti, trasporti funebri, costruzione ed esercizio di mulini, di forni normali, di stabilimenti per la macellazione, di mercati pubblici, di bagni e lavatoi pubblici; fabbricazione e vendita del ghiaccio, essiccazione di granturco, gestione di semenzai e vivai di viti ed altre piante arboree e fruttifere), accanto invece a prestazioni che, seppur allestite con modalità risalenti, costituiranno il nucleo dei servizi pubblici a rete (servizi idrici, distribuzione di energia elettrica a fini di illuminazione e di disponibilità di “forza motrice”, servizi di nettezza urbana; servizi di trasporto locale). 13 E’ significativo che, successivamente alla legge Giolitti, il legislatore si sia astenuto per lunghissimo tempo dall’affrontare globalmente la materia dei servizi pubblici o anche semplicemente dall’individuare attività da ritenere tali ai fini dell’applicazione di altre discipline. Questo, nonostante, dal 1948, la materia rilevasse espressamente a livello costituzionale in una norma (l’art. 43) che sembrava poter costituire il trampolino per operazioni analoghe, su scala nazionale, a quelle legittimate in ambito locale dalla legge 103/1903. Il silenzio del legislatore, peraltro, trovava nel dilagare dell’interventismo pubblico in economia tra l’inizio e gli anni Novanta del XX sec., tanto un riscontro paradossale (per cui la mancanza di una definizione giuridicamente condivisa di servizio pubblico non scaturiva certo dall’assenza o irrilevanza del fenomeno), quanto una giustificazione (proprio in quanto dispiegatosi nelle sue forme più varie, il fenomeno sfuggiva a semplificazioni teoriche e ad individuazioni puntuali). Si deve infatti attendere il 1990, anno di svolte epocali soprattutto in materia di ordinamento amministrativo, per rinvenire testi normativi in cui si enuncino pluralità (o aree) di attività qualificabili in termini generali come servizi pubblici. Il primo, in ordine di tempo, è quello degli artt. 1 e 2 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), ove i servizi pubblici rilevano nel prisma dell’esercizio del diritto costituzionale di sciopero (art. 40 Cost.)42. Per individuare il campo di applicazione della legge in esame (e solo di essa!), il legislatore non puntualizza, in una lista chiusa, i servizi pubblici essenziali, in modo analitico ed oggettivo. Si preferisce, invece, un’indicazione dai tratti finalistici e, per così dire, di tipo “concentrico”. L’art. 1, infatti, elenca al c. 1 alcuni servizi-attività essenziali di per sé (in quanto «volti a garantire il godimento dei diritti della persona, 42 In G.U. 14 giugno 1990, n. 137. 14 costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione»), esemplificandoli poi al c. 2. Nell’art. 2, invece, l’ambito di applicazione finalistico viene affinato e ristretto alle attività-prestazione che, rispetto alle attività-servizio dell’art. 1, risultano indispensabili ad «assicurare l'effettività, nel loro contenuto essenziale», dei diritti della persona costituzionalmente tutelati43. Dalla lettura coordinata degli artt. 1 e 2, l’ambito dei servizi pubblici essenziali, ancorché inclusivo di attività numerose, eterogenee quanto al grado di economicità, ed ascrivibili ora alle “funzioni”, ora ai “servizi”, sembra emergere con autorevolezza. Questo grazie al riferimento espresso ai valori costituzionali (e non a caso la legge adotta la terminologia dell’art. 43 Cost. di servizi pubblici essenziali), nel solco delle elaborazioni giurisprudenziali della Corte Costituzionale44. Tuttavia, la precisazione che non ogni attività nel quadro di tali servizi è essenziale, ma solamente quelle che assicurano l'effettività dei diritti costituzionali della persona, rende i confini dell’indicazione legislativa sfumati e l’area dei servizi pubblici ancora una volta, in ultima analisi, ineffabile. Ciò anche in considerazione del fatto che l’individuazione puntuale delle prestazioni indispensabili è poi affidata alla contrattazione collettiva ed alle specificazioni dei regolamenti di servizio45. Ciò posto, lo sforzo del legislatore di orientarsi nella materia, con gli strumenti di rango costituzionale, da un lato consacra l’idea di servizio pubblico, dall’altro ne delimita ed autentica, ancorché genericamente, il contenuto (con un’operazione che ricorda quanto visto a proposito del service public constitutionnel francese). 43 Cfr. T. Treu (et alii), Sciopero e servizi essenziali. Commentario sistematico alla l. 12 giugno 1990, n. 146, Padova, Cedam, 1991, p. 8 ss. 44 Cfr. Caia, op. cit., pp. 961-962; Treu, op. cit., p. 9. 45 Cfr. Caia, op. cit., p. 963; P. Pascucci, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali, Torino, Giappichelli, 2003, p. 100. 15 Quanto agli elementi costitutivi, la nozione di servizio pubblico essenziale sposata dalla legge 146/90, appare per un verso ricavata da una lettura di tipo oggettivistico (è la finalità esaudita che rende il servizio pubblico ed essenziale). Ciò non di meno, il fatto che l’art. 1 precisi che i servizi inclusi sono anche quelli «svolti in regime di concessione o mediante convenzione», indica la presupposizione implicita, quanto meno, di una titolarità pubblica delle attività (altro elemento di somiglianza con l’elaborazione francese appena ricordata). Questo mentre la stessa legge annovera curiosamente tra i servizi pubblici essenziali anche prestazioni svolte a scopo di lucro da imprese private in regime di piena concorrenza e senza alcuna investitura pubblica (come nel caso degli istituti di credito relativamente al pagamento di stipendi e pensioni)46. Anche nel caso della c.d. Carta dei servizi (d.P.C.M. 27 gennaio 1994, Principi sull'erogazione dei servizi pubblici)47, e della normativa ad essa correlata, i servizi pubblici sono individuati seguendo il criterio “a base costituzionale” della legge 146/90 (al cui art. 1 peraltro si fa espresso richiamo), con l’aggiunta puntuale dell’erogazione di energia elettrica, acqua e gas48. Rispetto alla legge, tuttavia, la direttiva denota maggiore consapevolezza dei problemi di identificazione dei soggetti tenuti alla sua osservanza, contemplando sia i casi di amministrazioni erogatrici (o concedenti l’esercizio) di servizi pubblici, che i casi di servizi «comunque svolti da soggetti non pubblici» (chiamando in causa al riguardo i poteri di direzione, controllo e vigilanza delle amministrazioni stesse e 46 Cfr. P. Pascucci, op. cit., p. 91. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994, Principi sull'erogazione dei servizi pubblici, in G.U. 22 febbraio 1994, n. 43. 48 Cfr. S. Battini, La carta dei servizi, in Giorn. dir. amm., 1995, p. 703; A. Di Pietro, Adozione e contenuto della Carta dei servizi, strumento dello Stato regolatore a tutela dei consumatori-utenti, in Servizi pubblici concorrenza diritti, a cura di L. Ammannati - M.A. Cabiddu - P. De Carli, Giuffré, Milano, 2001, p. 311 ss. 47 16 denominando genericamente "soggetti erogatori" gli enti pubblici o privati che espletano servizi pubblici). Anche la legge 142/90 aggiunge ben poco alla nozione di servizi pubblici (locali). Il riferimento dell’art. 22 ai servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, non offre indicazioni giuridiche rigorose49. Da esso sembra potersi evincere, al più, che servizi pubblici sono anche attività cui gli enti locali non provvedono (ancora)50, in una linea di sostanziale continuità con la pur risalente Legge Giolitti. Ancora in tema di servizi pubblici locali, meritano solo un accenno gli artt. 77 e 113 del d.lgs. 25 febbraio 1995 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali)51 che individuano, senza meglio specificarla, la categoria dei servizi indispensabili, soggetta a protezioni particolari in caso di dissesti finanziari degli enti locali. Ben più carico di suggestioni, almeno lessicalmente, appare invece il coevo ingresso nel nostro ordinamento della nozione, di conio comunitario, di servizi di interesse economico generale, con la legge 287/90 (Norme a tutela della concorrenza)52. L’art. 8 traspone infatti, su un livello nazionale, quanto disposto dall’art. 86 del Trattato CE in ordine al rapporto tra interesse generale ed applicazione delle regole di concorrenza (assunto per il quale si rinvia al paragrafo successivo)53. Nei tre interventi del legislatore brevemente richiamati, un tratto comune è dato dal fatto che i servizi pubblici mai vengono affrontati frontalmente in chiave definitoria, come categoria giuridicamente autonoma: al contrario, in essi il legislatore, per così dire, “inciampa” nel momento in cui pone norme che hanno per oggetto ora l’esercizio 49 Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali, in G.U. 12 giugno 1990, n. 135 (refluita nel Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in G.U. 28 settembre 2000, n. 227). 50 Cfr. Cartei, op. cit., p. 45; contra, cfr. Villata, op. cit., p. 15. 51 In G.U. 18 marzo 1995, n. 65. 52 In G.U. 13 ottobre 1990, n. 240. 53 S. Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, Laterza, 2000, p. 88. 17 del diritto di sciopero, ora le competenze degli enti locali, ora le regole di concorrenza. Neppure la d.P.C.M. 27 gennaio 1994 risolve i dubbi di identità, pur trattando, con un approccio “a tutto tondo”, un profilo tanto generale come quello dei livelli qualitativi dell’erogazione dei servizi. Tratti del tutto peculiari segnano, invece, la definizione di servizio pubblico data dal legislatore in ambito penalistico, con la novella dell’art. 358 del Codice penale, intervenuta anch’essa nel 1990 (con legge n. 86)54. L’individuazione è tesa unicamente a circoscrivere l’ambito conoscibile dal giudice penale di ciò che è servizio pubblico55. Arginando il dilagare di nozioni oggettive nella giurisprudenza penale, la definizione data con la legge 86/90 verte sul carattere pubblicistico dell’attività, seppur autorevole dottrina ne sottolinei l’irrinunciabile presupposto della riferibilità all’organizzazione amministrativa56. Riducendo i criteri oggettivisti ad una rilevanza in negativo, il pubblico servizio ai fini penalistici deve: a) essere disciplinato da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, nelle stesse forme della funzione pubblica, distinguendosi tuttavia per l’assenza di poteri certificativi o autoritativi; e b) non sostanziarsi nello svolgimento di semplici mansioni d’ordine o nella prestazione di opera meramente materiale. Ulteriori occasioni di concretizzazione della nozione di servizio pubblico sono stati gli interventi legislativi relativi alle dismissioni delle azioni detenute dallo Stato e da enti pubblici in s.p.a. Per la privatizzazione di società operanti nei servizi pubblici, il d.l. 332/1994 (convertito con modificazioni dalla legge 474/1994)57 imponeva la preliminare istituzione di autorità di regolazione e di limiti all’autonomia privata delle 54 Legge 26 aprile 1990, n. 86, Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, G.U. 27 aprile 1990, n. 97. Cfr. da ultimo Parisio, op. cit., p. 98 ss.; Villata, op. cit., p. 35 ss. 55 Cfr. Cerulli Irelli, op. cit., p. 58. 56 Cfr. ibid., p. 60; Villata, op. cit., p. 56. 57 Legge 31 luglio 94, n. 474 (in G.U. 30 luglio 1994, n. 177), conversione in legge con modificazioni del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, recante norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni (in G.U. 1 giugno 1994, n. 126). 18 società (tramite la c.d. golden share, i tetti alle quote di proprietà e altri contenuti statutari obbligatori). Il decreto tuttavia, nel delimitare l’area dei servizi pubblici (art. 2, c. 1 e 3), risulta deludente e tutt’altro che categorico, indicando espressamente i soli settori di difesa, trasporti, telecomunicazioni e fonti di energia (con un richiamo residuale ad «altri servizi pubblici»)58. Né la legge 481/95, correlata alle privatizzazione ed istitutiva delle autorità di regolazione, apporta chiarimenti in tal senso. Limitandosi nell’occasione ad indicare i settori di energia e telecomunicazioni, essa sostituisce alla tradizionale espressione di servizi pubblici, quella evolutiva di servizi di pubblica utilità, in coerenza con l’idea stessa di regolazione59. Neppure il richiamo ai servizi pubblici operato dal già ricordato art. 33 d.lgs. 80/98 (e dall’art. 7 legge 205/2000), ultimo in ordine di tempo, ma probabilmente primo quanto ad effetti sull’ordinamento quale più importante riforma recente della giustizia amministrativa, è capace di suggerire soluzioni ermeneutiche risolutive. L’elenco eterogeneo e non esaustivo dell’art. 33 c. 1 non sembra infatti andare oltre il valore dell’esemplificazione60, posto che tuttavia taluni vi scorgono una ricchezza di significati non trascurabile61: esso, in lettura coordinata con il c. 2, accosta attività economiche rilevanti per la collettività (soggette a autorizzazioni e controlli pubblici) a prestazioni sanitarie e scolastiche dai connotati più prettamente sociali; servizi farmaceutici a servizi a rete, con un richiamo alla legge 481/95 che suggerisce così la subordinazione dei servizi di pubblica utilità alla categoria dei servizi pubblici. Inoltre l’elencazione sembra discendere più dall’esigenza di individuare le controversie riservate al g.a., che dai caratteri inerenti i servizi, nel rispetto delle finalità di un legislatore in questo caso 58 Cfr. Cassese, op. cit., p. 135. Legge 14 novembre 1995, n. 481, Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, in G.U. 18 novembre 1995, n. 270. 60 Cfr. Villata, op. cit., p. 18. 61 Cfr. Ferrari, Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione, cit., p. 1849. 59 19 impegnato prevalentemente ad equilibrare il riparto tra giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa). Ciò non di meno, tale intervento ha avuto l’importante effetto di riproporre il dibattito sulla categoria dei servizi pubblici non più nei termini prevalentemente nozionistici e descrittivi, bensì in quelli più concretamente discretivi di un’auspicata esattezza nel riparto giurisdizionale62. I.4. I servizi pubblici nel diritto comunitario La lettura comunitaria del concetto di servizio pubblico si staglia su un reticolo di tradizioni nazionali talora molto distanti in senso qualitativo e quantitativo63. Essa procede da sempre in modo svincolato ed elastico, attenta all’intangibilità del campo monopolistico delle potestà pubbliche, dei servizi sanitari e scolastici e concentrandosi in prevalenza sulle attività di rilievo economico64. L’approccio comunitario muove da posizioni vicine a quelle degli ordinamenti anglosassoni, incardinate all’idea della public utility regulation. Questa rinviene l’origine del servizio pubblico non nelle decisioni di pubblici poteri (né tanto meno nell’assunzione diretta del servizio da parte loro), bensì in autonome iniziative private. Queste ultime, però, avendo ad oggetto attività affected with a public interest, sono naturalmente sottoposte ad una penetrante regolazione pubblica, imperniata sia sulla previsione di particolari obblighi di universalità, qualità, sicurezza, tariffazione ragionevole, ecc., che sull’attribuzione di privilegi o forme di sostegno funzionali a tali 62 Cfr. Cerulli Irelli, op. cit., p. 55. Cfr. M. Cammelli, Comunità europea e servizi pubblici, in Diritto Amministrativo comunitario, a cura di L. Randelli - C. Bottari - D. Donati, Rimini, Maggioli Editore, 1994, pp. 183 e 189; Ferrari, ult. op. cit., p. 1847; Sordi, op. cit., p. 581. Per un approfondimento recente, cfr. Berlingerio, op. cit., p. 289 ss. 64 Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, in GUCE C 17 del 19 gennaio 2001 (preceduta dall’omonima comunicazione del 1996, COM (96) 443 def., in GUCE C 281 del 26 settembre 1996), p. 28-30. 63 20 obblighi. Alla regolazione, poi, presiedono storicamente commissions o agencies specializzate, con funzioni di amministrazione a tratti simili a quelle giurisdizionali ovvero a quelle normative65. L’assenza nel TCE della nozione di servizi pubblici e l’approntamento di categorie e denominazioni diverse (con le quali ciascun Stato membro si confronta in modo peculiare), apportano al dibattito contributi elaborati alla luce del valore primario di concorrenza: contributi peraltro non facili da assimilare per alcuni ordinamenti, giusta la lentezza nell’applicazione dell’art. 86 TCE, fulcro dell’approccio comunitario alla materia e base giuridica per gli interventi di liberalizzazione degli ultimi anni66. In sintesi approssimativa, l’“intervenire” comunitario in fatto di servizi pubblici al termine della (lunga) fase iniziale di quiescenza, si può riassumere in: a) un primo momento di deflagrazione del profilo pro-concorrenziale dell’art. 86 sul finire degli anni Ottanta67, per cui i tradizionali servizi pubblici economici vengono disciplinati in quanto primariamente “servizi”, soggetti alle regole di mercato, e b) una seconda fase (ancora attuale) in cui molti leggono un riflusso rispetto agli orientamenti precedenti. La prima delle due fasi, ha un impatto particolarmente significativo in Italia, ove si affianca all’incipiente operare dell’autorità nazionale Garante della Concorrenza e del Mercato (istituita con l. 287/90). Detta fase si sostanzia in una serie di interventi europei di liberalizzazione ed armonizzazione di numerose attività espletate tradizionalmente da monopoli pubblici: riguardo ai servizi a rete, in particolare, vengono progressivamente aperti al mercato attività di telecomunicazione, di trasporto pubblico, di servizi energetici e postali. L’instaurazione del mercato unico anche rispetto ai servizi pubblici diviene prioritaria. Il processo che ne scaturisce, nonostante il 65 Cfr. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, cit., p. 381 ss.; sul significato variabile della nozione di regulation, cfr. da ultimo Scotti, op. cit., p. 52. 66 Cfr. da ultimo V. Sottili, L’art. 86 del Trattato CE, in Servizi essenziali e diritto comunitario, a cura di L. Radicati di Brozolo, Torino, Giappichelli, 2002, p. 7; A. Barreca, L’art. 86 del trattato CE: origini e scopi perseguiti, in www.amministrazioneincammino.luiss.it; Villata, op. cit., p. 21. 67 Cfr. da ultimo, Sordi, op. cit., p. 589. 21 dichiarato agnosticismo comunitario rispetto alla proprietà delle imprese del settore (art. 295 TCE), porta naturalmente i pubblici poteri a dismettere la veste di fornitori diretti di prestazioni, per divenire invece regolatori garanti del conseguimento dell’interesse generale in mercati tendenzialmente liberalizzati. La nozione di servizio pubblico di matrice amministrativa sembra in principio estranea e lontana rispetto all’ordinamento comunitario, il quale ne rifiuta perfino la denominazione, in quanto polisemica e fuorviante68. I suoi tratti riemergono in parte nella vasta nozione (art. 86, c. 2) di servizi di interesse economico generale (SIEG)69. Come noto, tali servizi sono assoggettati alle regole di concorrenza fin dove ciò non comprometta la missione loro riconosciuta, quanto a continuità, uguaglianza di trattamento, adattamento ai bisogni delle prestazioni: nel qual caso l’applicazione di tali regole sarebbe esclusa, secondo una valutazione degli Stati ispirata a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, e sottoposta alla vigilanza dalla Commissione e della Corte di Giustizia. Trasponendo a livello comunitario la dicotomia tra concezione soggettiva ed oggettiva del servizio pubblico, il SIEG sembra meglio interpretato dalla seconda, specie in ragione della suddetta indifferenza comunitaria riguardo alla proprietà dei soggetti erogatori. Tuttavia, nella seconda fase di riflusso cui si accennava, svariati segnali hanno testimoniato, in seno alla Comunità, una minor fiducia nei benefici della concorrenza e la maturazione di una certa consapevolezza circa l’irrinunciabilità di una componente soggettiva pubblica: questo specie in ossequio all’indiscusso valore, oltre che 68 Cfr. Comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., allegato II. Cfr. Rangone, ult. op. cit., p. 20, Villata, op. cit., p. 22; D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 113 ss. 69 22 economico, anche sociale e di coesione dei servizi ed in relazione al momento regolatorio delle attività70. A prescindere dal fatto che tale componente sia o meno un lascito di tradizioni continentali di servizio pubblico71, è un dato che la concorrenza, valore fondante della Comunità, di fronte ai servizi pubblici si trova talora ad arretrare. Il confronto tra interesse generale e regole del mercato unico (in particolare di concorrenza) implica che le seconde non si impongano ex se ma possano addirittura divenire funzionali alla realizzazione del primo e pronte semmai a farsi da parte qualora, viceversa, si rivelino ostative. La concorrenza, anziché valore assoluto, assume in determinati contesti una configurazione strumentale: con la precisazione che la discrezionalità in ordine all’uso di tale strumento è ridotta in quanto esso si impone residualmente, rispetto ai servizi economici di rilievo comunitario, laddove non sia strettamente necessario farne a meno per garantire un interesse generale. Al contempo, i servizi pubblici da terreno economico “di (ri)conquista" da parte del mercato vengono sempre più reinterpretati primariamente come strumenti di coesione sociale e territoriale (come emerge dall’introduzione dell’art. 16 nel TCE e dall’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue). Secondo tali presupposti, è anche in merito alla decisione di rigettare o limitare ragionevolmente e proporzionalmente le regole di concorrenza, ovvero di correggerle ai fini coesivi di socialità, che il ruolo delle amministrazioni pubbliche si evolve e si (ri)valorizza72. 70 Cfr. da ultimo, F. Di Porto, Regolazioni di “prima” e “seconda” generazione. La liberalizzazione del mercato elettrico, in MCR, 2003, p. 325 ss. 71 Cfr. Sordi, op. cit., p. 593. 72 Al riguardo, D. Sorace, intervenendo al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali”, Pisa, 15 marzo 2004, ricorda peraltro che la necessità di imporre obblighi di servizio pubblico non implica automaticamente deroghe alle regole di concorrenza laddove: a) detti obblighi siano imposti indifferentemente in capo a tutte le imprese di un settore determinato (ciò che lascerebbe tali imprese in una condizione di eguaglianza concorrenziale); b) gli obblighi, imposti ad una (o ad alcune imprese) possono essere espletati autonomamente senza la necessità di misure compensative speciali. 23 I.4.a) Servizio pubblico ed equilibrio tra regole del mercato unico e interesse generale. Il ruolo della Commissione e della Corte di Giustizia Del quadro sommariamente sintetizzato sono espressione le misure comunitarie adottate per rendere compatibili tra loro le regole del mercato unico e interesse generale sotteso ai servizi pubblici: misure che arginano l’applicazione delle prime, ma solo a fronte di ciò che del secondo è il cuore irrinunciabile. Così, in primis la Commissione da un lato, con strumenti ora di c.d. soft law, ora normativi (quali le liberalizzazioni “controllate” dei grandi servizi a rete, la definizione di obblighi di servizio pubblico e di servizio universale), e alcune statuizioni della Corte di Giustizia dall’altro, hanno svolto un lavoro di ridefinizione del concetto di servizio pubblico che si impone ormai quale indicazione prioritaria per tutti gli ordinamenti nazionali europei. Proprio il servizio universale, creazione originale della Commissione in ambito europeo, merita specifica menzione, in quanto interpretato come nozione in cui le esigenze di servizio pubblico sembrano trasfigurarsi nel diritto comunitario. Esso si sostanzia nel quadro dei processi di liberalizzazione controllata di alcuni servizi a rete (poste e telecomunicazioni) e consiste in generale di un insieme minimo di servizi (di una certa qualità), che deve essere comunque garantito, a condizioni accettabili, a chiunque ne faccia richiesta73: in tal senso esso, come brillantemente sintetizzato, consiste in qualcosa di meno in termini di quantità e qualcosa di più in termini di qualità rispetto al tradizionale servizio pubblico74. 73 Per una ricostruzione della nozione, cfr. M. Clarich, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in Dir. pubbl., 1998, p. 26 ss.; Rangone, ult. op. cit., p. 18 ss.; Berlingerio, op. cit., p. 115, ss.; da ultimo e più esaustivamente, Cartei, op. cit. 74 Cfr. N. Rangone, I servizi pubblici - Nozioni e regole, in AA.VV, Annuario (2001) d ell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Milano, Giuffré, 2002, p. 196. 24 La sua apparente qualifica di versione comunitaria del servizio pubblico viene giudicata tuttavia impropria, in primo luogo a causa dei suoi caratteri (ancora) esili, eccessivamente settoriali (trovando compiuta disciplina nei soli ambiti di poste e telecomunicazioni), oltre che idealmente transitori75. Inoltre, nella sua ricchezza di valori in parte ancora inesplorata, il servizio universale, se da un lato condivide certamente con il servizio pubblico alcuni presupposti (quali la selezione essenzialmente politica delle prestazioni ritenute doverose) e principi (continuità, adattamento ed uguaglianza), dall’altro se ne distingue per l’origine essenzialmente regolatoria e per alcuni criteri di gestione (come quelli di proporzionalità, accessibilità e qualità)76. Già da quanto detto, si intuisce come la vistosa assenza della nozione di servizio pubblico di matrice amministrativa nel diritto primario della Comunità e la lontananza tra l’approccio comunitario e alcune esperienze nazionali (francese ed italiana in primis) non corrisponde certo ad un atteggiamento di indifferenza verso il tema. Al contrario, il continuo confronto tra interesse generale e regole di concorrenza esprime una pluralità di nozioni dai caratteri nuovi, quali quelle di servizio di interesse economico generale, servizio universale e obblighi di servizio pubblico e contratto di servizio pubblico. Queste, dall’ottica delle esperienze nazionali, possono leggersi, ciascuna per un profilo diverso, come risultanti di una complessa e continua scrematura dell’antico concetto di servizio pubblico ad opera, fondamentalmente, del valore comunitario di concorrenza. Così, il nucleo irrinunciabile dei servizi pubblici viene via via limato ma, al contempo, anche consolidato in quanto “resistente” all’applicazione incondizionata delle regole del mercato unico. Tale processo si sostanzia nella cornice dell’art. 16 TCE e dell’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, oltre che delle comunicazioni della Commissione (che, seppur dotate di un minor tasso di costituzionalità, presentano 75 76 Cfr. Sordi, op. cit., p. 600; Comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., allegato II. Cfr. Cartei, op. cit., p. 276 ss. 25 un elevato grado di specificità e godono comunque di un’alta considerazione). Esso incide progressivamente sui molteplici profili della gestione dei SIEG, in cerca di un equilibrio, ancora incompleto e problematico, tra interesse generale e concorrenza. Tale bilanciamento infatti, volutamente informato ad elasticità dagli artt. 16 e 86 TCE, non sempre risulta chiarito dal diritto derivato, né dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ciò non di meno, è un dato difficilmente contestabile il fatto che soprattutto quest’ultima fornisca oramai gli orientamenti più importanti, giungendo a verificare sia: a) la necessità di regimi speciali conferiti dagli Stati a imprese di servizio pubblico77, che b) la loro proporzionalità (anche se in questo caso il punto sembra controverso78) e finanche c) l’esistenza effettiva degli interessi generali che gli Stati affermano essere sottesi a determinati servizi79. Peraltro, mentre il primo punto appare consolidato, altrettanto non può dirsi per il secondo, nonostante l’importanza che il TCE e la Commissione riconoscano diffusamente al principio di proporzionalità e il numero di statuizioni ove esso è richiamato dalla stessa Corte proprio in fatto di deroghe alla concorrenza in favore 77 Cfr. le sentenze CGCE 19 maggio 1993, C-320/91, Corbeau, in Racc. 1993, I-2533; 27 aprile 1994, C393/92, Almelo, in Racc. 1994, I-1477; 23 ottobre 1997, C-159/94, Repubblica Francese, in Racc. 1997, I-5815; 21 settembre 1999, C-67/96, Albany, in Racc. 1999, I-5751). 78 Cfr. in positivo, Tribunale di primo grado, 27 febbraio 1997, T-106/95, FFSA, in Racc. 1997, II-229 (confermata dall'ordinanza CGCE del 25 marzo 1998, C-174/97); conclusioni avv. gen. in causa C-30/87, Bodson; e ancora Corbeau. In negativo, cfr. le sentenze CGCE 10 febbraio 2000, cause riunite C-147/97, C-148/97, Deutsche Post, in Racc. 2000, I-825; e ancora Albany. 79 Cfr. le sentenze 10 dicembre 1991, C-179/90, Merci convenzionali Porto di Genova, in Racc. 1991, I5889; e ancora Almelo. Cfr. P. Fattori, Monopoli pubblici e articolo 90 del Trattato CE nella giurisprudenza comunitaria, in MCR, 1999, p. 127 ss.; D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, cit., p. 391 ss.; G. Caputi, Servizi pubblici e monopoli nella giurisprudenza comunitaria, Torino, Giappichelli, 2002, p. 137 ss. 26 dell’interesse generale80. Il quadro, poi, è reso ancora più incerto qualora il regime di privilegio, concesso a compensazione di missioni di interesse generale, configuri la possibile sussistenza di aiuti di Stato ex art. 87 TCE, con evidenti interrogativi in ordine al controllo esercitato su di essi dalla Commissione ex art. 88 TCE81. Il terzo punto, invece, tocca più degli altri un profilo sovente nevralgico per il bilanciamento tra regole di concorrenza e interesse generale, ossia il ruolo da riconoscere agli Stati nell’individuazione di quest’ultimo (oltre che nelle modalità adeguate e legittime per garantirlo). Al riguardo, da un punto di vista normativo ed amministrativo, la problematica permane aperta. Da un lato, infatti, vigono un consacrato principio di sussidiarietà verticale (per sua natura elastico) e un art. 16 TCE, in ossequio ai quali la Commissione ricorda che gli Stati sono liberi di «definire i servizi d'interesse generale, fermo restando il controllo di eventuali casi di errore manifesto»82 (senza riguardo per il regime di proprietà, pubblica o privata, delle imprese e secondo criteri di proporzionalità tra restrizioni alla concorrenza e garanzia dell’interesse generale)83. Dall’altro, invece, vi sono ambiti in cui l’espansivo ordinamento comunitario impone discipline dettagliate e preponderanti. Un esempio in tal senso è dato in materia di servizio universale, ove gli Stati membri di fatto ben poco possono aggiungere agli obblighi previsti dalle direttive CE su telefonia/comunicazioni elettroniche e poste84. Al di là delle incertezze, ciò che comunque preme rilevare in merito al terzo punto, concerne un aspetto (soprattutto ideologico) del servizio pubblico che più di 80 Cfr. Caputi, op. cit., p. 138. Cfr.la giurisprudenza comunitaria ricordata dalla Commissione nella Relazione al consiglio europeo di Siviglia, sullo stato dei lavori relativi alle linee direttrici in materia di aiuti di Stato legati ai servizi d'interesse economico generale, ed in particolare a titolo esemplificativo, le sentenze 22 novembre 2001, C-53/00, Ferring, in Racc. 2001, I-9067; e 24 luglio 2003, C-280/00, Altmark Trans, in Racc. 2003, I7747. V. contributo di F. Ghelarducci – M. Capantini, in materia di Stato e il principio dell’“investitore privato”, in questo volume. 82 Cfr. Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, 2000, cit., preambolo. 83 Cfr. Ferrari, ult. op. cit., p. 1845. 84 Cfr. Sottili, op. cit., p. p. 30-32. 81 27 qualunque altro sembrava tradizionalmente inattaccabile, ossia «la esclusiva “politicità della decisione di considerare servizio pubblico un’attività economica»85. I.4.b) Occasioni di individuazione comunitaria di “servizi pubblici” A prescindere dalla misura in cui l’identificazione dei SIEG spetti agli Stati e dall’assenza di qualsiasi loro enumerazione in sede comunitaria, è comunque un dato che alcune attività economiche “tipiche” (ovvero alcuni loro segmenti) sono oggetto di normative comunitarie positive (di liberalizzazione), in cui il carattere pubblico rileva ripetitivamente. Anche per questo, alcuni atti comunitari le affrontano congiuntamente. Alle comunicazioni elettroniche (già telecomunicazioni), ai servizi postali, ai trasporti, all’energia (elettrica e di gas naturale), alla radio e alla televisione, in primo luogo, la Commissione dedica spazio in appendice alle comunicazioni del 1996 e del 2000 per riferire sui relativi processi di liberalizzazione86. Ma, risalendo indietro nel tempo, anche le direttive in materia di appalti assegnati da soggetti esercenti servizi pubblici (c.d. appalti nei settori esclusi, direttiva 93/38, di recente sostituita dalla direttiva CE 2004/17) hanno in qualche misura indicato in concreto una categoria di servizi pubblici. Segnatamente i settori di acqua ed energia, trasporti e telecomunicazioni, in principio esclusi dalla disciplina comunitaria in quanto ritenuti oggetto di discipline pubblicistiche nazionali87, sembrano infatti costituire un nucleo di attività con caratteristiche storiche peculiari, cui di conseguenza la Comunità ha applicato le regole del mercato unico in modo differenziato. I.4.c) Ultimi sviluppi: dal Consiglio europeo di Laeken al Libro verde del 2003 85 Sorace, ult. op. cit., p. 392. Cfr. Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, 2000, cit., allegato I. 87 Cfr. Cammelli, op. cit., pp. 190-191. 86 28 Le evoluzioni più recenti del ripensamento nell’approccio ai servizi pubblici emergono dall’incessante opera della Commissione, che nel mirare all’applicazione incrementale del diritto comunitario, da un lato è destinataria delle pressioni provenienti dagli Stati e dalla società civile, dall’altro procede ad un attento recepimento delle indicazioni della Corte di Giustizia. Già con la Relazione al Consiglio europeo di Laeken (2001) l’esecutivo comunitario si dimostrava sensibile alla necessità di una maggiore certezza del diritto in materia di servizi di interesse generale (in special modo rispetto agli orientamenti talora altalenanti della Corte in fatto di finanziamento) e di meccanismi per la valutazione periodica del loro funzionamento, in termini di qualità, accessibilità, sicurezza ed equità e trasparenza tariffarie88. Il Libro verde di consultazione sui servizi di interesse generale del 2003, ultimo documento di riferimento in materia, prosegue in tale direzione89. Esso parte dall’assunto per cui il TCE «non colloca il funzionamento dei servizi di interesse generale fra gli obiettivi comunitari e non assegna alla Comunità poteri positivi specifici in questo settore»90 e che «non è probabilmente né auspicabile né possibile elaborare un’unica e completa definizione europea del contenuto dei servizi di interesse generale»91. Ciò non di meno, nel documento si afferma che «la vigente normativa comunitaria sui servizi di interesse economico generale include una serie di elementi 88 Cfr. Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken sui “Servizi di interesse generale", COM(2001) 598 def., del 17 ottobre 2001 (per la quale cfr. M. Capantini, Servizi di interesse generale e aiuti di Stato. La Relazione della Commissione al Consiglio europeo di Laeken, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2003, p. 478 ss.); e Relazione al consiglio europeo di Siviglia, cit. 89 Commissione europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 maggio 2003, COM (2003) 270, in relazione al quale la Commissione ha poi emanato una Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, 29 marzo 2004, SEC(2004)326. Cfr. N. Rangone, Il Libro verde sui servizi di interesse generale: verso un nuovo approccio alla regolazione comunitaria dei servizi pubblici?, intervento al convegno Servizi locali e qualità sociale nell’Europa che cambia, Campidoglio 6 novembre 2003 (in corso di pubblicazione); Berlingerio, op. cit., p. 325 ss. 90 Commissione europea, Libro verde, cit., p. 28. 91 Ibid., n. 49. 29 comuni da cui si potrebbe dedurre un utile concetto comunitario di servizi di interesse economico generale»92. Peraltro, alcuni dei temi sollevati dal Libro verde ammettono la possibilità che un’adeguatezza formale ai dettami comunitari nei settori di servizio pubblico già regolati, può comunque risultare carente, qualora non se ne apprezzino i positivi effetti sull’utenza: questo, ad esempio, in riferimento ai criteri con cui valutare la legittimità dei finanziamenti degli obblighi di servizio pubblico (fino ad ora centrati unicamente sull’apprezzamento del loro impatto anticoncorrenziale) e agli strumenti di valutazione della qualità dei servizi e dell’efficacia della regolazione93. Inoltre, la Commissione fa luce sulle attuali differenze di approccio del diritto comunitario rispetto ai diversi tipi di servizio di interesse generale. Essa individua: 1) “grandi servizi a rete” economici, soggetti alle regole del TCE su libera circolazione, concorrenza e aiuti di Stato (nel caso le prestazioni incidano sugli scambi tra Stati) e a particolari discipline di settore; 2) servizi economici oggetto delle sole regole del TCE (come la gestione dei rifiuti, i servizi idrici, la radiodiffusione); 3) servizi non economici e servizi che non incidono sugli scambi, cui si applicano i soli principi del TCE di non discriminazione nell’accesso e di libera circolazione delle persone94. Proprio nell’ipotesi: a) di un’estensione della disciplina comunitaria sia ai servizi economici non regolati settorialmente, che a quelli non economici, ovvero b) di una globale disciplina quadro del settore, l’ordinamento comunitario si dimostra consapevole di dover trovare nuovi equilibri tra interesse generale e principi di concorrenza. Una ricerca nella quale finirebbe per ridisegnarsi profondamente il ruolo degli Stati e delle amministrazioni territoriali. 92 Ancora, ibid., n. 49. Cfr. ibid., n. 90 e 94 ss. 94 Cfr. ibid., n. 32. 93 30 In ultimo, non si può ignorare che anche nei lavori della Convenzione europea che hanno portato al Progetto di Costituzione per l’Europa, vi sia stato un confronto sui servizi di interesse generale con le parti della società civile e, seppure sostenuti da posizioni tradizionaliste di tipo francese, tentativi di delineare una nozione europea di servizi pubblici con un proprio diritto speciale95. I.4.d) Sviluppi definitori in ambito regionale La ricostruzione dei tentativi definitori e di identificazione dei servizi pubblici si arricchisce, dalla prospettiva italiana, in forza dell’intrecciarsi delle elaborazioni comunitarie con gli sviluppi costituzionali interni. Con la riforma del Titolo V Cost., infatti, la materia dei servizi pubblici locali, già oggetto a livello legislativo centrale di continue riforme caratterizzate da ambigui e discontinui tratti “filo-comunitari”, rischia di sfuggire definitivamente all’unicità della disciplina nazionale, a fronte di una competenza legislativa (in larga parte esclusiva) delle regioni96. In pendenza della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità della riforma dell’art. 113 TUEL (di cui all’art. 35 della legge Finanziaria 2002, all’art. 14 d.l. 269 del 30 settembre 2003 e alla legge Finanziaria 2004)97 la prima ed eclatante espressione di tale tendenza centrifuga è costituita dalla LR Lombardia 26/2003 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale)98. Questa rileva 95 Cfr., in particolare, contributo del Sig. Olivier Duhamel e della Sig.ra Pervenche Berès, Per un diritto europeo dei servizi pubblici, Bruxelles, 7 ottobre 2002, CONV, 319/02. Cfr. Berlingerio, op. cit., p. 322 ss. 96 Al riguardo, v. amplius F. Casalotti, in questo volume. 97 Rispettivamente, legge 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002), in G.U. 29 dicembre 2001, n. 301, art. 35; decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, in G.U. 2 ottobre 2003, n. 229, art. 14; legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), 27 dicembre 2003, n. 299, art. 234. 98 Legge regionale Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale - norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia e di utilizzo del sottosuolo, in 31 innanzitutto quale esempio peculiare di normazione di livello regionale che, per alcuni versi, scavalca quello nazionale (talora addirittura in controtendenza rispetto ad esso), ricercando nozioni e istituti utili in quello comunitario. Al di là dell’ispirazione pro-concorrenziale in fatto di affidamento e gestione dei servizi, espressa dalla LR in modo più univoco rispetto a quanto fatto dalla disciplina nazionale del TUEL (art. 113), preme qui sottolineare come il legislatore regionale abbia abbandonato la nozione tradizionale di servizio pubblico in favore di quella similcomunitaria di servizi (locali) di interesse economico generale. Questo nell’intento di realizzare a livello locale ciò che da più parti si ritiene obiettivo sfuggente a livello comunitario: una disciplina organica dei SIEG. Ciò posto, l’esempio della Lombardia si colloca rispetto al diritto comunitario in una posizione interlocutoria per motivi tanto di diritto positivo quanto concettuali. In primo luogo, infatti, tra i servizi identificati come tipicamente locali (gestione dei rifiuti urbani; distribuzione dell’energia elettrica e termica e del gas naturale; gestione dei sistemi integrati di alloggiamento delle reti nel sottosuolo; gestione del servizio idrico integrato) solo alcuni trovano una disciplina completa anche a livello comunitario. Inoltre, l’adozione della nozione di SIEG, proprio a seguito della limitazione degli ambiti cui è applicata, appare solo in parte rispondente agli orientamenti comunitari che, oltre a reputarla ex se dinamica ed evolutiva, attualmente vi includono ad esempio anche i servizi di radiodiffusione99. Ciò che in questa sede preme sottolineare, tuttavia, è la prospettiva quanto mai concreta che, con la riforma costituzionale del 2001, l’esperienza italiana di definizione ed individuazione dei servizi pubblici si polverizzi in una varietà di esperienze regionali. Ciascuna di esse, peraltro, potrà scegliere tra una gamma di impostazioni con B.U. 16 dicembre 2003, n. 51. Cfr. A. Purcaro, La disciplina dei servizi pubblici locali: analogie e differenze tra la Legge regionale Lombardia n. 26/2003 e il decreto legge n. 269/2003, in Lexitalia.it (rivista o-line), 3/2004. 99 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 32 e in allegato, n. 34. 32 caratteristiche ora maggiormente affini all’ordinamento nazionale (che, allo stato attuale, sembrano allontanarsi da modelli concorrenziali di affidamento e gestione, stante la nuova previsione del ricorso ad affidamenti in house100), ora più vicine a quello comunitario, ora intermedie tra questi101. I.4.e) Il profilo commerciale dei servizi pubblici nel GATS Da alcuni anni oramai, oltre che con i livelli nazionale e comunitario, occorre confrontarsi con un ulteriore ambito di definizione dei servizi pubblici, il quale ha primariamente riguardo per il loro profilo commerciale. Gli accordi internazionali, di tipo bilaterale ma soprattutto nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) con il General Agreement on Trade in Services (GATS), prevedono l’apertura al commercio internazionale della fornitura di servizi (supply of services)102. Essi vincolano, per gli Stati sottoscrittori, le misure (measures) che i governi o le autorità centrali, regionali o locali (oltre che dei non-governmental bodies nell’esercizio di poteri delegati) adottano in materia. In sintesi, questi devono garantire in generale: a) nei confronti dei servizi, e dei loro fornitori di altri Paesi membri, lo stesso trattamento normativo (sostanziale) assicurato al Paese maggiormente favorito (most-favoured-nation treatment); b) verso gli altri Paesi sottoscrittori, la tempestiva pubblicazione delle misure che incidono sulla disciplina delle materie oggetto del GATS (transparency)103. 100 Cfr. d.l. 29 settembre 2003, n. 269 (convertito con modifiche in legge n. 326/2003), che modifica gli art. 113 e 113 bis del TUEL. 101 Un valido esempio in tal senso è dato dalla progetto di LR Toscana n. 306 del 28 ottobre 2003 (Norme sui servizi pubblici locali a rilevanza economica), lessicalmente più vicina al diritto nazionale che a quello comunitario, e avente ad oggetto servizi in parte diversi rispetto alla LR Lombardia (trasporto pubblico locale di persone, servizio idrico integrato, servizio di gestione dei rifiuti urbani, servizio di distribuzione del gas, servizio di distribuzione dell’energia elettrica). 102 Al riguardo, v. amplius F. Spagnuolo, in questo volume. 103 Cfr. GATS, artt. I, II (in GUCE 23 dicembre 1994, L336). 33 Ogni Paese membro elabora, inoltre, in via negoziale, una lista di servizi (schedule of specific commitments) rispetto ai quali garantisce l’apertura del proprio mercato e, per le imprese estere che decidano di operarvi, lo stesso trattamento di quelle nazionali104. Da un punto di vista definitorio, la nozione base del GATS è quella di service, che prescinde da nozioni tradizionali di service public ovvero comunitarie di SIEG105. Essa si definisce residualmente come «any service in any sector», ad eccezione dei soli servizi «supplied neither on a commercial basis, nor in competition with one or more service suppliers»106 (il che, in pratica, comporta l’inclusione di ogni servizio ad eccezione delle sole attività di esercizio dell’autorità governativa107). In tal senso, il GATS mantiene nei confronti dei servizi pubblici un atteggiamento in principio agnostico. Di essi, considera unicamente la natura di “servizi” ai fini commerciali e si disinteressa completamente tanto dei profili soggettivi quanto di quelli oggettivi della lettura tradizionale. Nell’ambito (ancora) ristretto di incidenza degli obblighi del GATS108 in materia di servizi, occorre ricordare che le negoziazioni in seno a tale accordo avvengono comunque per il tramite della Comunità109. Questa, sfruttandone la naturale elasticità, vi partecipa facendo valere, per la propria parte, i tratti giuridici distintivi dei servizi di 104 Ibid., art. XVI. Alcune regole GATS (trasparenza e clausola della nazione più favorita) si applicano a prescindere dai confini nazionali a tutti i settori di servizi coperti dall’accordo; le disposizioni relative ad impegni specifici (accesso al mercato, trattamento nazionale ed eventuali impegni aggiuntivi) valgono soltanto per gli Stati che li hanno assunti rispetto ad un settore particolare (cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 78). 105 Sull’inesistenza di un unico modello di servizi di interesse generale nell’ambito dell’OMC, e sulla totale libertà degli Stati membri di fornire essi stessi servizi di interesse generale, direttamente o indirettamente (attraverso imprese pubbliche) o di affidarli a terzi, cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 79. 106 GATS, art. I. 107 Anche se, per l’esattezza, le regole del GATS non trovano applicazione nel settore del trasporto aereo, dei diritti di traffico e di tutti i servizi direttamente connessi all’esercizio dei diritti di traffico. 108 La fornitura di servizi ad enti pubblici mediante appalti – compresi i servizi di interesse generale – non è attualmente soggetta in ambito GATS ad obblighi (nazione più favorita, trattamento nazionale, accesso al mercato, possibili impegni supplementari). Tuttavia, la Comunità si è impegnata a riconoscere obblighi di nazione più favorita e di trattamento nazionale in rapporto alle parti contraenti l’Accordo sugli appalti governativi (GPA), negoziato anche in ambito OMC. 109 Cfr. M. P. Chiti, Diritto Amministrativo Europeo, Milano, Giuffré, 1999, p. 64. 34 interesse generale (economico e non) senza apparenti contrasti con l’approccio indifferente (ma tollerante) del GATS110. II.1. L’ipotesi di un testo di riferimento in materia di servizi pubblici Il quadro sommariamente tracciato nella prima parte, dà conto della quantità di istanze incidenti sui molteplici profili del servizio pubblico, ai livelli concettuale, definitorio e disciplinare, cui da tempo si prospetta la possibilità di dare conformazione tramite un testo condiviso di principi organizzativi, di gestione e regolazione. Con l’affermarsi dell’ordinamento comunitario e con l’erosione dell’autorità nazionale, la materia è stata largamente “comunitarizzata”, e idealmente restituita agli Stati (ex artt. 5 e 16 TCE) solo in forza di un criterio di sussidiarietà che, elaborato originariamente in sede europea111, sembra trovare in essa il luogo naturale e appropriato di giustiziabilità. Le decisioni in fatto di SIEG, oramai, originano in larga parte in ambito comunitario, fuori dunque dell’autonomia normativa e amministrativa degli Stati112. Proprio a livello comunitario, da tempo circola l’ipotesi di una sistemazione della materia: ipotesi che, tuttavia, appare storicamente alimentata per lo più dalla reazione dei contesti nazionali di tradizione amministrativa all’applicazione delle regole del mercato unico. In tal senso, il desiderio di fissare alcuni principi relativi ai servizi pubblici esprime l’aspirazione degli Stati a tracciare linee di demarcazione a difesa delle 110 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 83 e 84. Ancorché le sue origini risalgano agli ordinamenti ecclesiastici (cfr. G. Pizzanelli in questo volume). 112 In tal senso, peraltro, sarà interessante valutare l’esito dei sopraccennati tentativi regionali di sistemazione organica della materia, ricordando tuttavia che rispetto ai servizi di dimensione locale l’incidenza del diritto comunitario è circoscritta prevalentemente alle discipline settoriali dei servizi di interesse generale forniti dalle grandi industrie di rete. 111 35 proprie prerogative storico-ideologiche, che si fa tanto più urgente quanto più dilagante diviene l’ingerenza comunitaria. Nell’ultimo decennio, sono state formulate proposte per una carta europea dei servizi pubblici, delle quali la prima e più compiuta è stata quella francese del gennaio 1993. In quel caso, si trasmetteva alla Commissione un progetto (da sottoporre poi all’approvazione del Consiglio) completo di definizioni, principi, regole di gestione ed organizzazione per regolatori e gestori di servizi pubblici. La sua eccessiva vaghezza tuttavia, suscettibile di determinarne interpretazioni contrastanti con il diritto comunitario, decretò l’insuccesso dell’iniziativa113. Analoghe proposte, di poco successive, si sono registrate rispettivamente in seno al Parlamento europeo, con l’adozione finale di una Risoluzione nel 1995114 e, in materia di servizi pubblici locali, con un Progetto di raccomandazione formulato dal Consiglio d’Europa del 2 luglio 1996115. Significativamente, il primo dei suddetti progetti si è materializzato in ambito francese e il secondo è stato espressione dell’organo maggiormente rappresentativo delle istanze popolari e politiche (il Parlamento): nessuno di essi proviene dalla Commissione, la quale, al di là degli interventi settoriali, preferisce, a legislazione vigente, fornire indicazioni con gli strumenti elastici di soft law (comunicazioni, relazioni e documenti di consultazione) anziché fissare un assetto definitivo in atti giuridici vincolanti di carattere generale (direttive o regolamenti). II.2. Prospettive di codificazione nel Libro verde sui servizi di interesse generale 113 Cfr. Bulletin européen du Moniteur, 15 febbraio 1993 e Reg. gov. loc., 1994 (con commento di N. Rangone, Verso una carta europea dei servizi pubblici?, pp. 739 ss.). 114 Cfr. Parlamento europeo, Imprese pubbliche, privatizzazioni e servizi nella Comunità europea, A30254/94. 115 Cfr. Di Pietro, op. cit., p. 347. 36 Proprio nel Libro verde del 2003, la Commissione offre un quadro delle prospettive comunitarie in materia di servizi di interesse generale, interrogando(si) fra l’altro: a) sull’opportunità di una disciplina comune anche a servizi (sia economici che sociali) non ancora soggetti a norme settoriali; b) in caso affermativo, sulla scelta tra un approccio specifico per settore, come accaduto finora, ovvero una trattazione di respiro più generale116; c) sul modello di sussidiarietà da adottare nelle eventualità prospettate117. Nell’ipotesi, avanzata proprio dalla Commissione, dell’adozione di uno strumento quadro a carattere generale vincolante di cui al punto b), detto strumento avrebbe la funzione di «chiarire e consolidare gli obiettivi e i principi comuni a tutti o a molti tipi di servizi di interesse generale nei settori di competenza comunitaria. Tale strumento potrebbe costituire la base per un’ulteriore normativa settoriale che consenta di raggiungere gli obiettivi fissati nello strumento quadro, semplificando quindi e consolidando il mercato interno in questo settore»118. Allo stato attuale, peraltro, esso potrebbe essere costituito da una direttiva ovvero da un regolamento, ma in entrambi i casi sarebbe problematico rinvenire una base legittimante nel TCE119. Diversamente, con l’adozione della Costituzione europea, lo strumento quadro, almeno in fatto di sevizi economici, assumerebbe la forma di legge europea (atto legislativo di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri), ai sensi dell’art. III-6 (grosso 116 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 37 ss.; Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.3. 117 Cfr. ibid., n. 28 ss. 118 Commissione europea, Libro verde, cit., n. 38. 119 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 40. 37 modo una nuova versione dell’art. 16 TCE)120. Detto articolo prevede infatti che la legge definisca «principi e condizioni, segnatamente economiche e finanziarie, che consentano [ai SIEG] di assolvere i rispettivi compiti». Al di là di tali considerazioni, la stessa Commissione osserva come, specie negli ordinamenti di comunicazioni elettroniche, poste, energia elettrica, gas, e trasporti, sarebbero ormai individuabili principi comuni a tutti i SIEG e, in parte, anche ai servizi non economici. Permanendo i principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale quali clausole aperte, lasciate all’evoluzione dei rapporti tra Stati e Comunità e tra pubblico e privato, la disciplina sostanziale dei servizi pubblici sembrerebbe giunta ad un consolidamento tale per cui, una volta individuato un servizio come pubblico, risulterebbe abbastanza definito il regime ad esso applicabile. Vi è, in altri termini, «un corpus normativo specifico per settore per le differenti industrie di rete» che forniscono SIEG121, che potrebbe costituire la base per l’elaborazione di quello che, al là del valore giuridico da assumere, potrebbe definirsi come uno Statuto dei servizi pubblici122. Il termine “statuto”, pur prestandosi in campo giuridico ad una quantità di usi diversi, denota come costante, «quella di essere un corpus normativo di respiro ampio e 120 Cfr. Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, 18 luglio 2003, CONV 850/03, art. III-6, il quale sembra conferire al suo omologo precedente (l’art. 16 TCE), di carattere più che altro referenziale e tautologico, una più robusta idoneità quale base giuridica per atti di diritto derivato. Peraltro, anche qualora, rispetto ai SIEG, si perseverasse sulla strada di discipline settoriali, l’art. III-6 legittimerebbe il diritto comunitario a coprire settori finora esclusi o meno considerati, come quello idrico e dei servizi ambientali. Cfr. Rangone, Il Libro verde sui servizi di interesse generale, cit. 121 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 37. 122 Un’operazione parzialmente simile, del resto, trova un precedente (regolamentare e quindi di carattere normativo) in ambito comunitario: in materia di società, attraverso una stratificazione di direttive protrattasi per quasi trent’anni, si è giunti in ultimo alla definizione di un corpus di norme comuni sullo Statuto della Società europea, intendendo tuttavia con il termine “Statuto” al contempo l'atto costitutivo e lo statuto propriamente detto della società, qualora quest'ultimo formi oggetto di atto distinto (cfr. art. 6, Regolamento CE 8 ottobre 2001, n. 2157/2001, relativo allo statuto della Società europea (SE), in GUCE 10 ottobre 2001, L 294.). Con riguardo invece ai principi relativi alla liberalizzazione proprio dei servizi a rete, cfr. F. Di Porto, Il decreto Bersani (D.LGS. N: 79/99). Profili pro-concorrenziali della riforma del mercato elettrico, in Concorrenza e Mercato, 2000, p. 417, nota 28. Relativamente alle regole comunitarie applicabili ad alcune forme tipiche di interazione-cooperazione orizzontale tra pubblico e privato (ossia i dilaganti fenomeni di “partenariato pubblico-privato” quali gli appalti e le concessioni), cfr. in ultimo il Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni della Commissione europea del 30 aprile 2004 (COM(2004)327). 38 in posizione centrale in ordine all’oggetto disciplinato»123. Nel caso in esame, esso dovrebbe distinguersi sia dai precedenti tentativi di Carte dei servizi pubblici (dai contenuti generici ed oramai poco utili in uno stato tanto avanzato di disciplina della materia) che dalle carte di servizio, non limitandosi al profilo del rapporto con l’utenza ovvero dei principi di erogazione, ma dettando norme “a tutto tondo” di organizzazione e regolazione che definiscano l’equilibrio tra interesse generale e regole di concorrenza. II.3. Ricognizione dei possibili contenuti di un testo di riferimento II.3.a) Gli obblighi di servizio pubblico Un testo di valore generale in materia di servizi pubblici non potrebbe prescindere dall’attualizzazione degli antichi principi di scuola francese124 di uguaglianza125, continuità126 e adattamento ai bisogni127. Un ulteriore obbligo comune poi risiederebbe ormai, a giudizio della Commissione, nell’universalità del servizio rispetto dell’utenza finale, come emerge (in termini peraltro non sempre precisi) nella normativa 123 M. Procaccini, Ambiguità e spessore della parola statuto tra lessico giuridico, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, p. 11. 124 Riguardo alle c.d. lois du service public, si rinvia a V. Gavioli, in questo volume. 125 Riconosciuto quale principio generale di diritto comunitario, esso è inteso come esclusione di qualsiasi privilegio nella prestazione del servizio, tra soggetti che si trovino nelle stesse condizioni, salvo trattamenti differenziati previsti per legge o in via amministrativa, che in ragione di interessi generali assicurino un’uguaglianza sostanziale (cfr. Sottili, op. cit., p. 13). 126 In base al quale i servizi devono essere in grado di funzionare in qualsiasi momento (pur nel rispetto del diritto di sciopero dei lavoratori). Tale requisito, in alcuni casi consustanziale al tipo di servizio, è previsto dalla normativa comunitaria in materia di servizio universale postale, mentre rispetto ad alcune prestazioni vige anche nel settore dell’energia elettrica (cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 11; in ambito energetico, poi, il requisito di continuità si sostanzia a monte nell’ulteriore obbligo di sicurezza degli approvvigionamenti (cfr. ibid., allegato, n. 27). 127 Nato con riguardo ad una nozione di servizio pubblico che implicava la gestione (o almeno la titolarità) pubblica dell’attività, esso potrebbe attualmente essere inteso non più come diretto imperativamente alle sole decisioni dell’Amministrazione, bensì come requisito da quest’ultima garantito (anche in termini di qualità) con interventi di regolazione indirizzati ad operatori che già, nel quadro delle normali dinamiche di mercato, adattano (almeno in parte) l’offerta di servizi alle esigenze della domanda laddove ciò sia di per sé remunerativo. 39 comunitaria dei servizi di comunicazioni elettroniche128, poste ed energia elettrica129 (mentre più problematica appare la sua configurabilità rispetto a trasporti e gas naturale130). Detta universalità, assurta a principio comune, varrebbe come clausola generale di natura dinamica e flessibile, che i pubblici poteri sostanzierebbero di volta in volta indicando le prestazioni reputate imprescindibili e non garantite dal mercato131. II.3.b) La qualità del servizio e la protezione degli utenti Il profilo della qualità dei servizi, in alcuni contesti già richiamato dagli obblighi di universalità, più di altri sembra dipendere da una corretta applicazione del principio di sussidiarietà (e decentramento) sia in fatto di decisioni (relative alla definizione di requisiti e parametri qualitativi) che di esecuzione (ossia di verifica sia settoriale che orizzontale132 del loro rispetto) da parte delle autorità pubbliche. Quanto alla protezione, e più in generale all’attenzione dedicata agli utenti, tale profilo è stato delineato con 128 Cfr. da ultimo direttiva CE del 7 marzo 2002, n. 2002/22, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), in GUCE 24 aprile 2002, L 108 (oltre che d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, (Codice delle Comunicazioni elettroniche), artt. 53-65). Peraltro, proprio in riferimento alle telecomunicazioni (suo ambito di elezione), la nozione è da taluni giudicata, fin dalla sua genesi, superata in forza dell’evoluzione spontanea del mercato (cfr. S Frova, Nozione ed evoluzione del Servizio Universale nelle telecomunicazioni, Telecomunicazioni e servizio universale (relazione della giornata di studi organizzata dall’ISAE – Roma, 17 maggio 1999), a cura di S. Frova, Milano, Giuffré, 1999, p. 18). 129 Cfr. direttiva CE del 26 giugno 2003, n. 2003/54, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE, in GUCE 15 luglio 2003, n. L 176. 130 Cfr. M. Carta, La liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale nell’Unione: il mercato interno dell’energia elettrica, in Dir. Ue, 2003, p. 778 ss. Cfr. anche d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144), art. 16, ove si fa soltanto riferimento alla non meglio precisata universalità del servizio. 131 Cfr. anche F. Trimarchi Banfi, Considerazioni sui “nuovi” servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2002, p. 964. Gli elementi ricostruttivi della disciplina del servizio universale, ricavabili dalle direttive comunitarie (specie relative alle comunicazione elettroniche), concernono i contenuti, le regole di selezione del fornitore, le norme sulla compensazione dei costi di fornitura, il diritto degli Stati membri ad introdurre requisiti aggiuntivi; i compiti del soggetto regolatore (cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 2 ss.). 132 Cfr. in ultimo Commissione europea, Comunicazione sulla Metodologia per la valutazione orizzontale dei servizi d’interesse economico generale, COM (2002) 331 def. Riguardo alla valutazione dei servizi di interesse economico generale e ai profili partecipativi da parte dell’utenza, cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 94 ss. e allegato, n. 64 ss. 40 precisione dalla Commissione che nel Libro verde ne ha tratteggiato un corpus di regole e diritti condivisi133. II.3.c) La gestione di servizi e infrastrutture Da quanto emerge nei settori dei servizi economici a rete dotati di una disciplina comunitaria più completa (energia, comunicazioni elettroniche, poste, trasporti) si ricava innanzitutto la regola generale per cui, ove possibile e conveniente, le attività dovrebbero essere liberamente esercibili in regime di concorrenza nel mercato. Tale regola assume peraltro un carattere residuale laddove la stessa normativa ammette, per alcune attività, il conferimento di diritti speciali o esclusivi secondo meccanismi di concorrenza per il mercato134. Specie nei servizi a rete, il legislatore comunitario ha condotto un’opera di scomposizione della gestione unitaria delle relative filiere, in cui le attività prive di costi iniziali elevati ed irrecuperabili per la creazione e la manutenzione di reti, sono state liberalizzate per prime. Ciò che ha dato vita ad un processo di erosione progressiva di quanto in origine si riteneva essere monopolio naturale (soprattutto in fatto di attività infrastrutturali di telecomunicazioni, di servizi ferroviari, di energia elettrica e gas), finendo per ridurre tale qualifica alla pressoché sola gestione di infrastrutture giudicate non duplicabili (in base a considerazioni economiche ovvero di generale opportunità sociale ed ambientale), delineandosi così una separazione tra esercizio concorrenziale dei servizi (a valle) e gestione unitaria delle reti (a monte)135. 133 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 21 ss. Al riguardo, v. amplius F. Dello Sbarba, in questo volume. 135 Sul significato del principio di separazione tra reti e servizi nelle public utilities europee, cfr. l’esemplare ricostruzione in V. Sottili, La liberalizzazione dei servizi pubblici: disciplina comunitaria e stato di attuazione in Italia, in Privatizzazioni ed efficienza della pubblica amministrazione alla luce del diritto comunitario, a cura di A. Angeletti, Milano, 1996, p. 258. 134 41 Alla seconda continuano usualmente ad essere deputati soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi, in quanto ciò risponderebbe meglio ad esigenze organizzative, di sicurezza, oltre che di manutenzione e sviluppo della rete136. Essi discendono per solito da imprese (pubbliche) integrate e monopoliste e mantengono sovente una natura pubblica anche in forza del regime di proprietà delle reti: proprio i gestori in monopolio di infrastrutture, ancora inquadrati di fatto in aziende integrate attive anche nella produzione dei servizi finali, sono destinatari di misure regolamentari specifiche che garantiscono una separazione dall’impresa madre tale da impedire a questa di trarre vantaggi dal monopolio della propria attività infrastrutturale a monte, rispetto ai concorrenti nel mercato a valle dei servizi137. Più in generale, poi, in materia di infrastrutture e reti, regole di accesso ed interconnettività alle reti a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, vengono pacificamente riconosciute come requisito preliminare alla creazione e al mantenimento in via regolatoria di mercati concorrenziali138. II.3.d) Il finanziamento dei servizi pubblici 136 Cfr. in ultimo Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, segnalazione AS278, Riunificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale, in Boll. 15/2004. 137 Un esempio evoluto di misure regolatorie in tal senso è quello relativo alla trasparenza dei flussi finanziari interni alle imprese di telefonia verticalmente integrate (per il quale cfr. Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, delibera 152/02/Cons, Misure atte a garantire la piena applicazione del principio di parità di trattamento interna ed esterna da parte degli operatori aventi notevole forza di mercato nella telefonia fissa, in www.agcom.it). In generale le esperienze maturate in ambito di telecomunicazioni ed energia elettrica, suggeriscono il ricorso a separazioni di tipo proprietario, le quali presentano un carattere di minore ambiguità, rispetto ad alternative forme di separazione contabile, gestionale e societaria. 138 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 70 ss., allegato, n. 29 ss. Rispetto all’obbligo di fornire accesso ad infrastrutture essenziali, occorre tener presente anche la teoria delle essential facilities, per la cui ricostruzione in senso giurisprudenziale e dottrinale, cfr. da ultimo A. Valeriani, L’essential facilities doctrine: sviluppi normativi ed orientamenti giurisprudenziali, in Resp. comunic. imp., 2001, p. 187; F. Bassan, Concorrenza e regolazione nel diritto comunitario delle comunicazioni elettroniche, Torino, Giappichelli, 2002, p. 255 ss.; Caputi, op. cit., p. 92 ss. G. Corso, I beni pubblici come strumento essenziale dei servizi di pubblica utilità, in Servizi pubblici e appalti, n. 2003, p. 505 ss. Cfr. amplius, K. Marcantonio, in questo volume. 42 Il finanziamento dei SIEG costituisce forse il punto che maggiori incertezze genera in seno alle amministrazioni nazionali e alla società civile139. La liberalizzazione e privatizzazione di attività di servizio pubblico, in precedenza svolte da monopoli pubblici, non sempre appare infatti compatibile con il mantenimento di alcune prestazioni non profittevoli. Il profilo peraltro sembra prestarsi più di altri ad una sistemazione organica tanto in ragione della varietà di soluzioni settoriali ad oggi riscontrabili, quanto, in prospettiva, considerando che il progetto di Costituzione europea, nel riformulare l’attuale art. 16 TCE, indica espressamente proprio le condizioni «economiche e finanziarie» tra i principi e condizioni che l’Ue e gli Stati membri devono definire rispetto ai SIEG, (art. III-6)140. A giudizio della Commissione, le esperienze settoriali mostrano ormai molteplici sistemi di finanziamento tesi a consentire l’equilibrio finanziario di soggetti erogatori di SIEG gravati da onerosi obblighi di servizio pubblico141. Vi sono innanzitutto casi di compensazioni dirette, tramite corresponsione di risorse della fiscalità generale ovvero altri benefici finanziari che comunque hanno l’effetto di ridurre le entrate nel bilancio dello Stato membro. Al riguardo, il sistema di 139 Cfr. Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit. n. 4.8. Sul finanziamento dei servizi pubblici, v. amplius G. Colombini – F. Nugnes, in questo volume. 140 Un nodo da sciogliere, al riguardo, è quello del rapporto tra compensazioni per gli oneri di servizio pubblico e applicazione delle norme sugli aiuti di Stato. Rispetto a tale assunto la Commissione, anche in risposta al silenzio del TCE e alla non sempre univoca giurisprudenza della Corte di giustizia, da tempo ha fornito alcune indicazioni di compatibilità certe, non escludendo l’eventuale elaborazione di misure ad hoc (cfr. progetto di comunicazione della Commissione, Disciplina comunitaria degli aiuti di stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico; il progetto di decisione della Commissione, riguardante l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 86 del trattato CE agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale; consultabili in http://europa.eu.int/comm; cfr. anche Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken, cit., n. 25; e Relazione al consiglio europeo di Siviglia, cit. Cfr. in ultimo Berlingerio, op. cit., p. 394 ss.; F. Ghelarducci – M. Capantini, op. cit.. 141 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 85 ss. 43 compensazione più trasparente sembra quello fornito dai contratti di servizio142. Si danno, poi, situazioni di contribuzione degli operatori di mercato, in cui i costi netti di fornitura non profittevole di un servizio sono coperti mediante prelievi applicati alle imprese (esempi in tal senso forniti dai fondi di compensazione del servizio universale in ambito di telecomunicazioni e servizi postali)143. Vi sono poi ancora casi di assegnazione, a titolo compensativo, di diritti speciali ed esclusivi alle imprese gravate da obblighi di servizio pubblico, che complicano l’applicazione delle regole comunitarie di concorrenza (specie del divieto di abuso di posizione dominante) e derogano alla libertà (costituzionalmente garantita) di iniziativa economica privata144. Ulteriori modalità di finanziamento, ricordate dalla Commissione nel Libro verde, sono l’imposizione autoritativa del calcolo di tariffe medie da applicare uniformemente per la fornitura di alcuni SIEG in determinate aree geografiche (come può accadere in ambito di servizio universale postale e di comunicazioni elettroniche, ovvero nel caso 142 Con tale strumento, in sostituzione della prescrizione unilaterale di obblighi, l’Amministrazione “compra” sul mercato prestazioni non profittevoli per l’impresa esercente, ma reputate necessarie per la collettività. Cfr. Regolamento CE del 20 giugno 1991, n. 1893/1991, che modifica il regolamento CEE n. 1191/1969 relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, in GUCE 26 giugno 1991, L 169. Al riguardo, v. amplius A. Massera – C. Taccola (sull’uso del contratto nei servizi pubblici), in questo volume. 143 Cfr. M. Capantini, Il servizio universale e le sue modalità di finanziamento. La soluzione dei fondi di compensazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2003, p. 99 ss.. In ambito di comunicazioni elettroniche (ove la disciplina dei fondi di compensazione è più consolidata) in particolare, si evince che l’interazione tra autorità di regolazione e imprese contribuenti (attraverso le quali, in ultima analisi, transitano risorse raccolte presso l’utenza) richiede il rispetto di numerosi e complessi vincoli sostanziali e procedurali di proporzionalità, trasparenza, non discriminazione, che rendono l’applicazione di tale sistema compensativo assai problematica e bisognosa di un elevato grado di expertise (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, 8 luglio 2003, n. 7257; Cons. d’État, 18 giugno 2003, n. 250608, Société Tiscali Télécom, cit.; ma anche a livello comunitario, le sentenze 17 maggio 2001, C-340/99, TNT Traco S.p.A., in Racc. 2001, I-4109; 6 dicembre 2001, C-146/00, Commissione c. Repubblica francese, in Racc. 2001, I-9767). 144 In passato, simile modalità di finanziamento indiretto trovava preponderante applicazione, permettendo alle imprese di finanziare le attività meno profittevoli, prestate in ossequio alla propria missione di servizio pubblico, con gli extraprofitti ricavabili dalla gestione in monopolio di quelle profittevoli e (secondo un sistema interno di sussidi incrociati). Tale metodologia, del resto, è ammessa espressamente dal TCE (art. 86, c. 1) e dall’interpretazione successiva di esso fornita dalla Corte di Giustizia (cfr. la sentenza Corbeau, cit.). Proprio grazie all’applicazione pervicace degli artt. 86 e 82 del TCE e alle misure di liberalizzazione direttamente imposte dalla Comunità, tuttavia, essa attraversa da tempo una fase palesemente recessiva, in cui paiono affermarsi altre forme di sostegno, maggiormente compatibili con il diritto comunitario (anche se, ad esempio in ambito postale, esso è ancora ammesso dalla stessa direttiva 97/67). Cfr. Carta, op. cit., p. 781, ss. 44 della distribuzione di energia elettrica)145; e il finanziamento basato su principi di solidarietà e associazione obbligatoria, circoscritto tuttavia al solo ambito dei regimi di sicurezza sociale (al momento ritenuti servizi di interesse generale non economici). Un spunto evolutivo di riflessione in merito giunge poi dalla stessa Commissione, la quale, nel Libro verde, avanza per la prima volta l’ipotesi per cui non sarebbe sufficiente giudicare l’opportunità e la legittimità dei meccanismi di finanziamento solo in termini di compatibilità con le regole di concorrenza. In quanto lo stesso ordinamento comunitario qualifica i SIEG come strumenti di coesione sociale e territoriale, tale giudizio potrebbe doversi basare anche su criteri di efficienza, responsabilità ed effetto redistributivo, oltre che, aggiungiamo, sui riflessi in termini di investimenti di lungo periodo in infrastrutture e nella sicurezza delle forniture, aspetto, quest’ultimo, connesso alla disciplina di reti e servizi e fin’ora largamente ignorato146. II.3.e) Soggetti e principi dell’amministrazione di regolazione Atteso che «la normativa primaria e quella derivata della Comunità e degli Stati membri contengono le norme fondamentali applicabili ai mercati dei servizi di interesse generale […], per garantire il raggiungimento degli obiettivi di regolamentazione non è sufficiente ricorrere esclusivamente all’applicazione e al consueto meccanismo di attuazione della normativa»147: buona parte delle regole settoriali comunitarie in materia 145 La misura, dettata da ragioni di coesione territoriale e sociale (e per questo compatibile con il diritto comunitario a condizione che rispetti anche l’art. 86, c. 2 TCE) può costituire un sistema di compensazione per le prestazioni non profittevoli del gestore del servizio, gravante in ultima analisi su una parte dell’utenza. La tariffa, infatti, si basa sulla media dei costi di fornitura dei servizi, i quali possono essere significativamente più bassi in un’area densamente popolata rispetto, ad esempio, a zone rurali remote. 146 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 91; Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.6.1.; Rangone, ult. op. cit.; relativamente all’incompatibilità tra mercato totalmente concorrenziale, privo di interventi finanziari pubblici, e investimenti a lungo termine per l’approntamento e la manutenzione di infrastrutture, cfr. Cammelli, op. cit., p. 194. 147 Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 38 ss. 45 di SIEG hanno infatti imposto o suggerito l’istituzione, a livello nazionale, di specifiche “autorità di regolazione”. Queste si affiancano (e a tratti si sovrappongono) all’operato delle autorità governative ed antitrust nazionali e comunitarie, con attività consultive, normative e para-giurisdizionali148 e si differenziano, tra l’altro, per denominazione, uffici e funzioni attribuite, struttura e composizione, legittimazione, grado di integrazione sopranazionale. Ciò non di meno, un tratto comune e caratterizzante è ravvisabile nel fatto che presiedono alla cura di interessi complessi e vitali (quali ad esempio, le condizioni di accesso alle reti, le tariffe finali dei servizi, la risoluzione di controversie tra soggetti del mercato, l’imposizione di specifiche tecniche, il controllo della qualità delle prestazioni ecc.). Missioni di assoluta preminenza in un contesto, come spesso è ancora quello attuale, in cui alla liberalizzazione formale di servizi a rete deve fare seguito quella sostanziale, che consenta il dispiegarsi di benefiche dinamiche concorrenziali. Ed anche ove tali dinamiche fossero più prossime alla piena espressione, è convinzione diffusa che una regolazione dovrebbe ancora considerarsi consustanziale al mercato, laddove necessaria a correggerne le inefficienze o le mancanze149. In ambito nazionale, a quasi dieci anni dalla sua adozione, la legge 481/95 sulla regolazione dei servizi di pubblica utilità ha contribuito in misura determinante al delinearsi di un nuovo modello di amministrazione settoriale, quasi sempre deferita correttamente ad autorità (più o meno) indipendenti. Col tempo, peraltro, la discrezionalità degli Stati comunitari nell’allestimento e funzionamento delle amministrazione di regolazione si è andata assottigliando, in alcuni casi fino alla avocazione a livello comunitario della titolarità a determinare buona parte di caratteri, 148 In merito alla maggiore idoneità delle autorità di regolazione a definire nel dettaglio il contenuto tecnico-economico dei servizi di interesse generale individuati dalle autorità politiche, cfr. D. Sorace, intervento al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali”, cit.; v. anche L. Bedini, in questo volume. 149 Sulla varietà di funzioni della regolazione, cfr. Cassese, op. cit., p. 90 ss.; in merito all’eventuale distinzione tra fallimento ed assenza del mercato, cfr. Trimarchi Banfi, op. cit., p. 956 ss. 46 funzioni e procedure delle autorità stesse (in special modo in materia di comunicazioni elettroniche)150. Tale fenomeno attrattivo, di cui si dovrebbe ineluttabilmente tener conto nel caso dell’adozione di uno strumento quadro, incide peraltro anche sui (faticosi) tentativi del nostro legislatore di ridefinire la disciplina delle autorità amministrative indipendenti, in quanto, tra l’altro, cospira proprio a favore di quel principio di indipendenza dei regolatori, in Italia sovente rimesso in discussione151. Più in generale, poi, esso sembra delineare una crescente interazione: a) tra autorità nazionali omologhe degli Stati membri, ovvero b) tra queste e la Comunità. In tal senso le comunicazioni elettroniche e l’ambito trasversale della tutela della concorrenza fungono indubbiamente da settori guida, cui tuttavia si affiancano numerose iniziative in altri campi (tra le quali quella forse più interessante è l’istituzione di agenzie nazionali e comunitarie), formalmente diverse ma tutte espressione dell’integrazione europea dei mercati e della loro amministrazione152. Quanto ai principi generali della regolazione (in chiave sia propedeuticamente normativa, che di amministrazione), particolare rilievo assumono quelli di proporzionalità e di trasparenza: il primo peraltro da tempo assurto a principio generale di diritto comunitario, si sostanzia in primis nella conciliazione tra la cura degli interessi 150 Cfr. S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Comunicazioni, verso il diritto della convergenza?, a cura di G. Morbidelli - F. Donati, Torino, Giappichelli, 2003. Il principio dell’indipendenza delle autorità di regolazione, inizialmente suggerito in modo più o meno espresso nella normativa comunitaria di liberalizzazione, è divenuto col tempo un requisito sempre più desiderabile. In alcuni casi, poi, esso si pone come obbligo per alcuni ambiti o funzioni di regolazione (rispettivamente nel caso delle comunicazioni elettroniche e dei trasporti ferroviari) analogamente a quanto disposto in materia di autorità antitrust. Questo, soprattutto al fine di sottrarre l’attività di regolazione ad istanze di carattere politico e a causa dell’ancora diffusa proprietà pubblica di numerose imprese di SIEG, la quale non garantisce l’imprescindibile terzietà del regolatore rispetto ai regolati (cfr. D. Sorace, La desiderabile indipendenza della regolazione dei servizi di interesse economico generale, in MCR, 2003, p. 337; A. Massera – C. Taccola, in materia di servizi postali, in questo volume). 151 Cfr. A. Pera, Appunti sulla riforma delle Autorità: regolazione e concorrenza, in MCR, 2002, p. 329 ss. Cfr. Sorace, ult. op. cit., p. 349. 152 Relativamente allo sviluppo di strutture di regolazione europee, in senso nazionale e specialmente comunitario, cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 40 e, soprattutto, 53 ss.; A. Argentati, L’organizzazione comunitaria delle autorità garanti della concorrenza, in Giorn. dir. amm., 2003, p. 1199 ss. 47 generali sottesi ai servizi e le regole (e le libertà) del mercato unico, oltre che nell’esercizio dei relativi poteri di amministrazione153; il secondo, invece, largamente diffuso in materia di SIEG, si configura come principio strumentale al rispetto di altri principi generali, quali quelli di legalità, uguaglianza e non discriminazione154. In merito al principio di sussidiarietà155, invece, esso si connota per una naturale elasticità verticale (art. 5 TCE) sia nel rapporto tra Ue e Stati che, ai sensi del nuovo testo dell’art. 118 Cost., nel riparto di competenze amministrative infrastatuali, oltre che nel richiamo implicito che ne fanno l’attuale l’art. 16 TCE e il futuro art. III-6 della Costituzione europea proprio in materia di SIEG. Tanto nella sua versione verticale, quanto in quella orizzontale (in riferimento al rapporto tra pubblico e privato), la sua applicazione ai SIEG dipende dallo sviluppo tecnologico, economico e sociale, che da un lato ingenera incessantemente nella società nuove esigenze ed attività, suscettibili di 153 Cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., n. 23. Quali esempi di applicazione più tipicamente amministrativa del principio, si ricordi la quota di contribuzione di un’impresa al fondo di compensazione del servizio universale deve essere proporzionale all'attività che essa svolge nel mercato (cfr. ibid., n. 15); o ancora, le condizioni per il rilascio di autorizzazioni generali in materia di comunicazione elettronica, che devono essere obiettivamente giustificate e proporzionali (cfr. d.lgs. n. 259/2003, art. 28). In ambito ferroviario, invece, si ricorda come, qualora, il gestore della rete pretenda garanzie finanziarie dalle imprese richiedenti capacità infrastrutturale per prestare servizi di trasporto, tali condizioni devono essere tra l’altro, di livello congruo e proporzionale all’attività prevista dal richiedente (cfr. d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188, art. 23, c. 9). 154 In chiave normativa, si pensi all’obbligo, per gli Stati membri, di definire “in piena trasparenza” le missioni dei servizi d'interesse generale (cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., n. 9); all’obbligo di recepire la normativa comunitaria sulle comunicazioni elettroniche, approntando meccanismi trasparenti di ripartizione dei costi netti derivanti dagli obblighi di servizio universale (cfr. direttiva CE n. 22/2002, considerando 23). In chiave amministrativa, invece, si ricordino: la necessità di applicare i suddetti meccanismi in modo trasparente; l’elaborazione la determinazione di tariffe regolamentate, secondo criteri trasparenti predeterminati, dei servizi all’utenza e di quelli di interconnessione, rispettivamente con i c.d. price cap e network cap (cfr. legge 14 novembre 1995, n. 481, art. 2, c. 18; per il network cap in particolare, cfr. in ultimo Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, delibera 3/03/Cir, Criteri per la predisposizione dell’offerta di riferimento 2003 mediante l’introduzione di un sistema programmato di adeguamento delle tariffe massime applicabili, in www.agcom.it); la trasparenza delle condizioni per il rilascio di autorizzazioni generali alla fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, per i diritti d'uso delle frequenze radio dei numeri (cfr. d.lgs. n. 259/2003, art. 25 ss.); o ancora, gli obblighi di separazione contabile o societaria imposti agli operatori nelle singole discipline settoriali. Inoltre, il principio in esame trova espressione anche negli obblighi di predisposizione trasparente e comprensibile di tariffe, condizioni e clausole contrattuali applicate all’utenza (cfr. Rangone, ult. op. cit.). 155 Al riguardo, v. amplius G. Pizzanelli e G. Bonadio, in questo volume. 48 implicare (in tutto o in parte) un interesse generale; dall’altro, invece, governa la distinzione fra attività economiche e non economiche in modo dinamico ed evolutivo156. L’approccio comunitario ai servizi pubblici ha privilegiato nel tempo la via degli interventi settoriali completi (nei casi di energia, comunicazioni elettroniche, poste e, in parte, trasporti). Ove manchino tali normative, si sono sempre riconosciuti come primari, proprio in ragione di detto principio di sussidiarietà, il ruolo e la libertà delle autorità pubbliche statali di pertinente livello (locale, regionale o nazionale), nell’indicare i SIEG, nell’organizzarne la fornitura e nel definirne gli obblighi157. Tale assetto, osserva la Commissione, se da un lato consente agli Stati membri di elaborare politiche che non trascurino circostanze specifiche di livello nazionale, regionale o locale, dall’altro, in assenza di una normativa specifica condivisa, può però creare incertezze giuridiche e distorsioni del mercato158. Ciò posto, un testo di valore generale in materia di servizi pubblici (sia esso di dimensione europea ovvero nazionale) potrebbe presumibilmente fornire alle amministrazioni pertinenti indicazioni per l’individuazione dei SIEG, oltre che dei soggetti deputati a giudicare la legittimità di tale tipo di decisione159. In tal senso cospirano, del resto, i riferimenti visti in ambito nazionale a valori e parametri di rango 156 Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 45. Anche per questo motivo la Commissione non ritiene né fattibile né auspicabile fissare a priori un elenco definitivo di tutti i servizi di interesse generale “non economici” (cfr. Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken, cit., n. 30). 157 Cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., premessa; Libro verde, cit., n. 77. 158 La Corte di Giustizia, in particolare, suggerisce come anche misure pubbliche di organizzazione o sostegno a servizi di dimensione locale, possono incidere sul commercio tra Stati membri in modo distorsivo (cfr. in materia di trasporto locale, CGCE, 24 luglio 2003, n. C-280/00, Altmark Trans n. 77: «non è affatto escluso che una sovvenzione pubblica concessa a un'impresa attiva solo nella gestione di servizi di trasporto locale o regionale e non di servizi di trasporto al di fuori del suo Stato d'origine possa, tuttavia, incidere sugli scambi tra Stati membri»; cfr. anche Tribunale di primo grado, 28 gennaio 1999, n. T-14/96, B.A.I., n. 77, in Racc. 199, II-139, e la giurisprudenza ivi richiamata). 159 Ciò si innesta nella problematica più generale della giustiziabilità del principio di sussidiarietà. In attesa di una qualche utile indicazione giurisprudenziale, per ciò che qui interessa, il problema viene posto in sede comunitaria nel Libro verde e, più in generale, nel progetto di Costituzione europea (art. 9). In campo nazionale, esso rileva costituzionalmente soprattutto in merito ai rapporti verticali tra Stato ed amministrazioni territoriali (art. 118, c. 1 Cost.), mentre ancora incerta appare la sua configurazione in riferimento alla sussidiarietà orizzontale (art. 118, c. 4). 49 costituzionale, per il rispetto dei quali determinati servizi possono essere gravati da particolari missioni di interesse pubblico. II.4. Considerazioni conclusive Quale che siano natura e sviluppi dell’ipotizzato statuto dei servizi pubblici160, difficilmente contestabile appare l’assunto per cui l’amministrazione degli interessi generali sottesi alle attività di servizio pubblico si sostanzia sempre di più in una contaminazione ed integrazione reciproca fra tradizioni ed ordinamenti nazionali di servizio pubblico da un lato, e principi e modelli di origine comunitaria dall’altro. L’adozione di uno strumento quadro (o statuto) costituirebbe un’evoluzione di tale sinergia, dove gli opposti sembrano destinatati non tanto a prevaricarsi, quanto ad annullarsi in un’architettura normativa e amministrativa sempre più integrata ed omogenea. In essa presumibilmente, sopravvivrebbero, coesistendo, nozioni e strumenti dell’amministrazione dei SIEG (regolazione, gestione pubblica, servizio pubblico, servizio universale, regole di concorrenza ecc.), propri tanto dell’ambito nazionale, quanto di quello comunitario, «secondo equilibri di volta in volta variabili, esattamente come variabili lo sono stati in passato nella storia della tradizione continentale»161. Detta architettura prescinderebbe dai confini nazionali, ed avrebbe come obiettivo primario non più la sola realizzazione di un mercato unico ma anche l’amministrazione (e la soddisfazione) degli interessi generali, calibrata di volta in volta secondo gli 160 In merito all’incerta configurazione giuridica di un testo quadro (anche qualora esso costituisca oggetto di un regolamento ai sensi del futuro art. III-6 della Costituzione europea), cfr. D. Sorace, intervento al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali”, cit., il quale, scartando l’irrealistica prospettiva di una collocazione di livello costituzionale, giudica improponibile anche l’ipotesi di una normativa derivata vincolante di tipo residuale, stante la diversità dei servizi da disciplinare. Sull’incerta opportunità di adozione di simile atto, cfr. anche Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.3 ss. 161 Cfr. Sordi, op. cit., p. 602. Cfr. anche Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.2 ss. 50 strumenti più idonei (siano essi di tipo privatistico e liberamente concorrenziale, ovvero riconducibili alla regolazione e/o alla gestione pubblica diretta)162. In tal senso lo Statuto di cui sopra avrebbe necessariamente il vincolo di distinguersi dai precedenti tentativi (di impronta nazionale) di codificazione di una disciplina per principi dei servizi pubblici, “interfacciando” gli ordinamenti nazionali con quello comunitario (entrambi chiamati poi a confrontarsi con il progredire dell’ordinamento commerciale mondiale)163 in una prospettiva di amministrazione integrata dei SIEG164. 162 In tal senso riveste grande importanza simbolica la norma di cui all’art. 3, c. 9 della direttiva 2003/54, cit., la quale prevede che «gli Stati membri inform[i]no la Commissione di tutte le misure adottate per adempiere agli obblighi relativi al servizio universale e al servizio pubblico, compresa la tutela dei consumatori e dell'ambiente, ed in merito ai possibili effetti sulla concorrenza nazionale ed internazionale, a prescindere dal fatto che tali misure richiedano o meno una deroga alla presente direttiva. Successivamente essi inform[i]no ogni due anni la Commissione delle modifiche apportate a dette misure, a prescindere dal fatto che tali misure richiedano o meno una deroga alla presente direttiva» (laddove il precedente art. 3, c. 2 della direttiva 96/92 sembrava imporre unicamente la comunicazione di obblighi di servizio pubblico che, imposti sulla base dell’art. 86 TCE, implicassero deroghe alle regole di concorrenza). 163 Al riguardo, cfr. Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.10. 164 Cfr. sull’argomento F. Munari, La disciplina dei c.d. servizi essenziali tra diritto comunitario, prerogative degli Stati membri e interesse generale, in Dir. Ue, 2002, p. 58 ss. 51