I servizi pubblici tra ordinamento nazionale, comunitario ed

I servizi pubblici tra ordinamento nazionale,
comunitario ed internazionale: evoluzione e prospettive
Massimo Capantini
PREMESSA. I.1. ECHI DELLA TRADIZIONE FRANCESE DEL SERVICE PUBLIC. I.2 IL SERVIZIO PUBBLICO DALLA
PROSPETTIVA ITALIANA.
I.3. I
SERVIZI PUBBLICI NELLE INDICAZIONI DEL LEGISLATORE STATALE.
SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO.
I.4.A) SERVIZIO PUBBLICO ED EQUILIBRIO TRA REGOLE DEL
MERCATO UNICO E INTERESSE GENERALE. IL RUOLO DELLA
I.4.B) OCCASIONI
CONSIGLIO
COMMISSIONE E DELLA CORTE DI GIUSTIZIA.
DI INDIVIDUAZIONE COMUNITARIA DI “SERVIZI PUBBLICI”.
EUROPEO DI
LAEKEN
AL
LIBRO
I.4. I
VERDE DEL
I.4.C) ULTIMI
2003. I.4.D) SVILUPPI
SVILUPPI: DAL
DEFINITORI IN AMBITO
REGIONALE. I.4.E) IL PROFILO COMMERCIALE DEI SERVIZI PUBBLICI NEL GATS. II.1. L’IPOTESI DI UN TESTO
DI RIFERIMENTO IN MATERIA DI SERVIZI PUBBLICI.
SUI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE.
RIFERIMENTO.
II.3.A) GLI
II.2. PROSPETTIVE DI CODIFICAZIONE NEL LIBRO VERDE
II.3. RICOGNIZIONE
DEI POSSIBILI CONTENUTI DI UN TESTO DI
OBBLIGHI DI SERVIZIO PUBBLICO.
II.3.B) LA
QUALITÀ DEL SERVIZIO E LA
PROTEZIONE DEGLI UTENTI. II.3.C) LA GESTIONE DI SERVIZI E INFRASTRUTTURE. II.3.D) IL FINANZIAMENTO
DEI SERVIZI PUBBLICI.
II.3.E) SOGGETTI
E PRINCIPI DELL’AMMINISTRAZIONE DI REGOLAZIONE.
II.4.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Premessa
La disciplina amministrativa dei servizi pubblici presenta da sempre un punto
controverso nella propedeutica definizione di “servizio pubblico”. I numerosi tentativi,
susseguitisi (con alterne fortune) per definire la nozione e identificarne e disciplinarne le
1
fattispecie, costituiscono un esercizio storicamente più che secolare, condiviso in senso
orizzontale da molteplici ordinamenti nazionali.
Da tempo, poi, il dibattito dottrinale, normativo e giurisprudenziale si articola
anche in senso verticale, su una pluralità di livelli (nazionale, sub-nazionale,
comunitario e mondiale), che concorrono da diverse prospettive a delineare la nozione
di servizio pubblico, assumendo ciascuno come propria la competenza a definire alcuni
profili della materia. Nella consapevolezza di tale situazione, la prima parte del presente
lavoro tenterà di coglierne alcuni degli ultimi sviluppi, mentre la seconda sarà dedicata
ad introdurre l’ipotesi (ventilata di recente anche in ambito comunitario, nonché
ispiratrice della ricerca cui il presente volume si riferisce) di una sistemazione delle
regole in materia di servizi pubblici attraverso un strumento quadro (statuto) di valore
generale.
I.1. Echi della tradizione francese del service public
Nella cultura giuridica europea di tradizione amministrativa, l’ambito francese è
quello ove storicamente si è prodotto il più duraturo e continuato sforzo di definizione e
valorizzazione del servizio pubblico, sforzo del quale vale la pena preliminarmente
rammentare in breve alcuni passaggi.
La nozione di service public si forma, come noto, già al termine del sec. XIX, con
la crisi della concezione liberale dello Stato fondato sull’esercizio della puissance
publique, e con l’affermarsi di valori solidaristici sottesi al crescente interventismo
pubblico in economia1. In ambito giurisprudenziale, ad essa si ricorre per individuare,
1
Cfr. ex multis, da ultimo G.F. Cartei, Il servizio universale, Milano, Giuffré, 2002, p. 1 ss.; E. Scotti, Il
pubblico servizio, Padova, Cedam, 2003, p. 13 ss.; G.E. Berlingerio, Studi sul pubblico servizio, Milano,
Giuffré, 2003, p. 54 ss.
2
tra le activites de gestion (in principio regolate dal diritto privato), quelle che, pur non
costituendo espressione di una potestà pubblica (activité d’autorité), venivano
ricondotte all’Amministrazione e al sindacato del g.a. in quanto prestate da apparati
pubblici per il soddisfacimento di nuovi bisogni della collettività (quali ad es.
l’istruzione, le ferrovie, le poste, l’assistenza)2.
Formatosi con l’estensione della giurisdizione amministrativa, come criterio di
riparto rispetto al diritto comune, il service public veniva studiato nei suoi caratteri
contingenti, al fine di ricostruirne nozione e principi. Questo mentre la sua connaturata
elasticità lo dilatava fino a farlo coincidere, potenzialmente con qualsiasi attività il cui
compimento, indispensabile all’esistenza e allo sviluppo della convivenza sociale,
doveva essere regolato, assicurato e controllato dai pubblici poteri, in quanto unici
soggetti capaci di garantire tale risultato (Duguit).
In tale concezione classica, il service public si candidava a legittimare l’azione e
l’esistenza stesse dell’Amministrazione, quale fondamento (e limite) del pubblico potere
e dell’applicazione del diritto amministrativo. Analogamente, il diritto pubblico veniva
a coincidere con le disposizioni di organizzazione dei servizi pubblici, intesi come
l’insieme delle attività essenziali all’interesse generale, cui il potere pubblico era
subordinato e finalizzato.
Tale tradizione, animata dal successivo contrapporsi tra le teorie soggettiva ed
oggettiva, associava all’attività di service public la compresenza: a) di un regime
giuridico amministrativo modellato da règles exorbitants du droit commun (profilo
formale) e b) di un soggetto pubblico in essa impegnato (profilo soggettivo), ovvero c)
di un bisogno fondamentale della collettività da soddisfare tramite l’attività (profilo
oggettivo)3: tre elementi la cui necessaria compresenza impediva alla concezione
2
Cfr. l’ancora illuminante F. Merusi, Servizio pubblico, in Noviss. Dig., vol. XVII, Torino, Utet, 1970, p.
215 ss.
3
Cfr. N. Rangone, I servizi pubblici, Bologna, il Mulino, 1999, p. 13; Berlingerio, op. cit., p. 64 ss.
3
classica di preservare a lungo la propria efficacia iniziale a fronte dell’evolversi del dato
reale.
Come noto infatti, fin dalla sua genesi, la nozione, pur connotata da un’evidenza
empirica e da un’importanza indiscusse, soffre di lampanti debolezze dogmatiche,
riconducibili principalmente: a) all’immanente indeterminatezza del suo oggetto, per cui
il riconoscimento concreto di un servizio pubblico sembra doversi effettuare sempre in
funzione della contingente situazione economica e dei bisogni dei cittadini in un
determinato momento storico (peraltro filtrati e tradotti da scelte essenzialmente
politiche); b) alla dinamica e progressiva dissociazione, a fronte del dato reale, della
nozione rispetto ai suoi elementi costitutivi4.
Il secondo punto, in particolare, si impone con l’esteso interventismo statale in
campo economico nel primo dopoguerra, per cui si ha, «sotto il profilo giuridico, la
rottura della duplice equazione tra organo ed attività, da un lato, e tra attività e
disciplina giuridica dall’altro»5: la natura pubblica dell’impresa non implica più la
presenza di un service public, e imprese private si trovano sovente a fornire servizi
pubblici, talora perfino senza l’investitura dell’autorità amministrativa, ed in regime ora
di diritto amministrativo, ora di diritto comune6.
Tale debolezza non trovava ristoro nella coeva giurisprudenza (peraltro, come
detto, ambito di elezione della nozione), da questo momento impegnata, rispetto alla
“misteriosa” materia dei service public, a ricercare una base di legittimazione per la
propria giurisdizione sugli atti relativi (specie quelli dei soggetti privati chargés d’une
mission de service public) piuttosto che a fornire elementi di identificazione generale7.
4
Cfr. G.F. Cartei, op. cit., p. 4 ss.
Ibid., 8.
6
Cfr. A. Clini, Servizi pubblici e diritto di sciopero in Francia: la ricerca di un contemperamento, in Dir.
pubbl. comp. eur., 2002, p. 1811 ss.
7
Cfr. ibid., p. 1812.
5
4
Ciò mentre in dottrina, tramontando la concezione classica, i tentativi tesi ad
individuare una nozione globalmente condivisa, accomunati in qualche modo dalla
valorizzazione del profilo oggettivo, conducono: ora alla genesi di nuovi concetti (come
quello di “servizio pubblico virtuale”8), ora all’affacciarsi dell’ipotesi che la nozione
altro non sia che un’“etichetta” ad uso discrezionale dei giudici (c.d. gouvernment des
juges), ora, in tempi più recenti, all’idea che il servizio pubblico si identifichi a partire
dal solo profilo oggettivo (ossia l’attività di qualunque associazione mirante al
soddisfacimento di un interesse generale)9. Soluzione, quest’ultima, non esaustiva agli
occhi della giurisprudenza del Conseil d’État, che giunge talora a prospettare come
tratto distintivo della propria giurisdizione (e dell’attività amministrativa) i concetti di
mission e affectation, assai affini a quello recessivo di service public, e per i quali si
ritiene imprescindibile il concorso di un (pur minimo) grado di puissance publique10.
Sul finire degli anni Ottanta, un’ulteriore contributo proviene dalla giurisprudenza
costituzionale: esulando dall’inquadramento tradizionale del service public nel prisma
dell’applicazione del diritto e della giurisdizione amministrativi, essa individua la
“sotto-nozione” di service public constitutionnel nelle attività ritenute necessarie non
già in forza di scelte politiche del legislatore (che possono elevare al rango di servizio
pubblico attività legittimamente prestate anche da privati), bensì in quanto direttamente
contemplate da principi o regole di valore costituzionale, e per ciò stesso erogabili
unicamente da soggetti pubblici11.
In un periodo di poco successivo, peraltro, sull’accidentato terreno del service
public, il Conseil d’État si confronta con gli orientamenti comunitari, reagendo su
posizioni tradizionali di difesa della nozione. Questa sembrerebbe recuperare uno
8
Cfr. G. Caia, La disciplina dei servizi pubblici, in L. Mazzaroli (et alii), Diritto Amministrativo,
Bologna, Monduzzi, 1998, p. 919.
9
Relativamente a tale risalente percorso dottrinale, cfr. Clini, op. cit., p. 1813 ss.
10
Cfr. B. Sordi, Servizi pubblici e concorrenza: su alcune fibrillazioni tra diritto comunitario e tradizione
continentale, in Quaderni fiorentini, XXXI, 2002, p. 589.
11
Cfr. Clini, op. cit., p. 1815.
5
statuto del tutto pubblicistico, per riproporsi come nozione fondante del diritto
amministrativo, identificativo della collettività, perno delle libere attività economiche e
strumento di superamento delle disparità12. Una reazione che, a seguito di successive
riflessioni dialettiche con l’ordinamento comunitario, si è poi assestata su posizioni che
ammettono un maggiore equilibrio tra servizio pubblico e mercato, ovvero tra regimi
pubblicistici tradizionali di privilegio e regole di mercato unico e concorrenza13.
I.2 Il servizio pubblico dalla prospettiva italiana
L’esperienza italiana di individuazione di una nozione di servizio pubblico
emerge, come quella transalpina, dalla crisi dello Stato liberale autoritario. Al di là del
suo ruolo ideologico, tuttavia, ad essa non viene inizialmente conferita alcuna valenza
discretiva di riparto giurisdizionale e di perimetrazione del diritto amministrativo14.
Della sua indeterminatezza si dà conto già nelle prime analisi di epoca precostituzionale. Emblematicamente, l’opera sistematica e della scuola di V. E. Orlando
non riconosce, nell’ambito del diritto pubblico, alcuna validità giuridica alla nozione,
limitandosi a collocarla tra le attività non giuridiche a carattere sociale, il cui profilo
qualificante sembra al più rinvenibile nella loro appartenenza alla “sfera”
dell’Amministrazione15.
12
Cfr. Conseil d’ État, Rapport pour 1994, Service public, services publics: déclin ou renouveau, in
EDCE, n. 46.
13
Cfr. Conseil d’ État, Rapport pour 1999, Réflexion sur l’intérêt général, EDCE, n. 50, 333 ss. Un
esempio della maggiore sensibilità rispetto ai principi comunitari, ancorché non direttamente concernenti
regole di concorrenza, viene anche dalla recente giurisprudenza proprio del Conseil d’État (ord. 8
novembre 2002, n. 250813 e sent. 18 giugno 2003, n. 250608, Société Tiscali Télécom, in Giorn. dir.
amm., 2003, 1089 ss. con commento di N. Rangone), in cui il rispetto del principio comunitario di
trasparenza prevale (con i caratteri dell’urgenza) sulle esigenze di continuità del servizio universale nella
telefonia (attraverso la certezza dei finanziamenti provenienti dal Fondo di compensazione alimentato
dagli operatori del settore).
14
Cfr. D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999, p. 403.
15
Cfr. da ultimo Cartei, op. cit., p. 14; Scotti, op. cit., p. 18 ss.; Berlingerio, op. cit., p. 49 ss.
6
Letture successive, in una prospettiva di maggiore certezza giudica, si centrano sul
profilo oggettivo, e su quello (successivamente mai più messo in discussione) della
necessaria destinazione alla collettività di prestazioni dai requisiti amministrativi, da
imputare in regime di monopolio allo Stato (teoria c.d. nominalistica)16: prestazioni che
in alcuni casi vengono ricondotte a moduli tipici dell’attività amministrativa (quale,
nella teoria delle prestazioni amministrative, l’ammissione, seppur con opportune
deroghe in ordine al tasso di discrezionalità)17. In questa fase, tuttavia, nessuna
elaborazione soggettivistica addiviene ad una soddisfacente lettura unitaria del
fenomeno, né tanto meno ad una qualificazione utile in chiave normativa di ciò che
vada considerato servizio pubblico, stante la crescente inadeguatezza, rispetto al dato
reale, dell’ancoraggio al profilo soggettivo18.
In epoca repubblicana, il dibattito sui servizi pubblici riprende quota in soccorso
di una nozione in pieno stato recessivo, alimentato peraltro da un contesto ostile a
tentativi di lettura unitaria. L’organizzazione pubblica assume una complessità
incomparabilmente maggiore rispetto all’epoca in cui la nozione si era affacciata come
entità comprimaria delle preminenti funzioni pubbliche. Il dilagante interventismo
pubblico in economia e il sovraccarico di attività assunto dello Stato, infatti, secondo le
discipline e le vesti formali più varie, porta alla dissociazione irreversibile tra servizio
pubblico e regime amministrativo/istituzione amministrativa, e al superamento delle
teorie formalistiche e soggettive19.
16
Cfr. rispetto al consolidamento del dato oggettivo della destinazione al pubblico delle prestazioni, oltre
che della sottoposizione del servizio pubblico al principio di legalità, Scotti, op. cit., p. 26 ss.
17
Sul peso avuto, nel dibattito in materia di servizi pubblici, dalle concezioni nominalistiche (DeValles) e
dalla teoria delle prestazioni amministrative (Alessi), cfr. Merusi, op. cit., p. 217; e G. Napolitano, Servizi
pubblici e rapporti d’utenza, Padova, Cedam, 2001, p. 135 ss.; Cartei, op. cit., p. 19 ss.; R. Villata,
Pubblici servizi, Milano, Giuffré, 2003, 3; Scotti, op. cit., p. 26 ss.
18
Cfr. Rangone, I servizi pubblici, cit., p. 16.
19
Cfr. Sordi, op. cit., p. 588.
7
Conscia di tali dinamiche, autorevole dottrina rilevava l’obsolescenza di
concezioni soggettive, senza tuttavia avanzare soluzioni evolutive che vadano oltre la
riesumazione della teoria degli ordinamenti sezionali20.
Ma è attorno alla costituzionalizzazione della materia, con la menzione di servizi
pubblici essenziali nell’art. 43 Cost., che si impongono riflessioni nuove e di altissimo
profilo, che travalicano l’assunto delle nazionalizzazioni e danno un significato organico
all’intera costituzione economica21. Nell’opera di Pototschnig, in particolare,
incontriamo forse il più lucido e rigoroso tentativo di riconduzione ad unità della
categoria dei servizi pubblici22. Il profilo qualificante diviene quello oggettivo degli
interessi in gioco e della natura dell’attività economica svolta, a discapito delle obsolete
rigidità nominaliste. Ciò non di meno, l’imprescindibile presenza del pubblico si
reincarna nei poteri di programmazione e controllo che la legge pone per il
perseguimento dei fini sociali di cui all’art. 41, c. 3 Cost. Questo, se da un lato sembra
garantire l’unitarietà della nozione, dall’altro la rende suscettibile di un’interpretazione
oltremodo dilatata, potenzialmente inclusiva di qualsiasi forma di intervento pubblico in
economia (come d’altronde l’“onnipresenza” statale dell’epoca sembra suggerire)23.
Pur con indiscussi meriti di esattezza teorica, tale lettura presta quindi il fianco a
critiche di genericità: il contributo all’“individuazione” dei servizi pubblici addotto da
Pototschnig si esaurisce, inoltre, all’interno del circuito costituzionale, peraltro non
senza dubbi in merito al legame stabilito tra art. 41, c. 3 e art. 43 Cost.24. Il legislatore,
conseguentemente, rimane privo di indicazioni utili all’individuazione concreta delle
20
Rispetto al contributo di Nigro, cfr. Cartei, op. cit., p. 37 ss.; Scotti, op. cit., p. 31-32.
Al riguardo, v. amplius il contributo di S. Panizza – E. Di.Capua, in questo volume.
22
Per una ricostruzione della teoria di U. Pototschnig (in particolare in I servizi pubblici, Padova, Cedam,
1964), cfr. D. Sorace, I servizi pubblici, in Amministrare, 2001, p. 385 ss.
23
Per questa ed altre critiche all’opera di Pototschnig, cfr. Cartei, op. cit., p. 40 ss.; Villata, op. cit., p. 6
ss.
24
Cfr. Merusi, op. cit., p. 219
21
8
attività con status di servizio pubblico, in una situazione di perdurante incertezza
determinata anche dall’ambiguo valore degli strumenti di programmazione e controllo.
I successivi esperimenti definitori prendono le distanze da posizioni univoche
soggettiviste/oggettiviste. Questi ora si limitano ad accertare la natura di clausola
generale della nozione, la quale sarebbe così riferibile a fenomeni che i pubblici poteri
individuano di volta in volta a partire dalle circostanze sociali contingenti (Merusi)25.
Ora cercano invece di limitare, almeno nominalmente, il campo alle sole attività
(prestate indifferentemente dal pubblico o da privati) accessorie e strumentali rispetto
alle più tipiche funzioni pubbliche (Guarino), ovvero esecutive di queste ultime e
riconducibili all’Amministrazione in forza di una disciplina che assegna a quest’ultima
compiti di controllo (Zuelli)26.
Altre concezioni meno funzionaliste interpretano come servizi pubblici solamente
le attività, da qualsiasi soggetto prestate, sottoposte a poteri di diritto pubblico per
essere orientate a fini sociali (collocandosi a metà fra tradizione e impostazione
costituzionale)27 ovvero, con riferimento soprattutto ai servizi pubblici locali, come
attività che divengono tali, ed istituzionalmente proprie di un ente pubblico, nel
momento in cui questo opta per la loro assunzione (Marino)28.
Tra le ultime ricostruzioni, si ricordi in primo luogo quella che prende ancora a
riferimento il combinato degli artt. 41 e 43 Cost. per giungere a definire servizio
pubblico l’attività economica il cui risultato è quello di apprestare le condizioni per
rendere effettivi libertà e diritti. Giuridicamente tale attività si svolgerebbe secondo tre
possibili modalità: come libera ovvero, se in tal modo si rivelasse insoddisfacente e
quindi contrastante con l’utilità sociale, regolata da misure pubbliche di coordinamento
25
Cfr. ibid., p. 220.
Riguardo ai contributi di Guarino e Zuelli, cfr. Cartei, op. cit., p. 42 ss.
27
Cfr. E. Ferrari, I servizi sociali, Milano, Giuffré, 1986, p. 169 ss.
28
Cfr. I.M. Marino, Servizi pubblici e sistema autonomistico, Milano, Giuffré, 1987, p. 103 ss.; Scotti, op.
cit., p. 37.
26
9
e/o di indirizzo sulla base dell’art. 41 Cost.; oppure, se le prime modalità risultassero
fallimentari, in regime di riserva pubblica ex art. 43 (Perfetti)29.
In secondo luogo, si rammenti poi la dottrina che, contestando tra l’altro la
robustezza e l’utilità della ricostruzione precedente, ripropone la validità di una
concezione soggettiva (aggiornata) del servizio pubblico. Questo troverebbe il suo
nucleo essenziale nella decisione della p.A. di assumere un’attività come servizio
pubblico, conseguendone la titolarità e predisponendone mirati strumenti organizzatori,
di vigilanza e controllo: con la conseguenza che la gestione può anche essere affidata ad
imprese private, «senza con ciò perdere l’intrinseco legame del servizio con la struttura
organizzativa della collettività» (Villata)30.
In ultimo, merita tener presente anche la posizione che, discostandosi dalle due
appena ricordate, ricostruisce storicamente il dibattito in materia di servizi pubblici
assestandosi su posizioni radicali di stretta delimitazione dell’istituto. Questo, in
particolare, ricorrerebbe ormai solo in presenza di attività articolate da un lato in
numerosi poteri pubblicistici, diversificati per finalità, principi e titolarità; dall’altro in
prestazioni (economiche) di diritto comune, tese al soddisfacimento concreto di bisogni
generali. In tale architettura, le seconde trarrebbero così il loro carattere di sostanziale
pubblicità dall’essere “incastonate” nei primi, riproponendo così caratteri affini a quelli
delle funzioni pubbliche e del service public francese, e giustificando l’applicazione
coerente delle regole di diritto amministrativo. Al di là di quest’ambito assai limitato
(come testimonierebbero le normative settoriali dei singoli servizi), vi sarebbero
soltanto “attività private di interesse pubblico”, rispetto alle quali «dovrebbe cadere il
riferimento al pubblico servizio e dovrebbe invece riconoscersi l’operatività del
29
Cfr. L. Perfetti, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Padova, Cedam, 2001.
R. Villata, Pubblici servizi, Giuffré, Milano, 2003, p. 12; cfr. anche V. Cerulli Irelli, Corso di Diritto
Amministrativo, Torino, Giappichelli, 2001, p. 56. Su posizioni analoghe, anche Caia (op. cit., p. 925),
seppure con un’attenzione particolare alle modalità di organizzazione dell’attività.
30
10
principio di libera iniziativa economica privata e delle correlate posizioni sostanziali di
autonomia privata, sia pur regolata e controllata»31.
Mentre il dibattito dottrinale risente oramai fortemente dell’influenza comunitaria,
si affacciano negli ultimi anni elaborazioni di origine giurisprudenziale relativamente
nuove ed autonome, frutto di epocali scelte legislative32.
Con la devoluzione alla competenza esclusiva del g.a. di tutte le controversie in
materia di pubblici servizi (art. 33 d.lgs. 80/1998, riscritto dall’art. 7 legge 205/2000)33,
la giurisprudenza di grado superiore si è ben presto trovata ad interpretare le profonde
modificazioni esogene al proprio operare, figlie della nuova funzione del servizio
pubblico quale criterio di riparto tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria.
Questo, senza dubbio, con interessanti analogie rispetto a quanto accaduto in Francia
più di un secolo prima, anche se in tal caso la giurisprudenza aveva pilotato il corso
degli eventi anziché che esservi assoggettata.
Rivelando il carattere spigoloso ed ineffabile della nozione di servizio pubblico,
Consiglio di Stato e Corte di Cassazione si pronunciano in modo significativamente
difforme nel tentativo di tracciarne i confini. Il primo, seppure in modo non univoco,
opta per un’estensione del concetto (e con esso della giurisdizione esclusiva del g.a. e
del rispetto dell’art. 97 Cost.), il quale accoglie potenzialmente qualsiasi azione
dell’Amministrazione, trasfigurando in termini attuali niente meno che la concezione
classica del service public34.
31
Scotti, op. cit., p. 55.
Riguardo alla dissociazione tra il dibattito dottrinale e quello giurisprudenziale, cfr. V. Parisio, Pubblici
servizi e funzione di garanzia del giudice amministrativo, Milano, Giuffré, 2003, p. 61 ss.
33
Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti
di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in
G.U. 8 aprile 1998, 82. Al riguardo, v. amplius A. De Lorenzo, in questo volume.
34
Cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, in Foro it., 2000, I, 365 (con nota di F.
Fracchia, Giurisdizione esclusiva, servizio pubblico e specialità del diritto amministrativo, in cui in
particolare, p. 371); v. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325, in Foro amm. 2000,
3602. Cfr. anche Sordi, op. cit., p. 577.
32
11
La Corte di Cassazione, invece, attenta all’equilibrio tra giurisdizioni, opera una
lettura maggiormente oggettiva, seppur muovendo da premesse non sempre
condivisibili. Essa esclude che le attività private soggette a semplice controllo, vigilanza
o mera autorizzazione della p.A., possano considerarsi servizio pubblico. Questo,
viceversa, sarebbe tale solo in presenza di una «prestazione resa alla generalità da parte
di un soggetto, anche privato, che sia inserito nel sistema dei pubblici poteri o sia a
questo collegato, e che sia sottoposta ad un regime giuridico derogatorio al diritto
comune»35.
Pur con il merito di circoscrivere una materia sfuggente, l’orientamento del
supremo giudice di legittimità, globalmente considerato, non sfugge a critiche puntuali,
tra cui quella che sottolinea il rischio (opposto) di annichilire il contenuto del servizio
pubblico. Ciò in ragione del fatto che questo, ai fini del riparto giurisdizionale,
escluderebbe da un lato, ed in modo esplicito (art. 33, c. 2 lett. e, d.lgs. 80/1998), i
rapporti d’utenza (donde la difficoltà di individuare in che cosa consista l’elemento
essenziale della prestazione resa alla generalità); dall’altro anche le prestazioni
strumentali all’erogazione del servizio (Cass. sez. un., 30 marzo 2000, n. 72)36.
I.3. I servizi pubblici nelle indicazioni del legislatore statale
Episodio normativo sintomatico del tramontare della concezione liberale di Stato
ed Amministrazione, la legge Giolitti (legge 29 marzo 1903 sull’assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte dei comuni), unitamente al R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578
(Testo unico delle leggi sull’assunzione dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle
35
Corte di Cassazione, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032, in Foro it., 2002, I, 1842, con nota di E.
Ferrari, Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione. Cfr. anche Corte di
Cassazione, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71/S e n. 72/S (in Foro it., 2000, I, 2210-2211, con nota di D.
D’Alfino). Cfr. anche Parisio, op. cit., p. 63.
36
Cfr. Ferrari, op. cit., p. 1849. Relativamente all’elaborazione recente di criteri distintivi del servizio
pubblico da parte del g.a., cfr. Parisio, op. cit., p. 4 ss.
12
province) reca anche la prima e più ricca identificazione normativa puntuale di servizi
pubblici (locali)37.
Il Testo unico rileva retrospettivamente per più aspetti. Se da un lato, infatti, il
legislatore mai si sarebbe in seguito riprodotto in un’individuazione tanto organica e in
un’attività disciplinare “frontale” di tale respiro, va detto che il Testo difetta proprio di
una nozione giuridica di servizio pubblico dai caratteri positivi comuni. Ciò che ha
finito, da un lato, per conferire all’elenco di servizi municipalizzabili (art. 1) un valore
meramente esemplificativo ed empirico38; dall’altro per rendere, nonostante alcune
singolari interpretazioni39, l’espressione pubblici servizi una clausola generale riferibile
ad attività generalmente economiche, che pubbliche sono già prima dell’eventuale
assunzione da parte delle amministrazioni locali.
Il carattere risalente dell’elenco dimostra che qualsivoglia indicazione concreta di
servizio pubblico dipende da dati contingenti sociali ed economici, interpretati nel loro
tempo dalle amministrazioni competenti e, specie in senso geografico, da quelle
territorialmente più idonee (da qui la possibile, ma di fatto inesplorata,
provincializzazione dei servizi nel Testo unico40), secondo un tacito criterio che
potremmo definire di sussidiarietà ante litteram41.
37
R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, in G.U. 4 marzo 1926, n. 52. Cfr. B. Spadoni, I
servizi
pubblici
locali.
Dalla
municipalizzazione
alla
liberalizzazione,
2003,
in
www.dirittodeiservizipubblici.it.
38
Cfr. Cartei, op. cit., p. 17
39
Cfr. Camera - Mangini, Commento alla legge 29 marzo 1903, n. 103 sulla assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte del Comune, Rocca S. Casciano, 1903, 29, ove gli autori affermano che è la p.A.
a creare i servizi pubblici all’atto dell’assunzione; più condivisa e significativa è invece l’allora acuta
osservazione riguardo alla mutevolezza del servizio pubblico in funzione delle diverse dottrine
economiche, politiche e sociali.
40
Cfr. F. Merusi in resoconti del conv. Regolazione e gestione dei servizi pubblici locali. A cento anni
dalla legge 29 marzo 1903, n. 103, Bologna, 29 marzo 2003, in www.amministrazioneincammino.luiss.it.
41
L’elenco include infatti, tra le altre, attività oggi difficilmente configurabili come servizi pubblici,
legate alla società prevalentemente contadina dell’epoca (utilizzazione di fertilizzanti, trasporti funebri,
costruzione ed esercizio di mulini, di forni normali, di stabilimenti per la macellazione, di mercati
pubblici, di bagni e lavatoi pubblici; fabbricazione e vendita del ghiaccio, essiccazione di granturco,
gestione di semenzai e vivai di viti ed altre piante arboree e fruttifere), accanto invece a prestazioni che,
seppur allestite con modalità risalenti, costituiranno il nucleo dei servizi pubblici a rete (servizi idrici,
distribuzione di energia elettrica a fini di illuminazione e di disponibilità di “forza motrice”, servizi di
nettezza urbana; servizi di trasporto locale).
13
E’ significativo che, successivamente alla legge Giolitti, il legislatore si sia
astenuto per lunghissimo tempo dall’affrontare globalmente la materia dei servizi
pubblici o anche semplicemente dall’individuare attività da ritenere tali ai fini
dell’applicazione di altre discipline. Questo, nonostante, dal 1948, la materia rilevasse
espressamente a livello costituzionale in una norma (l’art. 43) che sembrava poter
costituire il trampolino per operazioni analoghe, su scala nazionale, a quelle legittimate
in ambito locale dalla legge 103/1903.
Il silenzio del legislatore, peraltro, trovava nel dilagare dell’interventismo
pubblico in economia tra l’inizio e gli anni Novanta del XX sec., tanto un riscontro
paradossale (per cui la mancanza di una definizione giuridicamente condivisa di
servizio pubblico non scaturiva certo dall’assenza o irrilevanza del fenomeno), quanto
una giustificazione (proprio in quanto dispiegatosi nelle sue forme più varie, il
fenomeno sfuggiva a semplificazioni teoriche e ad individuazioni puntuali).
Si deve infatti attendere il 1990, anno di svolte epocali soprattutto in materia di
ordinamento amministrativo, per rinvenire testi normativi in cui si enuncino pluralità (o
aree) di attività qualificabili in termini generali come servizi pubblici.
Il primo, in ordine di tempo, è quello degli artt. 1 e 2 della legge 12 giugno 1990,
n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla
salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), ove i servizi pubblici
rilevano nel prisma dell’esercizio del diritto costituzionale di sciopero (art. 40 Cost.)42.
Per individuare il campo di applicazione della legge in esame (e solo di essa!), il
legislatore non puntualizza, in una lista chiusa, i servizi pubblici essenziali, in modo
analitico ed oggettivo. Si preferisce, invece, un’indicazione dai tratti finalistici e, per
così dire, di tipo “concentrico”. L’art. 1, infatti, elenca al c. 1 alcuni servizi-attività
essenziali di per sé (in quanto «volti a garantire il godimento dei diritti della persona,
42
In G.U. 14 giugno 1990, n. 137.
14
costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà
di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di
comunicazione»), esemplificandoli poi al c. 2. Nell’art. 2, invece, l’ambito di
applicazione finalistico viene affinato e ristretto alle attività-prestazione che, rispetto
alle attività-servizio dell’art. 1, risultano indispensabili ad «assicurare l'effettività, nel
loro contenuto essenziale», dei diritti della persona costituzionalmente tutelati43.
Dalla lettura coordinata degli artt. 1 e 2, l’ambito dei servizi pubblici essenziali,
ancorché inclusivo di attività numerose, eterogenee quanto al grado di economicità, ed
ascrivibili ora alle “funzioni”, ora ai “servizi”, sembra emergere con autorevolezza.
Questo grazie al riferimento espresso ai valori costituzionali (e non a caso la legge
adotta la terminologia dell’art. 43 Cost. di servizi pubblici essenziali), nel solco delle
elaborazioni giurisprudenziali della Corte Costituzionale44. Tuttavia, la precisazione che
non ogni attività nel quadro di tali servizi è essenziale, ma solamente quelle che
assicurano l'effettività dei diritti costituzionali della persona, rende i confini
dell’indicazione legislativa sfumati e l’area dei servizi pubblici ancora una volta, in
ultima analisi, ineffabile. Ciò anche in considerazione del fatto che l’individuazione
puntuale delle prestazioni indispensabili è poi affidata alla contrattazione collettiva ed
alle specificazioni dei regolamenti di servizio45.
Ciò posto, lo sforzo del legislatore di orientarsi nella materia, con gli strumenti di
rango costituzionale, da un lato consacra l’idea di servizio pubblico, dall’altro ne
delimita ed autentica, ancorché genericamente, il contenuto (con un’operazione che
ricorda quanto visto a proposito del service public constitutionnel francese).
43
Cfr. T. Treu (et alii), Sciopero e servizi essenziali. Commentario sistematico alla l. 12 giugno 1990, n.
146, Padova, Cedam, 1991, p. 8 ss.
44
Cfr. Caia, op. cit., pp. 961-962; Treu, op. cit., p. 9.
45
Cfr. Caia, op. cit., p. 963; P. Pascucci, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali, Torino,
Giappichelli, 2003, p. 100.
15
Quanto agli elementi costitutivi, la nozione di servizio pubblico essenziale sposata
dalla legge 146/90, appare per un verso ricavata da una lettura di tipo oggettivistico (è la
finalità esaudita che rende il servizio pubblico ed essenziale). Ciò non di meno, il fatto
che l’art. 1 precisi che i servizi inclusi sono anche quelli «svolti in regime di
concessione o mediante convenzione», indica la presupposizione implicita, quanto
meno, di una titolarità pubblica delle attività (altro elemento di somiglianza con
l’elaborazione francese appena ricordata). Questo mentre la stessa legge annovera
curiosamente tra i servizi pubblici essenziali anche prestazioni svolte a scopo di lucro da
imprese private in regime di piena concorrenza e senza alcuna investitura pubblica
(come nel caso degli istituti di credito relativamente al pagamento di stipendi e
pensioni)46.
Anche nel caso della c.d. Carta dei servizi (d.P.C.M. 27 gennaio 1994, Principi
sull'erogazione dei servizi pubblici)47, e della normativa ad essa correlata, i servizi
pubblici sono individuati seguendo il criterio “a base costituzionale” della legge 146/90
(al cui art. 1 peraltro si fa espresso richiamo), con l’aggiunta puntuale dell’erogazione di
energia elettrica, acqua e gas48.
Rispetto alla legge, tuttavia, la direttiva denota maggiore consapevolezza dei
problemi di identificazione dei soggetti tenuti alla sua osservanza, contemplando sia i
casi di amministrazioni erogatrici (o concedenti l’esercizio) di servizi pubblici, che i
casi di servizi «comunque svolti da soggetti non pubblici» (chiamando in causa al
riguardo i poteri di direzione, controllo e vigilanza delle amministrazioni stesse e
46
Cfr. P. Pascucci, op. cit., p. 91.
Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994, Principi sull'erogazione dei servizi
pubblici, in G.U. 22 febbraio 1994, n. 43.
48
Cfr. S. Battini, La carta dei servizi, in Giorn. dir. amm., 1995, p. 703; A. Di Pietro, Adozione e
contenuto della Carta dei servizi, strumento dello Stato regolatore a tutela dei consumatori-utenti, in
Servizi pubblici concorrenza diritti, a cura di L. Ammannati - M.A. Cabiddu - P. De Carli, Giuffré,
Milano, 2001, p. 311 ss.
47
16
denominando genericamente "soggetti erogatori" gli enti pubblici o privati che
espletano servizi pubblici).
Anche la legge 142/90 aggiunge ben poco alla nozione di servizi pubblici (locali).
Il riferimento dell’art. 22 ai servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di
beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e
civile delle comunità locali, non offre indicazioni giuridiche rigorose49. Da esso sembra
potersi evincere, al più, che servizi pubblici sono anche attività cui gli enti locali non
provvedono (ancora)50, in una linea di sostanziale continuità con la pur risalente Legge
Giolitti. Ancora in tema di servizi pubblici locali, meritano solo un accenno gli artt. 77 e
113 del d.lgs. 25 febbraio 1995 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali)51
che individuano, senza meglio specificarla, la categoria dei servizi indispensabili,
soggetta a protezioni particolari in caso di dissesti finanziari degli enti locali.
Ben più carico di suggestioni, almeno lessicalmente, appare invece il coevo
ingresso nel nostro ordinamento della nozione, di conio comunitario, di servizi di
interesse economico generale, con la legge 287/90 (Norme a tutela della
concorrenza)52. L’art. 8 traspone infatti, su un livello nazionale, quanto disposto
dall’art. 86 del Trattato CE in ordine al rapporto tra interesse generale ed applicazione
delle regole di concorrenza (assunto per il quale si rinvia al paragrafo successivo)53.
Nei tre interventi del legislatore brevemente richiamati, un tratto comune è dato
dal fatto che i servizi pubblici mai vengono affrontati frontalmente in chiave definitoria,
come categoria giuridicamente autonoma: al contrario, in essi il legislatore, per così
dire, “inciampa” nel momento in cui pone norme che hanno per oggetto ora l’esercizio
49
Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali, in G.U. 12 giugno 1990, n. 135
(refluita nel Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, in G.U. 28 settembre 2000, n. 227).
50
Cfr. Cartei, op. cit., p. 45; contra, cfr. Villata, op. cit., p. 15.
51
In G.U. 18 marzo 1995, n. 65.
52
In G.U. 13 ottobre 1990, n. 240.
53
S. Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, Laterza, 2000, p. 88.
17
del diritto di sciopero, ora le competenze degli enti locali, ora le regole di concorrenza.
Neppure la d.P.C.M. 27 gennaio 1994 risolve i dubbi di identità, pur trattando, con un
approccio “a tutto tondo”, un profilo tanto generale come quello dei livelli qualitativi
dell’erogazione dei servizi.
Tratti del tutto peculiari segnano, invece, la definizione di servizio pubblico data
dal legislatore in ambito penalistico, con la novella dell’art. 358 del Codice penale,
intervenuta anch’essa nel 1990 (con legge n. 86)54.
L’individuazione è tesa unicamente a circoscrivere l’ambito conoscibile dal
giudice penale di ciò che è servizio pubblico55. Arginando il dilagare di nozioni
oggettive nella giurisprudenza penale, la definizione data con la legge 86/90 verte sul
carattere
pubblicistico
dell’attività,
seppur
autorevole
dottrina
ne
sottolinei
l’irrinunciabile presupposto della riferibilità all’organizzazione amministrativa56.
Riducendo i criteri oggettivisti ad una rilevanza in negativo, il pubblico servizio ai fini
penalistici deve: a) essere disciplinato da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi,
nelle stesse forme della funzione pubblica, distinguendosi tuttavia per l’assenza di poteri
certificativi o autoritativi; e b) non sostanziarsi nello svolgimento di semplici mansioni
d’ordine o nella prestazione di opera meramente materiale.
Ulteriori occasioni di concretizzazione della nozione di servizio pubblico sono
stati gli interventi legislativi relativi alle dismissioni delle azioni detenute dallo Stato e
da enti pubblici in s.p.a. Per la privatizzazione di società operanti nei servizi pubblici, il
d.l. 332/1994 (convertito con modificazioni dalla legge 474/1994)57 imponeva la
preliminare istituzione di autorità di regolazione e di limiti all’autonomia privata delle
54
Legge 26 aprile 1990, n. 86, Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, G.U. 27 aprile 1990, n. 97.
Cfr. da ultimo Parisio, op. cit., p. 98 ss.; Villata, op. cit., p. 35 ss.
55
Cfr. Cerulli Irelli, op. cit., p. 58.
56
Cfr. ibid., p. 60; Villata, op. cit., p. 56.
57
Legge 31 luglio 94, n. 474 (in G.U. 30 luglio 1994, n. 177), conversione in legge con modificazioni del
d.l. 31 maggio 1994, n. 332, recante norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di
partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni (in G.U. 1 giugno 1994, n. 126).
18
società (tramite la c.d. golden share, i tetti alle quote di proprietà e altri contenuti
statutari obbligatori). Il decreto tuttavia, nel delimitare l’area dei servizi pubblici (art. 2,
c. 1 e 3), risulta deludente e tutt’altro che categorico, indicando espressamente i soli
settori di difesa, trasporti, telecomunicazioni e fonti di energia (con un richiamo
residuale ad «altri servizi pubblici»)58. Né la legge 481/95, correlata alle privatizzazione
ed istitutiva delle autorità di regolazione, apporta chiarimenti in tal senso. Limitandosi
nell’occasione ad indicare i settori di energia e telecomunicazioni, essa sostituisce alla
tradizionale espressione di servizi pubblici, quella evolutiva di servizi di pubblica
utilità, in coerenza con l’idea stessa di regolazione59.
Neppure il richiamo ai servizi pubblici operato dal già ricordato art. 33 d.lgs.
80/98 (e dall’art. 7 legge 205/2000), ultimo in ordine di tempo, ma probabilmente primo
quanto ad effetti sull’ordinamento quale più importante riforma recente della giustizia
amministrativa, è capace di suggerire soluzioni ermeneutiche risolutive. L’elenco
eterogeneo e non esaustivo dell’art. 33 c. 1 non sembra infatti andare oltre il valore
dell’esemplificazione60, posto che tuttavia taluni vi scorgono una ricchezza di significati
non trascurabile61: esso, in lettura coordinata con il c. 2, accosta attività economiche
rilevanti per la collettività (soggette a autorizzazioni e controlli pubblici) a prestazioni
sanitarie e scolastiche dai connotati più prettamente sociali; servizi farmaceutici a
servizi a rete, con un richiamo alla legge 481/95 che suggerisce così la subordinazione
dei servizi di pubblica utilità alla categoria dei servizi pubblici. Inoltre l’elencazione
sembra discendere più dall’esigenza di individuare le controversie riservate al g.a., che
dai caratteri inerenti i servizi, nel rispetto delle finalità di un legislatore in questo caso
58
Cfr. Cassese, op. cit., p. 135.
Legge 14 novembre 1995, n. 481, Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica
utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, in G.U. 18 novembre 1995,
n. 270.
60
Cfr. Villata, op. cit., p. 18.
61
Cfr. Ferrari, Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione, cit., p. 1849.
59
19
impegnato prevalentemente ad equilibrare il riparto tra giurisdizioni (ordinaria ed
amministrativa).
Ciò non di meno, tale intervento ha avuto l’importante effetto di riproporre il
dibattito sulla categoria dei servizi pubblici non più nei termini prevalentemente
nozionistici e descrittivi, bensì in quelli più concretamente discretivi di un’auspicata
esattezza nel riparto giurisdizionale62.
I.4. I servizi pubblici nel diritto comunitario
La lettura comunitaria del concetto di servizio pubblico si staglia su un reticolo di
tradizioni nazionali talora molto distanti in senso qualitativo e quantitativo63. Essa
procede da sempre in modo svincolato ed elastico, attenta all’intangibilità del campo
monopolistico delle potestà pubbliche, dei servizi sanitari e scolastici e concentrandosi
in prevalenza sulle attività di rilievo economico64.
L’approccio comunitario muove da posizioni vicine a quelle degli ordinamenti
anglosassoni, incardinate all’idea della public utility regulation. Questa rinviene
l’origine del servizio pubblico non nelle decisioni di pubblici poteri (né tanto meno
nell’assunzione diretta del servizio da parte loro), bensì in autonome iniziative private.
Queste ultime, però, avendo ad oggetto attività affected with a public interest, sono
naturalmente sottoposte ad una penetrante regolazione pubblica, imperniata sia sulla
previsione di particolari obblighi di universalità, qualità, sicurezza, tariffazione
ragionevole, ecc., che sull’attribuzione di privilegi o forme di sostegno funzionali a tali
62
Cfr. Cerulli Irelli, op. cit., p. 55.
Cfr. M. Cammelli, Comunità europea e servizi pubblici, in Diritto Amministrativo comunitario, a cura
di L. Randelli - C. Bottari - D. Donati, Rimini, Maggioli Editore, 1994, pp. 183 e 189; Ferrari, ult. op. cit.,
p. 1847; Sordi, op. cit., p. 581. Per un approfondimento recente, cfr. Berlingerio, op. cit., p. 289 ss.
64
Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, in GUCE C 17 del 19 gennaio
2001 (preceduta dall’omonima comunicazione del 1996, COM (96) 443 def., in GUCE C 281 del 26
settembre 1996), p. 28-30.
63
20
obblighi. Alla regolazione, poi, presiedono storicamente commissions o agencies
specializzate, con funzioni di amministrazione a tratti simili a quelle giurisdizionali
ovvero a quelle normative65.
L’assenza nel TCE della nozione di servizi pubblici e l’approntamento di
categorie e denominazioni diverse (con le quali ciascun Stato membro si confronta in
modo peculiare), apportano al dibattito contributi elaborati alla luce del valore primario
di concorrenza: contributi peraltro non facili da assimilare per alcuni ordinamenti,
giusta la lentezza nell’applicazione dell’art. 86 TCE, fulcro dell’approccio comunitario
alla materia e base giuridica per gli interventi di liberalizzazione degli ultimi anni66.
In sintesi approssimativa, l’“intervenire” comunitario in fatto di servizi pubblici al
termine della (lunga) fase iniziale di quiescenza, si può riassumere in: a) un primo
momento di deflagrazione del profilo pro-concorrenziale dell’art. 86 sul finire degli anni
Ottanta67, per cui i tradizionali servizi pubblici economici vengono disciplinati in
quanto primariamente “servizi”, soggetti alle regole di mercato, e b) una seconda fase
(ancora attuale) in cui molti leggono un riflusso rispetto agli orientamenti precedenti.
La prima delle due fasi, ha un impatto particolarmente significativo in Italia, ove
si affianca all’incipiente operare dell’autorità nazionale Garante della Concorrenza e
del Mercato (istituita con l. 287/90). Detta fase si sostanzia in una serie di interventi
europei di liberalizzazione ed armonizzazione di numerose attività espletate
tradizionalmente da monopoli pubblici: riguardo ai servizi a rete, in particolare,
vengono progressivamente aperti al mercato attività di telecomunicazione, di trasporto
pubblico, di servizi energetici e postali. L’instaurazione del mercato unico anche
rispetto ai servizi pubblici diviene prioritaria. Il processo che ne scaturisce, nonostante il
65
Cfr. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, cit., p. 381 ss.; sul significato
variabile della nozione di regulation, cfr. da ultimo Scotti, op. cit., p. 52.
66
Cfr. da ultimo V. Sottili, L’art. 86 del Trattato CE, in Servizi essenziali e diritto comunitario, a cura di
L. Radicati di Brozolo, Torino, Giappichelli, 2002, p. 7; A. Barreca, L’art. 86 del trattato CE: origini e
scopi perseguiti, in www.amministrazioneincammino.luiss.it; Villata, op. cit., p. 21.
67
Cfr. da ultimo, Sordi, op. cit., p. 589.
21
dichiarato agnosticismo comunitario rispetto alla proprietà delle imprese del settore (art.
295 TCE), porta naturalmente i pubblici poteri a dismettere la veste di fornitori diretti di
prestazioni, per divenire invece regolatori garanti del conseguimento dell’interesse
generale in mercati tendenzialmente liberalizzati.
La nozione di servizio pubblico di matrice amministrativa sembra in principio
estranea e lontana rispetto all’ordinamento comunitario, il quale ne rifiuta perfino la
denominazione, in quanto polisemica e fuorviante68. I suoi tratti riemergono in parte
nella vasta nozione (art. 86, c. 2) di servizi di interesse economico generale (SIEG)69.
Come noto, tali servizi sono assoggettati alle regole di concorrenza fin dove ciò non
comprometta la missione loro riconosciuta, quanto a continuità, uguaglianza di
trattamento, adattamento ai bisogni delle prestazioni: nel qual caso l’applicazione di tali
regole sarebbe esclusa, secondo una valutazione degli Stati ispirata a criteri di
ragionevolezza e proporzionalità, e sottoposta alla vigilanza dalla Commissione e della
Corte di Giustizia.
Trasponendo a livello comunitario la dicotomia tra concezione soggettiva ed
oggettiva del servizio pubblico, il SIEG sembra meglio interpretato dalla seconda,
specie in ragione della suddetta indifferenza comunitaria riguardo alla proprietà dei
soggetti erogatori.
Tuttavia, nella seconda fase di riflusso cui si accennava, svariati segnali hanno
testimoniato, in seno alla Comunità, una minor fiducia nei benefici della concorrenza e
la maturazione di una certa consapevolezza circa l’irrinunciabilità di una componente
soggettiva pubblica: questo specie in ossequio all’indiscusso valore, oltre che
68
Cfr. Comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., allegato II.
Cfr. Rangone, ult. op. cit., p. 20, Villata, op. cit., p. 22; D. Sorace, Diritto delle amministrazioni
pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 113 ss.
69
22
economico, anche sociale e di coesione dei servizi ed in relazione al momento
regolatorio delle attività70.
A prescindere dal fatto che tale componente sia o meno un lascito di tradizioni
continentali di servizio pubblico71, è un dato che la concorrenza, valore fondante della
Comunità, di fronte ai servizi pubblici si trova talora ad arretrare. Il confronto tra
interesse generale e regole del mercato unico (in particolare di concorrenza) implica che
le seconde non si impongano ex se ma possano addirittura divenire funzionali alla
realizzazione del primo e pronte semmai a farsi da parte qualora, viceversa, si rivelino
ostative. La concorrenza, anziché valore assoluto, assume in determinati contesti una
configurazione strumentale: con la precisazione che la discrezionalità in ordine all’uso
di tale strumento è ridotta in quanto esso si impone residualmente, rispetto ai servizi
economici di rilievo comunitario, laddove non sia strettamente necessario farne a meno
per garantire un interesse generale. Al contempo, i servizi pubblici da terreno
economico “di (ri)conquista" da parte del mercato vengono sempre più reinterpretati
primariamente come strumenti di coesione sociale e territoriale (come emerge
dall’introduzione dell’art. 16 nel TCE e dall’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Ue).
Secondo tali presupposti, è anche in merito alla decisione di rigettare o limitare
ragionevolmente e proporzionalmente le regole di concorrenza, ovvero di correggerle ai
fini coesivi di socialità, che il ruolo delle amministrazioni pubbliche si evolve e si
(ri)valorizza72.
70
Cfr. da ultimo, F. Di Porto, Regolazioni di “prima” e “seconda” generazione. La liberalizzazione del
mercato elettrico, in MCR, 2003, p. 325 ss.
71
Cfr. Sordi, op. cit., p. 593.
72
Al riguardo, D. Sorace, intervenendo al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra
ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali”, Pisa, 15 marzo 2004, ricorda peraltro che la necessità
di imporre obblighi di servizio pubblico non implica automaticamente deroghe alle regole di concorrenza
laddove: a) detti obblighi siano imposti indifferentemente in capo a tutte le imprese di un settore
determinato (ciò che lascerebbe tali imprese in una condizione di eguaglianza concorrenziale); b) gli
obblighi, imposti ad una (o ad alcune imprese) possono essere espletati autonomamente senza la necessità
di misure compensative speciali.
23
I.4.a) Servizio pubblico ed equilibrio tra regole del mercato unico e interesse generale. Il
ruolo della Commissione e della Corte di Giustizia
Del quadro sommariamente sintetizzato sono espressione le misure comunitarie
adottate per rendere compatibili tra loro le regole del mercato unico e interesse generale
sotteso ai servizi pubblici: misure che arginano l’applicazione delle prime, ma solo a
fronte di ciò che del secondo è il cuore irrinunciabile.
Così, in primis la Commissione da un lato, con strumenti ora di c.d. soft law, ora
normativi (quali le liberalizzazioni “controllate” dei grandi servizi a rete, la definizione
di obblighi di servizio pubblico e di servizio universale), e alcune statuizioni della Corte
di Giustizia dall’altro, hanno svolto un lavoro di ridefinizione del concetto di servizio
pubblico che si impone ormai quale indicazione prioritaria per tutti gli ordinamenti
nazionali europei.
Proprio il servizio universale, creazione originale della Commissione in ambito
europeo, merita specifica menzione, in quanto interpretato come nozione in cui le
esigenze di servizio pubblico sembrano trasfigurarsi nel diritto comunitario. Esso si
sostanzia nel quadro dei processi di liberalizzazione controllata di alcuni servizi a rete
(poste e telecomunicazioni) e consiste in generale di un insieme minimo di servizi (di
una certa qualità), che deve essere comunque garantito, a condizioni accettabili, a
chiunque ne faccia richiesta73: in tal senso esso, come brillantemente sintetizzato,
consiste in qualcosa di meno in termini di quantità e qualcosa di più in termini di qualità
rispetto al tradizionale servizio pubblico74.
73
Per una ricostruzione della nozione, cfr. M. Clarich, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione
normativa e profili ricostruttivi, in Dir. pubbl., 1998, p. 26 ss.; Rangone, ult. op. cit., p. 18 ss.;
Berlingerio, op. cit., p. 115, ss.; da ultimo e più esaustivamente, Cartei, op. cit.
74
Cfr. N. Rangone, I servizi pubblici - Nozioni e regole, in AA.VV, Annuario (2001) d ell’Associazione
Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Milano, Giuffré, 2002, p. 196.
24
La sua apparente qualifica di versione comunitaria del servizio pubblico viene
giudicata tuttavia impropria, in primo luogo a causa dei suoi caratteri (ancora) esili,
eccessivamente settoriali (trovando compiuta disciplina nei soli ambiti di poste e
telecomunicazioni), oltre che idealmente transitori75. Inoltre, nella sua ricchezza di
valori in parte ancora inesplorata, il servizio universale, se da un lato condivide
certamente con il servizio pubblico alcuni presupposti (quali la selezione essenzialmente
politica delle prestazioni ritenute doverose) e principi (continuità, adattamento ed
uguaglianza), dall’altro se ne distingue per l’origine essenzialmente regolatoria e per
alcuni criteri di gestione (come quelli di proporzionalità, accessibilità e qualità)76.
Già da quanto detto, si intuisce come la vistosa assenza della nozione di servizio
pubblico di matrice amministrativa nel diritto primario della Comunità e la lontananza
tra l’approccio comunitario e alcune esperienze nazionali (francese ed italiana in primis)
non corrisponde certo ad un atteggiamento di indifferenza verso il tema. Al contrario, il
continuo confronto tra interesse generale e regole di concorrenza esprime una pluralità
di nozioni dai caratteri nuovi, quali quelle di servizio di interesse economico generale,
servizio universale e obblighi di servizio pubblico e contratto di servizio pubblico.
Queste, dall’ottica delle esperienze nazionali, possono leggersi, ciascuna per un
profilo diverso, come risultanti di una complessa e continua scrematura dell’antico
concetto di servizio pubblico ad opera, fondamentalmente, del valore comunitario di
concorrenza.
Così, il nucleo irrinunciabile dei servizi pubblici viene via via limato ma, al
contempo, anche consolidato in quanto “resistente” all’applicazione incondizionata
delle regole del mercato unico. Tale processo si sostanzia nella cornice dell’art. 16 TCE
e dell’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, oltre che delle comunicazioni
della Commissione (che, seppur dotate di un minor tasso di costituzionalità, presentano
75
76
Cfr. Sordi, op. cit., p. 600; Comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., allegato II.
Cfr. Cartei, op. cit., p. 276 ss.
25
un elevato grado di specificità e godono comunque di un’alta considerazione). Esso
incide progressivamente sui molteplici profili della gestione dei SIEG, in cerca di un
equilibrio, ancora incompleto e problematico, tra interesse generale e concorrenza.
Tale bilanciamento infatti, volutamente informato ad elasticità dagli artt. 16 e 86
TCE, non sempre risulta chiarito dal diritto derivato, né dalla giurisprudenza della Corte
di Giustizia. Ciò non di meno, è un dato difficilmente contestabile il fatto che
soprattutto quest’ultima fornisca oramai gli orientamenti più importanti, giungendo a
verificare sia:
a)
la necessità di regimi speciali conferiti dagli Stati a imprese di servizio
pubblico77, che
b)
la loro proporzionalità (anche se in questo caso il punto sembra
controverso78) e finanche
c)
l’esistenza effettiva degli interessi generali che gli Stati affermano essere
sottesi a determinati servizi79.
Peraltro, mentre il primo punto appare consolidato, altrettanto non può dirsi per il
secondo, nonostante l’importanza che il TCE e la Commissione riconoscano
diffusamente al principio di proporzionalità e il numero di statuizioni ove esso è
richiamato dalla stessa Corte proprio in fatto di deroghe alla concorrenza in favore
77
Cfr. le sentenze CGCE 19 maggio 1993, C-320/91, Corbeau, in Racc. 1993, I-2533; 27 aprile 1994, C393/92, Almelo, in Racc. 1994, I-1477; 23 ottobre 1997, C-159/94, Repubblica Francese, in Racc. 1997,
I-5815; 21 settembre 1999, C-67/96, Albany, in Racc. 1999, I-5751).
78
Cfr. in positivo, Tribunale di primo grado, 27 febbraio 1997, T-106/95, FFSA, in Racc. 1997, II-229
(confermata dall'ordinanza CGCE del 25 marzo 1998, C-174/97); conclusioni avv. gen. in causa C-30/87,
Bodson; e ancora Corbeau. In negativo, cfr. le sentenze CGCE 10 febbraio 2000, cause riunite C-147/97,
C-148/97, Deutsche Post, in Racc. 2000, I-825; e ancora Albany.
79
Cfr. le sentenze 10 dicembre 1991, C-179/90, Merci convenzionali Porto di Genova, in Racc. 1991, I5889; e ancora Almelo. Cfr. P. Fattori, Monopoli pubblici e articolo 90 del Trattato CE nella
giurisprudenza comunitaria, in MCR, 1999, p. 127 ss.; D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di
pubblica utilità, cit., p. 391 ss.; G. Caputi, Servizi pubblici e monopoli nella giurisprudenza comunitaria,
Torino, Giappichelli, 2002, p. 137 ss.
26
dell’interesse generale80. Il quadro, poi, è reso ancora più incerto qualora il regime di
privilegio, concesso a compensazione di missioni di interesse generale, configuri la
possibile sussistenza di aiuti di Stato ex art. 87 TCE, con evidenti interrogativi in ordine
al controllo esercitato su di essi dalla Commissione ex art. 88 TCE81.
Il terzo punto, invece, tocca più degli altri un profilo sovente nevralgico per il
bilanciamento tra regole di concorrenza e interesse generale, ossia il ruolo da
riconoscere agli Stati nell’individuazione di quest’ultimo (oltre che nelle modalità
adeguate e legittime per garantirlo).
Al riguardo, da un punto di vista normativo ed amministrativo, la problematica
permane aperta. Da un lato, infatti, vigono un consacrato principio di sussidiarietà
verticale (per sua natura elastico) e un art. 16 TCE, in ossequio ai quali la Commissione
ricorda che gli Stati sono liberi di «definire i servizi d'interesse generale, fermo restando
il controllo di eventuali casi di errore manifesto»82 (senza riguardo per il regime di
proprietà, pubblica o privata, delle imprese e secondo criteri di proporzionalità tra
restrizioni alla concorrenza e garanzia dell’interesse generale)83. Dall’altro, invece, vi
sono ambiti in cui l’espansivo ordinamento comunitario impone discipline dettagliate e
preponderanti. Un esempio in tal senso è dato in materia di servizio universale, ove gli
Stati membri di fatto ben poco possono aggiungere agli obblighi previsti dalle direttive
CE su telefonia/comunicazioni elettroniche e poste84.
Al di là delle incertezze, ciò che comunque preme rilevare in merito al terzo
punto, concerne un aspetto (soprattutto ideologico) del servizio pubblico che più di
80
Cfr. Caputi, op. cit., p. 138.
Cfr.la giurisprudenza comunitaria ricordata dalla Commissione nella Relazione al consiglio europeo di
Siviglia, sullo stato dei lavori relativi alle linee direttrici in materia di aiuti di Stato legati ai servizi
d'interesse economico generale, ed in particolare a titolo esemplificativo, le sentenze 22 novembre 2001,
C-53/00, Ferring, in Racc. 2001, I-9067; e 24 luglio 2003, C-280/00, Altmark Trans, in Racc. 2003, I7747. V. contributo di F. Ghelarducci – M. Capantini, in materia di Stato e il principio dell’“investitore
privato”, in questo volume.
82
Cfr. Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, 2000, cit., preambolo.
83
Cfr. Ferrari, ult. op. cit., p. 1845.
84
Cfr. Sottili, op. cit., p. p. 30-32.
81
27
qualunque altro sembrava tradizionalmente inattaccabile, ossia «la esclusiva “politicità
della decisione di considerare servizio pubblico un’attività economica»85.
I.4.b) Occasioni di individuazione comunitaria di “servizi pubblici”
A prescindere dalla misura in cui l’identificazione dei SIEG spetti agli Stati e
dall’assenza di qualsiasi loro enumerazione in sede comunitaria, è comunque un dato
che alcune attività economiche “tipiche” (ovvero alcuni loro segmenti) sono oggetto di
normative comunitarie positive (di liberalizzazione), in cui il carattere pubblico rileva
ripetitivamente. Anche per questo, alcuni atti comunitari le affrontano congiuntamente.
Alle comunicazioni elettroniche (già telecomunicazioni), ai servizi postali, ai trasporti,
all’energia (elettrica e di gas naturale), alla radio e alla televisione, in primo luogo, la
Commissione dedica spazio in appendice alle comunicazioni del 1996 e del 2000 per
riferire sui relativi processi di liberalizzazione86.
Ma, risalendo indietro nel tempo, anche le direttive in materia di appalti assegnati
da soggetti esercenti servizi pubblici (c.d. appalti nei settori esclusi, direttiva 93/38, di
recente sostituita dalla direttiva CE 2004/17) hanno in qualche misura indicato in
concreto una categoria di servizi pubblici. Segnatamente i settori di acqua ed energia,
trasporti e telecomunicazioni, in principio esclusi dalla disciplina comunitaria in quanto
ritenuti oggetto di discipline pubblicistiche nazionali87, sembrano infatti costituire un
nucleo di attività con caratteristiche storiche peculiari, cui di conseguenza la Comunità
ha applicato le regole del mercato unico in modo differenziato.
I.4.c) Ultimi sviluppi: dal Consiglio europeo di Laeken al Libro verde del 2003
85
Sorace, ult. op. cit., p. 392.
Cfr. Commissione europea, Comunicazione sui Servizi di interesse generale, 2000, cit., allegato I.
87
Cfr. Cammelli, op. cit., pp. 190-191.
86
28
Le evoluzioni più recenti del ripensamento nell’approccio ai servizi pubblici
emergono dall’incessante opera della Commissione, che nel mirare all’applicazione
incrementale del diritto comunitario, da un lato è destinataria delle pressioni provenienti
dagli Stati e dalla società civile, dall’altro procede ad un attento recepimento delle
indicazioni della Corte di Giustizia.
Già con la Relazione al Consiglio europeo di Laeken (2001) l’esecutivo
comunitario si dimostrava sensibile alla necessità di una maggiore certezza del diritto in
materia di servizi di interesse generale (in special modo rispetto agli orientamenti talora
altalenanti della Corte in fatto di finanziamento) e di meccanismi per la valutazione
periodica del loro funzionamento, in termini di qualità, accessibilità, sicurezza ed equità
e trasparenza tariffarie88.
Il Libro verde di consultazione sui servizi di interesse generale del 2003, ultimo
documento di riferimento in materia, prosegue in tale direzione89. Esso parte
dall’assunto per cui il TCE «non colloca il funzionamento dei servizi di interesse
generale fra gli obiettivi comunitari e non assegna alla Comunità poteri positivi specifici
in questo settore»90 e che «non è probabilmente né auspicabile né possibile elaborare
un’unica e completa definizione europea del contenuto dei servizi di interesse
generale»91. Ciò non di meno, nel documento si afferma che «la vigente normativa
comunitaria sui servizi di interesse economico generale include una serie di elementi
88
Cfr. Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken sui “Servizi di interesse
generale", COM(2001) 598 def., del 17 ottobre 2001 (per la quale cfr. M. Capantini, Servizi di interesse
generale e aiuti di Stato. La Relazione della Commissione al Consiglio europeo di Laeken, in Riv. it. dir.
pubbl. comunit., 2003, p. 478 ss.); e Relazione al consiglio europeo di Siviglia, cit.
89
Commissione europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 maggio 2003, COM (2003)
270, in relazione al quale la Commissione ha poi emanato una Relazione sulla consultazione pubblica in
merito al libro verde sui servizi di interesse generale, 29 marzo 2004, SEC(2004)326. Cfr. N. Rangone, Il
Libro verde sui servizi di interesse generale: verso un nuovo approccio alla regolazione comunitaria dei
servizi pubblici?, intervento al convegno Servizi locali e qualità sociale nell’Europa che cambia,
Campidoglio 6 novembre 2003 (in corso di pubblicazione); Berlingerio, op. cit., p. 325 ss.
90
Commissione europea, Libro verde, cit., p. 28.
91
Ibid., n. 49.
29
comuni da cui si potrebbe dedurre un utile concetto comunitario di servizi di interesse
economico generale»92.
Peraltro, alcuni dei temi sollevati dal Libro verde ammettono la possibilità che
un’adeguatezza formale ai dettami comunitari nei settori di servizio pubblico già
regolati, può comunque risultare carente, qualora non se ne apprezzino i positivi effetti
sull’utenza: questo, ad esempio, in riferimento ai criteri con cui valutare la legittimità
dei finanziamenti degli obblighi di servizio pubblico (fino ad ora centrati unicamente
sull’apprezzamento del loro impatto anticoncorrenziale) e agli strumenti di valutazione
della qualità dei servizi e dell’efficacia della regolazione93.
Inoltre, la Commissione fa luce sulle attuali differenze di approccio del diritto
comunitario rispetto ai diversi tipi di servizio di interesse generale. Essa individua: 1)
“grandi servizi a rete” economici, soggetti alle regole del TCE su libera circolazione,
concorrenza e aiuti di Stato (nel caso le prestazioni incidano sugli scambi tra Stati) e a
particolari discipline di settore; 2) servizi economici oggetto delle sole regole del TCE
(come la gestione dei rifiuti, i servizi idrici, la radiodiffusione); 3) servizi non
economici e servizi che non incidono sugli scambi, cui si applicano i soli principi del
TCE di non discriminazione nell’accesso e di libera circolazione delle persone94.
Proprio nell’ipotesi: a) di un’estensione della disciplina comunitaria sia ai servizi
economici non regolati settorialmente, che a quelli non economici, ovvero b) di una
globale disciplina quadro del settore, l’ordinamento comunitario si dimostra
consapevole di dover trovare nuovi equilibri tra interesse generale e principi di
concorrenza. Una ricerca nella quale finirebbe per ridisegnarsi profondamente il ruolo
degli Stati e delle amministrazioni territoriali.
92
Ancora, ibid., n. 49.
Cfr. ibid., n. 90 e 94 ss.
94
Cfr. ibid., n. 32.
93
30
In ultimo, non si può ignorare che anche nei lavori della Convenzione europea che
hanno portato al Progetto di Costituzione per l’Europa, vi sia stato un confronto sui
servizi di interesse generale con le parti della società civile e, seppure sostenuti da
posizioni tradizionaliste di tipo francese, tentativi di delineare una nozione europea di
servizi pubblici con un proprio diritto speciale95.
I.4.d) Sviluppi definitori in ambito regionale
La ricostruzione dei tentativi definitori e di identificazione dei servizi pubblici si
arricchisce, dalla prospettiva italiana, in forza dell’intrecciarsi delle elaborazioni
comunitarie con gli sviluppi costituzionali interni. Con la riforma del Titolo V Cost.,
infatti, la materia dei servizi pubblici locali, già oggetto a livello legislativo centrale di
continue riforme caratterizzate da ambigui e discontinui tratti “filo-comunitari”, rischia
di sfuggire definitivamente all’unicità della disciplina nazionale, a fronte di una
competenza legislativa (in larga parte esclusiva) delle regioni96.
In pendenza della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità della
riforma dell’art. 113 TUEL (di cui all’art. 35 della legge Finanziaria 2002, all’art. 14 d.l.
269 del 30 settembre 2003 e alla legge Finanziaria 2004)97 la prima ed eclatante
espressione di tale tendenza centrifuga è costituita dalla LR Lombardia 26/2003
(Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale)98. Questa rileva
95
Cfr., in particolare, contributo del Sig. Olivier Duhamel e della Sig.ra Pervenche Berès, Per un diritto
europeo dei servizi pubblici, Bruxelles, 7 ottobre 2002, CONV, 319/02. Cfr. Berlingerio, op. cit., p. 322
ss.
96
Al riguardo, v. amplius F. Casalotti, in questo volume.
97
Rispettivamente, legge 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002), in G.U. 29 dicembre 2001, n. 301, art. 35; decreto
legge 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici, in G.U. 2 ottobre 2003, n. 229, art. 14; legge 24 dicembre 2003, n. 350,
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), 27
dicembre 2003, n. 299, art. 234.
98
Legge regionale Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, Disciplina dei servizi locali di interesse
economico generale - norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia e di utilizzo del sottosuolo, in
31
innanzitutto quale esempio peculiare di normazione di livello regionale che, per alcuni
versi, scavalca quello nazionale (talora addirittura in controtendenza rispetto ad esso),
ricercando nozioni e istituti utili in quello comunitario.
Al di là dell’ispirazione pro-concorrenziale in fatto di affidamento e gestione dei
servizi, espressa dalla LR in modo più univoco rispetto a quanto fatto dalla disciplina
nazionale del TUEL (art. 113), preme qui sottolineare come il legislatore regionale
abbia abbandonato la nozione tradizionale di servizio pubblico in favore di quella similcomunitaria di servizi (locali) di interesse economico generale. Questo nell’intento di
realizzare a livello locale ciò che da più parti si ritiene obiettivo sfuggente a livello
comunitario: una disciplina organica dei SIEG.
Ciò posto, l’esempio della Lombardia si colloca rispetto al diritto comunitario in
una posizione interlocutoria per motivi tanto di diritto positivo quanto concettuali. In
primo luogo, infatti, tra i servizi identificati come tipicamente locali (gestione dei rifiuti
urbani; distribuzione dell’energia elettrica e termica e del gas naturale; gestione dei
sistemi integrati di alloggiamento delle reti nel sottosuolo; gestione del servizio idrico
integrato) solo alcuni trovano una disciplina completa anche a livello comunitario.
Inoltre, l’adozione della nozione di SIEG, proprio a seguito della limitazione degli
ambiti cui è applicata, appare solo in parte rispondente agli orientamenti comunitari che,
oltre a reputarla ex se dinamica ed evolutiva, attualmente vi includono ad esempio anche
i servizi di radiodiffusione99.
Ciò che in questa sede preme sottolineare, tuttavia, è la prospettiva quanto mai
concreta che, con la riforma costituzionale del 2001, l’esperienza italiana di definizione
ed individuazione dei servizi pubblici si polverizzi in una varietà di esperienze
regionali. Ciascuna di esse, peraltro, potrà scegliere tra una gamma di impostazioni con
B.U. 16 dicembre 2003, n. 51. Cfr. A. Purcaro, La disciplina dei servizi pubblici locali: analogie e
differenze tra la Legge regionale Lombardia n. 26/2003 e il decreto legge n. 269/2003, in Lexitalia.it
(rivista o-line), 3/2004.
99
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 32 e in allegato, n. 34.
32
caratteristiche ora maggiormente affini all’ordinamento nazionale (che, allo stato
attuale, sembrano allontanarsi da modelli concorrenziali di affidamento e gestione,
stante la nuova previsione del ricorso ad affidamenti in house100), ora più vicine a quello
comunitario, ora intermedie tra questi101.
I.4.e) Il profilo commerciale dei servizi pubblici nel GATS
Da alcuni anni oramai, oltre che con i livelli nazionale e comunitario, occorre
confrontarsi con un ulteriore ambito di definizione dei servizi pubblici, il quale ha
primariamente riguardo per il loro profilo commerciale.
Gli accordi internazionali, di tipo bilaterale ma soprattutto nel quadro
dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) con il General Agreement on
Trade in Services (GATS), prevedono l’apertura al commercio internazionale della
fornitura di servizi (supply of services)102. Essi vincolano, per gli Stati sottoscrittori, le
misure (measures) che i governi o le autorità centrali, regionali o locali (oltre che dei
non-governmental bodies nell’esercizio di poteri delegati) adottano in materia. In
sintesi, questi devono garantire in generale: a) nei confronti dei servizi, e dei loro
fornitori di altri Paesi membri, lo stesso trattamento normativo (sostanziale) assicurato
al Paese maggiormente favorito (most-favoured-nation treatment); b) verso gli altri
Paesi sottoscrittori, la tempestiva pubblicazione delle misure che incidono sulla
disciplina delle materie oggetto del GATS (transparency)103.
100
Cfr. d.l. 29 settembre 2003, n. 269 (convertito con modifiche in legge n. 326/2003), che modifica gli
art. 113 e 113 bis del TUEL.
101
Un valido esempio in tal senso è dato dalla progetto di LR Toscana n. 306 del 28 ottobre 2003 (Norme
sui servizi pubblici locali a rilevanza economica), lessicalmente più vicina al diritto nazionale che a
quello comunitario, e avente ad oggetto servizi in parte diversi rispetto alla LR Lombardia (trasporto
pubblico locale di persone, servizio idrico integrato, servizio di gestione dei rifiuti urbani, servizio di
distribuzione del gas, servizio di distribuzione dell’energia elettrica).
102
Al riguardo, v. amplius F. Spagnuolo, in questo volume.
103
Cfr. GATS, artt. I, II (in GUCE 23 dicembre 1994, L336).
33
Ogni Paese membro elabora, inoltre, in via negoziale, una lista di servizi
(schedule of specific commitments) rispetto ai quali garantisce l’apertura del proprio
mercato e, per le imprese estere che decidano di operarvi, lo stesso trattamento di quelle
nazionali104.
Da un punto di vista definitorio, la nozione base del GATS è quella di service, che
prescinde da nozioni tradizionali di service public ovvero comunitarie di SIEG105. Essa
si definisce residualmente come «any service in any sector», ad eccezione dei soli
servizi «supplied neither on a commercial basis, nor in competition with one or more
service suppliers»106 (il che, in pratica, comporta l’inclusione di ogni servizio ad
eccezione delle sole attività di esercizio dell’autorità governativa107). In tal senso, il
GATS mantiene nei confronti dei servizi pubblici un atteggiamento in principio
agnostico. Di essi, considera unicamente la natura di “servizi” ai fini commerciali e si
disinteressa completamente tanto dei profili soggettivi quanto di quelli oggettivi della
lettura tradizionale.
Nell’ambito (ancora) ristretto di incidenza degli obblighi del GATS108 in materia
di servizi, occorre ricordare che le negoziazioni in seno a tale accordo avvengono
comunque per il tramite della Comunità109. Questa, sfruttandone la naturale elasticità, vi
partecipa facendo valere, per la propria parte, i tratti giuridici distintivi dei servizi di
104
Ibid., art. XVI. Alcune regole GATS (trasparenza e clausola della nazione più favorita) si applicano a
prescindere dai confini nazionali a tutti i settori di servizi coperti dall’accordo; le disposizioni relative ad
impegni specifici (accesso al mercato, trattamento nazionale ed eventuali impegni aggiuntivi) valgono
soltanto per gli Stati che li hanno assunti rispetto ad un settore particolare (cfr. Commissione europea,
Libro verde, cit., n. 78).
105
Sull’inesistenza di un unico modello di servizi di interesse generale nell’ambito dell’OMC, e sulla
totale libertà degli Stati membri di fornire essi stessi servizi di interesse generale, direttamente o
indirettamente (attraverso imprese pubbliche) o di affidarli a terzi, cfr. Commissione europea, Libro
verde, cit., n. 79.
106
GATS, art. I.
107
Anche se, per l’esattezza, le regole del GATS non trovano applicazione nel settore del trasporto aereo,
dei diritti di traffico e di tutti i servizi direttamente connessi all’esercizio dei diritti di traffico.
108
La fornitura di servizi ad enti pubblici mediante appalti – compresi i servizi di interesse generale – non
è attualmente soggetta in ambito GATS ad obblighi (nazione più favorita, trattamento nazionale, accesso
al mercato, possibili impegni supplementari). Tuttavia, la Comunità si è impegnata a riconoscere obblighi
di nazione più favorita e di trattamento nazionale in rapporto alle parti contraenti l’Accordo sugli appalti
governativi (GPA), negoziato anche in ambito OMC.
109
Cfr. M. P. Chiti, Diritto Amministrativo Europeo, Milano, Giuffré, 1999, p. 64.
34
interesse generale (economico e non) senza apparenti contrasti con l’approccio
indifferente (ma tollerante) del GATS110.
II.1. L’ipotesi di un testo di riferimento in materia di servizi pubblici
Il quadro sommariamente tracciato nella prima parte, dà conto della quantità di
istanze incidenti sui molteplici profili del servizio pubblico, ai livelli concettuale,
definitorio e disciplinare, cui da tempo si prospetta la possibilità di dare conformazione
tramite un testo condiviso di principi organizzativi, di gestione e regolazione.
Con l’affermarsi dell’ordinamento comunitario e con l’erosione dell’autorità
nazionale, la materia è stata largamente “comunitarizzata”, e idealmente restituita agli
Stati (ex artt. 5 e 16 TCE) solo in forza di un criterio di sussidiarietà che, elaborato
originariamente in sede europea111, sembra trovare in essa il luogo naturale e
appropriato di giustiziabilità. Le decisioni in fatto di SIEG, oramai, originano in larga
parte in ambito comunitario, fuori dunque dell’autonomia normativa e amministrativa
degli Stati112.
Proprio a livello comunitario, da tempo circola l’ipotesi di una sistemazione della
materia: ipotesi che, tuttavia, appare storicamente alimentata per lo più dalla reazione
dei contesti nazionali di tradizione amministrativa all’applicazione delle regole del
mercato unico. In tal senso, il desiderio di fissare alcuni principi relativi ai servizi
pubblici esprime l’aspirazione degli Stati a tracciare linee di demarcazione a difesa delle
110
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 83 e 84.
Ancorché le sue origini risalgano agli ordinamenti ecclesiastici (cfr. G. Pizzanelli in questo volume).
112
In tal senso, peraltro, sarà interessante valutare l’esito dei sopraccennati tentativi regionali di
sistemazione organica della materia, ricordando tuttavia che rispetto ai servizi di dimensione locale
l’incidenza del diritto comunitario è circoscritta prevalentemente alle discipline settoriali dei servizi di
interesse generale forniti dalle grandi industrie di rete.
111
35
proprie prerogative storico-ideologiche, che si fa tanto più urgente quanto più dilagante
diviene l’ingerenza comunitaria.
Nell’ultimo decennio, sono state formulate proposte per una carta europea dei
servizi pubblici, delle quali la prima e più compiuta è stata quella francese del gennaio
1993. In quel caso, si trasmetteva alla Commissione un progetto (da sottoporre poi
all’approvazione del Consiglio) completo di definizioni, principi, regole di gestione ed
organizzazione per regolatori e gestori di servizi pubblici. La sua eccessiva vaghezza
tuttavia, suscettibile di determinarne interpretazioni contrastanti con il diritto
comunitario, decretò l’insuccesso dell’iniziativa113.
Analoghe proposte, di poco successive, si sono registrate rispettivamente in seno
al Parlamento europeo, con l’adozione finale di una Risoluzione nel 1995114 e, in
materia di servizi pubblici locali, con un Progetto di raccomandazione formulato dal
Consiglio d’Europa del 2 luglio 1996115.
Significativamente, il primo dei suddetti progetti si è materializzato in ambito
francese e il secondo è stato espressione dell’organo maggiormente rappresentativo
delle istanze popolari e politiche (il Parlamento): nessuno di essi proviene dalla
Commissione, la quale, al di là degli interventi settoriali, preferisce, a legislazione
vigente, fornire indicazioni con gli strumenti elastici di soft law (comunicazioni,
relazioni e documenti di consultazione) anziché fissare un assetto definitivo in atti
giuridici vincolanti di carattere generale (direttive o regolamenti).
II.2. Prospettive di codificazione nel Libro verde sui servizi di interesse generale
113
Cfr. Bulletin européen du Moniteur, 15 febbraio 1993 e Reg. gov. loc., 1994 (con commento di N.
Rangone, Verso una carta europea dei servizi pubblici?, pp. 739 ss.).
114
Cfr. Parlamento europeo, Imprese pubbliche, privatizzazioni e servizi nella Comunità europea, A30254/94.
115
Cfr. Di Pietro, op. cit., p. 347.
36
Proprio nel Libro verde del 2003, la Commissione offre un quadro delle
prospettive comunitarie in materia di servizi di interesse generale, interrogando(si) fra
l’altro:
a)
sull’opportunità di una disciplina comune anche a servizi (sia economici
che sociali) non ancora soggetti a norme settoriali;
b)
in caso affermativo, sulla scelta tra un approccio specifico per settore,
come accaduto finora, ovvero una trattazione di respiro più generale116;
c)
sul modello di sussidiarietà da adottare nelle eventualità prospettate117.
Nell’ipotesi, avanzata proprio dalla Commissione, dell’adozione di uno strumento
quadro a carattere generale vincolante di cui al punto b), detto strumento avrebbe la
funzione di «chiarire e consolidare gli obiettivi e i principi comuni a tutti o a molti tipi
di servizi di interesse generale nei settori di competenza comunitaria. Tale strumento
potrebbe costituire la base per un’ulteriore normativa settoriale che consenta di
raggiungere gli obiettivi fissati nello strumento quadro, semplificando quindi e
consolidando il mercato interno in questo settore»118.
Allo stato attuale, peraltro, esso potrebbe essere costituito da una direttiva ovvero
da un regolamento, ma in entrambi i casi sarebbe problematico rinvenire una base
legittimante nel TCE119. Diversamente, con l’adozione della Costituzione europea, lo
strumento quadro, almeno in fatto di sevizi economici, assumerebbe la forma di legge
europea (atto legislativo di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri), ai sensi dell’art. III-6 (grosso
116
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 37 ss.; Relazione sulla consultazione pubblica in
merito al libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.3.
117
Cfr. ibid., n. 28 ss.
118
Commissione europea, Libro verde, cit., n. 38.
119
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 40.
37
modo una nuova versione dell’art. 16 TCE)120. Detto articolo prevede infatti che la
legge definisca «principi e condizioni, segnatamente economiche e finanziarie, che
consentano [ai SIEG] di assolvere i rispettivi compiti».
Al di là di tali considerazioni, la stessa Commissione osserva come, specie negli
ordinamenti di comunicazioni elettroniche, poste, energia elettrica, gas, e trasporti,
sarebbero ormai individuabili principi comuni a tutti i SIEG e, in parte, anche ai servizi
non economici. Permanendo i principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale quali
clausole aperte, lasciate all’evoluzione dei rapporti tra Stati e Comunità e tra pubblico e
privato, la disciplina sostanziale dei servizi pubblici sembrerebbe giunta ad un
consolidamento tale per cui, una volta individuato un servizio come pubblico,
risulterebbe abbastanza definito il regime ad esso applicabile. Vi è, in altri termini, «un
corpus normativo specifico per settore per le differenti industrie di rete» che forniscono
SIEG121, che potrebbe costituire la base per l’elaborazione di quello che, al là del valore
giuridico da assumere, potrebbe definirsi come uno Statuto dei servizi pubblici122.
Il termine “statuto”, pur prestandosi in campo giuridico ad una quantità di usi
diversi, denota come costante, «quella di essere un corpus normativo di respiro ampio e
120
Cfr. Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, 18 luglio 2003, CONV 850/03,
art. III-6, il quale sembra conferire al suo omologo precedente (l’art. 16 TCE), di carattere più che altro
referenziale e tautologico, una più robusta idoneità quale base giuridica per atti di diritto derivato.
Peraltro, anche qualora, rispetto ai SIEG, si perseverasse sulla strada di discipline settoriali, l’art. III-6
legittimerebbe il diritto comunitario a coprire settori finora esclusi o meno considerati, come quello idrico
e dei servizi ambientali. Cfr. Rangone, Il Libro verde sui servizi di interesse generale, cit.
121
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 37.
122
Un’operazione parzialmente simile, del resto, trova un precedente (regolamentare e quindi di carattere
normativo) in ambito comunitario: in materia di società, attraverso una stratificazione di direttive
protrattasi per quasi trent’anni, si è giunti in ultimo alla definizione di un corpus di norme comuni sullo
Statuto della Società europea, intendendo tuttavia con il termine “Statuto” al contempo l'atto costitutivo e
lo statuto propriamente detto della società, qualora quest'ultimo formi oggetto di atto distinto (cfr. art. 6,
Regolamento CE 8 ottobre 2001, n. 2157/2001, relativo allo statuto della Società europea (SE), in GUCE
10 ottobre 2001, L 294.). Con riguardo invece ai principi relativi alla liberalizzazione proprio dei servizi a
rete, cfr. F. Di Porto, Il decreto Bersani (D.LGS. N: 79/99). Profili pro-concorrenziali della riforma del
mercato elettrico, in Concorrenza e Mercato, 2000, p. 417, nota 28. Relativamente alle regole
comunitarie applicabili ad alcune forme tipiche di interazione-cooperazione orizzontale tra pubblico e
privato (ossia i dilaganti fenomeni di “partenariato pubblico-privato” quali gli appalti e le concessioni),
cfr. in ultimo il Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni della Commissione europea del 30 aprile 2004 (COM(2004)327).
38
in posizione centrale in ordine all’oggetto disciplinato»123. Nel caso in esame, esso
dovrebbe distinguersi sia dai precedenti tentativi di Carte dei servizi pubblici (dai
contenuti generici ed oramai poco utili in uno stato tanto avanzato di disciplina della
materia) che dalle carte di servizio, non limitandosi al profilo del rapporto con l’utenza
ovvero dei principi di erogazione, ma dettando norme “a tutto tondo” di organizzazione
e regolazione che definiscano l’equilibrio tra interesse generale e regole di concorrenza.
II.3. Ricognizione dei possibili contenuti di un testo di riferimento
II.3.a) Gli obblighi di servizio pubblico
Un testo di valore generale in materia di servizi pubblici non potrebbe prescindere
dall’attualizzazione degli antichi principi di scuola francese124 di uguaglianza125,
continuità126 e adattamento ai bisogni127. Un ulteriore obbligo comune poi risiederebbe
ormai, a giudizio della Commissione, nell’universalità del servizio rispetto dell’utenza
finale, come emerge (in termini peraltro non sempre precisi) nella normativa
123
M. Procaccini, Ambiguità e spessore della parola statuto tra lessico giuridico, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it, p. 11.
124
Riguardo alle c.d. lois du service public, si rinvia a V. Gavioli, in questo volume.
125
Riconosciuto quale principio generale di diritto comunitario, esso è inteso come esclusione di qualsiasi
privilegio nella prestazione del servizio, tra soggetti che si trovino nelle stesse condizioni, salvo
trattamenti differenziati previsti per legge o in via amministrativa, che in ragione di interessi generali
assicurino un’uguaglianza sostanziale (cfr. Sottili, op. cit., p. 13).
126
In base al quale i servizi devono essere in grado di funzionare in qualsiasi momento (pur nel rispetto
del diritto di sciopero dei lavoratori). Tale requisito, in alcuni casi consustanziale al tipo di servizio, è
previsto dalla normativa comunitaria in materia di servizio universale postale, mentre rispetto ad alcune
prestazioni vige anche nel settore dell’energia elettrica (cfr. Commissione europea, Libro verde, cit.,
allegato, n. 11; in ambito energetico, poi, il requisito di continuità si sostanzia a monte nell’ulteriore
obbligo di sicurezza degli approvvigionamenti (cfr. ibid., allegato, n. 27).
127
Nato con riguardo ad una nozione di servizio pubblico che implicava la gestione (o almeno la
titolarità) pubblica dell’attività, esso potrebbe attualmente essere inteso non più come diretto
imperativamente alle sole decisioni dell’Amministrazione, bensì come requisito da quest’ultima garantito
(anche in termini di qualità) con interventi di regolazione indirizzati ad operatori che già, nel quadro delle
normali dinamiche di mercato, adattano (almeno in parte) l’offerta di servizi alle esigenze della domanda
laddove ciò sia di per sé remunerativo.
39
comunitaria dei servizi di comunicazioni elettroniche128, poste ed energia elettrica129
(mentre più problematica appare la sua configurabilità rispetto a trasporti e gas
naturale130). Detta universalità, assurta a principio comune, varrebbe come clausola
generale di natura dinamica e flessibile, che i pubblici poteri sostanzierebbero di volta in
volta indicando le prestazioni reputate imprescindibili e non garantite dal mercato131.
II.3.b) La qualità del servizio e la protezione degli utenti
Il profilo della qualità dei servizi, in alcuni contesti già richiamato dagli obblighi
di universalità, più di altri sembra dipendere da una corretta applicazione del principio
di sussidiarietà (e decentramento) sia in fatto di decisioni (relative alla definizione di
requisiti e parametri qualitativi) che di esecuzione (ossia di verifica sia settoriale che
orizzontale132 del loro rispetto) da parte delle autorità pubbliche. Quanto alla protezione,
e più in generale all’attenzione dedicata agli utenti, tale profilo è stato delineato con
128
Cfr. da ultimo direttiva CE del 7 marzo 2002, n. 2002/22, relativa al servizio universale e ai diritti
degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), in
GUCE 24 aprile 2002, L 108 (oltre che d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, (Codice delle Comunicazioni
elettroniche), artt. 53-65). Peraltro, proprio in riferimento alle telecomunicazioni (suo ambito di elezione),
la nozione è da taluni giudicata, fin dalla sua genesi, superata in forza dell’evoluzione spontanea del
mercato (cfr. S Frova, Nozione ed evoluzione del Servizio Universale nelle telecomunicazioni,
Telecomunicazioni e servizio universale (relazione della giornata di studi organizzata dall’ISAE – Roma,
17 maggio 1999), a cura di S. Frova, Milano, Giuffré, 1999, p. 18).
129
Cfr. direttiva CE del 26 giugno 2003, n. 2003/54, relativa a norme comuni per il mercato interno
dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE, in GUCE 15 luglio 2003, n. L 176.
130
Cfr. M. Carta, La liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale nell’Unione: il mercato
interno dell’energia elettrica, in Dir. Ue, 2003, p. 778 ss. Cfr. anche d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164
(Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a
norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144), art. 16, ove si fa soltanto riferimento alla non
meglio precisata universalità del servizio.
131
Cfr. anche F. Trimarchi Banfi, Considerazioni sui “nuovi” servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl.
comunit., 2002, p. 964. Gli elementi ricostruttivi della disciplina del servizio universale, ricavabili dalle
direttive comunitarie (specie relative alle comunicazione elettroniche), concernono i contenuti, le regole
di selezione del fornitore, le norme sulla compensazione dei costi di fornitura, il diritto degli Stati membri
ad introdurre requisiti aggiuntivi; i compiti del soggetto regolatore (cfr. Commissione europea, Libro
verde, cit., allegato, n. 2 ss.).
132
Cfr. in ultimo Commissione europea, Comunicazione sulla Metodologia per la valutazione orizzontale
dei servizi d’interesse economico generale, COM (2002) 331 def. Riguardo alla valutazione dei servizi di
interesse economico generale e ai profili partecipativi da parte dell’utenza, cfr. Commissione europea,
Libro verde, cit., n. 94 ss. e allegato, n. 64 ss.
40
precisione dalla Commissione che nel Libro verde ne ha tratteggiato un corpus di regole
e diritti condivisi133.
II.3.c) La gestione di servizi e infrastrutture
Da quanto emerge nei settori dei servizi economici a rete dotati di una disciplina
comunitaria più completa (energia, comunicazioni elettroniche, poste, trasporti) si
ricava innanzitutto la regola generale per cui, ove possibile e conveniente, le attività
dovrebbero essere liberamente esercibili in regime di concorrenza nel mercato.
Tale regola assume peraltro un carattere residuale laddove la stessa normativa
ammette, per alcune attività, il conferimento di diritti speciali o esclusivi secondo
meccanismi di concorrenza per il mercato134.
Specie nei servizi a rete, il legislatore comunitario ha condotto un’opera di
scomposizione della gestione unitaria delle relative filiere, in cui le attività prive di costi
iniziali elevati ed irrecuperabili per la creazione e la manutenzione di reti, sono state
liberalizzate per prime. Ciò che ha dato vita ad un processo di erosione progressiva di
quanto in origine si riteneva essere monopolio naturale (soprattutto in fatto di attività
infrastrutturali di telecomunicazioni, di servizi ferroviari, di energia elettrica e gas),
finendo per ridurre tale qualifica alla pressoché sola gestione di infrastrutture giudicate
non duplicabili (in base a considerazioni economiche ovvero di generale opportunità
sociale ed ambientale), delineandosi così una separazione tra esercizio concorrenziale
dei servizi (a valle) e gestione unitaria delle reti (a monte)135.
133
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 21 ss.
Al riguardo, v. amplius F. Dello Sbarba, in questo volume.
135
Sul significato del principio di separazione tra reti e servizi nelle public utilities europee, cfr.
l’esemplare ricostruzione in V. Sottili, La liberalizzazione dei servizi pubblici: disciplina comunitaria e
stato di attuazione in Italia, in Privatizzazioni ed efficienza della pubblica amministrazione alla luce del
diritto comunitario, a cura di A. Angeletti, Milano, 1996, p. 258.
134
41
Alla seconda continuano usualmente ad essere deputati soggetti titolari di diritti
speciali o esclusivi, in quanto ciò risponderebbe meglio ad esigenze organizzative, di
sicurezza, oltre che di manutenzione e sviluppo della rete136. Essi discendono per solito
da imprese (pubbliche) integrate e monopoliste e mantengono sovente una natura
pubblica anche in forza del regime di proprietà delle reti: proprio i gestori in monopolio
di infrastrutture, ancora inquadrati di fatto in aziende integrate attive anche nella
produzione dei servizi finali, sono destinatari di misure regolamentari specifiche che
garantiscono una separazione dall’impresa madre tale da impedire a questa di trarre
vantaggi dal monopolio della propria attività infrastrutturale a monte, rispetto ai
concorrenti nel mercato a valle dei servizi137.
Più in generale, poi, in materia di infrastrutture e reti, regole di accesso ed
interconnettività alle reti a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, vengono
pacificamente riconosciute come requisito preliminare alla creazione e al mantenimento
in via regolatoria di mercati concorrenziali138.
II.3.d) Il finanziamento dei servizi pubblici
136
Cfr. in ultimo Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, segnalazione AS278, Riunificazione
della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale, in Boll. 15/2004.
137
Un esempio evoluto di misure regolatorie in tal senso è quello relativo alla trasparenza dei flussi
finanziari interni alle imprese di telefonia verticalmente integrate (per il quale cfr. Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni, delibera 152/02/Cons, Misure atte a garantire la piena applicazione del
principio di parità di trattamento interna ed esterna da parte degli operatori aventi notevole forza di
mercato nella telefonia fissa, in www.agcom.it). In generale le esperienze maturate in ambito di
telecomunicazioni ed energia elettrica, suggeriscono il ricorso a separazioni di tipo proprietario, le quali
presentano un carattere di minore ambiguità, rispetto ad alternative forme di separazione contabile,
gestionale e societaria.
138
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 70 ss., allegato, n. 29 ss. Rispetto all’obbligo di fornire
accesso ad infrastrutture essenziali, occorre tener presente anche la teoria delle essential facilities, per la
cui ricostruzione in senso giurisprudenziale e dottrinale, cfr. da ultimo A. Valeriani, L’essential facilities
doctrine: sviluppi normativi ed orientamenti giurisprudenziali, in Resp. comunic. imp., 2001, p. 187; F.
Bassan, Concorrenza e regolazione nel diritto comunitario delle comunicazioni elettroniche, Torino,
Giappichelli, 2002, p. 255 ss.; Caputi, op. cit., p. 92 ss. G. Corso, I beni pubblici come strumento
essenziale dei servizi di pubblica utilità, in Servizi pubblici e appalti, n. 2003, p. 505 ss. Cfr. amplius, K.
Marcantonio, in questo volume.
42
Il finanziamento dei SIEG costituisce forse il punto che maggiori incertezze
genera in seno alle amministrazioni nazionali e alla società civile139. La liberalizzazione
e privatizzazione di attività di servizio pubblico, in precedenza svolte da monopoli
pubblici, non sempre appare infatti compatibile con il mantenimento di alcune
prestazioni non profittevoli.
Il profilo peraltro sembra prestarsi più di altri ad una sistemazione organica tanto
in ragione della varietà di soluzioni settoriali ad oggi riscontrabili, quanto, in
prospettiva, considerando che il progetto di Costituzione europea, nel riformulare
l’attuale art. 16 TCE, indica espressamente proprio le condizioni «economiche e
finanziarie» tra i principi e condizioni che l’Ue e gli Stati membri devono definire
rispetto ai SIEG, (art. III-6)140.
A giudizio della Commissione, le esperienze settoriali mostrano ormai molteplici
sistemi di finanziamento tesi a consentire l’equilibrio finanziario di soggetti erogatori di
SIEG gravati da onerosi obblighi di servizio pubblico141.
Vi sono innanzitutto casi di compensazioni dirette, tramite corresponsione di
risorse della fiscalità generale ovvero altri benefici finanziari che comunque hanno
l’effetto di ridurre le entrate nel bilancio dello Stato membro. Al riguardo, il sistema di
139
Cfr. Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale,
cit. n. 4.8. Sul finanziamento dei servizi pubblici, v. amplius G. Colombini – F. Nugnes, in questo
volume.
140
Un nodo da sciogliere, al riguardo, è quello del rapporto tra compensazioni per gli oneri di servizio
pubblico e applicazione delle norme sugli aiuti di Stato. Rispetto a tale assunto la Commissione, anche in
risposta al silenzio del TCE e alla non sempre univoca giurisprudenza della Corte di giustizia, da tempo
ha fornito alcune indicazioni di compatibilità certe, non escludendo l’eventuale elaborazione di misure ad
hoc (cfr. progetto di comunicazione della Commissione, Disciplina comunitaria degli aiuti di stato
concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico; il progetto di decisione della
Commissione, riguardante l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 86 del trattato CE agli aiuti di
Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese
incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale; consultabili in
http://europa.eu.int/comm; cfr. anche Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken,
cit., n. 25; e Relazione al consiglio europeo di Siviglia, cit. Cfr. in ultimo Berlingerio, op. cit., p. 394 ss.;
F. Ghelarducci – M. Capantini, op. cit..
141
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 85 ss.
43
compensazione più trasparente sembra quello fornito dai contratti di servizio142. Si
danno, poi, situazioni di contribuzione degli operatori di mercato, in cui i costi netti di
fornitura non profittevole di un servizio sono coperti mediante prelievi applicati alle
imprese (esempi in tal senso forniti dai fondi di compensazione del servizio universale
in ambito di telecomunicazioni e servizi postali)143. Vi sono poi ancora casi di
assegnazione, a titolo compensativo, di diritti speciali ed esclusivi alle imprese gravate
da obblighi di servizio pubblico, che complicano l’applicazione delle regole comunitarie
di concorrenza (specie del divieto di abuso di posizione dominante) e derogano alla
libertà (costituzionalmente garantita) di iniziativa economica privata144.
Ulteriori modalità di finanziamento, ricordate dalla Commissione nel Libro verde,
sono l’imposizione autoritativa del calcolo di tariffe medie da applicare uniformemente
per la fornitura di alcuni SIEG in determinate aree geografiche (come può accadere in
ambito di servizio universale postale e di comunicazioni elettroniche, ovvero nel caso
142
Con tale strumento, in sostituzione della prescrizione unilaterale di obblighi, l’Amministrazione
“compra” sul mercato prestazioni non profittevoli per l’impresa esercente, ma reputate necessarie per la
collettività. Cfr. Regolamento CE del 20 giugno 1991, n. 1893/1991, che modifica il regolamento CEE n.
1191/1969 relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio
pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, in GUCE 26 giugno 1991,
L 169. Al riguardo, v. amplius A. Massera – C. Taccola (sull’uso del contratto nei servizi pubblici), in
questo volume.
143
Cfr. M. Capantini, Il servizio universale e le sue modalità di finanziamento. La soluzione dei fondi di
compensazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2003, p. 99 ss.. In ambito di comunicazioni elettroniche
(ove la disciplina dei fondi di compensazione è più consolidata) in particolare, si evince che l’interazione
tra autorità di regolazione e imprese contribuenti (attraverso le quali, in ultima analisi, transitano risorse
raccolte presso l’utenza) richiede il rispetto di numerosi e complessi vincoli sostanziali e procedurali di
proporzionalità, trasparenza, non discriminazione, che rendono l’applicazione di tale sistema
compensativo assai problematica e bisognosa di un elevato grado di expertise (cfr. da ultimo Consiglio di
Stato, sez. VI, 8 luglio 2003, n. 7257; Cons. d’État, 18 giugno 2003, n. 250608, Société Tiscali Télécom,
cit.; ma anche a livello comunitario, le sentenze 17 maggio 2001, C-340/99, TNT Traco S.p.A., in Racc.
2001, I-4109; 6 dicembre 2001, C-146/00, Commissione c. Repubblica francese, in Racc. 2001, I-9767).
144
In passato, simile modalità di finanziamento indiretto trovava preponderante applicazione,
permettendo alle imprese di finanziare le attività meno profittevoli, prestate in ossequio alla propria
missione di servizio pubblico, con gli extraprofitti ricavabili dalla gestione in monopolio di quelle
profittevoli e (secondo un sistema interno di sussidi incrociati). Tale metodologia, del resto, è ammessa
espressamente dal TCE (art. 86, c. 1) e dall’interpretazione successiva di esso fornita dalla Corte di
Giustizia (cfr. la sentenza Corbeau, cit.). Proprio grazie all’applicazione pervicace degli artt. 86 e 82 del
TCE e alle misure di liberalizzazione direttamente imposte dalla Comunità, tuttavia, essa attraversa da
tempo una fase palesemente recessiva, in cui paiono affermarsi altre forme di sostegno, maggiormente
compatibili con il diritto comunitario (anche se, ad esempio in ambito postale, esso è ancora ammesso
dalla stessa direttiva 97/67). Cfr. Carta, op. cit., p. 781, ss.
44
della distribuzione di energia elettrica)145; e il finanziamento basato su principi di
solidarietà e associazione obbligatoria, circoscritto tuttavia al solo ambito dei regimi di
sicurezza sociale (al momento ritenuti servizi di interesse generale non economici).
Un spunto evolutivo di riflessione in merito giunge poi dalla stessa Commissione,
la quale, nel Libro verde, avanza per la prima volta l’ipotesi per cui non sarebbe
sufficiente giudicare l’opportunità e la legittimità dei meccanismi di finanziamento solo
in termini di compatibilità con le regole di concorrenza. In quanto lo stesso ordinamento
comunitario qualifica i SIEG come strumenti di coesione sociale e territoriale, tale
giudizio potrebbe doversi basare anche su criteri di efficienza, responsabilità ed effetto
redistributivo, oltre che, aggiungiamo, sui riflessi in termini di investimenti di lungo
periodo in infrastrutture e nella sicurezza delle forniture, aspetto, quest’ultimo, connesso
alla disciplina di reti e servizi e fin’ora largamente ignorato146.
II.3.e) Soggetti e principi dell’amministrazione di regolazione
Atteso che «la normativa primaria e quella derivata della Comunità e degli Stati
membri contengono le norme fondamentali applicabili ai mercati dei servizi di interesse
generale […], per garantire il raggiungimento degli obiettivi di regolamentazione non è
sufficiente ricorrere esclusivamente all’applicazione e al consueto meccanismo di
attuazione della normativa»147: buona parte delle regole settoriali comunitarie in materia
145
La misura, dettata da ragioni di coesione territoriale e sociale (e per questo compatibile con il diritto
comunitario a condizione che rispetti anche l’art. 86, c. 2 TCE) può costituire un sistema di
compensazione per le prestazioni non profittevoli del gestore del servizio, gravante in ultima analisi su
una parte dell’utenza. La tariffa, infatti, si basa sulla media dei costi di fornitura dei servizi, i quali
possono essere significativamente più bassi in un’area densamente popolata rispetto, ad esempio, a zone
rurali remote.
146
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 91; Relazione sulla consultazione pubblica in merito al
libro verde sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.6.1.; Rangone, ult. op. cit.; relativamente
all’incompatibilità tra mercato totalmente concorrenziale, privo di interventi finanziari pubblici, e
investimenti a lungo termine per l’approntamento e la manutenzione di infrastrutture, cfr. Cammelli, op.
cit., p. 194.
147
Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 38 ss.
45
di SIEG hanno infatti imposto o suggerito l’istituzione, a livello nazionale, di specifiche
“autorità di regolazione”.
Queste si affiancano (e a tratti si sovrappongono) all’operato delle autorità
governative ed antitrust nazionali e comunitarie, con attività consultive, normative e
para-giurisdizionali148 e si differenziano, tra l’altro, per denominazione, uffici e funzioni
attribuite,
struttura
e
composizione,
legittimazione,
grado
di
integrazione
sopranazionale. Ciò non di meno, un tratto comune e caratterizzante è ravvisabile nel
fatto che presiedono alla cura di interessi complessi e vitali (quali ad esempio, le
condizioni di accesso alle reti, le tariffe finali dei servizi, la risoluzione di controversie
tra soggetti del mercato, l’imposizione di specifiche tecniche, il controllo della qualità
delle prestazioni ecc.). Missioni di assoluta preminenza in un contesto, come spesso è
ancora quello attuale, in cui alla liberalizzazione formale di servizi a rete deve fare
seguito quella sostanziale, che consenta il dispiegarsi di benefiche dinamiche
concorrenziali. Ed anche ove tali dinamiche fossero più prossime alla piena espressione,
è convinzione diffusa che una regolazione dovrebbe ancora considerarsi consustanziale
al mercato, laddove necessaria a correggerne le inefficienze o le mancanze149.
In ambito nazionale, a quasi dieci anni dalla sua adozione, la legge 481/95 sulla
regolazione dei servizi di pubblica utilità ha contribuito in misura determinante al
delinearsi di un nuovo modello di amministrazione settoriale, quasi sempre deferita
correttamente ad autorità (più o meno) indipendenti. Col tempo, peraltro, la
discrezionalità degli Stati comunitari nell’allestimento e funzionamento delle
amministrazione di regolazione si è andata assottigliando, in alcuni casi fino alla
avocazione a livello comunitario della titolarità a determinare buona parte di caratteri,
148
In merito alla maggiore idoneità delle autorità di regolazione a definire nel dettaglio il contenuto
tecnico-economico dei servizi di interesse generale individuati dalle autorità politiche, cfr. D. Sorace,
intervento al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento comunitario e
ordinamenti nazionali”, cit.; v. anche L. Bedini, in questo volume.
149
Sulla varietà di funzioni della regolazione, cfr. Cassese, op. cit., p. 90 ss.; in merito all’eventuale
distinzione tra fallimento ed assenza del mercato, cfr. Trimarchi Banfi, op. cit., p. 956 ss.
46
funzioni e procedure delle autorità stesse (in special modo in materia di comunicazioni
elettroniche)150.
Tale fenomeno attrattivo, di cui si dovrebbe ineluttabilmente tener conto nel caso
dell’adozione di uno strumento quadro, incide peraltro anche sui (faticosi) tentativi del
nostro legislatore di ridefinire la disciplina delle autorità amministrative indipendenti, in
quanto, tra l’altro, cospira proprio a favore di quel principio di indipendenza dei
regolatori, in Italia sovente rimesso in discussione151. Più in generale, poi, esso sembra
delineare una crescente interazione: a) tra autorità nazionali omologhe degli Stati
membri, ovvero b) tra queste e la Comunità. In tal senso le comunicazioni elettroniche e
l’ambito trasversale della tutela della concorrenza fungono indubbiamente da settori
guida, cui tuttavia si affiancano numerose iniziative in altri campi (tra le quali quella
forse più interessante è l’istituzione di agenzie nazionali e comunitarie), formalmente
diverse ma tutte espressione dell’integrazione europea dei mercati e della loro
amministrazione152.
Quanto ai principi generali della regolazione (in chiave sia propedeuticamente
normativa, che di amministrazione), particolare rilievo assumono quelli di
proporzionalità e di trasparenza: il primo peraltro da tempo assurto a principio generale
di diritto comunitario, si sostanzia in primis nella conciliazione tra la cura degli interessi
150
Cfr. S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Comunicazioni, verso
il diritto della convergenza?, a cura di G. Morbidelli - F. Donati, Torino, Giappichelli, 2003. Il principio
dell’indipendenza delle autorità di regolazione, inizialmente suggerito in modo più o meno espresso nella
normativa comunitaria di liberalizzazione, è divenuto col tempo un requisito sempre più desiderabile. In
alcuni casi, poi, esso si pone come obbligo per alcuni ambiti o funzioni di regolazione (rispettivamente
nel caso delle comunicazioni elettroniche e dei trasporti ferroviari) analogamente a quanto disposto in
materia di autorità antitrust. Questo, soprattutto al fine di sottrarre l’attività di regolazione ad istanze di
carattere politico e a causa dell’ancora diffusa proprietà pubblica di numerose imprese di SIEG, la quale
non garantisce l’imprescindibile terzietà del regolatore rispetto ai regolati (cfr. D. Sorace, La desiderabile
indipendenza della regolazione dei servizi di interesse economico generale, in MCR, 2003, p. 337; A.
Massera – C. Taccola, in materia di servizi postali, in questo volume).
151
Cfr. A. Pera, Appunti sulla riforma delle Autorità: regolazione e concorrenza, in MCR, 2002, p. 329
ss. Cfr. Sorace, ult. op. cit., p. 349.
152
Relativamente allo sviluppo di strutture di regolazione europee, in senso nazionale e specialmente
comunitario, cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., allegato, n. 40 e, soprattutto, 53 ss.; A.
Argentati, L’organizzazione comunitaria delle autorità garanti della concorrenza, in Giorn. dir. amm.,
2003, p. 1199 ss.
47
generali sottesi ai servizi e le regole (e le libertà) del mercato unico, oltre che
nell’esercizio dei relativi poteri di amministrazione153; il secondo, invece, largamente
diffuso in materia di SIEG, si configura come principio strumentale al rispetto di altri
principi generali, quali quelli di legalità, uguaglianza e non discriminazione154.
In merito al principio di sussidiarietà155, invece, esso si connota per una naturale
elasticità verticale (art. 5 TCE) sia nel rapporto tra Ue e Stati che, ai sensi del nuovo
testo dell’art. 118 Cost., nel riparto di competenze amministrative infrastatuali, oltre che
nel richiamo implicito che ne fanno l’attuale l’art. 16 TCE e il futuro art. III-6 della
Costituzione europea proprio in materia di SIEG. Tanto nella sua versione verticale,
quanto in quella orizzontale (in riferimento al rapporto tra pubblico e privato), la sua
applicazione ai SIEG dipende dallo sviluppo tecnologico, economico e sociale, che da
un lato ingenera incessantemente nella società nuove esigenze ed attività, suscettibili di
153
Cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., n. 23. Quali esempi
di applicazione più tipicamente amministrativa del principio, si ricordi la quota di contribuzione di
un’impresa al fondo di compensazione del servizio universale deve essere proporzionale all'attività che
essa svolge nel mercato (cfr. ibid., n. 15); o ancora, le condizioni per il rilascio di autorizzazioni generali
in materia di comunicazione elettronica, che devono essere obiettivamente giustificate e proporzionali
(cfr. d.lgs. n. 259/2003, art. 28). In ambito ferroviario, invece, si ricorda come, qualora, il gestore della
rete pretenda garanzie finanziarie dalle imprese richiedenti capacità infrastrutturale per prestare servizi di
trasporto, tali condizioni devono essere tra l’altro, di livello congruo e proporzionale all’attività prevista
dal richiedente (cfr. d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188, art. 23, c. 9).
154
In chiave normativa, si pensi all’obbligo, per gli Stati membri, di definire “in piena trasparenza” le
missioni dei servizi d'interesse generale (cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di
interesse generale, cit., n. 9); all’obbligo di recepire la normativa comunitaria sulle comunicazioni
elettroniche, approntando meccanismi trasparenti di ripartizione dei costi netti derivanti dagli obblighi di
servizio universale (cfr. direttiva CE n. 22/2002, considerando 23). In chiave amministrativa, invece, si
ricordino: la necessità di applicare i suddetti meccanismi in modo trasparente; l’elaborazione la
determinazione di tariffe regolamentate, secondo criteri trasparenti predeterminati, dei servizi all’utenza e
di quelli di interconnessione, rispettivamente con i c.d. price cap e network cap (cfr. legge 14 novembre
1995, n. 481, art. 2, c. 18; per il network cap in particolare, cfr. in ultimo Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, delibera 3/03/Cir, Criteri per la predisposizione dell’offerta di riferimento 2003 mediante
l’introduzione di un sistema programmato di adeguamento delle tariffe massime applicabili, in
www.agcom.it); la trasparenza delle condizioni per il rilascio di autorizzazioni generali alla fornitura di
reti o servizi di comunicazione elettronica, per i diritti d'uso delle frequenze radio dei numeri (cfr. d.lgs. n.
259/2003, art. 25 ss.); o ancora, gli obblighi di separazione contabile o societaria imposti agli operatori
nelle singole discipline settoriali. Inoltre, il principio in esame trova espressione anche negli obblighi di
predisposizione trasparente e comprensibile di tariffe, condizioni e clausole contrattuali applicate
all’utenza (cfr. Rangone, ult. op. cit.).
155
Al riguardo, v. amplius G. Pizzanelli e G. Bonadio, in questo volume.
48
implicare (in tutto o in parte) un interesse generale; dall’altro, invece, governa la
distinzione fra attività economiche e non economiche in modo dinamico ed evolutivo156.
L’approccio comunitario ai servizi pubblici ha privilegiato nel tempo la via degli
interventi settoriali completi (nei casi di energia, comunicazioni elettroniche, poste e, in
parte, trasporti). Ove manchino tali normative, si sono sempre riconosciuti come
primari, proprio in ragione di detto principio di sussidiarietà, il ruolo e la libertà delle
autorità pubbliche statali di pertinente livello (locale, regionale o nazionale),
nell’indicare i SIEG, nell’organizzarne la fornitura e nel definirne gli obblighi157.
Tale assetto, osserva la Commissione, se da un lato consente agli Stati membri di
elaborare politiche che non trascurino circostanze specifiche di livello nazionale,
regionale o locale, dall’altro, in assenza di una normativa specifica condivisa, può però
creare incertezze giuridiche e distorsioni del mercato158.
Ciò posto, un testo di valore generale in materia di servizi pubblici (sia esso di
dimensione europea ovvero nazionale) potrebbe presumibilmente fornire alle
amministrazioni pertinenti indicazioni per l’individuazione dei SIEG, oltre che dei
soggetti deputati a giudicare la legittimità di tale tipo di decisione159. In tal senso
cospirano, del resto, i riferimenti visti in ambito nazionale a valori e parametri di rango
156
Cfr. Commissione europea, Libro verde, cit., n. 45. Anche per questo motivo la Commissione non
ritiene né fattibile né auspicabile fissare a priori un elenco definitivo di tutti i servizi di interesse generale
“non economici” (cfr. Commissione europea, Relazione al Consiglio europeo di Laeken, cit., n. 30).
157
Cfr. Commissione europea, comunicazione sui Servizi di interesse generale, cit., premessa; Libro
verde, cit., n. 77.
158
La Corte di Giustizia, in particolare, suggerisce come anche misure pubbliche di organizzazione o
sostegno a servizi di dimensione locale, possono incidere sul commercio tra Stati membri in modo
distorsivo (cfr. in materia di trasporto locale, CGCE, 24 luglio 2003, n. C-280/00, Altmark Trans n. 77:
«non è affatto escluso che una sovvenzione pubblica concessa a un'impresa attiva solo nella gestione di
servizi di trasporto locale o regionale e non di servizi di trasporto al di fuori del suo Stato d'origine possa,
tuttavia, incidere sugli scambi tra Stati membri»; cfr. anche Tribunale di primo grado, 28 gennaio 1999, n.
T-14/96, B.A.I., n. 77, in Racc. 199, II-139, e la giurisprudenza ivi richiamata).
159
Ciò si innesta nella problematica più generale della giustiziabilità del principio di sussidiarietà. In
attesa di una qualche utile indicazione giurisprudenziale, per ciò che qui interessa, il problema viene posto
in sede comunitaria nel Libro verde e, più in generale, nel progetto di Costituzione europea (art. 9). In
campo nazionale, esso rileva costituzionalmente soprattutto in merito ai rapporti verticali tra Stato ed
amministrazioni territoriali (art. 118, c. 1 Cost.), mentre ancora incerta appare la sua configurazione in
riferimento alla sussidiarietà orizzontale (art. 118, c. 4).
49
costituzionale, per il rispetto dei quali determinati servizi possono essere gravati da
particolari missioni di interesse pubblico.
II.4. Considerazioni conclusive
Quale che siano natura e sviluppi dell’ipotizzato statuto dei servizi pubblici160,
difficilmente contestabile appare l’assunto per cui l’amministrazione degli interessi
generali sottesi alle attività di servizio pubblico si sostanzia sempre di più in una
contaminazione ed integrazione reciproca fra tradizioni ed ordinamenti nazionali di
servizio pubblico da un lato, e principi e modelli di origine comunitaria dall’altro.
L’adozione di uno strumento quadro (o statuto) costituirebbe un’evoluzione di
tale sinergia, dove gli opposti sembrano destinatati non tanto a prevaricarsi, quanto ad
annullarsi in un’architettura normativa e amministrativa sempre più integrata ed
omogenea. In essa presumibilmente, sopravvivrebbero, coesistendo, nozioni e strumenti
dell’amministrazione dei SIEG (regolazione, gestione pubblica, servizio pubblico,
servizio universale, regole di concorrenza ecc.), propri tanto dell’ambito nazionale,
quanto di quello comunitario, «secondo equilibri di volta in volta variabili, esattamente
come variabili lo sono stati in passato nella storia della tradizione continentale»161.
Detta architettura prescinderebbe dai confini nazionali, ed avrebbe come obiettivo
primario non più la sola realizzazione di un mercato unico ma anche l’amministrazione
(e la soddisfazione) degli interessi generali, calibrata di volta in volta secondo gli
160
In merito all’incerta configurazione giuridica di un testo quadro (anche qualora esso costituisca
oggetto di un regolamento ai sensi del futuro art. III-6 della Costituzione europea), cfr. D. Sorace,
intervento al Convegno sul “Diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento comunitario e
ordinamenti nazionali”, cit., il quale, scartando l’irrealistica prospettiva di una collocazione di livello
costituzionale, giudica improponibile anche l’ipotesi di una normativa derivata vincolante di tipo
residuale, stante la diversità dei servizi da disciplinare. Sull’incerta opportunità di adozione di simile atto,
cfr. anche Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse generale,
cit., n. 4.3 ss.
161
Cfr. Sordi, op. cit., p. 602. Cfr. anche Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde
sui servizi di interesse generale, cit., n. 4.2 ss.
50
strumenti più idonei (siano essi di tipo privatistico e liberamente concorrenziale, ovvero
riconducibili alla regolazione e/o alla gestione pubblica diretta)162.
In tal senso lo Statuto di cui sopra avrebbe necessariamente il vincolo di
distinguersi dai precedenti tentativi (di impronta nazionale) di codificazione di una
disciplina per principi dei servizi pubblici, “interfacciando” gli ordinamenti nazionali
con quello comunitario (entrambi chiamati poi a confrontarsi con il progredire
dell’ordinamento commerciale mondiale)163 in una prospettiva di amministrazione
integrata dei SIEG164.
162
In tal senso riveste grande importanza simbolica la norma di cui all’art. 3, c. 9 della direttiva 2003/54,
cit., la quale prevede che «gli Stati membri inform[i]no la Commissione di tutte le misure adottate per
adempiere agli obblighi relativi al servizio universale e al servizio pubblico, compresa la tutela dei
consumatori e dell'ambiente, ed in merito ai possibili effetti sulla concorrenza nazionale ed
internazionale, a prescindere dal fatto che tali misure richiedano o meno una deroga alla presente
direttiva. Successivamente essi inform[i]no ogni due anni la Commissione delle modifiche apportate a
dette misure, a prescindere dal fatto che tali misure richiedano o meno una deroga alla presente direttiva»
(laddove il precedente art. 3, c. 2 della direttiva 96/92 sembrava imporre unicamente la comunicazione di
obblighi di servizio pubblico che, imposti sulla base dell’art. 86 TCE, implicassero deroghe alle regole di
concorrenza).
163
Al riguardo, cfr. Relazione sulla consultazione pubblica in merito al libro verde sui servizi di interesse
generale, cit., n. 4.10.
164
Cfr. sull’argomento F. Munari, La disciplina dei c.d. servizi essenziali tra diritto comunitario,
prerogative degli Stati membri e interesse generale, in Dir. Ue, 2002, p. 58 ss.
51