Cesare Cremonini in “salsa napoletana”

giovedì 18 ottobre 2012
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SPETTACOLI
STASERA RIFLETTORI PUNTATI SU “LINAPOLINA”, PERCORSO TEATRALE E MUSICALE DELLA CANZONE NAPOLETANA
La Sastri inaugura la nuova stagione del “Diana”
di Alessandra Carloni
NAPOLI. La nuova stagione teatrale 2012-2013 del teatro Diana
s’inaugura stasera con il graditissimo ritorno di Lina Sastri (nella
foto) in scena con il suo nuovo spettacolo concerto dal titolo
“Linapolina”. Si tratta di un percorso teatrale e musicale della
canzone napoletana, con struttura drammaturgica e musicale che si
avvale della personale scelta e interpretazione artistica di Lina Sastri.
«Il mio nome finisce con l’inizio del nome della mia città - afferma
l’artista - il nome della mia città finisce con l’inizio del mio nome, il
nome della mia città comincia con la fine del mio nome, il mio nome
comincia con la fine del nome della mia città. “Linapolina”. Ho
provato a dirlo come un unico suono, e sembra proprio di dire, di
cantare, sempre Napoli, senza fine, Napoli, all’infinito. È per questo
che ho voluto chiamare così questo spettacolo, questo concerto in
musica e parole dove racconto la mia terra con la sua musica
L’INTERVISTA
immortale, infinita, accompagnata da otto musicisti, passando, come
sempre, dalla parola alla musica, alla danza, in un flusso dell’anima
che va e viene, come il mare. Come sottotitolo ho scelto “le stanze del
cuore” perché, scrivendolo, provandolo, mi sono accorta che ogni
parola, verso, o nota visitava uno spazio del palcoscenico, faceva
vivere emozioni e pensieri. Per la prima volta, ogni parola è scritta da
me, ogni verso è nato di getto, e così è rimasto, e l’ho collocato nello
spettacolo, che così è diventato una “cantata poetica in musica”.
Cominciai con “Cuore mio” a raccontare la mia musica che si fa teatro,
e poi seguirono “Melos”, “Corpo celeste”, “Mese Mariano”, e poi le
parole de “La casa di Ninetta”, fino a “Per la strada”, dove scelsi la
musica napoletana contemporanea. Ora è tempo di ritornare a casa,
quella conosciuta, ma con il bagaglio di questi anni, che mi hanno
fatto mescolare da sempre strumenti e note senza fermarmi alle vie
conosciute, ma cercando, sempre, vie nuove di musica, percorsi che
non hanno paura di cantare la tradizione senza limitarsi alla
tradizione, cercando
nella musica il teatro,
guardando ad ogni
canzone come a un
momento di
emozione da
comunicare con la
voce, con il canto,
con il corpo, con il
cuore, con l’anima.
Con la scelta degli
strumenti e dei colori
della musica, con la luce, con i silenzi. La libertà è la nota più bella,
me la concedo, è il regalo più grande che mi fa la musica, è per questo
che la scelgo, oggi più che mai, come una tappa importante della mia
vita dedicata al teatro e all’arte».
IL CANTAUTORE, AFFIANCATO DALLA BAND PARTENOPEA “LE STRISCE”, CHIUDERÀ IL TOUR AL PALAPARTENOPE
Cesare Cremonini in “salsa napoletana”
di Gigi Avolio
NAPOLI. Con il suo nuovo album
di inediti, “La teoria dei colori”, che
arriva dopo tre anni dal suo ultimo
disco in studio e due dalla doppia
raccolta celebrativa dei suoi “primi
dieci anni di carriera”, Cesare Cremonini è stabilmente in classifica
da qualche mese e tra qualche
giorno darà inizio al suo tour che
si concluderà al Palapartenope il
15 novembre. La novità di questi
concerti è che Cesare Cremonini
ha scelto la band napoletana de
“Le Strisce”, per aprire ogni sua
serata, un’occasione speciale per
Davide Petrella e compagni per farsi maggiormente conoscere, dopo
la mancata partecipazione a Sanremo. “La teoria dei colori” evidenzia segni di continuità con le
sue più recenti creature del cantautore bolognese, un lavoro che
mescola influenze musicali di vario genere, intrecciandole su testi
permeati di sensibilità e poesia, un
album che risente anche delle sue
esperienze cinematografiche e letterarie (da poco ha recitato per Pupi Avati, composto due colonne sonore e scritto un libro) perché si dipana dal primo all’ultimo brano come un racconto compiuto che procede per capitoli ed episodi partendo da “Il comico” fino al “the
end” segnato dal brano “Il sole”. «Il
titolo “La teoria dei colori” - spiega
l’artista bolognese - è una scelta
di continuare su una strada di varietà che caratterizza i miei dischi,
cioè quello di non rimanere imprigionato in un genere musicale che
abitua te stesso e chi ti segue ad
uno standard. Cerco sempre di
esplorare la musica come si esplora una terra in un viaggio, cercando le diversità con curiosità discoprire il panorama dietro la curva.
La bilancia tra passione ed esperienza si fa sempre più equilibrata, per cui la completezza sia il risultato di una passione fatta di
esercizio, voglia di sperimentare e
semplicità, perché nonostante la
voglia di mischiare le carte, il sentimento che cerco di raccontare è
sempre più puro, perché l’idea di
dimostrare qualcosa si fa più lieve
e cresce la consapevolezza e la sicurezza nella musica».
“La teoria dei colori” è una
specie di ossimoro musicale:
si lascia ascoltare, è radiofonico ma non è commerciale...
«È vero è un disco che non si chiude in una nicchia di ascolti eppure non è un disco che si possa considerare commerciale, nel senso
più impaurito del termine. È un album che si fa ascoltare, tutti i brani hanno caratteristiche adatte a
passare in radio ma non sono commerciali. Non è facile parlare di due
aspetti così contrapposti che però
riescono a procedere insieme».
Se dico che in questo disco ci
sono aspetti cinematografici,
letterari e musicali della tua
personalità?
«Credo che tu abbia ragione perché i linguaggi utilizzati sono tutti quelli che io amo: c’è l’intimismo
con l’arrangiamento cinematografico a sostenerlo, il pop più leggero ma con contenuto sincero e
spontaneo che mi lega alla storia
Il cantautore bolognese Cesare Cremonini
dei Lunapop, c’è qualcosa come
ne “Il comico” che mi lega a “Mondo”, cioè musica e parole che fondono la tradizione italiana con la
musica inglese internazionale. Per
questo disco ho ricevuto una serie
di complimenti, senza voler sembrare presuntuoso, sia da colleghi
che hanno un approccio musicale
improntato al passato, che da quelli che sperimentano o che sono più
rockettari o che cercano soluzioni
più intime. E tutto coincide con
quello che ascolto io, la tradizione
della musica italiana (da Paoli a
Battisti), la musica inglese (dai
Beatles e Queen fino a Arctic Monkeys e Kasabian) fino al crossover,
questa è la mia cifra stilistica».
Le storie hanno un loro incedere per capitoli, dal primo all’ultimo.
TEATRO
«È vero, qualcuno lo definisce concept album, ma non era nelle mie
intenzioni anche se ne è venuto
fuori un disco di concetto: non c’è
la pretesa di uscire da quello che è
una storia di emozioni e sentimenti
umani in cui il contesto sociale
sembra implicito».
Senza scadere nel gossip, questo disco racconta di te e delle tue vicende personali degli
ultimi anni come un diario
musicale?
«Assolutamente sì, “Il comico” è il
momento dell’incontro con qualcuno, “Il sole” è il momento in cui
si riparte da soli, e in mezzo ci sono le varie vicende. Tutto è avvenuto in maniera naturale e non cercando forzatamente di ottenere
questo risultato: è un racconto
completo di tutti i suoi capitoli, ma
al tempo stesso è un capitolo della mia vita. Anche “Maggese” raccontava la fine di una storia, ma
essendo passati 5 anni nella mia
anagrafe ho un ventaglio di emozioni più ampio e complicato da
descrivere, ho un modo più fluido
di comporre che mi permette di
raccontare le sfumature e non solo le immagini forti ed esplosive di
un sentimento».
In due interviste dello scorso
anno, Lucio Dalla che non
amava il termine erede, ti definiva il prosecutore di una
certa creatività, hai sentito il
peso di questa investitura?
«La voglia di spingere un linguaggio che appartiene alla mia terra e
parlare di musica italiana con un
certo spessore è una responsabilità che è cresciuta dopo la sua
scomparsa. Viene spontaneo, non
solo a me, non dimenticare e portare avanti gli insegnamenti che
Lucio ha dato al nostro Paese e alla nostra vita. Dall’altro lato non mi
metterò mai in competizione con
persone che hanno vissuto un’epoca d’oro della scrittura e della loro
sensibilità che gli ha permesso di
scrivere cose inarrivabili. Mi pongo nei confronti di Lucio come un
allievo e non come un prosecutore».
Concluderai proprio a Napoli
il 15 novembre al Palapartenope il tuo tour...
«Parto da Torino e chiudo a Napoli e non è una casualità, ho scelto
Napoli perché ha il pubblico più
caldo d’Italia: vorrei dire d’Europa
ma non ho esperienze per fare confronti. Il boato di un palasport, che
per scelte artistiche ho deciso di
rimandare fino ad ora, è una sensazione che questo disco richiama: per cui chiudo a Napoli. Boglio sentire e godermi l’esplosione
finale, voglio che sia il tour più
energico della mia carriera».
LA PRESENTAZIONE OGGI AL TEATRO IL PICCOLO
“Confini e Frontiere”, la rassegna
di teatro e pedagogia per studenti
NAPOLI. Nel 20° anniversario del-
l’attività, oggi alle ore 17.30 al teatro Il Piccolo di Fuorigrotta, prende il via, la XIV edizione di “Confini e Frontiere” la rassegna di teatro e pedagogia teatrale dedicata
a studenti e docenti della scuola
dell’infanzia, primaria, scuola secondaria di primo e secondo grado e università. Il progetto, ideato
e promosso dalla “Cooperativa
Teatrale Magazzini di Fine Millennio” diretta da Salvatore Cipolletta (nella foto), si avvale anche
quest’anno di collaborazioni di rilievo sul piano didattico ed artistico che da ottobre a giugno daranno vita ad un programma ricco di numerose attività complementari. Linguaggi differenti, come la favolistica antica e moderna, narrazione e mito, il teatro interattivo in lingua inglese e francese, teatro e opera lirica, performance sull’ecologia e su questioni etiche di grande attualità, lo studio di autori classici e contemporanei, saranno adoperati per affrontare diverse tematiche dal valore didattico ed educativo. «“Confini e Frontiere” - annuncia Cipolletta - conferma la collaborazione
con alcune associazioni ed istituzioni distribuite sull’intero territorio regionale, nelle città e province di Napoli, Salerno, Benevento,
Avellino e Caserta, in particolar
modo vogliamo segnalare la programmazione parallela della rassegna che si svolgerà per il terzo
anno consecutivo presso il “Teatro Centro Sociale Cantarella”, nella zona orientale di Salerno, in collaborazione con l’associazione culturale “TeatrAzione”. Il tangibile
successo di “Confini e Frontiere”,
nonostante le oggettive difficoltà
che sul piano sociale ed economico investono il nostro Paese e la
nostra scuola pubblica, ci sprona
a realizzare il programma 20122013 in maniera sempre coraggiosa, attraverso la proposta di
molteplici attività dedicate al complesso universo dell’istruzione, dell’educazione e della formazione,
confermando l’attenzione sulla didattica e alla pedagogia teatrale.
Sarà, inoltre, illustrato il programma della stagione teatrale 20122013 con le principali proposte e
con la consegna di materiale illustrativo con tutti gli appuntamenti. A seguire sarà rappresentato lo
spettacolo “L’uomo, la bestia e la
virtù”, da Luigi Pirandello, con Igor
Canto, Tiziana Cilumbriello, Ciro
Pero, Cristina Recupito ed Antonella Valitutti. L’adattamento e la
regia sono di Igor Canto.
ROSARIO FERRO SARÀ IL PROTAGONISTA DELLA COMMEDIA “IL MEDICO DEI PAZZI”
«Dobbiamo mantenere la memoria storica»
di Mimmo Sica
NAPOLI. «Non bisogna avere
paura di propagandare
Scarpetta, perchè, così facendo,
non si perde la considerazione
di essere uomini di cultura». È
l’incipit della presentazione
fatta da Rosario Ferro (nella
foto) del suo adattamento de “Il
medico dei pazzi” nel corso
della conferenza stampa che si
è tenuta all’“Intramoenia” di
piazza Bellini. Lo spettacolo
andrà in scena dal 25 ottobre al
4 novembre al Teatro Bracco.
Con l’attore e regista erano
presenti alcuni artisti storici
della “Compagnia Bianca
Sollazzo” e cioè Anna D’amato,
Pino Pino e Carmine
Gambardella e altri giovani
come Ida Carrieri, Antonio
Stoccuto e Aurelio De Matteis.
Il cast è completato da Noemi
Coppola, Nancy Fontanella,
Armando Iodice, Felice Pace,
Filippo Rossi e Rino Soprano.
C’è, anche, la presenza
amichevole del baritono
Maurizio Esposito che farà una
breve introduzione di canzoni
allegre e chiuderà lo spettacolo
con un tango. Le scene sono di
Vittorio Barresi (Quintessenza).
I costumi di Rosaria Riccio. Le
musiche di Marco Mussomeli.
Le luci di Enzo Piccolo.
L’organizzazione di D.
Gambardella. Le acconciature di
Enny Arte e Moda Coiffeur
Arzano. La produzione di
Anfhoras production. «Con
questa conferenza stampa - ha
continuato Ferro - non posso
aggiungere nulla a “Il medico
dei pazzi”, un testo ambientato
nel 1908 e nato più o meno
nello stesso periodo, perchè su
questo lavoro si è detto tutto.
Allora la mia presentazione ha
un’altra finalità perchè ho preso
coscienza che questo tipo di
teatro, quello classico, di
tradizione, sta diventando a
Napoli teatro di nicchia. È
giunto, quindi, il momento che
io mi esprima. Faccio teatro dal
1978 e da quella data ad oggi ho
fatto almeno uno “Scarpetta”
all’anno. Mi hanno chiamato
per tanto tempo “‘o guaglione”
sia quando lavoravo con Bianca
Sollazzo sia quando recitavo,
con attori più grandi di me, al
teatro Totò. Oggi ho 52 anni e
non sono più “guaglione” e
sono orgoglioso di dire che a
Napoli chi “fa” ancora il teatro
di Scarpetta sono solo io.
Questa constatazione, da un
lato mi inorgoglisce, dall’altro
mi rattrista. La nostra memoria
storica va mantenuta anche se
nell’adattamento di questo
lavoro mi sono un poco
discostato dai canoni
tradizionali. La compagnia,
infatti, è giovane come lo sono i
tempi. I tre atti originari sono
diventati due senza che questo
abbia comportato
stravolgimenti. Ho solo dato
un’accelerata eliminando un
intervallo per evitare che il
pubblico si stancasse. Oggi è
improponibile presentare uno
spettacolo che duri tre ore.
Nella mia rappresentazione non
c’è turpiloquio e lo sottolineo
perchè ritengo che per fare
ridere non occorre cadere nella
volgarità. Le situazione
“scarpettiane”, caratterizzate
da un dolce doppio senso, sono
da sole capaci di innescare quei
meccanismi che generano
comicità ed empatia tra
pubblico ed attori.
Conseguentemente “Il medico
dei pazzi” può essere visto da
adulti, veccchi e bambini. Ho
voluto, poi, ricreare con molta
attenzione gli elementi scenici
di inizio Novecento e per
questo Vittorio Barresi ha
utilizzato delle scene fondali
molto belle che faranno da
cornice a quello che io definisco
“un quadretto d’epoca”. Anche i
costumi di Rosaria Riccio sono
stati fatti in pieno accordo con i
colori e le tele scelte dallo
scenografo in maniera tale che
tutto diventa un acquarello.
Con il mio spettacolo non
intendo dare messaggi nè
proporre chiavi di lettura.
Abbiamo bisogno anche di
ridere per il gusto di ridere,
oltre che riflettere e pensare su
tematiche più complesse».