G. Limone, Comunità civile, patria, nazione: una costellazione semantica nel pensiero di Antonio Rosmini, in Vanda Fiorillo e Gianluca Dioni (a cura di), Patria e Nazione. Problemi di identità e di appartenenza, FrancoAngeli, Milano 2013, ISBN 978-88-2044012-1, pp. 167-186. (36) Giuseppe Limone COMUNITÀ CIVILE, PATRIA, NAZIONE: UNA COSTELLAZIONE SEMANTICA NEL PENSIERO DI ANTONIO ROSMINI 1. Il significato di un pensatore È occorso più di un secolo di studi e di ricerche, e ancora altri decenni occorreranno, per illuminare appieno la figura e la forza di Antonio Rosmini (Rovereto, 1797 – Stresa, 1855), pensatore rigoroso che nella prima metà dell’Ottocento ha significato una vera novità nel panorama filosofico nazionale e internazionale, novità di cui solo oggi forse riusciamo a misurare la portata. Gli studi recenti hanno progressivamente chiarito come il pensiero rosminiano, dalla giovinezza alla maturità, sia stato caratterizzato da una linea direttrice che, mentre manteneva certe opzioni di fondo, progressivamente si liberava di alcuni impacci teoretici e di alcune timidezze tradizionaliste. In questa prospettiva, Antonio Rosmini ha significato, nell’ambito della temperie romantica, l’esplorazione di quel paradosso sintetizzabile nella formula teorico-politica del “cattolicesimo liberale”, là dove il cattolicesimo indicava una scelta certa per la religione cattolica e il liberalismo una scelta, altrettanto certa, per la libertà della coscienza. Una tale locuzione storicamente si presentava per niente scontata, anzi istituiva per molti versi uno statuto ossimorico, aporetico e paradossale. Certamente, non ha giovato alla comprensione di Antonio Rosmini l’essere, al tempo stesso, sacerdote cattolico e pensatore liberale, perché questa condizione ha attivato contro di lui gli opposti pregiudizi che venivano dalla cattolicità antiliberale e dal liberalismo anticlericale. La sfida di Antonio Rosmini nei confronti dei suoi tempi, condotta con originalità e con coraggio, ha significato per lui il destino di essere, per modello di impostazione, un pensatore postumo, in quanto colloquiava con tempi che non erano in grado di capirlo. Neppure un secolo è bastato per misurare il suo pensiero. 1 In queste pagine non intendiamo affatto ripercorrere ciò che altri studi hanno già chiarito nella ricostruzione della ponderosa produzione rosminiana1 ma semplicemente mostrare come, a partire da queste stesse ricerche, in Antonio Rosmini venga progressivamente alla luce un programma speculativo, anche inconsapevole, che, rispettando certe coordinate, segue una precisa direzione. Si tratta, cioè, di ricostruire la scatola nera che, attraverso certi nessi cruciali, ha operato lungo tutto l’itinerario intellettuale e spirituale del pensatore di Rovereto. In questa luce, alcuni centri teoretici di fondo si contrastano e si chiariscono a vicenda, facendo emergere i lineamenti di un nuovo paradigma, tutto da disoccultare nelle sue diramazioni specifiche. Crediamo, in questa prospettiva, che nell’itinerario filosofico di Antonio Rosmini possano individuarsi tre filoni fondamentali, distinti e connessi, dal cui complessivo travaglio emergerà la fisionomia del Rosmini maturo: il filone religioso, il filone speculativo, il filone storico-politico. A nostro avviso, per capire a fondo il percorso rosminiano, bisogna riconoscere, nell’intreccio del filone religioso col filone speculativo, la strategia teoretica che comanda l’evoluzione dell’insieme. Nella filosofia di Antonio Rosmini, infatti, i due filoni non possono essere separati, anche se mantengono una loro rigorosa autonomia ideale e procedimentale. Dentro il filone religioso si legge l’agire della forza speculativa e dentro il filone speculativo si sente l’agire del sentimento religioso. Qui si percepisce una meditazione profonda sull’evangelo che è notizia, buona notizia, così come, nella persona, l’idea dell’essere è notizia, radicale notizia dell’essere che è. Ciò accade all'interno di una evoluzione complessiva in cui i due percorsi, pur illuminandosi a vicenda, mantengono una loro rigorosa autonomia, realizzando una matura laicità. Nel suo itinerario Rosmini descrive, per così dire, nella fenomenologia della sua meditazione, l’ontologia di un’etica e l’etica di un’ontologia. Se è vero, infatti, che nell’etica di Rosmini si disvela un’ontologia forte a fondamento, è contemporaneamente vero che questa ontologia è ulteriormente retro-comandata da un’etica fondamentale, nei cui lineamenti vivono le postille di un’ontologia da leggere in trasparenza2. Dentro il pensare l’etica c’è un’etica del pensare, e dentro questa etica del pensare si fa progressivamente luce ciò che non appare all’inizio ma si svela alla fine, mostrandosi come il punto di partenza dell’esistere personale, della coscienza personale, della persona intesa come «diritto sussistente», come diritto inviolabile al quale lo stesso Dio deve riconoscere forza di dignità. È a partire da questo nucleo di fondo, contemporaneamente speculativo e religioso, che appare alla fine ciò che opera fin dall’inizio, andando a costituire l’architettura del lavoro intellettuale di Antonio Rosmini come studioso e come uomo. In tale orizzonte, il filone speculativo e il filone religioso, 1 Come è noto, è in corso di pubblicazione da anni, presso il Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, l’intera opera di Antonio Rosmini, per i tipi di Città Nuova Editrice. 2 Su questo punto vedi Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo, Graf, Napoli 2005, pp. 85 ss. 2 nell’incrociarsi, l’un l’altro si purificano, delineandosi nel loro rigore essenziale: il filone speculativo non accetterà mai di perdere di vista il sentimento fondamentale della persona come singolarità sussistente e il filone religioso non accetterà mai di perdere di vista il sentimento fondamentale della coscienza personale. In questo senso, da un lato l’idea di essere, dall’altro l’idea di persona e dall’altro lato ancora l’essere come fondamento costituiscono le tre stelle cardinali alla cui luce si delinea il percorso del Rosmini storico e politico, assertore della coscienza nazionale e dell’idea della patria. L’essere ideale (ossia l’idea innata dell’essere), la persona (ossia la singolarità sussistente) e l’essere (ossia la realtà ontologica non riducibile al pensiero che, pur essendone momento, la pensa) vanno a incrociarsi più compiutamente nella formula rosminiana costituita dall’essere ideale, dall’essere reale e dall’essere morale, là dove, a ben vedere, l’essere ideale (ossia l’idea dell’essere) è l’essere in quanto contenuto in traccia di notizia nella sua idea, l’essere reale è l’essere in quanto sussiste e l’essere morale è l’essere in quanto ama ed è amato. In realtà, in questa formula trinitaria si condensa, in Rosmini, la verità della persona singola in quanto si relaziona all’essere di ogni altra persona: la persona singola, infatti, nel suo sussistere, vive in sé l’idea dell’essere e l’amore dell’essere, che, consapevole della limitatezza radicale da cui muove, investe sia il proprio essere sia ogni altro essere, nel loro ordine costituiti, restando a fondamento di tutto l’assoluto Essere, Dio. Si potrebbe forse dire, in una versione radicalizzata della formula rosminiana, che, in un richiamarsi ascendente di tracce, come l’essere ideale contiene e annuncia l’essere reale, così l’essere reale contiene e annuncia l’essere morale, là dove ogni traccia annunzia ciò che radicalmente la eccede3. Tutto il percorso filosofico-politico di Rosmini, centrato sull’idea di una società civile e dei suoi singoli membri, non può essere separato da questa architettura speculativa che perennemente gli soggiace. 3 Come abbiamo altrove sottolineato (Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo, cit., pp. 85-89), ciò che è da pensare a fondo è uno dei punti di partenza del pensiero di Antonio Rosmini: l’essere ideale, ossia l’idea di essere. Come è noto, questa idea è considerata da Rosmini forma dell’intelligenza. Poiché una tale forma è da intendere, per lui, come distinta realmente e non intellettualmente dalla mente, ci troviamo di fronte all’idea di un “qualcosa” che è nella mente ma non è della mente. Ciò significa, a considerar bene, più cose, più livelli del discorso. Innanzitutto, significa che questa idea, pur contenuta nella mente, deborda dalla mente. In secondo luogo, significa che questa idea dell’essere è idea di “qualcosa” che radicalmente eccede la sua idea. In terzo luogo, significa che questo “essere” contenuto nell’idea è da intendere, ancor prima che nel senso sostantivo di “ente”, nel senso accaditivo di un “esistere”, di un evento. In quarto luogo, significa che questo “essere” costituisce il nesso all’interno di un giudizio. In quinto luogo, significa che questo “essere” annuncia un evento fenomenologico, degno di essere indagato, sia in ogni esperienza esteriore sia in ogni esperienza interiore. In sesto luogo, significa che questo “essere” annuncia la possibile esistenza di un altro con cui mi relaziono. In settimo luogo, questo “essere” annuncia il darsi di un evento – l’essere – in cui da sempre si dà il mio stesso vivere. In ottavo luogo, significa che questo “essere” interrogativamente annuncia l’esistere di un “Chi” che in quell’essere si rivela. Sulle matrici di una tale esplorazione filosofica vedi Antonio Rosmini, Opere di Antonio Rosmini, Nuovo saggio sull’origine delle idee, Istituto di Studi Filosofici – Roma, Centro di Studi Rosminiani – Stresa, Tomo II del volume 4, a cura di Gaetano Messina, Città Nuova Editrice, Roma 2004. In questo tessuto di piani discorsivi sono rilevabili passi speculativi in cui sono riconoscibili problemi antichi della filosofia (Platone, Plotino, Agostino, Anselmo, etcetera) e le successive concezioni speculative in arrivo (la fenomenologia di Husserl, il pensare l’essere di Heidegger). 3 2. L’evoluzione di un pensiero Sono state osservate precise discontinuità tra gli scritti giovanili e gli scritti maturi del Nostro, ma è stata ugualmente messa in luce la sostanziale continuità di alcune intuizioni di fondo4. In una ricostruzione ragionata del materiale rosminiano possiamo individuare fin dai suoi primi studi l’interesse critico, anche polemico, nei confronti della Rivoluzione francese e l’interesse specifico per il senso della storia e delle istituzioni che emerge dalla Scienza nuova di Giambattista Vico. Il giovane Rosmini, cioè, pensa al tempo stesso la Rivoluzione francese e la storia di Giambattista Vico: è in questa contemporanea presenza che possiamo scorgere alcuni vettori della sua evoluzione successiva. Rosmini muterà progressivamente il suo atteggiamento nei confronti della Rivoluzione francese, pur senza perdere mai la necessaria distanza critica da essa, ma ciò egli farà alla luce di una meditazione sempre più consapevole e profonda sulla storia delle istituzioni alla luce del pensiero vichiano. Questi due interessi storico-teorici, quello per la Rivoluzione francese e quello per la storia vichiana, sono certamente comandati da un genuino sentimento religioso che sottolinea l’importanza di individuare limiti all’arbitrio politico, comunque esso si esprima sul piano storico. Ciò determinerà nel giovane Rosmini, come è stato acutamente sottolineato, l’emergenza forte di due interessi teoretici: la critica del dispotismo e la sensibilità alla storia come generatrice dello spirito nazionale. Questi due temi di fondo si mostrano, in questa prima fase, ancora contrassegnati da due limiti: da un certo “patrimonialismo”, in cui appare ancora notevole l’attenzione al criterio della proprietà privata come caratteristica cetuale, e da un certo “tradizionalismo”, in cui risuona ancora corposo il ricorso agli argomenti che i tradizionalisti opponevano alla Rivoluzione francese (soprattutto J. De Maistre e L. von Haller). In questa fase cioè il giovane Rosmini impiegava come strumento critico contro il dispotismo la sensibilità religiosa. Certamente, nella sua prospettiva, testimone storica di questa sensibilità era la Chiesa cattolica, guardata come depositaria della fede cristiana. Si tratta, però, come apparirà dallo sviluppo del suo pensiero, di una sensibilità religiosa volta a un cristianesimo che, mentre è fede nel Cristo risorto, è anche forza di incivilimento e fattore di educazione al valore di ogni singolo uomo concreto, distinto da ogni altro. In questa sensibilità al fattore religioso come controlimite al potere politico alcuni hanno visto una vicinanza di Rosmini all’analisi di Alexis de Tocqueville, di cui il pensatore roveretano aveva attentamente letto gli studi sulla democrazia in America. 4 Vedi in proposito, fra gli altri, Gianni Xodo, Storia e politica negli scritti giovanili di Antonio Rosmini, in “Dialegesthai”, 13 (2011), in http://mondodomani.org/dialegesthai/gx02.htm, rivista online, (ISSN 1128-5478). 4 Se è vero che la critica al dispotismo è in questa prima fase ispirata soprattutto da motivi religiosi e se è vero che la critica alla Rivoluzione francese è ispirata anche a considerazioni storiche di ascendenza vichiana, bisogna dire che, d’altra parte, il pensiero di Antonio Rosmini si mostrerà sempre orientato, nella considerazione delle forme politiche, alla critica di ogni perfettismo, ossia di ogni concezione che ritenga possibile realizzare l’ideale della perfezione nel mondo umano. Antonio Rosmini sul punto magistralmente chiarisce: «il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata futura perfezione, è un effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un baldanzoso pregiudizio, pel quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica sopra una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere, e con mancanza assoluta di riflessione ai naturali limiti delle cose. In certo ragionamento, io parlai del gran principio della limitazione delle cose e ivi dimostrai che vi sono de’ beni la cui esistenza sarebbe al tutto impossibile senza l’esistenza di alcuni mali»5. Lo sviluppo del percorso rosminiano, a partire dagli anni Trenta, volgerà verso un approfondimento della sensibilità religiosa e della sensibilità politica. Questo approfondimento sarà dettato da un’istanza fondamentalmente etica, la quale approderà non a caso, nel 1838, all’opera L’ antropologia in servizio della scienza morale, là dove può cogliersi come il filone etico sia strutturalmente declinato all’interno di un’istanza antropologica, e in particolare all’interno di quella istanza che è la persona, ossia la singolarità sussistente. In questa prospettiva, la sensibilità religiosa condurrà il pensiero di Rosmini verso un’idea della Chiesa come fattore di liberazione nella misura in cui essa riesca a non farsi infeudare da alcun potere temporale e, d’altra parte, la sua sensibilità politica lo condurrà a maturare una critica dello Stato in nome della società civile. Questo duplice percorso, che Rosmini conduce sia sul terreno politico-giuridico sia sul terreno religioso, si esprimerà, da un lato, nel lavoro intellettuale costituito dalla Filosofia della politica, dalla Filosofia del diritto e dagli scritti sulle Costituzioni e, dall’altro lato, nel coraggioso lavoro rappresentato dall’opera Delle cinque piaghe della Chiesa6, là dove sarà sancito il principio per cui la Chiesa, per essere libera, deve essere povera e, per essere povera, deve essere libera. Attraverso il 5 Antonio Rosmini, parte introduttiva, cap. XIV, pp.104-105, in Opere di Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, Istituto di Studi Filosofici – Roma, Centro di Studi Rosminiani – Stresa, vol. 33, a cura di Mario d’Addio, Città Nuova Editrice, Roma 1997. 6 Antonio Rosmini, Delle cinque piaghe della Chiesa, 1848, edizione critica a cura di Valle, Centro di studi rosminiani, Città nuova, Roma 1981. In questa opera, come è noto, Antonio Rosmini individuava cinque piaghe della Chiesa, proponendo i relativi rimedi. Le cinque piaghe erano: la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico; l’insufficiente educazione del clero stesso; la disunione tra i vescovi, con i connessi fenomeni del servilismo verso il governo e dell’attaccamento ai beni ecclesiastici; la nomina dei vescovi lasciata al potere laicale; la servitù dei beni ecclesiastici, con la connessa critica al metodo delle offerte non libere e con la connessa raccomandazione di rinunciare ai privilegi e di pubblicare i bilanci. L’opera, che profeticamente anticipava alcuni momenti ispiratori del Concilio Vaticano II, fu condannata dalla Sacra Congregazione dell’Indice nel 1849, così come fu condannata anche l’altra opera rosminiana, La costituzione secondo la giustizia sociale, anch’essa pubblicata nel 1848. 5 primo percorso, quello politico, il Nostro arriverà a un affinamento sempre più rigoroso di una sensibilità politica espressa in termini giuridici e sociali, mentre attraverso il secondo percorso, quello religioso, perverrà a un’investigazione sempre più acuta su quella sensibilità religiosa che si fa carico del problema ecclesiale. In questo duplice itinerario, a ben vedere, unica è la chiave speculativa, che fa da istanza dirompente e da forza di illuminazione. Si tratta di una forza direttrice attraverso la quale tendono a esprimersi da un lato una sensibilità religiosa anti-temporalistica e, dall’altro lato, una sensibilità politica anti-statualistica. La chiave speculativa è una sola ed è la sensibilità alla persona, considerata come «diritto sussistente». In questa luce, la persona, in quanto singolarità, in quanto atto di esistere che sussiste, ossia esiste in sé e non come accidente di altro, non semplicemente «ha» diritti, ma «è» diritto: diritto di esistere, di vivere, di libertà. Qui il cattolicesimo di Antonio Rosmini è contemporaneamente atto di fede, atto di coscienza speculativa, atto di coscienza storica e atto di libertà. Ciò significa che gli interessi teoretici di Antonio Rosmini, che lavorano sottotraccia in tutta la sua opera, non sono affatto separabili dal suo percorso storico-politico e filosofico-politico, perché ne rappresentano invece la leva potente di trasformazione critica. L’idea della persona come diritto sussistente, cioè, fa maturare la sensibilità religiosa verso l’idea della libertà di coscienza e fa maturare la sensibilità politica verso l’idea di una nettissima prevalenza dell’idea di società civile su quella dello Stato7. Ciò accade in un’epoca, quella romantica, in cui da un lato si affermavano gli ideali nazionali del Risorgimento e, dall’altro lato, si andava strutturando l’importanza etica dell’esistenza di uno Stato. L’itinerario rosminiano di maturazione mostra come nel pensatore di Rovereto operasse con forza la percezione profonda di due pericoli: da un lato, il sospetto verso l’evoluzione autoritaria dello Stato e, dall’altro lato, il sospetto verso le tentazioni temporalistiche del corpo clericale della Chiesa. Rosmini, cioè, sapeva quanto lo spirito religioso dovesse guardarsi dai condizionamenti dei beni temporali e quanto lo spirito civile dovesse guardarsi dalle possibili pressioni autoritarie di quella creazione artificiale che è lo Stato. In questo orizzonte, può ben comprendersi come Rosmini abbia preso le distanze sia dal socialismo e dal comunismo, sia dalla concezione hegeliana che collocava lo Stato come culmine dell’eticità. Con quali specifici passi teoretici lavora in Rosmini l’idea di persona come diritto sussistente nei confronti dell’idea dello Stato? Proviamo qui a individuare la grammatica speculativa del Nostro nelle sue opzioni decisive. Il primo passo è dato dall’atto del far emergere la società civile 7 Sulla centralità della società civile nel pensiero di Antonio Rosmini ha lucidamente scritto in più testi Giorgio Campanini: Giorgio Campanini, Antonio Rosmini e il problema dello Stato, Morcelliana, Brescia 1983; ID., Antonio Rosmini, Il fine della Società e dello Stato, Edizioni Studium, Roma 1988; ID., Politica e società in Antonio Rosmini, AVE Editrice, Roma 1997. 6 come istanza autonoma rispetto allo Stato. Il secondo passo è dato dall’atto del distinguere da un lato le persone come diritti sussistenti e, dall’altro lato, le modalità di regolazione di questi diritti, là dove alla società civile spetta soltanto la forza di regolare le modalità dei diritti e non quella di attribuirli. In questa prospettiva speculativa, quindi, da un lato la società civile si eleva nei confronti dello Stato come istanza autonoma, non assorbibile dallo Stato, e, dall’altro lato, ogni persona si eleva nei confronti della società civile come diritto sussistente regolabile dalla società civile, ma autonomo rispetto ad essa e non assorbibile da essa. Potremmo dire, perciò, che la persona sta alla società civile come la società civile sta allo Stato. Né la persona può consumarsi nella società civile, né la società civile può consumarsi nello Stato. Qui, a ben vedere, emergono due prospettive della persona, entrambe costituenti del suo essere ciò che è. Infatti essa, in quanto diritto sussistente nei confronti di ogni potere statuale e di ogni diritto artificiale, è diritto personale incancellabile; e, d’altra parte, la stessa persona, in quanto diritto sussistente nei confronti di tutte le altre persone appartenenti alla società, è dovere sussistente che si fa carico della relazione con gli altri. La persona è diritto sussistente nei confronti del potere statuale e sociale ed è dovere sussistente nei confronti delle altre persone appartenenti alla società. 3. La rappresentanza: dalla società civile alla comunità civile Ma occorre, a questo punto, una precisazione essenziale, nitidamente ricostruibile dall’itinerario intellettuale del Nostro. Si tratta dell’emergere, nel suo pensiero, del problema storico-politico della rappresentanza8. Qui il filosofo roveretano, nel pensare alle possibili istituzioni politiche del futuro, individuerà due corpi rappresentativi ben diversi fra loro: da un lato, due Camere che vadano a realizzare, rispetto alla società civile, una rappresentanza degli interessi e, dall’altro lato, un Tribunale politico, di natura sia giurisdizionale sia politicamente propulsiva, che vada a realizzare una rappresentanza dei diritti propri di ogni persona. In questa distinzione, mentre le Camere avranno una rappresentanza degli interessi e quindi funzioneranno su base censitaria, il Tribunale politico avrà la rappresentanza dei diritti, e quindi funzionerà su base non censitaria, là dove l’elettorato attivo e passivo sarà esteso, almeno tendenzialmente, a ogni persona in quanto diritto sussistente. In realtà in questa distinzione di forme di rappresentanza si delinea una duplice prospettazione della società civile rappresentata: infatti, in quanto le Camere rappresentano gli interessi della società civile, esse rappresentano una “società civile” intesa come insieme di socii in relazioni economiche e commerciali fra loro, che provvedono al governo degli interessi; e, d’altra 8 Su questo itinerario di Antonio Rosmini vedi le acute osservazioni di Giorgio Campanini, Rosmini politico, Giuffrè editore, Milano 1990. 7 parte, in quanto il Tribunale politico rappresenta i diritti delle persone in relazione nella società civile, esso rappresenta una società civile intesa come insieme di persone in relazione fra loro in quanto persone, essendo il Tribunale politico deputato a tutelare i diritti di ogni persona. In realtà, attraverso questo duplice fenomeno della rappresentanza politica, Antonio Rosmini sta individuando una differenza fra una società civile intesa come insieme di soci in relazioni economiche e una società civile intesa come insieme di persone reciprocamente vincolate dal loro essere diritti sussistenti, ossia sta individuando, in realtà, una “comunità civile”. Per ricostruire questo itinerario intellettuale del roveretano bisogna seguire il percorso che negli anni Trenta preparerà i suoi scritti della filosofia della politica, della filosofia del diritto, delle varie proposte di Costituzioni e dell’elaborato, apparso postumo, della Costituzione della società civile e del suo fine. Possiamo comprendere, a questo punto, il maturare, in Antonio Rosmini, del suo terzo passo speculativo, che concerne la strutturale apertura della società civile, intesa come comunità civile, a ogni persona, perché mai una società civile, se è comunità civile, potrà essere guardata in un orizzonte puramente censitario né come comunità chiusa. Il quarto passo speculativo consiste nell’immergere una tale prospettiva teoretica all’interno della storia, dei suoi movimenti evolutivi e del formarsi della coscienza nazionale. All’interno di queste premesse teoretiche, che si stratificano nel pensiero del Nostro nel decennio degli anni Trenta e che prepareranno le fondamentali opere della filosofia della politica e della filosofia del diritto, sono quindi individuabili, a nostro avviso, le coordinate strutturali per poter parlare più che di una società civile, di una comunità civile. Si tratta di comunità, e non di società, per tre ragioni: perché si tratta di comunità di persone, perché si tratta di comunità aperta, e perché si tratta di un insieme sociale in cui è decisivo il vincolo relazionale che accomuna tutti e ognuno, e perciò opera in un’appartenenza aperta al mondo delle persone. L’insistenza che Antonio Rosmini esercita, pertanto, sul tema della società civile e della sua rappresentanza fa balenare il tema di un’identità comunitaria che costituisce istanza critica nei confronti di qualsiasi configurazione statuale. Ciò che veramente sta al centro, in questa prospettiva, è l’idea di una comunità da intendere come storicamente caratterizzata, là dove l’idea di persona è decisiva per individuare lo spazio sociale in cui si definisce un “essere insieme”, luogo aperto in cui, andandosi oltre l’orizzonte ristretto delle famiglie, si connettono persone, direttamente e costitutivamente relazionate fra loro. È in questo punto specifico, in cui si dà il rapporto fra comunità civile e Stato, che si delinea nel pensiero di Rosmini quel movimento speculativo, di carattere filosofico-politico, che dopo di lui passerà nella dottrina della Chiesa sotto il nome di “sussidiarietà”. La sussidiarietà, infatti, rappresenta l’itinerario attraverso il quale si sottolinea, a partire dalla persona, la fondamentalità della sua istanza e di tutti i gruppi sociali intermedi rispetto 8 allo Stato. Qui la sussidiarietà è il modo stesso attraverso il quale l’istanza della persona e dei gruppi intermedi affermano la loro principialità nei confronti dei livelli artificialmente più elevati. La persona rosminiana è il grimaldello teoretico attraverso cui si apre la comunità civile in tutti i suoi livelli, così come la comunità civile è il grimaldello teoretico attraverso cui si relativizza la struttura artificiale dello Stato. Si tratta quindi, in questo percorso rosminiano, della netta prevalenza teoretica della persona e della comunità rispetto allo Stato. Ma questa comunità, a cui Rosmini specificamente si riferisce, si presenta in due forme: quella religiosa, nel momento in cui si costituisce fra uomini credenti, e quella politica, anzi civile, nel momento in cui più estesamente tiene insieme le persone, indipendentemente dalla loro credenza. Ci si trova cioè, mentre si parla di comunità, davanti a due tipi di comunità: quella religiosa e quella civile. Ma, in questa prospettiva, la comunità civile non è individuabile in astratto, perché è opera della storia e nasce, più specificamente, all’incrocio fra caratteristiche geografiche e caratteristiche storiche. In questo senso, Rosmini, fin dagli scritti giovanili, chiarisce che l’Italia è entità nazionale sia perché caratterizzata da specifici limiti geografici (i confini naturali delle Alpi e del mare), sia perché identificata da una storia che, pur travagliatissima, ha pur sempre generato una comune lingua e una comune vocazione nazionale9. In questa luce la comunità ha alle sue origini la nazione ed è, nel suo spirito profondo, patria, ossia luogo in cui hanno vissuto i padri generando le tradizioni a cui storicamente apparteniamo. 4. L’unico principio politico della società civile Se consideriamo alcuni passaggi nella Filosofia della politica di Antonio Rosmini, ci accorgiamo di alcune cose fondamentali. Il pensatore roveretano cerca di individuare, attraverso una riflessione filosofica sulla storia, l’unico fine a cui tende e deve tendere una società. In questo modo egli mostra di ispirarsi allo stesso modello di Giambattista Vico, che nel De uno universi iuris pricipio et fine uno cercava, come è noto, attraverso l’indagine sul diritto romano e sulla storia, l’unico principio e l’unico fine del diritto, ritrovandolo nell’equità. Allo stesso modo Rosmini vuole indagare l’unico principio e fine che deve potersi storicamente realizzare nella società civile. Per il pensatore roveretano l’unico criterio politico che deve poter presiedere al conservarsi di una società 9 «… “nessuno arriva a conoscere quei confini del mare e delle Alpi, dentro cui la natura ha messo un popolo solo [va sottolineato in questo passaggio la limpida e inequivocabile allusione all'italianità del Trentino]; e perciò, sdegnando la patria data da Dio, si ergono sacrilegamente dei confini più brevi, e gli uomini temerari più e più restringendo la patria”» trasformarono in molti popoli fra loro nemici «“quello che è creato uno ed indivisibile”», citato da Gianni Xodo, Storia e politica negli scritti giovanili di Antonio Rosmini, cit., che richiama Antonio Rosmini, Opere inedite di politica, Tenconi, Milano 1923, p. 377. 9 è quello che realizzi una intelligente e duratura distinzione fra la sostanza e gli accidenti, nell’esercizio della capacità di discernere, nel governo della società, fra ciò che riguarda l’essenziale e ciò che riguarda l’accessorio, fra il generale e il particolare, fra il tutto e le parti. Questo discorso analitico viene da Rosmini dislocato sul piano di una successione storica: «…le prime instituzioni riguardano la sostanza, le seconde gli accidenti: perocché il primo bisogno è quello di essere, il secondo quello di godere i frutti della esistenza»10. Una tale successione storica avviene, per Rosmini, in quattro fondamentali età sociali, che egli puntualmente ricostruisce: l’età in cui la società si costituisce in esistenza, badando alla sostanza dello stare insieme; l’età in cui la società si qualifica in grandezza; l’età in cui questa grandezza scade nell’appariscenza e nella corruzione; l’età in cui la società, per l’estrema corruzione, mette in pericolo la sua esistenza11. Mantenere sempre vigile il criterio della distinzione tra sostanza e accidenti è il vero modo attraverso cui una società può conservarsi, governarsi e progredire. Ma un tale processo non avviene affatto senza pericoli e senza scosse, pericoli e scosse che sono storicamente documentabili. Qui Rosmini, volendo cogliere i modi attraverso i quali una società si conserva o va in rovina, mostra di tener conto del grande modello costituito da Niccolò Machiavelli, che ne Il principe e ne I discorsi sulla Prima deca di Tito Livio cercava di individuare le leggi intrinseche nelle trasformazioni storiche delle istituzioni. D’altra parte il riferimento culturale, come è stato osservato, è anche all’anaciclosi di Polibio e alle analisi di Agostino, nel De civitate Dei, sul mondo romano12. In questa prospettiva, l’indagine rosminiana vede nella società umana l’agire storico di due forze: la ragion pratica delle masse e la ragione speculativa degli individui che dirigono o influenzano il percorso della società13. Nella ragion pratica delle masse Rosmini individua una sorta di “istinto sociale” attraverso cui gli uomini non intellettualizzati realizzano il fine dello stare insieme14; nella ragione speculativa degli individui egli nomina invece l’agire intelligente di quei singoli che possono influire sugli eventi sociali a governo degli stessi. In questo corso degli avvenimenti, criticamente visitato, Rosmini ribadisce che una società attraversa storicamente quattro età. Nella prima, gli uomini tendono a occuparsi principalmente dell’esistenza della propria 10 Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, introduzione ai quattro libri, cap. VII, pp. 81-85, in Opere di Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, vol. 33, cit. 11 Op. cit., pp. 84-85. 12 Sul punto vedi (in Opere di Rosmini, Filosofia della politica, cit.,) la nota n. 70 del curatore. 13 Antonio Rosmini, Filosofia della politica, capitolo VIII, pp. 85-88, in Opere di Antonio Rosmini. Filosofia della Politica, vol. 33, cit. 14 Antonio Rosmini dice testualmente: «La ragione pratica della società, da cui sono guidate le masse, si potrebbe anche chiamare, sebbene impropriamente, istinto sociale; somigliandosi quella ragione all’istinto in questo, che non è così facile additare le ragioni precise, che conducono le masse ad operare socialmente; né le masse sanno pronunciarle queste ragioni, da cui sono condotte, né formolarle. E tuttavia quelle ragioni stanno alle masse indubitamente presenti, e servono loro di loro di guida secreta nell’operare; ma le masse non giungono a ripiegarvi sopra la riflessione, ciò che sarebbe necessario che facessero, a poter renderne conto a se stesse, e a pronunciarle», in Opere di Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, cap. VIII, cit. p. 86. 10 società, ossia del suo fondamentale vivere e durare: è l’infanzia della società, in cui si dà quella che Rosmini chiama l’epoca patriottica dello stare insieme, quando le ragioni del costituirsi in comune prevalgono su ogni cosa. Nella seconda età, gli uomini tendono a incrementare le qualità della propria patria curandone la potenza e la gloria. Nella terza età, gli uomini prediligono la quiete e i pacifici piaceri, ma, in questa fase, prevalendo il fine del lusso e delle delizie, incomincia la decadenza. Nella quarta età, quella che Rosmini chiama una forma di voluttuosa inerzia produce le condizioni di un egoismo fondamentale che allontana gli uomini da tutto ciò che all’inizio aveva generato l’esistere della società. Si individua così un processo in cui lo spirito della patria, all’inizio vigoroso e fecondo, collassa e decade fino all’estinzione, perché il fine individuale a un certo punto si è egoisticamente distaccato dal fine sociale. Rosmini a questo punto sottolinea una sconcertante curiosità. Nella ragion pratica delle masse della prima età vive una istintiva disposizione di ogni singolo ad avere come fine il proprio bene immediato che, d’altra parte, in questo stadio, viene a coincidere col bene dell’intera società. In questa fase, cioè, la ragion pratica delle masse, che pur non ha capacità di prevedere effetti lontani né di calcolare fini generali, realizza istintivamente, nel momento in cui il singolo persegue il suo bene immediato, il fine dell’intera società. Qui, per una naturale coincidenza, ogni singolo persegue come suo bisogno immediato ciò che si immedesima nello stesso esistere della società a cui appartiene. Qui, in uno spirito di patria, si dà un popolo come nazione. Ciò significa che nella prima età del costituirsi sociale, quella patriottica, la ragion pratica delle masse sa congiungere in sé, senza saperlo, il bene di ogni singolo e il bene dell’intera società. Rosmini sottolinea che in questo stadio le masse rivelano un istinto infallibile, più forte di quello di qualsiasi uomo di Stato. Si tratta, per Rosmini, più che di un atto intelligente delle masse, di una sapienza della natura che, dovendo nel suo nascere realizzare se stessa, mette in moto una connessione tra bisogni attuali ed eventi lontani. Qui, in realtà, Rosmini ci sta dicendo che, nella prima età patriottica, la ragion pratica delle masse custodisce e rivela quello che per lui è l’unico fine della società civile: che tutta la società custodisca la sua esistenza come un bene e che contemporaneamente ogni singolo possa perseguire il suo individuale bene. Il singolo infatti persegue, in questo stadio, per una coincidenza naturale, il sussistere della società come suo proprio bene. In questa ricostruzione speculativa della storia Rosmini ci sta mostrando tre cose: la vicinanza della sua riflessione al modello vichiano, la sua lontananza da ogni determinismo ottimistico e l’individuazione dell’unico fine della società civile nella coincidenza fra il perseguimento del bene individuale e il perseguimento del bene collettivo. Ma, al tempo stesso, il pensatore roveretano, dicendoci che il bene della società consiste nel suo sussistere, ci sta dicendo che il suo male consiste nel suo perire. Ci sta mostrando che il bene sociale è null’altro che l’evitare il perire: questo bene è da comprendere, pertanto, nella sua 11 identità a partire dal suo poter dissolversi. Ciò significa che il bene sociale, costituendo le condizioni del sussistere sociale, ha suoi connotati di oggettività e identifica tale oggettività a partire dalla controprova empirica del suo perire, a partire dalla sua catastrofe. Ciò, per certi versi, ripercorre, sul piano dell’esperienza, un’antica verità speculativa di derivazione agostiniana, per la quale il male è l’assenza del bene, e pertanto, sul piano esperienziale, l’essere in cui consiste il bene può identificarsi anche a partire dal suo non essere (più). In ultima analisi, Antonio Rosmini ci sta permettendo di cogliere nel momento del costituirsi della patria due scoperte: che il bene del sussistere sociale si capisce nel momento in cui può perire e che il bene immediato di ogni singolo coincide col bene del sussistere insieme, quando, nel formarsi della patria, si pone davanti allo sguardo di ogni singolo l’alternativa secca, in un destino comune, fra il nascere e il morire. È possibile fare tali scoperte, a ben guardare, nel momento aurorale e nel momento finale dell’esistere di una società, ossia nel tempo dello stato nascente e nel tempo della catastrofe. A ben considerare, nel tempo dello stato nascente si dà la patria, nel momento successivo si afferma e si auto-identifica la nazione e nel tempo della fine emerge il possibile resistere di una comunità. Nel tempo dello stato nascente, come abbiamo visto, i bisogni immediati dei singoli coincidono con il bisogno di sussistere dell’intera società, mentre nel tempo del degrado l’egoismo individuale si separa dalle esigenze del sussistere sociale. In questo sviluppo la ragione speculativa dei singoli intellettuali ha il compito di contrastare il possibile decadimento, facendo sì che nel tempo del degrado si ricordi e si riviva ciò che nel momento iniziale della patria era naturale, ossia il coincidere dei bisogni immediati con l’intero sussistere sociale. In realtà, nella prima fase, quella della nascita, e nella seconda fase, quella del decadimento, avviene una medesima cosa, con declinazioni opposte: in entrambe si scopre che, oggettivamente, i bisogni immediati di ognuno coincidono con i bisogni dell’intero sociale, anche se questo significato viene declinato nelle due fasi in senso opposto. Potremmo pertanto qui dire, impiegando una distinzione classica trasferita da altro contesto, che in entrambe le fasi può scoprirsi speculativamente l’esistenza di una “comunità in sé”, mentre solo nella prima fase si dà esperienzialmente la possibile consapevolezza di una “comunità per sé”. Nella “comunità per sé” c’è la consapevolezza dei nessi relazionali (affettivi ed etici), mentre nella “comunità in sé”, pur mancando questa consapevolezza, si danno nessi di destino comune, speculativamente individuabili a partire dal perire comune, ossia dalla catastrofe. In realtà, nel tempo del decadimento, poiché l’egoismo individuale prevale sul senso dell’insieme comunitario, vige il principio “mors tua vita mea”, che può essere superato solo se ci si accorga in modo intelligente che nel tempo dello stato nascente della patria vigeva di fatto il vero principio della comunità: “mors tua, mors mea et vita tua, vita mea”. 12 5. Patria, nazione, comunità In una tale prospettiva, il filo conduttore attraverso cui Antonio Rosmini legge il percorso storico è quello di una società che si costituisce attraverso un sentimento di patria e che a un certo punto degrada per l’affievolirsi del sentimento che fa perdere il senso dell’insieme. In questa concezione, in realtà, l’ideale che opera sottotraccia è quello di una comunità civile di persone, da intendere come ideale regolativo, mai interamente realizzabile all’interno di un’idea perfettistica. D’altra parte, come abbiamo già avvertito, in Rosmini la società civile si conserva e si evolve attraverso il combinato agire della ragion pratica delle masse e della ragione speculativa dei singoli che la influenzano. Mentre la ragion pratica delle masse storicamente degrada, la ragione speculativa degli individui che la influenzano può agire, invece, in senso opposto, se questi individui da un lato progrediscono nella facoltà di calcolare (ossia di calcolare il generale) e dall’altro progrediscono nella facoltà di astrarre (ossia di astrarre il sostanziale), cioè se essi progrediscono nella complessiva facoltà di conoscere. In questa luce, mentre la facoltà di calcolare si realizza soprattutto passando da società più piccole a società più estese, la facoltà di astrarre si realizza passando storicamente, attraverso i tempi, da esperienze precedenti a esperienze successive. Ciò significa che gli individui intellettualmente attivi, nell’influire sulla società di appartenenza, potranno assumere il criterio politico fondamentale della distinzione fra la sostanza e gli accidenti, facendo prevalere così l’essenziale sull’accessorio, il generale sul particolare e il tutto sulle parti. Nella prospettiva di questa successione storica, il Nostro percepisce due modi diversi di declinare il rapporto fra sostanza e accidenti da parte degli antichi e da parte dei moderni: gli antichi, avendo poco senso dell’astrarre, mostrano uno scarso senso delle distinzioni, mentre i moderni fanno eccessivamente prevalere il senso delle distinzioni accidentali sulla sostanza; d’altra parte, mentre gli antichi hanno il senso delle istituzioni fondamentali senza avere quello delle istituzioni accessorie, pur se vantaggiose, all’inverso i moderni, avendo il senso delle istituzioni accessorie, rischiano di perdere quello delle istituzioni fondamentali. Lungo l’intera riflessione che Antonio Rosmini dedica alla ragion pratica delle masse15, si trovano, nel discorso sulle quattro età della società civile, consecutivamente impiegati i termini di patria, nazione, popolo. In questa tessitura del discorso può scoprirsi come, nel pensiero del Nostro, la società civile si dia alla nascita come patria, si autoriconosca quindi come nazione, si esprima dunque come popolo che vuole, avendo in ogni caso come suo fine l’essere comunità civile che vive 15 Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, introduzione ai quattro libri, cap. VIII, pp. 85-88, in Opere di Antonio Rosmini. Filosofia della Politica, vol. 33, cit. 13 e che dura. Di tutto ciò è matrice, per il pensatore roveretano, la storia ed è presa di coscienza la ragione speculativa. Mentre Antonio Rosmini riflette sul possibile degradare storico delle società civili, egli contemporaneamente medita sulla necessità intrinseca che nella storia opera perché si passi dal momento delle forze brute al momento degli uomini e dal momento degli uomini al momento dei princìpi. Si tratta di una scansione in tre tempi, in cui il pensatore roveretano individua, a confronto con il percorso storico reale, quello che emerge come percorso di scoperta valoriale. Dentro l’itinerario storico può scoprirsi l’itinerario della sua ideale verità: «…si hanno a distinguere, nelle vicissitudini del mondo, fin qui passato, tre tempi: Il tempo in cui dominava quasi sola la forza fisica, e consisteva allora in essa la sostanza; quale prevaleva per robustezza o per armi, tale soprastava. Ben presto la sottil prudenza e l’astuzia, specialmente mediante le ricchezze, venne a valere assai più della forza; ottenendosi maggior effetto da una forza minore, ma ben diretta, che da una maggiore senza direzione. In questo stato di cose, la fisica forza si rese accidentale, e non fu più il massimo potere, ma divenne il massimo e sostanzial potere la acutezza e destrezza dello spirito; la prevalenza passò dalle cose agli uomini. Venendo poscia innanzi i tempi, l’esperienza dimostrò, che nulla vi avea di più incerto, e però nulla di più debole della umana prudenza e della particolare astuzia. […] Apparve così la bella necessità di convenire finalmente ne’ principi morali. […] Nel qual progresso di cose si veggono bene fermati, come facevamo osservare, tre tempi: ai quali se noi porremo mente, considerandoli siccome tre gradi, onde se n’è venuto avanti il genere umano, ovvero siccome tre termini di una serie continua, non ci sarà oltremodo difficile l’indovinare anche il quarto grado, o il quarto termine, al quale sembra avvicinarsi irrepugnabilmente lo stato della umanità. […] […] progredendo dal riporre il fondamento e la guarentigia dell’umana società nella forza, al riporlo nell’avvedimento progredendo a riporlo ne’ principi della giustizia e della cristiana religione; si è continuamente passato da una forza meno solida in se stessa ad una più solida, da una men vera ad una più vera, da una più esterna ad una più interna. Converrà dunque, ecco quant’io fermamente credo, venire anche, nella stessa dottrina della giustizia, da un diritto esterno e parziale ad un diritto perfetto, cioè dal diritto alla morale presa in tutta la sua estensione; converrà venire a riporre nella VIRTÚ praticata senza limitazione la suprema forza sociale; e nello stesso Cristianesimo converrà ricercarvi finalmente ciò che vi ha di più massiccio, di più compito e di più intimo, per affondarvi la tranquillità e il buono stato de’ popoli; […]»16. 16 Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 33, Capitolo XVI, cit., pp.112-115. 14 6. Con Rosmini, oltre Rosmini Nel percorso della storia reale Antonio Rosmini riconosce così il possibile percorso della storia ideale che deve poter fare da guida. Egli aggiunge ai tre tempi (quello della forza, quello degli uomini e quello dei principi) un possibile quarto tempo, che egli sa non essere da tutti necessariamente condiviso: il tempo della verità religiosa. In questo tempo una tale verità si dà come verità dei sentimenti, dei legami e dei valori, che non nascono da imposizione o da attività apologetica, perché emergono invece dalla libera intelligenza di ascoltare dalla necessità delle cose. In ogni caso, nei predetti tre tempi Rosmini sta enucleando il percorso che devono poter compiere gli uomini verso l’esistenza di una comunità civile in cui regnino i principi. Sotto il percorso che lega patria, nazione e popolo vive l’idea regolativa di una comunità civile, storicamente scandita. Ma, per Rosmini, non c’è comunità civile senza persone che in questa comunità si relazionino. Guardando Rosmini attraverso il suo pensiero, possono scoprirsi, in combinazione col percorso di Giambattista Vico17, alcune intuizioni nascoste, degne di essere portate alla luce. Qui è possibile scrutare il nesso fra Rosmini e Vico andando, attraverso il loro pensiero, oltre il loro pensiero. Perché ciò accada occorre portare a fondo le loro intuizioni combinate. Come è noto, nell’opera De uno universi juris principio et fine uno Giambattista Vico individua nella società due forme relazionali: quella aritmetica e quella geometrica. Si tratta di una distinzione che risale già ad Aristotele (e a Platone), là dove si distingue fra una giustizia commutativa, impostata sul rapporto di scambio fra singoli, e una giustizia distributiva, impostata sul rapporto di ogni singolo con l’intero. In realtà, a questa distinzione (che allude a quella tra rapporti privati fra interessi e rapporti pubblici nella distribuzione delle cariche) soggiace, pressoché invisibile, un’altra distinzione, più profonda, tutta da enucleare, che trova nell’ordine matematico la sua forma nella distinzione tra addizione e moltiplicazione: nell’addizione si dà la relazione aritmetica per la quale ogni elemento, entrando in relazione con un altro, è da concepire separato e indipendente da ogni altro, mentre nella moltiplicazione si dà la relazione geometrica per la quale ogni elemento è inseparabile da ogni altro in quanto è da considerare in rapporto indissolubile con l’intero. Nella forma dell’addizione ogni elemento ha un suo significato indipendente dall’intero a cui appartiene, mentre nella forma della moltiplicazione ogni elemento ha significato solo nella sua relazione indissolubile con l’intero, perché, separato dall’intero, perderebbe il suo senso. È, in realtà, sulla base di questa distinzione matematica più profonda che può comprendersi, nei rapporti sociali, il significato più superficiale 17 Sul punto si veda Giambattista Vico, De uno universi iuris principio et fine uno, specialmente cap. 44, cap. 59, cap. 60, cap. 61 ss. 15 della distinzione fra il principio commutativo e il principio distributivo. Nell’addizione si dà, nell’ordine matematico, il rapporto fra singolarità in quanto singolarità (rapporto fra elementi uti singuli), mentre nella moltiplicazione si dà il rapporto fra elementi inseparabilmente connessi in un intero (rapporto indissolubile fra ogni componente e il tutto). In questo contesto di senso, nella forma aritmetica della società, fra ognuno e ogni altro c’è addizione di unità; nella forma geometrica, invece, fra ognuno e ogni altro c’è un rapporto di unità per moltiplicazione. Nella forma dell’addizione c’è una somma; nella forma della moltiplicazione c’è un prodotto. Questo pensiero è ricostruibile sottotraccia, con alcune decisive novità, nel modo del concepire rosminiano. La società non è la comunità. Nella società si dà l’addizione dei singoli, vista nella forma sommaria della loro unità; nella comunità si dà la moltiplicazione dei singoli, vista nella forma (che chiameremmo) equitaria della loro unità, ossia nella struttura dei loro reciproci vincoli indivisibili. In un’addizione i singoli elementi hanno, l’uno indipendentemente dall’altro, il proprio significato; in una moltiplicazione i singoli elementi hanno significato solo in quanto si relazionano con gli altri. Infatti, in una moltiplicazione a più termini un qualsiasi termine ha significato solo in relazione a tutti gli altri e, per altro verso, la variazione di un sol termine genera la variazione dell’intero. E in questa medesima luce, se nell’addizione uno degli elementi è zero, il risultato sommario non si azzera, mentre nella moltiplicazione, se uno solo degli elementi è zero, l’intero risultato si azzera. In questa prospettiva, la società è somma di elementi, anche se visti nella loro unità sommaria, mentre la comunità è moltiplicazione di elementi, perché visti nella loro unità relazionale ed equitaria. La morte di un sol membro della comunità genera un contraccolpo inevitabile sull’insieme, così come generano un contraccolpo le variazioni identitarie di ogni singolo membro e così come ogni singolo membro, inserito in un altro contesto, palesa caratteristiche diverse, il che la stessa psicologia sociale mette in luce. Nella comunità, e non nella società, in uno ne va di tutti e di ognuno. Ma la comunità di Antonio Rosmini è comunità di persone. In questo orizzonte, la comunità, mentre è moltiplicazione di elementi vincolati nel loro nesso relazionale, rimane pur sempre associazione di elementi che sono, in quanto diritti sussistenti, indipendenti gli uni dagli altri. Date queste premesse, la comunità di persone è sia moltiplicazione sia addizione di elementi, sia forma geometrica sia forma aritmetica. Anzi, per meglio dire, dalla forma geometrica comunitaria inesorabilmente sempre residua una ulteriore forma aritmetica di indipendenza fra i singoli, ma questa volta in un significato di secondo grado, perché nessuna comunità civile può assorbire interamente in sé la persona. A questo secondo grado, che potremmo meglio chiamare aritmo-geometrico, si costituisce in realtà una forma sociale multi-polare in cui ogni singolo è, in quanto diritto e dovere sussistente, al centro dell’insieme sociale. In questa luce, la persona è sia dipendente da ogni altra sia indipendente da ogni altra. Nella sua dipendenza la 16 persona esprime il suo doveroso nesso relazionale; nella sua indipendenza, essa esprime il suo sussistente diritto unicitario. La persona, in questo orizzonte, è indipendente da ogni altra e dipendente da ogni altra. Ma nemmeno ciò basta a coglierne la fisionomia. La persona, infatti, in quanto non dispone del suo essere ciò che è, vive, nel suo essere indipendente, la sua indisponibile dipendenza dall’essere ciò che è e non altro. In questa complessiva struttura speculativa balenano in ogni persona tre verità. Si tratta della verità che si dà nel momento in cui la persona esprime la propria unicità (verità come autenticità), della verità che si dà nel momento in cui la persona è costitutivamente correlata all’altra persona corrispondendole (verità come relazione intrinseca, cura corrispondenza) e della verità che si rivela nel momento in cui la persona scopre di non poter disporre di ciò che è (verità come profondità indisponbile). A ben vedere, in questa situazione del «non poter disporre» si esprime, per così dire, una paradossale forma di indipendenza dall’indipendenza, ossia un’indipendenza (dell’essere persona) dall’indipendenza (dell’essere soggetto) come autonomia e autodeterminazione: cioè si esprime una auto-dipendenza della persona dal proprio essere. È in quest’ultimo punto che l’autocoscienza, in quanto coscienza che vive il suo profondo, sente il suo sguardo sul proprio essere come sguardo sull’abisso. Potremmo dire, con improprietà consapevole, che queste tre verità si collocano, nella persona, a monte, al centro e a valle del sé. Ma questa intera struttura speculativa si dà, nell’itinerario di Antonio Rosmini, in forma storica: come comunità di persone che attraversano le trasformazioni del tempo. Qui, nella forma aurorale della nascita di una comunità civile si dà la patria, là dove il bene è dato dal suo esistere-sussistere e il male dal suo perire. Questa patria, esprimendosi come nazione (nazione, come si sa, viene da nascor), nasce, cresce e va in crisi, esposta alle vicende del popolo che la sente e la vuole fino a poterla, nel suo ultimo corrompersi, disvolere. Il pensiero di Antonio Rosmini cerca di tenere insieme, nel suo itinerario, la struttura speculativa di una comunità di persone e il suo declinarsi storico come patria e come nazione. Nell’itinerario speculativo e filosofico-politico di Antonio Rosmini possiamo osservare, pertanto, come il principio della persona quale singolarità sussistente venga a costituire il principio a partire dal quale un intero universo teoretico e politico, proveniente dal passato, viene demolito e ricostruito su nuove basi. Se ci è consentita una consapevole arditezza, vorremmo qui ricordare quello che fu nella metà dell’Ottocento italiano un contributo scientifico di altissimo profilo che ebbe, in altro contesto, una importanza singolarmente analoga. Nel 1851 Pasquale Stanislao Mancini teneva a Torino una Prolusione accademica intitolata Del principio di nazionalità come fondamento del diritto delle genti. Il suo intervento diventò, in quel tempo, una vera mina nei fondamenti dell’ordinamento internazionale. Con quel contributo il giurista napoletano, ponendo a fondamento dell’ordine internazionale non più gli Stati ma le Nazioni, istituiva un principio di 17 soggettività nuovo e rivoluzionario, suscitando un vasto clamore. Potremmo qui dire che il percorso speculativo e filosofico-politico di Antonio Rosmini, istituendo il principio della persona come fondamento di un nuovo ordine (sia dal punto di vista delle idee, sia dal punto di vista delle società), individuava, rispetto alle tradizioni filosofiche e politiche, un criterio altrettanto eversivo, anche se meno appariscente ai profani. Si trattava anzi, per la portata speculativa dell’intento, di un programma ancora più ambizioso, perché metteva segretamente in questione un intero ordine consolidato di idee, che veniva dal passato e dal presente. Era il principio per il quale ogni universo speculativo, storico, politico, religioso doveva essere ripensato alla luce della persona come singolarità. In una tale concezione, la persona era, al tempo stesso, pensata all’interno di quella temperie romantica in cui circolavano le idee di patria e di nazione. Il programma di Antonio Rosmini, in questa luce, per i materiali plurisecolari che impiegava e per il futuro di pensiero che impegnava, appare oggi, nell’ordine speculativo, un programma ben più ambizioso di quello manciniano: un atto di silenziosa rivoluzione ontologica nell’ordine del capire. Comunità civile, nazione e patria si collocano pertanto, nel percorso di Antonio Rosmini, come idee interrelate attraverso il principio centrale della persona intesa come diritto sussistente. In questa luce, Rosmini, sensibile fin dalla sua prima formazione all’ispirazione vichiana, pur non accedendo mai a una visione puramente ottimistica del percorso storico, sottolineerà sempre il costituirsi, il consolidarsi e il possibile degradare dello spirito nazionale, là dove al fondo dello scorrere storico della nazione permane la leggibilità di un ordine valoriale, di cui è espressione la comunità civile delle persone come possibile forza reale e come possibile ideale regolativo18. ABSTRACT 18 Sul problema dei “tre tempi” in cui può collocarsi uno sviluppo storico si veda Antonio Rosmini, Filosofia della Politica, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 33, Capitolo XVI, cit. 18 In questo saggio si conduce una ricerca sulle nozioni di patria e di nazione nella filosofia politica di Antonio Rosmini a partire dalla centralità delle idee di persona e di comunità, intorno alle quali possono ricostruirsi i connotati di possibili relazioni speculative all’interno di quel mondo romantico a cui Rosmini ha consapevolmente partecipato. 19