Qualche riflessione sugli altoparlanti (, 92 kB)

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QUALCHE CONSIDERAZIONE SUGLI ALTOPARLANTI
(di carattere del tutto generale)
Nonostante a tutt'oggi abbia dedicato solo un paio di articoli (CHF 61 e 67) al tema dei
diffusori, ed abbia anche accuratamente precisato che essi non sono affatto la mia specialità,
ma che mi ci sono avvicinato allo scopo dichiarato di proporre almeno un paio di soluzioni al
problema di cosa abbinare ad una ben precisa tipologia di amplificatori -quelli a valvole di
potenza moderata e resistenza interna non infinitesima, che nel prosieguo definirò
convenzionalmente "a triodi", ma solo per usare una parola sola- la discussione, più o meno
diretta, circa alcuni sassi che ho buttato nello stagno ed altri che ho raccolto dal medesimo,
vedo che si sta facendo interessante. Su CHF 68, in particolare, Alberto Maltese, che si
occupa di diffusori da molto più tempo di quanto lo faccia io e su di essi è molto più
specializzato di me, mi ha citato diverse volte, facendomi oltrettutto un'inaspettata pubblicità
di cui devo senz'altro ringraziarlo. A Maltese va dato atto di agire con onestà intellettuale:
egli vede i problemi dal suo punto di vista, cerca delle soluzioni, e le illustra argomentandole
in modo concreto. L'onestà intellettuale è una dote importante in un interlocutore: essa
consente di dar vita a discussioni interessanti, indipendentemente dai rispettivi punti di vista.
La gran quantità di carne messa al fuoco da Maltese nei suoi due pezzi su CHF68 mi dà lo
spunto per alcune considerazioni di carattere del tutto generale, che ritengo utile esporre dal
mio particolare punto di vista, e sulle quali sarebbe oltremodo interessante sentire anche la
sua opinione.
1. Sensibilità o efficienza?
Da sempre si equivoca tra questi due parametri, anche -se non soprattutto- da parte dei
fornitori di altoparlanti. Ad uso dei lettori, e specialmente di quelli interessati ad usare
amplificatori di potenza limitata, forse è utile tornare un attimo sull'argomento.
Sembra ovvio, ma è meglio rinfrescare (gli anglosassoni hanno la secca espressione
"Back to basics", che qui calzerebbe bene, anche se non amo abusare di barbarismi) la
nozione elementare che un sistema è tanto più "efficiente" quanto meglio riesce a sfruttare la
potenza dell'amplificatore, ossia, in altre parole, quanta meno potenza esso esige
dall'amplificatore per suonare ad un certo volume.
L'"efficienza" è la misura di quanta parte della potenza elettrica (fate ben caso che sto
parlando proprio di potenza, cioè quantità di lavoro nell'unità di tempo) che l'amplificatore
eroga sulla bobina dell'altoparlante, viene da quest'ultimo convertita in potenza acustica.
Alla distanza di un metro, 1 W acustico corrisponde ad una pressione, se non ricordo male, di
113 dB SPL, e vi rammento che quando si parla di potenze 3 dB corrispondono ad un
rapporto 2 e 10 dB ad un rapporto 10: per esempio, se 113 dB sono 1 W (su quel 113 non ci
giuro) 110 dB sono 0,5 W e 103 dB sono 0,1 W. Per un tipico diffusore a radiazione diretta,
ad esempio, un'efficienza dell'1% è già un valore, molto buono, di 93 dB/W/m.
La "sensibilità" invece è solo una misura della pressione acustica prodotta da un
altoparlante quando l'amplificatore genera, ai capi della sua bobina, una certa tensione. Di
solito il valore di tensione a cui vengono effettuate le misure e viene dichiarata la sensibilità è
di 2,83 V RMS; questa tensione corrisponde ad 1 W sul carico standard di 8 ohm resistivi.
Il problema è che, se l'impedenza dell'altoparlante o del sistema è diversa, lo sarà anche la
potenza effettivamente richiesta all'amplificatore a quella tensione. Il dato di sensibilità non
dà alcuna indicazione diretta di quale sia effettivamente l'efficienza: per calcolarla a
partire dalla sensibilità, occorre conoscere, a ciascuna frequenza, il modulo e
l'argomento dell'impedenza, calcolare la potenza effettiva e quella reattiva o "swattata"
(cioè che non serve a muovere l'altoparlante, ma che l'amplificatore deve ugualmente
gestire per via della componente reattiva del carico) e solo a quel punto si potrà
determinare l'effettivo rendimento del sistema. Sono calcoletti di elettrotecnica che
coinvolgono i numeri complessi; non sono difficili, anche se non ho problemi ad ammettere
che, laddove al liceo ero un gallo a farli, oggi ci ho decisamente perso la mano e tendo ad
andare "a spanne" anch'io. Ma almeno ho presente il concetto che sarebbero da fare... verrà
anche giorno che riprendo i vecchi libri e li ripasso. Vi faccio comunque un esempio che
rende l'idea della differenza fra "efficienza" e "sensibilità": supponiamo di avere tre
altoparlanti, tutti con 90 dB di sensibilità. Solo che il primo è da 4 ohm, il secondo da 8 ohm
ed il terzo da 16 ohm; facciamo finta che siano resistivi e che l'ampli non debba maneggiare
anche la potenza swattata. Ora, i 2,83 V a cui quei 90 dB sono stati dichiarati corrispondono
rispettivamente a 2 W sul primo altoparlante, 1 W sul secondo e solo mezzo watt sul
terzo! Se proviamo a pilotare i tre altoparlanti ciascuno con 1 W effettivo, quello da 4 ohm
emetterà soltanto 87 dB, quello da 8 ohm i suoi bravi 90 dB e quello da 16 ben 93 dB. Ci
sono, in questo esempio, ben 6 dB di differenza fra le efficienze reali di tre trasduttori aventi
la medesima sensibilità. E' tantissimo, significa che con l'altoparlante da 87 dB ci vogliono
40 W per ottenere lo stesso volume per il quale, su quello da 93 dB, bastano 10 W! Da cui
potrete trarre la conclusione che i valori di sensibilità fanno indebitamente sembrare più
"efficienti" (a chi non ha ben chiara la differenza tra i due concetti) i componenti aventi
impedenza più bassa. Con gli amplificatori a transistor, che normalmente hanno resistenza
interna molto bassa e quindi la loro erogazione in tensione praticamente non dipende dal
carico, il trucco funziona, nel senso che, dando al cliente una cassa da 4 ohm, a parità di
posizione della manetta del volume egli la sente effettivamente suonare più forte di una da 8
ohm della stessa efficienza: ma non si rende conto che è solo perché essa costringe
l'amplificatore ad erogare il doppio della potenza, non perché è più efficiente!!!
Guardate che non ho detto assolutamente niente di diverso da quanto affermato da
Maltese su CHF 68 a pag. 43. L'ho solo rispiegato con parole diverse, e dal mio punto di
vista. Può anche succedere qualcosa di apparentemente contrario (ma solo apparentemente):
che a prima vista -anzi a primo ascolto- due diffusori di efficienza diversa sembrino suonare
circa forte uguale. Spiego: tipicamente, se uno passa da un certo diffusore ad uno di
efficienza maggiore, si aspetterebbe di dover aprire di meno la manetta del volume, per
ottenere lo stesso livello sonoro. Ma non è detto che ciò si verifichi, perché la cassa più
efficiente potrebbe avere un'impedenza maggiore e quindi sensibilità pressoché uguale.
Parlando per me, per esempio, è un po' quello che succede tra Glas't e G-Glas (CHF 61 e 67):
G-Glas è circa 3 dB più efficiente, ma, se lo si pilota con un ampli "di tensione", a parità di
"apertura di manetta" non suona più forte. In realtà, l'ampli a parità di volume sta erogando
circa metà potenza (alle medie frequenze, anche molto meno di metà) ma voi non lo vedete,
neanche se gli mettete in parallelo un voltmetro, neanche se ha i vu-meter sul frontale, perché
entrambi misurano la tensione mentre quello che cambia è la corrente. Ve ne accorgete solo
indirettamente, dal fatto che il sistema più grosso ha dinamica migliore anche a basso volume
e permette di salire molto di più; ma istintivamente pensereste che è perché, appunto, il
sistema è "più grosso", senza rendervi conto che è questione di efficienza, più che di
dimensioni.
Questo trucco di fare casse di bassa impedenza per farle suonare "più forte", infatti,
smette miseramente di funzionare quando si usano amplificatori che, come quelli a triodi, si
comportano da "generatori di potenza" anziché di tensione. Un tipico ampli a triodi ha
resistenza interna dello stesso ordine di grandezza dell'impedenza della cassa; quindi, al
variare del carico, tende a restare grosso modo costante il prodotto di tensione per
corrente, diversamente da uno tipico a transistor dove resta costante la tensione, e la corrente
si adatta al carico. Con un ampli a triodi si sente davvero quanta è l'"efficienza" del
diffusore, mentre la "sensibilità" è completamente irrilevante; anzi è controproducente tirare
al ribasso con l'impedenza, perché ciò tipicamente peggiora lo smorzamento ed aumenta la
distorsione. Inoltre, la potenza complessiva a disposizione è generalmente limitata e va
sfruttata al meglio, senza sprecarla. Certe tecniche che i progettisti di diffusori "normali"
sono abituati ad usare, e che non danno problemi pratici con i loro ampli "normali", sono da
evitare se si vuole fare una cassa dedicata ai triodi (ci ritorno più sotto).
Un diffusore destinato a venir pilotato in potenza va progettato in
maniera completamente diversa da uno destinato a venir pilotato in
tensione!!!
Sia i progettisti di diffusori che i software di simulazione a tutt'oggi continuano a non
curarsi della faccenda. Si progettano solo diffusori da pilotare in tensione, qualche raro
eccentrico propone il pilotaggio in corrente (con ampli dedicati) ma del pilotaggio in potenza
non se ne occupa nessuno. Ecco perché mi sono deciso a proporre delle casse: per un
sacco d'anni ho aspettato che qualcuno capisse il problema, poi mi sono reso conto che
se stavo ad aspettare gli altri, campa cavallo... Ed ecco perché le mie casse sono
tecnicamente così diverse dalle altre. Ad esempio, l'utente di monotriodi spesso non
capisce come mai una cassa che dichiara 90 e rotti dB poi suoni più piano e peggio, con un
piccolo ampli, di un'altra che ne dichiara solo 89. A guardare meglio, in questi casi di solito
si scopre che quella da 90 e rotti è in realtà da tre ohm, ed oltre ad essere ostica da pilotare i
dB "veri" sono solo 86; mentre con l'altra da 89 magari gli ohm sono dieci, il carico del
woofer è molto più smorzato, il crossover più tranquillo e i dB "veri" 90 abbondanti !! Cioè
(e questo si verifica spesso in pratica) la cassa meno sensibile è in realtà più efficiente.
Incuriosito dalle considerazioni fatte da Maltese circa l'altoparlante da lui scelto per il suo
ultimo progetto, sono andato a sguarducchiare sul sito della RES e mi sono tirato giù il data
sheet del 170VRKO. Devo bonariamente lagnarmi che i valori di efficienza sono tutt'altro
che immediati da estrapolare, dai dati come li fornisce la RES. C'è un non meglio precisato
dato di "sensibilità". E = 92,5 dB. Punto. Sembra abbastanza alto, ma che è??? Guardiamo
meglio. C'è un grafico che riporta un paio di curve di risposta ed il modulo dell'impedenza.
In default di altre informazioni, do per scontato che quelle risposte siano rilevate a 2,83 V.
Stando a quel grafico, nella zona più lineare la risposta viaggia poco sopra i 91 dB, tocca
quasi i 92 poco prima dei 2 kHz, e poi più avanti forma un picco che non fa testo, e che
Maltese ha provveduto a segare. Le curve rilevate da Maltese stesso, peraltro, hanno un
andamento molto simile (CHF 68 pag. 46). I 92,5 dB dichiarati non capisco esattamente a
cosa corrispondano, ma il punto che voglio porre non è questo. Prendiamo per buona una
sensibilità di 91,5 dB; c'è però che l'impedenza è decisamente di 4 ohm. Quindi, quei 91,5
dB a 2,83 V su 4 ohm corrispondono non ad 1 W, ma a circa 2 W, che sono +3 dB riferiti ad
1 W! Per quanto mi riguarda, sulla base dei dati a disposizione il RES 170 VRKO ha
un'efficienza reale che non arriva a 89 dB. Non c'è nulla di strano, irregolare o criticabile
in tutto ciò, è un valore del tutto congruo per un altoparlante di quel tipo; ma, ai miei occhi, è
parecchio di meno dei "92,5" che il catalogo vorrebbe far passare.
Se Maltese avesse voluto fare un sistema adatto ai triodi, non avrebbe certamente scelto
questo altoparlante. Il suo sistema "Piccolo mostro" è anch'esso progettato per essere pilotato
in tensione: è ben presentato, razionale, e sicuramente funzionerà bene, ma giustamente egli
non caldeggia l'abbinamento coi triodi (essi sono pazienti e si adatterebbero lo stesso a farlo
andare, ma non è roba pensata per loro). Occorre un amplificatore che si comporti da
generatore di tensione e con una potenza di qualche decina di watt (che sono senza dubbio le
caratteristiche dell'apparecchio, da 50 W, che egli ha annunciato). Con un apparecchio di
potenza limitata e resistenza interna tra 2 e 5 ohm (il tipico ampli a triodi senza
controreazione), oltre a ritrovarsi il reflex allineato in modo completamente diverso, non si
ottiene una buona amministrazione della potenza; così pilotato sicuramente tale sistema
suonerà più piano -ed a rischio di risultare un po' compresso, dipende molto dalle
caratteristiche dell'ampli: uno Zjàl non avrebbe problemi, un "monotriodo Charleston", come
li chiamava il Bart, secondo me sì- rispetto a quanto ci si sarebbe aspettati dai dB "di targa".
Non è una critica, è una chiosa ad una scelta. E' tutta questione di dietro a quale coniglio si
stia correndo: ognuno richiede strategie diverse per essere acchiappato, e Maltese ha ragione
a dire che nessuno offre il massimo su tutti i fronti. Non è proprio tecnicamente possibile:
"Lepores duo qui insequitur, is neutrum capit", latino per "Chi insegue due lepri, non becca
nessuna delle due". Solo che quella a cui sto dando la caccia io, prima d'ora se la deve essere
passata bene perché non se l'è calcolata praticamente nessuno...
2. Occhio agli sprechi.
Restando sempre a guardare dal mio trespolo di "taccagno dei watt", mi sono letto le
considerazioni di Maglietta prima, e di Maltese poi sulla compensazione dell'induttanza ed in
generale sui comportamenti reattivi degli altoparlanti. Loro ne discutono -dal loro punto di
vista- ai fini della linearizzazione del carico visto dalle celle del crossover, e quindi
dell'ottenimento, dalle medesime, di risposte più regolari e prevedibili.
Per quanto riguarda linearizzare o cortocircuitare alla risonanza, talvolta occorre e talvolta
no, e non sempre per questioni di filtraggio -io, come a suo tempo spiegato e come più volte
ricordato da Maltese, l'ho fatto per risolvere un problema meccanico e non perché al
crossover gliene fregasse qualcosa. Ma in quanto all'induttanza?
A me sorge una domanda. a cui potrei trovare da solo la risposta, se mi ripassassi i calcoli
coi numeri complessi; ma per ora non ne ho tempo e comunque detesto gli esercizi di
matematica: quindi comincio a buttare il sasso e stiamo a vedere se qualcun altro vorrà
raccoglierlo. Rinfresco un'altra volta: l'amplificatore, per pilotare la cassa, le invia corrente e
quindi potenza. A parità di livello sonoro emesso, si ha interesse a prelevare
dall'amplificatore meno potenza possibile, specialmente quando essa è disponibile in quantità
limitata. Ora, dato un altoparlante, al di sopra della risonanza, a causa dell'induttanza della
bobina il modulo della sua impedenza sale con la frequenza. Ne consegue che, a parità di
tensione erogata dall'ampli, aumentando la frequenza la potenza attiva necessaria al
pilotaggio va diminuendo, mentre sale quella swattata, almeno fino a stabilizzarsi quando la
fase dell'impedenza si stabilizza anche lei.
La domanda è: Una volta compensata l'induttanza di un altoparlante -e quindi
ottenuto un andamento dell'impedenza pressoché resistivo, ma con un modulo più basso
alle frequenze superiori- la potenza necessaria a pilotarlo aumenta o diminuisce? In
altre parole, dal punto di vista energetico, rifasare l'induttanza di un altoparlante
conviene oppure no? La situazione è diversa da quella di un motore elettrico, che
funziona a frequenza fissa e va rifasato solo a quella. Ancora più direttamente: quanto
dissipano le reti RC serie che mettete in parallelo agli altoparlanti per rifasarli?
Qualora le reti di rifasamento aumentassero la richiesta complessiva di corrente, cioè se a
conti fatti la potenza attiva assorbita dall'altoparlante compensato, alle frequenze di sua
competenza, fosse mediamente maggiore della somma di attiva più swattata necessaria per
pilotarlo senza compensazione allo stesso volume, questa sarebbe una controindicazione alla
compensazione tout court. Varrebbe la pena valutare se non convenga invece realizzare un
filtro un po' più complesso, per ottenere la stessa attenuazione senza compensare. Che ne
dite?... Forse bisognerebbe inventare qualche misura ad hoc per verificarlo.
Per quanto riguarda invece l'equalizzazione, (e stavolta non è una domanda, è un punto di
vista), sempre sul piano energetico, vedo con diffidenza le reti poste in parallelo agli
altoparlanti. Quando c'è bisogno di equalizzare passivamente un componente, a mio modo di
vedere ci sono due possibili atteggiamenti. Uno è quello di dire: bene, devo spianare un
picco nella risposta, allora limito l'erogazione di corrente da parte dell'ampli in quella zona di
frequenze. L'altro invece è: lascio che l'ampli invii al sistema la corrente che invierebbe
senza equalizzazione; quella che mi serve lascio che attraversi l'altoparlante, quella che
avanza la butto via (la devio verso massa). Un caso integralista di questo secondo
atteggiamento, per fortuna presto sparito dalla circolazione, ma purtroppo completamente
dimenticato -dico "purtroppo" perché invece sarebbe bene ricordare a quali storture tecniche
possa portare un astratto fanatismo- è stato il folle esperimento delle Sonus Faber Extrema,
risalente ad una quindicina di anni fa. Si trattava di un diffusore non "mini", ma "midi", dove
in un qualche raptus si era voluto tentare di fare un crossover senza condensatori: il tweeter
era così filtrato da una resistenza in serie e da un'induttanza in parallelo. Così facendo,
invece di staccarlo dall'amplificatore alle basse frequenze, si lasciava che l'ampli pompasse, e
quello che non serviva veniva cortocircuitato a massa. Logicamente, non potendo metter in
corto tutto il diffusore, la resistenza in serie al tweeter era di valore piuttosto alto (quindi
provocava una attenuazione atroce) e di dissipazione poderosa, tanto che, per raffreddarla, sul
pannello posteriore avevano dovuto mettere un radiatore che sarebbe bastato per un finale da
30 W...
Senza andare su questi eccessi, farei osservare che limitare l'emissione di un altoparlante
mettendogli in parallelo una rete di "shunt" comporta uno spreco di potenza che, se non è
certo un problema in un diffusore "normale", è senz'altro da evitare quando si voglia
ottimizzare l'efficienza; questo è peraltro il motivo per cui, per limitare il picco in gamma alta
prodotto dall'Audax TW 034 X0, abbia preferito mettergli in serie una cella parallelo, perché
non assorbe alcuna quota aggiuntiva di corrente, ed aumenta il modulo dell'impedenza visto
dall'amplificatore, anziché diminuirlo, come farebbe invece una cella serie posta in parallelo
al componente.
Diego Nardi.
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