Assorbimento e teatralità in Brecht
di Viviana Fortunato
Abstract
Nel presente saggio si analizza il tema della fruizione nel teatro
brechtiano applicando le teorie di Michael Fried sulla ricezione dell’opere
d’arte, vale a dire, i concetti di assorbimento e teatralità. Tale
applicazione teorica prenderà in considerazione alcune rappresentazioni
del Berliner Ensemble, i testi brechtiani e le sue teorie teatrali.
Il termine “teatro” deriva del greco théatron che significa “osservare,
guardare”. Questo termine implica già in sé l’azione del “guardare” e
quindi di avere qualcuno che fruisca la rappresentazione. Dopo Aristotele, gli antichi avevano risolto e spiegato questa ricezione attraverso la
catarsi, secondo la quale lo spettatore avrebbe provato, attraverso lo
spettacolo, pietà per quello che accadeva all’eroe, e terrore perché la
stessa cosa potesse accadere anche a lui, attraverso la purificazione.
Tra Ottocento e Novecento l’arte teatrale è stata oggetto di nuove sperimentazioni, di nuove teorie e di nuove pratiche registiche. Sarà solo
con Bertolt Brecht che la ricezione teatrale verrà rivalutata da un punto di vista nuovo che rompe con la tradizione, pur partendo da questa.
Brecht crea un nuovo tipo di dramma e un sistema teatrale che lui
stesso definisce “non aristotelico”, proprio perché contrario alla catarsi.
Per Brecht, infatti, nello spettatore deve crearsi l’effetto dello “straniamento”,
che
presuppone
un
atteggiamento
critico
contrario
all’immedesimazione.
Svolgeremo un’analisi della fruizione del teatro di Brecht attraverso
le teorie del critico e dello storico d’arte americano Michael Fried,
riguardanti l’assorbimento e la teatralità. Nel suo percorso di studi, il
rapporto fra opera e spettatore nel momento della fruizione occupa un
posto centrale. Per lui la ricezione dell’oggetto artistico dipende dalla
forma che questo mostra. Da ciò si origina l’atteggiamento che lo
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spettatore assumerà nei suoi confronti, e la collocazione dello
spettatore rispetto all’opera d’arte, oltre che la decisione dell’artista di
essere cosciente della presenza dello spettatore o di ignorarlo. Per
Fried l’artista e il critico iniziano a sollevare il problema della fruizione
come decisivo solo a partire dal Settecento. Nel 1980 Fried compone il
saggio intitolato Absorption and Theatricality. Painting and Beholder
in the age of Diderot, nel quale definisce due tipi di rapporto fra l’opera
e lo spettatore, ossia quello teatrale e quello “anti-teatrale” o di
assorbimento.1 Nel primo caso, Fried intende il termine “teatrale” in
senso peggiorativo, riferendosi a quelle opere d’arte che non sono
autonome, ma che dipendono dallo spettatore che le guarda; egli
individua un rapporto falso fra l’opera e lo spettatore proprio in quei
quadri dei pittori francesi che erano criticati da Diderot perché non
esprimevano un vero sentimento ma una posa falsa e “manierata”. Nel
caso del rapporto “anti-teatrale”, egli individua un rapporto vero fra
l’opera e lo spettatore, che è appunto di assorbimento. Il soggetto
dell’opera è chiuso in sé e si pone come totalmente concentrato; a volte
vi è la presenza di altri personaggi che guardano l’individuo nella sua
attività, ma non vi è nessun rimando verso l’esterno, e quindi verso lo
spettatore. Fried pone come esempio i quadri di Chardin: i suoi
personaggi sono assorbiti in semplici attività del quotidiano.
Nel dipinto intitolato La bolla di sapone, osserviamo un ragazzo
totalmente “assorbito” nella sua attività, che è quella di giocare con le
bolle di sapone. In questo caso, il ragazzo dipinto non dimostra alcun
interesse nei confronti di ciò che accade nell’ambiente circostante.
Questo viene confermato dalla presenza, nel quadro, di un altro
personaggio che lo spia e che a sua volta è “assorbito” dall’osservazione
del ragazzo che gioca con le bolle di sapone. Sulla base dell’esempio del
M. Fried, Absorption and theatricality. Painting and Beholder in the Age of Diderot,
The University of Chicago Press, Chicago 1988; tr. it. Di M. Bertolini, Assorbimento e
teatralità. Pittura e spettatore nel secolo di Diderot, in M. Mazzocut-Mis (a cura di),
Estetica della fruizione, Lupetti, Milano 2008, pp. 151-178.
1
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quadro di Chardin, Fried definisce l’assorbimento come “centripeto”,
per cui l’autonomia della finzione estetica si mantiene negando o
ignorando la presenza dello spettatore davanti al quadro; qui la
teatralità è, al contrario, “centrifuga”, perché il quadro si rivolge
direttamente allo spettatore esterno, rinunciando alla sua autonomia.
Nell’assorbimento si ottiene un rapporto vero, autentico e sincero nel
momento della fruizione estetica. Questo si raggiunge attraverso un
paradosso fondato sulla circolarità dell’opera, per cui l’illusione
drammatica dell’assorbimento dello spettatore nell’opera e, viceversa,
l’efficace rappresentazione dell’assorbimento nella finzione estetica,
produce l’illusione ontologica dell’isolamento dell’opera rispetto allo
spettatore. Quando il personaggio è “assorbito” da un oggetto, il mondo
che ha intorno diventa inesistente, e così lo diventa anche il mondo che
sta attorno allo spettatore; dall’altra parte, la sua concentrazione
sull’oggetto mostra per analogia la concentrazione che dovrà avere lo
spettatore nel fruire l’opera d’arte, e quindi una fruizione concentrata e
riflessiva.
Verso la metà del Settecento ci si accorge che per creare un’azione di
assorbimento non basta solo il gesto quotidiano e concentrato
sull’oggetto, ma che bisogna creare un artificio che neghi lo spettatore
in forma esplicita. È quello che farà Greuze e che indicherà con
l’espressione di “paradosso dello spettatore”, riprendendo da Diderot il
concetto di “paradosso dell’attore”. Secondo questo paradosso lo
spettatore sarà sempre più attratto dell’opera quanto più questa è in
grado di negarla; la negazione prevede una drammatizzazione, così
come il quadro rappresenta un dramma visivo nel momento climatico
dell’azione. Per Diderot anche l’attore deve evitare di far vedere la
presenza dello spettatore, e deve usare una parete immaginaria che
divide il dramma dalla platea. Questo concetto elaborato da Diderot ci
riporta direttamente al Novecento e alle teorie, oltre che alla pratica da
esse derivata, di Stanislavskij e di Antoine. Tuttavia, il rapporto
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decisivo fra ricettore e oggetto della recezione è esposto al rischio della
teatralità. È probabile che l’oggetto della ricezione sia esposto al
“rischio” della teatralità. È probabile che l’oggetto della ricezione, che è
l’oggetto artistico in generale, si relazioni con il suo ricettore in forma
falsa, attraverso artifici, creando la “maniera” più che l’assenza del
motivo comunicante, intrinseco e profondo. Cosciente di questo rischio,
Diderot proporrà come attore ideale l’artista che sarà capace di agire
sulla scena e, al contempo, di controllare le sue azioni guardando al di
fuori di sè quello che fa. In modo tale controllerà le sue emozioni, e
potrà creare nel pubblico emozioni ancora più profonde; questo è il suo
paradosso, che non a caso, ci ricorda quello che Brecht chiamerà nel
Novecento come “effetto V”.
L’assorbimento è in grado di creare nello spettatore due effetti
dialetticamente opposti. Da una parte lo può essere escluso
completamente
dalla
rappresentazione
perché
il
suo
effetto
drammatico rimane dramma “interno” che lo spettatore guarda “al di
fuori”. A questo punto siamo di fronte alla pietà e al terrore aristotelici:
lo spettatore prova pietà e terrore: la pietà per il soggetto dell’opera e,
con essa, il timore che quelle disgrazie succedano anche a lui. Dall’
altra parte, lo spettatore sa di esser “al di fuori” proprio perché egli è
cosciente
che
«l’eccitazione
prodotta
dall’illusione
è
senza
conseguenze»2 e che «solo vestendo i panni dello spettatore è possibile
fruire del dolore»3. Se invece, ci si sposta “dentro” la rappresentazione,
ecco che si è posti di fronte all’immedesimazione dello spettatore e,
perciò, di nuovo alle prese con un teatro aristotelico e anche, possiamo
dire, stanislavskiano. Fried riprende la definizione del termine
“teatrale” di Diderot, scrivendo:
M. Mazzocut-Mis, Il piacere di piangere: il brutto, il sublime, l’orrore come
godimento estetico, in M. Mazzocut-Mis, Estetica della fruizione, cit., p. 197.
3 Ibid., p. 199.
2
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 109
[…] nei suoi scritti sulla pittura usa il termine teatrale (le
théâtral), che implica la consapevolezza di essere osservati,
come sinonimo di falsità. L’opposto della smorfia, del
manierato e del teatrale, era il naïf, definito da Diderot nei
Pensieri sparsi come “assai prossimo al sublime” e così
riassunto nella frase: “è la cosa, ma la cosa nella sua
purezza senza la minima alterazione. Non c’è più
artificio”4.
Perciò il termine teatrale, come abbiamo già detto, è peggiorativo e
completamente negativo nel rapporto tra lo spettatore e il pubblico.
Bisogna però comprendere che Diderot combatteva tenacemente contro
il Rococò verso il quale indirizzava le più dure critiche. Lui stesso
scrive: «è raro che un essere che non sia del tutto assorbito nella sua
azione, non sia manierato»5. La concentrazione sull’oggetto è una
strategia per evitare il manierismo. Diderot si pone sulla stessa linea,
riflettendo sul fatto che più un personaggio dimostra di piangere bene,
e più sarà falso e manierato.
Negli scritti di Diderot sul teatro e sulla pittura, il rapporto che si
crea durante la fruizione viene definito di per sé “teatrale”, «strumento
di dislocazione e di alienazione piuttosto che di assorbimento, di
simpatia e di auto-trascendenza»6. Il teatro e la pittura dovranno,
allora, indirizzare tutti i loro sforzi nella capacità del drammaturgo e
del pittore di eliminare quello stato: «de-teatralizzare lo sguardo dello
spettatore rendendolo così, ancora una volta, un modo di accesso alla
verità e alla convinzione»7. Diderot sostiene che «altro è una posa
(attitude), altro è un’azione (action), ogni posa è falsa e meschina, ma
ogni azione è vera e bella»8. Partendo da tale affermazione, si potrebbe
ribaltare la tesi per cui un effetto teatrale è sempre peggiorativo e
M. Fried Assorbimento e teatralità: pittura e spettatore nel secolo di Diderot, cit., p.
167.
5 Ibid., p. 166.
6 Ibid., p. 172.
7 Ibid.
8 Ibid., p. 168.
4
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 110
negativo. Nel caso in cui l’artista voglia mettere proprio in risalto
questo rapporto fra spettatore e pubblico e, perciò, non dimenticarsi
che lo spettatore lo sta osservando, e quindi mettere in risalto proprio
questo fatto in maniera utile all’arte e alla società; allora non ci
dovrebbero esserci motivi per cui disprezzare una fruizione che è
sostanzialmente basata su un rapporto teatrale fra soggetto e oggetto
artistici.
Nel
caso
in
cui
fosse
tolto
l’elemento
di
falsità
nella
rappresentazione, ci chiederemmo se questo rapporto diventi allora
vero o continui a rimanere nel falso. Nell’Olympia di Manet «lo sguardo
vuoto e freddo [...] direttamente rivolto all’osservatore, diventerebbe
quindi rovesciamento e denuncia dell’oscenità dello sguardo esibito, nel
momento stesso in cui lo afferma»9. In questo caso l’oggetto artistico è
copia della realtà, e la rende evidente. Mostrando quello che è, mostra
l’essere consapevole del suo esistere come oggetto artistico da fruire,
ma allo stesso tempo comunica un suo contenuto ricco. Manet fa
emergere il dispositivo pittorico in due dimensioni, la cornice e la tela,
attraverso la replica delle linee orizzontali e verticali della cornice con
la bi-frontalità del quadro. C’è sempre un personaggio che guarda lo
spettatore, come nel caso dei dipinti Olympia, Il bar delle Follies
Bergère, La colazione sull’erba, nei quali vi è la presenza di un
personaggio che guarda al dì là della tela verso l’esterno, e dunque che
osserva il retro della tela o si dirige verso questo, come nel caso dei
dipinti Il bar delle Follies Bergère, Alla Ferrovia, Il Balcone. In Manet,
quindi, il dispositivo viene rivelato attraverso alcune caratteristiche
formali legate al dispositivo stesso evidenziando maggiormente la
consapevolezza dell’artista attraverso l’oggetto della presenza dello
spettatore. Brecht, come Manet, rifiuta la fruizione “anti-teatrale”, ma
rifiuta anche la falsità del rapporto teatrale nel senso del manierato di
M. Bertolini, Archeologia della modernità in pittura: la relazione quadro-spettatore
fra Diderot e Michael Fried, in M. Mazzocut-Mis, Estetica della fruizione, cit., p. 149.
9
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 111
cui parlava Diderot, nonostante l’opera conservi la caratteristica di
esistere
in
funzione
dello
spettatore,
anche
se
nel
senso
dell’autoreferenzialità. Sosteniamo la tesi in base alla quale queste
caratteristiche della pittura di Manet si ritrovano nel teatro di Brecht,
come drammaturgo, come teorico e come regista. In lui c’è la volontà di
evidenziare le caratteristiche del dispositivo, in primo luogo attraverso
una nuova concezione formale del dramma e della messa in scena, e in
secondo luogo attraverso un nuovo tipo di fruizione. Il teatro epico
presenta una serie di particolari che sono utili a mostrare la struttura,
gli impianti, i meccanismi del teatro quali la luce forte, il siparietto a
metà, i song distaccati dal testo, le battute in terza persona, la
recitazione straniata. Tutti questi accorgimenti sono utili a fare in
modo che lo spettatore non si dimentichi di essere a teatro e, quindi,
che si crei una fruizione nuova che eviti la catarsi e l’immedesimazione.
Nel teatro di Brecht la catarsi sparisce e lo spettatore non deve fruire
l’oggetto estetico, ossia la rappresentazione teatrale, di forma
empatica, ma deve porsi di fronte a questa in maniera distaccata. Solo
in questo modo può crearsi la coscienza critica di fronte all’evento
teatrale che è il fine che Brecht vuole dare al suo teatro. Scrive Brecht:
«Un teatro privo di contatto con il pubblico è un nonsenso. Il nostro
teatro è dunque un nonsenso. Se oggi un teatro non ha più alcun
contatto col pubblico è perché non sa cosa si voglia da esso»10. Il teatro
di Brecht cerca questo rapporto di forma esplicita nel momento della
fruizione. L’attore, rivolgendosi al pubblico, lo invita a pensare, a
riflettere, a farsi nuove idee. Questo dramma epico è subordinato
all’evoluzione storica e attraverso questa nuova forma cerca un nuovo
ordine sociale. Per John Willet il teatro epico è «una sequela d’incidenti
o di avvenimenti raccontati senza limitazione artificiosa per quanto si
riferisce al tempo, al luogo o all’importanza nell’ambito di un
B. Brecht, Scritti Teatrali I, a cura di E. Castellani, tr. it. di C. Pinelli, M.
Capitella, E. Castellani, P. Chiarini, R. Fertonani, R. Mertens, Einaudi, Torino 1975,
p. 40.
10
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 112
“intreccio” vero e proprio»11. Brecht, a livello drammaturgico, opera una
rottura con le tre unità aristoteliche, e quindi con la forma tradizionale
della trama che presuppone il racconto di un avvenimento dove si
presenta un conflitto che poi sarà risolto. Nella drammaturgia
aristotelica tutto è rappresentato attraverso eventi autonomi l’uno
dall’altro. Nel teatro brechtiano c’è il rifiuto del conflitto drammatico, e
ciò è reso evidente da una contraddizione dialettica che rimane latente
e senza soluzione a differenza del conflitto tradizionale. Brecht propone
un linguaggio esplicito, essenziale, quasi a slogan, che dica unicamente
il necessario. Questo linguaggio ha lo scopo di adattarsi al gestus: ossia
all’atteggiamento che sta alla base di ogni frase e di ogni discorso.
Ewen, sul rifiuto di Brecht nei confronti della catarsi, che risulta legata
all’empatia, scrive: «Egli si accingeva ad attaccare la roccaforte
dell’estetica dell’arte drammatica. Qual è la natura della tragedia, e
della catarsi che deve risultarne? Che tipo d’ordine (o disordine) del
mondo esse presuppongono? Che cosa è questa purificazione dei
sentimenti che viene ottenuta»12. Brecht sostituisce la catarsi con lo
straniamento, il quale attraverso lo schock del riconoscimento e
dell’auto-riconoscimento
crea
il
distanziamento
ed
evita
l’immedesimazione, avvertendo che questo non implica l’eliminazione
dell’emozione. Quello che Brecht voleva combattere era quel particolare
momento dove l’empatia provoca un tipo di fruizione che fa in modo
tale che l’identificazione emotiva offuschi l’intelligenza e la ragione.
Nel
Settecento,
Diderot
si
era
posto
il
problema
della
rappresentazione falsa di quegli attori, i divi, che si rivolgevano al
pubblico unicamente per farsi applaudire. La critica di Diderot si
colloca, però in un momento dove a livello artistico dominava un
J. Willet, Bertolt Brecht e il suo teatro, tr. it. E. Capriolo, Lerici, Milano 1960, p.
243.
12 F. Ewen, Bertolt Brecht, la vita, l’opera, i tempi, tr. it. di A. D’Anna, Feltrinelli,
Milano 1980, p. 183.
11
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manierismo
artificioso.
Fried
ammira
nei
quadri
di
Chardin
l’assorbimento dei suoi personaggi concentrati nell’azione, la quale crea
un rapporto di veridicità tra il pubblico e l’opera. Dunque, visto da
questa prospettiva, il teatro di Brecht provocherebbe nello spettatore
un rapporto falso, e quindi “teatrale” nel senso di Fried, tra il soggetto
che fruisce, ossia lo spettatore teatrale, e l’oggetto che viene fruito,
ossia lo spettacolo. L’attore che recita attraverso lo straniamento si
presenta di fronte al pubblico in maniera duplice: da una parte egli è
sulla scena come attore e come tale invita il pubblico a riflettere;
dall’altra egli ci mostra il suo personaggio e in ciò che fa è totalmente
concentrato
e
“assorbito”
nell’azione.
Il
teatro
brechtiano
si
presenterebbe quindi in una duplice dialettica della fruizione che, da
una parte, ha la funzione di mostrare, è autoreferenziale, e usa tutti i
mezzi per evitare l’immedesimazione, le atmosfere illusionistiche, e
che, inoltre, ricorda allo spettatore di essere a teatro. Tale tipo di teatro
svela il mezzo, lo sottolinea, ed è in questo senso che il rapporto del
teatro di Brecht sarebbe, utilizzando la terminologia di Fried,
“teatrale”: tornando alla definizione di Fried esso, infatti, ci
presenterebbe un’opera che non è autonoma, ma che dipende
totalmente dallo spettatore, attraverso cui si crea l’atteggiamento
critico e distanziato che si fa esplicito nel teatro epico di Brecht.
Dall’altra parte, però, l’attore di Brecht quando ci “mostra” il suo
personaggio lo fa nei minimi dettagli, crea delle partiture fisiche e
vocali complesse, crea il personaggio in forma completa, e l’esempio di
ciò è la recitazione della Weigel in Madre coraggio e i suoi figli. Qui il
personaggio emoziona il pubblico, ma allo stesso tempo il tipo di
recitazione dell’attrice evita che il pubblico vada oltre quella soglia che
non lo avrebbe fatto più pensare ma che, appunto, lo avrebbe fatto solo
“ubriacare” dentro l’emozione causata dal personaggio. Dunque, anche
se in diversi punti il teatro brechtiano richiama a una fruizione nel
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 114
senso “teatrale”, dall’altra parte propone una fruizione anche “antiteatrale”.
Immaginiamo di entrare a vedere uno spettacolo di Brecht: lo
spettatore noterebbe che il sipario è alzato a metà, che il palcoscenico è
illuminato con luci forti così come anche la platea, e che sul sipario c’è
una frase che ci informa sul tema dello spettacolo. Quando il sipario
svela la scena non ci sono arredi naturalistici ma solo oggetti ed
elementi essenziali. L’attore si rivolge al pubblico, mostra il suo
personaggio, è distaccato dall’azione; il linguaggio ha un carattere
gestuale; i musicisti sono a vista, la musica è del tutto indipendente
dall’azione; possono intervenire cartelloni con i titoli o i contenuti delle
prossime scene, che annullano così l’elemento di sorpresa; possono
usarsi proiezioni e film che spieghino meglio l’azione. Nell’Acquisto
dell’Ottone, Brecht afferma che lo spettatore che vede deve essere
sostituito da uno spettatore che esamina. Attraverso l’aspetto formale e
quello autoreferenziale, proprio del teatro epico e dell’“effetto V”, si
presenterebbe a nostro avviso il carattere teatrale, non autonomo nel
senso di Fried, e in questo senso “finto” proprio perché non vive se non
attraverso lo spettatore. Dunque, la fruizione nel teatro di Brecht
sarebbe “teatrale”.
Per Fried l’assorbimento dell’oggetto artistico su se stesso e
l’assorbimento dello spettatore nell’oggetto artistico è la garanzia per
realizzare un’autentica esperienza estetica. Il quadro, il personaggio o
l’opera teatrale non rimandano a nessun elemento esterno. Con
l’assorbimento dunque si compirebbe il paradosso dello spettatore: il
pubblico è maggiormente attratto di quell’opera che più lo esclude. Nel
teatro, e in particolare in quello di Stanislavskij, rappresentazioni di
questo genere sono tipiche del “naturalismo”, attraverso una messa in
scena che è, appunto, naturalistica, con la massima cura dei dettagli.
In una recitazione con personaggi costruiti attentamente, attraverso
un processo complicato che cerca risposta alle più specifiche domande
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 115
che giustifichino l’agire del personaggio, l’attore lo fa vivere come se
fosse reale. Questo avviene attraverso l’immedesimazione dell’attore
sull’azione, e attraverso l’illusione di questo mondo distinto dal reale,
protetto da una quarta parete invisibile che separa lo spettacolo dalla
platea. Questo teatro esclude totalmente il pubblico, che entra come
una spia che guarda attraverso la fessura di una porta; si creano,
quindi, l’immedesimazione, la catarsi, e anche un rapporto di
assorbimento. Stanislavskij scrive che nel momento della fruizione
l’attore deve: «1.Comunicare direttamente con l’oggetto dello scenario e
comunicare indirettamente con il pubblico. 2. Essere in comunione con
se stessi. 3. Comunicare con un oggetto assente o immaginario»13. Qui è
evidente come la fruizione “anti-teatrale” in Stanislavskij sia in primo
piano. L’attore sa ovviamente che il pubblico è in sala ma si comporta
come se fosse da solo.
A un primo sguardo si potrebbe dire che il teatro di Brecht sia
completamente distante da questo tipo di fruizione, ma non è così.
Brecht, infatti, come abbiamo già detto compie attraverso certe
particolarità del teatro epico e dello straniamento una fruizione che si
potrebbe definire “teatrale”. Ma, dall’altra parte, quando l’attore
“mostra” il suo personaggio lo fa addentrandosi completamente in
questo, senza immedesimarsi. Se per assorbimento s’intende che il
soggetto della rappresentazione (in questo caso l’attore) sia concentrato
in quello che fa, allora quando l’attore brechtiano attraverso lo
straniamento mostra il personaggio nelle sue azioni, lo fa essendo
sicuramente concentrato e, quindi, “assorbito”. Questo assorbimento
creerà a sua volta la concentrazione dello spettatore all’interno
dell’opera, mentre la concentrazione dell’attore nell’eseguire l’azione
del personaggio, la quale rimanda verso l’interno dell’opera, non è
assente nel teatro di Brecht. Qui, però, in maniera del tutto differente
K. Stanislavskij, Preparaciòn del actor, Leviatan, Buenos Aires 1960, p. 203, tr. it.
nostra.
13
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 116
rispetto a quello di Stanislavskij, la concentrazione dello spettatore non
scaturisce dell’immedesimazione ma dall’azione stessa di quello che il
personaggio fa in scena. L’atteggiamento critico proprio del teatro epico
presuppone anch’esso un tipo di attenzione e dunque di assorbimento –
nel senso di Fried – dell’opera proprio perché, altrimenti, lo scopo
sociale e critico di Brecht nel suo teatro verrebbe meno. Per Brecht
l’arte deve essere socialmente utile, e proprio per questo egli si oppone
alle persone che ritengono che riflettere il reale sia un delitto.
Dall’altra parte, Brecht, nel suo teatro assegna un particolare peso allo
scopo pedagogico: il pubblico attraverso il teatro impara, quindi,
divertendosi. È interessante vedere come molti spettatori delle messe
in scene fatte da Brecht o da altri registi sui testi brechtiani, siano
rimasti colpiti dalla forza emozionale. Quindi, c’è da chiedersi perché il
pubblico reagisca così. Brecht più di una volta ha detto che
l’atteggiamento
critico
non
eliminava
l’emozione.
Sull’Acquisto
dell’Ottone, alla domanda fatta dal drammaturgo sulla razionalità
dell’attività critica, il filosofo gli risponde: «Non dovete in nessun caso
limitare la vostra critica alla razionalità. Anche i sentimenti
partecipano alla critica – forse il vostro compito è proprio quello di
organizzare la critica mediante i sentimenti. La critica, ricordatelo,
nasce dalle crisi e le acuisce»14.
Da queste parole di Brecht si può comprendere che il suo teatro vive
in una dialettica che implica da una parte la presenza della critica, e
dall’altra parte quella dei sentimenti, dove l’immedesimazione è solo
un particolare tipo di sentimento che lui non usa. Nel teatro di Brecht
la forma teatrale è di vitale importanza proprio perché il teatro epico e
il tipo di recitazione a esso legata – che è, appunto, lo straniamento – si
regola sulla base di forme determinate. Queste, senza il contenuto che
è a esse legato, perdono il valore innovativo e rischiano, quindi, di
B. Brecht, Scritti Teatrali II, a cura di E. Castellani, tr. it. C. Pinelli, M. Capitella,
E. Castellani, P. Chiarini, R. Fertonani, R. Mertens, Einaudi, Torino 1975, p. 118.
14
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 117
cadere nel puro formalismo. Si presenta, inoltre, anche una doppia
fruizione, che da una parte è “anti-teatrale” e che dall’altra parte è,
invece, “teatrale”, intendendo questi termini ancora sulla base della
definizione di Fried.
Secondo Ewen il teatro epico «comincia veramente a esistere quando
fa la sua apparizione l’elemento ‘dialettico’, che lo differenzia in modo
fondamentale dalle forme esistenti in precedenza e dagli stili
contemporanei»15. Per Willet «alla posizione insieme sociale ed estetica
del Kleines Organon [Brevario di estetica] è seguito un compromesso
fra empatia e distacco, e l’interesse dialettico per la contrarietà diventa
fine a se stessa»16. A nostro avviso la posizione di Willet, consistente
nel rintracciare la contrarietà fine a se stessa, è estrema. Il fatto che si
crei un compromesso fra empatia e distacco è evidente tanto nella
recitazione straniata, quanto in tutti gli elementi del teatro epico. Essa
è, inoltre, tipica di questo particolare genere di fruizione, che propone
una ricezione teatrale e di assorbimento vista dalla prospettiva di
Fried. La fruizione teatrale dipende dallo spettatore per poter esistere.
Senza di lui, l’opera rimane non finita, perché è proprio al rapporto fra
pubblico e palcoscenico che tutto il teatro di Brecht si rivolge. Dall’altra
parte essa è anche autoreferenziale perché svela il mezzo, e perchè
ricorda a noi spettatori che assistiamo a una rappresentazione di
essere a teatro. L’attore, attraverso l’“effetto V”, si presenta come
“doppio” perché è sia personaggio e sia attore: egli strania la vicenda e
fa in modo che ciò che è consueto diventi “strano”. A livello
drammaturgico c’è anche la particolarità narrativa ed episodica degli
avvenimenti propri di una drammaturgia che è non aristotelica.
Brecht, attraverso la rappresentazione epica, rivoluziona le forme e i
contenuti, e aggiorna le funzioni dell’arte drammatica secondo il suo
tempo. In particolare, egli cambia la fruizione rompendo con una
15
16
F. Ewen, Bertolt Brecht, la vita, l’opera, i tempi, cit., p. 181.
J. Willet, Bertolt Brecht e il suo teatro, cit., p. 273.
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 118
tradizione millenaria, riassumendo in sé rappresentazione orientale e
occidentale, oltre che greca e medievale, e dando al Novecento un
teatro capace di trasformarsi e dunque di essere utile alla società.
Dopo aver spiegato che il teatro di Brecht presuppone sia una
fruizione teatrale, sia una fruizione di assorbimento, che può essere
definita come “anti-teatrale”, prenderemo in analisi alcuni esempi
partendo da tre dei suoi testi e tenendo in considerazione sia le note ai
testi sia le regie di Brecht e di Strehler. Il primo dramma che
prenderemo in considerazione è L’opera da tre soldi, del 1928. Nelle
note al testo di quest’opera, Brecht elenca una serie di accorgimenti ai
fini di un buono svolgimento della messa in scena: la presenza dei titoli
e dei cartelli esplicativi che richiedono la recitazione epica, implicano
che ogni volta che lo spettatore legge i titoli assuma un atteggiamento
distanziato. L’attore dovrà rappresentare i fatti in forma chiara e la
critica che egli fa della realtà deve essere, dunque, implicita. Quando
l’attore canta, ci deve essere un mutamento che sia evidente allo
spettatore, e in quel momento l’orchestra deve essere visibile. Le note
di Brecht al testo17 sono completamente congruenti con il teatro epico,
che presuppone la doppia fruizione: critica e distanziata e, quindi,
teatrale e al contempo di assorbimento quando l’attore mostra il
personaggio in tutta vitalità. Anche a livello di messa in scena si
mantengono tali presupposti. La prima rappresentazione di tale opera
venne svolta il 31 agosto 1928 a Berlino; il produttore musicale era
Kurt Weill, mentre la scenografia era affidata a Caspar Neher e la
regia a Erich Engel con la collaborazione di Brecht. Ewen riporta che si
era cercato di creare il distacco critico del pubblico proprio attraverso la
dicotomia di parola e di musica, oltre che attraverso la separazione dei
vari elementi dell’opera, le proiezioni di massime bibliche o di testi di
Cfr., B. Brecht, Scritti Teatrali III, a cura di E. Castellani, tr. it. C. Pinelli, M.
Capitella, E. Castellani, P. Chiarini, R. Fertonani, R. Mertens, Einaudi, Torino 1975,
pp. 46-47.
17
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altra provenienza. Inoltre gli attori parlavano direttamente al pubblico.
La messa in scena dell’Opera da tre soldi fatta al Piccolo Teatro di
Milano nel 1956, con la regia di Giorgio Strehler, fu ammirata dallo
stesso Brecht che dichiarò che il regista italiano in tale occasione
avesse fatto nascere nuovamente la sua opera. Strehler attuò delle
modifiche sul testo e sulla rappresentazione: nella sua versione sono
presenti elementi epici, quali i titoli e le immagini proiettate, la corda a
metà, la volontà di cercare la narrazione e la critica. Dalle fotografie di
scena è evidente come tutto sia indirizzato per creare una
rappresentazione epica. Per l’Opera da tre soldi possiamo affermare,
dopo tutti gli elementi presi in considerazione, che si cerca e si segue
un teatro epico, che a sua volta presupporrà, quindi, la fruizione
dialettica
che
è
teatrale
perché
dipende
dallo
spettatore,
è
autoreferenziale, ed è anche “anti-teatrale” perche il personaggio è
assorbito,
anche
se,
costantemente
interrompe
l’assorbimento
dell’azione per tornare nel modo teatrale.
Madre Coraggio e i suoi figli fu scritta da Brecht nel 1939, le
musiche furono composte da Paul Dessau. Si tratta di una cronaca
della guerra dei trent’anni. In Madre Coraggio la guerra è, infatti, la
protagonista: Madre Coraggio è un personaggio tipico della fase
matura di Brecht, che si presenta come intrinsecamente dialettico. Le
canzoni di questo dramma, anche se autonome, hanno sempre un
rapporto diretto con l’azione. Il linguaggio è semplice e diretto: Brecht
nei suoi Scritti Teatrali spiega che Madre Coraggio è una cronaca nel
senso di history per il teatro elisabettiano. Per quanto riguarda la
fruizione, egli ritiene che questa cronaca lasci allo spettatore una
condizione di obiettività, in grado di valutare i pro e i contro della
vicenda, rendendolo critico18. A livello drammaturgico Madre Coraggio
appartiene completamente alla drammaturgia non aristotelica. In
primo luogo la catarsi sparisce per cedere il posto alla fruizione critica
18
Cfr. B. Brecht, Scritti Teatrali III, cit., pp. 198-199.
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e distanziata, e questo è realizzato attraverso i diversi espedienti della
sua drammaturgia: l’azione è frammentata e quindi presenta la
vicenda in forma epica e non drammatica. Prima di ogni episodio c’è un
titolo che racchiude in forma sintetica l’azione che sta per svolgersi, e
in questo modo anticipa i fatti che verranno rappresentati, evitando la
sorpresa nello spettatore. Non c’è, inoltre, una curva drammatica
tradizionale, ma ci sono delle contraddizioni dialettiche tra i
personaggi, che non sono risolvibili. I personaggi, non sono costruiti
psicologicamente, ma dialetticamente. Tutte queste caratteristiche
portano a straniare la vicenda e a creare quindi una fruizione teatrale,
ma che ha bisogno di personaggi mostrati nella loro pienezza,
concentrati e assorbiti (per quanto riguarda l’assorbimento). Nel caso
di Madre Coraggio e i suoi figli analizzeremo la rappresentazione fatta
prima nel 1948 e poi con il Berliner Ensemble (grazie al successo del
1948 al Deutsche Theater, gli fu permesso di costruire il Berliner
Ensemble con l’aiuto di Landhoff). Fu Erich Engel a costruire l’insieme
paratattico per Madre Coraggio. Su una tela vengono proiettati i titoli,
il carro di Madre Coraggio rotola in avanti sul palco girevole il quale si
muove in direzione opposta. Nella Weigal vive la contraddizione di
Madre Coraggio ed è per questo che il suo personaggio è riuscito. Nelle
prove, Brecht ha fatto in modo tale che molti attori per riuscire a
straniare la vicenda aggiungessero dopo la propria battuta un “disse”,
per far sì che la battuta diventasse in terza persona e distanziasse
l’attore19. La scenografia fu creata da Teo Otto, si tratta di una cornice
verticale formata da grandi schermi, oltre che da materiale di
accampamento del secolo XVII. Il fondale è utile per le proiezioni.
L’illuminazione era uniforme e incolore, alla massima potenza per
Cfr. B. Brecht, R. Berlau, C. Hubalek, P. Palitzsch, K. Rulicke, Theaterabeit, fare
teatro di Bertolt Brecht, sei allestimenti del Berliner Ensemble, a cura di H. Weigel e
Berliner Ensemble, tr. it. di B. Bianchi, R. Fertonani, G. Manzoni, Il Saggiatore,
Milano 1969, p. 256.
19
Itinera, N. 3, 2012. Pagina 121
evitare atmosfere20. Tutti gli elementi tipici del teatro epico invitano a
una fruizione teatrale nel senso di Fried perché dipendono dallo
spettatore e sono autoreferenziali. Ma, allo stesso tempo, e in
particolare in quest’opera, il fattore emozionale è presente anche nella
fruizione, soprattutto nei momenti di più alta drammaticità (ad es.
nella scena di Katrin con il tamburo). I dettagli che la Weigal dà al
personaggio lo portano a vivere sulla scena con una forza intrinseca; è
assorbita e concentrata nella sua azione, ma poi rompe tale
atteggiamento, e assume quello critico e distanziato, invitando il
fruitore a fare lo stesso.
Passiamo ora all’ultimo dramma che analizzeremo, L’Anima buona
del Sezuan. Questa parabola scenica fu caratterizzata da una lunga
gestazione che inizia nel 1938 per finire nel 1943, data della prima
mondiale, sotto la regia di Leonhard Steckel allo Schauspielhaus di
Zurigo. L’opera non contiene riferimenti a nessun luogo, né data,
nonostante il titolo. Per Emilio Castellani, Brecht rappresenta una
Cina “semieuropeizzata”21.
Nella drammaturgia dell’Anima buona del Sezuan sono presenti
elementi epici attraverso la contraddizione dialettica del bene e del
male, sia nel personaggio protagonista, che nella intera parabola. Il
conflitto, non viene risolto, ma lasciato aperto, il bene in un momento si
trasforma in male per poter sopravvivere nella società, ma poi alla fine
tutto rimane sospeso e la contraddizione dialettica rimane non risolta,
quindi non c’è una tradizionale curva drammatica, com’è tipico delle
opere non aristoteliche. Già attraverso il testo, la vicenda è straniata:
tutti i quadri sono indipendenti l’uno dall’altro, i song sono momenti di
chiarimento e di analisi delle scene, tutte le scene hanno un titolo.
Nell’epilogo, Brecht ripete più di una volta rivolgendosi allo spettatore:
Cfr. ibid, p. 292.
Cfr. E. Castellani, Introduzione, in B. Brecht, L’Anima buona del Sezuan, a cura di
E. Castellani, Einaudi, Torino 1963, p. 7.
20
21
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“pensate”. Sarà dunque il pubblico a trovare una propria soluzione alle
contraddizioni lasciate aperte dall’opera. Di questa forma si creano le
basi per la fruizione distanziata. A livello drammaturgico, l’opera è
teatrale perché dipende dallo spettatore che è invitato a pensare sulle
azioni che si svolgono in scena. Può comunque essere definita anche
“anti-teatrale” perché il personaggio dell’eroina è assorbito nella
faticosa azione di rappresentare il buono e anche il cattivo per
sopravvivere, questa concentrazione a sua volta è richiamata nello
spettatore che guarda attentamente per poi potere criticare. A livello di
messa in scena prenderemo adesso in considerazione il lavoro di
Giorgio Strehler svolto nel 198122, in questo allestimento il regista
toglie le cineserie che avevano caratterizzato la versione del 1958, ed
enfatizza maggiormente il dualismo e l’opposizione dialettica dell’opera
con i costumi, la scenografia, la luce e la musica. I rimaneggiamenti sul
testo originale causano una riduzione della durata dell’opera e ne
facilitano l’allestimento. Per Catherine Douel Dell’Agnola i tagli
spezzano il ritmo, la regia è così più fluida, ma essi attenuano il
distanziamento. Da queste piccole modifiche sembra che il carattere
epico, proprio del testo frammentario e delle battute che portavano a
un atteggiamento critico, siano tolte. Ecco, quindi, che il carattere
teatrale (nel senso di Fried) dell’opera viene meno. Rimane da capire se
le caratteristiche proprie del teatro di Brecht riemergono nella messa
in scena o se siano del tutto eliminate. La scenografia della messa in
scena era formata da un girevole che occupava quasi tutta la scena e
che aiutava a una non locazione dell’azione. Il girevole era tappezzato
da una tela plastificata grigia irregolare che con il gioco delle luci
creava l’effetto di pozzanghere di diverse profondità. Il fondale è
bianco. La neutralizzazione della scena permette l’intercambiabilità dei
luoghi dell’azione. Il sipario a ghigliottina che fu utilizzato è definito da
Per questa messa in scena cfr. C.D. Dell’Agnola, Strehler e Brecht: L’anima buona
del Sezuan, 1981 studio di regia, Bulzoni, Roma 1994.
22
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Strehler una “brechtianata” perché, come voleva Brecht, non copriva
tutta l’altezza del boccascena ed era leggero e fluttuante. Il sipario è
quasi trasparente, in jersey di cotone fine; e permette il contatto tra
palco e platea. Quindi, a livello scenografico, la messa in scena di
Strehler presenta le caratteristiche tipiche del teatro epico, che
permette il distanziamento, la coscienza critica e una fruizione
“teatrale”. I costumi erano di due tipi secondo il carattere dei
personaggi: si distinguono in quelli poveri, rammendati ma non laceri;
e i personaggi cattivi e ricchi che indossavano occhiali oscuri come
segno distintivo. La luce è forte su alcuni personaggi, che fa quasi
scomparire il volto dell’attore, per creare l’anonimato psicologico. La
musica e i song hanno un rapporto sociale con il processo gestuale che
accompagnano, e l’orchestra è a vista su un balcone dell’avanscena,
illuminata da proiettori e schermata da un siparietto trasparente, che
lascia apparire solo l’ombra degli strumenti e li deforma. La recitazione
a volte è distanziata con l’uso di battute quali “egli disse”, mentre a
volte, come nel caso di Shui Ta, i gesti sono distanziati grazie all’uso
eccesivo della caricatura. Altre volte gli attori recitano di forma
naturalista, piena di sensibilità ed emozione. Strehler, ha lavorato su
un doppio registro perché, anche se sono presenti caratteristiche del
teatro epico, quasi da manuale, dall’altra parte usa anche un teatro più
tradizionale, che potremmo chiamare “naturalista”. Così dunque in
questa messa in scena i due poli della fruizione sono portati a
compimento, a livello teatrale attraverso la scenografia, i costumi, la
posizione dell’orchestra, la recitazione di alcuni attori (es. Shui Ta); a
livello “anti-teatrale” attraverso l’uso del testo drammatico riducendo
la durata e facendolo diventare più fluido e con la recitazione in
particolare di Shen Te.
La tesi che abbiamo voluto proporre individua nel teatro di Brecht
una doppia fruizione. Nel nostro caso, per analizzare la fruizione del
teatro brechtiano abbiamo adottato i postulati proposti da Fried, ossia
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quelli relativi all’assorbimento e alla teatralità. Abbiamo individuato
nel lavoro di Brecht, come questi due tipi di fruizione, anche se
contradditori, si presentino in forma dialettica. Brecht evidenzia nella
fruizione del suo teatro tanto la distanzia critica quanto l’emozione, e
afferma che lo spettatore si commuove dopo aver capito razionalmente.
Anche se il teatro dipenderà sempre dello spettatore affinché l’opera
d’arte sia conclusa, ed è questo l’effetto “teatrale” intrinseco proprio
dell’arte scenica, dall’altra parte, l’effetto catartico che la aveva sempre
accompagnato, e che aveva permesso questo rapporto che Fried chiama
“anti-teatrale”, in Brecht sparisce. In lui viene mantenuto e accentuato
alla massima potenza l’effetto teatrale, e allo stesso tempo viene
ribaltato l’effetto dell’assorbimento perché non userà più la catarsi, ma
solo un certo tipo di emozione che passa attraverso un processo di
raziocinio.
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