Elementi di didattica speciale per alunni con autismo P f Paola Prof.ssa P l Aiello Ai ll OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Acquisizione q delle conoscenze di base per p l’identificazione di strategie e metodologie didattiche in grado di supportare il processo di insegnamento-apprendimento i di in presenza di studenti che presentano disturbi dello spettro autistico. autistico Università degli Studi di Salerno Autismo Disturbo pervasivo dello sviluppo che incide su tre dimensioni fondamentali della persona: - ll’interazione interazione sociale - la comunicazione - il repertorio comportamentale Cottini,, Rosati,, 2008 Università degli Studi di Salerno Cenni storici Il termine autismo fu utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuler per indicare uno dei sintomi più comuni della schizofrenia nell’adulto. Una delle caratteristiche riscontrabili nei soggetti schizofrenici era infatti un’alterazione della relazione reciproca tra mondo interno e mondo esterno, per cui la vita interiore assumeva una preponderanza patologica definita autismo: “Chiamiamo Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della vita interiore” (Bleuler, 1911, p. 29). Università degli Studi di Salerno Cenni storici Nel 1943 lo psichiatra americano Leo Kanner (1943) descrisse per la prima volta la sindrome autistica, distinguendola dalla generica categoria del ritardo mentale in cui era inquadrata prima di allora. Il medico, infatti, espose i casi di undici bambini, di età compresa tra i due e i dieci anni che, già dal primo anno di vita mostravano i segni di un comportamento atipico: vita, alterazione dei rapporti interpersonali, indifferenza all’ambiente circostante e tendenza all’isolamento,, tendenza a mantenere invariate le abitudini quotidiane, comportamenti ripetitivi, stereotipie, anormalità nel linguaggio ed ecolalia. Hollander et al.,2011 Università degli Studi di Salerno Cenni storici Parallelamente agli studi di Kanner, anche se in maniera del tutto indipendente i di d d quest’ultimo, da ’ li un altro l pioniere i i dell’autismo, Hans Asperger, nel 1944 pubblicava i suoi studi su alcuni casi di soggetti che riteneva avessero fin dalla nascita disturbi caratteristici. Negli N g anni successivi v alle ddescrizioni fornite dda Kanner e Asperger, molti altri studiosi tentarono di indagare le cause della sindrome. Università degli Studi di Salerno Ipotesi eziologiche Lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, ad esempio, i ti ò che ipotizzò h una delle d ll cause principali i i li del d l disturbo di t b autistico ti ti era da attribuire alla freddezza emotiva delle madri. Lo studioso parlò infatti di «madri-frigorifero», «madri frigorifero» indicando l’incapacità di alcune donne di stabilire una relazione efficace con il p proprio p bambino ((Bettelheim,, 1967). ) Università degli Studi di Salerno Ipotesi eziologiche La p psicanalista britannica Frances Tustin avanzò l’ipotesi p che i fenomeni di “depressione post-partum” non fossero tipici solo delle madri, ma che potessero verificarsi anche nei bambini; questi ultimi, secondo la studiosa, tentano di difendersi dalla sensazione di aver perduto, con il distacco dalla madre, madre una parte vitale del proprio corpo. corpo Questa sensazione primitiva genererebbe i sintomi tipici dell’autismo. Università degli Studi di Salerno Ipotesi eziologiche Nel 1964 il neurologo statunitense Bernard Rimland, Rimland rovesciò la teoria convenzionale della “madre-frigorifero” affermando che alla base del disturbo sembrava esserci un problema di natura biochimica nella formazione reticolare del tronco cerebrale, per cui classificò l’autismo come d i i deviazione genetica i inibente. i ib Università degli Studi di Salerno Ipotesi eziologiche Negli anni ’70 lo psicologo statunitense Carl H. Delacato, oltre ad abbracciare ll’ipotesi ipotesi di natura genetica del problema, problema si rese conto che gli atteggiamenti dei bambini autistici erano gg che p presentavano identici a qquelli manifestati da soggetti lesioni cerebrali. Ciò presupponeva dunque che i bambini autistici non dovevano essere considerati degli psicotici, ma soggettii che, h a causa di danni d i cerebrali, b li presentavano gravii problemi sensoriali. Ipotesi eziologiche A partire dalla metà degli anni ’80, Alan Leslie, Simon BaronC h e Uta Cohen Ut Frith F ith ipotizzarono i ti che h all’origine ll’ i i dell’autismo d ll’ ti cii sia l’assenza di una teoria della mente, vale a dire della capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso la spontanea attribuzione al comportamento degli altri di stati mentali, intenzionali, punti di vista. Cecità mentale Incapacità dei soggetti autistici di mentalizzare, Ipotesi eziologiche L’ipotesi che ne derivò fu quella che il bambino autistico si tro a come in una trova na sorta di «agnosia» degli stati intenzionali, intenzionali almeno di quelli complessi, che toglierebbe al soggetto p di orientarsi nell’universo delle relazioni autistico la capacità sociali e di acquisire quelle abilità che consentono di interagire con gli altri, mediante la capacità di immaginare cosa gli altri pensino, desiderino e provino a livello emotivo. La mente del bambino autistico sarebbe capace di comprendere ll’azione azione dell dell’altro altro solo nel suo senso manifesto, manifesto ma raramente in quello implicito e sotteso (Frith, 2009). Ipotesi eziologiche Il dibattito sull’eziologia dell’autismo è ancora oggi molto acceso. Attualmente sembrano dominare le ipotesi eziologiche di tipo neurobiologico. Le neuroscienze, con la scoperta dei neuroni specchio, h hanno ip ipotizzato tizz t iinfatti f tti che h vii sarebbe r bb una di disfunzione f zi di questi ultimi alla base dei disturbi dello spettro autistico. Autismo A i come di disturbo b ddella ll consonanza intenzionale, dovuto ad un malfunzionamento dei meccanismi di rispecchiamento sostenuti dalla Ipotesi eziologiche Alcuni studiosi hanno inoltre proposto la tesi di un iperfunzionamento percettivo nei soggetti autistici, autistici per cui questi ultimi non presenterebbero nessun deficit di immagazzinamento semantico ma un iperdiscriminazione visiva e uditiva (Mottron, 2006). Ciò spiegherebbe il motivo per cui molti autistici mostrano picchi i hi di abilità bilità sia i sull piano i cognitivo iti che h iin alcune l aree della memoria. Classificazione nosografica dell’autismo Il DSM, nella sua più recente edizione ((DSM 5)) definisce i criteri diagnostici g della condizione autistica in termini di diade sintomatologica, ovvero quando sono presenti le seguenti manifestazioni cliniche: “Persistent deficits in social communication and social interaction across multiple contexts, as manifested if d by b the h following, f ll i currently l or by b history hi [….] -Restricted, repetitive patterns of behavior, interests, or activities, as manifested by at least two off the following, f g currentlyy or byy historyy ((examples p are illustrative, not exhaustive; see text) [….]” Classificazione nosografica dell’autismo DSM IV (1994) DSM 5 (2013) Disturbi pervasivi dello sviluppo in cui rientrano il Di t b Autistico, Disturbo A ti ti il disturbo di Asperger , il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo NAS, la Sindrome di Rett, il Disturbo disintegrativo dell’infanzia. Disturbi dello spettro autistico che comprendono d il Disturbo Autistico, il Disturbo di Asperger, il il Disturbo disintegrativo dell'infanzia e il Disturbo pervasivo dello sviluppo NAS. Classificazione nosografica dell’autismo DSM IV DSM 5 Approccio categoriale Approccio dimensionale Triade T i d sintomatologica: i l i 1. Deficit nell’interazione sociale 2. Deficit nella comunicazione 3. Deficit dell’immaginazione con interessi ristretti e stereotipati Diade sintomatologica: 1. Deficit socio-comunicativo (componente sociale) 2: Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi (componente non sociale) LA DIADE SINTOMATOLOGICA DELL’AUTISMO DEFICIT NELLA COMUNICAZIONE SOCIALE DEFICIT D’IMMAGINAZIONE Le difficoltà nell nell’area area della comunicazione e dell dell’interazione interazione sociale, che nel DSM IV erano considerate separatamente, nel DSM V sono state accorpate in quanto riflettono un unico i deficit. d fi i Autismo C ti Continuum di condizioni Disturbi dello spettro autistico i i I diversi tipi p di Autismo p presentano confini troppo pp sfumati che non consentono di definire un numero preciso di quadri clinici chiaramente distinti. Per tale ragione, nel DSM 5 non sono più indicati dei precisi «sottotipi» sottotipi come avveniva nelle classificazioni diagnostiche precedenti. Deficit comunicativo i i Cottini & Vivanti, 2013 Deficit sociale PRINCIPALI MANIFESTAZIONI CLINICHE Deficit di «immaginazione» Ansia Anomalie sensoriali Altre manifestazioni Deficit delle funzioni esecutive Deficit comunicativo Problemi nella produzione linguistica Difficoltà con la pragmatica della comunicazione ovvero nell’uso del linguaggio nel contesto di un’interazione sociale. Anomalie A li ddell lilinguaggio i : Inversione Pronominale Ecolalia (ripetizione letterale di frasi sentite da altri) Uso idiosincratico di parole e frasi Articolazione atipica del linguaggio Mancata varianza del registro: il volume della voce non viene variato per dare intonazioni e significati particolari alle frasi. Mancato uso della gestualità Deficit comunicativo Problemi nella comprensione linguistica Mancata comprensione del linguaggio Interpretazione letterale del linguaggio Mancata comprensione della gestualità DeficitAutismo sociale Deficit sociale e abilità sociali Difficoltà nel riconoscimento delle interazioni sociali Mancanza di reciprocità sociale Difficoltà nell’interpretazione di tali interazioni Risposte inadeguate Mancata motivazione a Deficit sociale Anomalie nell’orientamento e nell’attenzione verso gli altri DEFICIT SOCIALE Anomalie nella capacità di leggere il comportamento degli d g altri «Comportamento visivo» anomalo Mancanza di comportamenti «pro-sociali» Problemi nel fare attenzione agli altri Difficoltà nel capire cosa fanno f glili altri l i Deficit di Immaginazione In che cosa consiste? Rigidità: resistenza al cambiamento Ripetitività: ristretto numero di interessi Deficit di Immaginazione Cottini, Vivanti 2013 Come si manifesta? Abit di i rigide Abitudini i id Linguaggio spontaneo monotematico Comportamenti motori stereotipati (ad es. sbattere le braccia ritmicamente ritmicamente, agitare le dita davanti agli occhi Altre manifestazioni Ansia e regolazione emotiva Anomalie nelle manifestazioni delle emozioni Difficoltà nel riconoscere le emozioni degli g altri Difficoltà ad adattare il comportamento alle circostanze Altre manifestazioni Anomalie sensoriali Le conseguenze di questo deficit di percezione possono andare in due direzioni, generando comportamenti volti a: • Difendersi da sensazioni sensoriali • Ricercare Ri d determinate i sensazioni i i sensoriali i li Altre manifestazioni Deficit delle funzioni esecutive Difficoltà nella pianificazione del proprio t t comportamento Difficoltà nell’organizzazione del comportamento Difficoltà nel modificare il proprio comportamento in base alle circostanze Difficoltà nell’inibizione di risposte «prepotenti» p p Altre manifestazioni Anomalie dell’attenzione Tempi di attenzione brevi Difficoltà nello spostare l’attenzione da uno stimolo ad un altro Preferenza verso i dettagli Carenza nell’uso sociale dell’attenzione dell attenzione Orientamenti educativi Gli approcci e i metodi attualmente più utilizzati in ambito educativo con soggetti che presentano disturbi dello spettro autistico sono quelli di tipo cognitivo-comportamentale ((Goussot,, 2013). ) Di seguito, proponiamo tre strategie didattiche il cui obiettivo è favorire l’acquisizione delle competenze sociali nei soggetti autistici: Responsive Teaching Digital g Storytelling y g Video Modeling Orientamenti educativi I bisogni educativi di un bambino con autismo nella sfera sociale sono numerosi: Apprendere pp le regole g elementari p per la p partecipazione p agli g scambi sociali e alle attività basate sulla collaborazione Sviluppare la capacità di interpretare il comportamento sociale degli altri Apprendere le abilità relative alla tempistica delle interazioni sociali Sviluppare abilità di problem solving Strategie didattiche: il Responsive Teaching Il Responsive R i Teaching T hi (Insegnamento (I R Responsivo) i ) è un intervento educativo precoce centrato sulla relazione che agisce sui bisogni evolutivi e socioemozionali del bambino (Mahoney & MacDonald, 2007). Questo tipo di intervento prevede l’utilizzo di strategie che consentono agli educatori di interagire in maniera più “ “responsiva” i ” con i bambini b bi i (Mahoney (M h & Perales, 2005). Il Responsive Teaching L’Insegnamento Responsivo è volto a promuovere tre aspetti del funzionamento evolutivo: • aspetto cognitivo, ii relativo l i alla ll capacità i à dei d i bambini b bi i di pensare, ragionare, risolvere problemi e apprendere nuove informazioni; • aspetto comunicativo, relativo alla capacità dei bambini di trasmettere i loro sentimenti e le loro intenzioni, di trasmettere i sentimenti e le intenzioni altrui attraverso il linguaggio verbale e simbolico; • aspetto sociale-emozionale, i l i l relativo l i alla ll capacità i à dei d i bambini di impegnarsi in interazioni evolutive con genitori, adulti e altri bambini Il Responsive Teaching Il RT è incentrato sulla relazione Si propone di mostrare agli educatori come essere reattivi (cioè in sintonia, attenti) affermando e incoraggiando gg i comportamenti naturali e l'interesse di ogni bambino, motivandolo a mettere in atto compiti i i di sviluppo. il N Non è dunque d l' d l l'adulto che avvia l'attività comportamentale, ma il Il Responsive Teaching Il Responsive Teaching comprende sessantasei strategie didattiche e sedici comportamenti cardine. Si tratta di brevi e semplici strategie, suggerimenti che gli educatori possono utilizzare per monitorare e modificare il modo in cui interagiscono con i propri allievi in qualsiasi momento e in qualsiasi l i i situazione. it i Q t strategie Queste t t i includono i l d cinque i dimensioni interattive: reciprocità; contingenza; controllo condiviso; affetto; adattamento. Il Responsive Teaching Reciprocità p • coinvolgere il bambino nelle diverse routine • capacità del genitore di cogliere in maniera sensibile i segnali del bambino e di rispondervi costantemente e tempestivamente in maniera intenzionale Contingenza Controllo Affetto Adattamento • capacità del genitore di strutturare l’ambiente e l’attenzione del bambino offrendo delle facilitazioni • esprime il livello di coinvolgimento emotivo, la capacità di provare piacere, mostrare accettazione e calore verso il proprio bambino • capacità del genitore di associare il proprio interesse, stile interattivo e richiesta adeguata al livello evolutivo mostrato dal bambino Il Responsive Teaching I sedici comportamenti cardine sono: Area cognitiva Area comunicativa Area socioemozionale gioco sociale, iniziativa, esplorazione, pratica e problem solving attività aggiuntiva, attenzione, vocalizzazione, comunicazione intenzionale e conversazione fiducia,, empatia, p , operazione, p , autodisciplina, p , autocontrollo e autostima Strategie didattiche: il Digital Storytelling S i l skills Social kill L’utilizzo del Digital Storytelling promuove i processi di insegnamento-apprendimento delle abilità bili à sociali i li e comunicative i i che h risultano i l carentii neii soggetti autistici Il Digital Storytelling L’utilizzo della narrazione digitale si configura come metodologia t d l i didattica did tti efficace ffi e flessibile fl ibil per la l creazione di storie che supportino l’insegnamento delle abilità sociali, innalzando i livelli di motivazione, attenzione e rinforzo. (Chen & McGrath, 2003; Delano & Snell, 2006). I soggetti autistici: Presentano modalità comunicative differenti Prediligono un ambiente stabile e non amano le sorprese Hanno bisogno di sapere cosa stanno facendo e perché, altrimenti perdono interesse Non amano gli stimoli emotivi poiché non li comprendono Generalmente preferiscono le immagini al testo Lavorano meglio in ambienti strutturati La ripetizione delle attività ne favorisce l’apprendimento Necessitano di pause Amano A utilizzare ili il computer Chatzara et al., 2012 I vantaggi del computer in relazione alle caratteristiche dei soggetti autistici: È uno strumento prevedibile, controllabile e stabile Non ha comportamenti emotivi che spesso disturbano i soggetti autistici Consente l’espressione l espressione verbale e non verbale Crea meno ansia e timore nel momento della correzione di un errore Favorisce la ripetizione di un’attività e il rinforzo dell’apprendimento pregresso È semplice usarlo una volta apprese le conoscenze di base I programmi possono essere personalizzati e adattati alle esigenze individuali Il Digital Storytelling A Attraverso l’l’uso di uno strumento come il computer, dunque, il Digital Storytelling consente di acquisire e sviluppare abilità e conoscenze in maniera strutturata I diversi mezzi di comunicazione usati nel DS (scrittura, (scrittura voce, voce immagine, suono) favoriscono nuove modalità di presentazione che h promuovono l’i l’interazione i sociale e la comunicazione Il Digital Storytelling La narrativa Il nostro modo più naturale di g zz l’esperienza p z e la organizzare conoscenza Il Digital g Storytelling y g : definizione Il digital storytelling è una nuova forma comunicativa e rappresenta un dispositivo che traduce e trasforma i racconti, li mette in scena e in movimento attraverso parole, immagini e suoni. Il CONCETTO DI DISPOSITIVO I dispositivi d didattici dd non sono rappresentati esclusivamente da strumentazioni tecnologiche ma anche da apparati culturali, concettuali e normativi: una strategia g d’azione,, l’organizzazione dello spazio e del tempo e le modalità con cui si intende far i interagire i glili attorii presentii nell sistema. i Il Digital Storytelling: funzione Laa cost costruzione u o e e laa fruizione u o e di d storie sto e digitali d g ta consente di evidenziare «elementi di conoscenza» complessi, favorendo apprendimenti significativi e contestualizzati. li i Il Digital Storytelling 1. CONNESSIONE - Le storie consentono di connettere le proprie esperienze a quelle altrui e di collegare le esperienze presenti con quelle passate. 2 COMMUNICAZIONE – Le 2. L storie i consentono di comunicare il proprio punto di vista e la propria percezione. percezione 3. COLLABORAZIONE - Le storie hanno una funzione collaborativa, collaborativa in quanto consentono di collegare le storie dei singoli personaggi, le loro azioni e i loro p punti di vista e di trasmettere la cultura Il Digital Storytelling ALCUNE Storie personali TIPOLOGIE DI DIGITAL STORIES SStorie i che h trasmettono iinformazioni f i ie che «istruiscono» Storie sociali per descrivere una situazione particolare, particolare una persona, persona un’abilità, un evento o un concetto in termini di guide rilevanti o di risposte sociali i li adeguate. d Il Digital Storytelling Secondo il Center of Digital Storytelling le storie digitali devono contenere 7 elementi fondamentali: 1) Punto di vista 2) Sviluppo tematico 3) Contenuto emotivo 4) Voce narrante 5) Colonna sonora 6) Brevità 7) Ritmo IL RUOLO DEL DOCENTE Guidare il processo Accertarsi che il discente non focalizzi la sua attenzione sul media, di ma sulla ll storia i Assicurarsi che gli obiettivi educativi siano conseguibili attraverso il racconto DOVE E CON QUALI STRUMENTI? Classe o laboratorio LIM COMPUTER FLASHCARDS MEDIA Fumetto Animazione bitri-dimensionale bi e tri dimensionale Flash cards Video giochi PROCESSO FASI • BRAINSTORMING/SELEZIONE DELL’ ARGOMENTO / DRAFT • CREAZIONE DELLO STORYBOARD • PRODUZIONE • PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO FINALE COME SCRIVERE UNO SCRIPT • Bastano 250 parole, 12 immagini e di una durata di due minuti • Non bisogna soffermarsi solo sugli aspetti digitali ma si deve tener conto della valenza educativa dei contenuti • Lo script p èp più delle p parole • La storia è una storia personale, che viene dal cuore, quindi raccoglie emozioni. L’utilizzo della prima persona è molto frequente. • Il linguaggio utilizzato deve essere semplice e coinvolgente. • La musica può creare l’umore e la predisposizione giusti, se scelta con accuratezza Creare un Collage I collage sono utili quando le immagini disponibli non possono essere ingrandite per motivi di risoluzione o qualità della foto ma anche come fine a se stessi per narrare una storia. Esempio: ‘In viaggio con la famiglia’. Gli alunni scelgono delle proprie foto e costruiscono un collage per raccontare una giornata, utilizzando Microsoft Powerpoint. p LO STORYBOARD • Lo storyboard è una rappresentazione pp scritta e/o / ggrafica di tutti gli elementi che saranno inclusi in una storia digitale. g Creare lo Storyboard Strategie didattiche: ilVideo modeling Modeling (apprendimento imitativo) Mediante l’utilizzo della tecnologia video, consente di illustrare la modalità adeguata di comportamento in determinati contesti o la corretta esecuzione di azioni al fine di acquisire specifiche abilità IlVideo modeling L’attività L attività di video modeling prevede: Come La registrazione g di un breve filmato, utilizzando come modello dei compagni di classe o dei familiari; La visione individuale del filmato da parte del bambino autistico; L’imitazione dei comportamenti osservati nel filmato IlVideo modeling Perché Il video modeling consente: L’attivazione L’ tti i dell’attenzione d ll’ tt i relativamente l ti t all comportamento da osservare; La visione reiterata del filmato; L’enfatizzazione del processamento delle contenuto visivo; La mancata interazione diretta tra il bambino autistico ed il suo interlocutore, che potrebbe rivelarsi i l i fonte f t di stress t Strategie didattiche: le storie sociali U storia Una i sociale i l è un b breve racconto critto in formato specifico per l’allievo on autismo, che descrive una situazione articolare, i l una persona un’abilità, ’ bili à un vento o un concetto in termini di guide ilevanti o di risposte sociali adeguate. Le storie sociali mirano ad aiutare il bambino a comprendere le situazioni sociali sociali, attraverso l’adozione di un approccio Strategie didattiche: le storie sociali Storie St i sociali • Stabilire una routine L’efficacia L’ ffi i delle d ll storie i sociali i li è data d da d una caratteristica che gli studenti autistici mostrano spesso, ovvero quella di aderire rigidamente alle attività routinarie. Per tale ragione, la storia può aiutare a stabilire una regola g o una routine che il bambino potrà p poi applicare alla situazione reale. Esempio di storia sociale Riferimenti bibliografici Hollader, E, Kolevzon, Alexander, M.D., Coyle Joseph T., M.D. (2011). Textbook of Autism Spectrum Disorders. Washington: American Psychiatric Publishing Goussot, A. (2012). Autismo: una sfida per la pedagogia speciale, Fano: Aras Edizioni Cottini, L., Vivanti, G. (2013). Autismo. Come e cosa fare con bambini e ragazzi a scuola. Firenze: Giunti Scuola. Cottini, C i i L., L (2008). (2008) Per P una did didattica i speciale i l di qualità. li à D Dalla ll conoscenza del d l deficit d fi i all’intervento ll’i inclusivo. Perugia: Morlacchi. Ohler, J.J (2013) Ohl (2013). Digital Di it l storytelling t t lli in i the th classroom: l New N media di pathways p th to t literacy, lit learning, l i and creativity. Corwin Press. Bruner, J.J S. Bruner S (1996). (1996) The culture of education. education Cambridge, Cambridge Mass Mass.:: Harvard University Press. (Trad. ita. Milano: Feltrinelli 1997). Riferimenti bibliografici Bleuler, E., (1911). Dementia Praecox e il gruppo delle schizofrenie. Trad. it., Roma: La Nuova Italia Scientifica. Mahoney, G., Perales, F., (2005). A comparison of the impact of relationship-focused intervention on young children with Pervasive Development Disorders and other disabilities. Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics. Bettelheim, B. (1967). Empty fortress. Simon and Schuster. Karagiannidis, K i idi C., C Politis, P li i P., P Karasavvidis, K idi I. I (eds.), ( d ) Proceedings P di off the h 8 th Pan-Hellenic Conference with International Participation «ICT in Education» University of Thessaly, Volos, Greece, 28-30 September 2012 Chen, P., & McGrath, D. (2003). Moments of joy: Student engagement and conceptual learning in the design of hypermedia documents. Journal of Research on Technology in Education, Education 35, 35 402402 422. 422 Riferimenti bibliografici American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revision (DSM-IV-TR). Washington, DC: American Psychiatric Association. Association American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Fifth ed.). ed ) Arlington, Arlington VA: American Psychiatric Publishing. Publishing