1989-2009 - IL MURO.
DALLA CRISI DEL MARXISMO AL CROLLO DEL
CAPITALISMO.
Una interpretazione filologica del giovane Marx e una intervista inedita del
1983 a Lucio Colletti, il filosofo che è stato in Italia negli Settanta tra i primi
intellettuali del post-'68 a parlare di "crisi" del marxismo.
di Enrico Bernard
Il mio scritto che segue e le interviste che ho realizzate 16 anni or sono con
i filosofi Lucio Colletti e Antonio Capizzi, agli antipodi per quanto rigrada la critica
marxista, facevano parte nel 1983 di una mia analisi e inchiesta sul marxismo e la
sua crisi sette anni prima della caduta del Muro nel 1989. Ora che stanno per
scattare le celebrazioni per il Ventennale dello storico avvenimento, ricorrenza che
paradossalmente vede scoppiare la crisi e crollo del capitalismo, la mia inchiesta
rimasta finora inedita, torna di forte attualità. anche alla luce delle recentissime
rivalutazioni da parte di esponenti della Chiesa, come il Vescovo di Monaco di
Baviera, e del Ministro Tremonti, del pensiero di Karl Marx
IL GIOVANE MARX E IL MARXISMO
di Enrico Bernard
La "Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico" (1843, ma aparsa
solo nel 1027) di Marx prende spunto dal paragrafo 261 della "Filosofia del diritto"
(1821 di Hegel).
Si è ritenuto che i brani della "Critica", i quali avrebbero dovuto
presumibilmente concernere lo Spirito pratico e oggettivo (Introduzione, diritto e
moralità), fossero andati irrimediabilmente perduti.
E' invece mia opinione che, tranne alcune osservazioni non marginali (1) in
seguito riprese anche in altre opere, Marx non si sia voluto occupare
"strutturalmente", negli appunti che costituiscono la "Critica", delle parti che
precedono l'universalità etica realizzata dallo Stato. Infatti, Marx trova (ma in un certo
senso è come se apra una parentesi sospensiva) in quelle iniziali sezioni della
"Filosofia del diritto" alcuni temi da sviluppare in direzione di una nuova concezione,
storica e sociale, della natura e della sensibilità umane.
La filosofia di Hegel contiene il proprio superamento o, per meglio dire,
capovolgimento: il grande merito del giovane Marx è dunque quello di aver isolato il
"nocciolo" della dialettica hegeliana e, al contempo, quello di aver riconosciuto
all'Hegel della "Filosofia del diritto" il primato della scoperta dell'attività umana
sensibile e sociale.
Si potrebbe facilmente obiettare che, in questo caso, Marx avrebbe
sicuramente sviluppato una critica positiva della prima parte della "Filosofia del
diritto". Questa obiezione non tiene però conto del fatto che, parzialmente, Marx ne
sviluppa la critica "negativa" sia, implicitamente, nella dissertazione di laurea, sia
nella "Critica" stessa, imputando al fondamento astratto del "metodo" la causa delle
contraddizioni e degli aggiustamenti.
Inoltre bisogna considerare che Marx, essendo ancora "hegeliano" in questa
fase della sua formazione, critica solo ciò che non lo convince espicitamente della
filosofia del suo Maestro.
Nella "Critica" del 1943 Marx ritiene di aver già saldato il debito con la
natura astratta e formale del metodo dialettico. Dopo aver frequentato per più di tre
anni il circolo della sinistra hegeliana, Marx prende infatti le distanze (nella
dissertazione di laurea del 1841) della concezione allora corrente, secondo la quale
bisogna distinguere il metodo "rivoluzionario" di Hegel dai pericoli di involuzioni e
interpretazioni reazionari della sua filosofia. Marx, a questo proposito, spiega
efficacemente che gli accomodamenti di un filosofo con la realtà esistente vanno
spiegati con l'insufficiente comprensione - da parte del filosofo stesso - della sua
filosofia. E' qui messo sotto accusa il "principio", - cioé il metodo astratto che finisce
per giustificare qualsiasi esistente, come esistenza e manifestazione dell'Essere - della
filosofia hegeliana.
Bisogna comunque dire che, probabilmente, alcune osservazioni marginali di
Marx, sempre sull'essenza astratta e formale del metodo dialettico di Hegel, osservazioni che avrebbero potuto inizialmente costituire una parte degli appunti che
formano la "Critica" del 1843, - lo stesso Marx le abbia utlizzate, a circa sei mesi di
distanza dalla stesua della "Critica", per l'introduzione agli "Annali franco-tedeschi"
del 1843 (dicembre) - 1844 (gennaio) (2),
In quell'occasuibe Marx torna a ribadire la sua posizione nei confronti del
metodo hegeliano:
"e' compito della storia, una volta comparso l'al di là della verità, di
ristabilire la verità dell'al di qua. E' innanzi tutto compito della filosofia, operante al
servizio della storia, di smascherare l'autoalienazione umana nelle sue forme
profane, dopo che la forma sacra dell'autoalienazione è stata scoperta". (3)
Nei "Manoscritti economici-filosofici del 1844" (Terzo manoscritto, Critica
della dialettica) Marx su occupa delle sezioni di Spirito pratico e oggettivo
(introduzione e Diritto-Moralità) della "Filosofia del diritto", - nonché della
"Enciclopedia delle scienze filosofiche" del 1817, la quale rappresenta il "fondamento
logico" dell'ultima opera hegeliana. Cito Marx dal Terzo manoscritto:
"Un essere il quale non abbia fuori di sé la sua natura non è un essere
naturale, non partecipa dell'essenza della natura. Un essere che non abbia un oggetto
fuori di sé non è un essere oggettivo. Un essere che non sia esso stesso oggetto per un
terzo, non ha alcun essere per oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo
esistere non è oggettivo" (4).
Marx si riferisce, nel brano su citato, alla "filosofia del diritto" di Hegel,
distinguendo però in essa due contenuti: idealistico il primo (Volontà Libera) (5),
materialistico "in nuce" l'altro.
La volontà, secondo Hegel, nel suo puro e immediato porsi come oggetto di se
stessa, trova immediatamente on sé un mondo naturale (impulsi, bisogni, ecc.).
Questo mondo naturale è in parte interno, ma in parte è anche esterno (6). Con
ciò Hegel vuol dire che bisogni ed impulsi non sono esteriori, per sé, solo perché la
Volontà in se stessa si contrappone a se stessa per poi riscoprire l' in sé dell'essere per
sé. Ma anche perché bisogni ed impulsi comportano un mondo esterno, naturale:
l'aver freddo, per usare espressioni quotidiane, implica la necessità di coprirsi con
degli abiti ecc.
Ed è proprio in questo mondo, in parte interno ed in parte esterno, che la
Volontà "esiste", pone cioè il proprio diritto (proprietà) in oggetti, intesi quali oggetti
del bisogno e quindi della Volontà. Vedremo più in là che una volta giustificata la
proprietà astratta, come nota anche Mario Rossi, Hegel trapassa arbitrariamente nella
sfera della proprietà privata che si riempie di contenuti concreti: il passaggio
hegeliano è naturalmente arbitrario, ma rivela come Hegel concepisca ancor prima di
Marx l'essenza umana solo in senso "sociale".
Marx, dunque, riconosce ad Hegel il grande merito di aver compreso il
principio dell'essenza naturale dell'uomo, uomo che rappresenta un essere che ha
bisogno di oggetti: questo principio, secondo Marx, viene poi giustamente separato
dalla sua radice idealistica (7) grazie all'interpretazione critica di Feuerbach.
Ma Hegel, è la prima obiezione di Marx, non solo concepisce l'uomo sulla
base della sua naturalità - sia pur destinata ad essere un oscuro "per sé" dello "in sé";
Hegel bensì scorge in questa stessa essenza naturale l'impulso che induce la persona a
mediare il proprio bisogno col lavoro, a cercare la verità fuori di sé, cioé nell'altrui
riconoscimento. E, in fine, induce ad aver bisogno degli altri per poter soddisfare le
proprie esigenze naturali. Non a caso, come mette in evidenza Rosenzweig (8),
Hegel, sin dalla sfera del diritto astratto, si occupa di "contratto tra persone", e giunge
ad esprimere un precetto morale molto significativo in questo contesto:
"Sii persona e rispetta gli altri come persone" (9).
Ernst Blooch riconosce l'importanza del principio dialettico hegeliano: Bloch
ha infatti riportato nel quadro della dialettica tra interiore ed esteriore, tra
soggettività e realtà esistente, il concetto di "Speranza" quale impulso all'azione e
all'attività politica e sociale dell'uomo (10).
Accanto alla "rosa" del pensiero hegeliano circa a socialità dell'uomo, c'è però
la "spina" che ne inficia alla base le deduzioni. Infatti, la naturalità delle
determinazioni della Volontà, - grazie alla quale l'essere "si fa" oggettivo e sociale, è pur sempre l'essenza di un essere che non ha essere; e che, essendo immerso e
isolato solo in se stesso, ha come unica e unilaterale determinazione quella di essere
"se stesso", quindi nulla di oggettivo, - cioé appunto "Nulla".
Marx allora fa in parte sua la critica di Feuerbach alla dialettica hegeliana.
Come scrive Feuerbach:
"Si comincia con l'opposizione, che viene però tolta in un secondo tempo. Ma
se il contrario è destinato ad essere tolto, perché devo cominciare con lui e non
subito con la sua negazione?" (11)
Tuttavia secondo Marx non si tratta di di estrapolare, come pretende d fare
Feuerbach, la natura "vera", "reale" dell'uomo in virtù di un riconoscimento filosofico
del suo essere determinato dalla natura "naturale"; bensì di individuare
nell'autoalienazione dell'uomo il momento in cui l'oggettivo e il soggettivo diventano
l'uno per l'altro. Questa forma di alienazione non è, nella concezione di Marx, quella
astrattamente filosofica in cui l'uomo si fa semplicemente oggettivo, ma è l'attività
sociale, il lavoro. Il ritorno in sé dall'alienazione non è perciò più concepibile,
secondo Marx, sulla base di una nuova filosofia che stabilisca la verità nel rapporto
soggetto-oggetto, ma il ribaltamento delle condizioni storiche e sociali che
impediscono al produttore (soggetto) di essere padrone del proprio prodotto (oggetto).
Se è dunque vero, come afferma Holz, che
"Il pensare filosofico è legato al linguaggio e non vi è alcuna filosofia
originale che non possieda la sua propria espressione linguistica" (12)
allora non si pu non scorgere una stretta affinità tra l'Hegel della "Filosofia del
diritto" - ossia un Hegel che tratta di "proprietà", "elaborazione dell'oggetto",
"possesso", "uso", "contratto", "torto" eccetera.., - e la scoperta anche "terminologica"
di Marx, il quale tramuta il "soggetto" in "produttore" di un prodotto umano, sì, ma
non filosofico, bensì storico e sociale.
Hegel, secondo Marx, ha scritto la storia astratta dell'alienazione dell'uomo,
alienazione che rappresenta la perdita e la riconquista meramente spirituale di un
essere che non ha essere e che nel suo non essere perviene (astrattamente) all'essere
del proprio essere. Il fondamento astratto di questo movimento inficia dunque, agli
occhi del giovane Marx, i grandi risultati che Hegel malgrado tutto ottiene. Ma sono
proprio questi risultati a rendere possibile il superamento e il capovolgimento della
filosofia hegeliana da parte di Marx: il sistema hegeliano contiene, in altre parole, il
ribaltamento della stessa dialettica di Hegel (13).
Sotto l'ambiguità, del resto avvertita dallo stesso Mario Rossi, del pensiero di
Hegel concernente il tema della proprietà (che secondo Rossi, essendo inizialmente
astratta, dovrebbe rimanere universale e non riempirsi di contenuti concreti nella sfera
del singolo proprietario borghese), si nasconde appunto la grandezza di Hegel: quella
di aver concepito la persona astratta come determinata dalla naturalità (sia pur con
tutti i limiti idealistici di una simile "natura") e dalla sua destinazione (egoisticamente
borghese) sociale (14). Del resto Rossi (nel terzo volume dell'opera citata a pagine
552) riconosce che Marx non traccia
"distintamente il confine tra la propria concezione dell'autoproduzione umana
e quella che attribuisce ad Hegel".
La critica che Marx rivolge allo Stato assoluto ipotizzato da Hegel - critica
secondo la quale Hegel giustamente descrive la natura privata e borghese dello Stato
moderno, ma po attribuisce una qualità assoluta a questa natura storica, - varrebbe di
certo, se Marx se ne fosse occupato, anche per la persona astratta del diritto privato.
Hegel, insomma, descrive la natura borghese dell'uomo moderno, ma pretende di
determinare l'universalità e l'essenzialità di questa empirica esistenza.
Ciò però non toglie, agli occhi del giovane Marx, il fatto che Hegel abbia
riconosciuto il principio concreto dell'attività umana "bisogni-lavoro" (15); e che la
più alta espressione di questo riconoscimento stia, appunto, nella "Filosofia del
diritto" che il giovane Marx comincia a criticare, secondo me, nel punto in cui non è
più d'accordo col suo Maestro.
____________________
NOTE;
(1) Mi riferisco in particolare alla critica di Marx (vedi: "Opere III" , pp. 113-114) al
paragrafi 65, 66 e 71 della "Filosofia del diritto" di Hegel concernenti il tema della
"proprietà" quale esistenza oggettiva e sociale della persona astratta del diritto.
(2) "Per la critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel". Si tratta di uno scritto
molto importante perché segna il passaggio di MArx al comunismo dal suo iniziale
orientamento liberal-democratico. Fu proprio sul tema del comunismo che Marx e
Ruge ruppero la loro collaborazione negli "Annali". Va comunque precisato che
l'interlocutore di MArx è in questo caso prevalentemente Schelling.
(3) K, Marx, "Per la critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel". in "Opere
scelte", Roma 1974 p. 58.
(4) K. Marx, "Manoscritti economico filosofici del 1844", Roma 1976 p. 243.
(5) La volontà, secondo Hegel, è libera in quanto è essa stessa a porsi come limite di
sé, quindi a superare questo limiti come volontà infinita. La volontà in sé scaturisce
invece dal movimento dell'idea, che, nella sfera della logica, pone se stessa come
fondamento della propria esteriorità. L'idea però impadronendosi logicamente del
mondo, deve "volersi" realizzare oggettivamente, cioé uscire dalla limitazione di
essere pura riflessione di sé. Secondo Marx, l'errore di Hegel è inizialmente quello di
concepire l'essenza umana come "ciò che si fa" oggettivo, invece che come essere
oggettivo vero e proprio.
(6) "Si trova nella personalità il fatto che io, in quato tale, determinato pienamente da
tutti i lati (nell'interno arbitrio, nello stimolo e nel desiderio, al modo stesso che
quanto all'immediata esistenza esterna) - e finito, sono tuttavia puro riferimento a
me". (Hegel, "Lineamenti di filosofia del diritto", par. 35, Bari 1979, p. 59.
(7) "Per Hegel l'alienazione dell'autocoscienza pone la cosalità. Poiché l'uomo è
identificato con l'autocoscienza, la sua essenza oggettiva alienata, o cosalità, è uguale
all'autocoscienza alienata,,, non è l'uomo reale, tantomeno la natura... ad essere
considerato soggetto, ma solo l'astrazione dell'uomo..." , K. Marx. "Manoscritti
economico filosofici del 1844", cit. p. 241.
(8) Rosenzweig, "Hegel und der Staat", München und Berlin 1920, p. 131.
(9) Hegel, "Lineamenti di filosofia del diritto", cit. par. 36 p. 60.
(10) Cfr. E. Bloch, "Dialettica e Speranza", Firenze 1976, Vedi anche il saggio
introduttivo di Heinz Holz, "Del principio Speranza".
(11) Feuerbach, "Principi della filosofia dell'avvenire", par. 38, Bari 1976 pp. 255256. Sui rapporti tra Feuerbach e il materialismo francese di metà '700 non è il caso
di insistere. Tuttavia va detto che sulla formazione del pensiero di Feuerbach deve
aver influito anche il "realismo" metafisico tedesco di Wolff, con il quale Feuerbach,
grazie all'opera di Lessing e Kant, comincioòad inserire il "dato" della conoscenza nel
quadro di una più ampia (artistico-estetica e intellettiva) attività umana. Per i rapporti
tra Wolff e la cultura tedesca vedi Nicolao Merker "L'illuminismo tedesco", Bari
1974.
(12) H. Holz, cit. p. XXIII
(13) E, Bloch in "Dialettica e Speranza", cit. H. Hyppolite in "Marxismo e
rivoluzione", H. Marcuse in "Ragione e rivoluzione" danno i primi segni
dell'importanza di una rivalutazione del sistema hegeliano.
(14) Sulla concezione dell'individuo come "portatore" (Träger)
Rosenzweig, cit. p. 131.
di eticità vedi
(15) E' pur vero che rispetto alla "Fenomenologia" (in cui il sistema dei bisogni e del
lavoro compare insieme con la proprietà e la giustifica) la "Filosofia del diritto" come sostiene Mario Rossi - rappresenta un passo indietro, uan involuzione in quanto
Hegel ancor prima di introdurre il concetto di "Uomo" comincia a descrivere l'essenza
astratta del proprietario borghese. Tuttavia, è pur sempre il bisogno, nella "Filosofia
del diritto", anche privo di contenuto, a precede e giustificare la proprietà.
ENRICO BERNARD INCONTRA LUCIO COLLETTI
Colloquio inedito del 1983 sulla crisi del marxismo
NOTA BENE: L'incontro faceva partedi una inchiesta di Enrico Bernard
sulla "Crisi del marxismo". Bernard aveva realizzato anche una intervista
col filosofo marxista Antonio Capizzi per presenatre una specie di "pro e
contro" Marx. L'inchiesta doveva uscire su Paese Sera. Ma fu censurata
dall'allora direttore Andrea Barbato perché Colletti era sgradito in quanto
considerato "traditore" e Capizzi altrettanto sgradito perché considerato
ortodosso del marxismo. In seguito a questo episodio di "centralismo
democratico" e di censura delle opinioni (di destra e di sinistra) non in
linea con le direttive del partito, Enrico Bernard abbandonò il giornale
dopo un furioso litigio con Barbato.
L'intervista con Antonio Capizzi è andata "stranamente" smarrita in
redazione.
CASA DI LUCIO COLLETTI, ROMA. OTTOBRE 1983
BERNARD - Colletti, che cosa si intende per "crisi del marxismo"?
COLLETTI - Per "crisi del marxismo" ho sempre inteso una cosa molto semplice: da
una parte, l'incapacità del marxismo a rinnovare la sua analisi della società industriale
moderna, adeguandola alle trasformazioni profonde che questa società ha subito non
solo rispetto alle previsioni di Marx, ma anche a quelle di Lenin e di Gramsci.
Dall'altra, l'incapacità del marxismo a produrre un'analisi seria dei regimi dispotici e
totalitari che, in nome del marxismo, sono stati eretti in Unione Sovietica e in tutti gli
altri paesi a direzione comunista. Quando, nel 1974, parlai per la prima volta di "crisi
del marxismo", venni considerato quasi un provocatore o un pazzo; oggi vedo che
della "crisi del marxismo" parlano tutti. Non me ne rallegro: vi trovo soltanto la
conferma del fatto che, per dire qualcosa di sensato, occorre spesso il coraggio di
rompere con i luoghi comuni.
BERNARD - Ma questa "crisi" si è risolta in qualche modo?
COLLETTI - No, non mi sembra. Nulla di ciò che è avvenuto, dal 1974 ad oggi, mi
induce a credere che la "crisi del marxismo" sia sanata o in via di superamento.
BERNARD - Nel suo corso di filosofia teoretica viene proposto un solo testo di
Marx, cioé la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico", opera che precede
il passaggio del giovane Marx al comunismo. Questa scelta può considerarsi in
qualche modo emblematica del suo modo di "leggere" Karl Marx?
COLLETTI - Mi interessava documentare come un argomento della critica di
Aristotele a Platone fosse giunto, attraverso Trendelenburg, fino a Marx.
BERNARD - Tuttavia, scusi se insisto, il suo programma parte da Aristotele per
giungere guarda caso proprio a Marx. Segno che lei considera, comunque, il
marxismo come il punto cruciale del pensiero occidentale?
COLLETTI - Come tutti gli autori classici - si chiamino Hobbes o Spinoza, Leibniz o
Kant - penso sinceramente che Marx rappresenti qualcosa di importante. Non
considero tuttavia il marxismo un "punto cruciale" come lei sostiene caro Bernard;
penso, anzi, che i marxisti farebbero bene a togliersi dalla testa che in genere vi sia
"un" punto cruciale. I punti cruciali ono molti.
BERNARD - Tuttavia nel marxismo sono via via confluite diverse tendenze di
pensiero, tanto che il marxismo rapresenta la summa e la svolta del pensiero
millenario dell'uomo. Come si spiega tutto questo con la sua precedente affermazione
circa la relativa centralità del pensiero di Marx?
COLLETTI - Nella sua domanda c'è anche la risposta. Mi spiego. Il segno più
visibile della "crisi del marxismo" sta nel fatto che, ormai da molti anni, il marxismo
ha perduto completamente la propria autonomia teorica. Esso vive da tempo
appropriandosi, ecletticamente, di contenuti che derivano da altre tradizioni di
pensiero.
BERNARD - Nel '68 prevaleva la linea Rousseau-Marx. Oggi invece l'interesse si è
spostato su una lettura hegeliana di Marx. Non ritiene che questo sia il segno che,
dopo le infatuazioni ideologiche del '68, si sia passati ad un clima di maggiore
oggettività scientifica?
COLLETTI - La lettura hegeliana di MArx non è un fatto di oggi. Già alla fine del
secolo scorso, prima con Antonio Labriola poi con Croce e Gentile, le cose non
andarono diversamente. Il fatto che la fortuna di Marx sia indissociabile da quella di
Hegel è per me, oggi, la conferma che Marx, in fondo, è stato un epigono di Hegel.
BERNARD - C'è chi sostiene che il rinnovato interesse per Weber, Nietztsche,
Heidegger, Kelsen, Popper ecc. sia dovuto ai continui dibattiti tra il pensiero marxista
e il pensiero di questi autori, rivelandosi in ultima analisi il prolungamento di
discussioni proposte da marxisti. Lei ha preso recentemente parte al convegno su
Kelsen, Accetta o rifiuta?
COLLETTI - Rifiuto. L'idea che la fortuna di filosofi lontanissimi da Marx sia
l'effetto delle discussioni avviate dai marxisti, può considerarsi un segno di
megalomania. La mentalità che si esprime in questo modo di ragionare è
assolutamente dogmatica. Si parte dall'idea che il marxismo sia al centro di tutto e che
nulla accada senza che il marxismo non voglia. In realtà, è assai più facile constatare
la quasi completa sterilità degli studi marxisti, non solo in Italia ma anche altrove.