L`America Latina

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La rivoluzione messicana
All’inizio del XX secolo, il Messico si caratterizzava in primo luogo per la presenza di
una elevata concentrazione delle terre nelle mani di un ristretto nucleo di grandi famiglie
di latifondisti. Su una popolazione complessiva di 15 milioni di abitanti, circa 12 milioni erano contadini poveri (i cosiddetti peones), che vivevano in miseria ed erano costantemente indebitati nei confronti dei padroni della terra. In alcune regioni, era stata avviata una fiorente industria mineraria, finalizzata all’estrazione del rame e del petrolio; tale attività, però, dipendeva da capitali statunitensi, che controllavano anche la
produzione di caucciù, di zucchero o di agave. Dal punto di vista politico, il Paese era
retto da un dittatore, Porfirio Díaz, salito al potere nel 1884 e rimastovi fino al 1911.
Nel 1910 ebbe inizio un lungo processo rivoluzionario che durò fino al 1920 e provocò più di un milione di morti; i primi segnali furono alcune insurrezioni contadine,
esplose nelle regioni in cui la situazione di sfruttamento era più violenta e spietata. Già
in questa fase si distinse, come leader rivoluzionario, Emiliano Zapata (1879-1919), che
operava nella zona del Morelos, nel Sud del Paese. La rivolta si placò temporaneamente Militari e peones
nel 1911, quando fu eletto presidente Francisco Madero, sostenitore di un programma di riforme che avrebbe dovuto spingere il Messico nella direzione della democrazia e della giustizia sociale.
le parole
Nel febbraio 1913, tuttavia, con l’aperta complicità dell’amAgave
basciatore statunitense, Madero venne assassinato e il potere pasPianta originaria delle zone tropicali e subsò nelle mani del generale Victoriano Huerta. La guerra civile,
tropicali del continente americano da cui
si ricavano bevande e dalle cui foglie si
a quel punto, tornò a esplodere in tutto il Paese: nel Sud, il coproducono fibre tessili per fare cappelli,
mandante più prestigioso continuò a essere Zapata (che però fu
corde ecc.
ucciso nel 1919), mentre nelle regioni del Nord emerse la figura
Il guerrigliero messicano
Pancho Villa fotografato
a cavallo.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO B
POTERI
CONFLITTI
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E
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L’America Latina
L’America Latina
APPROFONDIMENTO B
di Francisco (meglio noto con il soprannome di Pancho) Villa (1878-1923), che nel
1916 ebbe numerosi scontri anche con truppe statunitensi, intervenute in Messico per
proteggere gli interessi delle grandi compagnie nordamericane.
All’inizio degli anni Venti, la situazione cominciò pian piano a normalizzarsi; lo
Stato però, nel decennio seguente, assunse un atteggiamento di netta ostilità nei
confronti della Chiesa, ponendo gravi restrizioni alla libertà di culto e severi limiti
alla partecipazione dei cattolici alla vita politica. Infine, nel 1936, il presidente Lázaro Cárdenas (1895-1970) procedette a una riforma agraria radicale, che distribuì
ai contadini diversi milioni di ettari di terreno e venne finalmente incontro alle esigenze della popolazione rurale. Inoltre, nel 1938, Cárdenas nazionalizzò le ferrovie e l’industria dell’estrazione petrolifera.
UNITÀ 10
L’America Latina nel periodo 1930-1950
LA GUERRA FREDDA
2
Juan Perón
con la moglie Eva
Duarte, detta Evita,
donna abile ed energica,
molto ammirata dal
popolo; influì nelle
scelte politiche del
presidente, in
particolare nelle riforme
sul diritto di voto alle
donne, sulla tutela dei
pensionati
e dell’infanzia.
Nel corso degli anni Trenta, si verificò il definitivo passaggio dell’economia dell’America
Latina dalla sfera di influenza britannica a quella statunitense: nel 1914, gli investimenti provenienti dal Nord America ammontavano a 1,7 miliardi di dollari, e quelli inglesi a 3,7 miliardi di dollari; nel 1936, quelli inglesi erano scesi a 2,5 miliardi di
dollari, mentre quelli americani erano saliti a 2,8 miliardi.
La crisi economica iniziata nel 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street ebbe tuttavia numerose e complesse ripercussioni sulla società e sull’economia dei Paesi sudamericani. In primo luogo, infatti, essi videro calare notevolmente (del 30%, ma talora anche del 50%) i prezzi dei principali beni di esportazione (petrolio, rame, stagno, carne, zucchero). Il valore globale delle esportazioni latinoamericane, di conseguenza, subì una pesante flessione, passando da quota 2,9 miliardi di dollari (1929)
a 1,7 miliardi (nel 1939).
Una simile contrazione dei profitti derivanti dal commercio con l’estero ridusse notevolmente il denaro disponibile per importare dagli USA e dai Paesi europei beni di
consumo e manufatti; nello stesso tempo, tuttavia, la nuova situazione incentivò la
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
L’epoca delle dittature militari
Il principale effetto perverso della rapida industrializzazione, negli anni Trenta e Quaranta, fu l’emigrazione di massa verso le grandi città. «Nel 1929 – scrive Marcello
Carmagnani – soltanto il 30% della popolazione totale abitava nelle città, mentre nel
1950 si era già al 45%: il che significa, in cifre assolute, che la popolazione urbana
passò da 28 a 73 milioni, cioè si triplicò». L’inurbamento ebbe come prima conseguenza Massiccio
il sovraffollamento delle città, incapaci di fornire servizi efficienti a una popolazione incremento
in costante crescita. Ma, soprattutto, il fenomeno migratorio verso le metropoli significò demografico
una progressiva sottrazione di manodopera al settore agricolo, in un’epoca di grande
incremento demografico che, tra il 1925 e il 1950, vide la popolazione totale dell’America Latina passare da 95 a 157 milioni di abitanti.
Bisogna sottolineare che l’esportazione di caffè e zucchero – attività capace di garantire la ricchezza di poche grandi famiglie di produttori latinoamericani, oppure di imprese
capitalistiche europee e statunitensi – non diminuì affatto, e anzi registrò un leggero incremento. A perdere manodopera fu l’attività agricola destinata a rifornire il mercato interno, al punto che, tra il 1934 e il 1954, la produzione di alimenti pro capite diminuì
del 5%, mentre l’importazione di derrate aumentò del 3,1% annuo.
In tale contesto, sempre più squilibrato, il malcontento e la protesta cominciarono a farsi sentire, soprattutto dopo la vittoriosa rivoluzione cubana del gennaio 1959,
che destò notevoli speranze di riscatto fra le masse latinoamericane. Gli anni Sessanta e Settanta videro pertanto una presenza sempre più marcata delle Forze armate
nella vita politica dei principali Stati latinoamericani, finalizzata a schiacciare sul nascere o a reprimere ogni tentativo di modificare l’assetto politico e sociale. Nel 1964,
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APPROFONDIMENTO B
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L’America Latina
nascita e lo sviluppo di un’industria latinoamericana, che raggiunse il massimo della propria espansione negli anni della seconda guerra mondiale, quando le economie
dei principali Paesi capitalisti vennero completamente assorbite dallo sforzo bellico.
Tra il 1925 e il 1950, la produzione crebbe in modo vertiginoso: 7% annuo in Messico e in Argentina, 10% in Colombia, 16% in Brasile.
In questo contesto poté sorgere e svilupparsi un nuovo fenomeno politico, detto po- I movimenti
pulismo, che vide in Argentina il proprio episodio più significativo. Nel 1946, con populisti
l’appoggio dei sindacati, le elezioni presidenziali di quel vasto Paese furono vinte da
Juan Domingo Perón (1895-1974), un ufficiale capace di esercitare enorme fascino
sulle masse popolari. Per certi aspetti, il populismo di Perón era simile al fascismo: in
entrambi i casi, ad esempio, il leader non aveva alcuna simpatia per i valori della democrazia parlamentare e cercava un rapporto diretto con le masse. Tuttavia, mentre
il principale sostegno del fascismo, a livello di massa (soprattutto in Italia), furono i
ceti medi, in Argentina il populismo fu appoggiato e sostenuto dalla classe operaia, che
vide – tra il 1942 e il 1955 – un aumento salariale del 47%.
In un contesto economico caratterizzato dallo sviluppo accelerato, era possibile procedere a una parziale redistribuzione della ricchezza: il dato essenziale era che la proprietà dei mezzi di produzione non fosse messa in discussione e che tutti i miglioramenti nella condizione di vita operaia fossero presentati come concessioni dall’alto e
donazioni del leader magnanimo e illuminato, non come risultato della capacità organizzativa e della combattività dei lavoratori. Non a caso, fra il 1937 e il 1945, in
Brasile, dove Getúlio Vargas (1882-1954) guidò un regime simile a quello di Perón
in Argentina, gli scioperi furono proibiti e considerati illegali.
I regimi populisti, però, potevano reggersi solo nella misura in cui la situazione economica si fosse mantenuta fiorente; non appena esplosero nuovi problemi o risorsero antiche contraddizioni non risolte, i leader populisti non furono più in grado di
continuare la loro politica di concessioni dall’alto. Così, Perón dovette abbandonare
il potere nel 1952, mentre il brasiliano Vargas si suicidò nel 1954.
APPROFONDIMENTO B
INSTABILITÀ
POLITICO-MILITARE
IN AMERICA LATINA
Mar dei Caraibi
TRINIDAD
E TOBAGO
Caracas
VENEZUELA
Bogotà
Georgetown
Paramaribo
GUYANA
Cayenne
OCEANO
ATLANTICO
SURINAME
GUYANA
FR.
COLOMBIA
Quito
ECUADOR
Lima
BRASILE
PERÚ
La Paz
Brasilia
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BOLIVIA
Rio de Janeiro
Asunción
OCEANO
DURATA MEDIA DEI PRESIDENTI
DELLA REPUBBLICA
(nel XIX/XX sec.)
CILE
ARGENTINA
PACIFICO
Santiago
LA GUERRA FREDDA
4
PARAGUAY
URUGUAY
Buenos Aires
Montevideo
Meno di 2,5 anni
Da 2,5 a 3 anni
Da 3 a 4 anni
Più di 4 anni
NUMERO DEI COLPI DI STATO
E DEI TENTATI COLPI DI STATO
DAL 1946
Meno di 6
OCEANO
ATLANTICO
Tra 6 e 15
Tra 16 e 25
Più di 25
SPESE PER LA DIFESA IN RAPPORTO
AL REDDITO NAZIONALE
= 1%
infine, in Brasile, i militari operarono un colpo di Stato e soppressero ogni traccia
di democrazia; quello brasiliano divenne il prototipo e il modello dei regimi autoritari che avrebbero caratterizzato per i vent’anni seguenti la maggior parte dei Paesi latinoamericani.
Malgrado la loro evidente connotazione anticomunista, non appare corretto definire fascisti questi regimi, in quanto a essi mancava quel legame diretto tra il capo e le
masse, che distinse appunto la dittatura mussoliniana (o hitleriana) da altre forme più
tradizionali di governo autoritario. Le masse, nei regimi militari sudamericani, non
furono mobilitate in nome di un’ideologia razzista o nazionalista, ma più semplicemente schiacciate da una spietata politica di repressione poliziesca, che calpestava i
più elementari diritti dell’uomo e ricorreva sistematicamente alla tortura.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
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Le dittature militari in Cile
REGIMI AUTORITARI A CONFRONTO
Populismo
Fascismo
Dittature militari
Rifiuto della democrazia
Rifiuto della democrazia
Rifiuto della democrazia
Mobilitazione delle masse
Mobilitazione delle masse
Repressione delle masse
Sostegno del proletariato
Sostegno della borghesia
e dei ceti medi
Sostegno della borghesia
e dei ceti medi
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Nel corso del Novecento, il Cile si era messo in luce per il fatto di possedere nel proprio sottosuolo le maggiori riserve mondiali di rame, il più importante tra i metalli
industriali. La produzione cilena, controllata da grandi compagnie minerarie statunitensi, era cresciuta in maniera costante, passando dalle 300 000 tonnellate annue
del 1929 alle 600 000 tonnellate del 1973.
Nel settembre 1970, le elezioni presidenziali in Cile furono vinte da una coalizione
di sinistra (detta Unidad Popular), che portò al governo il socialista Salvador Allende (1908-1973). Egli non intendeva percorrere una via rivoluzionaria e violenta, sul
modello leninista o castrista; tuttavia era determinato a introdurre, per vie
legali e costituzionalmente corrette, provvedimenti capaci di incidere
sulla realtà sociale ed economica del Paese. Pertanto, Allende varò una riforma agraria finalizzata a eliminare il latifondo,
diede un forte incremento alle opere pubbliche, in modo da
assorbire la disoccupazione, e cercò di migliorare i servizi sociali destinati alla popolazione. Il provvedimento più coraggioso fu senza dubbio la nazionalizzazione delle miniere di
rame, operazione che non comportò indennizzi per le compagnie minerarie, sulla base dell’affermazione che esse avevano già a lungo e per troppo tempo ricavato enormi profitti
sfruttando le risorse del popolo cileno.
La politica di Allende incontrò una netta opposizione della grande borghesia cilena e dei ceti medi; tale ostilità trovò
il proprio strumento di lotta più efficace nello sciopero degli autotrasportatori, che paralizzò la distribuzione capillare,
nel Paese, delle derrate alimentari e dei generi di prima necessità. Infine, pienamente sostenuti dai servizi segreti statunitensi, i militari decisero di procedere al colpo di Stato
(golpe, in spagnolo); l’11 settembre 1973, il palazzo presidenziale venne attaccato e Allende fu ucciso nel corso dei
combattimenti.
Migliaia di cileni vennero arrestati e condotti allo stadio di
Santiago, dove molti furono uccisi senza processo e altri torturati per ottenere informazioni. I pieni poteri, infine, furono assunti da una giunta militare; presieduta dal generale
Augusto Pinochet (1915-2006), essa inaugurò una politica di assoluto liberismo in campo economico, «dando così
tra l’altro la dimostrazione – commenta lo storico inglese
Eric John Hobsbawm – che non c’è connessione intrinseca tra libero mercato e democrazia politica».
L’America Latina
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Il generale Augusto
Pinochet in una foto
degli anni Ottanta,
quando ormai il suo
potere vacillava: restò
infatti alla guida del
Paese fino al 1990.
APPROFONDIMENTO B
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LA GUERRA FREDDA
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DOCUMENTI
Salvator Allende motiva la
nazionalizzazione delle miniere di rame in Cile
Il decreto di nazionalizzazione delle miniere di rame fu emanato da Allende il 28 settembre 1971.
Il punto che destò maggiore scalpore fu il rifiuto governativo di concedere qualsiasi forma di indennizzo
e risarcimento alle compagnie minerarie statunitensi.
Nel corso del suo sviluppo storico, la nostra nazione ha faticosamente conquistato il diritto di disporre di se stessa e di esser padrona delle sue risorse naturali. Questo diritto, oggi
universalmente riconosciuto, il Cile lo esercita nel nazionalizzare le grandi imprese minerarie del rame e la Compagnia Mineraria Andina. E lo fa in termini socialmente giustificati, teoricamente fondati e scrupolosamente applicati.
Le relazioni economiche internazionali che ha finora subito il nostro popolo si basano
su una struttura costituzionalmente ingiusta, che impone ai paesi dipendenti decisioni adottate unilateralmente dai paesi egemoni. Questa unilateralità, violando perfino degli impegni pubblicamente contratti, ha gravemente pregiudicato gli interessi economici dell’America Latina e del Cile in particolare. L’uguaglianza formale, che il diritto e la coscienza
universali riconoscono a tutti gli Stati, viene ad essere intrinsecamente limitata, quando non
addirittura beffata, dall’uso che alcuni Stati fanno del proprio potere, per sottomettere di
fatto altri Stati. Non è possibile parlare propriamente di libertà e dignità nelle relazioni fra i
popoli, quando i loro mezzi di produzione fondamentali, le risorse vitali per la loro sopravvivenza, sono stati carpiti o assoggettati da un piccolo gruppo di grandi imprese che perseguono il proprio lucro a spese del sottosviluppo e dell’arretratezza delle masse dei paesi
in cui si sono stabilite. [...]
Se è naturale che ogni paese decida liberamente per quanto concerne le attività che
determinano il suo destino di popolo, è ancora più legittimo, se possibile, che quelle economie condannate dalla divisione internazionale del lavoro a una struttura di monoesportazione [esportazione di un solo prodotto, in questo caso il rame, n.d.r.], cessino di
Quale accusa muove
vedere la loro ricchezza fondamentale alienata [ceduta, n.d.r.] a favore del lucro smisuAllende alle grandi
rato di imprese straniere. Con un atto di piena sovranità nazionale, il Cile ha deciso di recompagnie
cuperare per sé la proprietà delle fonti di produzione più decisive per il suo presente e il
minerarie straniere?
suo futuro, da cui dipende la sorte della battaglia che esso sostiene per sottrarre la grande
Spiega l’espressione
maggioranza del suo popolo alla miseria materiale, allo sfruttamento umano interno e alla
«divisione
subordinazione allo straniero.
internazionale
M. CARMAGNANI, L’America Latina dal 1880 ai nostri giorni, Sansoni, Firenze 1973, pp. 97-98
del lavoro».
Salvator Allende
in una fotografia
del 1970.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
La cattura di due militari
argentini da parte delle
truppe inglesi durante
la guerra delle
isole Falkland.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO B
UNITÀ 10
Nel 1976, anche in Argentina i militari presero il potere, instaule parole
rando un regime violento e spietato: infatti, tutti coloro che eraFondo monetario internazionale
no sospettati di attività politica ostile al governo erano arrestati,
Organizzazione nata nel maggio del 1946
torturati e uccisi; poiché di loro non si veniva a sapere più nulche ha lo scopo di promuovere la cooperazione monetaria internazionale e favorire
la, per designare queste vittime della dittatura militare argentina
lo sviluppo dei Paesi del sud del mondo.
fece la sua comparsa nel linguaggio corrente una nuova espressione: desaparecidos (gli scomparsi). I parenti degli oppositori catturati si organizzarono in un vasto movimento di protesta, i cui capi furono però arrestati nel dicembre 1977. Molte madri e nonne dei desaparecidos non si diedero per vinte. Caparbiamente si riunirono per anni, tutti i giovedì, a Plaza de Mayo, nel centro di Le donne
Buenos Aires, di fronte al palazzo presidenziale, per chiedere la liberazione dei loro pa- di Plaza de Mayo
renti sequestrati dalla polizia o dalle forze speciali dell’esercito.
Nel 1982, i militari tentarono di guadagnare la simpatia della popolazione con una
politica estera aggressiva: l’esercito argentino, infatti, invase l’arcipelago delle isole Falkland (o Malvine), appartenenti all’Inghilterra. Dopo una breve guerra che si concluse con la disfatta argentina, il prestigio della dittatura crollò. Nel 1983, pertanto, furono permesse di nuovo le elezioni, e l’Argentina si avviò nella direzione di un lento
ritorno al regime parlamentare.
Il fatto che, dal 1990 – con l’abbandono della politica da parte di Pinochet –, anche
il Cile sia tornato alla democrazia dimostra che l’epoca delle dittature militari, almeno per il momento, ha esaurito la propria forza espansiva. I più gravi problemi economici e sociali dell’area sudamericana, però, sono rimasti irrisolti.
In Argentina, ad esempio, tra il 1986 e il 1994 il tasso di disoccupazione urbana passò dal 5,6 all’11,2%; nel 2001, la disoccupazione arrivò al 17,5%: una persona su tre
viveva al di sotto della soglia di povertà.
La situazione crollò nel dicembre 2001. Dopo che il Fondo monetario internazionale
rifiutò l’ennesimo prestito, il governo dichiarò che non poteva più rimborsare i propri creditori, cioè coloro che, in Argentina e all’estero, avevano comprato titoli di Stato. Mentre i conti correnti bancari venivano bloccati, in tutto il Paese esplosero moti
di protesta e di rabbia, repressi con la forza (35 morti solo il 19 dicembre). Il 2002
registrò una forte impennata dell’inflazione (42%) e della disoccupazione (24%).
Nel 2004, il Fondo monetario internazionale ha concesso un prestito all’Argentina. Il
governo si è impegnato a rimborsarlo e la situazione sociale si è temporaneamente stabilizzata. Il debito complessivo dell’Argentina, però, ha ormai raggiunto l’astronomica
cifra di 81 miliardi di dollari.
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L’America Latina
L’Argentina tra dittatura e crisi economica
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