IC A MINERVA PSICHIATR 2007;48:99-118 M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Suicidio e suicidologia: uno sguardo al futuro I kissed thee ere I killed thee. No way but this: Killing myself, to die upon a kiss. “Othello” (Shakespeare) SUICIDE AND SUICIDOLOGY: A LOOK AHEAD Suicide is a serious public health problem. The World Health Organization (WHO), recognizing the growing problem of suicide worldwide, urged member nations to address the phenomenon. During the past decade, there have also been dramatic and disturbing increases in reports of suicide among youths. Suicide remains a serious public health problem at the other end of the age spectrum, too. Suicide risk and protective factors and their interaction form the empirical base for suicide prevention. Risk factors are associated with the greater potential for suicide and suicidal behavior. Suicidology is a science dedicated to the understanding and prevention of suicide. Many fields of study are brought together under suicidology, including psychology, psychiatry, physiology and sociology. In the United States, large-scale efforts to prevent suicide began in 1958, through funds from the U.S. Public Health Service to establish the first suicide prevention center. Based in Los Angeles, Shneidman, Farberow, and Litman studied suicide in the context of providing community service and crisis intervention. Understanding risk factors can help dispel the myths that suicide is a random act or results from stress alone. Mental Indirizzo per la richiesta di estratti: M. Pompili, M.D., Ospedale Sant’Andrea, “Sapienza” Università di Roma, Via di Grottarossa 1035, 0189 Roma, Italy. E-mail: [email protected]; or [email protected] Vol. 48, N. 1 1McLean ® M. POMPILI 1, 2, R. TATARELLI 2 Hospital, Harvard Medical School Boston, MA, USA 2Ospedale Sant’Andrea Sapienza Università degli Studi di Roma, Roma disorders, previous suicide attempt, hopelessness and psychological pain associated with easy access to lethal methods constitute important elements in the precipitation of suicide. Some lists of warning signs for suicide have been created in an effort to identify and increase the referral of person at risk. This paper overviews major areas of interest in suicide research, including assessment and intervention, risk factors in various mental disorders, treatments that reduce suicide risk and survivors of suicide. The authors look ahead toward the efforts made so far in suicide research. Key words: Suicide, prevention and control Risk factors - Prevention and control. A bbiamo deciso il titolo di questo lavoro parafrasando un celebre articolo, ormai datato, di Litman 1, nel quale il grande suicidologo ripercorre tappe fondamentali della ricerca e pone le prospettive per una migliore prevenzione del suicidio. Presenteremo, perciò, alcuni cardini dello studio scientifico del suicidio, ossia della suicidologia, e su come si sta lavorando per ridurne il numero delle morti. MINERVA PSICHIATRICA 99 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A tentato il suicidio sono di grande valore, prima fra tutte incontri programmati con followup regolari; deve, inoltre, esserci una valida rete di collegamento tra i servizi psichiatrici, in modo tale da riconoscere e gestire questi individui globalmente. Il suicidio è stato da sempre stigmatizzato e il ruolo dello stigma rimane uno dei principali problemi nell’esecuzione degli interventi preventivi 7, 8. Pregnanti sono i riferimenti riportati da Alvarez 9 nel suo celebre libro. Di seguito, ne riportiamo alcuni per indicare quanto radicata sia la discriminazione e la paura dell’argomento suicidio. Nel 1601, Fulbecke (un avvocato) afferma che il suicida è trascinato da un cavallo in un posto di punizione e vergogna, nel quale viene appeso a una struttura ad hoc e nessuno può far scendere il corpo tranne l’autorità di un magistrato. Successivamente, un’altra autorità, Blackstone, scrisse che la sepoltura dei suicidi era eseguita lungo le strade con una struttura che legava il corpo e che era simile a quella usata per i vampiri. In alcuni casi, si poneva una pietra sul volto del suicida prima della sepoltura per evitare che il fantasma si ripresentasse. I corpi dei suicidi erano, poi, destinati alle scuole di anatomia (Inghilterra) oppure venivano anche sepolti tra la spazzatura (Francia); a Danzica (Polonia), il corpo del suicida non poteva essere fatto passare dalla porta dell’abitazione, ma fatto uscire dalla finestra, che veniva successivamente bruciata; ad Atene (Grecia), il corpo del suicida veniva sepolto fuori le mura della città e lontano dalle altre tombe e la mano del suicida veniva tagliata e sepolta a parte. Ogni tipo di provvedimento veniva, poi, preso per deprivare di ogni possedimento la vittima del suicidio a favore dei governanti, che divenivano proprietari di tutti i suoi averi. Comune era anche la falsificazione dei documenti di morte: se nel certificato si attestava la morte per suicidio, non era previsto alcun rito funebre, con tutte le conseguenze previste dalla società e dalla legge; se invece si attestava una morte naturale, si poteva procedere con un funerale in grande stile. Il tutto dipendeva se si era ricchi e potenti o poveri ed emarginati. Storicamente, l’atti- 100 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Un milione di suicidi ogni anno nel mondo è una perdita di vite umane inaccettabile e per la quale si fa ancora poco rispetto ad altri problemi di sanità pubblica. Poco serve a rammentare che nel mondo ogni 40 s si verifica un suicidio e ogni 3 s si registra un tentativo di suicidio 2. Inoltre, si è assistito a un’allarmante crescita dei tassi di suicidio tra i giovani, segnando una controtendenza rispetto agli anni ’50, in cui il fenomeno suicidario era più serio nell’età anziana. Attualmente, molte risorse sono dedicate a programmi di prevenzione nelle scuole, a sforzi nella ricerca empirica e all’organizzazione di centri per lo studio e la prevenzione del suicidio, a pubblicazioni e ad accordi multidisciplinari. La prevenzione del suicidio è, a volte, complessa e diversificata. Nello specifico, la prevenzione universale adotta strategie o iniziative rivolte a tutta la popolazione, per aumentare la consapevolezza del fenomeno e fornire indicazioni sulle modalità d’aiuto. In quest’ambito, troviamo campagne dei mass media, la necessità di ridurre l’accesso ai mezzi letali, la creazione di centri di crisi e i programmi d’informazione nelle scuole. La prevenzione selettiva si serve di strategie preventive dirette ai gruppi a rischio e che hanno più probabilità di diventare suicidi, mentre la prevenzione indicata utilizza strategie dirette agli individui che hanno segni precoci di alto rischio di suicidio 3. A questo, si aggiungono modelli clinici che cercano di far luce sul fenomeno per meglio prevenirlo 4, 5. Fin dal 1999, il Surgeon General degli Stati Uniti ha divulgato il “Call to Action to Prevent Suicide” 6, un vasto documento che rappresenta la pietra miliare dell’allarme che il fenomeno suicidario desta nel mondo. Purtroppo, i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) non solo sottolineano l’incremento dei tassi di suicidio negli ultimi 50 anni, ma pongono l’accento sul fatto che nel 2020 si arriverà a oltre un milione e mezzo di morti per suicidio. Gli individui che tentano il suicidio hanno un alto rischio di effettuare ulteriori tentativi di suicidio, spesso con esito letale; alcune strategie di sostegno per coloro che hanno IC POMPILI Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO POMPILI TABELLA II. — Miti e fatti sul suicidio. Fattori di rischio biopsicosociali — Disturbi mentali, in particolare disturbi dell’umore, schizofrenia, ansia grave e alcuni disturbi di personalità — Alcol e altri disturbi da abuso di sostanze — Hopelessness — Tendenze impulsive e/o aggressive — Storia di trauma e abusi — Alcune patologie mediche gravi — Precedenti tentativi di suicidio — Storia familiare di suicidio MITO: le persone che commettono il suicidio raramente parlano del suicidio. FATTO: le persone che commettono il suicidio, spesso, danno dei segnali verbali della loro intenzione. Ci sono studi che riportano che almeno 2/3 degli individui suicidi avevano espresso la loro intenzione di commettere il suicidio. MITO: le persone suicide sono determinate a morire. FATTO: molto persone sono indecise sul vivere o sul morire e “scommettono” con la morte, lasciando agli altri il compito di salvarli. Quasi nessuno commette il suicidio senza lasciar sapere agli altri come si sente. MITO: una volta che una persona è suicida, lo è per sempre. FATTO: gli individui che vogliono uccidersi sono “suicidi” solo per un periodo limitato di tempo. MITO: il miglioramento che segue a una crisi di suicidio significa che il rischio di suicidio è terminato. FATTO: molti suicidi avvengono nell’ambito dei 3 mesi che seguono l’inizio del “miglioramento”, quando l’individuo ha l’energia sufficiente per mettere in atto i suoi pensieri. MITO: il suicidio colpisce molto di più i ricchi o all’opposto si verifica quasi esclusivamente tra i poveri. FATTO: il suicidio non riguarda da vicino né il ricco né il povero. Il suicidio è molto “democratico” ed è rappresentato proporzionalmente in tutti i livelli della società. MITO: tutti gli individui suicidi sono malati mentali e il suicidio è sempre un atto compiuto da una persona psicotica. FATTO: lo studio di centinaia di note di suicidio indica che, sebbene la persona suicida è molto infelice, non è necessariamente un malato mentale. MITO: la persona suicida vuole morire e ritiene che non ci sia il modo di tornare indietro. FATTO: la persona suicida spesso si sente ambivalente sul voler morire. MITO: il parlare di suicidio può dare l’idea di commettere il gesto. FATTO: molti soggetti alle prese con problematiche psichiche e fisiche hanno già considerato il suicidio. La discussione aperta dell’argomento aiuta la persona in crisi a capire meglio i suoi problemi e le possibili soluzioni e, spesso, fornisce sollievo e comprensione. Fattori di rischio ambientali — Perdita di lavoro o perdita finanziaria — Perdite relazionali o sociali — Facile accesso ad armi letali — Eventi locali di suicidio che possono indurre fenomeni di contagio Fattori di rischio socioculturali — Mancanza di sostegno sociale e senso d’isolamento — Stigma associato con necessità d’aiuto — Ostacoli nell’accedere alle cure mediche, soprattutto relative alla salute mentale e all’abuso di sostanze — Alcune credenze culturali e religiose (ad esempio, il credere che il suicidio è una soluzione a dubbi personali) — L’essere esposti ad atti di suicidio, anche attraverso i mass media tudine della società nei confronti del suicidio e i comportamenti suicidari rivela una grande spaccatura tra l’accettazione razionale e quella irrazionale, che invece si nutre di superstizioni e sentimenti di ostilità e punizione. Nel corso della storia, la religione ha svolto un ruolo importante nell’influenzare lo stigma nei confronti del suicidio. La Chiesa, sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento, non proibisce direttamente il suicidio. Nel Vecchio Testamento, ci sono vari suicidi e per nessuno di essi si hanno commenti negativi. I governi europei iniziarono a cambiare le loro leggi nel 1824; il parlamento inglese approvò una legge che permetteva di seppellire le vittime del suicidio nei posti adiacenti le chiese, sebbene solo dalle 21 a mezzanotte 10. Lo stigma, spesso, impedisce l’accesso alle cure psichiatriche e, dunque, può influenzare negativamente il rischio di suicidio 11. Lo scopo di quest’articolo è di presentare un’ampia overview del suicidio e della suicidologia, sottolineando l’importanza per la Vol. 48, N. 1 ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T IC A TABELLA I. — Fattori di rischio per il suicidio. psichiatria, per gli operatori della salute e per ogni individuo circa una corretta valutazione e gestione del rischio di suicidio. Metodologia della ricerca Le fonti d’informazione includono: dati originali da lavori degli Autori, dati diffusi dal- MINERVA PSICHIATRICA 101 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO Come comunicare: 1) ascoltare attentamente, con calma; 2) comprendere i sentimenti dell’altro con empatia; 3) emettere segnali non verbali di accettazione e rispetto; 4) esprimere rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi; 5) parlare onestamente e con semplicità; 6) esprimere la propria preoccupazione, l’accudimento e la solidarietà; 7) concentrarsi sui sentimenti della persona in crisi. M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Porre attenzione ai segnali che denotano rischio di suicidio imminente: — parlare del suicidio o della morte; — dare segnali verbali come “Magari fossi morto” o “Ho intenzione di farla finita”; — oppure segnali meno diretti come “A che serve vivere?”, “Ben presto non dovrai più preoccuparti di me!” e “A chi importa se muoio?”; — isolarsi dagli amici e dalla famiglia; — esprimere la convinzione che la vita non ha senso e non ha speranza; — disfarsi di cose care; — mostrare un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore dopo essere stato depresso; — trascurare l’aspetto fisico e l’igiene. TABELLA IV. — Suggerimenti utili all’approccio con un soggetto a rischio di suicidio. A TABELLA III. — Riconoscere i segnali d’allarme. IC POMPILI Con riferimento ai giovani, ma non esclusivamente ad essi: — cambiamenti di umore improvvisi e cambiamenti di personalità; — indicazioni di problemi di salute, escoriazioni, ferite, faccia contusa a causa di abusi o percosse nell’ambito di frequentazioni; — improvviso deterioramento dell’aspetto fisico; — autolesionismo; — reiterazione di morte e violenza; — problemi alimentari associati a cambiamenti repentini di peso (a parte quelli associati a diete sotto controllo medico); — problematiche dell’identità di genere; — Depressione ® Con riferimento, agli anziani, ma non esclusivamente ad essi: — mettere da parte farmaci; — comprare armi; — esprimere un improvviso interesse oppure perdere un interesse per la religione; — trascurare attività quotidiane di routine; — fissare un appuntamento medico anche per sintomi lievi. Come non comunicare: 8) interrompere troppo spesso; 9) esprimere il proprio disagio; 10) dare l’impressione di essere occupato e frettoloso; 11) dare ordini; 12) fare affermazioni intrusive o poco chiare; 13) fare troppe domande. Domande utili: 14) Ti senti triste? 15) Senti che nessuno si prende cura di te? 16) Pensi che non valga la pena di vivere? 17) Pensi che vorresti suicidarti? Indagine sulla pianificazione del suicidio: 18) Ti è capitato di fare piani per porre fine alla tua vita? 19) Hai un’idea di come farlo? Indagine su possibili metodi di suicidio: 20) Possiedi farmaci, armi da fuoco o altri mezzi per commettere il suicidio? 21) Sono facilmente accessibili e disponibili? Indagine su un preciso lasso di tempo: 22) Hai deciso quando vuoi porre fine alla tua vita? 23) Quando hai intenzione di farlo? che presentavano dati innovativi e chiari per gli scopi di questa review. la WHO, dall’American Association of Suicidology, dall’International Association for Suicide Prevention e dall’International Academy for Suicide Research. Abbiamo, inoltre, effettuato una ricerca con PubMed, utilizzando i seguenti termini di ricerca: “suicid*”, “risk factors”, “assessment”, “epidemiology”, “pharmacotherapy”, “classification” e “treatment and prevention”. Oltre a ciò, abbiamo effettuato consulenze con esperti internazionali nel campo del suicidio, al fine di selezionare con precisione le informazioni più adeguate. Abbiamo incluso quei lavori 102 Fattori di rischio e miti da sfatare La conoscenza dei fattori di rischio è, senza dubbio, un elemento importante per riconoscere l’individuo a rischio (Tabella I), ma non può essere l’unico strumento, a causa dell’alto numero di falsi positivi che vengono inclusi tra i soggetti definiti “a rischio”. Una corretta conoscenza del fenomeno suicidario deve basarsi sui fatti e debellare quanto più possibile le false credenze. MINERVA PSICHIATRICA Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A Disturbo Rischio relativo (SMR) Disturbo bipolare Depressione grave Poliabuso di sostanze Disturbi d’ansia gravi Depressione moderata Schizofrenia Disturbi di personalità 28 21 20 11 9 9 7 0,39 0,29 0,28 0,15 0,13 0,12 0,1 23,4 17,4 16,8 9 7,8 7,2 6 Cancro Popolazione generale 2 1 0,03 0,014 1,8 0,8 M I CO NE R PY V A RI M GH E D T — Identificare i vari fattori che contribuiscono alla crisi suicidarla. — Condurre una valutazione psichiatrica completa, identificando i fattori di rischio e i fattori di protezione, distinguendo quelli modificabili e quelli non modificabili. — Chiedere direttamente sul suicidio. — Determinare il livello di rischio: basso, medio, alto. — Determinare il luogo e il piano terapeutico. — Indagare l’ideazione suicidaria presente e passata, così pure intenti, gesti o comportamenti suicidari; indagare sui metodi usati; determinare il livello di hopelessness, anedonia, sintomi ansiosi, motivi per vivere, abuso di sostanze, ideazione omicida. — Segnali d’allarme: esprimere sentimenti suicidi o riferirsi al tema del suicidio; disfarsi di cose di valore, sistemare affari in sospeso, fare un testamento; segni di depressione: umore triste, alterazione delle abitudini del sonno e dell’appetito; cambiamento di comportamento (scarso rendimento scolastico o lavorativo); comportamento ad alto rischio (high-risk behavior); aumento del consumo di alcol o droghe; perdita di interesse nell’aspetto esteriore; isolamento sociale; sviluppare un piano specifico per il suicidio. TABELLA VI. — Rischio di suicidio in varie patologie psichiatriche 19. IC TABELLA V. — Valutazione del rischio di suicidio. POMPILI [Modificato da Jacobs Association 18]. 17 Rischio lifetime (%) ® SMR (standardized mortality ratio): tasso di mortalità standardizzato per il rischio nella popolazione generale, corretto per età e sesso. Il rischio lifetime è basato su un tasso annuo di suicidio per 60 anni di rischio potenziale. Il rischio nel disturbo bipolare I e II è simile, ma il tasso di suicidi nel sesso maschile è maggiore rispetto a quello nel sesso femminile con disturbo bipolare. La depressione grave comporta il ricovero; la depressione moderata è una stima della depressione maggiore in pazienti ambulatoriali più la distimia. I disturbi d’ansia includono il disturbo di panico con agorafobia e il disturbo ossessivo-compulsivo. [Modificato da Harris et al.16 e Tondo et al.20]. e dall’American Psychiatric Patologia psichiatrica e rischio di suicidio Nella Tabella II riportiamo alcuni fatti e miti comuni sul suicidio. La prevenzione del suicidio riguarda tutti Recentemente, abbiamo proposto in Italia il messaggio di varie organizzazioni internazionali che operano nella prevenzione del suicidio, ossia “La prevenzione del suicidio riguarda tutti” 12-15. Nell’abito di questa campagna, abbiamo sottolineato il concetto che, oltre agli operatori della salute, tutti dovrebbero possedere nozioni base per la prevenzione del suicidio. Il riconoscimento dei segnali d’allarme è di grande importanza in quest’ambito (Tabella III). Non meno importante, è la conoscenza di come approcciarsi e come non comportarsi con un soggetto a rischio di suicidio. Nella Tabella IV, elenchiamo alcuni suggerimenti che riteniamo utili per gli operatori della salute mentale, così come per le altre figure mediche e per i soggetti della popolazione. Vol. 48, N. 1 Tasso di suicidio (%/anno) La celebre meta-analisi di Harris et al. 16 ha ampiamente dimostrato che i disturbi psichiatrici sono un fattore di rischio importante per il suicidio, che ne rappresenta la più grave complicanza. Ruolo dello psichiatra nella valutazione del rischio di suicidio Lo psichiatra deve, in primo luogo, fare attenzione alla complessità del suicidio (numerosi fattori contribuenti) 17, 18 (Tabella V). Successivamente, deve eseguire una visita psichiatrica, identificando fattori di rischio e fattori protettivi, e riconoscere quelli che possono essere modificati da quelli immodificabili. Risulta utile: chiedere direttamente e indagare specificatamente sul suicidio; determinare il livello di rischio: basso, medio, alto; determinare dove e come fornire la cura; documentare la valutazione. Nella Tabella VI vengono elencati vari disturbi psichiatrici e il relativo tasso di suicidio rispetto alla popolazione generale 19, 20. MINERVA PSICHIATRICA 103 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO Scale autosomministrate — Beck Hopelessness Scale (Beck et al. 1974a) — Index of Potential Suicide (Zung 1974) — Reasons for Living Inventory (Linehan et al. 1983) — Rorschach Suicide Constellation (Exner & Wylie 1977) — Suicide Probability Scale (Cull & Gill 1982) — Suicide risk Measure (Plutchik et al. 1989) ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Scale somministrate dall’operatore — Clinical Instrument to Estimate Suicide Risk (Motto et al. 1985) — Instrument for the Evaluation of Suicide Potential (Cohen et al. 1966) — Intent Scale (Pierce 1977) — Los Angeles Suicide Prevention Center (Beck et al. 1974b) — Neuropsychiatric Hospital Suicide Prediction Schedule (Farberow & MacKinnon 1974a, 1974b) — Scale for Assessing Suicide Risk (Tuckman & Youngman 1968) — Suicide Death Prediction Scale, Long and Short Form (Lettieri 1974) — Short Risk Scale (Pallis et al. 1982) — Suicide Intent Scale (Beck et al. 1974c) — SAD PERSON (Patterson et al. 1983) — Suicide Potential Scale (Dean et al. 1967) — Scale for Predicting Subsequent Suicidal Behavior (Buglass & Horton 1974) L’utilità clinica delle scale di valutazione per il rischio di suicidio è limitata, a causa dell’eccessivo numero di falsi positivi. Tuttavia, l’ausilio che possono fornire al clinico non deve essere sottovalutato, in quanto possono introdurre la discussione sul tema del suicidio e il loro punteggio può completare la valutazione generale del rischio 25 (Tabella VII). Tra le varie scale elaborate per la valutazione della suicidalità, la Beck Hopelessness Scale (BHS) 26 sembra possedere proprietà di rilievo per la predizione del rischio di suicidio. Si tratta di una scala autosomministrata, composta di 20 item (vero/falso); fu originariamente sviluppata per distinguere chi si sarebbe suicidato. In uno studio 27 di 1 958 pazienti ambulatoriali, la misurazione dell’hopelessness, misurata con la BHS era significativamente associata al suicidio. Il cutoff di 9 permise di identificare 16 dei 17 pazienti che alla fine commisero il suicidio. Il gruppo ad alto rischio riconosciuto con tale cut-off aveva un rischio di suicidio di 11 volte superiore al resto del campione. Studi di validazione per questa scala sono attualmente in corso anche in Italia 28. A TABELLA VII. — Scale per la valutazione del rischio di suicidio. Modificato da Pompili et al.25 IC POMPILI Valutazione e gestione della crisi suicidaria Il dolore mentale Recentemente, Simon 21 ha riportato in un lavoro la complessità del rischio di suicidio imminente, sottolineando che il rischio varia da un minuto all’altro, da un’ora all’altra e da un giorno all’altro. Ne deriva che la valutazione del rischio di suicidio deve essere un processo continuo e non un evento isolato. Già dalle prime autopsie psicologiche 22-24, apparve chiaro ciò che poi è stato ampiamente confermato da studi successivi e cioè che 2/3 di coloro che commettono il suicidio comunicano il loro intento di uccidersi alcune settimane prima dell’atto suicidario, spesso a diverse persone. Il 40%, secondo questi studi, comunicava l’intento di uccidersi in modo esplicito e metà delle persone incluse in queste autopsie psicologiche non era mai stato in contatto con un operatore della salute mentale nel corso della loro vita. Circa il 90%, aveva, però, usufruito di assistenza medica nell’anno precedente la morte, ma non di assistenza fornita da uno psichiatra. La parola suicidio ha un’origine relativamente recente: non compare né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento. I romani non possedevano tale termine ma usavano espressioni come “procurarsi la morte” (sibi mortem conosciere) o “usare violenza contro se stessi” (vim sibi inferre). La parola suicidio sembra essere apparsa per la prima volta nel 1662, quando Philips la riportò nel suo New World of Words, anche se l’Oxford English Dictionary afferma che la parola suicidio fu introdotta per la prima volta nel 1651, derivata dalla parola latina suicidium, che a sua volta derivava dal pronome latino “se” e il verbo “uccidere” 29. Lo studio scientifico del suicidio è cosa dei nostri giorni e si è affermato nel passato recente, grazie alla creazione di una nuova branca della scienza, ossia la suicidologia. La sua nascita può essere fatta risalire agli sforzi pionieristici di Shneidman, considerato, dunque, padre di tale disciplina. 104 MINERVA PSICHIATRICA Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A ca soluzione per porre fine a quell’immenso dolore psicologico. Shneidman 32, inoltre, considera che le fonti principali di dolore psicologico (vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione) hanno origine nei bisogni psicologici frustrati e negati. Nell’individuo suicida, è la frustrazione di questi bisogni e il dolore che da essa deriva, a essere considerata una condizione insopportabile, per la quale il suicidio è visto come il rimedio più adeguato. Ci sono bisogni psicologici con i quali l’individuo vive e che definiscono la sua personalità e bisogni psicologici che quando sono frustrati inducono l’individuo a scegliere di morire. Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali; questi bisogni psicologici includono il bisogno di raggiungere qualche obiettivo, come affiliarsi a un amico o a un gruppo di persone, autonomia, opporsi a qualcosa, imporsi, bisogno di essere accettati e compresi e conforto. Shneidman 35 ha proposto la seguente definizione del suicidio: “Attualmente nel mondo occidentale, il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione”. Shneidman 36 ha, inoltre, suggerito che il suicidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte, ma come un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile, in breve psychache. Se, dunque, si riesce a ridurre, a intaccare e a rendere più accettabile il dolore psicologico quel soggetto sceglierà di vivere. Nella concettualizzazione di Shneidman 36, il suicidio è il risultato di un dialogo interiore: la mente passa in rassegna tutte le opzioni. Emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; alla fine la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica e l’identifica come l’unica risposta, l’unica opzione disponibile. L’individuo sperimenta uno stato di costrizione psicologica, una visione tunnel, un restringimento delle opzioni normalmente di- Vol. 48, N. 1 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T L’inizio risale a una giornata del 1949, quando Shneidman lavorava come psicologo clinico presso il Veteran Administration Hospital di Los Angeles. In quel particolare giorno, fu chiamato dal direttore dell’Ospedale dove lavorava, affinché scrivesse due lettere di condoglianze per le mogli di due uomini che si erano suicidati durante il corso del ricovero in ospedale. Shneidman si recò nell’ufficio del magistrato dove erano stati aperti i fascicoli inerenti le morti dei due uomini. Nell’aprire la documentazione, egli notò che uno dei due fascicoli conteneva una nota di suicidio, un biglietto lasciato dal defunto prima di morire, mentre l’altro non lo conteneva. Gli tornò in mente il metodo della differenza di Mill e, dunque, la possibilità di studiare quel materiale scientificamente. In quei minuti, la storia della psicologia cambiò per sempre. Infatti, resosi conto di essere circondato di fascicoli di casi di suicidio avvenuti nei 50 anni precedenti, Shneidman decise di confrontare in cieco le note che trovava in quell’archivio con note simulate scritte da persone non suicide. Il lavoro, che elaborò con l’aiuto di Farberow, fu il primo tentativo di studiare il suicidio con un metodo scientifico 30, 31. Nel corso di una vita trascorsa a studiare il suicidio, Shneidman ha concluso che l‘ingrediente base del suicidio è il dolore mentale 32: egli chiama questo dolore insopportabile psychache, che significa “tormento nella psiche”. Shneidman suggerisce che le domande chiave, che possono essere rivolte a una persona che vuol commettere il suicidio, sono “Dove senti dolore?” e “Come posso aiutarti?”. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine a un insopportabile dolore mentale, allora il compito principale di colui che deve occuparsi di tale individuo è quello di alleviare questo dolore 33, 34. Se, infatti, si ha successo in questo compito, quell’individuo che voleva morire sceglierà di vivere. Il suicidio non emerge mai dal piacere, piuttosto è sempre legato a dispiaceri, vergogna, umiliazione, paura, terrore, sconfitte e ansia: sono questi gli elementi del dolore mentale che conducono a uno “stato perturbato”. L’individuo ha, dunque, necessità di porre fine a un dolore psicologico divenuto insopportabile; il suicidio è la migliore e uni- POMPILI 105 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A giori chiarimenti si otterrebbero se si valutasse la letalità dell’atto, potendo, quindi, discriminare tra atti a bassa e ad alta letalità. In questo modo, si eviterebbe di usare termini senza alcun senso, come “tentativo di suicidio dimostrativo”, “suicidio mancato”, “suicidio abortito”, ecc. Rischio di suicidio “in” e “out” nei pazienti ricoverati M I CO NE R PY V A RI M GH E D T sponibili. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento del range delle opzioni a due sole (veramente poche per un range): avere una soluzione specifica o totale (quasi magica) oppure la cessazione (suicidio). Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio per la morte, ma, in termini di cessazione del flusso delle idee, come la completa cessazione del proprio stato di coscienza e, dunque, risoluzione del dolore psicologico insopportabile. Quindi, in questi termini il suicidio si configura come la soluzione perfetta per le angosce insopportabili della vita. IC POMPILI Un grave problema della suicidologia è quello della nomenclatura, in quanto si assiste all’utilizzo di linguaggi diversi tra gli operatori della salute, con l’inevitabile incomprensione che ne deriva. Elenchiamo, qui di seguito, alcune definizioni utili alla comprensione del suicidio: 1) autolesionismo deliberato: atti volontari auto-inflitti, dolorosi, distruttivi o lesivi senza l’intenzione di morire; 2) ideazione suicidaria: pensieri riferiti alla messa in pratica di azioni atte a produrre la propria morte; l’ideazione suicidaria può avere gravità diverse a seconda della specificità di piani di suicidio e dal grado dell’intento suicidarlo; 3) minaccia di suicidio: verbalizzazione dell’intento di mettere in pratica un atto di suicidio oppure l’aver iniziato un gesto che se portato a termine può portare al suicidio; 4) gesto suicidario: minaccia di suicidio accompagnata da un gesto suicidario (che il paziente ritiene) di ridotta letalità. Il termine parasuicidio denota un comportamento che manca della vera intenzione a uccidersi, ma che comunica in una certa misura l’intento suicidario; 5) tentativo di suicidio: secondo la suicidologia classica, questo termine dovrebbe essere usato per coloro che volendo commettere il suicidio non vi riescono per cause indipendenti dalla loro volontà. Si tratta del termine più usato nel modo sbagliato. La difficoltà risiede nel fatto che, in realtà, l’individuo può tentare di tentare, tentare di commettere, tentare di non essere letale. In altre parole, mag- 106 MINERVA PSICHIATRICA ® Il problema della nomenclatura Pompili et al. 37 hanno recentemente studiato il rischio di suicidio nei pazienti schizofrenici ricoverati o che erano stati sottoposti a ripetuti ricoveri. Da questo studio di review, è emerso che il tasso di suicidio in pazienti seguiti dopo il primo ricovero, per un periodo variabile da 1 a 26 anni, era pari al 6,8%, mentre la percentuale di suicidio tra i pazienti ricoverati per le diverse patologie psichiatriche era pari al 16,4%. In termini assoluti, i pazienti schizofrenici rappresentano il gruppo più numeroso negli studi dedicati ai soggetti ricoverati in ambiente psichiatrico negli studi della letteratura internazionale. Inoltre, è emerso che molti pazienti schizofrenici, che hanno commesso il suicidio, erano stati visitati nel periodo immediatamente precedente all’atto da un medico, che non ha rilevato il rischio imminente. Non deve, inoltre, essere sottovalutato il fatto che la pianificazione delle dimissioni in pazienti ricoverati, soprattutto se per lungo termine, è un fattore di grande importanza per suicidio. I pazienti ospedalizzati presentano, spesso, storie di autolesionismo, pensieri suicidari precedenti e concomitanti all’ospedalizzazione, tentativi di suicidio in ospedale e idee suicidarie fluttuanti, a cui si associano ricoveri lunghi e alte dosi di antidepressivi e neurolettici. Molti suicidi avvengono durante permessi dall’ospedale e i mezzi con i quali questi pazienti raggiungono il loro scopo sono spesso violenti (saltare contro treni o autovetture, precipitazione da edifici, impiccagione) 37. Circa la metà dei suicidi dei pazienti schizofrenici avviene durante l’ospedalizzazione; inoltre, la percentuale di tentativi di suicidio nelle prime fasi del ricovero è allarmante 38. Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A approccio che propone ricoveri più brevi, ma più frequenti, potrebbe avere in realtà conseguenze negative, aumentando il rischio di suicidio 47. Secondo Stephens et al. 48, un’alta percentuale di questi decessi può essere anche ricondotta a un inefficace rapporto medico-paziente, reso difficile dal solo utilizzo della terapia farmacologica, che impedirebbe l’instaurarsi di una relazione terapeutica nella quale può essere possibile il riconoscimento di quei soggetti esposti a maggior rischio. Secondo gli stessi Autori, in questo modo verrebbe spiegato l’aumento del tasso di suicidio fra gli schizofrenici nella seconda metà del secolo scorso. Roy et al. 49, nel riconoscere il rischio di suicidio nei pazienti ricoverati, sottolineano che il programma di dimissione conduce alla dolorosa realizzazione da parte del paziente di essere in procinto di perdere il suo ambiente e il contatto con il personale della struttura; che la famiglia del paziente suicida è spesso impreparata ad accoglierlo e che, al momento della dimissione, il paziente, suicidandosi, realizza quello che per molte volte aveva solo tentato di fare. Secondo questo studio, si tratta di pazienti ospedalizzati per più di un anno. Un’opportuna valutazione del rischio dovrebbe, in ogni caso, essere accertata nei 6 mesi che seguono le dimissioni, essendo un periodo particolarmente delicato per l’equilibrio del paziente 46. Nello studio di Mortensen et al. 50, è risultato che i pazienti con meno di 30 anni al follow-up, dopo 5 anni dall’ospedalizzazione, continuavano a essere 50 volte più a rischio di suicidio, se comparati con pazienti di altre classi di età, in cui, nonostante il perdurare del rischio, questo si riduceva sensibilmente al follow-up dopo un anno. Lo studio di Saarinen et al. 51 ha evidenziato che esistono problematiche di diverso genere nello staff medico, che possono interferire con il riconoscimento del rischio di suicidio. Questi Autori hanno identificato, tra un gran numero di variabili, i seguenti elementi: mancanza delle abilità necessarie per trattare il comportamento autodistruttivo; perdita o mancanza di preoccupazione riguardo il comportamento suicidario; accettazione del suicidio del paziente come soluzione ai pro- Vol. 48, N. 1 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Nei pazienti ricoverati per schizofrenia, il suicidio è, spesso, imprevedibile, in quanto il paziente fornisce pochi segni del suo intento 39, 40. La previsione si presenta, dunque, estremamente difficile, soprattutto se si considera che i pazienti che commettono il suicidio spesso erano quelli giudicati in via di miglioramento e solo raramente avevano presentato un comportamento suicida evidente 41-43. Il legame tra suicidio e apparente miglioramento ha condotto a ricercare diverse spiegazioni 41, 44: 1) l’ambivalenza circa il suicidio può essere espressa come apparente miglioramento; 2) i pazienti possono fingere il miglioramento ingannando lo staff medico; 3) l’apparente miglioramento può verificarsi dopo che il paziente ha deciso di suicidarsi e, quindi, vede risolversi il suo conflitto 41, 43; 4) l’essere ricoverato può rappresentare una situazione protetta, che permette al paziente quel miglioramento fallace che scompare non appena questi sia nuovamente esposto agli eventi stressanti della comunità; 5) il miglioramento può rappresentare maggiori energie da impiegare nella realizzazione del suicidio 45. Un’ulteriore spiegazione si ottiene con la considerazione dell’“alienazione maligna terminale”, a cui vanno incontro alcuni pazienti 41, 43. Quei pazienti che presentano molte ricadute e sono resistenti al trattamento possono essere considerati dallo staff medico come manipolativi, provocatori, irragionevoli, eccessivamente dipendenti e falsamente disabili 39, 41, 43, 45, inducendo lo staff medico a prestare loro minore attenzione e solidarietà. La combinazione dell’alienazione e delle idee fluttuanti di tipo suicidario può portare a un mancato riconoscimento della serietà del rischio a cui questi pazienti sono esposti 45. È stato evidenziato 46, inoltre, che il rischio di suicidio è estremamente alto nei primi 5 giorni dopo le dimissioni e che, anche nei 28 giorni che seguono l’allontanamento dall’ospedale, il rischio continua a essere quello valutato nella prima fase di ammissione. Inoltre, anche l’ammissione per qualsiasi patologia organica aumenta il rischio nei periodi successivi. L’anno che precede il suicidio può essere valutato in numero di ricoveri e secondo la durata degli stessi. Il moderno POMPILI 107 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A dell’individuo suicida, possiamo almeno spiegarlo e, dunque, cercare di avvicinarci con un intervento utile a quel tormento nella psiche umana. In questo contesto, è utile far ricorso alla fenomenologia di Jaspers 54, 55, con la definizione di comprendere e di spiegare secondo questo Autore. Dando vita alla psicologia comprensiva, fondata sulla distinzione tra comprendere e spiegare, Jaspers afferma: “A evitare ambiguità e fraintendimenti impiegheremo sempre l’espressione ‘comprendere’ per la visione interiore di qualcosa dal di dentro, mentre non chiameremo mai comprendere, ma ‘spiegare’ la conoscenza dei nessi causali obiettivi che vengono sempre visti dal di fuori. Comprendere e spiegare hanno dunque sempre un significato preciso”. In altre parole, vi sono processi che possiamo comprendere in quanto vicini alla nostra esperienza interiore, mentre ve ne sono altri totalmente estranei alla nostra possibilità di comprenderli, in quanto non decifrabili sulla base delle esperienze interiori. In questa trattazione, è possibile, dunque, spiegare qualcosa senza affatto comprenderlo. Questo modello si adatta bene alla mente suicida, in quanto non sempre siamo in grado di comprenderla appieno, a causa del venir meno della nostra esperienza interiore, con riferimento alla suicidalità grave; tuttavia, possiamo, però, spiegarla. Questo diviene di grande aiuto, perché non si parla più di suicidio e di un certo disturbo psichiatrico, ma di ciò che caratterizza la mente di un individuo, la sua sofferenza, il suo dramma, indipendentemente da una diagnosi secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM). La psicopatologia comprensiva di Jaspers può essere riassunta nella “Descrizione quanto più acuta possibile delle esperienze soggettive del malato e nella loro classificazione dopo che l’investigatore se le sia rappresentate”. Dunque, ci può rendere conto della sofferenza dell’individuo suicida grazie al fatto che i fenomeni in oggetto sono stati frutto di esperienze personali. Il limite di questa comprensione sta nel fatto che non sempre possiamo contare sull’esperienza, sul poter comprendere “dal di dentro”, ma dobbiamo ricorrere alla spiegazione causale tipica delle scienze della natu- Comprendere e spiegare la mente suicida Amery 53 nel suo Discourse on volontary death afferma che l’atto suicidario è fuori dalle competenze della psicologia, in quanto il suicidio esula dalla logica della vita e, dunque, da quella della psicologia. Colui che sta per suicidarsi condivide sia la logica della vita che quella della morte; coloro che si suicidano fanno qualcosa di illogico, per noi incomprensibile. Coloro che sopravvivono parlano con la logica della vita e, dunque, sono comprensibili e soddisfano la psicologia, permettendoci di elaborare quelle idee e teorie sul suicidio che si ritrovano nei testi specialistici; il suicidio sarebbe, invece, qualcosa di diverso e lontano dalla nostra logica che, dunque, distingue coloro che sopravvivono da coloro che invece muoiono. Eppure quanto esposto in riferimento alla teoria di Shneidman, ci porta a considerare che, sebbene non possiamo comprendere appieno il dolore psicologico insopportabile 108 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T blemi; desiderio di vedere il paziente commettere il suicidio come soluzione alle sue problematiche; problematiche personali del personale medico; ottimismo infondato per il trattamento; paura del paziente; sadismo nei confronti del paziente; negazione dei problemi psichiatrici del paziente; negazione del rischio di suicidio del paziente; repressione della consapevolezza del rischio di suicidio del paziente. In questa trattazione, Pompili et al. 52 hanno eseguito uno studio che includeva 120 infermieri appartenenti all’area della medicina d’urgenza, della medicina interna e della psichiatria. Somministrando il Maslach Burnout Inventory, il Gleser and Ihilevich’s Defense Mechanisms Inventory e la Beck Hopelessness Scale, gli Autori hanno rilevato che il burn-out e specifici elementi comportamentali e psicodinamici (proiezione, aggressione rivolta verso se stessi, esaurimento emotivo, emotional exhaustion) possono non solo esporre gli operatori sanitari a un maggior rischio di suicidio, ma, verosimilmente, impedire un’efficace azione preventiva nei pazienti a rischio. IC POMPILI Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A vamente di 20, 15, 12 e 16 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Una migliore valutazione dei dati citati si ottiene considerando che la prevalenza lifetime del disturbo bipolare I è dell’1%, mentre la prevalenza totale del disturbo bipolare, come viene descritto dal DSM-IV, è stimabile intorno al 5%, comprendendo, dunque, il disturbo bipolare II e la ciclotimia 60. Il suicidio è la principale causa di morte dei pazienti affetti da disturbo bipolare 20, 60, 61. I tassi di suicidio e tentativo di suicidio, nella popolazione generale, sono molto diversi per nazione e continente. Recenti stime internazionali per il suicidio suggeriscono una media di 0,014±0,007%/anno (14/100 000) nella popolazione generale dei Paesi industrializzati 61. I tassi di suicidio nei pazienti con diagnosi di disturbo bipolare (soprattutto tipo I) o con forme gravi di depressione ricorrente sono almeno 20 volte superiori ai tassi di suicidio nella popolazione generale e, sostanzialmente, più alti che negli altri disturbi psichiatrici, nell’abuso di sostanze e nelle patologie mediche. Nel disturbo bipolare, il rischio è in media 390/100 000/anno (0,39%/anno), 28 volte superiore alla popolazione generale. Il suicidio è, nel 1520% dei casi, la causa di morte tra i pazienti con disturbo bipolare 19, 57, 61. Una caratteristica del comportamento suicidario nei pazienti con disturbo bipolare e depressione maggiore è la relativa bassa proporzione tra suicidio e tentato suicidio. Nella popolazione generale, questo rapporto è tra 10:1 e 20:1 o persino più alto. Nei pazienti con disturbo bipolare, questo rapporto è estremamente più basso, dimostrando quanto possa essere elevata la letalità dei tentativi di suicidio, presumibilmente sia a causa dell’intento che dei metodi 19. Il rischio di suicidio è particolarmente alto nelle fasi precoci del disturbo bipolare, comprendendo il primo anno di malattia 19, 62, mentre la diagnosi e la definizione di un piano terapeutico a lungo termine è tipicamente ritardato dai 5 ai 10 anni, rispetto all’insorgenza della terapia. Questo ritardo sottolinea il bisogno di una più precoce diagnosi e terapia, soprattutto nel periodo giovanile 63. A differenza della popolazione generale, in Disturbi dell’umore I pazienti con disturbi dell’umore hanno una mortalità che è in media da 2 a 3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale 57, 58. Il suicidio e le patologie cardiovascolari sono spesso responsabili di queste morti. Il suicidio riguarda, spesso, i disturbi psichiatrici 59. La meta-analisi di Harris et al. 16 è particolarmente informativa sul rischio di suicidio in pazienti affetti da tali disturbi. Questo lavoro stima che nei pazienti affetti da depressione maggiore, disturbo bipolare, distimia e disturbi dell’umore con diagnosi incerta o mista il rischio di suicidio è rispetti- Vol. 48, N. 1 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T ra. Jaspers, di fatto, prende le distanze dalla clinica, che rivela le condizioni che sono alla base del suicidio, ma non da ciò che vi è di incondizionato in questo gesto; egli afferma che “L’azione suicida non la si può conoscere nella sua incodizionatezza, ma solo nelle condizioni e nei motivi che la determinano. Per quel tanto che può essere un’azione libera dell’esistenza, nella situazione-limite, essa è aperta all’esistenza possibile, al suo problema, al suo amore, al suo sgomento. Come tale, è oggetto di una valutazione etico-religiosa, sia che venga condannata, permessa o addirittura incoraggiata. L’origine incondizionata del suicidio rimane un segreto incomunicabile del singolo”. Si ha motivo di ritenere che, spesso, si comprenda veramente poco l’individuo suicida e che si ricorra troppo precocemente e frettolosamente allo spiegare. Ci si rifugia in etichette diagnostiche e si sottolinea che il soggetto depresso o schizofrenico è più o meno grave se esiste o meno il rischio di suicidio. Questo equivale a prendere le distanze dall’individuo suicidario. È calzante, in quest’ambito, il riferimento di Maltsberger 56 che afferma che la letteratura sul suicidio è così vasta che impadronirsene interamente metterebbe a serio rischio la schiena, oltre che la mente, e che intere foreste vengono distrutte per stampare gli articoli sul suicidio. Dunque, vogliamo sottolineare che molta più attenzione andrebbe concentrata sul comprendere il suicidio, piuttosto che sullo spiegarlo. POMPILI 109 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A Suicidio nella schizofrenia Nella seconda metà degli anni ’70, Miles 68, revisionando vari studi, stimò che il 10% dei soggetti affetti da schizofrenia muore a causa del suicidio. La letteratura riporta che una percentuale variabile dal 4,9% al 13% dei pazienti affetti da schizofrenia muore a causa del suicidio, ma con molta probabilità la percentuale maggiore del range è quella più rappresentativa del fenomeno 69. C’è quasi totale accordo sul fatto che il soggetto che con più probabilità muore a causa di un gesto suicidario è di giovane età, maschio, bianco, non sposato, con buon adattamento premorboso, con depressione postpsicotica e con abuso di sostanze e storia di tentativi di suicidio 69, 70. L’hopelessness, l’isolamento sociale e i ricoveri ospedalieri sono, inoltre, importanti fattori di rischio 37. Il deterioramento della salute, in soggetti con rendimento elevato prima dell’esordio della patologia, perdite o rifiuti recenti, limitato supporto sociale così come conflitti familiari, sono altri fattori di rischio rilevabili nei pazienti schizofrenici a rischio di suicidio. I pazienti che temono un ulteriore deterioramento mentale e dipendenza o perdita di fiducia nella terapia sono anch’essi a rischio. La consapevolezza di malattia è stata descritta come un problema di rilievo nel poter aumentare il rischio di suicidio 71. Enfasi particolare dovrebbe essere posta sui possibili fattori protettivi, come la compliance, l’uso di antipsicotici atipici e l’assistenza sociale. La conoscenza delle dinamiche dell’atto suicidario è, poi, importante per conoscere i luoghi e i momenti più a rischio 69. 110 ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T cui i tassi di suicidio sono maggiori nel sesso maschile, nel disturbo bipolare non si apprezzano differenze significative tra il sesso maschile e quello femminile 16, 19. Altri fattori di rischio per il suicidio in generale e per il suicidio nel disturbo bipolare sono: etnia caucasica, non essere sposato, precedenti tentativi di suicidio, depressione o stati misti disforici, precedenti episodi depressivi gravi, hopelessness e abuso di alcol e droghe illecite 17, 19, 64. Fattori stressanti, che sono, inoltre, potenzialmente importanti nel contribuire al rischio di suicidio, sono: perdita di persone care, divorzio, separazioni e altre perdite significative, scandali o l’andare in prigione, isolamento sociale e, probabilmente, l’accesso limitato al supporto e all’assistenza clinica 17, 19, 57. Sono determinanti importanti del rischio di suicidio nel disturbo bipolare gli stati affettivi, soprattutto gli stati depressivi e disforico-irritabili, che si riferiscono ad almeno 3/4 dei suicidi. Mentre il suicidio risulta meno frequente nella mania e raro nell’ipomania 19, 57, 64-66. Il rischio di suicidio può aumentare con il peggioramento della patologia, sebbene questo non sia ben accertato come invece nel caso della depressione. È, inoltre, degno di nota il fatto che i bipolari di tipo II (BP-II) non sono considerati una forma meno grave della patologia. La fase depressiva del BP-II può essere grave e invalidante e il rischio di suicidio è paragonabile a quello dei bipolari di tipo I (BP-I) 67. In generale, l’interpretazione dei fattori di rischio per il suicidio è limitata dalla mancata conoscenza della proporzione di potenziali suicidi, la cui morte è stata prevenuta con una terapia adeguata e programmi di intervento e, dunque, non annoverati tra coloro che sono morti per suicidio. Lo screening dei pazienti a rischio di suicidio, tramite l’identificazione dei fattori di rischio, può essere utile, ma il valore nel predire un rischio specifico e puntuale è, comunque, limitato 17. Questa previsione è resa particolarmente ardua nei pazienti con disturbo bipolare, data dal fatto che si verificano rapidi cambiamenti dell’umore, reattività a perdita e altri stressor, impulsività ed effetti disinibenti da abuso di alcol e sedativi. IC POMPILI Disturbi di personalità I disturbi di personalità (DP) rappresentano un fattore di rischio di grande rilevanza per il comportamento suicidario 72, 73, permettendo di predire il suicidio al follow-up 74-76. In indagini retrospettive con studi postmortem, i DP sono stati rintracciati nel 57% delle vittime del suicidio, soprattutto tra le vittime di giovane età, e, in particolar modo, quando viene impiegato l’accertamento multiassiale 73, 77. MINERVA PSICHIATRICA Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A emerge dai dati della letteratura, coloro che hanno effettuato un tentativo di suicidio sono più a rischio di completare l’atto suicidario rispetto ai non-repeater. Tra i bulimici, i soggetti afferenti al gruppo con pratiche di compenso purgative sembrano mostrare una preoccupazione maggiore circa il suicidio e, inoltre, manifestano un numero maggiore di tentativi di suicidio e altri comportamenti autolesivi, rispetto ai bulimici non purgativi. Per una trattazione esaustiva del suicidio nei disturbi del comportamento alimentare, si rimanda a pubblicazioni recenti 87-90. M I CO NE R PY V A RI M GH E D T Almeno 1/3 (31-62%) delle persone che hanno commesso il suicidio 73, 78-82, fino al 77% dei tentatori di suicidio, ha sofferto di un disturbo di personalità. I tentatori di suicidio con disturbi di personalità hanno il livello più alto di ripetitività. La comorbidità con un altro disturbo psichiatrico contribuisce alla suicidalità e può notevolmente elevare il rischio di suicidio. Il suicidio è soprattutto rappresentato nei disturbi di personalità del cluster B del DSM IV 83. McGlashan 84 e Stone et al.85, in due studi di follow-up di lunga durata, di pazienti borderline in contesti residenziali, hanno accertato che il 3% e il 9%, rispettivamente, dei pazienti borderline commettono il suicidio. Queste percentuali sono inferiori a quelle riportate per la schizofrenia e per i disturbi dell’umore. Il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte tra questi pazienti 86. POMPILI Disturbi del comportamento alimentare Il suicidio è considerato la principale causa di morte nell’anoressia nervosa. Esistono differenze sostanziali nell’ambito dei sottogruppi di pazienti anoressici. Le percentuali di suicidio oscillano tra l’1,8% e il 7,3%. I pazienti che ricorrono ad abbuffate e pratiche di compenso di tipo purgativo hanno generalmente problemi di controllo degli impulsi, associati al disturbo del comportamento alimentare. Tra essi, si riscontra, frequentemente, abuso di alcol e droghe. Inoltre, si è rilevata una maggiore labilità dell’umore rispetto ai pazienti anoressici restrittivi. Nella letteratura, gli anoressici con pratiche purgative sono descritti come coloro che hanno una maggiore incidenza di disturbi affettivi e prognosi peggiore, rispetto al gruppo che non manifesta questo comportamento purgativo. Il suicidio è una delle principali cause di morte nella bulimia nervosa. Tra questi pazienti, si riscontra un’elevata frequenza di tentativi di suicidio e coloro che hanno tentato il suicidio hanno anche all’attivo più di un tentativo di suicidio e secondo quanto Vol. 48, N. 1 ® Prevenzione farmacologica del suicidio Attualmente due soli farmaci, il litio e la clozapina, hanno mostrato effetti certi sulla riduzione del rischio di suicidio. I farmaci antidepressivi, oggetto di numerose analisi, sembrano non condurre a prove univoche e solide circa la loro azione antisuicidaria. Antidepressivi I farmaci antidepressivi sono, senza dubbio, un valido ausilio nella prevenzione del suicidio e le evidenze cliniche dimostrano i loro vantaggi nei pazienti a rischio. Tuttavia, la più recente e completa meta-analisi, relativa all’impatto dei farmaci antidepressivi sul comportamento suicidario, ha mostrato che tali molecole, pur non meritando la pubblicità negativa alla quale da qualche anno si assiste, hanno una modesta azione antisuicidaria rispetto ad altre molecole, come il litio e la clozapina 91. Recenti dati, risultati da una vasta meta-analisi comprensiva di tutti gli studi che riportavano atti suicidari, nei quali era presente il confronto di un farmaco antidepressivo con il placebo, indicano una riduzione del rischio di suicidio non significativa 91. Infatti, il rischio relativo (RR) era pari solo all’1,06 (0,74-1,52), dimostrando che l’azione di tali farmaci nella riduzione del rischio di suicidio non è convincente e che, comunque, non vi è un aumento del rischio durante la terapia. Anche nel caso della terapia con inibitori selettivi del re-uptake della serotonina, reputati di grande aiuto nella ri- MINERVA PSICHIATRICA 111 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A to e randomizzato) e dalla diagnosi (solo disturbo bipolare o i vari disturbi depressivi maggiori). Un’osservazione potenzialmente importante fa riferimento alla forte associazione della terapia con litio con l’indice di “letalità” degli atti suicidari. Nella popolazione generale, la proporzione dei tentativi di suicidio vs i suicidi (20-30:1) è circa 4 volte maggiore rispetto a pazienti con disturbi dell’umore, nei quali il rapporto tentativi di suicidio/suicidi è solo 5:1, suggerendo com’è più alta la letalità degli atti suicidari associati ai disturbi dell’umore. Nei dati disponibili, il tasso di tentativi di suicidio/suicidi era più del doppio nei pazienti trattati con litio 6, 94 rispetto ai pazienti non trattati con litio 2, 79, considerando, quindi, che la riduzione della letalità può essere attribuita alla terapia con litio. I risultati di questo studio comprovano il potente effetto antisuicidio del litio, che emerge anche dal confronto con altre terapie stabilizzanti dell’umore, includendo anche alcuni antiepilettici (ad esempio, la lamotrigina). Nel vasto studio epidemiologico condotto da Goodwin et al. 95, che comprendeva oltre 50 000 pazienti, il rischio di atti suicidari (tentativi di suicidio e suicidi) durante terapia con litio era pari a 0,78% (%/anno) contro 2,12% durante terapia con anticonvulsivanti, soprattutto acido valproico e, in misura minore, carbamazepina. I principi della proprietà antisuicidaria del litio non sono noti. Il rischio di comportamento suicidario, nei pazienti con disturbo dell’umore e altre forme di disturbi affettivi, è fortemente presente nelle fasi depressivodisforiche della malattia e, invece, raro nella mania/ipomania; il litio diminuisce le recidive della malattia depressiva sia nel disturbo bipolare I che nel disturbo bipolare II e, probabilmente, anche nelle depressioni. È stato osservato che il litio possiede proprietà antisuicidarie, sia nei responder che nei nonresponder, proprietà che sembrano essere indipendenti delle proprietà di stabilizzatore dell’umore 96. Ulteriori fattori possono essere coinvolti, tra cui gli effetti terapeutici della terapia con litio sulle tendenze impulsive e aggressive comunemente riscontrate in pazienti bipolari e altri pazienti con disturbi af- Litio Le evidenze meta-analitiche più recenti indicano che il litio è la sostanza più efficace nella riduzione del rischio di suicidio nei pazienti affetti da disturbo bipolare o da altro disturbo dell’umore 94. Pazienti affetti da disturbo dell’umore e con condizioni cliniche di base favorevoli dovrebbero essere sottoposti a questa terapia. Dall’osservazione di tutti i 45 studi sui tassi di suicidio e di tentativi di suicidio durante terapia con litio, i tassi grezzi di comportamenti suicidari durante terapia a lungo termine con litio sono risultati in media 0,436%/anno contro 2,63%/anno senza terapia con litio, inducendo come dato conclusivo un rischio di suicidio 6 volte inferiore durante terapia con litio. Nella meta-analisi quantitativa, basata su 31 studi con informazioni su atti suicidari con e senza terapia con litio e con rischio-non-zero in almeno un gruppo di soggetti in trattamento, il tasso complessivo di atti suicidari (suicidi e tentativi di suicidio) è quasi 5 volte inferiore (RR=4,91; 95%CI: 3,82-6,31) durante terapia con litio, ovvero una riduzione di circa l’80% del rischio di suicidio. Risultati molto simili sono stati ottenuti sia con i tentativi che con i suicidi considerati separatamente. Inoltre, questi risultati sono indipendenti dal tipo di studio (in aperto e naturalistici vs controlla- 112 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T duzione del rischio di suicidio, è stata osservata una modesta e poco convincente azione riduttiva degli atti suicidari (il rischio relativo è, infatti, pari a 1,27) 91. Esistono casi in cui l’uso di tali farmaci deve essere limitato o addirittura evitato tassativamente: pazienti a rischio di viraggio in mania e che presentano uno stato misto o disforico. La comparsa di alcuni segni e sintomi (come insonnia, disforia, agitazione, ansia, acatisia) dovrebbe guidare l’uso o la sospensione del farmaco antidepressivo 92, 93. Grande attenzione è stata posta sul rischio di avvelenamento con antidepressivi di nuova e vecchia generazione, sottolineando come questi ultimi permettano un miglior intervento nel caso di ingestione di quantità tossiche e, dunque, una diminuzione di suicidi. IC POMPILI Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A dere in questa trappola per evitare che il paziente possa veramente uccidersi 104. In realtà, questa è una modalità del paziente per mettere alla prova il proprio terapeuta, testando se si tratta di una figura capace di sostenere il ricatto. Un terapeuta fu costretto a chiamare un paziente ogni mattina per un anno, sotto la minaccia di suicidio se non fosse stato contattato puntualmente. Alla fine, quel paziente si suicidò nonostante le chiamate puntuali, lasciando il terapeuta in crisi per la perdita. Se si fosse puntato di più nel confrontarsi con il paziente o a comprendere, piuttosto che a gratificarlo, probabilmente la terapia avrebbe avuto maggiore successo 105. I pazienti descrivono chiaramente come la morte si personifichi intrapsichicamente, assumendo la funzione di guaritore che consente di eliminare il dolore e la sofferenza apportando sollievo. Il terapeuta deve rimuovere questa relazione, che potrebbe essere l’unica in cui il paziente crede 104. Ad esempio, il suicidio si verifica più frequentemente quando terapeuta e paziente si sono allontanati temporaneamente per le vacanze 106, allontanamento visto dal paziente come rottura 107. Il comportamento autodistruttivo può essere un tentativo di sfuggire alla crescente tensione, in grado di generare disorientamento e frammentazione 108. Sebbene i segni della patologia possano persistere, la psicoterapia psicoanalitica si propone di creare strutture di sostegno, promuovendo la crescita di conflitti intrapsichici e apportando una risoluzione nella sfera del simbolismo e del pensiero piuttosto che nell’azione (suicidio) 109. La reazione del terapeuta alle emozioni comunicate dal paziente a rischio di suicidio può essere quella di: a) avvertire il proposito suicida come minaccia alle proprie capacità terapeutiche e alla propria immagine; b) una sorta di arresto, di vuoto mentale di fronte all’angoscia evocata dal paziente, vissuta come un rischio per il proprio sé; c) una forte aggressività verso il paziente, in risposta sia alla distruttività implicita nel proposito autolesivo che alla quota di aggressività che gli viene rivolta. Alcuni problemi sono stati riscontrati in psicoterapia con pazienti a rischio di suicidio: Clozapina Anche nella terapia con clozapina, approvata dalla Food and Drug Administration come farmaco in grado di ridurre la suicidalità dei pazienti schizofrenici, è stata riscontrata una riduzione del rischio di suicidio inferiore a quella prodotta dal litio nei disturbi dell’umore. Risultati della meta-analisi sulla riduzione del rischio di suicidio durante terapia con clozapina sono riportati da Hennen et al. 97 (il RR è pari a 3,3). Ampie evidenze e limiti della prevenzione del suicidio con questo farmaco sono reperibili in vari lavori 98-102. Psicoterapia Riassumere la complessità della psicoterapia e il rischio di suicidio esula lo scopo di questo lavoro e, pertanto, ci limiteremo a fornire alcuni spunti per ulteriori approfondimenti. Per il rischio reale di suicidio, il paziente suicidario rappresenta una sfida per il terapeuta, che deve confrontarsi con i fantasmi della morte e con le proprie capacità di saper evitare il peggio; il terapeuta rischia, infatti, di perdere il paziente e questo è l’ostacolo principale nella relazione terapeutica. Il terapeuta eccessivamente preoccupato che il proprio paziente possa suicidarsi non è in grado di essere d’aiuto: il riconoscere onestamente questa condizione rappresenta un elemento di primo ordine nella protezione del soggetto a rischio 103. Spesso, il paziente può presentarsi con veri e propri ricatti come “Fai questo o mi suicido” e il terapeuta rischia di ca- Vol. 48, N. 1 MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T fettivi, come gli effetti non specifici derivanti dal costante monitoraggio clinico per la sicurezza nelle terapie con litio a lungo termine 94. L’impulsività e l’aggressività possono essere cause particolarmente importanti, sia per il rischio che per la tempestività del gesto suicida, e possono essere fattori comprovanti l’efficacia del litio nella riduzione del rischio di suicidio vs la mancanza di prove sull’efficacia della terapia con antidepressivi, sia nelle depressioni unipolari che nelle depressioni bipolari. POMPILI 113 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A ponenti erotiche del paziente può portare a una conseguente ferita all’autostima del paziente; l’alleanza del terapeuta con un partner o un membro della famiglia del paziente può rivolgersi contro le aspettative di alleanza terapeutica con il paziente. Per anni, la psicoanalisi si è basata sulla facilitazione dell’insight per ottenere miglioramenti clinici utilizzando l’interpretazione e la chiarificazione, soprattutto del transfert. Più recentemente, si sono aggiunti aspetti utili nella terapia dei pazienti suicidari, quali quello empatico, quello attivo, quello supportivo, l’offerta di chiarificazione, l’offerta di interpretazione, l’offerta di validazione, l’offerta di educazione, l’enfasi sugli affetti, la mentalizzazione di esperienze soggettive, il confronto con il comportamento auto-sconfitta, l’enfasi su relazioni reali e l’abreazione 112. Un approccio psicoterapeutico di rilievo per il rischio di suicidio nei pazienti con disturbo borderline di personalità è la dialectical behavior therapy 113, 114. Quest’approccio si basa su un trattamento manualizzato, che include strategie comportamentali e cognitive e psicoterapia di supporto. Il paziente viene educato al problem-solving, ricevendo, inoltre, supporto empatico ed esposizione a stimoli con impatto emotivo. Questa terapia induce una riduzione del rischio di suicidio, maggiore compliance alla terapia e riduzione del numero dei ricoveri, nonché riduzione dei giorni di degenza. 114 ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T a) mancanza di comunicazione tra i terapeuti; i pazienti si rivolgono ai più curanti, i quali non si aggiornano sullo stato del rischio di suicidio; b) il dare la possibilità al paziente o ai suoi familiari di controllare la terapia; c) l’evitamento di problematiche connesse alla sessualità; d) intraprendere azioni poco valide o coercitive derivanti dall’ansia del terapeuta, come ad esempio un ricovero non motivato; e) non riconoscere il significato delle comunicazioni del paziente; f) sintomi mal trattati o sotto trattati. Un errore grave in psicoterapia è un’errata valutazione del rischio di suicidio in un paziente. Un terapeuta particolarmente timoroso di perdere il paziente a causa del suicidio commette, suo malgrado, una serie di errori che inficiano il processo terapeutico. Il paziente può, inoltre, sommergere di richieste il terapeuta, il quale pur comprendendole empaticamente non riesce a soddisfarle. Litman 106 ha affermato che, in questa fase della terapia, paziente e terapeuta sono potenzialmente suicidi. Una relazione terapeutica stabile, con una stabile alleanza terapeutica tra terapeuta e paziente, è cruciale nella gestione dei pazienti a rischio di suicidio. Pazienti gravi possono suscitare profonde emozioni nel terapeuta. È, spesso, difficile tollerare l’aggressività, l’ostilità e la regressione di questi pazienti. Ansia e sentimenti negativi possono emergere nel terapeuta, che attua manovre difensive svincolandosi dalla consapevolezza di queste emozioni grazie alla repressione, il rivolgimento verso se stesso, la formazione reattiva, la proiezione e la distorsione della realtà e negando il potenziale suicidario del paziente 110. Durante la psicoterapia, si possono riconoscere alcune reazioni controtransferenziali, che possono aumentare il rischio di suicidio o addirittura indurlo 111. Tali reazioni possono avere un impatto notevole nel setting e influire sul rischio di suicidio: l’ansia può portare il terapeuta a ridurre il numero delle sedute e ad aumentare l’intervallo di tempo tra una seduta e l’altra; l’imposizione di compiti che superano le reali capacità del paziente può essere motivata dall’aggressività del terapeuta; il rifiuto categorico delle com- IC POMPILI Il problema dei sopravvissuti Il termine anglosassone survivor si riferisce a tutti coloro che hanno perso un caro a causa del suicidio. I sopravvissuti sono la più grande comunità di vittime con disturbi mentali connessi al suicidio (Shneidman, Ph.D., Fondatore dell’American Association of Suicidology). I dati divulgati dall’American Association of Suicidology riportano che ci sono circa 31 000 suicidi ogni anno negli Stati Uniti. Si stima che per ogni suicidio ci sono almeno 6 persone che vengono intaccate da questo evento e si tratta di un numero che sottostima il fenomeno. Ci sono dunque 5 milioni di americani che sono divenuti sopravvissuti negli ultimi 25 anni. MINERVA PSICHIATRICA Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO IC A portune a nostro avviso agli scopi di quest’articolo, anche se certamente meritevoli di studio. Questa è una review narrativa, che non presenta, dunque, dati meta-analitici. La selezione delle voci bibliografiche, sebbene sistematica, ha, comunque, risentito della scelta degli Autori e dei loro consulenti. Infatti, molti altri lavori rilevanti sono stati esclusi a causa della vastità del tema, ma, comunque, rimangono di riferimento per i diversi aspetti del fenomeno. Molto lavoro ci attende, anche ai fini della prevenzione del suicidio. Le stime pessimistiche della WHO non coincidono però con le acquisizioni fornite costantemente dalla ricerca. Forse, dalla grande mole di lavori sul suicidio deve emergere un più preciso riferimento teorico, atto a guidare i clinici e tutti coloro che si confrontano con il suicidio. Ci piace, a questo punto, citare Leonardo da Vinci: “Quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria”. Sembra, dunque, essere necessario un processo di sintesi e rielaborazione di quello che, fino ad oggi, abbiamo scoperto. La formazione del personale sanitario dovrebbe, poi, avere una priorità in questo contesto, al fine, in primo luogo, di evitare “etichette” diagnostiche che poco si adattano alla comprensione del disagio e del dolore psicologico del soggetto suicidario. Conoscere, in altri termini, sempre meglio i percorsi che portano al darsi volontariamente la morte 116 riteniamo ineludibile per il miglioramento delle nostre capacità preventive. Conclusioni Nonostante grandi sforzi nella prevenzione e nell’analisi del fenomeno suicidario, la nostra conoscenza appare ancora limitata. Eppure a un’attenta analisi, quello che fino ad oggi conosciamo può rappresentare la strada maestra per arrivare a una cospicua riduzione delle morti. Questo lavoro è un excursus che ha toccato solo alcuni aspetti del problema. La suicidologia, in effetti, analizza il fenomeno suicidario in tutte le sue sfaccettature, partendo dal metodo scientifico e fondandosi sulla prevenzione. Abbiamo escluso la considerazione di ulteriori tematiche, inop- Vol. 48, N. 1 ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T La perdita di una persona cara per suicidio è scioccante, dolorosa e inaspettata. Quest’esperienza è un processo individuale molto complesso, che si verifica in tempi diversi. Il dolore non segue sempre un percorso lineare e non necessariamente progredisce e si risolve. Non ci sono indicazioni su quando tale dolore si risolverà. Questi individui non si aspettano di tornare alla vita normale precedente l’evento, ma vogliono adattarsi a una vita senza la persona cara. L’American Psychiatric Association considera la perdita di una persona cara a causa del suicidio al pari di un’esperienza in un campo di concentramento. I sopravvissuti sperimentano sentimenti comuni a tutti coloro che affrontano un lutto, con in più una gamma unica di sentimenti che accompagnano il loro dolore. La colpa per non aver fatto abbastanza per prevenire il gesto è un rimprovero che spesso queste persone manifestano. La rabbia verso il defunto è spesso identificabile, a causa dell’aver subito le conseguenze di un gesto egoistico. Sentimenti di disconnessione accompagnano, poi, il dolore di questi individui; infatti, spesso, il poter rievocare ricordi lieti e pensare che, se avesse potuto, la persona scomparsa sarebbe stata ancora presente, non è un processo attuabile per i sopravvissuti del suicidio 115. Non deve, inoltre, sfuggire la stigmatizzazione che questi individui devono affrontare, motivo di ulteriore sofferenza causato dalla società 8. POMPILI Riassunto Il suicidio è un problema serio nell’ambito della salute pubblica e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) lo riconosce come fenomeno in espansione, per il quale è stato sollecitato un intervento in tutte le nazioni. Durante il decennio passato, c’è stato un allarmante aumento dei tassi di suicidio tra i giovani, anche se nell’età anziana questi rimangono alti. I fattori di rischio e quelli protettivi, nonché la loro interazione, formano la base empirica per la prevenzione del suicidio. I fattori MINERVA PSICHIATRICA 115 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO A 14. Tatarelli R. Pompili M, Lester D. Prevention of suicidal behaviors: a task for all. Clin Neuropsychiatry 2005;2:209-11. 15. Tatarelli R, Pompili M, Lester D. Comprendere ed aiutare l’individuo a rischio di suicidio. Un compito che riguarda tutti. Quad Ital Psichiatr 2006;25:5-7. 16. Harris EC, Barraclough B. Suicide as an outcome for mental disorders: a meta-analysis. Br J Psychiatry 1997;170:205-28. 17. Jacobs DG, editor. The Harvard Medical School guide to suicide assessment and intervention. San Francisco, CA: Jossey-Bass; 1998. 18. American Psychiatric Association. Practice guideline for the assessment and treatment of patients with suicidal behaviors. Am J Psychiatry 2003;160 Suppl:1-97. 19. Baldessarini RJ, Pompili M, Tondo L. Bipolar disorder. In: Simon RI, Hales RE, editors. American psychiatric textbook of suicide assessment and management. 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I disturbi mentali, i precedenti tentativi di suicidio, l’hopelessness e il dolore mentale associato all’accesso a mezzi letali sono elementi fondamentali nella determinazione di un suicidio. Sono state compilate liste di segnali d’allarme, al fine di identificare i soggetti a maggior rischio. Quest’articolo analizza alcune delle aree di maggiore interesse nella ricerca sul suicidio, includendo la valutazione e l’intervento, i fattori di rischio in varie patologie psichiatriche, le terapie che possono ridurre il rischio e i sopravvissuti. Gli Autori concludono che gli sforzi fatti dalla ricerca fino ad oggi possono in futuro condurre a una riduzione delle morti per suicidio. Parole chiave: Suicidio - Suicidologia - Fattori di rischio - Prevenzione. IC POMPILI Marzo 2007 SUICIDIO ESUICIDOLOGIA: UNO SGUARDO AL FUTURO 41. 42. 64. 65. 44. 45. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. Vol. 48, N. 1 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. MINERVA PSICHIATRICA ® M I CO NE R PY V A RI M GH E D T 43. 64. A 40. 63. chosis in bipolar depression, depressive-mania and pure mania. Psychiatry Res 1997;73:47-56. Faedda GL, Baldessarini RJ, Suppes T, Tondo L, Becker I, Lipschitz D. Pediatric-onset bipolar disorder: a neglected clinical and public health problem. Harvard Rev Psychiatry 1995;3:171-95. Tondo L, Baldessarini RJ, Hennen J, Floris G, Silvetti F, Tohen M. Lithium treatment and risk of suicidal behavior in bipolar disorder patients. J Clin Psychiatry 1998;59:405-14. Ösby U, Brandt L, Correia N, Ekbom A, Sparen P. Excess mortality in bipolar and unipolar disorder in Sweden. Arch Gen Psychiatry 2001;58:844-50. Arató M, Demeter E, Rihmer Z, Somogyi E. Retrospective psychiatric assessment of 200 suicides in Budapest. Acta Psychiatr Scand 1988;77:454-6. Isometsá ET, Henriksson MM, Aro HM, Lonnqvist JK. Suicide in bipolar disorder in Finland. 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