Profilo di Corinne Pontillo Ha conseguito nel 2011 presso l’Università degli Studi di Catania la laurea triennale in Lettere moderne, presentando una tesi dal titolo Oltre la definizione. Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Lo studio sull’opera di Pasolini e sui processi di contaminazione fra scrittura letteraria e codici visuali è proseguito durante il percorso magistrale, culminando nella stesura della tesi Di luce e morte. Pier Paolo Pasolini e la fotografia, con cui ha conseguito la laurea in Filologia moderna nel 2014. Per la tesi di laurea magistrale le è stato assegnato nel 2014 il Premio Pasolini. Corredata dalla prefazione di Marco Antonio Bazzocchi, una forma rielaborata di questo studio è stata poi oggetto di pubblicazione presso la casa editrice Duetredue. Dal febbraio 2012 è membro della redazione di Arabeschi. Rivista internazionale di studi su letteratura e visualità, per la quale ha pubblicato diversi contributi e dove ha avuto modo di approfondire le ricerche sulle ibridazioni tra linguaggio verbale e visivo. Come responsabile dell’ufficio stampa, inoltre, cura la comunicazione dei contenuti della rivista sui social media. A conclusione dello svolgimento del Tirocinio Formativo Attivo, ha conseguito nel 2015 l’abilitazione per le classi di concorso A043-A050 presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Nello stesso Dipartimento, con un progetto dedicato allo studio de «Il Politecnico» (periodico diretto tra il 1945 e il 1947 da Elio Vittorini), è dottoranda di ricerca in Studi sul patrimonio culturale. Pubblicazioni e relativi abstract di Corinne Pontillo Monografie Di luce e morte. Pier Paolo Pasolini e la fotografia, prefazione di M.A. Bazzocchi, Lentini, Duetredue Edizioni, 2015. Il volume accoglie la forma rielaborata della tesi vincitrice della XXX edizione del Premio Pasolini ed esplora, tra percorsi verbali a ostacoli e pedinamenti visivi, le tracce delle interazioni tra la poetica pasoliniana e la fotografia. Se ad una prima considerazione appaiono assenti dal corpus dell’autore sia un confronto diretto con il linguaggio fotografico che dichiarazioni dedicate alla semiologia e all’estetica della fotografia, l’impianto trasversale dell’analisi ha consentito di individuare nel macrotesto pasoliniano diverse occorrenze delle immagini fotografiche, lasciando emergere nuove prospettive di studio. Dall’impiego tematico e retorico della fotografia nella metà degli anni Quaranta fino ai contatti, nella fase matura della carriera, con i fotografi e con i teorici più influenti, come Man Ray, Andy Warhol e Roland Barthes, il rapporto di Pasolini con la fotografia svela il fascino inatteso di un dialogo lungo trent’anni. Saggi «Le colpe di Stalin sono le nostre colpe». La morte degli umili tra le fotografie della Rabbia di Pasolini, «Arabeschi», n. 5, gennaio-giugno 2015, http://www.arabeschi.it/le-colpe-di-stalin-sono-le-nostre-la-morte-degli-umili-tralefotografie-della-rabbia-pasolini/. Interamente basato sull’impiego di materiale di repertorio, La rabbia (1963) di Pier Paolo Pasolini mostra una successione di sequenze in movimento e di immagini fisse, sia pittoriche che fotografiche. Il contributo analizza i contesti in cui le foto fanno la loro apparizione nel film, individuando delle costanti tematiche, musicali e visive. La maggior parte delle immagini raffigura cadaveri di civili uccisi in guerra ed è strettamente legata, dunque, ad una disarmante manifestazione della morte violenta e anonima. Sebbene non sia possibile disporre di dichiarazioni dell’autore relative alla dialettica tra i filmati e le immagini fotografiche, il saggio propone un’ipotesi interpretativa sulla relazione tra le sequenze mobili e il congelamento fotografico dell’istante all’interno di un’unica tessitura, la sublimazione lirica espressa ne La rabbia delle contraddizioni di un’intera civiltà. Nell’occhio di chi scrive. Salò o le 120 giornate di Sodoma recensito dagli scrittori e dalle scrittrici, «Arabeschi», n. 6, luglio-dicembre 2015, http://www.arabeschi.it/nellocchio-di-chi-scrive-sal-o-le-120-giornate-sodomarecensito-dagli-scrittori-e-dalle-scrittrici/. Nell’ambito della 72/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, grazie al restauro effettuato dal laboratorio L’immagine ritrovata della Cineteca di Bologna, nella sezione Venezia Classici sarà presentato l’ultimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma. In occasione della proiezione di questa versione restaurata, che si svolgerà i prossimi 10 e 11 settembre, il seguente contributo offre un approfondimento sulle reazioni di intellettuali e scrittori di fronte alla prima visione del film, avvenuta alla fine del 1975. Tra voci di malessere, di disagio, o addirittura di rigetto fisico, l’opera estrema di Pasolini rivela la capacità di imprimere un segno nello spettatore, attraverso sequenze piene di suggestivo, raggelante fascino. Recensioni H. Belting, Antropologia delle immagini, Roma, Carocci, 2011, «Arabeschi», n. 1, gennaio-giugno 2013, http://www.arabeschi.it/hans-belting-antropologia-delleimmagini/. La ricerca dell’essenza dell’immagine è il momento di avvio dell’indagine di Belting, che esplora il concetto puro di immagine sulla base di due parametri: il mezzo trasmissivo (incluso il corpo) che la rende visibile e l’oggetto rappresentato. Il contributo indaga le diverse declinazioni del fondamento antropologico, e non esclusivamente artistico, dello studio dell’immagine (il legame con la morte, l’impiego rituale e cultuale) e si sofferma anche sulle riflessioni dell’autore in merito al destino attuale della figuratività. Lungi da un grido d’allarme fine a se stesso, Belting non rifugge dal sollevare anche dei quesiti circa le problematiche relative alla crisi dell’immagine e ‘del referente’ nell’epoca delle simulazioni tecnologiche. O. Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul, Torino, Einaudi, 2012, «Arabeschi», n. 2, giugno-dicembre 2013, http://www.arabeschi.it/orhan-pamuk-l-innocenza-degli-oggetti/. Modulando un incontro tra parola e immagine che contempla, in un continuum tematico (una storia d’amore ambientata a Istanbul), la stesura di un romanzo (Il museo dell’innocenza, Torino, Einaudi, 2009), l’allestimento reale del museo che nel libro viene descritto e la pubblicazione del catalogo (il volume oggetto della nostra recensione), Orhan Pamuk offre invitanti esempi di contaminazione tra codice verbale e visivo. Il dialogo tra mezzi espressivi diversi è reso più articolato dal cortocircuito tra realtà e finzione; quest’ultima, infatti, precede la realizzazione concreta di un museo che viene commissionato all’autore dal protagonista del suo romanzo. Il catalogo che qui viene recensito, dunque, rappresenta il culmine di un progetto in cui testo verbale e immagini appartengono sia alla finzione letteraria che al dominio della realtà, confondendo continuamente i loro statuti. Il contributo offre, oltre a un agile excursus sull’ideazione e la genesi dell’opera, anche un ragguaglio sulla struttura del volume e sulle modalità di interazione tra parole e apparato illustrativo. G. Basilico, Leggere le fotografie. In dodici lezioni, Milano, Abitare e Rizzoli, 2012, «Arabeschi», n. 3, gennaio-giugno 2014, http://www.arabeschi.it/gabriele-basilicoleggere-le-fotografie-rizzoli/. Una selezione di fotografie 'sporcate' dagli appunti dell'autore, associata ad un puntuale commento verbale, è il layout che Gabriele Basilico ha scelto per questa sua ultima opera, nel tentativo di ripercorrere le fasi salienti della propria carriera. Come questo contributo mette in evidenza, il fotografo si sofferma sui momenti di svolta della propria poetica e sui modelli che l'hanno ispirata. Si passa così dal ricordo dello sguardo rigoroso ed elegante di Walker Evans, maestro dichiarato, all'espressione di una sensibilità che rintraccia nell'avvento della civiltà industriale i cambiamenti visibili nell'architettura e nel paesaggio. Ad emergere, in ultima analisi, è una concezione della fotografia come processo creativo e cognitivo, come forma artistica in grado di rivelare prospettive e punti di vista nuovi, poco abusati dalle convenzioni.