DOTT. VALERIO PIERI DOTTORE DI RICERCA IN ECONOMIA AZIENDALE CULTORE DI ECONOMIA AZIENDALE PRESSO L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” E-MAIL: [email protected] Roma, 30 ottobre 2009 CONSOB Divisione Studi Giuridici Via G.B.Martini, 3 00198 ROMA [email protected] Oggetto: Risposta al documento di consultazione in materia di disciplina delle operazioni con parti correlate. Con l’auspicio di offrire un contributo al processo di definizione della disciplina regolamentare di attuazione della normativa in materia di disciplina, lo scrivente trasmette a codesta spettabile Autorità copia della propria tesi di dottorato «Il processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Analisi economico-aziendale alla luce della normativa di riferimento». Il lavoro, discusso nello scorso mese di settembre, affronta la tematica delle operazioni con parti correlate da un punto di vista economico-aziendale, nel tentativo di arricchire, in una diversa prospettiva, il vasto dibattito dei giuristi e degli economisti su una delle problematiche di corporate governance più rilevanti e attuali, soprattutto in un paese, come l’Italia, in cui le grandi imprese aperte sono caratterizzate dalla presenza di un azionista o di una coalizione di azionisti in grado di detenere stabilmente il controllo dell’assemblea, potendo incidere sulla nomina degli amministratori e, per loro tramite, sulle decisioni che determinano il comportamento dell’impresa. Lo scrivente autorizza la Consob a pubblicare il presente documento unitamente al suo allegato sul proprio sito. Ogni altro utilizzo del presente documento o di parte di esso, nonché del suo allegato o di parte di esso, è consentito solo per scopi non commerciali e a condizione di citare espressamente la fonte e l’autore e previa comunicazione da inviare all’indirizzo e-mail [email protected]. Augurandomi che questo contributo possa essere di qualche utilità, porgo i miei migliori saluti. Valerio Pieri All. n.1: V.PIERI, Il processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Analisi economico-aziendale alla luce della normativa di riferimento, Tesi di dottorato in Economia Aziendale, Università degli Studi di Foggia, 2009. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA FACOLTÀ DI ECONOMIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICO-AZIENDALI, GIURIDICHE, MERCEOLOGICHE E GEOGRAFICHE Dottorato di ricerca in Economia Aziendale XXI ciclo TESI DI DOTTORATO IL PROCESSO DECISIONALE NELLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE. ANALISI ECONOMICO-AZIENDALE ALLA LUCE DELLA NORMATIVA DI RIFERIMENTO DOTT. VALERIO PIERI Coordinatore: Chiar.mo Prof. Nunzio Angiola Tutor: Chiar.mo Prof. Mauro Romano A mio padre «In ogni operazione dell’azienda è tutta l’azienda, come in ogni atto dell’uomo è tutto l’uomo. Vana sarebbe quindi la pretesa di studiare le operazioni di gestione nel loro significato economico, dimenticando o ignorando l’azienda, nella sua complessa e dinamica economia». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5. 3 Indice pag. Premessa 1. Inquadramento concettuale delle operazioni con parti correlate 1.1. Considerazioni introduttive 7 10 10 1.2. Le operazioni con parti correlate: profili di complessità 20 1.2.1. Il sistema aziendale nella sua unitaria, complessa e dinamica economia e le decisioni che ne determinano il comportamento. 20 1.2.2. Il conflitto e l’equilibrio dei diversi interessi che influiscono sulle decisioni aziendali. Il criterio dell’economicità e il ruolo del soggetto economico. 29 1.3. La centralità delle operazioni con parti correlate nelle fondamentali dinamiche di corporate governance delle grandi imprese 35 1.3.1. La separazione tra proprietà e controllo nelle imprese manageriali: il conflitto d’interessi tra gli azionisti-proprietari e i manager-professionisti 40 1.3.2. Le imprese a capitale concentrato: il conflitto d’interessi tra i detentori del «capitale di comando» e del «capitale controllato» 43 2. Le operazioni con parti correlate nell’attuale quadro normativo 48 2.1. Considerazioni introduttive 48 2.2. I percorsi seguiti dal legislatore e dalla Consob 51 2.3. La normativa vigente in materia di operazioni con parti correlate: quadro di sintesi 2.3.1. I presidi ai procedimenti deliberativi delle operazioni con parti correlate 2.3.2. Gli obblighi di trasparenza informativa 55 56 58 2.4. La definizione di «parte correlata»: il rinvio della normativa al principio contabile IAS 24 63 2.4.1. Il criterio a.i): i soggetti controllanti, controllati e sottoposti a comune controllo 69 2.4.2. Il criterio a.ii): i soggetti che esercitano un’influenza notevole sulla reporting entity 77 2.4.3. Il criterio a.iii): i soggetti che controllano congiuntamente la reporting entity 82 2.4.4. I criteri b) e c): le collegate e le joint venture della reporting entity 85 2.4.5. Il criterio d): i dirigenti con responsabilità strategiche sull’attività della reporting entity 88 2.4.6. Il criterio e): gli stretti familiari degli individui correlati alla reporting entity secondo i criteri a) e d) 91 2.4.7. Il criterio f): entità correlate per il tramite di individui correlati alla reporting entity 94 2.4.8. Il criterio g): fondi pensione (e simili) correlati alla reporting entity 96 2.4.9. Le prospettive di evoluzione negli exposure draft pubblicati dallo IASB 98 3. La normativa in materia di processo decisionale nelle operazioni con parti correlate: problematiche applicative 107 3.1. Considerazioni introduttive 107 3.2. Le regole stabilite dal consiglio di amministrazione: gli obiettivi di trasparenza e di correttezza sostanziale e procedurale 109 3.3. La disciplina sulle operazioni con parti correlate: le operazioni con interessi degli amministratori e l’attività di direzione e coordinamento 120 3.3.1. Un possibile schema di sintesi della normativa 124 3.4. Compiti e responsabilità del collegio sindacale 125 3.5. Le operazioni con parti correlate secondo il codice di autodisciplina delle società quotate 128 5 3.6. Le regole in materia di operazioni con parti correlate: principali problematiche applicative e possibili soluzioni 134 3.6.1. La mappatura delle parti correlate 137 3.6.2. L’identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili) con parti correlate 142 3.6.3. La valutazione preliminare della rilevanza 144 3.6.4. Il processo deliberativo delle operazioni non rilevanti 145 3.6.5. Il processo deliberativo delle operazioni rilevanti 148 3.6.6. Le attività di monitoraggio 150 Appendice - L’evoluzione normativa in corso: la bozza di regolamentazione proposta dalla Consob nel 2008 153 1. Le linee generali del progetto di riforma 153 2. Le principali osservazioni emerse in sede di consultazione: brevi commenti 162 Osservazioni finali 169 Appendice normativa 174 Bibliografia 186 6 Premessa Le operazioni con parti correlate rappresentano una delle più rilevanti e attuali tematiche di corporate governance, soprattutto in un paese, come l’Italia, in cui le grandi imprese aperte sono caratterizzate dalla presenza di un azionista o di una coalizione di azionisti in grado di detenere stabilmente il controllo dell’assemblea, potendo incidere sulla nomina degli amministratori e, per loro tramite, sulle decisioni che determinano il comportamento dell’impresa. L’esperienza degli scandali che hanno sconvolto i mercati finanziari mondiali nei primi anni Duemila – dapprima negli Stati Uniti e poi, con caratteristiche e proporzioni simili, anche in Europa e nel nostro paese – ha fornito una tangibile evidenza che le operazioni con parti correlate possono costituire uno strumento efficace e poco controllabile mediante il quale gli individui che detengono il potere decisionale possono compiere, nel proprio interesse, varie forme di abuso, tra le quali l’appropriazione di risorse dell’impresa gestita e la manipolazione dell’informativa contabile. D’altro canto, in un’economia sempre più caratterizzata dalla presenza di grandi gruppi aziendali e dalla diffusione di altre forme di relazione di lungo periodo, le imprese si trovano ad effettuare con parti correlate, senza alcuna finalità di abuso, operazioni frequenti e anche molto rilevanti. Intorno tali particolari operazioni si è sviluppato un ampio dibattito ed è stata avvertita l’esigenza di specifici interventi normativi, finalizzati, da un lato, a porre adeguati presidi ai processi decisionali che conducono al loro compimento e, dall’altro lato, ad assicurare su di esse una piena trasparenza informativa, sia di tipo qualitativo che quantitativo. In Italia, entrambe le problematiche sono state oggetto di specifici interventi normativi, sia da parte del legislatore, sia, in prevalenza, da parte della Consob. Proprio dall’autorità regolamentare ci si attende, ormai a breve, l’emanazione delle norme attuative dell’ampia delega concessa dal legislatore nell’art. 2391-bis del codice civile. Nell’aprile 2008, infatti, la Consob ha 7 pubblicato una prima proposta di regolamentazione, che ha ravvivato notevolmente il dibattito sulla materia, sollevando reazioni molto contrastanti tra gli osservatori, cui ha fatto seguito, a distanza di oltre un anno, nell’agosto del 2009, una seconda e riveduta bozza di articolato regolamentare. Il presente lavoro prende spunto dalla constatazione che il dibattito sui particolari presidi cui sottoporre il processo decisionale nelle operazioni con parti correlate al fine di assicurarne la correttezza è dominato esclusivamente dai giuristi e, in misura minore, dagli economisti. Il contributo offerto da parte degli studiosi di Economia d’Azienda, invece, è stato sinora del tutto marginale. E’ vero che solo mediante l’imposizione di specifiche norme, la cui definizione non può che competere ai giuristi, è possibile tentare di porre delle limitazioni all’influenza sul processo decisionale di quei soggetti che occupano posizioni di dominio sulle imprese. Tuttavia, può certamente osservarsi che l’Economia Aziendale, che è la scienza che studia «i processi di decisione, di esecuzione e di controllo e il sistema informativo, compreso il feedback»1, è certamente in grado di offrire al diritto, su tematiche come questa, «un contributo di tipo propulsivo, cioè capace di evidenziare importanti criticità e di avviare approfonditi dibattiti intorno a taluni problemi tipici del mondo aziendale»2. Il presente lavoro, pertanto, si pone l’obiettivo di arricchire il dibattito in materia di processo decisionale nelle operazioni con parti correlate da un punto di vista economico-aziendale, analizzando l’attuale assetto normativo – che, come si dirà, si presenta molto articolato e complesso – e mettendo in luce i tanti problemi aperti, che potranno essere oggetto di maggiori approfondimenti nell’ambito di future ricerche. Nel primo capitolo, si fornisce un inquadramento della tematica delle operazioni con parti correlate, ponendo particolare enfasi sulla centralità del sistema aziendale, all’interno del quale le operazioni di gestione si inseriscono e trovano il proprio significato economico, sulla complessità dei processi decisori che determinano il comportamento delle aziende, nonché sulle dinamiche di conflitto ed equilibrio di interessi che caratterizzano le decisioni aziendali. Inoltre, con specifico riferimento alle grandi imprese aperte, viene sottolineata la 1 G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, p.6. T. ONESTI, Il contributo degli studi economico-aziendali alle scienze giuridiche, in G. COMANDÉ-G. PONZANELLI, Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato. Atti del Convegno tenutosi a Pisa il 22/24 maggio 2003, Giappichelli, Torino, 2004, p. 482. 2 8 centralità delle operazioni con parti correlate in due delle principali aree di interesse della corporate governance: il dualismo tra azionisti-proprietari e amministratori-professionisti, tipico delle c.d. imprese manageriali, e le delicate relazioni tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale controllato», tipiche delle imprese a capitale concentrato. Dopo un breve riepilogo della normativa vigente in materia di operazioni con parti correlate, distinguendo tra le disposizioni inerenti i procedimenti deliberativi e quelle in materia di informativa esterna, nel secondo capitolo si approfondiscono le problematiche inerenti l’individuazione delle parti correlate, analizzando l’attuale definizione fornita dal principio contabile IAS 24 (cui la normativa fa esplicito rimando) e mettendone in luce le problematiche applicative. Inoltre, tenuto conto dell’attuale processo di revisione dello IAS 24 da parte dello IASB, vengono analizzate anche le modifiche prospettate dallo standard setter negli exposure draft pubblicati nel 2007 e nel 2008. Il terzo capitolo, infine, approfondisce le problematiche di concreta applicazione, nell’ambito dei processi decisionali relativi alle operazioni con parti correlate, delle disposizioni dell’art. 2391-bis del codice civile, che si inseriscono in un quadro normativo particolarmente complesso e articolato, nel quale la disciplina sulle operazioni con parti correlate trova significativi ambiti di sovrapposizione con quella relativa alle operazioni con interessi degli amministratori (art. 2391 c.c.) e con la normativa in materia di direzione e coordinamento di società (artt. 2497 e ss. c.c.). In proposito, vengono analizzati anche i principi indicati dal codice di autodisciplina delle società quotate, che si fondano sulle best practice internazionali in materia, nonché alcune delle più interessanti soluzioni sviluppate dai principali gruppi quotati. In appendice al capitolo, infine, si svolge una breve disamina delle prospettive di evoluzione della normativa, alla luce della proposta di regolamentazione posta in consultazione dalla Consob nell’aprile del 2008. 9 Capitolo 1 Inquadramento concettuale delle operazioni con parti correlate 1.1. Considerazioni introduttive Il diffondersi del modello della grande impresa a capitale aperto e la progressiva riduzione delle barriere alla libera circolazione internazionale dei beni e dei capitali hanno determinato un crescente e ampio dibattito sulla corporate governance3, cioè sul «modo in cui le grandi imprese sono dirette e 3 Sul tema della corporate governance si vedano: G. AIROLDI-G. FORESTIERI, Corporate governance. Analisi e prospettive del caso italiano, Etas, Milano, 1998; M. ALLEGRINI-S. BIANCHI MARTINI, La Corporate Governance in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Modelli e pratiche a confronto, Franco Angeli, Milano, 2006; F. BARCA, Imprese in cerca di padrone. Proprietà e controllo nel capitalismo italiano, Laterza, Bari, 1994; S. BIANCHI MARTINI-G. DI STEFANO-G. ROMANO, La governance delle società quotate tra best practice internazionali e tradizioni aziendali italiane, Franco Angeli, Milano, 2006; M.M. BLAIR, Ownership and Control: Rethinking Corporate Governance for the Twenty-First Century, Brookings Institution Press, Washington, 1995; A.D. CHANDLER, Scale and Scope: The Dynamics of Industrial Capitalism Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA), 1994; D. CHEW, Studies in International Corporate Finance and Governance Systems: A Comparison of the US, Japan, and Europe, Oxford University Press, USA, 1997; T. CLARKE, Theories of Governance: The Philosophical Foundations of Corporate Governance, Routledge, London, 2004; G. FIORIR. TISCINI (a cura di), Corporate governance, regolamentazione contabile e trasparenza dell'informativa aziendale, Franco Angeli, Milano, 2005; R.E. FREEMAN-G. RUSCONI-M. DORIGATTI (a cura di), Teoria degli stakeholder, Franco Angeli, Milano, 2007; G.M. GROS PIETRO-E. REVIGLIO-A. TORRISI, Assetti proprietari e mercati finanziari europei, Il Mulino, Bologna, 2001; K. KEASEY-S. THOMPSON-M. WRIGHT (a cura di), Corporate Governance: Accountability, Enterprise and International Comparisons, John Wiley & Sons, London, 2005; A. MELIS, Creazione di valore e meccanismi di corporate governance, Giuffré, Milano, 2002; 10 controllate»4, in considerazione sia delle complessità gestionali connesse alle loro dimensioni, sia della numerosità e della rilevanza degli interessi coinvolti. Varie discipline hanno offerto nel tempo il loro contributo (diritto societario, diritto dell’impresa, diritto dei mercati finanziari, economia aziendale, macroeconomia, finanza, ecc.), mettendo in risalto i diversi aspetti della tematica in esame, non sempre però considerandoli a sistema. In tal modo, ogni scienza ha voluto trattare gli aspetti di corporate governance a seconda del proprio campo di azione: si passa così dall’analisi dell’efficienza dei mercati finanziari e dell’allocazione delle risorse, alla considerazione del grado di protezione di particolari categorie sociali dei soggetti coinvolti, alla capacità delle imprese di creare valore per gli azionisti; finalità, talvolta, persino antinomiche fra loro. Tutti gli studi sulla corporate governance sono fortemente influenzati dalle caratteristiche peculiari dei relativi contesti ambientali di riferimento5, che R.A.G. MONKS-N. MINOW, Corporate Governance, Wiley-Blackwell (4 ed.), London, 2008; T. ONESTI-N. ANGIOLA-M. ROMANO-M. TALIENTO, Alcune riflessioni critiche sull'armonizzazione dei modelli di governo societario, tra localismo e globalizzazione, in AA.VV, Atti del XXV Convegno dell'Accademia Italiana di Economia Aziendale tenutosi a Novara il 4 e 5 ottobre 2002 sul tema "Competizione globale e sviluppo locale tra etica e innovazione", McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 2003; M. REBOA, Proprietà e controllo di impresa. Aspetti di corporate governance, Giuffrè, Milano, 1999; A. SHLEIFER-R.W. VISHNY, A Survey of Corporate Governance, in Journal of Finance, vol. 52, n. 2, 1997, pp. 737-783; L. SPAVENTA, Struttura proprietaria e corporate governance. Ai confini tra diritto ed economia, Università degli studi di Macerata, Laboratorio Fausto Vicarelli, 2002; O.E. WILLIAMSON, Corporate Finance and Corporate Governance, in Journal of Finance, vol. 43, n. 3, 1988, pp. 567-591; A. ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governance, EGEA, Milano, 2006. 4 E’ questa, a nostro parere, la traduzione più «neutrale» possibile di corporate governance, che si basa sulla definizione fornita nel 1992 nel c.d. «Cadbury Report», redatto dal «Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance», costituito da esponenti nominati dal Financial Reporting Council inglese, dal London Stock Exchange e da esponenti della professione contabile inglese, e presenziato da Sir Adrian Cadbury. CADBURY REPORT, Report of the committee on the financial aspects of corporate governance, Gee & co., London, 1992 (disponibile online http://www.ecgi.org/codes/documents/cadbury.pdf). Al riguardo, si aggiunge che il Cadbury report contiene il primo codice in materia di corporate governance basato sul principio del «comply or explain», che caratterizza tutti i più recenti codici di autodisciplina. 5 Giova rimarcare che ogni paese è caratterizzato da particolari fattori ambientali che influenzano in modo del tutto peculiare il comportamento degli individui e delle organizzazioni, con particolare riguardo allo svolgimento delle attività economiche. In particolare, possono distinguersi degli elementi differenziatori di primo livello, che si caratterizzano per un impatto pervasivo sul “macroambiente” (quali la situazione geo-politico- 11 rappresentano un indubbio limite allo sviluppo di teorie e prassi valide per tutti i paesi6. Una sintesi ampiamente condivisa delle varie finalità assegnate alla corporate governance viene fornita nelle premesse dei principi di governo societario dell’OCSE7. istituzionale, il sistema dei valori socio-culturali, il sistema economico, il tipo di ordinamento giuridico) ed elementi differenziatori di secondo livello, il cui impatto è limitato ad uno o pochi sub-sistemi che compongono il più ampio “macroambiente” (il tipo di imprese più diffuse, le modalità di reperire i capitali di rischio, le modalità di concedere finanziamenti da parte del sistema creditizio, il grado di ingerenza delle banche nella gestione delle imprese, l’influenza della legislazione fiscale, la forza della professione contabile, altri fattori residuali). Cfr. T. ONESTI, 'Fattori Ambientali' e comportamenti contabili. Analisi comparata dei sistemi contabili di alcuni paesi industrializzati, Giappichelli, Torino, 1995, cap. VI. 6 Osserva l’Hofstede: «In the management literature there are numerous unquestioning extrapolations of organizational solutions beyond the border of the country in which they were developed. This is especially true for the exportation of management theories from the United States to the rest of the world, for which the non-U.S. importers are at least as responsible as the U.S. exporters. (…) However, the empirical basis for American management theories is America organisations and we should not assume without proof that they apply elsewhere. (…) As a matter of scientific etiquette, I suggest that any article written for an international public should mention the country – and time period – in which the data were collected». G. HOFSTEDE, Cultures Consequences : International Differences in Work-Related Values, Sage Publications, London, 1984, p. 253. Dello stesso Autore, si veda anche il più recente lavoro: ID., Culture's Consequences: Comparing Values, Behaviors, Institutions and Organizations Across Nations, Sage Publications, London, 2003, in particolare le pp. 373-414. Sulla fondamentale importanza dei fattori ambientali per lo studio del comportamento degli individui e delle organizzazioni, con particolare riguardo agli assetti di corporate governance , si vedano anche: L. DALEY-J. JIAMBALVO-G.L. SUNDEM-Y. KONDO, Attitudes toward financial control systems in the United States and Japan, in Journal of International Business Studies, vol. 16, n.3, 1985, pp. 91 e ss; G. HOFSTEDE, Business Goals and Corporate Governance, in Asia Pacific Business Review, vol. 10, n.3/4, 2004, p. 292 e ss; T. PEDERSEN-S. THOMSEN, European patterns of corporate ownership: a twelve-country study, in Journal of International Business Studies, vol. 28, 1997, p. 759 e ss. 7 Nei principi di governo societario, che, com’è noto, rappresentano una primaria fonte di riferimento per i legislatori e le autorità regolamentari dei paesi membri per la fissazione di nuove norme in materia di governo societario, l’OCSE afferma che: «Il governo societario è uno degli elementi fondamentali per migliorare l’efficienza economica e la crescita e per aumentare la fiducia degli investitori. Il governo societario coinvolge un insieme di relazioni fra i dirigenti di una società, il suo consiglio di amministrazione, i suoi azionisti e le altri parti interessate. Il governo societario definisce la struttura attraverso cui vengono fissati gli obiettivi della società, vengono determinati i mezzi per raggiungere tali obiettivi e vengono controllati i risultati. Un 12 Tra le molteplici tematiche di corporate governance, la disciplina delle operazioni con parti correlate è oggetto di particolare attenzione. Infatti, diffusa è la consapevolezza che esse possano rappresentare uno strumento per il compimento di abusi a danno delle imprese stesse e delle diverse categorie di stakeholder, perpetrati dai soggetti che si trovano ad occupare posizioni apicali o che, comunque, siano detentori del potere decisionale all’interno delle organizzazioni. Talvolta, come è scritto nella storia delle imprese, con esiti drammatici8. buon governo societario dovrebbe assicurare al consiglio di amministrazione e ai dirigenti incentivi adeguati alla realizzazione di obiettivi in linea con gli interessi della società e dei suoi azionisti e dovrebbe facilitare un efficace controllo. La presenza di un efficace sistema di governo societario, per la singola impresa e per l’economia nel suo complesso, contribuisce ad assicurare un adeguato livello di fiducia, necessario al buon funzionamento dell’economia di mercato. Il risultato è di ridurre il costo del capitale e di incoraggiare le imprese a impiegare le risorse in modo più efficiente, stimolando così la crescita». OCSE, Principi di governo societario dell'OCSE, 2004, p. 10. 8 Tra i casi meno recenti, si menziona il caso del fallimento della statunitense Continental Vending nel 1970, i cui amministratori e revisori contabili furono accusati penalmente per l’omissione di informazioni inerenti la concessione di un prestito ad un amministratore per il tramite di una società da questi controllata. Per approfondimenti, anche su altri casi dello stesso periodo e avvenuti in altri paesi: S. CHONG-G. DEAN, Related Party Transactions: a preliminary evaluation of SFAS 57 and IAS 24 using four case studies, in Abacus, vol. 21, n.1, 1985. Si noti che il caso della Continental Vending deve ritenersi particolarmente significativo, perché, insieme ad altri casi simili, è stato uno dei principali motivi per l’emanazione nel 1975 dello Statement of Auditing Standard n. 6 Related pary transactions da parte dell’American Institute of Certified Public Acccountants, al quale hanno fatto seguito i principi contabili FAS 57 e IAS 24, emanati rispettivamente dal FASB nel 1982 e dallo IASC nel 1984. Si può citare, inoltre, con riferimento al Regno Unito, il noto caso della Polly Peck (1990), il cui CEO, al fine di sostenere artificialmente il corso del titolo in una delicata fase di tensione finanziaria, aveva acquistato ripetutamente sul mercato le azioni della stessa società attraverso altre imprese di famiglia, alle quali la stessa Polly Peck forniva la liquidità necessaria. Tra i casi più recenti, possono menzionarsi, negli Stati Uniti: - il caso Enron (2001), certamente il caso più complesso e interessante, per il quale si rinvia a: C.R. BAKER-R. HAYES, Reflecting form over substance: the case of Enron Corp, in Critical Perspectives on Accounting, vol. 15, n. 6/7, 2004, pp. 767-785; P.M. HEALY-K.G. PALEPU, The Fall of Enron, in Journal of Economic Perspectives, vol. 17, n. 2, 2003, p. 3 e ss. - il caso dell’ Adelphia Communications (2002), in cui i fondatori dirottavano la liquidità generata dalla gestione nelle altre aziende di famiglia; per un approfondimento, si veda L.R. JOHNSON-H.R. RUDOLPH, The lessons of Adelphia's cash fraud, in Journal of Corporate Accounting & Finance (Wiley), vol. 19, n. 1, 2007, p. 19 e ss. 13 Nel complessivo sistema delle operazioni aziendali, le c.d. «operazioni con parti correlate» si caratterizzano per la presenza di relazioni significative tra i soggetti che detengono il potere di orientare le decisioni aziendali e le persone o gli enti con i quali le operazioni vengono poste in essere. In primissima approssimazione, costituiscono esempi di operazioni con parti correlate quelle concluse tra l’azienda e il proprio amministratore delegato, tra l’azienda e il suo principale o unico azionista, tra l’azienda e una qualsiasi impresa del gruppo cui essa appartiene9. In buona sostanza, la particolarità che caratterizza le operazioni con parti correlate è che si riduce (o si annulla) la contrapposizione d’interessi tipica delle normali transazioni di mercato e può risultarne influenzata, almeno potenzialmente: i) la decisione stessa di concludere la transazione; ii) la definizione delle condizioni dell’operazione. In altre parole, i soggetti che detengono il potere decisionale nell’azienda possono concludere con una c.d. «parte correlata» delle operazioni che non avrebbero concluso con una controparte non correlata, ovvero potrebbero stabilire delle condizioni economiche (corrispettivi, tempi dell’operazione, eventuali garanzie prestate o ricevute, …) non in linea con quelle che verrebbero - il caso Tyco (2002), in cui, tra l’altro, il Presidente e l’Amministratore Delegato si erano sostanzialmente autoassegnati un compenso straordinario di 150 milioni di dollari; - il caso WorldCom (2002), il cui Presidente e fondatore era riuscito ad ottenere dal Consiglio di Amministrazione un prestito personale di 400 milioni di dollari. Per una sintesi dei maggiori scandali finanziari negli Stati Uniti, si rinvia a G. GIROUX, What Went Wrong? Accounting Fraud and Lessons from the Recent Scandals, in Social Research, vol. 75, n. 4, 2008, p. 1205 e ss. Infine, in Italia, sono degni di menzione i casi Cirio (2002) e Parmalat (2003). Soprattutto nel secondo caso, va segnalato il vasto utilizzo di operazioni compiute con società correlate e non incluse nel bilancio consolidato. Per approfondimenti: G. CAPOLINO-F. MASSARO-P. PANERAI, Parmalat. La grande truffa, Milano Finanza, Milano, 2004. Si rinvia anche a: G. FIORI-R. TISCINI (a cura di), Corporate governance, regolamentazione contabile e trasparenza dell'informativa aziendale, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 67-99. Si vedano infine, i casi di appropriazione delle risorse aziendali da parte dell’azionista di controllo (cc.dd. tunneling transactions) riportati in S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE SILANES-A. SHLEIFER, Tunneling, in American Economic Review, vol.90, n.2, 2000. 9 Per l’approfondimento della corrente definizione di «parte correlata» si rinvia al secondo capitolo. 14 praticate in una medesima transazione con una parte non correlata, favorendo, invece, l’una o l’altra parte10. Si tratta a tutta evidenza di operazioni potenzialmente pericolose in quanto gli interessi in gioco, talvolta, possono trovarsi in posizione conflittuale con gli interessi dell’impresa. Come meglio si chiarirà più avanti, il rischio fondamentale sotteso alle operazioni con parti correlate è che esse possano costituire uno strumento efficace e poco controllabile per la sottrazione di risorse all’economia dell’azienda e per il loro trasferimento ad altre economie, nell’interesse personale degli individui dotati del potere decisionale (cc.dd. tunneling transactions)11. 10 Nel definire lo scopo dello IAS 24, che nel sistema dei principi contabili IAS/IFRS disciplina specificamente l’informativa in bilancio sulle parti correlate e sul quale, come si vedrà, si fonda anche la definizione normativa di «parte correlata», lo IASB osserva che « 5. I rapporti fra parti correlate sono aspetti ordinari delle attività commerciali e gestionali. Ad esempio, le entità spesso svolgono una parte delle proprie attività avvalendosi di società controllate, joint venture e società collegate. In tali circostanze, la capacità di influire sulle politiche finanziarie e gestionali della partecipata viene esercitata attraverso il controllo, il controllo congiunto o l’influenza notevole. 6. Un rapporto con una parte correlata può avere un effetto sulla situazione patrimonialefinanziaria e sul risultato economico dell’entità. Le parti correlate possono effettuare operazioni che società indipendenti non effettuerebbero. Per esempio, un’entità che vende merci alla sua controllante al costo potrebbe non vendere alle stesse condizioni ad altri clienti. Inoltre, operazioni tra parti correlate possono non essere effettuate ai medesimi corrispettivi rispetto a quelle intercorrenti tra parti indipendenti. 7. Il risultato economico e la situazione patrimoniale-finanziaria di un’entità possono essere influenzati da rapporti con parti correlate anche nel caso in cui non si verifichino operazioni con le stesse. La semplice esistenza del rapporto può essere sufficiente a condizionare le operazioni dell’entità con parti terze. Per esempio, una controllata può interrompere i propri rapporti con una controparte commerciale a partire dal momento dell’acquisizione da parte della capogruppo di un’altra controllata che svolge la stessa attività della precedente controparte. In alternativa, una parte può astenersi dal compiere determinate operazioni a causa dell’influenza notevole di un’altra; per esempio, una controllata può essere istruita dalla sua controllante a non impegnarsi in attività di ricerca e sviluppo». IASB, IAS 24 Related Party Disclosures, 2003, parr. 5-7. 11 Secondo una tassonomia diffusa nella letteratura internazionale, le operazioni con parti correlate possono essere lo strumento: - per sottrarre risorse all’azienda (c.d. tunneling transactions); - in senso opposto, per apportare risorse nell’azienda (c.d. propping up transactions); - per modificare artatamente i risultati economici (c.d. earnings management). Sull’argomento sono stati svolti numerosi studi empirici, soprattutto relativamente ai mercati asiatici nei quali la proprietà azionaria è molto concentrata. Tra gli studi più recenti , si 15 Inoltre, le operazioni con parti correlate possono costituire anche un efficace strumento di alterazione dell’informativa contabile12 (c.d. earnings management13) e rappresentano una delle principali aree di rischio sulla quale si concentra l’attenzione dei revisori contabili14. vedano: S.Y. CHEUNG-L. JING-T. LU-R. RAU-A. STOURAITIS, Tunneling and Propping Up: An Analysis of Related Party Transactions by Chinese Listed Companies, in Pacific-Basin Finance Journal, 2008; E.A. GORDON-E. HENRY, Related Party Transactions and Earnings Management, in SSRN eLibrary, 2005. Per approfondimenti sulle tunneling transaction nei vari contesti-paese, si veda: S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE SILANES-A. SHLEIFER, Tunneling, in American Economic Review, vol.20, n.2, 2000. Si osservi, inoltre, che, a tali finalità possono ricondursi anche le operazioni di scambio compiute nell’ambito di gruppi multinazionali e finalizzate ad ottimizzare il livello di imposizione fiscale, mediante il trasferimento dei redditi fiscali nei paesi a più ridotta tassazione. 12 Si pensi, a titolo di mero esempio, alla ben maggiore facilità con cui possono essere poste in essere, tra parti correlate, le c.d. round-trip transactions, cioè quelle operazioni di vendita e acquisto dei medesimi beni e finalizzate esclusivamente ad incrementare il valore dei ricavi iscritti in bilancio. 13 Sull’argomento, si rinvia a: P.M. HEALY-J.M. WAHLEN, A review of the earnings management literature and its implications for standard setting, in Accounting Horizons, vol. 13, n. 4, pp. 365-383. Gli Autori forniscono la seguente definizione: «Earnings management occurs when managers use judgment in financial reporting and in structuring transactions to alter financial reports to either mislead some stakeholders about the underlying economic performance of the company or to infiuence contractual outcomes that depend on reported accounting numbers», p.368. 14 «An undisclosed related party is a powerful tool in the hands of an unscrupulous person. Related parties, such as controlled entities, principal stockholders or management can execute transactions that improperly inflate earnings by masking their economic substance or distort reported results through lack of disclosure, or can even defraud the company by transferring funds to conduit related parties and ultimately to the perpetrators. Related parties and related party transactions are difficult to audit for several reasons. First, transactions with related parties are not always easily identifiable. For example, a series of sales in the normal course of business, individually insignificant, could be executed with an undisclosed related party that in total could be material. Second, although other procedures are ordinarily performed, the auditor relies primarily upon management and principal owners to identify all related parties and related party transactions. Third, such transactions may not be easily tracked by a company's internal control». AMERICAN INSTITUTE OF CERTIFIED PUBLIC ACCOUNTANTS, Accounting and Auditing for Related Parties and Related Party Transactions. A Toolkit for Accountants and Auditors, 2001, p. 5. Sempre nella prospettiva della società di revisione, si veda anche: K.M. JOHNSTONE-J.C. BEDARD, Audit Firm Portfolio Management Decisions, in 16 Tuttavia, deve anche osservarsi che l’effettuazione di operazioni con parti correlate, anziché con parti terze, non necessariamente implica il compimento di abusi, ma potrebbe anzi contribuire significativamente a ridurre i rischi e i costi dell’operazione, generando vantaggi per l’impresa e per tutti gli stakeholder. Si pensi, ad esempio, al fenomeno dei gruppi aziendali, nei quali è intuitiva la convenienza per le singole imprese del gruppo di usufruire stabilmente, per quanto possibile, dei beni e dei servizi prodotti all’interno del gruppo stesso, piuttosto che intraprendere dei rapporti con controparti non conosciute. Peraltro, il semplice fatto che un’operazione coinvolga parti correlate non necessariamente implica che essa sia conclusa a condizioni diverse da quelle che sarebbero concluse tra parti non correlate15, come, di converso, anche un’operazioni compiuta con parti non correlate, laddove i soggetti che agiscono siano animati da intenti fraudolenti, potrebbe raggiungere i medesimi risultati di un’operazione compiuta con parti correlate, seppure in modo certamente meno agevole16. Journal of Accounting Research, vol.42, n.4, 2004, in particolare, p.671, in cui le Autrici includono le operazioni con parti correlate tra gli indicatori di rischio. In Italia, secondo il principio di revisione n. 550: «in presenza di operazioni con parti correlate esistono limitazioni che possono influenzare la capacità persuasiva degli elementi probativi disponibili per trarre le conclusioni su specifiche asserzioni di bilancio. Il revisore deve attentamente valutare l'adeguatezza di tali elementi posto che, in presenza di operazioni con parti correlate, essi si fondano in generale su documentazione e affermazioni che, per loro natura, hanno meno efficacia probatoria di quelle ottenute da terzi». COMMISSIONE PARITETICA PER LA STATUIZIONE DEI PRINCIPI DI REVISIONE, Documento n. 550. Le parti correlate, 2002. Sugli aspetti teorici del falso in bilancio, si rinvia a: F. SUPERTI FURGA, Il falso in bilancio nella prospettiva economico-aziendale, in Giurisprudenza commerciale, 1996, pp. 217-230., 1996, 15 Osservava il Paton, fondatore dell’American Accounting Association, nel 1947: «Here is clear recognition of the fact that the terms of transaction between affiliates may ‘at times’ not be on commercial basis and hence may deserve special scrutiny. But here is also clear recognition of the fact that affiliates may deal at ‘arm’s length’ and that fair value at date of transfer is the basic measure to be applied in testing validity». W.A. PATON, Transactions between affiliates, in Accounting Review, vol. 20, n. 3, 1947. 16 Si pensi, a titolo di mero esempio, ad una società “A” che venda al prezzo di 1.000 beni del valore di 2.000 ad una società “B” non correlata (ma compiacente), la quale poi rivenda per 1.100 (incassando una fee) gli stessi beni ad una società “C” di proprietà dell’Amministratore Delegato e azionista di riferimento di “A”. L’operazione, pur in assenza di vere e proprie 17 Di conseguenza, i legislatori e le autorità di regolamentazione dei vari paesi hanno avvertito la pressante necessità di contemperare due esigenze: da un lato, consentire il compimento di quelle operazioni che, seppure effettuate tra parti correlate, risultano economicamente vantaggiose per le parti coinvolte e, dall’altro lato, contrastare l’utilizzo di tali operazioni come strumento di abuso. In tale ottica, sono state seguite due fondamentali direttrici d’intervento: - subordinare il compimento delle operazioni con parti correlate al rispetto di particolari regole che, nella fase decisoria, garantiscano la razionalità e la piena tracciabilità delle decisioni assunte e che, nella fase di controllo, consentano un’adeguata attività di monitoraggio da parte degli organi del sistema di controllo interno; - stabilire specifici obblighi di trasparenza e di informativa esterna, sia di carattere ordinario/periodico (da fornirsi nelle relazioni finanziarie), sia di carattere speciale (subordinati al compimento di particolari operazioni)17. operazioni di “A” con parti correlate, condurrebbe comunque al trasferimento di risorse economiche da “A” a “C”. 17 La Consob, nel recente documento di consultazione teso all’emanazione di una nuova e più evoluta disciplina delle operazioni con parti correlate, individua tre finalità dei possibili strumenti di regolazione, che possono essere ricondotte alle due direttrici indicate nel testo (nel quale si considerano congiuntamente la prima e la terza finalità): «una prima finalità è quella di assicurare un controllo di correttezza sulle singole transazioni realizzate, vuoi di tipo preventivo, attraverso l’adozione di specifiche procedure che le società devono adottare nelle varie fasi di definizione e di approvazione delle operazioni, vuoi di tipo successivo, attraverso meccanismi di ratifica da parte di determinati organi sociali (generalmente l’assemblea) o attraverso il vaglio da parte di un’autorità pubblica (tipicamente di un giudice); - una seconda finalità è quella di favorire il controllo esterno del mercato sulle operazioni con parti correlate prevedendo specifici obblighi di trasparenza informativa più penetranti di quelli stabiliti per le altre categorie di operazioni. Questo approccio (cosiddetto market enhancing approach) punta a depotenziare le asimmetrie informative che caratterizzano le operazioni in cui la controparte delle società è strutturalmente in una posizione di privilegio informativo rispetto al mercato; - una terza finalità è quella di rafforzare i meccanismi di controllo interni alla società nella funzione di prevenire strutturalmente i rischi di fenomeni espropriativi. Tale approccio punta a rafforzare gli incentivi necessari perché i soggetti coinvolti nelle funzioni di controllo interno effettuino un’adeguata attività di monitoring sulla gestione della società al fine di garantire gli interessi degli azionisti in particolare nelle operazioni a più elevato rischio di conflitto di interesse, con un ruolo suppletivo e integrativo rispetto ai controlli pubblici e del mercato». CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, pp. 16-17. 18 Il presente lavoro si concentra sulla prima delle due direttrici, partendo dal presupposto che l’obiettivo primario in materia di operazioni con parti correlate – a nostro sommesso avviso – sia garantire che il processo decisionale che conduce al loro compimento sia assistito da adeguati presidi che ne garantiscano l’allineamento agli interessi oggettivi dell’impresa, i quali trovano la propria sintesi nel mantenimento e nel miglioramento delle condizioni di equilibrio aziendale e nello sviluppo duraturo dell’impresa stessa. In tale ottica, gli obblighi di trasparenza informativa possono essere considerati un presidio di secondo livello, in quanto si collocano inevitabilmente in una prospettiva temporale successiva al compimento delle operazioni, nonostante possano porre potenti remore all’effettuazione di operazioni scorrette18. Prima di trattare, nei prossimi capitoli, gli aspetti essenziali della complessa normativa in materia di operazioni con parti correlate e le problematiche relative alla sua applicazione ai processi decisionali delle grandi imprese, il presente capitolo fornisce un inquadramento concettuale sulle operazioni con parti correlate. Nel secondo paragrafo, si rimarcano i principali elementi di complessità che devono essere tenuti in considerazione nell’esaminare le problematiche relative la processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Dopo un breve riepilogo delle fondamentali caratteristiche della dinamica e complessa economia delle aziende e la complessità dei processi decisionali sui quali si basa la condotta aziendale, si analizzano i conflitti e gli equilibri dei diversi interessi che influenzano le decisioni aziendali, che possono condurre a decisioni conformi o non conformi all’equilibrio aziendale e al correlato criterio dell’economicità aziendale, indipendentemente dal fatto che esse implichino o meno operazioni con parti correlate. Nel terzo paragrafo, si chiarisce la collocazione delle operazioni con parti correlate nell’ambito di due delle principali aree di interesse della corporate governance: la relazione tra gli azionisti-proprietari e gli amministratoriprofessionisti e il rapporto tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale controllato». 18 Sull’indissolubile correlazione tra la correttezza gestionale e la trasparenza informativa, che costituiscono veri e propri «valori aziendali» di rilevanza strategica, si veda: V. CODA, Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto, in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam, Padova, 1997, vol. I, pp. 322-323. 19 1.2. Le operazioni con parti correlate: elementi di complessità 1.2.1. Il sistema aziendale nella sua unitaria, complessa e dinamica economia e le decisioni che ne determinano il comportamento. Le complesse dinamiche di corporate governance connesse alle operazioni con parti correlate non possono essere trattate senza rimarcare che, utilizzando le parole dell’Onida, «vana sarebbe la pretesa di studiare le operazioni di gestione nel loro significato economico, dimenticando o ignorando l’azienda, nella sua complessa e dinamica economia» 19. In tale ottica, si ritiene che l’azienda costituisca la prospettiva di osservazione privilegiata per l’osservazione del fenomeno delle operazioni con parti correlate20 e che solo dopo averne rimarcato la centralità, può essere possibile recepire – in modo critico – i contributi sull’argomento degli studiosi di altre discipline o che appartengono a una diversa matrice culturale. 19 Osserva l’Onida: «Anche nel solo aspetto economico, ogni operazione acquista il suo pieno significato unicamente nel sistema di gestione che la esprime, nel contesto economico che la regge. Ogni operazione, invero, riflette in se stessa, più o meno vivamente, l’unità e l’unicità dell’azienda nella quale ha vita. In un certo senso, si potrebbe dire, con immagine forse non eccessivamente ardita, che in ogni operazione dell’azienda è tutta l’azienda, come in ogni atto dell’uomo è tutto l’uomo. Vana sarebbe quindi la pretesa di studiare le operazioni di gestione nel loro significato economico, dimenticando o ignorando l’azienda, nella sua complessa e dinamica economia». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5. Si vedano anche le pp. 251-258 e 304-308. Secondo il Giannessi, «l’azienda è anche un sistema operativo nel senso che le operazioni da cui essa è composta non sono slegate, non hanno cioè vita autonoma, ma sono avvinte da una serie di nessi e connessi, di rapporti di causa ad effetto, di concausa e di effetto molteplice di cui non è possibile effettuare una consapevole discriminazione». E. GIANNESSI, Considerazioni critiche intorno al concetto di azienda, in AA.VV., Scritti in onore di Giordano Dell'Amore. Saggi di discipline aziendali e sociali, vol. I, Giuffrè, Milano, 1969, p. 520. Si veda anche A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, pp. 189-191. 20 In tal senso, al fine di sottolineare anche sotto il mero profilo terminologico la centralità dell’azienda nelle operazioni con parti correlate, si è ritenuto opportuno tradurre l’espressione anglosassone “related party transactions” utilizzando la preposizione “con”, piuttosto che la preposizione “fra”, così da rimarcare che si tratta di “operazioni (dell’azienda) con parti correlate”. 20 L’azienda è un «istituto economico atto a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione, la produzione o il procacciamento o il consumo della ricchezza»21. Tale definizione chiarisce i caratteri distintivi dell’azienda: - essa è un “istituto”, in quanto si atteggia come combinazione, all’interno di un unitario processo economico, di tre elementi fondamentali, tra loro coordinati e complementari: la componente reale, quella personale e quella organizzativa22; 21 G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1957, Tomo I, p.37. Secondo l’Onida, l’azienda è «un complesso economico che, sotto il nome di un soggetto giuridico ed il controllo di un soggetto economico, ha vita in un sistema continuamente rinnovantesi e mutevole di operazioni attuabili mercé una duratura, sebbene non rigida, organizzazione di lavoro, per la soddisfazione dei bisogni umani, in quanto questa richieda produzione o acquisizione e consumo di beni economici». P. ONIDA, L’azienda. Primi principi di gestione e di organizzazione, Giuffré, Milano, 1954, p.11. Il Giannessi definisce l’azienda quale «unità elementare dell’ordine economico-generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni promanante dalla combinazione di particolari fattori e dalla combinazione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata ai fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge». E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979, pp.10-11. Osserva l’Amaduzzi: «Dare una definizione sintetica dell’azienda, che nei suoi termini richiami tutti i suoi aspetti di contenuto, di soggetti che vi operano, di confini nell’ambito del mondo economico, di svolgimento evolutivo nel tempo, di aprioritismo indeterministico dei suoi piani, ecc., non è forse possibile. Perciò è opportuno tenere presente che il concetto di azienda, di primissimo ordine perché segna il campo, i confini, le parentele del nostro compito scientifico, può essere acquisito a poco a poco, mano mano che ci s’inoltra nello studio». A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978 22 Secondo l’Onida: «l’azienda, contemplata sia nella gestione che nell’organizzazione, si presenta come mobile complesso o come sistema dinamico nel quale si realizzano in sintesi vitale l’unità nella molteplicità, la permanenza nella mutabilità. L’unità nella molteplicità si rivela quando l’azienda, nel sistema delle svariatissime operazioni d’esercizio, nell’organizzazione del lavoro, nella riunione di tutti i fattori cooperanti a comuni fini, costituisce o tende a costituire un complesso esteso nello spazio e nel tempo e nel quale elementi molteplici operano avvinti da relazioni di complementarità, di connessione, d’interdipendenza (…) La sintesi di permanenza e di mutabilità, si realizza nell’azienda similmente quasi a quanto accade negli organismi viventi che perdurano nonostante l’assiduo mutare di ogni elemento costitutivo: col trascorrere del tempo tutto si rinnova o può rinnovarsi nella azienda; cose e persone possono mutare: ma la vita di relazione fra gli elementi del 21 - ha carattere “economico”, in quanto nell’azienda si prendono decisioni che consentono di adattare i mezzi scarsi a disposizione ai molteplici fini da raggiungere23; - è un istituto “duraturo”, in quanto l’azienda è destinata a vivere a lungo e a sopravvivere al di là della vita fisica delle persone e dei beni che la compongono24: le decisioni, pertanto, devono essere orientate al lungo o al lunghissimo periodo25; complesso e fra il complesso e il mondo esterno continua, finché l’azienda non si liquidi e il complesso non si dissolva.». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, pp.4-5. 23 Si può attribuire allo studioso britannico Lionel Robbins la prima rigorosa definizione dei concetti di attività economica e di scienza economica, cui egli perviene nel 1932 al termine di una rigorosa opera di sistematizzazione degli studi svolti sull’argomento. In particolare, lo Studioso sostiene che sono necessarie e sufficienti quattro condizioni affinché la condotta umana possa essere suscettibile di considerazione economica. Più precisamente, esiste aspetto economico nell’attività umana quando: 1) i fini/scopi da realizzare sono molteplici; 2) tali fini/scopi hanno differente rilevanza e sono classificabili in ordine di importanza; 3) i mezzi a disposizione sono scarsi rispetto ai bisogni da soddisfare; 4) i mezzi dono suscettibili di usi alternativi, nel senso che possono essere impiegati per soddisfare bisogni differenti. Così qualificato il concetto di attività economica, il Robbins definisce l’economia la scienza che studia il comportamento umano come relazione tra finalità e mezzi scarsi: «Economics is the science which studies human behaviour as a relationship between ends and scarce means which have alternative uses», L.C. ROBBINS, Essay on the Nature and Significance of Economic Science, Macmillan and co. , London, 1932 (disponibile online sul sito del Ludwig von Mises Institute: www.mises.org), p.15. 24 «L’azienda, nella sua vita, trascende i singoli momenti del suo operare e le sue singole molteplici manifestazioni, tutto unificando – nonostante la variabilità e la mutabilità degli elementi - in un principio vitale che sempre esige dai singoli momenti e dalle singole manifestazioni, la conservazione e il potenziamento dell’azienda, contro la frattura e l’indebolimento». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5. L’Amaduzzi sottolinea che la destinazione a durare dell’azienda è da ritenersi come un «concetto di tendenza», precisando che «non deve escludersi la fase economica della liquidazione o cessazione dell’istituto». A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, p. 26. 25 Per tutti: V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988. In particolare, osserva il Coda: «Un orientamento strategico di lungo periodo assume come valore centrale lo sviluppo dell’impresa; ma questo non può ottenersi senza un profitto dalle solide basi, che scaturisce da una superiore capacità di competere sul mercato e di attrarre risorse e che è prioritariamente destinato ad alimentare tale capacità e lo sviluppo che ne consegue. La produzione di un profitto così concepito, a sua volta, presuppone lo svolgersi di un progetto d’impresa di vasto respiro a tal fine reindirizzato, che sia l’espressione: 22 - è finalizzata al soddisfacimento, diretto o indiretto, di bisogni umani26. Seguendo un approccio di tipo «sistemico»27, capace di tener conto sia delle relazioni di complementarità, di connessione e d’interdipendenza tra i molteplici - di una continua ricerca di consonanza fondata sui principi di servizio del cliente e di rispetto e valorizzazione delle risorse; - di una costante salvaguardia dell’autonomia aziendale e dell’economicità della gestione; - di un apprendimento diffuso finalizzato ad una eccellenza di prestazioni, individuali e aziendali; - di un bisogno di trasparenza, quale si conviene ad un progetto che, per ottimizzare l’efficacia realizzativa, esige dagli interlocutori interessati un’adesione convinta e matura». Ibidem, p. 262. 26 Osserva il Caramiello: «nell’aspetto della produzione si parla di soddisfacimento indiretto dei bisogni: poiché in questa fase vengono approntati i beni che poi serviranno al soddisfacimento dei bisogni stessi. Nell’aspetto del consumo si parla di soddisfacimento diretto dei bisogni: poiché in questa fase i beni vengono destinati al soddisfacimento dei bisogni stessi (…) Possiamo dire che l’azienda è l’unità operativa mediante la quale i gruppi umani attuano la produzione dei beni, al fine del soddisfacimento dei bisogni». C. CARAMIELLO, L'azienda, alcune brevi riflessioni introduttive, Giuffrè, Milano, 1993, p. 20-21. 27 Tra i più importanti contributi che hanno concorso a sviluppare in Italia gli studi sull’azienda secondo l’approccio «sistemico», si vedano: A. AMADUZZI, Il sistema aziendale ed i suoi sottosistemi, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n.1, 1972; ID., L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978; ANT. AMADUZZI, L'analisi dei sistemi nello studio dell'equilibrio aziendale, in AA.VV., Studi di ragioneria, organizzazione e tecnica economica. Scritti in memoria di Alberto Riparbelli, Cursi, Pisa, 1975; U. BERTINI, Caratteristiche sistematiche dell'azienda moderna, in Banca Toscana. Studi e informazioni., 8-9, anno III, 1980; ID., Il sistema d'azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990; C. CARAMIELLO, L'azienda, alcune brevi riflessioni introduttive, Giuffrè, Milano, 1993; P.E. CASSANDRO, Le aziende. Principi di ragioneria, Cacucci, Bari, 1979; V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988; G. FERRERO, Impresa e management, Giuffrè, Milano, 1987; F. FONTANA, Il sistema organizzativo aziendale, Franco Angeli, Milano, 1981; E. GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria, Cursi, Pisa, 1960; G.M. GOLINELLI, L'approccio sistemico al governo dell'impresa, Cedam, Padova, 2000; C. MASINI, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979; P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971; O. PAGANELLI, Il sistema aziendale, Clueb, Bologna, 1976; P. SARACENO, La produzione industriale, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, nona edizione, 1978; S. SARCONE, L'azienda. Caratteri d'Istituto, Soggetti, Economicità, Giuffrè, Milano, 1997; S. SCIARELLI, Il sistema d'impresa. Strategie, politiche e tecniche di gestione dell'impresa industriale, Cedam, Padova, 1991; F. SUPERTI FURGA, Osservazioni sulla logica operativa dei sistemi aziendali integrati, Giuffré, Milano, 1971; G. ZANDA, La grande impresa. 23 elementi che compongono l’azienda28, sia dei rapporti che il complesso aziendale intrattiene con l’ambiente circostante29, l’azienda si definisce un sistema «aperto, finalizzato, eccessivamente complesso, probabilistico, dotato di particolari forme di regolazione e capace di influenzare l’ambiente»30. Solo concependo l’azienda come sistema, si riesce a ben capire e ad individuare quelle variabili che ne determinano il funzionamento. L’azienda è un sistema «aperto», in quanto scambia informazioni, materiali ed energia con l’ambiente che la circonda; essa non si limita a subirne passivamente le forze, ma essa è anche «capace di influenzarlo», seppure con intensità diversa a seconda della sua dimensione e delle peculiarità dei mercati in cui esplica le proprie operazioni gestionali31. Nell’approcciare allo studio dell’azienda, inoltre, occorre considerarne il carattere di «eccessiva complessità», che discende dall’elevato numero di Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974; G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1957. In proposito, va ricordato che il primo studio organico e completo sulla teoria dei sistemi si deve al Von Bertalanffy, il quale individua nel «sistema», definito come «una combinazione di parti riunite in un tutto», l’elemento unificante dell’analisi scientifica e il perno del nuovo approccio metodologico. Per la formulazione completa della teoria dei sistemi: L. VON BERTALANFFY, General System Theory. Foundations, Development, Applications, Braziller, New York, 1968 (trad. it. Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, ILI, Milano, 1971). 28 Si veda la precedente nota 19 a p. 20. 29 Sul sistema delle relazioni azienda-ambiente, si vedano: U. BERTINI, Il sistema d'azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990, p. 81 e ss; V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988, p. 11 e ss; G. FERRERO, Impresa e management, Giuffrè, Milano, 1987, cap. IV; S. SCIARELLI, Il sistema d'impresa. Strategie, politiche e tecniche di gestione dell'impresa industriale, Cedam, Padova, 1991, cap.1. Sull’evoluzione, in chiave strategica, del concetto di confine tra l’azienda e l’ambiente esterno, si veda: S. GARZELLA, I confini dell'azienda. Un approccio strategico, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 3-46. 30 G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974, p.222. Per il prosieguo, cfr. pp. 222-232. 31 Sulle scelte aziendali in relazione all’ambiente esterno, osserva il Coda che «possono essere informate a logiche di adattamento ai mutamenti ambientali in atto oppure a logiche imprenditoriali così innovative che, mentre imprimono un nuovo corso alla vita aziendale, contribuiscono alla creazione di un ambiente per certi aspetti ‘nuovo’». V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988, p. 12. Si veda anche: N. ANGIOLA, Alcune riflessioni sull'impresa come sistema aperto alla luce del recente dibattito sulla corporate governance, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 1 e 2, 2001. 24 elementi di cui essa si compone, le cui relazioni dinamiche appaiono estremamente complicate, non facilmente e completamente determinabili e non sufficientemente descrivibili. Le interazioni tra gli elementi del sistema, inoltre, non sono stabili e non si manifestano sempre e invariabilmente allo stesso modo, per cui il comportamento dell’azienda non può essere determinato o previsto in modo esatto e inequivocabile, ma solo su base «probabilistica». L’azienda è inoltre un sistema «finalizzato», dal momento che essa è creata e mantenuta in vita dall’uomo per la realizzazione di particolari obiettivi e i suoi elementi costitutivi e i suoi processi necessitano di essere impostati, organizzati, attuati e regolati in senso teleologico. In particolare, l’operare di «processi regolativi» rende possibile il conseguimento delle finalità dell’azienda, consentendole sia di far tendere i particolari comportamenti dei suoi elementi interni agli obiettivi verso i quali è orientata, sia di adattarsi ai fenomeni che si dispiegano nell’ambiente esterno. Alla base di ogni comportamento del sistema aziendale, vi è una decisione. Il processo decisorio orienta, infatti, l'azione e quest’ultima richiede il controllo, che ha lo scopo di verificare se l’azione è conforme alla decisione. Le decisioni aziendali sono alimentate dalle informazioni disponibili, che riguardano sia l’ambiente interno, sia l’ambiente esterno all’azienda32. Secondo il Dewey, il processo decisionale si articola in diverse fasi, che possono essere cosi schematizzate33: 1) individuazione del problema; 2) definizione del problema, con la raccolta di informazioni, sia all’interno che all’esterno del sistema aziendale, per capire quali siano le cause e i lineamenti del problema, con particolare attenzione agli eventuali vincoli e agli 32 Cfr., anche per il prosieguo, G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. I. Per un approfondimento sulla logica e sugli sviluppi del processo decisorio, si rinvia a: L. CASELLI, Teoria dell'organizzazione e processi decisionali nell'impresa, Giappichelli, Torino, 1966; P. MELLA, I sistemi di controllo. Dal systems thinking alla disciplina del controllo, Franco Angeli, Milano, 1999; S. SCIARELLI, Il processo decisorio nell'impresa, Cedam, Padova, 1967. 33 Cfr. J. DEWEY, How we think, D.C. Heath and co., Boston, 1936 (disponibile online sul sito www.archive.org) (trad. it. Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze, 1961); ID., Logic, the Theory of Inquiry, Henry Holt and company, New York, 1938 (disponibile online sul sito www.archive.org). 25 obiettivi; si noti che, com’è ovvio, non si può parlare di decisione se non esistono alternative ad un unico comportamento obbligato; 3) sviluppo delle soluzioni alternative che siano reputate praticabili, cioè idonee a risolvere i1 problema; 4) individuazione degli scenari associabili a ciascuna alternativa praticabile. In relazione ad ogni soluzione alternativa si tenta di determinare le presumibili conseguenze; 5) scelta dell'alternativa più conveniente in base ad un prefissato sistema di criteri. Per lo studio del processo decisionale vengono utilizzati due modelli fondamentali: - il modello della «razionalità obiettiva», che, come si dirà, risulta del tutto inadatto allo studio del comportamento aziendale; - il modello della «razionalità limitata», le cui fondamenta teoriche si rinvengono negli studi del Simon (insignito del premio Nobel per l’Economia nel 1978), cui fa capo quella che viene meglio conosciuta come la “Teoria del comportamento amministrativo”34. Nel modello della razionalità obiettiva, a cui si è ispirata la teoria economica neoclassica, il protagonista dell'azione decisionale, ovvero l'artefice delle decisioni, è il c.d. “uomo economico”. Tale soggetto ha la particolarità di essere onnisciente, perfettamente razionale e in grado di scegliere sempre l'alternativa ottima. Più precisamente, l'uomo economico individua tutti i problemi, li definisce in modo perfetto, prefigura tutte le alternative e tutte le conseguenze associabili a ciascun possibile scenario e quindi opta per l'alternativa ottima in senso oggettivo. 34 Si vedano: H.A. SIMON, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958; ID., Rational Decision Making in Business Organizations. , Nobel Memorial Lecture (disponibile sul sito della Fondazione Nobel: www.nobelprize.org), Stoccolma, 1978; ID., Causalità, razionalità, organizzazione, Il Mulino, Bologna, 1985. Si veda, inoltre: J.G. MARCHH.A. SIMON, Teoria dell'organizzazione, Edizioni di comunità, Milano, 1966. (ult. ed. Etas, 2003). Al riguardo, si menziona l’efficace analogia, proposta dal Simon, tra l’uomo che deve prendere una decisione di carattere economico e il giocatore di scacchi che deve decidere la mossa da compiere. 26 Si tratta, evidentemente, di un modello astratto, distante dalla realtà concreta e che non appare in grado di spiegare pienamente né il comportamento umano né, tanto meno, l’effettiva conduzione delle scelte aziendali35. Il modello della «razionalità limitata», sviluppato dal Simon, costituisce invece il modello di riferimento per la scienze economico-aziendali, in quanto esso dimostra un grado ben maggiore di aderenza alla realtà dei fatti ai fini dell'analisi del comportamento delle aziende. Secondo questo modello, il protagonista dell'azione decisionale è il c.d. “uomo amministrativo”, il quale, dotato di informazioni e capacità analitiche limitate, non perviene a scelte ottimali, ma sceglie l’alternativa ritenuta soddisfacente. Il suo comportamento è solo limitatamente razionale perché, di fatto, si discosta dal modello di razionalità obiettiva36. Più in dettaglio, ripercorrendo le varie fasi del processo decisionale secondo il modello della razionalità limitata, si osserva che l’uomo amministrativo37: 1) ha una limitata capacità di individuare i problemi: coglie e affronta solo alcuni dei problemi che si presentano nel corso del tempo; 2) la sua definizione dei problemi non sempre è completa, perché non dispone del tempo e dei mezzi necessari per raccogliere tutte le informazioni esistenti sul problema38; 3) non conosce tutte le soluzioni alternative, perché le capacità della sua mente e la sua immaginazione non gli consentono di identificare tutti i 35 Si tratta di limiti che permangono, secondo il Simon, anche in quelle che possono essere considerate delle evoluzioni del modello dell’uomo economico, cioè la teoria dei giochi, sviluppata dal Von Neumann e dal Morgenstern (J. VON NEUMANN-O. MORGENSTERN, Theory of games and economic behavior Princeton University Press, Princeton, 1947), e la teoria statistica delle decisioni, dovuta a Neyman, Perason, Wald e ad altri ancora. Cfr. H.A. SIMON, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958, p.25. 36 «La teoria amministrativa è squisitamente teoria della razionalità intenzionale e limitata, la teoria cioè del comportamento dell’uomo che, non avendo la possibilità di massimizzare, ricerca una soluzione sufficientemente buona». H.A. SIMON, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958, p. 21-22. 37 Cfr. G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974, p. 346-363 38 Si ricordino, in proposito, anche gli studi sula relazione tra costo delle informazioni ed inefficienza dei mercati finanziari svolti da Grossman e Stiglitz. S.J. GROSSMAN-J.E. STIGLITZ, Information and competitive price systems, in American Economic Review, vol.66, 1976, pp. 246-253; ID., On the impossibility of informationally efficient markets, in American Economic Review, vol.70, 1980, pp. 393-408. 27 comportamenti possibili. In proposito, giova ricordare che le alternative da sviluppare possono essere molteplici e che esistono fattori (tempo, disponibilità di informazioni e di risorse) che possono ostacolare lo sviluppo delle alternative e che riducono notevolmente il numero delle opzioni praticabili; l’identificazione dei vari corsi d’azione alternativi, infatti, è il prodotto di una vera e propria attività di ricerca; 4) nel determinare le presumibili conseguenze di ogni soluzione alternativa, egli incontra ostacoli assai significativi che non gli consentono di cogliere tutte le conseguenze possibile di una scelta, dal momento che esse sono potenzialmente in numero illimitato e possono manifestare i propri effetti lungo un orizzonte temporale molto lungo. 5) scelta dell'alternativa più conveniente in base ad un prefissato sistema di criteri39. In particolare, come si avrà modo di sottolineare nei capitoli successivi, le procedure aziendali in materia di processi decisionali, siano esse imposte dalla normativa o definite su base volontaria, rischiano di concentrarsi soprattutto sulla fase di scelta vera e propria, trascurando il fatto che la razionalità di tale scelta riposa soprattutto sulla qualità delle informazioni disponibili, che a sua volta discende dagli sforzi profusi nello svolgimento delle fasi precedenti dell’unitario processo decisionale. Per quanto più rileva ai fini del presente lavoro e in modo più completo, deve invece rimarcarsi che: - la razionalità di una decisione dipende dalle informazioni disponibili e reperibili; - tutte le decisioni aziendali sono caratterizzate da condizioni di incertezza e di rischio40; 39 Una volta che la scelta sia stata compiuta, essa diviene il presupposto di nuovi processi decisionali, tesi a definire gli aspetti di dettaglio relativi alla sua esecuzione. 40 Sulla definizione di rischio e sulla sua correlazione con il sistema delle decisioni, osserva il Bertini: «la rappresentazione dei fenomeni in sede di formulazione dei programmi nasce, pertanto, nella piena consapevolezza di errare; l’ipotesi che ne deriva, fondandosi su di una ‘possibilità di errore’, è cioè destinata a discostarsi dagli andamenti reali della vita aziendale. Tale possibilità di scostamento tra ipotesi e realtà costituisce il fondamento della problematica del rischio aziendale». U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi in Economia Aziendale, Cursi, Pisa, 1969 (ult. ed. 1987 per i tipi della Giuffré), p.5. Sui rischi aziendali si vedano anche: E. CAVALIERI, Variabilità e strutture d'impresa, Cedam, Padova, 1995; F. 28 - le informazioni non sono «dati» immediatamente disponibili, ma devono essere sistematicamente ricercate, create, elaborate, trasmesse; - la qualità e l’efficacia dei processi di decisione, esecuzione e controllo sono influenzate dagli obiettivi, dalle motivazioni e dalle capacità delle persone che ricoprono i vari ruoli organizzativi, dalle strutture organizzative effettivamente adottate, dagli stili di direzione sviluppati dai manager, nonché dal tipo e dalla qualità degli strumenti e delle procedure adottate per creare, ricercare, elaborare e trasmettere le informazioni, che costituiscono la materia prima delle decisioni, delle azioni e dei controlli. 1.2.2. Il conflitto e l’equilibrio dei diversi interessi che influiscono sulle decisioni aziendali. Il criterio dell’economicità e il ruolo del soggetto economico. Le decisioni aziendali sono il punto di convergenza di diversi interessi che possono tra loro collimare o essere in opposizione gli uni agli altri. Una fondamentale tassonomia degli interessi che confluiscono nelle decisioni dell’azienda viene fornita dall’Amaduzzi41, il quale, pur concentrandosi specificamente sulle decisioni inerenti le valutazioni di bilancio42, propone una classificazione che può certamente ritenersi generale e tuttora di grande attualità43. DEZZANI, Rischi e politiche d'impresa, Giuffré, Milano, 1971; F. DI LAZZARO, Il rischio aziendale. I modi per il suo fronteggiamento, Giuffré, Milano, 1990. 41 A. AMADUZZI, Conflitto ed equilibrio di interessi nel bilancio dell'impresa, Cacucci, Bari, 1957. 42 Si ricordi che, all’epoca, in assenza di criteri di valutazione codificati come gli attuali, la redazione del bilancio presentava ambiti di discrezionalità molto rilevanti per gli amministratori. 43 Lo stesso Amaduzzi osserva: «I vari gruppi di interessi influiscono, secondo le proprie esigenze, sulla condotta unitaria dell’amministrazione aziendale e cioè, prima che sui processi della rilevazione economico amministrativa (conti e bilanci), sulle operazioni della gestione e sugli accorgimenti dell’organizzazione», Ibidem, p. 18. 29 Lo Studioso effettua una fondamentale distinzione tra: - interessi «oggettivi», «che sono dettati dalla necessità di mantenimento delle condizioni di equilibrio aziendale, ed in genere dalla necessità del buon governo dell’azienda»44; - interessi «soggettivi», cioè «quelli che fanno capo a persone o a gruppi di persone che prestano la loro opera nell’azienda o che, dal di fuori, si interessano del posto che l’azienda può occupare nel sistema sociale. Sono interessi, questi ultimi, che non hanno il loro fondamento in un fenomeno oggettivo dell’azienda, (…), ma nelle vedute e nelle aspirazioni di persone»45, «avulse da una logica oggettiva ma intonate ad esigenze di classi, di persone». Nel chiarire la differenza tra interessi oggettivi dell’azienda e interessi soggettivi, l’Amaduzzi precisa che gli interessi obiettivi dell’azienda sono sempre «curati da persone» e che «le stesse persone, insieme ad altre, protagoniste dirette od indirette del mondo aziendale, possono avere loro interessi particolari da porre in giuoco nell’amministrazione dell’azienda, (…) interessi che possono non essere in contrasto con quelli obiettivi (…), ovvero che possono essere in contrasto, almeno immediato, con gli interessi obiettivi»46. Egli sottolinea altresì che «gli interessi che giuocano in equilibrio od in conflitto tra loro, possono poi essere spaziali e temporali, a seconda che il loro peso venga avvertito nella simultaneità o nella successione del tempo»47. La tassonomia proposta dall’Amaduzzi può essere rappresentata nel modo seguente: 44 Ibidem, p. 13. Ibidem, p. 14. 46 Ibidem, p. 15. 47 Ibidem, p. 16. 45 30 Figura 1.- Interessi che influiscono sulle decisioni dell’impresa48 Conformi alle condizioni di equilibrio aziendale Interessi oggettivi dell’azienda Conformi alle condizioni di equilibrio aziendale Interessi che influiscono sulle decisioni aziendali di persone dell’azienda Contrari alle condizioni di equilibrio aziendale Interessi soggettivi di persone ed enti estranei all’azienda Conformi alle condizioni di equilibrio aziendale Contrari alle condizioni di equilibrio aziendale In proposito, si sottolinea l’importanza del concetto di «equilibrio aziendale», che oltre a qualificare gli interessi «oggettivi», rappresenta un fondamentale elemento di distinzione dei vari interessi soggettivi che intervengono sulle decisioni d’impresa. L’equilibrio aziendale poggia sulle fondamentali condizioni dell’«equilibrio economico», da intendersi come l’attitudine della gestione aziendale a generare, almeno nel medio-lungo termine, un flusso di ricavi che sia in grado di rimunerare tutti i fattori produttivi posti in posizione contrattuale e di lasciare un congruo margine per la remunerazione anche del fattore produttivo posto in posizione residuale, e della «realizzazione di un’adeguata potenza finanziaria», cioè la capacità di coprire pienamente, continuamente e convenientemente il fabbisogno finanziario collegato ai tempi di attesa, più o meno lunghi, necessari per conseguimento degli sperati frutti economici della gestione49. Il concetto di equilibrio aziendale definisce il fondamentale criterio dell’economicità, che consente di giudicare la convenienza a iniziare e/o a continuare una certa iniziativa/attività imprenditoriale, nonché la validità economico finanziaria dei progetti di investimento50. 48 Elaborazione dello schema proposto dall’Amaduzzi. Ibidem, p.17 Cfr. P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971 , pp. 55-62 e G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. IX. 50 Cfr. G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. IX. Sul criterio di economicità si rinvia a: A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle 49 31 I diversi interessi soggettivi che intervengono nelle decisioni aziendali, siano essi di persone interne all’azienda ovvero di persone o enti esterni, possono essere ispirati ad obiettivi conformi o contrari alla salvaguardia e al miglioramento dell’equilibrio aziendale e possono pertanto indurre comportamenti ispirati o meno al criterio dell’economicità aziendale. In tale contesto, assume rilevanza fondamentale il ruolo del c.d. soggetto economico, cioè «la persona o il gruppo di persone che di fatto ha ed esercita il supremo potere nell’azienda, subordinatamente solo ai vincoli d’ordine giuridico e morale ai quali deve o dovrebbe sottoporsi»51. Il soggetto economico, che detiene la capacità, la volontà e il potere di governare l’azienda52, è il massimo artefice del comportamento aziendale e, nelle proprie decisioni, si trova a tenere conto dei molteplici interessi che gravitano intorno all’impresa53. sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, pp.192-215; E. BORGONOVI, Introduzione all'economia delle amministrazioni pubbliche, Giuffré, Milano, 1984, p. 25 e 79; G. BRUNETTI, L'economicità il reddito e il capitale, in G. AIROLDI-G. BRUNETTI-V. CODA, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994, p.174 e ss; P.E. CASSANDRO, Sul concetto di economicità aziendale, in Scritti Vari (1929-1990), vol. II, Cacucci, Bari, 1980; C. MASINI, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979, p. 240 e ss; P. ONIDA, L'economicità dell'impresa, in AA.VV., Studi di Tecnica economica, Organizzazione e Ragioneria pubblicati in memoria del prof. Gaetano Corsani, Cursi, Pisa, 1966, p.. 205 e ss.. 51 P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 22. Tra i numerosi contributi dedicati al soggetto economico, solo a titolo indicativo, si possono menzionare i seguenti: G. AIROLDI-G. BRUNETTI-V. CODA, Economia aziendale, Il mulino, Bologna, 1994, p. 94 e ss; A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, p.65 e ss; U. BERTINI, Scritti di politica aziendale, Giappichelli, Torino, 1995; G. FERRERO, Istituzioni di economia d'azienda, Giuffè, Milano, 1968, p. 48 e ss; E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979, p. 48 e ss; C. MASINI, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979, p. 41 e ss; P. SARACENO, La produzione industriale, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, nona edizione, 1978, p. 45 e ss; G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. VI; G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1957, vol. II, p. 86 e ss. Per una possibile sistematizzazione delle diverse definizioni del soggetto economico elaborate dalla dottrina economico-aziendale si veda: E. CAVALIERI-F. RANALLI, Economia Aziendale. Vol. II Aree funzionali e governo aziendale, Giappichelli, Torino, 1999, capp. 13-14. 52 G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, p. 120. 53 Sottolinea il Bruni: «Il soggetto economico volitivo, oltre che per tutelare il proprio interesse e quello oggettivo dell’impresa, si trova ad essere scomodamente arbitro di un sistema di forze dirompenti e centrifughe che, se non accuratamente composte ed equilibrate, possono 32 Come osservato dall’Amaduzzi, «l’individuazione del soggetto economico è indispensabile per intendere i motivi informatori delle operazioni economiche che a lui fanno capo e per rendersi conto di andamenti della gestione amministrativa che non potrebbero essere altrimenti compresi»54. Gli interessi del soggetto economico non necessariamente coincidono con gli interessi oggettivi dell’azienda. I giudizi di convenienza economica formulati dallo stesso, infatti, potrebbero discostarsi dal criterio di economicità aziendale, ispirato all’equilibrio della specifica azienda, e potrebbero invece considerare un criterio di economicità di tipo superaziendale, laddove il medesimo soggetto economico riunisca sotto la propria sfera di influenza più entità giuridiche55, seriamente compromettere le condizioni di esistenza dell’impresa». G. BRUNI, Contabilità per l'alta direzione. Il processo informativo funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda edizione aggiornata), Etas Libri, Milano, 1999, p. 27. 54 A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, p. 65. Sottolinea inoltre l’Amaduzzi: «La considerazione del soggetto nel cui interesse prevalente si svolge l’amministrazione dell’azienda, si manifesta di primaria importanza, nei nostri studi, anche perché l’individuazione di tale soggetto non sembra che possa coincidere con la determinazione della persona fisica i della persona giuridica, per la quale l’azienda appare istituita e retta, nei riguardi giuridici, e che assume i diritti e le obbligazioni che sorgono dalle operazioni». Ibidem, p. 66. Lo stesso concetto viene affermato dall’Onida: «La conoscenza del soggetto al quale risale il supremo ‘controllo’ dell’azienda è spesso necessaria per comprendere i fini che indirizzano l’attività della medesima e per interpretare correttamente la gestione e talora anche la stessa organizzazione. Tale soggetto, mentre da un lato ha il pieno controllo dell’azienda, dall’altro – come si è visto - può non assumere per intero e talora neanche parzialmente il rischio patrimoniale. Questa condizione non è eccezionale, ma si verifica comunemente, sia pure in vario modo, in imprese private o pubbliche». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 27. 55 Sulle peculiari dinamiche del processo decisionale e dei giudizi di convenienza economica delle operazioni tra imprese inserite in un gruppo, ci si limita, in questa sede, a fare rinvio alla vasta letteratura sull’argomento. Tra gli altri: L. AZZINI, I gruppi aziendali, Giuffré, Milano, 1975; G. BRUNETTI, Le tipologie di gruppo e la pianificazione aziendale, in AA.VV, Scritti in onore di Domenico Amodeo, Giuffrè, Milano, 1987; P.E. CASSANDRO, I gruppi aziendali, Cacucci, Bari, 1988; B. PASSAPONTI, I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, Giuffré, Milano, 1994; S. SARCONE, Gruppi aziendali. Strutture e bilanci consolidati, Giappichelli, Torino, 2000. Tra i contributi più recenti, si vedano: E. D'AMICO, Economia dei gruppi aziendali, Cedam, Padova, 2006; A. LAI, Paradigmi interpretativi dell'impresa contemporanea. Teorie istituzionali e logiche contrattuali, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 199 e ss. Si veda anche: E. DI CARLO, I gruppi aziendali tra economia e diritto, Giappichelli, Torino, 2009 33 oppure, più semplicemente, il comportamento aziendale potrebbe essere orientato agli interessi soggettivi degli individui che compongono il soggetto economico, indipendentemente dal fatto che essi siano conformi o contrari all’equilibrio aziendale. Quanto osservato aiuta a comprendere che ciò che più rileva nel giudicare le operazioni aziendali non è la controparte con la quale esse vengono concluse, bensì il loro essere conformi o contrarie all’interesse obiettivo della singola azienda, che, come anzi detto, corrisponde al mantenimento e al miglioramento della condizione di equilibrio aziendale56. Come meglio si dirà nel prossimo paragrafo, lo sviluppo economico dei paesi industrializzati è stato caratterizzato dalla diffusione e dalla definitiva affermazione del modello delle grandi imprese private, cui si è accompagnata l’evoluzione dei mercati finanziari e la loro progressiva integrazione internazionale. In tale scenario, la precisa identificazione delle persone che compongono il soggetto economico, nonché la chiara definizione degli interessi in conflitto risultano frequentemente obiettivi concretamente non raggiungibili57. 56 Osserva il Coda: «L’unico interesse sovraordinato e condivisibile è l’interesse aziendale alla sopravvivenza nel lungo periodo». V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988, p. 120. Ancora, più ampiamente: «L’impresa è un soggetto dotato di un suo fine, che non può in alcun modo confondersi e tanto meno identificarsi con le finalità dei soggetti che detengono il controllo o con i fini di qualsiasi altro soggetto coinvolto nella sua vita. Il suo fine consiste per l’appunto nella realizzazione piena della sua specifica vocazione produttiva al servizio di dati bisogni, in un contesto di regole di mercato e istituzionali che dovrebbero favorire il rispetto per il cliente/utente e l’attenzione alle sue esigenze; il rispetto e la valorizzazione delle risorse tutte – umane, finanziarie, ambientali, infrastrutturali – utilizzate; una economicità di gestione tale da assicurare il funzionamento e lo sviluppo dell’impresa», ID., Relazione presentata al seminario svoltosi a Milano l’11 maggio 1991 presso il Mediocredito Lombardo, 1991, p. 10, citato in A. D'AMICO, La funzione armonizzatrice degli interessi convergenti nell’impresa, Giappichelli, Torino, 1997, p. 73. 57 Sulle difficoltà di identificare il soggetto economico osservava già l’Onida: «Il soggetto economico può restare occulto quando non si conoscano i collegamenti intersocietari dei quali si parla. Per identificare questo soggetto, non basta sapere come siano distribuite le azioni formanti il capitale nominale della società che esercita l’azienda considerata: può essere necessario risalire a lungo, attraverso una rete più o meno districata di partecipazioni fra numerose società, per ritrovare la persona che, stando a capo del gruppo, si trova nella possibilità di controllare anche la particolare società considerata». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 27. L’argomento verrà ripreso nel capitolo dedicato ai criteri di definizione delle «parti correlate» stabiliti dallo IAS 24. 34 Tuttavia, nello studio delle decisioni aziendali e delle operazioni che ne derivano, indipendentemente dalla complessità delle strutture di governo e dell’intreccio di interessi non deve mai essere posta in secondo piano l’esistenza di interessi oggettivi della specifica azienda, connessi al mantenimento e al miglioramento delle condizioni di equilibrio aziendale e che definiscono il fondamentale criterio guida dell’economicità aziendale; inoltre, non deve essere sottovalutata l’importanza di tentare di comprendere, per quanto possibile, di quali individui si componga il soggetto economico, siano essi esponenti della proprietà, degli organi societari, della dirigenza ovvero altri soggetti, al fine di comprendere la loro influenza sulle decisioni aziendali e il rischio che queste non si ispirino al criterio dell’economicità aziendale. 1.3. La centralità delle operazioni con parti correlate nelle fondamentali dinamiche di corporate governance delle grandi imprese Nel presente paragrafo, si svolge una breve analisi della conflittualità di interessi e delle dinamiche che caratterizzano due tra le fondamentali tematiche di corporate governance: A) la separazione tra la proprietà (ossia la titolarità del capitale azionario) e l’esercizio delle prerogative del controllo societario (inteso come gestione dell’impresa); B) le relazioni tra gli azionisti che detengono il c.d. «capitale di comando» e la generalità degli altri azionisti, titolari del c.d. «capitale controllato». Preliminarmente, è bene ricordare che le due anzidette problematiche vengono ricondotte agli assetti proprietari tipici dei due principali modelli di sistema capitalistico, tradizionalmente posti in contrapposizione l’uno all’altro: il modello anglosassone – tipico degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei principali paesi del Commonwealth – e il modello renano-nipponico – proprio delle grandi Si veda anche G. BRUNI, Contabilità per l'alta direzione. Il processo informativo funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda edizione aggiornata), Etas Libri, Milano, 1999, p. 19 e ss. 35 imprese tedesche e giapponesi – al quale viene ricondotto, pur con alcune peculiarità molto rilevanti, anche il modello di capitalismo italiano. Più precisamente, i principali caratteri che definiscono il modello anglosassone, che si configura come un outsider system, sono l’elevata presenza di grandi imprese a proprietà molto frazionata, un attivo mercato per il controllo societario, fondato su borse di notevoli dimensioni (c.d. sistema market based), una forte presenza di intermediari finanziari che operano attivamente sui mercati, un atteggiamento delle pubbliche istituzioni di tendenziale non intervento nell’economia, salvo che con funzioni di vigilanza, la storica presenza di normative antitrust (che si riflette anche in una diffusa concorrenzialità dei vari mercati), nonché di disposizioni che rendono incompatibile lo svolgimento di attività creditizia e l’assunzione di partecipazioni nelle imprese58. La polverizzazione del capitale azionario, diviso tra un numero assai elevato di azionisti, conduce al fenomeno c.d. di separazione della proprietà e del controllo, che rappresenta, nel modello della grande impresa anglosassone, la principale problematica di corporate governance. Il modello di renano-nipponico di capitalismo, diversamente, è un esempio di insider system e si caratterizza per la presenza di un numero considerevole di grandi imprese, in cui alcuni azionisti detengono quote rilevanti del capitale sociale, tali da consentire loro il controllo stabile dell’assemblea e la nomina degli amministratori, per il cui tramite, essi possono esercitare il controllo sulla gestione dell’impresa. Nel modello renano-nipponico, inoltre, i mercati finanziari non sono particolarmente sviluppati, mentre gli intermediari finanziari svolgono un ruolo fondamentale (si parla anche di sistema credit based), operando come finanziatori delle imprese sia a titolo di capitale di prestito, sia a titolo di capitale di rischio, instaurando rapporti di lungo periodo59. Nel modello di grande impresa renano-giapponese, la separazione tra proprietari e manager è meno netta e la principale tematica di corporate 58 Per un approfondimento, si rinvia alla bibliografia indicata nella precedente nota 3 a p. 8. 59 Sui più recenti cambiamenti degli assetti di corporate governance giapponesi, susseguenti alla persistente crisi dell’economia, si veda: M. AOKI-G. JACKSON-M. HIDEAKI (a cura di), Corporate Governance in Japan: institutional change and organizational diversity, Oxford University Press, USA, 2008; M. NAKAMURA, Corporate governance and management practices in Japan: current issues, in Corporate Ownership & Control, vol.1, n.2, 2004, p.38 e ss.. 36 governance è rappresentata dal conflitto d’interessi tra due diverse categorie di soci: - l’azionista (o la coalizione di azionisti) in grado di dominare stabilmente l’assemblea e, indirettamente, di concorrere alle decisioni strategiche; - gli altri azionisti, detentori delle quote del c.d. «capitale controllato». Con particolare riguardo agli assetti proprietari, giova sottolineare che i più recenti studi empirici svolti su scala internazionale hanno mostrato che, anche nei paesi di tradizione anglosassone, la vera e propria public company non rappresenta il modello predominante e che, invece, nella maggior parte dei casi, è presente un azionista che detiene una quota significativa dei diritti di voto ed è dunque, presumibilmente, in grado di esercitare una significativa influenza sulle decisioni dei manager60. Il modello di capitalismo italiano, come già accennato, presenta caratteri molto particolari61: una presenza elevata di piccole e medie imprese, in cui domina il modello della gestione familiare, un numero contenuto di grandi imprese, la cui proprietà è spesso concentrata e con la prevalenza di una gestione e di un controllo di tipo familiare, un mercato finanziario storicamente poco sviluppato, con una presenza predominante degli intermediari finanziari e la sostanziale assenza di investitori istituzionali, la storica presenza dello Stato 60 Osservano Gadhoum-Lang-Young in un recente studio sulle società quotate degli Stati Uniti: «We define a corporation to have a controlling shareholder if the largest shareholder owns at least 10% of the voting shares, either directly or via a chain of other corporations with control links of at least 10%. 59.74% of listed US corporations have a controlling shareholder – a higher incidence than in Japan (58.00%), whose corporations have been stereotyped as bankcontrolled. 36.60% of US corporations are controlled by a family: about the same as in Germany (37.26%) and higher than in Japan, France or the UK. 24.57% of US corporations are controlled and managed by a family – the same as in East Asia, whose corporations have been stereotyped as family controlled and managed». Y. GADHOUM-H.P.L. LANG-L. YOUNG, Who Controls US?, in European Financial Management, vol.11, n.3, 2005, p. 340. 61 Tra i numerosi contributi sull’argomento, si menzionano: M. ALLEGRINI-S. BIANCHI MARTINI, La Corporate Governance in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Modelli e pratiche a confronto, Franco Angeli, Milano, 2006; R. CAFFERATA (a cura di), Finanza e industria in Italia. Ripensare la 'corporate governance' e i rapporti tra banche, imprese e risparmiatori per lo sviluppo della competitività, Il Mulino, Bologna, 2007; A. MELIS, Corporate governance. Un'analisi empirica della realtà italiana in un ottica europea Giappichelli, Torino, 1999; A. ZATTONI, L' assetto istituzionale delle imprese italiane, EGEA, Milano, 2004. 37 nell’economia, attraverso il controllo delle maggiori imprese nazionali, soprattutto prima delle privatizzazioni avvenute nel corso degli anni ’9062. La proprietà azionaria in Italia presenta mediamente un’elevata concentrazione dei diritti di voto, che consentono a un azionista o a una coalizioni di azionisti (tipicamente riuniti in un patto di sindacato) di detenere il controllo dell’assemblea. Molto diffusa è inoltre la presenza delle strutture di controllo c.d. «piramidali», che consentono al soggetto controllante di limitare notevolmente l’entità dell’investimento finanziario necessario per acquisire e mantenere le quote di capitale sociale necessarie al controllo. Con riferimento alle strutture proprietarie delle grandi imprese aperte italiane, si riportano nella Tabella seguente i dati relativi alla concentrazione proprietaria registrati nel decennio 1996-2006: 62 Giova ricordare brevemente come l’esperienza delle privatizzazioni condotte negli anni ’90 non abbia contribuito a diffondere il modello della public company, ma si sia risolta nel passaggio di molte delle maggiori imprese dal controllo pubblico al controllo di più o meno ristrette oligarchie private. Osserva Chiappetta: «L’intento di restituire al mercato interi comparti produttivi (…) non si è realizzato attraverso la creazione (pur fortemente auspicata) di vere public compagnie. Alla diffusione della proprietà azionaria tra piccoli risparmiatori e investitori istituzionali si è accompagnata, infatti, una nuova concentrazione della proprietà intorno a pochi azionisti di controllo». F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam, Padova, 2007, p.. 16. 38 Tabella 1. – Concentrazione proprietaria delle società italiane quotate in Borsa/MTA e MTAX dal 1996 al 2006 (situazione al 31 dicembre)63 Nella tabella precedente, si osservi che, progressivamente, grazie allo sviluppo del mercato finanziario, si è ampliata la quota di capitale diffusa sul mercato. Permane, tuttavia, quale caratteristica tipica delle grandi imprese italiane, la presenza di un azionista di riferimento, spesso rappresentato dalla famiglia storicamente proprietaria dell’impresa. Si noti anche che è progressivamente diminuita la quota detenuta dall’azionista di maggioranza e si è invece accresciuta la quota complessivamente detenuta dagli altri azionisti rilevanti, a indicazione della crescente presenza di dinamiche di tipo «coalizionale» nelle strutture di controllo. Ciò premesso, di seguito si svolge un breve approfondimento delle dinamiche di corporate governance relative al modello d’impresa a capitale diffuso e dell’impresa a capitale concentrato, con l’avvertenza che, nella concreta realtà economica, le problematiche evidenziate vengono ad intrecciarsi indissolubilmente, pur con una netta prevalenza, almeno in Italia, dei conflitti d’interessi tipici del secondo modello. 63 I dati sulla concentrazione si riferiscono alle quote del capitale ordinario. Sono definiti «azionisti rilevanti» coloro che detengono oltre il 2% del capitale ordinario. Cfr. CONSOB, Relazione per l'anno 2006, www.consob.it, Tavola A.3. La fonte dei dati è rappresentata dall’Archivio Consob sulla trasparenza proprietaria, costituito dalle comunicazioni inviate ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. 58/1998 in base al quale tutti coloro che partecipano in una società quotata italiana, in misura superiore al 2% del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto, devono darne comunicazione scritta alla società stessa e alla Consob, che diffonde tali informazioni al mercato). Sono riportati i dati fino al 2006 – con la distinzione tra MTA e MTAX (già Nuovo Mercato) - poiché nelle successive relazioni annuali la Consob non ha inserito informazioni sull’argomento. 39 1.3.1. La separazione tra proprietà e controllo nelle imprese manageriali: il conflitto d’interessi tra gli azionisti-proprietari e i managerprofessionisti La disgiunzione tra proprietà e controllo costituisce il fenomeno tipico del modello della c.d. impresa manageriale (detta anche public company o impresa matura), teorizzato inizialmente da Berle e Means nel 1932 alla luce delle evidenze empiriche del noto studio condotto sulle compagini azionarie delle 200 maggiori corporation americane64. Nel modello dell’impresa manageriale, il capitale di rischio si presenta diffuso tra un numero tanto elevato di azionisti da configurare il tramonto del modello classico di impresa capitalistica, nella quale chi detiene la proprietà del capitale esercita anche il potere di gestione. Nell’impresa manageriale, infatti, il controllo materiale degli strumenti di produzione viene ceduto in misura sempre maggiore a gruppi ristretti di professionisti, mentre gli azionisti-proprietari si limitano al ruolo di meri portatori di capitale, interessati esclusivamente alla percezione di un congruo dividendo. Il capitale assume la valenza di un fattore produttivo generico, mentre assume rilevanza strategica la «capacità manageriale», risorsa scarsa di cui sono portatori gli amministratori-professionisti. Come evidenziato soprattutto dalle teorie manageriali dell’impresa che si sviluppano nel corso degli anni Sessanta e Settanta65, le relazioni tra i portatori delle due risorse presentano profili di grande criticità. 64 A.A. BERLE-G.C. MEANS, The Modern Corporation and Private Property, Macmillan, New York, 1932 (ult. ed. 1999 per i tipi della Transaction Publishers). Osservano gli Autori: «Under the corporate system, (..) the position of the owner has been reduced to that of having a set of legal and factual interests in the enterprise while the group which we have called control, are in position of having legal and factual powers over it». Ibidem, p. 113. 65 Si rinvia, tra gli altri, ai seguenti studi di matrice anglosassone: J.K. GALBRAITH, The new industrial state, Houghton-Mifflin, Boston, 1962; O.E. WILLIAMSON, Managerial discretion and business behaviour, in American Economic Review, 1963; R. MARRIS, A model of managerial enterprise, in Quarterly Journal of economics, May, 1963; W.J. BAUMOL, Business behaviour. Value and growth, Harcourt, Brace & World, New York, 1967. Per un approfondimento, si veda: G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974. 40 Infatti, nelle imprese manageriali, le decisioni dei massimi dirigenti aziendali, amministratori-professionisti e non più azionisti (se non con quote minimali del capitale), tendono ad affiancare e persino ad anteporre alla massimizzazione del profitto, obiettivo caro agli azionisti «proprietari e imprenditori», la ricerca della soddisfazione della propria funzione di utilità, ad esempio attraverso la riduzione del rischio aziendale o lo sviluppo dimensionale. Di notevole interesse per lo studio delle relazioni tra proprietari e amministratori è il contributo della c.d. «agency theory»66, che si concentra sul problema dei c.d. «costi di agenzia» connessi alla gestione dell’impresa. Com’è noto, la separazione tra proprietà e controllo origina un implicito rapporto di agenzia tra un soggetto delegante (c.d «principale»), identificabile con gli azionisti-proprietari, e un soggetto delegato (c.d. «agente»), cioè i manager che gestiscono effettivamente l’impresa67. 66 Tra i maggiori contributi allo studio dei costi di agenzia si segnalano: E.F. FAMA, Agency Problems and the Theory of the Firm, in Journal of Political Economy, vol. 88, n.2, 1980, p.288 e ss; E.F. FAMA-M.C. JENSEN, Separation of ownership and control, in Journal of Law & Economics, vol.26, n.2, 1983, p. 301 e ss; M.C. JENSEN, Agency Costs of Free Cash Flow, Corporate Finance, and Takeovers, in American Economic Review, vol.76, n.2, 1986, p.323 e ss; M.C. JENSEN-W.H. MECKLING, Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure, in Journal of Financial Economicsvol. 3, n.4, 1976, p. 305 e ss. Giova osservare che il presupposto della teoria dell’agenzia, nonché dell'approccio neoistituzionalista alla teoria dell'impresa, sviluppato dal Williamson, sono gli studi sui costi di transazione svolti da Ronald Harry Coase, insignito del premio Nobel per l’economia nel 1991. Si vedano: R.H. COASE, The Nature of the Firm, in Economica, vol.4, n.16, 1937, p.386 e ss; ID., The Problem of Social Cost, in Journal of Law and Economics, vol. 3, n.1, 1960 (disponibile online http://www.sfu.ca/~allen/CoaseJLE1960.pdf), p. 1 e ss. 67 «We define an agency relationship as a contract under which one or more persons (the principal(s)) engage another person (the agent) to perform some service on their behalf which involves delegating some decision making authority to the agent. If both parties to the relationship are utility maximizers there is good reason to believe that the agent will not always act in the best interests of the principal. The principal can limit divergences from his interest by establishing appropriate incentives for the agent and by incurring monitoring costs designed to limit the aberrant activities, of the agent. In addition in some situations it will pay the agent to expend resources (bonding costs) to guarantee that he will not take certain actions which would harm the principal or to ensure that the principal will be compensated if he does take such actions. However, it is generally impossible for the principal or the agent at zero cost to ensure that the agent will make optimal decisions from the principal’s viewpoint». M.C. JENSEN-W.H. MECKLING, Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure, in Journal of Financial Economics, vol.3, n.4, p. 309. 41 Il delegante si trova in una posizione di outsider, tale da non consentirgli di disporre delle medesime informazioni sull’andamento della gestione aziendale a disposizione dell’agente (insider). Sfruttando la propria posizione di privilegio informativo, l’agente, in condizioni di incertezza, tende a prendere decisioni tese a massimizzare la propria personale utilità e negligendo, almeno parzialmente, quella del principale (c.d. problema di moral hazard dell’agente). Inoltre, il principale non è in grado di scegliere l’agente, oppure lo sceglie in modo non corretto in quanto non dispone delle informazioni necessarie per valutarne l’operato e le capacità (c.d. problema di adverse selection, tipico del principale). Il conflitto d’interessi tra i due soggetti dà luogo ad una serie di conseguenze economico-finanziarie (sul piano della dinamica degli investimenti e delle fonti, nonché dei costi e dei ricavi), che si traducono nella particolare configurazione di costo denominata «costo di agenzia», dovuto allo scostamento tra le scelte ottimali per il principale e le scelte ottimali per l’agente68. In tale contesto, le operazioni con parti correlate possono costituire un efficace strumento a disposizione dell’agente per ottenere benefici personali, diretti o indiretti, a danno degli azionisti. Possono essere ricondotte a questo ambito le operazioni c.d. in conflitto d’interessi, cioè quelle operazioni che avvengono tra l’impresa e gli amministratori stessi, ivi incluse le problematiche relative alla remunerazione degli amministratori stessi, ovvero tra l’impresa e i soggetti o gli enti che siano in qualche modo correlati agli stessi amministratori69. Proprio al fine di proteggere l’interesse degli azionisti, soggetto debole del rapporto di agenzia testé descritto, e di limitare il potere di chi governa l’impresa, le norme e i codici di autodisciplina in tema di corporate governance hanno previsto, tra l’altro, la presenza nei consigli di amministrazione di consiglieri non 68 Le componenti dei costi di agenzia possono enuclearsi come segue: i) costi di controllo, che derivano dall’attività del principale volta a monitorare l’agente; ii) costi di riassicurazione, che derivano dall’attività dell’agente finalizzata a convincere il principale che egli non prenderà delle decisioni contro il suo interesse o per assicurare il principale che lo rimborserà se il suo comportamento lo dovesse danneggiare; iii) costi residuali: derivanti dalla perdita residuale di benessere che si crea nella relazione, data l’impossibilità di conciliare perfettamente gli interessi divergenti delle parti. 69 Al riguardo, si noti che le operazioni che conducono all’espropriazione degli azionisti da parte dei manager possono assumere le forme più diverse. Al di là dei casi estremi, che il buon senso di dirigenti che si appropriano direttamente di fondi fraudolentemente sottratti all’azienda, 42 esecutivi e possibilmente indipendenti, la separazione tra il ruolo di amministratore delegato e di presidente del consiglio di amministrazione, l’istituzione di comitati con competenze specifiche per le decisioni a più elevato rischio di conflitto, la previsione di particolari procedure di comunicazione tra gli organi amministrativi e le strutture e gli organi specificamente incaricati delle funzioni di controllo interno e delle funzioni di controllo contabile. 1.3.2. Le imprese a capitale concentrato: il conflitto d’interessi tra i detentori del «capitale di comando» e del «capitale controllato» Le complesse dinamiche che caratterizzano il rapporto tra gli azionisti che detengono il c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale controllato»70 sono tipiche delle imprese c.d. «ad azionariato concentrato», nelle quali la separazione tra proprietà e controllo è meno netta rispetto alle public company, dal momento che sono presenti azionisti che - singolarmente ovvero in coalizione con altri, direttamente o indirettamente - detengono quote rilevanti del capitale sociale e 70 Al riguardo, va ricordato il pensiero dell’Onida, il quale, nel volume «Economia d’Azienda», osserva che «fra i problemi dell’organizzazione dell’impresa, accanto a quelli concernenti il lavoro (…) acquistano peso anche altri, riguardanti il capitale e in particolare il ‘capitale proprio’ o ‘di rischio’ e la difesa degli interessi dei portatori di questo capitale, contro eventuali abusi dell’amministrazione, dominata da determinati e limitati centri di potere», osservando - con particolare riguardo alle società in cui «le azioni, negoziate più o meno largamente sul mercato, sono distribuite fra soci numerosi e mutevoli» - che «avviene comunemente ... che una parte delle azioni sia posseduta da persone che non si occupano né direttamente né indirettamente della gestione sociale, non esercitano il diritto di voto nelle assemblee o cedono facilmente questo diritto per procura. Nonostante l’eguaglianza dei diritti conferiti alle azioni, i soci si dividono spontaneamente, in queste società, in due grandi categorie: soci che si valgono del possesso azionario come strumento di comando e di partecipazione attiva alla vita sociale, e soci che considerano sostanzialmente le azioni come titoli di rendita e che, lungi dal partecipare attivamente alla vita sociale, spesso non hanno neanche un’idea precisa dell’oggetto della società. Si parla in proposito, come sappiamo, di ‘capitale di comando’ e di ‘capitale controllato’. Il ‘capitale controllato’, posseduto dai soci della seconda categoria, non sempre costituisce una minoranze dell’intero capitale sociale; spesso forma una maggioranza disgregata e dispersa, alla quale si contrappone una minoranza compatta che può di fatto comandare grazie all’assenza, dalle assemblee sociali, degli azionisti formanti la suddetta maggioranza [...] In queste condizioni si pone il problema della difesa, non solo delle minoranze, ma addirittura delle maggioranze formanti il ‘capitale controllato’, contro possibili abusi da parte dei gruppi di comando», P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 234-236. 43 sono pertanto in grado di poter incidere sulla nomina degli amministratori e, per loro tramite, sulle decisioni che determinano il comportamento dell’impresa. Nelle relazioni tra azionisti di controllo e azionisti controllati si presentano, con caratteri peculiari, problemi di agenzia analoghi a quelli che, nella public company, intervengono tra azionisti e manager. In particolare, gli azionisti che detengono il controllo si trovano a disporre del potere di nominare e di controllare l’agente, con una conseguente netta diminuzione delle asimmetrie informative e dei rischi che le decisioni dell’agente possano rivolgersi al soddisfacimento delle proprie utilità personali. In altre parole, la presenza di un azionista di riferimento che sia partecipe delle decisioni aziendali, riduce notevolmente la possibilità di comportamenti opportunistici da parte dei manager professionisti71. Tuttavia, viene a porsi un nuovo fondamentale problema di corporate governance: il soggetto che detiene il controllo potrebbe sfruttare la propria posizione di vantaggio informativo (e il proprio potere decisionale) per porre in essere dei comportamenti tesi a massimizzare la propria personale utilità, che non sempre potrebbe coincidere con gli interessi oggettivi dell’impresa e, indirettamente, con quelli degli azionisti detentori del capitale controllato, che rappresentano il soggetto debole del rapporto di agenzia72. Il conflitto d’interessi in parola assume la massima intensità laddove la quota detenuta dall’azionista di comando sia molto limitata, come nei casi in cui il controllo sia ottenuto attraverso piramidi societarie, con l’emissione di categorie di azioni a voto limitato, mediante azioni con diritti speciali di voto o golden shares, oppure tramite partecipazioni societarie incrociate73. 71 Si noti che si tratta pur sempre di una riduzione del rischio, perché permangono comunque le asimmetrie informative connesse alla specializzazione e alla capacità tecnica e relazionale che è propria solo dei manager professionisti. 72 Una possibile tipologia degli azionisti di minoranza viene fornita dal Montalenti, il quale, commentando la situazione italiana, individua quattro possibili figure: - l’azionista minimo, detentore di un esiguo numero di titoli azionari, che non partecipa alle assemblee o che vi partecipa solo per curiosità o affezione personale; - l’azionista disturbatore, al quale non è possibile riconoscere un ruolo di monitoring; - l’azionista detentore di un pacchetto di qualche rilevanza, che dispone del potere di incidere sugli assetti del potere assembleare; - l’azionista di minoranza investitore istituzionale. V. P. MONTALENTI, Corporate Governance. Raccomandazioni Consob, in Rivista delle società, n.4, 1997. 73 Numerosi studi sono stati condotti sui meccanismi che consentono la negazione del fondamentale principio noto come “one share-one vote”, sulla base della sistematizzazione operata da S.J. GROSSMAN-O.D. HART, One share - One vote and the market for corporate control, in Journal of Financial Economics, col. 20, n.1/2, 1988, p. 175 e ss. 44 In simili circostanze, si riduce notevolmente l’interesse delle minoranze di controllo a massimizzare il valore delle azioni e i flussi di dividendi, dal momento che esse potrebbero ritrarne benefici molto limitati, in ragione dell’esigua partecipazione azionaria detenuta74. Invece, le minoranze di controllo potrebbero tendere a sfruttare la loro posizione di dominio, seppure mediato dai manager, per appropriarsi della ricchezza prodotta dall’azienda, ponendo in essere le c.d. operazioni di tunneling, che, secondo una tipologia condivisa dalla letteratura internazionale75, possono suddividersi in due principali categorie: i) le c.d. self-dealing transactions; ii) le c.d. diluitive transactions. Le c.d. self-dealing transactions prevedono la vera e propria appropriazione di risorse aziendali da parte di chi esercita il controllo. Esse non necessariamente avvengono tramite veri e propri furti o frodi, ma possono assumere le forme più varie, presentandosi, tipicamente, proprio come operazioni dell’azienda con parti correlate a chi detiene il controllo. Nel citato studio di Johnson-La Porta-Lopez de Silanes-Shleifer si forniscono alcuni esempi: la società potrebbe cedere asset o stipulare contratti a valori vantaggiosi per l’azionista di controllo, remunerare eccessivamente gli azionisti di controllo che ricoprono posizioni apicali all’interno dell’impresa, concedere garanzie agli azionisti di controllo (o a società da essi controllate o a essi collegate), consentire lo sfruttamento in altri contesti aziendali di idee e opportunità d’investimento originatesi all’interno dell’impresa (si pensi alla scoperta di un nuovo prodotto innovativo, che potrebbe essere commercializzato da un’altra impresa in cui gli azionisti di controllo detengono una quota totalitaria del capitale sociale). 74 Nel trattare gli effetti delle deviazioni dalle regole one share-one vote, il Ferrarini osserva che «le minoranze di controllo (a differenza delle maggioranze) non internalizzano la maggior parte degli effetti delle loro decisioni sul valore delle azioni, in quanto la loro partecipazione può rappresentare solo una piccola frazione dei diritti ai flussi di cassa della società». G. FERRARINI, Un'azione-un voto: un principio europeo, in Rivista delle società, 2006, p.37. 75 Si veda S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE SILANES-A. SHLEIFER, Tunneling, in American Economic Review, vol.90, n.2, p.22 e ss. Si ricordi che le operazioni di tunneling ricadono nella più ampia categoria dei c.d. benefici privati del controllo, rappresentandone la componente monetaria. In proposito si veda l’interessante tipologia dei benefici privati del controllo proposta da Ehrhardt e Nowak che, includendo anche i benefici privati non pecuniari, tiene conto del diverso grado di trasferibilità degli stessi. O. EHRHARDT-E. NOWAK, Private Benefits and Minority Shareholder Expropriation (or What Exactly are Private Benefits of Control?), EFA 2003 Annual Conference Paper No. 809, Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=423506 or DOI: 10.2139/ssrn.423506, 2003. 45 Tra questo tipo di operazioni è inoltre significativo distinguere tra76: - le operazioni di cash-flow tunneling, che intaccano il risultato del singolo esercizio ma non coinvolgono i fattori produttivi sui quali l’impresa fonda la propria capacità di creare valore nel lungo periodo; esempi di questo tipo di operazioni sono la compravendita di beni e servizi a prezzi che favoriscono la controparte, l’eccessiva concessione di compensi e benefits, la vendita di fattori produttivi di modesta importanza strategica; - le vere e proprie operazioni di asset tunneling, che implicano il trasferimento di fondamentali asset (tangibili e intangibili) o di interi complessi aziendali ad un prezzo non commisurato alla loro valenza strategica. Le operazioni di questo tipo si caratterizzano per danneggiare in modo significativo non soltanto i risultati dell’esercizio, ma la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa e di reddito anche negli esercizi successivi. Si noti che possono implicare sia operazioni di acquisto a prezzi significativamente superiori al valore strategico, sia vendite di asset strategici a valori esigui, al fine di favorire la controparte acquirente77. Le c.d. diluting transactions, di cui al precedente punto ii), sono operazioni dell’azionista di controllo tese all’incremento della propria quota nel capitale ordinario, in assenza di un vero e proprio trasferimento di risorse aziendali. Appartengono a questa categoria l’emissione di azioni a prezzi diluitivi (si pensi, ad esempio, alle operazioni di conferimento di beni in natura o complessi aziendali in funzionamento per valori solo parzialmente giustificati economicamente), le strategie di freezee-out e di squeeze-out delle minoranze78, l’attività di insider trading, le c.d. creeping acquisitions79. 76 La suddivisione proposta si ispira al recente contributo: V.A. ATANASOV-B.S. BLACKC.S. CICCOTELLO, Unbundling and Measuring Tunneling, U of Texas Law, Law and Econ Research Paper No. 117; ECGI - Finance Working Paper; McCombs Research Paper Series, Forthcoming, http://ssrn.com/abstract=1030529, 2008. 77 A ben vedere, a questa seconda fattispecie possono ricondursi anche tutte le operazioni che, pur non avendo ad oggetto l’acquisto o la cessione di specifici asset, sono in grado di incidere notevolmente sulle capacità dell’impresa di creare valore. Ad esempio, si pensi ad un accordo con una parte correlata che imponga all’impresa di dismettere le attività in un particolare settore che presenti prospettive favorevoli di crescita e di redditività, oppure ad un accordo che preveda un impegno, da parte dell’impresa, in un settore poco redditizio o antieconomico, ma che ricopre un’importanza strategica per chi controlla l’impresa, ad esempio per acquisire consenso da parte delle autorità politiche. 78 Sull’argomento si rinvia a: M. ROMANO, Dinamica del valore e aspetti di corporate governance negli squeeze out delle minoranze azionarie, Giappichelli, Torino, 2008. 79 Per creeping acquisitions (letteralmente acquisizioni striscianti) si intendono, con espressione icastica, i rastrellamenti di azioni sul mercato tesi ad incrementare la quota di capitale detenuta senza far scattare le eventuali soglie che eventualmente prevedano la comunicazione al mercato o l’obbligo di lanciare offerte pubbliche di acquisto. Operazioni di 46 A ben vedere, se è vero che entrambe le categorie di operazioni danneggiano i detentori del capitale controllato, solo le operazioni di tunneling del primo tipo si caratterizzano per essere sempre contrarie all’interesse oggettivo dell’impresa e non rispondenti al criterio dell’economicità aziendale. Al contrario, le operazioni del secondo tipo attengono esclusivamente al rapporto di forza tra gli azionisti, mutandolo in favore dell’azionista di controllo. In altre parole, si tratta di operazioni che non coinvolgono direttamente l’impresa e le sue risorse, bensì la composizione del suo capitale proprio (vengono dette anche operazioni di equity tunneling). Se è vero che entrambe le forme di tunneling devono essere contrastate da apposite disposizioni legislative e regolamentari, finalizzate al miglioramento dell’efficienza dei mercati finanziari, nonché alla tutela degli azionistirisparmiatori, soprattutto per le operazioni del primo tipo è interesse dell’impresa stessa dotarsi di procedure tali da impedire la sottrazione di risorse da parte dell’azionista di controllo. E, conseguentemente, risponde agli interessi obiettivi di una grande impresa – che, si rimarca, possono non coincidere con quelli dei suoi azionisti – dotarsi di un sistema di corporate governance in grado di garantire che le operazioni con parti correlate, che rappresentano proprio lo strumento privilegiato (seppure non il solo) a disposizione dell’azionista di controllo per appropriarsi delle risorse aziendali, siano sempre subordinate alla rispondenza agli interessi oggettivi dell’impresa, che siano cioè ispirate al criterio dell’economicità, pur nella consapevolezza della notevole complessità che può presentare l’applicazione di tale fondamentale criterio. Riuscire a regolamentare e a controllare l’effettuazione di operazioni con parti correlate significa sottrarre all’azionista di controllo e ai manager una delle leve fondamentali (e, forse, la principale) a disposizione degli stessi per compiere abusi ai danni dell’azienda, prima ancora che dei detentori del capitale controllato. Nei prossimi capitoli, si adotterà proprio l’ottica della singola impresa, analizzando le norme in materia di operazioni con parti correlate alla luce della loro rispondenza alla suddetta finalità. questo tipo consentono di mantenere ridotto il costo delle acquisizioni e, nell’eventualità di voler successivamente procedere al lancio di un’offerta pubblica di acquisto, fanno sì che il bidder riesca ad acquisire una certa quota aggiuntiva del capitale prima dell’offerta, ad un prezzo certamente più basso di quello dell’offerta pubblica. 47 Capitolo 2 Le operazioni con parti correlate nell’attuale quadro normativo 2.1. Considerazioni introduttive In considerazione degli assetti proprietari tipici delle grandi imprese italiane e in risposta al clamore suscitato dalle note vicende avvenute negli ultimi anni, che hanno fatto seguito a fatti analoghi accaduti in tutti i maggiori mercati finanziari internazionali, le riforme legislative e regolamentari che si sono succedute nel recente passato nel campo del governo societario si sono ispirate principalmente alla finalità di offrire la massima tutela alle minoranze e alle maggioranze detentrici del c.d. capitale controllato nei confronti dei possibili abusi compiuti dai detentori del c.d. capitale di comando o, in senso più ampio, da parte degli individui costituenti il soggetto economico, come definito nel capitolo precedente. A tal fine, il legislatore ha agito in senso duplice: da un lato, sono stati maggiormente tutelati i detentori del capitale controllato; dall’altro, sono state innalzate le limitazioni alla libertà di azione del gruppo di comando1. 1 Per un quadro d’insieme delle novità apportate al diritto societario dalla Riforma del 2003, si rinvia a N. ABRIANI-T. ONESTI (a cura di), La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto. Atti del Convegno. Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Quaderni di giurisprudenza commerciale, n.263, Giuffrè, Milano, 2004. Sulle principali novità introdotte dalla legge sul risparmio si rinvia a: ASSONIME, le nuove disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in Rivista delle società, 2006, p. 445 e ss; G. FERRARINI-P. GIUDICI, La legge sul risparmio, ovvero un potpourri della corporate governance, in Rivista delle società, 2006, pp. 573-632; P. MONTALENTI, Amministrazione, controllo, minoranze nella legge sul risparmio, in Rivista delle Con riferimento al primo aspetto, le minoranze azionarie sono state dotate di più pervasivi poteri di controllo, di più efficaci strumenti di partecipazione al governo societario, nonché di maggiori tutele a difesa del valore del proprio investimento. Ad esempio, si considerino2: - le nuove norme concernenti la nomina di amministratori e sindaci, che garantiscono la presenza nel Consiglio e nel Collegio Sindacale di almeno un componente nominato proprio dalle minoranze controllate, che nel Collegio Sindacale viene a ricoprire addirittura il ruolo di Presidente; - la rinnovata disciplina del diritto di recesso, nella quale risulta notevolmente ampliato il novero delle motivazioni che consentono all’azionista di recedere dalla società, con la previsione di un corrispettivo non più quasi simbolico e punitivo, bensì in qualche modo commisurato al valore economico dell’azienda sottostante alla partecipazione; - l’abbassamento delle soglie necessarie per la convocazione dell’assemblea, per la denuncia al collegio sindacale di eventuali fatti censurabili, per la denuncia al Tribunale ex art.2409 c.c., nonché per l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, sindaci e direttori generali; - la previsione di precisi obblighi e responsabilità in capo ai soggetti che esercitano l’attività direzione e coordinamento di società; - le significative modifiche apportate alla disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e scambio; si considerino, in particolare, le modifiche al meccanismo di calcolo del prezzo nelle offerte pubbliche di acquisto preventive e successive obbligatorie, ottenuto non più come media di più valori, ma individuato nel maggior prezzo corrisposto dall’acquirente per le azioni acquisite sul mercato, con l’effetto di corrispondere pienamente il premio di controllo anche a tutti gli azionisti di minoranza. Per quanto riguarda le limitazioni imposte alla libertà di azione del gruppo di comando, si può osservare che il legislatore è intervenuto stabilendo una disciplina più rigorosa degli assetti di amministrazione e controllo, che ha condotto ad una maggiore trasparenza e tracciabilità dei processi decisionali, e società, 2006, pp. 975-998; G. ROSSI, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Rivista delle società, 2006, pp. 1-23. 2 Ci sia consentito, anche nel prosieguo, limitare la trattazione al solo modello tradizionale di amministrazione e controllo, tenuto conto della sua largamente prevalente diffusione. 49 prescrivendo, in capo alle società, obblighi sempre più ampi e articolati in tema di comunicazione economico-finanziaria. Nel percorso di evoluzione normativa, va sottolineata la scelta del legislatore di affidare un ruolo fondamentale agli organismi di regolamentazione e di controllo (in particolare, alla Consob), attraverso la concessione di ampie deleghe su molteplici aspetti chiave delle varie novità legislative introdotte, nonché di aver dato definitiva legittimazione ai codici di autoregolamentazione redatti dalle società di gestione dei mercati regolamentati e dalle associazioni di categoria3. Al riguardo, tuttavia, occorre ricordare anche che, dopo la prima fase di generale apprezzamento per le riforme attuate dal legislatore e analogamente a quanto accaduto negli Stati Uniti a seguito dell’emanazione del Sarbanes-Oxley Act, molti osservatori hanno successivamente sottolineato l’eccessiva onerosità per le società quotate di alcuni dei provvedimenti adottati, che contribuiscono a ridurre notevolmente la convenienza a mantenere la quotazione e sulla cui concreta efficacia è stato sollevato più di un dubbio4. Nell’ottica delle aziende, la presentazione di informazioni al mercato e la proliferazione di organi e adempimenti in tema di controllo interno rappresentano dei costi certi, che occorre valutare attentamente in rapporto benefici per le imprese stesse, oltre che per le varie categorie di stakeholder5. 3 In proposito, giova rimarcare l’introduzione, mediante la L. n. 262/2005, della lettera cbis) all’art. 149, D.Lgs. 58/1998, che aggiunge ai doveri del Collegio Sindacale il compito di vigilare «sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste dai codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi». 4 Si rinvia agli interventi raccolti in: G.D. MOSCO-F. VELLA (a cura di), Imprese e investitori. Crescita, tutele, interessi. Atti del Convegno di Roma, 29 gennaio 2007, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, n. 318, Giuffré, Milano, 2008. 5 In proposito, pare significativo riportare i risultati di un recente studio condotto dall’Assonime con riferimento, tra l’altro, ai costi sostenuti dalle società quotate italiane nell’esercizio 2008, nel quale si evidenziano un valore mediano degli investimenti per l’adattamento del sistema dei controlli interni alle nuove normative pari a 290 migliaia di euro e un costo mediano annuo del sistema dei controlli pari a 633 migliaia di euro. Cfr. ASSONIME, Analisi dello stato di attuazione del Codice di Autodisciplina delle società quotate (Anno 2008), 2009, pp. 69 e ss. Nelle conclusioni, l’Assonime osserva «spicca, tuttavia, l’incremento di costi legati all’attività di nuovi organismi di controllo, costituiti via via negli ultimi anni, in risposta a una normativa alluvionale e non sempre coordinata: in particolare, quasi un terzo del totale è 50 Nel presente capitolo dopo una breve ricostruzione del percorso che ha condotto alla definizione dell’attuale quadro normativo (secondo paragrafo), se ne fornisce un quadro di sintesi, distinguendo le norme specificamente dedicate ai processi deliberativi delle operazioni con parti correlate e quelle relative alla trasparenza informativa (terzo paragrafo). Infine, si approfondisce la definizione di «parte correlata» attualmente vigente, considerata la sua importanza nel definire l’ambito della normativa (quarto paragrafo). 2.2. I percorsi seguiti dal legislatore e dalla Consob Come osservato nel capitolo precedente, le operazioni con parti correlate possono rivestire una fondamentale importanza strumentale per l’appropriazione delle risorse aziendali da parte dei soggetti che detengono il controllo delle imprese, siano essi amministratori o azionisti di controllo. I primi interventi in materia sono della Consob, la quale, a partire dal 19936, cogliendo i profili di rischio connessi alle operazioni con parti correlate, ha costituito da costi sicuramente legati a nuove normative (soprattutto il d.lgs. 231/2001). Se si considerano le sole società per cui sono disponibili informazioni su tutte le categorie di costi (organi di controllo e revisione, da un lato; costi “aggiuntivi”, si osserva che il costo del sistema dei controlli nella società mediana ha subito un incremento pari almeno al 20% (…) f) È tuttavia riscontrabile una fortissima variabilità di tali costi a livello di singola società (o di singolo gruppo): soprattutto nelle società maggiori (e nel settore finanziario, soggetto alle ulteriori spinte provenienti dalla vigilanza) i costi sono spesso sensibilmente più elevati. Gli sforzi per la compliance con le nuove normative non appaiono ovunque di uguale intensità: accanto a società che hanno effettuato spese ingenti, ne compaiono altre che hanno sostenuto spese aggiuntive di entità assai minore. (…) Non si intende mettere in dubbio l’utilità degli sforzi che, prendendo lo spunto dall’applicazione della normativa indicata, molte società hanno attuato per migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema dei controlli e per promuovere una gestione più strutturata e matura dei rischi aziendali. Non va però taciuto che tali sforzi hanno prodotto un incremento significativo di costi (talché, sovente, il “sistema 231” è diventata una delle maggiori voci di spesa attinenti al sistema dei controlli) e che una parte spesso rilevante di tali costi è legata all’attivazione di consulenze per la produzione di documentazione di base (appunto, i “modelli”) la cui efficacia rispetto allo scopo dichiarato non è garantita», Ibidem, pp. 77-78. 6 Il primo intervento della Consob sulla materia è la comunicazione n. SOC/RM/93002422 del 31 marzo 1993, nella quale l’autorità di vigilanza, fornendo alle società di revisione un’interpretazione di quali «fatti censurabili» esse dovessero comunicare al collegio sindacale, raccomandava di prestare particolare attenzione alle operazioni compiute dalle società oggetto di revisione con parti correlate, osservando che «tali operazioni possono non 51 emesso numerose comunicazioni e delibere, volte primariamente a sensibilizzare gli organi di controllo sulla tematica e ad assicurare al pubblico la massima informativa sul loro compimento e sui loro effetti 7. Nel 1999, inoltre, il codice di autodisciplina, meglio noto come «Codice Preda», emesso dal «Comitato per la corporate governance delle società quotate» indicava tra i compiti specifici del consiglio di amministrazione l’esame e l’approvazione delle «operazioni aventi un significativo rilievo economico, patrimoniale e finanziario, con particolare riferimento alle operazioni con parti correlate»8. Nella versione rivista nel 2002, inoltre, veniva inserito un intero articolo dedicato espressamente alle operazioni con parti correlate, nel quale si introduceva il concetto di «correttezza sostanziale e procedurale»9. Nel 2003, il legislatore ha effettuato un primo intervento relativamente alle operazioni tra società inserite nel medesimo gruppo, che rappresentano certamente il tipo più diffuso e consueto di operazioni con parti correlate. rispondere ai canoni della regolarità degli atti sociali» (e dare luogo, pertanto, a fatti censurabili). 7 Per un commento sul percorso di avvicinamento all’attuale assetto normativo e per l’elenco delle comunicazioni e delibere Consob, si rinvia a: A. POMELLI, Commento sub art. 2391-bis, in A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve al diritto delle società, CEDAM, Padova, 2005, p. 780-781. 8 COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di autodisciplina, 1999, principio 1.2, lettera e). Commentava sul punto il Codice: «il Comitato raccomanda che la delega agli amministratori delegati non copra, oltre alle materie riservate al consiglio dalla legge o dallo statuto, le operazioni più significative (e tra queste, in particolare, quelle con parti correlate), il cui esame e la cui approvazione rimangono nella competenza esclusiva del consiglio. In relazione alle operazioni di tal genere, il Comitato raccomanda che l’informativa all’assemblea sia sufficientemente analitica, tale da permettere la comprensione dei vantaggi, per la società, di tali operazioni». E ancora: « il Comitato raccomanda che gli organi delegati prestino particolare attenzione (fornendo una informativa mirata) alle tematiche più delicate e cioè alle operazioni atipiche, inusuali e con parti correlate. Tali operazioni, certamente legittime quando eseguite nell’interesse sociale, devono però trovare o il conforto del consiglio di amministrazione nella sua collegialità, come nel caso di quelle più rilevanti di cui all’articolo 1.2, lettera e), oppure, quando effettuate in virtù di deleghe - o, comunque, di dimensione non rilevante - devono formare oggetto di adeguata informativa a tutto il consiglio». 9 ID., Codice di autodisciplina, 2002, art. 11.1. Sul punto, commentava il Comitato: « Il riferimento alla fairness riflette le migliori pratiche internazionali, oltre a trovare corrispondenza con la nostra disciplina legislativa dei conflitti di interesse. Per fairness sostanziale si intende la correttezza dell’operazione dal punto di vista economico, quando ad esempio il prezzo di trasferimento di un bene sia allineato con i prezzi di mercato. Per fairness procedurale si intende il rispetto di procedure che mirano ad assicurare la correttezza sostanziale dell’operazione». 52 Nell’ambito della riforma del diritto societario, infatti, ha introdotto, agli att. 2497 e ss. del codice civile, la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, che ha chiarito i profili di responsabilità di chi esercita il controllo, stabilendo altresì precisi obblighi di trasparenza. Per tali operazioni, il legislatore ha riconosciuto la legittimità - alla luce dell'unitario fenomeno d'impresa sottostante - del coordinamento unitario di più entità dotate di propria individualità giuridica, nel perseguimento di un interesse, appunto, «di gruppo» interpretato in concreto dall'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento - che influenza ciascuna di esse10. Successivamente, mediante il D.Lgs. n.310/2004 (c.d. «correttivo bis» alla riforma del diritto societario), il legislatore è intervenuto sulla complessiva materia delle operazioni con parti correlate, introducendo una specifica norma nel codice civile, l’art. 2391-bis. In particolare, il legislatore ha recepito i principi fondamentali raccomandati dal codice di autodisciplina all’epoca vigente e ha stabilito i termini generali dei compiti e delle responsabilità in materia di operazioni con parti correlate degli organi di amministrazione e controllo delle «società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio»11, delle quali le società emittenti titoli quotati rappresentano certamente il tipo più significative. 10 Sull’argomento, si veda, tra gli altri: P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Rivista delle società, 2006, pp. 317-344. 11 Secondo l’art. 2325-bis c.c., «sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio sia le società con azioni quotate in mercati regolamentati, sia le società con azioni diffuse fra il pubblico in maniera rilevante». Oltre alle società quotate, dunque, sono soggette alla disciplina stabilità dall’art. 2391-bis anche le c.d. «società con azioni diffuse fra il pubblico in maniera rilevante». Si tratta di una categoria che, all’art. 2-bis del Regolamento Emittenti, la Consob definisce nel modo seguente: «1. Sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali, contestualmente: (a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%; (b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell'articolo 2435-bis, primo comma, del codice civile. 2. I limiti di cui al comma precedente si considerano superati soltanto se le azioni alternativamente: (i) abbiano costituito oggetto di una sollecitazione all'investimento o corrispettivo di un'offerta pubblica di scambio; (ii) abbiano costituito oggetto di un collocamento, in qualsiasi forma realizzato, anche rivolto a soli investitori professionali come definiti ai sensi dell'articolo 100 del TUF; (iii) siano negoziate su sistemi di scambi organizzati con il consenso dell'emittente o del socio di controllo; (iv) siano emesse da banche e siano acquistate o sottoscritte presso le loro sedi o dipendenze. 3. Non si considerano emittenti diffusi quegli emittenti le cui azioni sono soggette a limiti legali alla circolazione riguardanti anche l'esercizio dei diritti aventi contenuto patrimoniale, ovvero il cui oggetto sociale prevede 53 L’approccio del legislatore è stato estremamente cauto e, comprendendo la delicatezza e l’elevato grado di tecnicità della materia, ha previsto un’ampia delega alla Consob per la statuizione dei principi generali relativi alle «regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate». In una prima fase, la Consob ha utilizzato solo parzialmente la delega conferita, limitandosi sostanzialmente solo a fornire la definizione delle «parti correlate» e occupandosi soprattutto di precisare i contenuti e le modalità dell’informativa al mercato, più che del vero e proprio processo decisionale. Nel marzo 2006, nell’assenza della regolamentazione Consob, il Comitato per la Corporate Governance della Borsa Italiana ha pubblicato una nuova versione del codice di autodisciplina, in cui vengono forniti alcune indicazioni sulle regole da adottare ai sensi dell’art. 2391-bis. Nell’aprile 2008, al termine di un processo durato circa un anno, la Consob ha presentato una prima proposta di regolamentazione in materia di operazioni con parti correlate, sottoponendola ai commenti degli operatori12. esclusivamente lo svolgimento di attività non lucrative di utilità sociale o volte al godimento da parte dei soci di un bene o di un servizio. 4. Sono emittenti obbligazioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un numero di obbligazionisti superiore a duecento». La Consob cura periodicamente l’aggiornamento di un apposito «Elenco degli emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante». Nell’ultimo aggiornamento disponibile, relativo alla data del 1.2.2009 e avvenuto a mezzo della Delibera n. 16804, si tratta di n. 90 società, quasi esclusivamente casse di risparmio e altri istituti finanziari a carattere territoriale. 12 CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008. Nel documento, la Consob spiega le ragioni del differimento dell’intervento regolamentare: « la Consob ha ritenuto opportuno dare attuazione alla delega contenuta nell’art. 2391-bis c.c. una volta completato il quadro regolamentare di attuazione della c.d. riforma per la tutela del risparmio introdotta con la legge n. 262 del 28 dicembre 2005 e da ultimo modificata con il d.lgs n. 303 del 29 dicembre 2006 (c.d. decreto Pinza) - al fine di poter disporre di un contesto normativo della disciplina societaria sufficientemente stabile e organico nel quale inserire le disposizioni regolamentari in materia di operazioni con parti correlate. In particolare si è ritenuto opportuno definire preliminarmente le misure attuative delle nuove disposizioni introdotte dalla riforma in materia di elezione e composizione degli organi di amministrazione e controllo, anche in considerazione del ruolo che essi sono chiamati a svolgere nel dare concreta attuazione ai principi fissati dalla Consob. L’art. 2391-bis, infatti, attribuisce un ruolo essenziale alla autoregolamentazione delle singole società le quali, attraverso gli organi amministrativi e nel 54 Le difficoltà incontrate dalla Consob nel procedere alla regolamentazione delegata dal legislatore – testimoniate dal numero e dal tenore dei commenti al documento di consultazione, di cui si dirà brevemente nell’ultimo capitolo – costituiscono una evidente conferma di quanto possa essere notevole l’impatto delle norme sulle operazioni con parti correlate per il funzionamento delle grandi imprese. A oltre un anno dalla chiusura della consultazione, probabilmente anche in considerazione della difficile fase vissuta dai mercati finanziari e dall’economia reale a partire dalla seconda metà del 2008, che ha certamente influito sulle priorità dell’intervento normativo, la proposta di regolamentazione non è stata ancora resa definitiva13. Da ultimo, in ordine temporale, si segnala l’introduzione da parte del legislatore, in attuazione della direttiva 2006/46/CE, del punto 22-bis) dell’art. 2427 del codice civile. La norma in parola, che si applica a tutte le società per azioni, anche non quotate, prevede alcuni obblighi di informativa in materia di operazioni con parti correlate, seppure limitati alle sole operazioni «rilevanti» e che «non siano state concluse a normali condizioni di mercato. 2.3. La normativa vigente in materia di operazioni con parti correlate: quadro di sintesi La normativa sulle operazioni con parti correlate si presenta notevolmente articolata, dal momento che, per le operazioni in parola, alle disposizioni normative generali in materia di amministrazione e controllo delle società per azioni si aggiungono non soltanto alcune specifiche disposizioni di legge, presenti in parte nel codice civile e in parte nel D.Lgs. n. 58/1998, ma anche alcune norme regolamentari emanate dalla Consob, nonché le raccomandazioni, comunicazioni e circolari trasmesse dalla stessa autorità di controllo al fine di integrare e interpretare il quadro normativo vero e proprio. In proposito, può osservarsi che la notevole complessità delle problematiche connesse alle operazioni con parti correlate e, più in generale, ai conflitti quadro dei principi generali determinati dalla Consob, devono stabilire regole puntuali e dettagliate in materia. 13 Nell’agosto 2009, successivamente alla stesura del presente lavoro, la Consob ha proceduto a mettere in consultazione una nuova e riveduta proposta di regolamentazione, che ha apportato alcune significative semplificazioni rispetto alla precedente proposta, pur mantenendone l’impostazione generale. 55 d’interesse che caratterizzano gli assetti di governance delle grandi imprese, si riflette anche sulla normativa in materia, che appare oltremodo articolata, poco sistematizzata, difficilmente comprensibile nella sua globalità e, sotto alcuni aspetti, aperta a molteplici interpretazioni. Restringendo il campo esclusivamente alle norme legislative e regolamentari espressamente dedicate alle operazioni con parti correlate e ispirando l’analisi alla massima semplificazione – nella consapevolezza di inevitabili forzature e approssimazioni – si possono enucleare due principali ambiti normativi: i) le norme che pongono particolari presidi ai procedimenti deliberativi delle operazioni con parti correlate; ii) le norme relative agli obblighi di informativa al mercato. Nei paragrafi che seguono, si riportano sinteticamente gli aspetti essenziali delle norme che possono essere ricondotte ai due ambiti individuati. 2.3.1. correlate I presidi ai procedimenti deliberativi delle operazioni con parti Le norme di legge che più rilevano nella conduzione dei processi deliberativi relativi alle operazioni con parti correlate (per il cui approfondimento si fa rinvio al terzo capitolo) sono le seguenti14: - l’art. 2391-bis del codice civile, che costituisce il fulcro della disciplina e delinea gli aspetti generali del processo di deliberazione delle operazioni con parti correlate; in particolare, all’organo amministrativo viene affidato il compito di stabilire le regole in materia, ispirate al conseguimento degli obiettivi di trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale; all’organo di controllo, invece, viene affidato il compito di vigilare sulle regole stabilite; 14 Nell’elenco proposto figurano esclusivamente le norme che si applicano alla generalità delle società con azioni quotate, mentre sono escluse le ulteriori norme previste per le imprese operanti in settori particolari, come il settore bancario e quello assicurativo. 56 - l’art. 2391 del codice civile, che disciplina i casi in cui gli amministratori si trovino a detenere un interesse, per conto proprio o di terzi, in una certa operazione della società; - gli art. 2497 e ss. del codice civile, che regolano gli aspetti fondamentali dei rapporti tra le società soggette alla medesima attività di direzione e coordinamento, che, com’è intuitivo, costituiscono anche delle parti tra loro correlate; in particolare, l’art. 2497-ter richiede che «le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione»; - l’ art. 2, comma 1, lettera h) del Regolamento Emittenti, che fornisce la definizione di parte correlata, facendo rimando al «principio contabile internazionale concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate, adottato secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002», cioè il principio contabile IAS 24 – Informativa di bilancio sulle operazioni con controparti correlate. - l’art. 150 del D.Lgs. n. 58/1998, che pone, in capo agli amministratori, precisi obblighi di informativa, a cadenza almeno trimestrale, nei confronti dell’organo di controllo, con particolare riguardo alle operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento; - l’art. 37, comma 1, lett. c) del Regolamento Mercati, che prevede che «le azioni di società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di un’altra società non possono essere ammesse alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano ove tali società: (…) c) abbiano in essere con la società che esercita la direzione unitaria ovvero con altra società del gruppo a cui esse fanno capo un rapporto di tesoreria accentrata, non rispondente all’interesse sociale. La rispondenza all’interesse sociale è attestata dall’organo di amministrazione con dichiarazione analiticamente motivata e verificata dall’organo di controllo». 57 2.3.2. Gli obblighi di trasparenza informativa Per quanto concerne l’informativa esterna sulle operazioni con parti correlate è opportuno distinguere: A) gli obblighi di informativa ordinaria/periodica; B) gli obblighi di informativa straordinaria/speciale, subordinati al compimento di operazioni di particolare rilevanza. A) Gli obblighi di informativa periodica si riferiscono al contenuto delle relazioni finanziarie (annuali e intermedie) e dei documenti che le accompagnano (in particolare, al contenuto della relazione sulla gestione15). Le norme che dettano la disciplina dell’informativa periodica, che riguarda sia gli aspetti quantitativi che alcuni aspetti qualitativi delle operazioni compiute, possono essere compendiate come segue: - il principio contabile IAS 24 “Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate”, omologato dall’Unione Europea16, che stabilisce le informazioni da fornirsi nelle relazioni finanziarie periodiche redatte secondo il modello di bilancio IAS/IFRS; - l’art. 2391-bis del codice civile, in cui il legislatore stabilisce che le regole adottate dagli amministratori per l’effettuazione di operazioni con parti correlate debbano essere descritte nella relazione sulla gestione; - l’art. 154-ter del D.Lgs. n.58/1998, che, al comma 4, prevede l’obbligo di inserire, nelle relazioni intermedie di gestione degli emittenti azioni quotate aventi l'Italia come Stato membro d'origine, «informazioni sulle operazioni rilevanti con parti correlate»; il medesimo articolo, al comma 6, attribuisce alla Consob il compito di definire quali informazioni debbano essere inserite; 15 Rientra in questo ambito anche l’informativa fornita dal Collegio Sindacale nella propria relazione annuale all’assemblea, di cui si è detto nel paragrafo precedente. 16 Si ricorda che la Commissione Europea ha recentemente messo ordine tra i regolamenti omologativi, con l’emanazione del regolamento CE/1126/2008 che ha organicamente recepito e sostituito il regolamento CE/1725/2003 e tutti gli emendamenti successivi. 58 - in proposito, l’art. 81, comma 1, del Regolamento Emittenti, modificato dalla Consob con la delibera n. 16850 dell'1.4.2009, specifica che la relazione intermedia di gestione deve contenere «un'informazione analitica: a) sulle singole operazioni con parti correlate concluse nel periodo di riferimento che hanno influito in misura rilevante sulla situazione patrimoniale o sui risultati dell'emittente; e b) su qualsiasi modifica o sviluppo delle operazioni con parti correlate descritte nelle precedenti relazioni che potrebbe avere un effetto significativo sulla situazione patrimoniale o i risultati dell'impresa»; - la delibera Consob n. 15519 del 27 luglio 2006 (“Disposizioni in materia di schemi di bilancio da emanare in attuazione dell’art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 38 del 28 febbraio 2005”), con la quale l’autorità di - vigilanza ha meglio precisato alcuni aspetti degli schemi di bilancio previsti nel modello IAS/IFRS, indicando, tra l’altro che «oltre a quanto specificatamente indicato nello IAS 1 nonché negli altri principi contabili internazionali», le società sono obbligate ad evidenziare «nei prospetti di stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario, gli ammontari delle posizioni o transazioni con parti correlate, distintamente dalle voci di riferimento. Tale indicazione può essere omessa per singole voci qualora la presentazione non sia significativa ai fini della comprensione della posizione finanziaria e patrimoniale, del risultato economico e dei flussi finanziari dell'impresa e/o del gruppo»; - la comunicazione n. 6064293 del 28 luglio 2006, nella quale vengono indicate alcune informazioni integrative in materia di operazioni con parti correlate da inserire nelle note al bilancio e nella relazioni sulla gestione. Più precisamente, la comunicazione dell’autorità di vigilanza richiede, nelle note al bilancio: a) «in aggiunta a quanto previsto dal principio contabile internazionale in materia di ‘Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate’ (IAS 24), le informazioni dell’incidenza che le operazioni o posizioni con parti correlate, così come classificate dallo stesso IAS 24, hanno sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sul risultato economico nonché sui flussi finanziari della società e/o del gruppo. Le informazioni relative alle parti correlate ed ai rapporti con esse intrattenuti devono essere accompagnate da una tabella riepilogativa di tali effetti». 59 b) l’«ammontare della posizione finanziaria netta riportando il dettaglio delle sue principali componenti e l’indicazione delle posizioni di debito e di credito verso parte correlate»17; e, nella relazione sulla gestione: c) la «descrizione delle principali operazioni atipiche e/o inusuali avvenute nel corso del periodo contabile di riferimento nonché degli effetti prodotti sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa e, nel caso di operazioni infragruppo e di operazioni con parti correlate, l’indicazione dell’interesse della società al compimento dell’operazione»; - l’art. 2497-ter del codice civile, che impone che venga dato «adeguato conto» nella relazione sulla gestione delle «decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate». - l’art. 2427, punto 22-bis) del codice civile, introdotto dal D.Lgs. n.173/2008 in attuazione della direttiva 2006/46/CE, che stabilisce, per le società che redigono il bilancio d’esercizio secondo il modello civilistico, alcuni specifici obblighi di informativa in materia di operazioni con parti correlate, seppure limitati alle sole operazioni «rilevanti» e che «non siano state concluse a 17 In proposito, la Consob specifica che per la definizione della posizione finanziaria netta le società devono fare riferimento a quanto indicato sull’argomento nella Raccomandazione del CESR del 10 febbraio 2005 "Raccomandazioni per l’attuazione uniforme del regolamento della Commissione Europea sui prospetti informativi", in cui si prevede la seguente impostazione: A. Cassa B. Altre disponibilità liquide (dettagli) C. Titoli detenuti per la negoziazione D. Liquidità (A) + (B) + (C) E. Crediti finanziari correnti F. Debiti bancari correnti G. Parte corrente dell’indebitamento non corrente H. Altri debiti finanziari correnti I. Indebitamento finanziario corrente (F)+(G)+(H) J. Indebitamento finanziario corrente netto (I) – (E) – (D) K. Debiti bancari non correnti L. Obbligazioni emesse M Altri debiti non correnti N. Indebitamento finanziario non corrente (K) + (L) + (M) O. Indebitamento finanziario netto (J) + (N) 60 normali condizioni di mercato»; in particolare, per tali operazioni, la norma richiede che vengano precisati: «l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio»18. - l’art. 153 del D.Lgs. n.58/1998, nel quale si stabilisce che l’organo di controllo debba riferire all’assemblea convocata per l'approvazione del bilancio di esercizio «sull'attività di vigilanza svolta e sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati» e nella quale - secondo la Comunicazione Consob DEM/1025564 trasmessa il 6 aprile 2001 ai Collegi Sindacali delle società quotate – devono essere indicate precise informazioni sulle operazioni con parti correlate concluse dalla società19; 18 Si riporta di seguito il testo della norma in commento: «la nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni: (…) 22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società». Si noti inoltre che il secondo comma dell’art. 2427 precisa che: «Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea». 19 In particolare, la Consob raccomanda che la relazione contenga, tra l’altro, le seguenti informazioni: «2. Indicazione dell'eventuale esistenza di operazioni atipiche e/o inusuali, comprese quelle infragruppo o con parti correlate (3); inoltre, 2.1 Per le operazioni atipiche e/o inusuali effettuate con parti correlate ovvero in grado di incidere in maniera significativa sulla situazione economico, patrimoniale e finanziaria della società, sintetica descrizione delle operazioni rilevate con l'indicazione: - delle caratteristiche delle operazioni, - dei soggetti coinvolti e della loro correlazione con l'emittente; - delle modalità di determinazione del prezzo; - degli effetti economici e patrimoniali; - delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza all'interesse della società; 2.2. per le operazioni atipiche e/o inusuali con terzi o con società infragruppo, sintetica indicazione: - delle caratteristiche delle operazioni; 61 B) Le norme che disciplinano gli obblighi di informativa straordinaria/speciale in materia di operazioni con parti correlate riguardano specifiche comunicazioni da trasmettere successivamente al compimento di operazioni con parti correlate particolarmente significative. In particolare, gli art. 71-bis e 91-bis del Regolamento Emittenti prevedono che, «in occasione di operazioni con parti correlate, concluse anche per il tramite di società controllate, che per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di realizzazione possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o sulla completezza e correttezza delle informazioni, anche contabili, relative all'emittente», debba essere pubblicato un comunicato informativo al mercato (art. 71-bis) e alla Consob (art. 91-bis) entro quindici giorni dalla loro conclusione, redatto in conformità all'Allegato 3B dello stesso Regolamento Emittenti, nel quale la Consob indica le informazioni che devono essere fornite sull’operazione (più precisamente, nello schema n.4)20; si noti tuttavia che, laddove l’operazione costituisca informazione privilegiata ai sensi dell’art. 181 del D.Lgs. n.58/199821, il predetto obbligo deve essere assolto, - delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza all'interesse della società; 2.3. per le operazioni infragruppo e con parti correlate di natura ordinaria, sintetica indicazione: - delle caratteristiche delle operazioni, fornendo per le sole operazioni con parti correlate gli effetti economici; - delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza all'interesse della società; 3. Valutazione circa l'adeguatezza delle informazioni rese, nella relazione sulla gestione degli amministratori, in ordine alle operazioni atipiche e/o inusuali, comprese quelle infragruppo e con parti correlate». 20 Per le evidenze empiriche sulla pubblicazione, da parte delle società quotate italiane, di documenti informativi sulle operazioni con parti correlate si rinvia a: CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, Appendice 3, pp. 126 e ss. 21 La norma in parola stabilisce che «per informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari». 62 invece, con una comunicazione emessa «senza indugio» ai sensi dell’art.66 del Regolamento Emittenti. 2.4. La definizione di «parte correlata»: il rinvio della normativa al principio contabile IAS 24 Il legislatore, all’art. 2391-bis del codice civile si limita a fissare le linee di indirizzo in materia di operazioni parti correlate, riservando alla potestà regolamentare della Consob la definizione degli aspetti tecnici e di maggior dettaglio della disciplina. In particolare, il legislatore non fornisce neppure delle indicazioni di massima su quali criteri debbano essere adottati per definire se un certo soggetto vada o meno considerato una parte correlata e se, conseguentemente, alle operazioni compiute con tale soggetto debbano o meno applicarsi le disposizioni in materia. La Consob, mediante la delibera n. 14990 del 14.4.2005, ha fornito la definizione di parte correlata, introducendo all’art. 2, comma 1, lettera h) del Regolamento Emittenti, un rimando al «principio contabile internazionale concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate, adottato secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002», cioè il principio contabile IAS 24 – Informativa di bilancio sulle operazioni con controparti correlate22. 22 Si noti che già in precedenza, con la comunicazione DEM/2064231 del 30 settembre 2002, la Consob aveva fornito una prima definizione di parte correlata, fondata sull’allora vigente IAS 24 (1994), pur se con alcuni adattamenti connessi alle specifiche nozioni giuridiche del diritto italiano (in particolare venivano ricondotti al nostro ordinamento i concetti di controllo, influenza notevole e familiarità). La definizione, poi abrogata, era la seguente: «Le parti correlate sono definite come segue: a) i soggetti che controllano, sono controllati da, o sono sottoposti a comune controllo con l'emittente; b) gli aderenti, anche in via indiretta, a patti parasociali di cui all'art. 122, comma 1, del D.Lgs. n. 58/98, aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto, se a tali patti è conferita una partecipazione complessiva di controllo; c) i soggetti collegati all'emittente e quelli che esercitano un'influenza notevole sull'emittente medesimo; d) coloro ai quali sono attribuiti poteri e responsabilità in ordine all'esercizio delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell'emittente; 63 La scelta della Consob di allineare l’intero impianto normativo in materia di operazioni con parti correlate ai criteri definitori previsti dallo IAS 24 è motivata, come in più sedi osservato dalla stessa autorità di vigilanza23, dalla consapevolezza che la previsione di due diverse definizioni ai fini normativi e ai fini di bilancio possa determinare inutili oneri amministrativi in capo alle società destinatarie della normativa. Preliminarmente, occorre sottolineare che la definizione posta dallo IAS 24 è finalizzata espressamente allo scopo di «assicurare che il bilancio di un’entità contenga le informazioni integrative necessarie a evidenziare la possibilità che la sua situazione patrimoniale-finanziaria ed il suo risultato economico possano essere stati influenzati dall’esistenza di parti correlate e da operazioni e saldi in essere con tali parti»24. Si evidenzia dunque una diversità tra lo scopo del principio contabile IAS 24, che si pone inevitabilmente in una prospettiva ex post di rappresentazione degli effetti di operazioni già avvenute, e la finalità delle disposizioni di cui all’art. 2391-bis, che si pongono soprattutto in una prospettiva ex ante, essendo finalizzate a garantire, oltre alla trasparenza, anche la correttezza delle operazioni di gestione effettuate con controparti correlate. e) gli stretti familiari delle persone fisiche ricomprese nelle lettere a), b), c) e d); f) i soggetti controllati dalle persone fisiche ricomprese nelle lettere b), c), d) ed e), o sui quali le persone fisiche ricomprese nelle lettere a), b), c), d) ed e) esercitano un'influenza notevole; g) i soggetti che hanno in comune con l'emittente la maggioranza degli amministratori. Ai fini di quanto disposto dalla suindicata definizione si precisa che: - per controllo si intende quello previsto dall'art. 93 del D.Lgs. n. 58/98; - per collegamento ed influenza notevole si intendono quelli previsti dall'art. 2359, comma 3, del codice civile; - tra i soggetti di cui alla lettera d) si intendono compresi i componenti degli organi sociali, i direttori generali e i dirigenti dotati di poteri conferiti dal Consiglio di Amministrazione; - per stretti familiari si intendono quelli potenzialmente in grado di influenzare la persona fisica correlata all'emittente, o esserne influenzati, nei loro rapporti con l'emittente medesimo, tra cui i conviventi; in ogni caso si considerano stretti familiari il coniuge non legalmente separato, i parenti e gli affini entro il secondo grado». 23 Da ultimo, si veda: CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, p. 59. 24 Ibidem, par. 1. 64 In proposito, si può ritenere che, anche se inserita nell’ambito di una diversa finalità, la validità della definizione proposta dallo IAS 24 non risulti pregiudicata. Una parte correlata, infatti, è definibile come tale in considerazione delle relazioni che la collegano ai soggetti che detengono il potere di influenzare le decisioni dell’azienda. Mutando la prospettiva di osservazione (ex post nello IAS 24 ed ex ante nella normativa ex 2391-bis) si modificano soltanto le modalità con le quali è possibile identificare tali relazioni: nel primo caso, l’individuazione può avvenire anche in un momento successivo al compimento dell’operazione (ad esempio, in occasione della chiusura del bilancio), nel secondo, invece, deve avvenire necessariamente in via preliminare al compimento stesso dell’operazione. Queste problematiche verranno approfondite nel terzo capitolo. Nel formulare la definizione delle «parti correlate» lo IAS 24 non si è limitato a indicare una definizione generale, ma ha stabilito alcuni precisi criteri, limitando notevolmente, seppure non completamente, gli spazi di discrezionalità dei soggetti chiamati ad applicare tali criteri (nell’originale finalità, i responsabili della redazione del bilancio). Tali criteri sono il punto di arrivo di un percorso di affinamento che lo standard setter ha iniziato nei primi anni Ottanta e che ha condotto progressivamente all’attuale formulazione, frutto dell’ultima revisione del principio, avvenuta nel 200325. 25 I primi a percepire l’opportunità di stabilire una precisa definizione delle parti correlate erano stati i revisori contabili statunitensi, al fine di delimitare meglio le loro responsabilità riguardo ad una materia tanto delicata, considerato anche il loro coinvolgimento in alcuni procedimenti giudiziari relativi a casi di frode contabile (si veda la nota 8 a p. 13). Con tale finalità, nel 1975, l’American Institute of Certified Public Acccountants aveva pubblicato uno specifico principio di revisione, lo Statement of Auditing Standard n. 6 - Related pary transactions. Nel marzo 1982, il FASB americano emana il primo principio contabile sulla materia, lo Statement of financial reporting standard No. 57 Related party disclosures. Nel marzo 1983 lo IASC pubblica l’Exposure Draft E25 Disclosure of Related Party Transactions, che si traduce nella prima versione dello IAS 24 Related Party Disclosures, approvata nel luglio 1984 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1986. Una prima significativa revisione dello IAS 24 risale al 1994, mentre l’attuale formulazione è stata oggetto di approvazione da parte dello IASB nel dicembre 2003 ed è entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2005. 65 Nel prospetto sinottico che segue si riporta sia la definizione di parte correlata fornita dal principio IAS 24 nella versione omologata in lingua inglese, che riprende esattamente il principio emanato dallo standard setter, sia la versione tradotta dall’Unione Europea in sede di omologazione. Come si dirà, la traduzione delle definizioni in lingua italiana rischia, in alcuni casi, di favorire interpretazioni erronee e di sollevare dubbi interpretativi che, alla luce dell’originale stesura formulata dallo standard setter, non hanno ragione di sussistere. Tabella 2. – La definizione di parte correlata: raffronto tra il testo in lingua inglese e il testo in lingua italiana Lingua inglese A party is related to an entity if: a) directly, or indirectly through one or more intermediaries, the party: i) controls, is controlled by, or is under common control with, the entity (this includes parents, subsidiaries and fellow subsidiaries); ii) has an interest in the entity that gives it significant influence over the entity; or iii) has joint control over the entity; Lingua italiana Una parte è correlata a un’entità se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo); ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima; o iii) controlla Si ricordi che, nel 2007, lo IASB ha avviato una procedura di consultazione finalizzata alla revisione di alcuni aspetti critici dello IAS 24, tra i quali proprio la definizione di parte correlata, che si è tradotta in due successivi Exposure Draft pubblicati nel 2007 e nel 2008 (IASB, Exposure Draft of proposed Amendments to IAS 24 Related Party Disclosures - Statecontrolled Entities and the Definition of a Related Party, 2007; ID., Relationships with the State (proposed amendments to IAS 24 Related Party Disclosures), 2008). All’epoca della redazione del presente lavoro, lo IASB non ha approvato alcuna modifica alla formulazione del 2003, pertanto nel presente lavoro si fa riferimento ad essa. Sulle modificazioni all’attuale definizione previste dallo IASB si svolgeranno alcuni approfondimenti al termine del presente capitolo. 66 Lingua inglese Lingua italiana congiuntamente l’entità; b) the party is an associate b) la parte è una società (as defined in IAS 28 collegata (secondo la definizione Investments in associates) of the dello IAS 28 Partecipazioni in entity; società collegate) dell’entità; c) the party is a joint c) la parte è una joint venture in which the entity is a venture in cui l’entità è una venturer (see IAS 31 Interests in partecipante (cfr. IAS 31 joint ventures); Partecipazioni in joint venture); d) the party is a member of d) la parte è uno dei the key management personnel dirigenti con responsabilità of the entity or its parent; strategiche dell’entità o della sua controllante; e) the party is a close e) la parte è uno stretto member of the family of any familiare di uno de<i soggetti di individual referred to in (a) or cui ai punti a) o d); (d); f) the party is an entity that is controlled, jointly controlled or significantly influenced by, or for which significant voting power in such entity resides with, directly or indirectly, any individual referred to in (d) or (e); or f) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto; o (g) the party is a postg) la parte è un piano per employment benefit plan for the benefici successivi alla fine del benefit of employees of the rapporto di lavoro a favore dei 67 Lingua inglese Lingua italiana entity, or of any entity that is a dipendenti dell’entità, o di una related party of the entity. qualsiasi altra entità a essa correlata. Nei paragrafi che seguono si analizzano i singoli criteri di correlazione previsti dal principio IAS 24, facendo ricorso ad alcuni esempi che sappiano mettere in luce quali soggetti (persone fisiche, società, ecc.) rientrino nella definizione di parti correlate fornita dallo IAS 24, nonché le eventuali problematiche che possono incontrare gli amministratori nella loro individuazione. Ad indicare la singola entità giuridica chiamata ad applicare le disposizioni di cui all’art. 2391-bis, si utilizza l’espressione «reporting entity», che, nei principi contabili IAS/IFRS, indica comunemente il soggetto che predispone il bilancio26, anche al fine di ricordare la duplice finalità con la quale gli amministratori sono chiamati ad individuare le parti correlate. Preliminarmente, tuttavia, va ricordato che, nel paragrafo 10, IAS 24 puntualizza che, nel considerare ogni «possibile relazione con una parte correlata», l’attenzione deve essere diretta alla sostanza della relazione e non alla sua mera forma giuridica27. Tale prescrizione presenta una non facile interpretazione e potrebbe indurre a pensare che lo standard setter voglia indicare che possono esistere parti correlate che non ricadano nelle condizioni 26 In proposito, occorre precisare che la definizione di «reporting entity» è stata oggetto di un discussion paper pubblicato congiuntamente dallo IASB e dal FASB nel maggio 2008, nell’ambito del progetto di convergenza tra i conceptual framework dei due standard setter. IASB, Preliminary views on an improved conceptual framework for financial reporting. The Reporting Entity. Discussion Paper, 2008. In tale documento, si propone di assegnare all’espressione un significato notevolmente più ampio rispetto a quello utilizzato nel presente lavoro. 27 Anche in questo caso è bene interpretare la traduzione italiana («Nell’esame di ciascun rapporto con parti correlate l’attenzione deve essere rivolta alla sostanza del rapporto e non semplicemente alla sua forma giuridica» ) alla luce dell’originario testo in lingua inglese: «In considering each possible related party relationship, attention is directed to the substance of the relationship and not merely the legal form», Ibidem, par. 10. Si noti che nella traduzione italiana viene meno l’aggettivo «possibile» lasciando spazio al dubbio interpretativo di cui si dirà tra poco, totalmente infondato se si guarda alla definizione nel suo testo originale. 68 dallo stesso espressamente indicate. In altre parole, potrebbe lasciare intendere che esistono parti correlate che sfuggono alla definizione fornita dallo IASB. Non è ragionevole accogliere tale interpretazione, che presupporrebbe un’implicita ammissione, da parte dello stesso standard setter, che la definizione fornita non costituisce una vera e propria definizione, ma una semplice esemplificazione (non esaustiva) delle possibili relazioni di correlazione. L’inaccettabilità di tale interpretazione appare evidente se si considera che la definizione fornita al paragrafo 9 è assolutamente categorica, non contenendo alcuna indicazione, neppure implicita, a criteri residuali di individuazione, e che lo standard setter inserisce il richiamo al principio della sostanza solo nel successivo paragrafo 10, facendo riferimento, specificamente, all’attività di «esame» delle possibili relazioni con parti correlate. In tale ottica, si ritiene che il richiamo dello IAS 24 al principio della prevalenza della sostanza sulla forma vada interpretato come l’indicazione dell’atteggiamento da tenere con riferimento agli spazi di discrezionalità concessi dai criteri stessi, di cui si dirà nel prosieguo. 2.4.1. Il criterio a.i): i soggetti controllanti, controllati e sottoposti a comune controllo Il criterio a.i) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo)». Si sottolinea preliminarmente che l’espressione indicata “fra parentesi” («ivi incluse...») rappresenta semplicemente una maggiore specificazione di quanto enunciato nella prima parte del criterio. Il riferimento al «gruppo», infatti, che potrebbe far pensare ad una qualche limitazione del criterio, magari con riferimento al più ampio bilancio consolidato esistente, costituisce solo la traduzione poco felice del testo originale in lingua inglese28, nel quale non si parla di «società del gruppo» ma di società sottoposte ad un comune controllo («fellow subsidiaries»). 28 «A party is related to an entity if: (a) directly, or indirectly through one or more intermediaries, the party: (i) controls, is controlled by, or is under common control with, the entity (this includes parents, subsidiaries and fellow subsidiaries», Ibidem, par. 9. 69 In proposito, non si dimentichi che sono proprio le operazioni con società sottoposte a comune controllo, ma escluse dal consolidamento, a rappresentare la fattispecie più rischiosa di operazioni, come si è concretamente evidenziato in modo drammatico in alcuni degli scandali finanziari dei primi anni Duemila (in particolare, nei casi Enron e Parmalat). Prima di procedere ad un esempio applicativo del criterio a.i), è necessario precisare quale sia la nozione di «controllo» da utilizzare. Al riguardo, il principio contabile IAS 24 si limita a fornire una definizione generale di controllo: «il controllo è il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali di un’entità al fine di ottenere benefici dalle sue attività»29. Nonostante il principio IAS 24 non vi faccia un esplicito rimando, per una maggiore specificazione della definizione di controllo si può fare riferimento al principio IAS 27 Bilancio consolidato e separato, tenuto conto della perfetta identità tra le definizioni generali di controllo riportate nei due principi30. Lo IAS 27 stabilisce, in estrema sintesi31, che il controllo32: 29 Ibidem, par. 9. Si osserva, infatti, che la definizione di «controllo» fornita dallo standard setter nel paragrafo 4 dello IAS 27 è identica a quella del principio IAS 24. 31 Per un approfondimento, si rinvia, tra gli altri, a: M. CASÒ, Controllo di diritto e controllo di fatto negli IFRS: le possibili interpretazioni dello IAS 27 e il comunicato dello IASB di ottobre 2005, in Rivista dei dottori commercialisti, vol. 56, n. 6, 2005; M. TALIENTO, Partecipazioni di controllo nei bilanci consolidati e separati IAS/IFRS, in Contabilità finanza e controllo, vol. 30, n. 10, 2008. 32 In particolare, lo IAS 27 stabilisce che: «Si presume che esista il controllo quando la capogruppo possiede, direttamente o indirettamente attraverso le proprie controllate, più della metà dei diritti di voto di un’entità a meno che, in casi eccezionali, possa essere chiaramente dimostrato che tale possesso non costituisce controllo. Il controllo esiste anche quando la capogruppo possiede la metà, o una quota minore, dei diritti di voto esercitabili in assemblea se essa ha: a) il controllo di più della metà dei diritti di voto in virtù di un accordo con altri investitori; b) il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali dell’entità in forza di uno statuto o di un accordo; c) il potere di nominare o di rimuovere la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è detenuto da quel consiglio o organo; o 30 70 - si presume nei casi di possesso, diretto o indiretto, di più della metà dei diritti di voto, a meno che, in casi eccezionali, possa essere chiaramente dimostrato che tale possesso non costituisca controllo33; - sussiste anche quando, indipendentemente dalla quota dei diritti di voto esercitabili in assemblea, l’entità dispone (è sufficiente il verificarsi di una soltanto delle condizioni indicate): a) del controllo di più della metà dei diritti di voto in virtù di un accordo con altri investitori; b) del potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali dell’entità in forza di uno statuto o di un accordo; c) del potere di nominare o di rimuovere la maggioranza dei membri dell’organo amministrativo; d) del potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute dell’organo amministrativo. Si osserva che, in ossequio al principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che ispira il sistema dei principi contabili IAS/IFRS, ciò che rileva, nella nozione di controllo specificata dallo IAS 27, è l’esercizio «effettivo» del controllo. d) il potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute del consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è detenuto da quel consiglio o organo». IASB, IAS 27 - Consolidated and separate financial statements, 2008, par. 13. Si ricorda che il codice civile stabilisce la nozione di controllo all’art. 2359, primo comma: «sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa». Al secondo comma precisa che «ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del comma 1° si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi». Le diverse fattispecie di controllo considerate dalla norma sono comunemente indicate come: «controllo interno (o azionario) di diritto» (sub n.1); «controllo interno (o azionario) di fatto» (sub n.2); «controllo esterno (o contrattuale)» (sub n.3) ; «controllo indiretto». 33 Ad esempio, costituiscono «casi eccezionali» le società possedute con una percentuale superiore al 50% ma sottoposte a procedure fallimentari o di amministrazione straordinaria, oppure le società possedute con una partecipazione superiore al 50% ma in cui il controllo non può essere esercitato per vincoli legislativi, ad esempio nel caso di una società che svolga la funzione di banca depositaria nell’ambito del risparmio gestito. 71 La sussistenza di tale relazione può essere valutata con certezza solo in base alle informazioni possedute da chi effettivamente esercita il controllo, mentre soggetti diversi, persino chi subisce il controllo, potrebbero non disporre delle informazioni necessarie. Ad esempio, l’esistenza di un accordo che garantisca il controllo potrebbe non necessariamente essere pubblico. Si intuisce la difficoltà, per gli amministratori chiamati ad applicare il criterio a.i), nel valutare gli assetti di controllo della propria società controllante (e delle eventuali controllanti indirette) e nell’individuare le società sottoposte a comune controllo. Tali difficoltà potrebbero divenire insormontabili laddove la catena del controllo sia particolarmente lunga, soprattutto in presenza di società situate in paesi a limitata trasparenza o di accordi di controllo strettamente riservati. Quanto osservato aiuta a comprendere perché, nei punti a.i), a.ii) e a.iii), riguardo ai concetti di controllo, influenza notevole e controllo congiunto, non sia presente alcun rimando agli specifici principi IAS 27, IAS 28 e IAS 31, in evidente contrasto con il rimando esplicito contenuto nei successivi punti b) e c) allo IAS 28 e allo IAS 31. In proposito, si ritiene che lo standard setter, ponendosi in modo molto opportuno nella prospettiva dell’organo amministrativo chiamato ad individuare le parti correlate, abbia compreso la notevole differenza tra i rapporti in cui la reporting entity ricopra una posizione in qualche modo «sovraordinata» (cioè sia essa stessa ad esercitare il controllo, l’influenza notevole o il controllo congiunto, direttamente o indirettamente) e i rapporti in cui, invece, essa si trovi in una posizione in qualche modo «subordinata» (cioè la reporting entity subisca il controllo, l’influenza notevole o il controllo congiunto da parte di altri soggetti). Nelle fattispecie riconducibili al secondo caso, l’organo amministrativo della reporting entity potrebbe non essere nella posizione per applicare in modo compiuto le definizioni di controllo, collegamento e controllo congiunto contenute nei principi IAS 27, 28 e 31, tenuto conto che detti principi si pongono nella peculiare prospettiva del soggetto che esercita il controllo, l’influenza notevole e il controllo congiunto e che tale soggetto dispone di una base informativa ben più ampia rispetto a chi tali particolari rapporti, invece, li subisce. Sul punto, in conclusione, è da ritenersi che per le nozioni di controllo, influenza notevole, controllo congiunto richiamate nei punti a.i), a.ii), a.iii), le 72 specifiche definizioni fissate dai principi IAS 27, 28 e 31 possano ritenersi degli utili riferimenti che, tuttavia, devono essere applicati tenendo conto della specifica posizione soggettiva della reporting entity e delle informazioni conoscibili dal relativo organo amministrativo. Inoltre, in analogia a quanto stabilito nei punti b) e c), che fanno esplicito riferimento agli IAS 28 e 31, si ritiene che, alle società direttamente o indirettamente controllate, è invece pienamente applicabile la nozione di controllo contenuta nello IAS 27. Alla luce di tale doverosa premessa, chiarito in che modo vada interpretato il concetto di «controllo, la Figura seguente fornisce un’esemplificazione dei possibili casi di correlazione contemplati dal criterio a.i e può aiutare a mettere in luce alcuni aspetti salienti del criterio in esame: Figura 2. - Esemplificazione criterio a.i) A C C B Legenda: C C R C D R C E Reporting entity Società correlata C Persona fisica correlata F C C Relazione di controllo Area di consolidamento G Il punto di osservazione prescelto è “R” (reporting entity), società quotata in Italia che controlla direttamente (“E” ed “F”) ed indirettamente (“G”). A sua volta, la società “R” è soggetta al controllo diretto di “C” (una società) e al controllo indiretto di “A” (una persona fisica), che controlla altre due società, “B” e “D”. Nell’esempio, tutte le società considerate e il soggetto “A” rappresentano delle parti correlate di “R” ai sensi del criterio stabilito al punto 9.a.i) dello IAS 24. 73 Le società “E”, “F” e “G” rappresentano certamente le parti correlate di più facile individuazione, dal momento che il controllo è esercitato proprio da “R”. Nonostante esista un bilancio consolidato che racchiude le informazioni sul gruppo nella sua interezza, anche le informazioni sulle operazioni compiute con le società controllate possono certamente presentare dei profili di rischio. Si ipotizzi, ad esempio, che il soggetto “A”, che controlla indirettamente l’intero gruppo, possegga direttamente anche una significativa partecipazione di minoranza nella società “F”, come indicato nella figura di dettaglio che segue (tra parentesi le quote di partecipazione detenute): Figura 3. – Esemplificazione criterio a.i). Dettaglio A (51%) C (51%) R A (51%) (49%) F Si assuma, inoltre, che tutte le società considerate siano in grado di distribuire interamente gli utili conseguiti e che non vi sia imposizione fiscale. In tali condizioni, per ogni 100 milioni di euro di dividendi distribuiti da “F”, “A” potrebbe incassare, direttamente, 49 milioni di euro, e, indirettamente, tramite “C”, una quota ulteriore di 13,3 milioni di euro34, per un totale complessivo di 62,3 milioni di euro. Per ogni 100 milioni di euro di dividendi distribuiti dalla 34 L’importo di 13,27 milioni di euro si ottiene moltiplicando i dividendi distribuiti da “F”, pari a 100 milioni di euro, per la quota detenuta indirettamente da “A” in “F” (51% x 51% x 51%=13,27%). Nell’esempio, la quota di dividendi non incassata da “A”, pari a 37,73 milioni, viene incassata dalle minoranze azionarie presenti in “R” e in “C”. 74 capogruppo “R”, invece, “A” incasserebbe una quota di 26 milioni35, ben inferiore alla precedente36. Nella situazione delineata, “A” sarebbe certamente portato ad esercitare il proprio potere di controllo su “R” e su “F” in modo tale che tra le due società vengano poste in essere delle operazioni tali da migliorare il risultato economico di “F”, a discapito di quello di “R”. In tal modo, “A” potrebbe accedere direttamente ad una quota maggiore di dividendi, a discapito delle minoranze eventualmente presenti in “R” e in “C”. Il bilancio consolidato, fornendo la scomposizione del risultato tra utile di gruppo e utile di pertinenza delle minoranze, darebbe una prima informazione importante alle minoranze sulla capacità della capogruppo di accentrare gli utili generati. Tuttavia solo l’informativa sulle operazioni con parti correlate, in questo caso infragruppo, fornita nel bilancio separato di “R”, potrebbe consentire alle minoranze di conoscere l’esistenza di “trasferimenti” a “F”. L’esempio dimostra l’importanza dell’informativa sulle parti correlate anche laddove tali operazioni avvengano tra società incluse nel medesimo bilancio consolidato e il motivo per cui lo IAS 24 include anche tali società nel novero delle parti correlate. Ma una rilevanza ancora maggiore dell’informativa sulle parti correlate sussiste laddove tali operazioni siano concluse con parti correlate esterne all’area di consolidamento, in altre parole diverse dalle società controllate (nell’esempio di cui alla Figura 2, che si limita ai soli casi contemplati dal criterio a.i, le società “B”, “C”, “D” e la stessa persona fisica “A”). In questo caso, va precisato che, come osservato in precedenza, per gli organi di amministrazione di “R” potrebbe risultare estremamente complesso – ed il più delle volte impossibile - ricostruire la mappa completa del gruppo cui “R” appartiene, dal momento che non necessariamente gli organi di amministrazione di “R” dispongono dell’autorità, dei poteri e degli strumenti di indagine necessari per raccogliere le informazioni utili a valutare la natura dei vari rapporti, identificando univocamente chi eserciti il controllo. In generale, infatti, considerata la soggezione di “R” rispetto alle società controllanti, il suo organo amministrativo, nell’attività di identificazione delle parti correlate, può 35 Il valore indicato è ottenuto nel modo seguente: 100 x (51% x 51%). In questo caso, le minoranze presenti in “C” e in “R” incasserebbero i restanti 74 milioni. 36 La sproporzione potrebbe essere anche maggiore, qualora “R” o “C” nono fossero nelle condizioni di distribuire i propri dividendi. 75 far conto solo sugli strumenti informativi che l’ordinamento giuridico gli mette a disposizione (es. i vari obblighi di trasparenza in capo alle società e alle persone fisiche che detengono il controllo di società quotate, gli obblighi inerenti l’inserimento di informazioni nel Registro delle Imprese, ecc.). Difficoltà spesso insormontabili si possono incontrare nei casi in cui il controllo sia esercitato in assenza di un significativo legame partecipativo, ad esempio nelle situazioni di presumibile controllo previste dal paragrafo 13 dello IAS 27 (accordi con altri investitori, particolari poteri di nomina, controllo di fatto degli organi di governo, …). Inoltre, anche chiarire i rapporti partecipativi delle società controllanti e di quelle sottoposte a comune controllo potrebbe presentare notevoli difficoltà, specie nei casi in cui tali società siano costituite in paesi che garantiscono una limitata trasparenza societaria. Nell’esempio precedente, si ipotizzi che “C” sia una società fiduciaria e che non sia possibile risalire all’identità di “A”. Le informazioni conoscibili dagli amministratori di “R” impedirebbe di identificare anche “B” e “D” come parti correlate (si veda la figura seguente): Figura 4. – Esemplificazione criterio a.i). Caso in cui non sia conoscibile l’identità di “A” A C Legenda: C B R C C Società fiduciaria Reporting entity Società correlata C “Schermo” societario D R C Persona fisica non identificabile C Società terza E F C C Relazione di controllo Area di consolidamento G In questo caso, le operazioni poste in essere tra “R” (o le sue controllate) e le società “B” e “D” non potrebbero ragionevolmente essere identificate 76 dall’organo di amministrazione di “R” come operazioni con parti correlate. “A” potrebbe esercitare il proprio potere di controllo tramite “C” e trasferire risorse, ad esempio, da “R” a “B”, così sfuggendo agli obblighi procedurali e informativi rafforzati previsti per le operazioni con parti correlate. La fattispecie esaminata, estremamente semplificata rispetto ai casi che concretamente potrebbero verificarsi, evidenzia alcuni primi esempi di parti correlate che l’organo di amministrazione può non essere in condizione di identificare, nonostante attivi tutti gli strumenti conoscitivi a propria disposizione37. In proposito, si ritiene che, laddove vi siano elementi tali da lasciar presupporre ragionevolmente l’esistenza di una correlazione, nonostante non ve ne possa essere piena certezza, gli amministratori dovrebbero comunque valutare l’opportunità di inserire il soggetto nel novero delle parti correlate. 2.4.2. Il criterio a.ii): i soggetti che esercitano un’influenza notevole sulla reporting entity Il criterio di cui al punto a.ii) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: (…) ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima». Tale criterio si fonda sull’identificazione delle relazioni di «influenza notevole» cui è soggetta la reporting entity. 37 Le linee guida OCSE in materia di corporate governance richiamano l’attenzione sui casi in cui vi sia alterità tra i detentori diretti delle quote di capitale e i veri e propri proprietari finali, che possono rappresentare dei significativi impedimenti alla possibilità di identificare potenziali conflitti d’interessi, transazioni compiute con parti correlate e uso illecito di informazioni privilegiate . In tali casi, l’OCSE sottolinea che le informazioni sui proprietari «sostanziali» delle azioni dovrebbero essere sempre conoscibili almeno agli enti preposti alla garanzia dell’applicazione della legge e/o nell’ambito di procedure giudiziarie. OCSE, Principi di governo societario dell'OCSE, 2004, p.37. Osserva inoltre l’OCSE: «Gli obblighi di pubblicità includono la natura della relazione, laddove esiste il controllo, e la natura e l’ammontare delle operazioni con parti correlate, raggruppate nel modo più opportuno. Data l’intrinseca opacità di molte di queste transazioni, può esser necessario imporre al loro beneficiario l’obbligo di informare della transazione il consiglio di amministrazione, il quale a sua volta dovrebbe renderle note al mercato. Questo non dovrebbe esimere la società dall’obbligo di mantenere un proprio sistema di controllo, che è una importante responsabilità del consiglio di amministrazione». Ibidem, p. 38-39. 77 I fondamentali casi di «correlazione» contemplati dal criterio di cui al punto a.ii) sono esemplificati nella Figura seguente: Figura 5. – Esemplificazione criterio a.ii) Legenda: C A C E C R C B Società correlata D IN Reporting entity Società non correlata Persona fisica correlata IN R C Relazione di controllo IN Relazione di influenza notevole Si osserva che le società “B” e “D” sono parti correlate a “R” perché in grado di esercitare direttamente su di essa un’influenza notevole, mentre la società “A” e la persona fisica “C” sono parti correlate in quanto esercitano indirettamente un’influenza notevole su “R”. “E”, pur essendo soggetta a controllo comune rispetto a “ B”, non rientra nel criterio di correlazione previsto dal punto a.ii)38. Sicuramente, la difficoltà maggiore che l’organo amministrativo può incontrare nell’identificare le parti correlate che rispondono al criterio di cui al punto a.ii) è riuscire a distinguere i casi di «influenza notevole». Riprendendo la definizione contenuta nel paragrafo 2 del principio IAS 39 28 , lo IAS 24 definisce «influenza notevole» «il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali di un’entità senza averne il controllo», con l’ulteriore precisazione, non espressamente presente nello IAS 38 E’ questa una delle fattispecie che dovrebbe essere inclusa nella nozione di correlazione al termine del processo di revisione dello IAS 24, secondo quanto indicato dallo IASB nell’Exposure Draft emesso nel 2008.Si rinvia al par. 2.4.9. 39 «L’influenza notevole è il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali della partecipata senza averne il controllo o il controllo congiunto». IASB, IAS 28 - Investments in associates, 2004, par. 2. 78 28, che «un’influenza notevole può essere ottenuta attraverso il possesso di azioni, tramite clausole statutarie o accordi»40. E’ possibile prendere a riferimento la definizione di «influenza notevole» fornita dallo IAS 28, pur tenendo conto, come già osservato in sede di commento del sub a.i), della specifica posizione soggettiva della reporting entity e delle limitate informazioni conoscibili dal relativo organo amministrativo. Secondo i criteri stabiliti dallo IAS 28, l’influenza notevole41: - si suppone in caso di possesso, diretto o indiretto (per esempio, tramite società controllate), del 20 % o di una quota maggiore dei voti esercitabili nell’assemblea della partecipata, a meno che non possa essere chiaramente dimostrato il contrario; - deve essere chiaramente dimostrata se, invece, la partecipante possiede, direttamente o indirettamente (per esempio tramite società controllate), una quota minore del 20% dei voti esercitabili nell’assemblea della partecipata. A tal fine devono essere considerate alcune circostanze, quali, ad esempio: a) la rappresentanza nel consiglio di amministrazione della partecipata; b) la partecipazione nel processo decisionale, inclusa la partecipazione alle decisioni in merito ai dividendi o ad altro tipo di distribuzione degli utili; c) la presenza di operazioni rilevanti tra la partecipante e la partecipata; d) l’interscambio di personale dirigente; o e) la messa a disposizione di informazioni tecniche essenziali. Si noti che la soglia che fa presumere l’influenza notevole, pari al 20%, è maggiore della soglia del 10% stabilità all’ultimo comma dell’art. 2359 del codice civile per le società con azioni quotate42. Nei casi di società quotate, gli amministratori possono optare prudenzialmente per tale minore soglia anche ai fini della definizione delle società che esercitano un’influenza notevole. 40 Ibidem, par. 2. Cfr. Ibidem, par. 6-7. 42 «L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati». Sul punto, si noti che anche il principio contabile FAS No. 57 considera il 10% quale soglia che lascia presumente una relazione di influenza notevole. 41 79 Considerata la specificazione fornita dallo IAS 24, affinché si possa parlare di «parte correlata» ai sensi del criterio a.ii), va verificato che l’influenza notevole sia ottenuta: - attraverso il possesso di azioni; - mediante clausole dello statuto; - mediante accordi di vario tipo. In proposito, appare difficile ipotizzare situazioni in cui possa sussistere influenza notevole senza che si verifichino le suddette condizioni. Alla luce di quanto osservato, tralasciando i casi più semplici delle società o delle persone fisiche che detengano oltre il 20%43 del capitale della società (che molto difficilmente potranno essere escluse dal novero dei soggetti correlati), si ritiene che, ai sensi del criterio a.ii) dello IAS 24, nelle società quotate vada considerato una parte correlata anche il principale azionista di minoranza o, più precisamente, il soggetto (o i soggetti) che, ai sensi dell’art. 147-ter del D.Lgs. n.58/1998, abbia (o abbiano) contribuito ad eleggere il consigliere di amministrazione di spettanza delle minoranze44. In proposito, si ricordi che il meccanismo di elezione previsto dall’articolo 147-ter prevede che almeno un consigliere di amministrazione (nonché il presidente del collegio sindacale) sia eletto sulla base di una lista che non sia 43 Ovvero il 10% se la reporting entity è quotata, come osservato in precedenza. La nomina di almeno un consigliere di amministrazione da parte delle minoranze nelle società quotate è garantita dal terzo comma dell’art. 147-ter Elezione e composizione del consiglio di amministrazione del D.Lgs. n. 58/1998, nel quale si stabilisce che «almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti». Si ricordi che un analogo meccanismo è previsto per l’elezione del Presidente del Collegio Sindacale ai commi 2 e 2-bis dell’art. 148 Composizione (dell’organo di controllo), D.Lgs. n.58/1998: «2. La Consob stabilisce con regolamento modalità per l'elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. 2-bis. Il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea tra i sindaci eletti dalla minoranza». La Consob, con delibera n. 15915 del 3.5.2007, ha introdotto nel Regolamento Emittenti, agli artt. 144-quinquies e 145-sexies le norme regolamentari attuative di propria competenza. 44 80 collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti45. In quanto in grado di accedere a tale «privilegio» concesso dalla legge, tali azionisti di minoranza, infatti, potrebbero approfittare del potere di eleggere un consigliere di amministrazione, al fine di porre in essere dei comportamenti opportunistici a danno degli altri azionisti di minoranza. Ai rischi di espropriazione delle minoranze compiute nell’interesse di chi esercita il controllo, potrebbero accompagnarsi ulteriori fenomeni espropriativi tesi a compensare le minoranze «privilegiate», così cagionando danni ancora maggiori agli azionisti di minoranza «non privilegiati» (e, tra questi, in particolare, il pubblico dei risparmiatori). Si distinguono due fasi: i) la presentazione delle liste e ii) la votazione in sede assembleare. Si ritiene che debba essere questa seconda fase a rilevare ai fini dell’individuazione delle parti correlate; più precisamente, i soggetti che con i loro voti hanno contribuito ad eleggere il consigliere di minoranza sono da ritenersi parti correlate, indipendentemente da chi abbia presentato originariamente la lista. Un esempio può aiutare a chiarire la particolare fattispecie in argomento. Si ipotizzi che nell’esempio precedente (cfr. Figura 5, p. 78), la compagine societaria di “R”, società quotata soggetta alla disciplina del TUF, sia la seguente: - un azionista di riferimento “F” (non rappresentato nella Figura) che detenga il 51% dei voti esercitabili in assemblea; - gli azionisti “B” e “D”, che detengano rispettivamente il 3% e il 5% dei voti; - il restante capitale sia diffuso sul mercato (e non partecipi alle riunioni assembleari). In vista dell’assemblea chiamata a rinnovare il Consiglio di Amministrazione, l’azionista “F” presenta la propria lista (di maggioranza) e l’azionista “B” presenta una seconda lista (di minoranza). In sede assembleare, il socio “F” vota la propria lista, mentre la lista presentata dal socio “B” viene votata anche dal socio “D”. In base all’art. 147-ter del D.Lgs. n. 58/1998, da 45 Per approfondimenti: F. CARBONETTI, Amministratori e sindaci di minoranza e 'rapporti di collegamento', in Le società, vol. 26, n.10, 2007, p. 1186 e ss. 81 quest’ultima lista viene scelto almeno uno (o più, se lo statuto sociale lo dovesse prevedere) dei consiglieri. La presenza di un consigliere di amministrazione eletto da “B” e “D” si ritiene possa costituire una condizione di correlazione ai sensi del criterio a.ii) dello IAS 24, dal momento che, almeno potenzialmente, per il tramite di tale consigliere, “B” e “D” hanno il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali di “R”, pur non avendone il controllo. Per quanto osservato, risulta evidente che le operazioni che la società dovesse porre in essere con “B” o con “D” (e con le società che le controllano) sono operazioni in qualche modo sospette, meritevoli di rafforzati presidi di correttezza e trasparenza. Tornando ad analizzare la situazione rappresentata nella precedente Figura 5 (cfr. p.78), si noti che la società “E”, pur essendo soggetta al controllo di “A”, non rientra nel criterio di correlazione previsto dal punto a.ii). Premesso che la prossima riformulazione dello IAS 24 estenderà la definizione di parte correlata anche a tali fattispecie, è indubbio che le operazioni compiute tra “R” e “E” presentino profili di potenziale rischiosità del tutto analoghi rispetto alle operazioni compiute, ad esempio, tra “R” e “A”. In tali circostanze, tenuto conto anche del richiamo alla prevalenza della sostanza sulla forma di cui al paragrafo 10 dello IAS 24, si ritiene che, laddove per gli amministratori di “R” sia concretamente possibile risalire alle relazioni che collegano “E” ad “A” e a “B”, sia opportuno che essi valutino attentamente l’eventuale inserimento anche di “E” nel novero delle «parti correlate». 2.4.3. Il criterio a.iii): i soggetti che controllano congiuntamente la reporting entity Il criterio a.iii) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: (…) iii) controlla congiuntamente l’entità». Lo IAS 24 stabilisce altresì che: «il controllo congiunto è la condivisione, stabilita contrattualmente, del controllo su un’attività economica»46. Tale definizione appare estremamente generica se confrontata con la nozione di controllo congiunto contenuta nello IAS 31 Partecipazioni in joint 46 IASB, IAS 24 - Related Party Disclosures, 2003, par. 9. 82 venture: «Il controllo congiunto è la condivisione, stabilita contrattualmente, del controllo su un’attività economica, ed esiste unicamente quando per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo (partecipanti al controllo congiunto)»47. Alla luce di tale differenza, deve ritenersi che i concetti di controllo congiunto previsti nello IAS 24 e nello IAS 31, nonostante i notevoli profili di affinità, siano difformi. In particolare, la nozione di controllo congiunto prevista dal criterio a.iii) dello IAS 24 è da ritenersi significativamente più ampia, dal momento che essa non contiene la precisazione, fortemente limitante, che le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività siano subordinate «al consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo (partecipanti al controllo congiunto)». Si ritiene, pertanto, che possono essere ricompresi nella nozione di «correlazione» prevista al punto a.iii) dello IAS 24 anche i partecipanti ai c.d. «sindacati di voto», ampiamente diffusi nella realtà economica italiana, laddove questi assumano caratteristiche tali da conferire agli aderenti il controllo della società48. 47 ID., IAS 31 - Interests in Joint Ventures, 2008, par. 3. Si ricorda che i sindacati di voto, disciplinati, laddove coinvolgano società aperte, agli art. 122 e 123 del D.Lgs. n.58/1998, «nonostante l’ampio spettro di configurazioni che in concreto essi assumono, normalmente consistono in accordi volti a vincolare i paciscenti all’esercizio di voto nelle assemblee delle società in conformità alle decisioni prese secondo le regole organizzative del sindacato (…) I sindacati di voto possono avere carattere occasionale (essere riferiti, cioè, ad una sola assemblea) o permanente e, in questo secondo caso, possono configurarsi con un limite temporale limitato o meno. I sindacati inoltre possono avere ad oggetto un vincolo di voto per tutte le delibere assembleari o soltanto per quelle di un deterimanto tipo (ad esempio, sindacati di voto per la nomina degli amministratori). Tali accordi, infine, possono anche prevedere che il vincolo di voto venga assunto all’unanimità ovvero a maggioranza dei soci sindacati e stabilire le modalità con cui il voto verrà esercitato nell’assemblea della società». F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam, Padova, 2007, pp. 44-45. Si vedano, inoltre: L. ABETE, Patti parasociali e sindacati di voto, in Le società, vol. 25, n. 8, 2006, p. 957-965; G.F. CAMPOBASSO, Voto di lista e patti parasociali nelle società quotate, in Banca borsa e titoli di credito, vol. 56, n. 2, 2003, pp.125-133; V. CARIELLO, Controllo congiunto e accordi parasociali, Giuffré, Milano, 1997; F. CHIAPPETTA, I patti nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, in Rivista delle società, 1998, p. 988 e ss; P.G. JAEGER, Il problema delle convenzioni di voto, in 48 83 Ulteriori osservazioni sono possibili sulla base delle esemplificazioni riportate nella Figura seguente: Figura 6. – Esemplificazioni criterio a.iii) A Legenda: C B A C R Reporting entity Società correlata C CC B C D C R Persona fisica correlata E CC Caso 1 D Caso 2 R CC Relazione di controllo congiunto C Relazione di controllo Nel primo caso, il controllo congiunto viene esercitato direttamente da “B”, “C”, “D”. Anche “A”, che esercita indirettamente il controllo congiunto, in quanto controllante di “B”, può ritenersi parte correlata ai sensi del criterio a.iii). Si noti che nulla cambia nel secondo caso, in cui il controllo congiunto non si evidenzia direttamente in capo a “R”, bensì alla sua controllante “E”. Riprendendo quanto dianzi osservato in merito alla differenza tra la nozione di controllo congiunto contenuta nel criterio a.iii) dello IAS 24, finalizzata all’identificazione delle parti correlata, e quella che, nel principio IAS 31, sovrintende al trattamento contabile delle partecipazioni in joint venture, si ipotizzi che, con riferimento al Caso 1, sia stato sottoscritto un sindacato di voto tra i tre azionisti “B”, “C”, “D” che non presenti le caratteristiche richieste dallo IAS 31. In tal caso, anche se “B” e “D” (che, per ipotesi, redigano il bilancio secondo i principi IAS/IFRS) non dovessero applicare per la partecipazione detenuta in “R” il trattamento contabile previsto dallo IAS 31, gli amministratori di “R” dovrebbero comunque valutare che il patto verifichi il criterio di cui allo IAS 24 e, eventualmente, considerare “B”, “C” e “D”, e le loro eventuali controllanti, delle «parti correlate». Ciò, come più volte precisato, nei limiti delle Giurisprudenza Commerciale, vol. 1, 1989, p. 253 e ss; A. TUCCI, Patti parasociali e governance nel mercato finanziario, Cacucci, Bari, 2005. 84 informazioni concretamente conoscibili da parte dell’organo amministrativo di “R”49. 2.4.4. entity I criteri b) e c): le collegate e le joint venture della reporting I criteri previsti dai punti b) e c) includono nel novero delle parti correlate le «collegate» e le «joint venture», con un esplicito rimando dello standard setter ai principi contabili che ne disciplinano il trattamento contabile, rispettivamente lo IAS 28 e lo IAS 3150. Più precisamente, essi stabiliscono che: «Una parte è correlata a un’entità se: (…) b) la parte è una società collegata (secondo la definizione dello IAS 28 Partecipazioni in società collegate) dell’entità; c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (cfr. IAS 31 Partecipazioni in joint venture)». Con specifico riferimento al criterio sub b), possono evidenziarsi alcuni dubbi interpretativi che vengono esplicitati con l’ausilio dell’esempio rappresentato nella Figura seguente51: 49 Ad esempio, “B” potrebbe essere una società fiduciaria e potrebbe non essere possibile risalire all’identità di “A”, ,oppure, nel Caso 2, “R” potrebbe non conoscere i dettagli del patto di sindacato che garantisce il controllo congiunto su “E”. 50 Per le definizioni di influenza notevole e di controllo congiunto nei principi IAS 28 e IAS 31 si faccia riferimento a quanto già osservato nel paragrafo precedente con riguardo ai criteri a.ii) e a.iii). 51 Considerazioni analoghe possono essere svolte per il criterio sub c). 85 Figura 7. – Esemplificazione criterio b) Legenda: R IN R +A C A Reporting entity R IN Società correlata B IN B IN Relazione di influenza notevole IN Società terza C Interpretazione letterale (ottica del bilancio separato) C C Interpretazione estensiva (ottica del bilancio consolidato) Relazione di controllo Area di consolidamento Nell’esempio proposto, la società “R” controlla direttamente “A” ed esercita un’influenza notevole su “B” (in modo diretto) e su “C” (in modo indiretto). Nell’ottica dell’organo amministrativo di “R”, stante il tenore letterale del punto b), che si riferisce alle «società collegate», sembrerebbe che la società “C”: - non debba ritenersi una «parte correlata» nell’ottica del bilancio separato; - debba ritenersi una «parte correlata» in sede di redazione del bilancio consolidato, ove per «entità» si considera l’aggregazione aziendale costituita da “R” e dalla sua controllata “A”. Restando sul piano dell’informativa di bilancio, secondo questa interpretazione letterale, nel bilancio separato di “R” non sarebbe richiesta alcuna informativa specifica ai sensi dello IAS 24 sulle operazioni compiute con “C”, informativa che sarebbe invece fornita in sede di bilancio consolidato, ma con riferimento ai rapporti dell’aggregato “R+A”. In ogni caso, non sembrano sussistere particolari motivazioni per questa disparità di trattamento, dal momento che l’integrazione di informativa richiesta nel bilancio separato di “R” implicherebbe un impegno trascurabile per le strutture amministrative. Con particolare riguardo all’applicazione del criterio b) nell’ottica della normativa ex art. 2391-bis, è ragionevole ritenere che l’organo amministrativo di “R” debba preferibilmente optare per un’interpretazione estensiva, includendo anche le collegate delle proprie società controllate nel novero delle «parti correlate», nonostante un’interpretazione letterale potrebbe escludere tali società. 86 Un’ulteriore considerazione può essere svolta se, nella situazione di cui alla figura precedente, ci si pone nella prospettiva dell’organo amministrativo di “A” e si considera la sussistenza di un rapporto di correlazione con “B”. Anche in questo caso l’interpretazione letterale del criterio sub b) farebbe escludere una correlazione, ma, considerando che “A” è soggetta al controllo di “R” ed è inserita nella relativa area di consolidamento, sembrerebbe opportuno includere “B” tra le parti correlate52. Diversamente, l’organo amministrativo di “C”, anche se si trovasse nella condizione (ideale) di perfetta conoscenza della natura delle relazioni tra le varie società considerate, non dovrà considerare “B” una parte correlata ai sensi del criterio b)53. In effetti, il legame tra le due società appare troppo «debole» per far sorgere particolari dubbi sulla correttezza delle operazioni concluse tra di esse. Ricordando quanto osservato nel paragrafo precedente in merito alla differenza tra la nozione di controllo congiunto contenuta nel punto a.iii) dello IAS 24 rispetto a quella contenuta nello IAS 31, si propone il seguente esempio applicativo del criterio sub c): 52 La situazione in commento costituisce una delle aree di miglioramento della definizione di «parte correlata» sulle quali interverrà lo IASB nella prossima modifica del principio IAS 24. La modifica prospettata determinerà l’inclusione di “B” tra le parti correlate di “A”. Al riguardo, è doveroso tuttavia sottolineare che, nelle Basis for conclusions dell’Exposure Draft pubblicato nel 2007, lo IASB osserva (pur se in senso critico e strumentale alla prospettata modifica) che, secondo l’attuale definizione, “B” non sia da considerarsi una parte correlata di “A”. Sul punto, si rinvia il lettore al par. 2.4.9. 53 Potranno ovviamente sussistere le condizioni di correlazione previste da altri criteri. Anche questa interpretazione è in linea con le evoluzioni prospettate dallo IASB negli Exposure Draft pubblicati nel 2007 e 2008. Anche su questo punto si rinvia al par. 2.4.9. 87 Figura 8. – Esemplificazione criterio c) Legenda: A IA S C 24 Reporting entity R R B Società correlata IAS31 C Persona fisica non correlata JV1 Società terza IA S 31 E D IA S 24 IAS 31 JV2 C Relazione di controllo congiunto (IAS 31) Relazione di controllo congiunto (IAS 24) Relazione di controllo Area di consolidamento Nell’esempio, la reporting entity partecipa direttamente alla joint venture “JV1” e indirettamente, per il tramite della controllata “E”, alla joint venture “JV2” (entrambe le partecipazioni verificano le condizioni previste dallo IAS 31). Partecipa altresì, insieme ad “A”, ad un sindacato di voto che le consente di controllare la società “C” e che verifica le condizioni di cui al criterio a.iii. In proposito, si noti che “C” non è da ritenersi una parte correlata di “R”, dal momento che il patto parasociale, nell’esempio, non verifica le precise condizioni di cui allo IAS 3154. 2.4.5. Il criterio d): i dirigenti con responsabilità strategiche sull’attività della reporting entity Il criterio d) dello IAS 24 include nel novero delle parti correlate i «dirigenti con responsabilità strategiche dell’entità o della sua controllante», cioè «quei soggetti che hanno il potere e la responsabilità, direttamente o indirettamente, 54 Si noti che, mutando punto di vista e assumendo la prospettiva dell’organo amministrativo di “C”, come già evidenziato commentando la Figura 6 a p.84, la relazione con “R” ricade nella nozione di controllo congiunto di cui al criterio a.iii) dello IAS 24 e, dunque, “C” dovrà considerare “R” una parte correlata. 88 della pianificazione, della direzione e del controllo delle attività dell’entità, compresi gli amministratori (esecutivi o meno) dell’entità stessa». In altri termini, secondo questo criterio, sono parti correlate alla reporting entity gli individui in grado di influire in modo determinante sulle decisioni aziendali, in ragione del ruolo ricoperto e dei poteri posseduti. Preliminarmente, giova sottolineare che il criterio in commento lascia ambiti di discrezionalità molto maggiori rispetto ai precedenti. Focalizzando l’attenzione sulla singola società, ai sensi del criterio d) costituiscono senz’altro delle parti correlate alla stessa tutti gli amministratori, esecutivi e non esecutivi, in quanto espressamente indicati55, ivi inclusi i componenti del collegio sindacale56. Inoltre, sono identificabili come parti correlate anche i massimi dirigenti aziendali competenti per le attività di pianificazione, esecuzione e controllo57. Quanto alle società controllanti58, per la cui individuazione vale quanto già in precedenza osservato descrivendo il criterio a.i), si può ragionevolmente escludere che i relativi amministratori costituiscano sempre delle parti correlate alla reporting entity. Con riferimento a ciascuno di essi, infatti, deve sussistere un’effettiva attribuzione di «poteri e responsabilità» in materia di pianificazione, 55 In proposito, si ritiene che vadano considerati parti correlate anche gli amministratori indipendenti, stante la categoricità dell’enunciato « compresi gli amministratori (esecutivi o meno) dell’entità stessa», nonché la «pericolosità» intrinseca alle operazioni compiute dalla società con i propri amministratori indipendenti. 56 Nonostante il principio IAS 24 (di matrice anglosassone) non li richiami espressamente, si ritiene che il criterio in commento includa anche i componenti del collegio sindacale della reporting entity, in quanto essi svolgono anche funzioni analoghe a quelle degli amministratori non esecutivi nei sistemi di amministrazione di tipo one tier. 57 In proposito, si ritiene che il termine «controllo» utilizzato dallo IAS 24 debba intendersi riferito esclusivamente, facendo riferimento alle definizioni fornite dal Committee of Sponsoring Organizations (COSO), a chi si disponga dipoteri e responsabilità inerenti i controlli di efficacia e di efficienza (operational) e non anche a chi sia responsabile dei controlli di reporting e di compliance. Per un approfondimento, si veda: AA.VV., Il sistema di controllo interno. Un modello integrato di riferimento per la gestione dei rischi aziendali (a cura del Progetto Corporate Governance per l'Italia), Il Sole 24 Ore, Milano, 1997 (ult. ed. 2006). 58 Si noti che il criterio d) parla, più precisamente, di «controllante». Tuttavia, si ritiene che il riferimento debba estendersi senz’altro a tutte le società poste lungo la catena di controllo. Infatti, facendo riferimento all’esempio di cui alla Figura 2 (p. 73), nella prospettiva della società “G” non parrebbe ragionevole che si dovessero escludere a priori come parti correlate i soggetti apicali di “R” e di “C”. La stessa interpretazione sembra opportuna anche con riguardo al paragrafo 18 dello IAS 24, in cui di nuovo si parla, al singolare, di «controllante». 89 direzione e controllo tali da condizionare l’attività della reporting entity. Condizioni del tutto analoghe dovranno essere verificate al fine di includere nel novero delle parti correlate un alto dirigente delle società controllanti. In proposito, una maggiore attenzione dovrà essere adottata con riferimento agli amministratori e ai dirigenti apicali delle società che dovessero esercitare l’attività di direzione e coordinamento sulla reporting entity. Alcune rilevanti incertezze interpretative sorgono laddove debba essere valutata l’inclusione tra le parti correlate di quegli amministratori e dirigenti delle controllanti che non dispongano sul piano formale di responsabilità strategiche relative alla controllata, ma che siano nelle condizioni, di fatto (ad esempio in virtù della posizione ricoperta nella struttura organizzativa), di influenzare l’operato dei soggetti cui formalmente siano attribuite tali responsabilità. Si pensi, ad esempio, all’amministratore delegato della controllante della reporting entity, che potrebbe non disporre di specifiche deleghe inerenti l’indirizzo delle attività della controllata, pur potendo trovarsi nelle condizioni di influenzarla significativamente. In simili circostanze, è difficile individuare una soluzione univoca; pertanto, ferma restando la maggiore prudenza della scelta di considerare tali soggetti tra le parti correlate, l’organo amministrativo della reporting entity potrà valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di non considerare tali soggetti delle parti correlate, ritenendo non presenti relazioni di influenza significativa. Il criterio d) dello IAS 24 menziona espressamente i dirigenti con responsabilità strategiche «dell’entità o della sua controllante», senza alcun riferimento alle società controllate. Tuttavia, è frequente il caso di holding quotate nelle quali le responsabilità strategiche sono, almeno parzialmente (ad es. con riferimento a particolari settori di attività), decentrate significativamente nelle società controllate. Si pensi, ad esempio, ad un gruppo in cui la holding quotata controlli direttamente varie sub-holding ciascuna delle quali sia pienamente responsabile delle attività svolte in uno specifico settore, non legato agli altri da nessi di complementarità. In simili circostanze, gli amministratori e i dirigenti delle società controllate potrebbero effettivamente disporre di responsabilità strategiche che, seppure limitate alla società gestita ed alle sue eventuali controllate, potrebbero essere sufficienti alla conclusione di operazioni a carattere espropriativo del tutto analoghe a quelle compiute dai dirigenti chiave della reporting entity o delle sue controllanti. 90 Limitando il campo alle tematiche di informativa contabile, la problematica evidenziata viene superata nel bilancio consolidato, nel quale il termine «entità» indicato nel criterio d) non si riferisce soltanto alla capogruppo singolarmente considerata, ma anche alla più ampia «entità» costituita dal gruppo nel suo complesso. Venendo a cadere le divisioni tra le diverse entità giuridiche, anche gli eventuali dirigenti con responsabilità strategiche delle controllate saranno da annoverarsi tra le parti correlate. Ai fini dell’informativa contabile, pertanto, le eventuali operazioni concluse con essi da una qualsiasi delle società consolidate dovranno essere oggetto dell’informativa prevista dallo IAS 24. Allo stesso modo, nell’ottica della normativa dettata dall’art. 2391-bis del codice civile, non v’è ragione per cui tali soggetti non debbano considerarsi delle parti correlate. In conclusione, sul punto può osservarsi che le problematiche in commento non sussistono nei gruppi in cui i poteri e le responsabilità in materia di pianificazione, direzione e controllo risultino accentrati nella capogruppo e nei quali l’efficacia del sistema dei controlli interni di gruppo sia tale da escludere ragionevolmente che i soggetti apicali delle società controllate possano approfittare della propria posizione di vertice concludendo operazioni nel proprio interesse. 2.4.6. Il criterio e): gli stretti familiari degli individui correlati alla reporting entity secondo i criteri a) e d) Il criterio sub e) stabilisce che è da ritenersi parte correlata «uno stretto familiare di uno dei soggetti di cui ai punti a) o d)», cioè di uno degli individui che: - esercitino, direttamente o indirettamente, il controllo sull’entità (criterio 59 a.i) ; - esercitino, direttamente o indirettamente, un’influenza notevole sull’entità (criterio a.ii)60; - esercitino, direttamente o indirettamente, il controllo congiunto sull’entità (criterio a.iii)61; 59 Ad esempio, nel caso rappresentato nella Figura 2 a p. 73, sempre con riferimento alla reporting entity “R”, il soggetto “A”. 60 Si consideri, a titolo esemplificativo, il soggetto “C” nella Figura 5 a p. 78. 61 Si veda la posizione del soggetto “C” nei due casi rappresentati nella Figura 6 a p. 84. 91 - siano identificati quali dirigenti con «responsabilità strategiche» (criterio d). Lo IAS 24 fornisce una definizione estremamente generica di «stretto familiare», fornendo alcuni esempi esplicativi: «si considerano familiari stretti di un soggetto quei familiari che ci si attende possano influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità. Essi possono includere: a) il convivente e i figli del soggetto; b) i figli del convivente; e c) le persone a carico del soggetto o del convivente»62. Innanzi tutto, si osserva che la definizione di «stretta familiarità» pone in capo all’organo amministrativo degli ambiti di discrezionalità eccezionalmente ampi. Se pare intuibile che, dal novero dei soggetti «che ci si attende possano influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato», non possano essere esclusi, ad esempio, un fratello o un genitore, la schiera dei familiari in grado di influenzare le decisioni potrebbe essere molto più ampia rispetto ai pochi esempi proposti dallo IAS 24. Per risolvere il dubbio interpretativo, si potrebbe ricordare che il legislatore civilistico, ponendosi un problema di «indipendenza» simile a quello cui si riferisce il criterio f) dello IAS 24, nel fissare all’art. 2399 le cause d'ineleggibilità e di decadenza del Collegio Sindacale, indica che sono ineleggibili «il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo». Inoltre, si potrebbe fare riferimento alla posizione (superata, ma pur sempre autentica) della Consob, che nella comunicazione DEM/2064231/2002 (abrogata nel 2005) stabiliva che «per stretti familiari si intendono quelli potenzialmente in grado di influenzare la persona fisica correlata all'emittente, o esserne influenzati, nei loro rapporti con l'emittente medesimo, tra cui i conviventi; in ogni caso si considerano stretti familiari il coniuge non legalmente separato, i parenti e gli affini entro il secondo grado». 62 IAS 24, par. 9. 92 Da ultimo, si sottolinea che gli esempi proposti dallo IAS 24 fanno addirittura riferimento ad un concetto di famiglia «allargata», includendo tra gli stretti familiari il convivente, nonché i figli e le persone a carico dello stesso. Anche in questo caso, può essere consigliabile che l’organo amministrativo adotti un atteggiamento improntato alla massima prudenza e che disponga procedure tali da identificare anche i casi dubbi quali parti correlate. Si noti che, per l’organo amministrativo chiamato a identificare le parti correlate, la concreta applicazione del criterio e) risulta estremamente complicata. E’ necessaria, infatti, la conoscenza di informazioni personali di individui che, quand’anche rintracciabili, possono essere significativamente estranei all’azienda o al gruppo (es. i soggetti inclusi in base ai criteri a.ii e a.iii) e difficilmente disposti a comunicare proprie informazioni personali63. Inoltre, si noti che la necessità di raccogliere informazioni personali sugli stretti familiari, potrebbe sollevare qualche problema di riservatezza delle stesse. In ogni caso, va sottolineata l’importanza di individuare gli «stretti familiari» correlati alla reporting entity, in quanto fondamentale presupposto per l’ applicazione del criterio f), che si analizza nel paragrafo che segue. In proposito, si ricordi la grande diffusione, soprattutto nel nostro paese, dei gruppi a controllo familiare e l’esperienza di alcuni dei principali scandali finanziari avvenuti nell’ultimo decennio, nei quali le operazioni compiute con società controllate da membri della famiglia del dominus sono state il veicolo di operazioni fraudolente, sia con finalità di tunneling, sia di frode contabile. Si osserva, inoltre, che il criterio in esame non include tra le parti correlate quegli individui che, pur non potendo essere considerati dei «familiari», verificano la seconda (e probabilmente più rilevante) parte della criterio in commento («ci si attende possano influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità»). Si pensi, ad esempio, ad un individuo che sia legato ad uno degli amministratori (o a un dirigente chiave) da significativi rapporti di carattere personale (ad esempio, una lunghissima amicizia o una duratura collaborazione professionale, …) ovvero di carattere patrimoniale (ad esempio, faccia parte di un medesimo studio associato). 63 In proposito, si fa presente che è in programma un intervento della Consob su questa tematica, nell’ambito della regolamentazione ex 2391-bis c.c. in corso di definizione. Si veda il par. 0 a p. 154. 93 Simili fattispecie, al momento, non sono soggette alla speciale disciplina prevista per le operazioni con parti correlate. 2.4.7. Il criterio f): entità correlate per il tramite di individui correlati alla reporting entity Secondo il criterio di cui alla lettera f): «una parte è correlata a un’entità se (…) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto». Si tratta certamente del criterio di più complessa applicazione, perché necessita di informazioni che possono essere di difficile accesso. In proposito, si osserva che lo standard setter non indica cosa debba intendersi per «quota significativa di diritti di voto» («significant voting power», nel testo originale in lingua inglese). Tenuto conto che i casi del controllo, dell’influenza notevole e del controllo congiunto sono già espressamente menzionati dal criterio, si può presumere che per «quota significativa di diritti di voto» debba intendersi una partecipazione, diretta o indiretta, che possa generare una qualche forma di correlazione. Peraltro, non si comprende perché il concetto di «significant voting power» sia riportato solo al criterio f) e non anche, ad esempio, nel criterio a). Anche in questo caso, è bene rimarcarlo, la definizione posta dallo IAS 24 presenta un significativo elemento di incertezza e di conseguente discrezionalità. Un’interpretazione improntata alla massima prudenza suggerirebbe di considerare le soglie di rilevanza stabilite all’art. 120 del D.Lgs. 57/1998, secondo quanto specificato dalla Consob nel Regolamento Emittenti. Una simile scelta, tuttavia, amplierebbe in modo forse eccessivo il novero delle parti correlate. Una scelta intermedia tra l’ignorare totalmente una prescrizione tanto oscura e scegliere una soluzione probabilmente troppo prudente (e onerosa sul piano applicativo/organizzativo), potrebbe essere quella di considerare le soglie di presunzione dell’influenza notevole previste all’art. 2359, ultimo comma, del codice civile, pari al 10% per le società quotate e al 20% per le società non quotate. 94 L’esempio riportato nella Figura seguente mette in luce le difficoltà, in concreto, può incontrare l’organo amministrativo nel raccogliere le informazioni necessarie per ricostruire il quadro completo delle «parti correlate» che rispondono al criterio sub f). Figura 9. - Esemplificazione criterio f) A C SF Legenda: B Società correlata C C Reporting entity R C E Persona fisica correlata C C D C R F PVS G IN IN Relazione di controllo Relazione di influenza notevole PVS Poteri di voto significativi H SF Relazione di stretta familiarità Nell’esempio, “R” è soggetta al controllo indiretto di “A”, persona fisica legata a “B” da rapporti di «stretta familiarità» (ad es., “B” è il convivente di “A”). “B”, a sua volta, controlla indirettamente la società “F”, la quale esercita un’influenza notevole su “H” e detiene una quota significativi dei diritti di voto nell’assemblea si “G”. In una situazione di informazione perfetta, ai sensi del criterio f), “R” dovrebbe includere le società “E”, “F”, “G” e “H” tra le proprie parti correlate. Nella realtà dei fatti, gli amministratori di “R”, in considerazione della propria posizione soggettiva e degli strumenti informativi a loro disponibili, potrebbero non essere in grado di conoscere, ad esempio: - l’identità di “A”64; 64 Si veda l’esempio rappresentato nella Figura 4 a p. 73. 95 - il legame di stretta familiarità tra “A” e “B” (dovrebbe essere il soggetto “A” a comunicare di sua spontanea volontà - o in ragione di un obbligo che ad oggi non sussiste - il suo rapporto di stretta familiarità con “B”); - l’esistenza e la composizione del gruppo controllato da “B” (anche in questo caso è difficile immaginare un meccanismo che consenta ad “R” di acquisire tali informazioni chiave, in assenza di specifiche prescrizioni normative65). In buona sostanza, l’incompletezza delle informazioni effettivamente e normalmente accessibili agli amministratori sottrae inevitabilmente alcune parti correlate al processo di identificazione. Laddove poi vi fosse la presenza di individui animati dalla precisa volontà di concludere operazioni con parti correlate al fine di appropriarsi di risorse dell’impresa (c.d. tunneling), ovvero di modificarne artatamente i risultati di bilancio (c.d. earnings management) è intuibile la facilità con la quale i rapporti di correlazione potrebbero essere mantenuti ignoti e sfuggire sia agli obblighi di disclosure in bilancio, sia alla normativa in materia di trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlare. In simili circostanze, potrebbe essere utile che si attivassero delle procedure di internal audit volte ad utilizzare metodi alternativi di individuazione delle parti correlate. Al riguardo potrebbe essere utile applicare le tecniche alternative sviluppate nel tempo dalla revisione contabile66. 2.4.8. entity Il criterio g): fondi pensione (e simili) correlati alla reporting L’ultimo criterio di identificazione delle parti correlate previsto dallo IAS 24, stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se (…) g) la parte è un piano 65 Per l’evoluzione in atto sul punto, come già anticipato, si veda il par. 0 a p. 154. Si veda, ad esempio, l’elenco di situazioni di sospetta correlazione riportate in: AICPA AMERICAN INSTITUTE OF CERTIFIED PUBLIC ACCOUNTANTS, Accounting and Auditing for Related Parties and Related Party Transactions. A Toolkit for Accountants and Auditors, 2001, pp-33-34. 66 96 per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti dell’entità, o di una qualsiasi altra entità a essa correlata». Lo stesso IAS 24 identifica i «benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro» nei seguenti: «pensioni, altri benefici pensionistici, assicurazioni sulla vita e assistenza sanitaria successive al rapporto di lavoro». Una delle principali fattispecie di parte correlata riconducibili al criterio g) è costituita dai fondi pensione aziendali o di gruppo, che vengono costituiti sotto forma di associazioni senza scopo di lucro, generalmente attraverso un contratto o un accordo collettivo (o regolamento aziendale), ovvero tramite un accordo tra lavoratori promosso da sindacati o associazioni di categoria. L’assetto di governance dei fondi pensione prevede generalmente una compartecipazione alle decisioni sia dei lavoratori, soprattutto tramite i propri rappresentanti sindacali, sia di chi guida l’azienda o il gruppo. I fondi pensione aziendali o di gruppo dispongono di un proprio patrimonio distinto e separato da quello dell'azienda o gruppo di riferimento e gestiscono ingenti risorse finanziarie, nel rispetto delle stringenti disposizioni legislative e regolamentari in materia, nonché secondo le disposizioni emanate dall’autorità di vigilanza competente. Capita spesso che i fondi pensione di gruppo, poiché obbligati ad investire larga parte delle proprie risorse in proprietà immobiliari, acquistino dell’azienda (o dal gruppo) di riferimento le strutture immobiliari in cui si svolgono le attività produttive, concedendole immediatamente in locazione alla stessa azienda o gruppo. Questo genere di operazioni, del tutto normali, potrebbero essere compiute a condizioni non di mercato e costituire, almeno potenzialmente, lo strumento per «trasferire» indebitamente delle risorse dal fondo all’azienda/gruppo e viceversa, ad esempio nell’interesse dei lavoratori ma a danno delle minoranze azionarie presenti nell’azienda o nel gruppo. Per tali ragioni, è importante che anche questo genere di operazioni siano soggette ai presidi previsti dalla disciplina delle operazioni con parti correlate. Da ultimo, si sottolinea che il criterio g) non si riferisce soltanto ai piani per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti dell’entità, ma anche in favore dei dipendenti di una qualsiasi delle parti correlate 97 dell’entità, così come identificate applicando i criteri precedenti. Anche in questo caso, si intuisce l’ampia portata del criterio in esame. 2.4.9. Le prospettive di evoluzione negli exposure draft pubblicati dallo IASB In considerazione del fatto che l’esperienza applicativa dell’attuale versione del principio IAS 2467, modificato da ultimo nel 2003, ne ha messo in luce alcune aree di possibile miglioramento, lo IASB ha pubblicato, nel febbraio 2007, un primo exposure draft68 (nel prosieguo, più brevemente, “ED 2007”) finalizzato al suo aggiornamento. Sulla base dei commenti ricevuti, nel dicembre 2008, lo standard setter ha sottoposto a consultazione un nuovo exposure draft69 (“ED 2008”), che ha riformulato e semplificato alcuni passaggi del precedente70. Gli obiettivi principali cui si ispirano gli exposure draft pubblicati dallo IASB (nel prosieguo più brevemente “ED”) possono enuclearsi come segue: i) estendere la definizione di «parte correlata» ad alcune situazioni prima escluse e migliorarne la coerenza, nella constatazione che alcune situazioni che sfuggono all’attuale definizione sono del tutto assimilabili ad altre ivi incluse e che alcune situazioni che sono incluse nella definizione vigente evidenziano una correlazione sostanzialmente trascurabile; ii) accrescere la chiarezza della definizione, mediante una sua riformulazione, ma senza modificarne il significato (con l’eccezione delle modifiche espressamente indicate dagli stessi ED e riferite all’obiettivo di cui al punto precedente); 67 Nel prosieguo, più brevemente, IAS 24 (2003). IASB, Exposure Draft of proposed Amendments to IAS 24 Related Party Disclosures State-controlled Entities and the Definition of a Related Party, 2007. 69 ID., Relationships with the State (proposed amendments to IAS 24 Related Party Disclosures), 2008. 70 Al momento della redazione del presente lavoro, lo IASB non ha fornito informazioni sull’esito della consultazione, né sulla tempistica prevista per l’effettivo aggiornamento dello IAS 24. 68 98 iii) ridurre il livello di informativa richiesto per le operazioni con parti correlate compiute tra società controllate o soggette all’influenza notevole dello Stato, inteso sia come amministrazione nazionale, regionale e locale71; Ai fini del presente lavoro, tenuto conto anche dello stato di avanzamento del progetto di aggiornamento dello IAS 24(2003), non ancora concluso, si ritiene utile esaminare le correzioni proposte dallo IASB all’attuale definizione di parte correlata. Si ritiene ancora prematuro, invece, commentare nel dettaglio la nuova formulazione della definizione di parte correlata proposta negli ED72, tenuto 71 A tal fine, l’ED 2008 propone l’introduzione nello IAS 24 di due nuovi paragrafi (17A e 17B), che precisano le condizioni di esonero dall’obbligo di informativa. Si noti che l’intervento dello IASB su questo punto è legato alle difficoltà incontrate dalle grandi imprese cinesi, in cui lo Stato è - come ben noto - fortemente presente nell’economia , nel fornire un’informativa completa sui rapporti con tutte le imprese controllate dallo Stato. In Italia, si ricordi, che le modifiche prospettate dallo IASB avranno rilevanza sui bilanci di società quotate molto importanti, tra le quali Eni, Enel, Finmeccanica, Terna. 72 Per completezza, si riporta di seguito la nuova definizione di parte correlata proposta dallo IASB nell’ED 2008: «A related party is a person or entity that is related to the entity that is preparing its financial statements (in this Standard referred to as the ‘reporting entity’). (a) A person or a close member of that person’s family is related to a reporting entity if that person: (i) is a member of the key management personnel of the reporting entity or of a parent of the reporting entity; (ii) has control over the reporting entity; or (iii) has joint control or significant influence over the reporting entity or has significant voting power in it. (b) An entity is related to a reporting entity if any of the following conditions applies: (i) the entity and the reporting entity are members of the same group (which means that each parent, subsidiary and fellow subsidiary is related to the others). (ii) either entity is an associate or joint venture of the other entity (or of a member of a group of which the other entity is a member). (iii) both entities are joint ventures of a third party. (iv) either entity is a joint venture of a third entity and the other entity is an associate of the third entity. (v) the entity is a post-employment benefit plan for the benefit of employees of either the reporting entity or an entity related to the reporting entity. If the reporting entity is itself such a plan, the sponsoring employers are also related to the plan. (vi) the entity is controlled or jointly controlled by a person identified in (a). (vii) a person identified in (a)(i) has significant voting power in the entity. 99 conto che essa potrebbe essere soggetta a modifiche anche molto rilevanti e considerato, soprattutto, che è lo stesso IASB a lasciare intendere che la nuova definizione è finalizzata esclusivamente a chiarire la precedente formulazione, ad eccezione delle correzioni espressamente proposte73. Le ulteriori modifiche prospettate al principio IAS 24 – di cui al precedente punti iii) – riguardano l’informativa da fornire in bilancio in materia di operazioni con parti correlate. Negli ED, lo IASB propone di intervenire sulla definizione di parte correlata apportando quattro modifiche sostanziali (di cui tre contenute nell’ ED 2007 e una aggiunta nell’ ED 2008), che vengono brevemente analizzate nel prosieguo. (viii) a person identified in (a)(ii) has significant influence over the entity or significant voting power in it. (ix) a person or a close member of that person’s family (A) has significant influence over the entity or significant voting power in it and (B) has joint control over the reporting entity. (x) a member of the key management personnel of the entity or of a parent of the entity, or a close member of that member’s family, has control or joint control over the reporting entity or has significant voting power in it». 73 In particolare, nelle Basis for Conclusions dell’ ED 2007, lo IASB osserva: «BC24. The Board noted that the definition of a related party has weaknesses other than those noted in paragraphs BC2–BC9: it is cumbersome and includes several cross-references that make it difficult to read (and to translate). Therefore, the Board decided to take this opportunity to clarify the intended meaning and to simplify the structure of the definition. The redrafting included replacing the word ‘individual’ with ‘person’. As a consequence, the Board proposes, for consistency, to amend the definition of close member of the family of a person. BC25 The Board also proposes supplementing the standard with implementation guidance to highlight some situations in which entities are related parties. BC26 Changes to the structure of the definition of a related party are not intended to alter the meaning in IAS 24, except for the other amendments proposed in this exposure draft». Si noti altresì che una delle domande espressamente poste ai commentatori nell’ED 2007 è la seguente: «Do you agree with the proposal to clarify the definition of a related party? Does the wording proposed capture the same set of related parties as IAS 24 at present (except for the amendments described in (a)–(c) above)? Do you agree that the proposed wording improves the definition of a related party?». ED 2007, p. 6. 100 La prima proposta di modifica74 si riferisce alle situazioni raffigurate nella Figura seguente, in cui si ipotizza l’esistenza di una società “A” che controlla “C” ed esercita un’influenza notevole su “B”. Figura 10. - Correlazione tra collegate e controllate di una stessa entità IAS 24 (2003) Proposta ED A A C IN Caso 1 IN C B Legenda: C B Reporting entity Società correlata C Società terza C A A IN Caso 2 B C C IN Relazione di influenza notevole C IN B Relazione di controllo C Nella parte sinistra della Figura si mostra quanto previsto dall’attuale definizione fornita dallo IAS 24, mentre nella parte destra si rappresenta il risultato auspicato dallo IASB a seguito delle proposte di revisione formulate negli ED. Secondo l’attuale definizione: - nella prospettiva di “B” (Caso 1), “A” è una parte correlata (ai sensi del criterio a.ii), mentre la correlazione di “C” non è espressamente richiamata da nessuno dei criteri dello IAS 24, nonostante sia intuitivo osservare che una stessa operazione compiute da “B” con “A” o con “C” non presenti differenze sostanziali (si pensi al caso limite in cui “C” sia posseduta al 100% da “A”)75; 74 Cfr. ED 2007, parr. BC2-BC5. Si pensi alla particolare situazione che potrebbe presentarsi laddove dovesse esistere un bilancio consolidato del gruppo “A+C”, nel quale anche le operazioni tra “B” e “C” ricadrebbero nella nozione di operazioni con parti correlate. Difficilmente si potrebbe motivare una loro esclusione nel bilancio separato di “C”. In proposito, nelle basis for conclusions dell’ ED 2007, lo IASB osserva: «The Board was asked to consider whether an associate and a subsidiary of the same entity are related parties. The Board noted that the definition of a related party includes a party that has significant influence over the entity. Therefore, when an associate prepares individual or separate financial statements, its investor is a related party. If the investor has a subsidiary, that subsidiary is also related to the associate, because the subsidiary is part of 75 101 - nella prospettiva di “C” (Caso 2), “A” è una parte correlata (ai sensi del criterio a.i), mentre “B” non lo è. Secondo quanto esposto dallo IASB negli ED, nella nuova definizione di parte correlata (parte destra della figura) entrambe le situazioni verranno ricomprese nella nozione di correlazione: “B” dovrà considerare “C” una propria parte correlata e viceversa. Si noti che considerazioni del tutto analoghe a quelle formulate con riferimento all’esempio proposto, potrebbero essere svolte nel caso in cui “A”, anziché essere una società, fosse una persona fisica. La seconda modifica sostanziale si riferisce all’eliminazione di un’incoerenza riscontrata nell’attuale formulazione, che viene evidenziata nell’esempio rappresentato nella figura seguente: Figura 11. Correlazione tra entità sottoposte all’influenza notevole di uno stesso soggetto IAS 24 (2003) Proposta ED A A Caso 1 R B R IN IN IN IN Legenda: R B Reporting entity Società correlata Società terza A A IN Caso 2 R IN IN B R Persona fisica correlata IN IN Relazione di influenza notevole B I due casi rappresentati in Figura differiscono solo per la natura del soggetto “A” che esercita l’influenza notevole: - nel Caso 1, si tratta di una persona fisica; - nel Caso 2, si tratta di una società. the group that has significant influence over the associate. The Board proposes an amendment to ensure that the definition states this more clearly», ED 2007, BC2. 102 Secondo l’attuale definizione (parte sinistra della figura), nella prospettiva della reporting entity “R”, “A” costituisce in entrambi i casi una parte correlata (ai sensi del criterio a.ii). Diversamente, la diversa natura di “A” incide sull’inclusione di “B” nel novero delle parti correlate di “R”. In particolare: - nel Caso 1, “B” è ricompressa nel criterio f) e si considera una parte correlata; - nel caso “2”, invece, “B” non viene ricompresa in alcuno dei criteri previsti dall’attuale formulazione dello IAS 24 e non costituisce una parte correlata. Secondo quanto indicato dallo IASB negli ED, la nuova definizione escluderà la correlazione anche nel Caso 1, nell’ipotesi che l’influenza notevole esercitata da uno stesso soggetto non possa ritenersi una relazione sufficientemente significativa da far concludere che due parti siano fra loro correlate76. La terza modifica di carattere sostanziale proposta dallo IASB amplia in modo significativo il novero delle parti correlate di un’entità. Come osservato con riferimento al criterio f), l’attuale definizione fornita dallo IAS 24 prevede che una reporting entity consideri parti correlate le entità controllate, controllate congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte di un proprio dirigente con responsabilità strategiche (identificato ai sensi del criterio d), ovvero nelle quali un tale soggetto detenga, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto. Tuttavia la definizione dello IAS 24 non prevede che la correlazione sia reciproca. Si veda l’esempio rappresentato nella figura seguente. 76 Nelle Basis for conclusions dell’ ED 2007, osserva lo IASB: «The Board concluded that the relationship between associates of an entity should not fall within the definition of a related party. This is because there is insufficient influence through the common investment in two associates to warrant concluding that they are related». ED 2007, BC6. 103 Figura 12. Dirigenti con responsabilità strategiche: reciprocità del criterio f) IAS 24 (2003) Proposta ED Legenda: Caso 1 C B A Reporting entity C C/IN/CC C/IN/CC B A Società correlata Società terza Persona fisica correlata Relazione valida ai sensi del criterio f) Caso 2 C C C/IN/CC A B C/IN/CC B A Nell’esempio, il soggetto “C” è un dirigente con responsabilità strategiche della società “A” ed esercita il controllo su “B” (oppure un’influenza notevole o il controllo congiunto)77. Secondo l’attuale definizione (parte sinistra della figura): - nella prospettiva della società “A” (Caso 1), “C” è una parte correlata ai sensi del criterio d) e “B” è una parte correlata ai sensi del criterio f); - nella prospettiva della società “B” (Caso 2), invece, “C” è una parte correlata ai sensi del criterio a.i), mentre “A” non è una parte correlata. Secondo quanto prospettato dallo IASB negli ED, la nuova definizione manterrà invariata la situazione rappresentata nel Caso 1 e determinerà l’inclusione di “A” tra le parti correlate di “B” nel Caso 278, in considerazione del 77 Nell’esempio, si esclude il caso, previsto dal criterio f), in cui “A” detenga un «potere di voto significativo», stanti le difficoltà che si incontrano nell’interpretare tale concetto e già evidenziate nel par. 2.4.7. 78 Osserva lo IASB: « BC8. Subparagraph (f) of the definition of related party states that when a member of the key management personnel of the reporting entity (Entity A) controls, jointly controls or significantly influences, or holds significant voting power in, another entity (Entity B) then Entity B is related to Entity A. The Board decided that this is appropriate because, in this situation, the person could influence transactions between the entities through the management position in Entity A and the ownership interest in Entity B. The Board 104 fatto che, nella prospettiva di “B”, le operazioni effettuate con “A” potrebbero comunque essere influenzate dalla posizione di rilievo ricoperta da “C”79. L’ ED 2008 propone un ulteriore ampliamento nella definizione di parte correlata, relativo ad alcuni casi particolarmente articolati. L’esempio rappresentato nella figura seguente sintetizza quanto proposto dallo IASB. Figura 13. - Ulteriore ampliamento della nozione di «parte correlata» previsto nell’ED 2008 IAS 24 (2003) Proposta ED C C Caso 1 Legenda: A A CC IN/CC B CC IN/CC B R R Reporting entity Società correlata R Società terza Caso 2 A C A CC IN/CC C Persona fisica correlata CC IN/CC IN/CC Caso 3 A IN/CC B B R SF R C A D CC R IN/CC B SF C CC B D CC SF Relazione di influenza notevole o di controllo congiunto Relazione di controllo congiunto Relazione di stretta familiarità R Si consideri l’attuale definizione (parte sinistra della rappresentazione grafica). Facendo riferimento ai casi 1 e 2 e considerando la prospettiva degli amministratori della reporting entity “R”: observed, however, that if Entity B is the reporting entity then Entity A is not currently within the definition of related party of Entity B (in the situation described). BC9. The Board decided that the possibility of that person influencing transactions is just as relevant in the financial statements of Entity B. Therefore, the Board proposes to amend the definition of a related party to ensure that in both sets of financial statements the entities are defined as related parties». ED 2007, BC8-BC9. 79 Come si osserverà in modo più approfondito nel par. 3.3, le operazioni compiute da “B” con “A” ricadrebbero nella disciplina prevista dall’art. 2391 del codice civile. La modifica prospettata dallo IASB porterà, nei casi simili a quello dell’esempio, all’applicazione congiunta anche delle disposizioni dell’art. 2391-bis. 105 - “A” e “C”, che esercitano controllo congiunto su “R”, sono parti correlate a “R” ai sensi del criterio a.iii80; - “B” (sottoposta all’influenza notevole ovvero al controllo congiunto da parte“A”) non è una parte correlata a “R”(lo sarebbe se fosse soggetta al controllo da parte di “A”) Considerando il caso 3: - “D” e “C” sono parti correlate ai sensi del criterio a.iii; - “A” è una parte correlata in quanto stretto familiare di “D”; - “B” non è una parte correlata. Secondo quanto prospettato dallo IASB nell’ ED 2008, con l’eventuale entrata in vigore della nuova definizione proposta, in tutti e tre i casi esaminati la società “B” sarà considerata una parte correlata a “R”81. 80 Come già osservato al par. 2.4.3, si ricorda che la nozione di controllo congiunto su cui si basa il criterio a.iii dello IAS 24 differisce sotto alcuni aspetti da quella prevista dallo IAS 31 per il trattamento contabile delle joint venture. In particolare, si è sostenuto che anche alcuni sindacati di voto possano rientrare nella nozione di controllo congiunto prevista al criterio a.iii dello IAS 24. 81 Cfr. ED 2008, BC12-BC17. In particolare, osserva lo IASB: «In summary, the Board’s revised proposals would treat two entities as related to each other whenever a person or a third entity has joint control over one entity and that person (or a close member of that person’s family) or the third entity has joint control or significant influence over the other entity or significant voting power in it». Ibidem, BC16. Si noti che, nuovamente, lo IASB fa riferimento al concetto di «significant voting power», da noi omesso nell’esempio per l’obiettiva difficoltà di comprenderne il significato nella totale assenza di specificazioni da parte dello IASB. Guardando agli esempi inseriti nell’ ED 2008, si deduce che solo le persone fisiche possano esercitare un «significant voting power» (cfr. ED 2008, esempi 1-4, pp.9-11). Al termine del percorso di ricerca che ha condotto alla stesura del presente lavoro, non è stato possibile comprendere cosa si intenda con tale espressione. 106 Capitolo 3 La normativa in materia di processo decisionale nelle operazioni con parti correlate: problematiche applicative 3.1. Considerazioni introduttive All’art. 2391-bis del codice civile, il legislatore stabilisce i compiti degli amministratori e dell’organo di controllo in materia di operazioni con parti correlate compiute dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio1. In particolare, è compito degli amministratori: i) stabilire regole che assicurino «la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate», compiute «direttamente o per il tramite di società controllate»; tali regole devono essere adottate secondo i principi generali definiti dalla Consob2, chiamata dal legislatore a specificare i seguenti aspetti: - competenza decisionale delle operazioni; 1 Per un approfondimento degli aspetti giuridici della norma in parola si rinvia a: F. CHIAPPETTA, Le operazioni con parti correlate: profili sistematici e problematici, dircomm.it, Rivista diretta da Giovanni Cabras e Paolo Ferro-Luzzi, nov. 2008; S. DODARO, Commento sub art. 2391 bis, in AA.VV., Codice commentato delle società (a cura di G. Bonfante – D. Corapi – G. Marziale – R. Rordorf), V. Salafia, Milano, 2007; A. POMELLI, Commento sub art. 2391bis, in A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve al diritto delle società, CEDAM, Padova, 2005; M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005. 2 Pur in assenza di regolamentazione (si veda l’Appendice per gli aspetti essenziali della proposta di regolamentazione avanzata dalla Consob), si noti che tutti i maggiori gruppi quotati si sono autonomamente dotati di regole in materia di operazioni con parti correlate. - motivazione delle operazioni; - documentazione delle operazioni. Lo stesso legislatore, inoltre, pur non disponendo una vera e propria prescrizione normativa, menziona espressamente la possibilità concessa agli amministratori di farsi assistere, per le operazioni con parti correlate, da esperti indipendenti, in ragione «della natura, del valore o delle caratteristiche dell' operazione» da porre in essere. ii) rendere note nella relazione sulla gestione le regole stabilite. All’organo di controllo – sia esso il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione - il legislatore attribuisce i compiti di: i) vigilare sull'osservanza delle regole adottate dagli amministratori; ii) riferire all’assemblea sugli esiti di tale attività, nell’ambito della relazione di propria competenza. Nei paragrafi che seguono, nei quali ci sia consentito fare riferimento al modello tradizionale di amministrazione e controllo, tenuto conto della sua netta prevalenza tra le imprese italiane, si approfondiscono i fondamentali aspetti delle regole che devono essere stabilite dai consigli di amministrazione delle società quotate, alla luce di un quadro normativo che, come già osservato nel secondo capitolo, presenta un elevato livello di complessità. In particolare, dopo un approfondimento della nozione di correttezza sostanziale e procedurale richiamata dall’art. 2391-bis (paragrafo 2), nel presente capitolo si approfondiscono gli ambiti di sovrapposizione della disciplina sulle operazioni con parti correlate con le norme in materia di operazioni in cui gli amministratori detengono un interesse e le operazioni effettuate nell’ambito di un medesimo contesto di direzione e coordinamento (paragrafo 3), fornendo un possibile quadro di sintesi della normativa vigente (paragrafo 3.1). Inoltre, nel quarto paragrafo, si formulano alcuni commenti sul ruolo assegnato al collegio sindacale dal legislatore. Infine, dopo una disamina delle disposizioni del codice di autodisciplina (paragrafo 5), si presentano le principali problematiche applicative della normativa ai processi decisionali delle grandi imprese, indicando alcune delle soluzioni sviluppatesi nella prassi (paragrafo 6). 108 3.2. Le regole stabilite dal consiglio di amministrazione: gli obiettivi di trasparenza e di correttezza sostanziale e procedurale Le regole di cui deve dotarsi il consiglio di amministrazione in materia di operazioni con parti correlate, secondo l’art. 2391-bis, devono garantire il raggiungimento di due obiettivi: i) la trasparenza delle operazioni con parti correlate; ii) la correttezza sostanziale e procedurale delle stesse. Soffermando brevemente l’attenzione sull’obiettivo di trasparenza, si ricorda che esso si riferisce al rispetto degli obblighi di informativa esterna periodica (nelle relazioni finanziarie) e speciale (comunicati e documenti informativi). Come già argomentato, nel presente lavoro si è scelto di non approfondire le tematiche relative all’informativa esterna, tuttavia è bene rimarcare la stretta correlazione che lega i due obiettivi indicati dal legislatore: la correttezza gestionale, infatti, è condizione necessaria affinché possa raggiungersi anche l’obiettivo della trasparenza informativa e quest’ultima, a sua volta, pone potenti remore ai comportamenti scorretti degli amministratori. Per quanto concerne le espressioni «correttezza sostanziale» e «correttezza procedurale», giova sottolineare che esse sono state utilizzate per la prima volta in Italia dal codice di autodisciplina delle società quotate del 2002, che, all’art. 11.1 stabiliva appunto che: «le operazioni con parti correlate rispettano criteri di correttezza sostanziale e procedurale». Nei commenti all’articolo, veniva poi precisato che: «il riferimento alla fairness riflette le migliori pratiche internazionali, oltre a trovare corrispondenza con la nostra disciplina legislativa dei conflitti di interesse. Per fairness sostanziale si intende la correttezza dell’operazione dal punto di vista economico, quando ad esempio il prezzo di trasferimento di un bene sia allineato con i prezzi di mercato. Per fairness procedurale si intende il rispetto di procedure che mirano ad assicurare la correttezza sostanziale dell’operazione»3. 3 COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di autodisciplina, 2002, art. 11.1. 109 Per comprendere il significato originario di tali espressioni, che il legislatore ha poi inserito nell’art. 2391-bis, giova osservare che esse si ispirano alle conclusioni in materia di operazioni in conflitto d’interessi maturate dalla giurisprudenza e dalla prassi degli Stati Uniti4. In particolare, nel diritto comune statunitense, la definizione di piena correttezza (c.d. «entire fairness») si fonda sulla presenza di due condizioni: i) la correttezza sostanziale (c.d. «substantive fairness» o «fair price»), che si riferisce alle condizioni contrattuali dell’operazione; ii) la correttezza procedurale (c.d. «procedural fairness» o «fair dealing»), inerente le modalità procedurali con cui è stata decisa e realizzata l’operazione. La «substantive fairness» non consiste solo nella correttezza economica dell’operazione, valutata rispetto alle normali condizioni di mercato che sarebbero applicate in assenza di correlazione, ma l’operazione deve altresì essere «beneficial to the corporation», cioè risultare vantaggiosa per la società. Come detto, per la sussistenza della entire fairness dell’operazione non è sufficiente la sua substantive fairness, ma è necessario anche che l’operazione verifichi la condizione di procedural fairness, la quale, secondo la giurisprudenza e la prassi americane in materia di conflitti d’interessi degli amministratori, si fonda sulla valutazione di tre elementi: - la trasparenza sulle caratteristiche dell’operazione e sugli interessi in conflitto dell’amministratore; - la ricorrenza di un’approvazione da parte degli amministratori indipendenti che siedono nel Board5; 4 Nella trattazione, si fa riferimento alla definizione di fairness contenuta nella section §8.60(6) del Model Business Corporation Act (MBCA), un modello di legislazione societaria attualmente adottato ufficialmente da 20 stati americani, che rappresenta anche uno dei più importanti punti di riferimento per la giurisprudenza degli altri stati. Cfr., anche per il prosieguo, CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, p. 112. 5 Si ricorda che, negli Stati Uniti, la struttura di corporate governance si basa su un sistema di tipo one-tier, con la presenza di un unico organo, il board of directors, che esercita sia le funzioni direttive che le funzioni di controllo e al cui interno si distinguono: - gli executive o inside directors, che occupano generalmente posizioni manageriali apicali nella società e tra i quali si colloca il c.d. Chief Executive Officer (il vero e proprio capoazienda); i non-executive o outside directors, che svolgono funzioni di controllo sull’operato del board, alcuni dei quali, che verificano particolari requisiti, sono definiti independent directors. 110 - il ruolo dell’amministratore in conflitto di interessi nella definizione dell’operazione. Quanto a quest’ultimo elemento, la giurisprudenza americana ritiene unfair l’operazione definita anche con la partecipazione dell’amministratore in conflitto di interessi alla negoziazione o all’approvazione della stessa, quando sia evidente che tale partecipazione abbia influenzato gli altri amministratori e inficiato l’indipendenza anche dell’autorizzazione espressa dagli amministratori indipendenti. Nella letteratura economico-aziendale la correttezza gestionale rappresenta un tema centrale di studio. Seguendo il pensiero del Coda6, la correttezza gestionale può essere definita, in rapporto di stretta correlazione con la trasparenza informativa, un vero e proprio valore aziendale, il «cardine di un orientamento strategico di fondo lungimirante». Nel declinare i profili di correttezza dei fatti gestionali, il Coda menziona: - la conformità alla legge, intesa non soltanto sotto il profilo formale, ma anche sostanziale; - l’inerenza all’oggetto dell’azienda, requisito disatteso nei casi di patologie aziendali particolarmente gravi, nelle quali «si vogliono porre in essere operazioni che non sarebbe pensabile legittimare attraverso delibere di allargamento dell’oggetto dell’attività aziendale»; - la rispondenza all’interesse aziendale; - l’effettività delle prestazioni e la congruità dei prezzi. Si noti che, quando le operazioni di gestione coinvolgono controparti correlate sono soprattutto gli ultimi due requisiti di correttezza ad assumere un particolare rilevo, dal momento che, in tali circostanze, essi possono essere più facilmente disattesi, tenuto conto dell’assenza della contrapposizione d’interessi che è tipica delle normali transazioni di mercato. Per quanto concerne la rispondenza dei fatti gestionali all’interesse aziendale, la sua verifica passa attraverso: i) un giudizio di funzionalità e ii) un giudizio di convenienza. 6 Cfr. V. CODA, Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto, in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam, Padova, 1997, p. 321 e ss. 111 Sotto il primo profilo, la correttezza dei fatti gestionali sussiste se essi sono funzionali alla missione produttiva dell’azienda. In proposito, si noti che i giudizi di funzionalità possono essere: - meramente tecnici, con riferimento a operazioni di gestione corrente, quali ad esempio l’acquisto di una materia prima o l’assunzione di un collaboratore per una posizione esecutiva; - di valutazione strategica, se si riferiscono ad operazioni di straordinaria amministrazione, quale la cessione di un ramo d’azienda o l’assunzione di un dirigente di alto livello. Verificata la funzionalità del fatto gestionale, occorre valutarne la convenienza economica: esso deve rappresentare la più conveniente tra le alternative percorribili. In sintesi, come osservato nel primo capitolo, la rispondenza all’interesse aziendale viene verificata quando le decisioni sono ispirate al criterio guida dell’economicità aziendale. Quanto ai requisiti di correttezza relativi all’effettività delle prestazioni e alla congruità dei prezzi, essi si riferiscono alle operazioni di scambio, che vengono disattesi quando la fatturazione avvenga a prezzi diversi da quelli effettivamente negoziati, ovvero attraverso la fatturazione di quantitativi diversi da quelli oggetto di scambio. La violazione dei suddetti principi di correttezza gestionale può comportare (come nel caso delle false fatturazioni) la produzione di documenti che non rappresentano fedelmente i fatti gestionali sottostanti. Si evidenzia, in proposito, come la violazione dei principi di correttezza gestionale possa pregiudicare anche la trasparenza informativa Andando a declinare, alla luce di quanto osservato, in cosa consista l’obiettivo di correttezza sostanziale e procedurale richiesto alle regole stabile dall’organo amministrativo. In primo luogo, è necessario che tali regole prevedano presidi idonei ad impedire il compimento di operazioni che non siano funzionali alla missione aziendale e che vengano effettuate esclusivamente in funzione dell’esistenza di un rapporto di correlazione con la controparte, al fine di: 112 - sottrarre risorse all’impresa in favore di economie correlate a chi esercita il controllo (esempi limite: acquisti di beni e servizi non utili all’impresa al solo fine di sostenere economicamente una parte correlata, concessione di finanziamenti o prestazione di garanzie ad imprese correlate in situazione di irrimediabile dissesto economico-finanziario), ovvero - manipolare i conti della società (ad esempio, le c.d. round trip transaction, cioè acquisti e vendite di beni dello stesso tipo al solo fine di aumentare l’entità dei ricavi, oppure le cessioni di crediti inesigibili o in sofferenza ad una società veicolo esclusa dal consolidato e residente in un paradiso societario, in cambio di crediti verso la stessa società veicolo). In proposito, le regole stabilite dal consiglio dovranno dedicare la massima attenzione soprattutto alle operazioni con parti correlate che ricadano anche nella definizione delle c.d. operazioni atipiche o inusuali (stabilita dalla Consob sul modello della disciplina statunitense), cioè «quelle operazioni che per significatività/rilevanza, natura delle controparti, oggetto della transazione, modalità di determinazione del prezzo di trasferimento e tempistica dell’accadimento (prossimità alla chiusura dell’esercizio) possono dare luogo a dubbi in ordine: alla correttezza/completezza dell’informazione in bilancio, al conflitto d’interesse, alla salvaguardia del patrimonio aziendale, alla tutela degli azionisti di minoranza»7. 7 Cfr. Comunicazione Consob n. 6064293 del 28.7.2006 (in materia di bilancio e relazione semestrale) e precedente Comunicazione n. 1025564 del 6.4.2001 (in materia di relazione dell’organo di controllo all’assemblea). Si noti che la medesima definizione è stata riproposta anche nella bozza di regolamentazione sottoposta a consultazione dalla Consob. 6 Si noti che la stessa Consob, nella proposta di regolamentazione ex 2391-bis pubblicata nell’aprile 2008 elimina la seconda parte della definizione («che possono dar luogo…minoranza»), evidenziando che la versione attualmente vigente «comporta, infatti, una serie di problemi applicativi: in particolare, poiché appare attribuire una valenza negativa a queste tipologie di operazioni, raramente le società sono portate ad identificare le operazioni come atipiche e/o inusuali (..)Ciò posto, (…) si sono eliminate le parti della definizione: - che hanno un contenuto troppo generico o appaiono ridondanti; - che inducono a ritenere che l’operazioni atipiche debbano necessariamente non essere “corrette”. Tale nuova definizione avrà rilevanza sia per la nuova disciplina delle operazioni con parti correlate sia ai fini della disciplina contabile». CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, pp. 64-65. 113 La definizione Consob prende in considerazione alcuni aspetti che, tenendo conto delle specificità di ogni singola impresa, possono segnalare le operazioni con parti correlate che non sarebbero effettuate con parti indipendenti: - significatività/rilevanza (ad esempio, un’operazione di importo significativamente superiore a quelle dello stesso tipo generalmente concluse dall’impresa); - natura delle controparti (ad esempio, l’acquisto di una certa tipologia di beni o di servizi da un nuovo fornitore che non sia specializzato nella produzione di quel bene o servizio, la richiesta di un finanziamento ad una società commerciale); - oggetto della transazione (ad esempio, per una società non finanziaria potrebbe considerarsi atipica/inusuale la concessione di crediti finanziari a medio-lungo termine); - modalità di determinazione del prezzo di trasferimento (ad esempio, in una compravendita, pur in presenza di un mercato attivo di riferimento, il contratto potrebbe prevedere una serie di clausole particolari); - tempistica dell’accadimento (ad esempio, operazioni compiute sistematicamente prima delle date di chiusura dei bilanci potrebbero essere prive di sostanza economica e finalizzate esclusivamente a manipolare i risultati). Un secondo obiettivo che il sistema di regole stabilite dall’organo amministrativo deve raggiungere, che si ricollega al giudizio di rispondenza all’interesse aziendale di cui si è detto in precedenza, è collegato alla cosiddetta fairness all’operazione, le cui condizioni non dovrebbero discostarsi da quelle che verrebbero praticate in una medesima operazione caratterizzata dal c.d. arm’s length character, cioè effettuata con una controparte non correlata all’impresa. La nozione di arm’s length character di un’operazione si ricollega al concetto di fair value – caro alla letteratura e alla prassi economica e giuridica di matrice anglosassone –definibile, mutuando la nozione fornita nei principi contabili IAS/IFRS, come «il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere La nuova definizione proposta dalla Consob è la seguente: « le operazioni con caratteristiche atipiche o inusuali rispetto alla normale gestione d’impresa, per natura della controparte, oggetto della transazione, modalità di determinazione del prezzo o tempistica (prossimità della chiusura dell’esercizio sociale)», Proposta nuova lett. p), art. 2, Regolamento Emittenti, Ibidem, p. 146. 114 scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili». In proposito, tuttavia, deve sottolinearsi che tale concezione di fairness nasce in un contesto socio-economico fortemente influenzato dalla presenza di mercati attivi, liquidi e completi, nei quali il fair value delle risorse scambiate (siano esse beni, servizi, diritti, risorse finanziarie, ecc.), può essere considerato alla stregua di un dato, subito disponibile (nel caso di beni quotati) o facilmente calcolabile mediante il confronto con transazioni comparabili. Laddove esistano delle condizioni standard di scambio, l’obiettivo di correttezza sostanziale può effettivamente consistere nel perfetto allineamento ad esse delle operazioni concluse con parti correlate. Nella realtà delle imprese, tuttavia, solo un numero molto ristretto di operazioni (es. compravendita di risorse fungibili o titoli scambiati sul mercato, concessione di finanziamenti, operazioni che l’impresa conclude abitualmente anche con parti non correlate e per le quali, pertanto, ha a disposizione transazioni comparabili, ecc.) possono presentare effettivamente condizioni standard, mentre, normalmente, le operazioni di gestione presentano delle condizioni del tutto peculiari (tempi e modalità di svolgimento o di pagamento, presenza di particolari rischi o di garanzie, …) che impediscono l’individuazione di un fair value oggettivo. Alcune di esse, peraltro, risultano particolarmente complesse e sostanzialmente uniche (si pensi, su tutte, alle operazioni di merger and acquisition). E’ inoltre fondamentale ricordare che, come già osservato nel primo capitolo, non é possibile analizzare e valutare il significato economico delle operazioni di gestione senza considerare l’azienda, nella sua complessa e dinamica economia. Osserva l’Onida: «nell’economia dell’azienda di produzione sono in tutto o in parte congiunti – come vedremo – i costi delle svariate produzioni, sono connessi – o hanno convenienza giudicabile solo nella connessione – i ricavi delle stesse, e sono quindi avvinti da relazioni di mutua dipendenza i risultati astrattamente attribuibili a ciascuna produzione. Per questo, in imprese diverse, anche simili, la convenienza di date produzioni o di dati prezzi di acquisto di fattori produttivi o di collocamento di prodotti è variamente sentita, e male amministrerebbe chi credesse semplicisticamente di trasporre da azienda ad azienda giudizi di convenienza relativi a determinate produzioni, a dati processi produttivi e a dati prezzi, senza verificare se nel complesso sistema economico della gestione delle diverse aziende, esista, entro sufficienti limiti, la 115 parità di condizioni che sola potrebbe consentire una non ingannevole trasposizione dei considerati giudizi di convenienza. In concreto, questa sufficiente parità di condizioni, rispetto ad aziende pur analoghe o simili, è tutt’altro che frequente, assai svariate e mutevoli essendo le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali, passate, presenti o presunte future, operanti nei diversi momenti della vita di ciascuna azienda: condizioni che conferiscono a quest’ultima – come già osservammo – unicità oltre che unità, facendola entità unica e individua in confronto ad ogni altra, e che concorrono a configurare variamente la convenienza rispetto a date operazioni. Quando si consideri che ogni operazione d’azienda trae significato economico e caratteri distintivi anche dal sistema di gestione nel quale si inserisce, si deve dire che operazioni o produzioni per se stesse formalmente simili, sono in realtà economicamente diverse, e presentano quindi varia convenienza se attuate in dissimili sistemi e condizioni di gestione, da aziende diverse, o in diversi momenti, da una medesima azienda»8. La valutazione delle condizioni e, più in generale, della convenienza di un’operazione è possibile solo nell’ottica della complessiva gestione. Ad esempio, come spesso accade, l’impresa può decidere di stabilire relazioni di lungo periodo con gli altri soggetti operanti nel sistema ambientale circostante e, in tali situazioni, una singola operazione di per sé antieconomica potrebbe invece presentare un’importante valenza strategica in prospettiva successiva, costituendo il presupposto per una relazione duratura, magari funzionale all’ingresso in un nuovo mercato. Si pensi anche agli scambi tra società inserite nello stesso gruppo aziendale (che rappresentano l’esempio più frequente di operazioni con parti correlate), in cui possono esistere addirittura società che strutturalmente acquistano fattori produttivi e cedono prodotti/servizi, sostanzialmente unici, solo all’interno del gruppo (tra i casi più frequenti, si pensi alle società che utilizzano in licenza il marchio del gruppo, alle società finanziarie che forniscono servizi di tesoreria centralizzata, alle società che si limitano alla distribuzione di beni e servizi prodotti da altre società del gruppo, ecc.). La definizione di basi il più possibile oggettive dei corrispettivi degli scambi infragruppo (c.d. transfer pricing) costituisce una tra le più interessanti problematiche che interessano i gruppi aziendali e assume una rilevanza cruciale per i gruppi multinazionali, i quali sono soggetti a norme tributarie molto severe, 8 P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 308. 116 tese ad impedire il trasferimento di porzioni di reddito imponibile in stati a fiscalità ridotta o in giurisdizioni dove il gruppo potrebbe vantare uno specifico interesse9. Alla luce di quanto osservato, si evidenzia che, generalmente, non è possibile parlare di vere e proprie «condizioni che verrebbero stabilite in una transazione tra parti consapevoli e indipendenti». E’ appena il caso di ricordare, inoltre, soprattutto per le operazioni più complesse, come la sottoscrizione di accordi strategici pluriennali o l’acquisizione di complessi aziendali o di partecipazioni azionarie, la fondamentale differenza che sussiste tra il concetto di valore e il concetto di prezzo10. Per chiarire quali obiettivi concreti ponga alle regole stabilite dal consiglio di amministrazione l’obiettivo della correttezza sostanziale delle operazioni, è necessario ricordare che la formulazione del giudizio di convenienza economica si pone al termine di un complessivo processo decisionale, che trova il proprio fondamento nelle informazioni a disposizione del soggetto che prende la decisione e che determina il comportamento aziendale. 9 Sul tema delle transazioni infragruppo (intercompany transaction) e dei c.d. prezzi di trasferimento (transfer price), si rinvia, tra gli altri, a: AA.VV., I prezzi di trasferimento. Determinanti e metodologie di calcolo, EGEA, Milano, 2002; P. ANDREI, Gruppi aziendali e politiche dei prezzi di trasferimento, in AA.VV, Le aggregazioni di impresa, Giuffrè, Milano, 1994; M. MIOLA, Trasferimenti patrimoniali infragruppo: profili interni e transnazionali, in P. BALZARINI-G. CARCANO-G. MUCCIARELLI, Gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi. Venezia, 16-17-18 novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996; M. PILATI, Le politiche dei prezzi di trasferimento. Organizzazione e controllo nei quasi mercati, EGEA, Milano, 1990. 10 Si riporta quanto osservato dall’Onida a proposito delle transazioni in assoluto più complesse, cioè i trasferimenti di complessi aziendali in funzionamento: i prezzi di trasferimento «si formano nella tipica condizione del monopolio bilaterale. Lo scambio infatti, avviene comunemente tra due monopolisti: di solito il cedente dell’azienda è l’unico offerente del complesso che un dato compratore avrebbe bisogno o desiderio di acquistare, mentre il cessionario è spesso l’unico richiedente. Il prezzo si forma tra il valore massimo che il compratore ritiene conveniente di attribuire all’azienda ed il valore minimo che il venditore è disposto ad accettare» P. ONIDA, Le dimensioni del capitale d'impresa. Concentrazioni Trasformazioni - Variazioni di capitale, Ristampa seconda edizione emendata, Giuffrè, Milano, 1951, p.185. Sulle differenze tra «prezzo» e «valore», si rinvia, per tutti, a G. ZANDA-M. LACCHINI-T. ONESTI, La valutazione delle aziende (V ed.), Giappichelli, Torino, 2005, cap. 1. 117 In tale ottica, si ritiene che il criterio della correttezza sostanziale debba essere interpretato soprattutto in relazione alla qualità e all’efficacia dei processi di decisione, esecuzione e controllo inerenti le operazioni concluse con parti correlate. In tale ottica, il valore delle risorse, dei servizi, delle obbligazioni oggetto della transazione costituisce solo uno degli elementi informativi (non sempre il principale) su cui deve basarsi una decisione «corretta» dal punto di vista sostanziale, sia nei casi in cui tale valore sia un dato desumibile dal mercato, sia nei casi in cui sia il frutto di procedimenti di valutazione (di fonte interna ovvero esterna, come nel caso dell’intervento degli esperti indipendenti, richiamato espressamente dall’art. 2391-bis). Pertanto, le regole stabilite dal consiglio di amministrazione devono assicurare che tutte le fasi in cui si può idealmente scomporre il processo decisionale (individuazione del problema, definizione del problema, sviluppo delle soluzioni alternative praticabili, individuazione degli scenari e delle conseguenze associabili a ciascuna alternativa disponibile, scelta dell’alternativa migliore) siano assistite dalla disponibilità di informazioni che possano consentire decisioni informate, consapevoli e, dunque, rispondenti al fondamentale principio della razionalità economica e ispirate al criterio dell’economicità aziendale. Rimarcare l’importanza della qualità dei processi di decisione, esecuzione e controllo consente di mettere in luce il collegamento indissolubile tra i due obiettivi di correttezza sostanziale e di correttezza procedurale. In particolare, le regole di «correttezza procedurale» di cui all’art. 2391-bis c.c. riguardano profili di competenza, di disclosure in merito alle caratteristiche e ai rischi connessi alle operazioni nonché di motivazione in termini di convenienza delle stesse per l’emittente. Esse appaiono strettamente funzionali alla creazione di un contesto idoneo a garantire la «correttezza sostanziale» dell’attività deliberativa11. In proposito, si osservi che le regole procedurali adottate dal consiglio di amministrazione dovrebbero affrontare e risolvere, valutando attentamente il rapporto tra costi ed efficacia, soprattutto alcuni problemi fondamentali: 11 S. DODARO, Commento sub art. 2391 bis, in AA.VV., Codice commentato delle società (a cura di G. Bonfante – D. Corapi – G. Marziale – R. Rordorf), V. Salafia, Milano, 2007, p.511. 118 - le procedure che consentono l’identificazione delle parti correlate, con particolare riguardo anche alla periodicità con la quale l’identificazione deve essere ripetuta, tenuto conto che il quadro delle parti correlate può essere in continuo mutamento, soprattutto nei casi in cui ci sia effettivamente la volontà di porre in essere operazioni espropriative o manipolative; - definire i criteri di rilevanza qualitativi e quantitativi che stabiliscano: i) le operazioni delle quali è sufficiente garantire la tracciabilità al fine di poter effettuare efficacemente eventuali controlli mirati successivi; ii) le operazioni delle quali è comunque necessario fornire informazioni al consiglio di amministrazione, anche se in via successiva al loro compimento; iii) le operazioni che non possano essere compiute senza debbano essere sottoposte alla preventiva trattazione in consiglio ed alla deliberazione collegiale; - garantire alle informazioni e alla documentazione su cui si basano le decisioni il massimo grado possibile di oggettività e di indipendenza dai soggetti che esprimono la volontà del gruppo di comando (amministratori delegati e massimi dirigenti aziendali), che possono facilmente manovrare l’informativa al fine di rendere ovvia e scontata la decisione. Da ultimo, si nota che un punto particolarmente delicato dell’art. 2391-bis è il riferimento alle operazioni compiute «direttamente o per il tramite di società controllate». In merito, la dottrina giuridica sostiene che l’operazione realizzata «tramite» una società controllata, sia soggetta alla disciplina dell’art. 2391-bis c.c., poiché è idonea a produrre i suoi effetti economici nella sfera della controllante, anche a seguito di ulteriori atti posti in essere dalla controllata e specificamente diretti a tale fine. La nozione di operazione compiuta «tramite» controllata, dunque, deve essere inclusa anche in tutte quelle ipotesi in cui la società controllata non agisce a favore della controllante in forza di un formale contratto di mandato12. Secondo tale condivisibile interpretazione, le regole di correttezza e trasparenza stabilite dalle capogruppo quotate devono necessariamente coinvolgere anche le società controllate, assumendo la forma di direttive di gruppo che tutte le società controllate devono rispettare. 12 M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005, p. 528. 119 3.3. La disciplina sulle operazioni con parti correlate: le operazioni con interessi degli amministratori e l’attività di direzione e coordinamento Nel definire le procedure relative alle operazioni con parti correlate, il consiglio di amministrazione deve tenere conto anche: i) dei profili di parziale sovrapposizione della normativa in materia di parti correlate con la disciplina relativa alle operazioni in cui gli amministratori abbiano un interesse, di cui all’art. 2391 del codice civile; ii) della speciale disciplina cui sono soggette le operazioni compiute tra società sottoposte alla medesima attività di direzione e coordinamento, di cui agli art. 2497 e ss. del codice civile. Con riferimento al punto i), le due discipline potrebbero trovare contestuale applicazione quando l’operazione non soltanto fosse conclusa con una parte correlata, ma, come potrebbe in effetti accadere frequentemente, un amministratore dovesse anche avere «per conto proprio o di terzi», un «interesse» nell’operazione, non necessariamente in conflitto con quello della società. Com’è noto, in tali casi, l’art. 2391, primo e secondo comma, prevede una serie di obblighi in capo all’amministratore interessato13, di seguito brevemente compendiati: 13 Art. 2391 Interessi degli amministratori: «1. L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile. 2. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. 3. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. 4. L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione. 5. L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla 120 - deve darne notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale precisando «la natura, i termini, l’origine e la portata» dell’interesse; - se si tratta di un amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale; - in entrambi i casi il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. Sulla correlazione tra le due discipline si condivide l’osservazione del Ventoruzzo, secondo il quale «non può tuttavia ritenersi che gli ambiti di applicazione delle due discipline coincidano: possono infatti esservi casi in cui l’amministratore è portatore di un interesse per conto di un soggetto terzo non correlato e ai quali dunque si applicherà solo l’art. 2391, e casi nei quali un’operazione con «parti correlate» non coinvolge gli interessi dei singoli amministratori e ai quali dunque si applicherà solo l’art. 2391-bis»14. La procedura definita dal Consiglio di Amministrazione dovrà tenere debito conto di questo ulteriore elemento di complessità, assicurando contemporaneamente il rispetto di entrambe le norme e definendo chiaramente i casi in cui, nel processo decisionale di un’operazione con parti correlate, si dovrà tenere conto anche delle più stringenti disposizioni previste all’art. 2391. Assai più complesso è l’impatto sulle procedure in materia di operazioni con parti correlate della particolare disciplina che riguarda le imprese sottoposte alla direzione e coordinamento del medesimo soggetto (art. 2497 e ss.)15. Com’è noto, la disciplina in parola ha dato formalmente atto della connessione economica esistente tra imprese organizzate in forma di gruppo, superando il principio della esclusiva rilevanza, per ogni società, del proprio specifico interesse sociale individuale. utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie, o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico». 14 M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005, pp. 524 – 525. 15 Per un approfondimento, si rinvia a: P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Rivista delle società, pp. 317-344. Si veda, inoltre: F. DI LAZZARO, La nuova disciplina dei gruppi di società: il punto di vista dell'aziendalista, in N. ABRIANI-T. ONESTI, La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto. Atti del Convegno. Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Quaderni di giurisprudenza commerciale, n.263, Giuffrè, Milano, 2004. 121 In particolare, l’art. 2497, comma 1, stabilisce che: «le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette». Con l’introduzione degli artt. 2497 e ss. è stata quindi riconosciuta la legittimità, alla luce dell'unitario fenomeno d'impresa sottostante, del coordinamento unitario di più entità dotate di propria individualità giuridica, stabilendo la responsabilità diretta della controllante verso i soci e i creditori delle controllate, in caso di abuso. Inoltre, è stato previsto il diritto di recesso degli azionisti controllati in caso di mutamento dell’assetto imprenditoriale in cui la società (inserita in un gruppo) si trova ad operare ovvero nell’ipotesi in cui l’attività di direzione e coordinamento sia stata esercitata in modo non conforme ai principi di corretta gestione affermati dall’art. 2497 del codice civile. Infine, il legislatore ha previsto obblighi stringenti di disclosure connessi allo status di società soggetta all’altrui direzione e coordinamento: - nella corrispondenza deve essere indicata la società o l’ente alla cui direzione e coordinamento la società è sottoposta; - la condizione di soggezione va iscritta in un’apposita sezione del registro delle imprese; - la nota integrativa deve riportare i principali dati di bilancio della società/ente che esercita la direzione e coordinamento; - la relazione sulla gestione deve riportare “rapporti intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa sociale e sui suoi risultati”; Per quello che più rileva in questa sede, nel caso in cui un’operazione avvenga con una parte correlata inserita in un medesimo contesto di direzione e coordinamento, il processo decisionale può limitarsi al rispetto di quanto previsto 122 all’art. 2497-ter del codice civile, in cui si stabilisce che: «le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione». Pertanto, nel rispetto degli obblighi di trasparenza decisionale – che si riflettono anche nell’informativa da fornirsi nella relazione sulla gestione l’eventuale emergere di responsabilità in capo al soggetto che esercita la direzione e coordinamento sarà oggetto di una valutazione complessiva16. Tale valutazione potrà essere effettuata soltanto successivamente al compimento dell’operazione, considerata la possibilità, espressamente prevista dal legislatore, di compiere operazioni dirette alla «integrale eliminazione» degli eventuali danni cagionati. 16 Cfr. F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam, Padova, 2007,p .238. 123 3.3.1. Un possibile schema di sintesi della normativa La figura seguente riassume le diverse casistiche sin qui esaminate, con riferimento all’insieme delle operazioni aziendali: Figura 14. Rappresentazione grafica del quadro normativo Operazioni con parti correlate (identificate) Insieme delle operazioni 5 12 Direzione e coordinamento 1 Operazioni atipiche o inusuali 10 Operazioni con l’interesse di almeno un amministratore 2 6 9 11 7 3 8 4 Nello schema sono raffigurate: a) le operazioni svolte nell’ambito di un medesimo contesto di direzione e coordinamento, soggette alla speciale disciplina fissata agli articoli 2497 e ss. del codice civile (casi da 1 a 4); b) le operazioni svolte con parti correlate, identificate in applicazione della definizione stabilita dal principio contabile IAS 24 e soggette alle disposizioni dell’art. 2391-bis del codice civile (casi da 1 a 8); c) le operazioni nelle quali uno degli amministratori dichiari di detenere un interesse per conto proprio o di terzi e trovino applicazione, pertanto, le disposizioni di cui all’articolo 2391 del codice civile (casi 3, 4, 7, 8, 10, 11); d) le operazioni c.d. atipiche o inusuali, per le quali la Consob17 stabilisce presidi rafforzati in termini di controllo e di trasparenza (casi 2, 3, 6, 7, 9, 10); 17 Il riferimento è alla Comunicazione n. 1025564 trasmessa il 6 aprile 2001 (contenente lo schema di riferimento per le relazioni del Collegio Sindacale all’Assemblea) e la Comunicazione n. 6064293 del 28 luglio 2006 (in materia di informativa da fornire nei bilanci IAS/IFRS). Si veda il precedente paragrafo 2.3.2. 124 e) le operazioni non appartenenti ad alcuna delle casistiche precedenti (caso 12). La rappresentazione grafica consente di cogliere visivamente alcuni aspetti particolari della disciplina riferita ai processi deliberativi delle operazioni con parti correlate. In particolare, si noti che: - le regole stabilite dal consiglio di amministrazione in materia di operazioni con parti correlate devono tenere conto delle diversa disciplina prevista per i casi da 5 a 8 (operazioni con parti correlate esterne all’ambito di direzione e coordinamento) e per i casi da 1 a 4 (operazioni con parti correlate ricomprese nell’ambito di direzione e coordinamento)18; - le operazioni atipiche o inusuali possono essere compiute sia con parti non correlate (casi 9 e 10), sia con parti correlate esterne all’ambito di direzione e coordinamento (casi 7 e 8), sia con parti incluse in esso (casi 3 e 4); - gli amministratori potrebbero avere un interesse in operazioni compiute sia con parti non correlate (casi 10 e 11), sia con parti correlate esterne all’ambito di direzione e coordinamento (casi 6 e 7) 19, sia con parti incluse in esso (casi 2 e 3). 3.4. Compiti e responsabilità del collegio sindacale Secondo l’articolo 2391-bis del codice civile, al collegio sindacale vengono attribuiti due compiti: i) vigilare sull'osservanza delle regole adottate dagli amministratori; ii) riferire all’assemblea sugli esiti di tale attività, nell’ambito della relazione di propria competenza. Al riguardo, ci si limita ad osservare che il ruolo affidato al collegio sindacale dalla norma in commento sembrerebbe molto marginale, quasi quello di un mero «certificatore» del rispetto delle regole adottate dagli amministratori, indipendentemente dalla loro efficacia sostanziale. 18 Si osservi che l’appartenenza al medesimo ambito di direzione e coordinamento costituisce condizione sufficiente, ma non necessaria, per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 2391-bis; 19 Si pensi alle operazioni con parti correlate identificate in base al criterio f) dello IAS 24 (cfr. 2.4.7, p. 94 e ss.). 125 A nostro sommesso avviso, invece, il ruolo dell’organo di controllo dovrebbe ritenersi centrale nel fronteggiare i rischi connessi alle operazioni con parti correlate, nell’ambito del proprio dovere di vigilanza sulla gestione e di tutela dell’interesse sociale. Si tenga conto anche che: - il collegio sindacale assiste a tutte le riunioni del consiglio di amministrazione e accede alle medesime informazioni disponibili agli amministratori; - dispone, inoltre, di ampi poteri di ispezione, alcuni dei quali, a seguito della legge sul risparmio, possono essere esercitati anche individualmente dai sindaci; - è formato esclusivamente da soggetti indipendenti, quantomeno formalmente; - i suoi componenti possiedono tipicamente le competenze professionali necessarie per valutare la razionalità delle decisioni prese dal consiglio (pur non entrando nel merito delle stesse), con particolare riguardo agli aspetti relativi alla qualità dell’informazione disponibile; - i suoi lavori sono guidati da un presidente eletto dalle minoranze, per definizione le più interessate ad evitare i fenomeni espropriativi compiuti dal gruppo di comando. Si sottolinea poi che l’art. 149, lett. c-bis, del D.Lgs. n.58/1998 attribuisce al collegio sindacale un preciso dovere di vigilanza «sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi». Alla luce di tale norma, il collegio sindacale può essere considerato il vero e proprio garante dell’effettiva applicazione delle regole di best practice contenute nel codice di autodisciplina delle società quotate (qualora adottato), ed in particolare di quelle relative alle operazioni con parti correlate, di cui si dirà nel prossimo paragrafo. Le osservazioni sin qui formulate, è doveroso precisarlo, si scontrano con una realtà dei fatti in cui, in un grande numero di casi, i collegi sindacali si limitano ad un ruolo passivo che finisce per svuotarne totalmente la fondamentale funzione nell’ambito del sistema dei controlli interni. 126 Prima di passare a trattare le disposizioni contenute nel codice di autodisciplina in materia di operazioni con parti correlate, vale la pena sottolineare come la diffusa tendenza ad importare nel nostro ordinamento le soluzioni di corporate governance dei modelli anglosassoni, nei quali non esiste un organo analogo al collegio sindacale (si pensi alle difficoltà che si incontrano persino nel tradurre «collegio sindacale» in lingua inglese), sembrerebbe aver fatto passare in secondo piano le potenzialità di un organo di controllo che, ormai liberato degli oneri delle attività di controllo contabile, può dedicare interamente la propria attività alla vigilanza sul sistema dei controlli interni. 127 3.5. Le operazioni con parti correlate secondo il codice di autodisciplina delle società quotate L’attuale versione del codice di autodisciplina (nel prosieguo anche, più brevemente, “Codice”) è stata pubblicata nel marzo 2006, aggiornando la precedente versione del 2002, anche alla luce dell’entrata in vigore delle norme di corporate governance contenute nella c.d. legge sul risparmio. Il Codice propone 12 principi di corporate governance, corredati ciascuno da criteri applicativi e da alcuni commenti, al fine di «contribuire al mantenimento e al miglioramento di elevati standard qualitativi del nostro mercato azionario, aumentando il livello di interesse e di fiducia sia da parte di investitori e intermediari nazionali e internazionali, sia da parte delle aziende che intendono avvicinarsi al mercato dei capitali»20. Com’è noto, l’adesione da parte delle società quotate al Codice è volontaria e si fonda sul principio c.d. di «comply or explain», che si sostanzia nella redazione periodica di un documento, la c.d. «relazione sul governo societario», nella quale ciascuna società che aderisce al Codice fornisce: - la specificazione di quali raccomandazioni siano state effettivamente applicate e con quali modalità (laddove il codice preveda più soluzioni alternative); - adeguate informazioni in merito ai motivi della mancata o parziale applicazione di una o più raccomandazioni. Sul punto, va ricordato (si veda il paragrafo precedente) il dovere di vigilanza «sulle modalità di concreta attuazione» assegnato all’organo di controllo dall’art. 149, lett. c) del D.Lgs. 58/1998. Sin dal suo esordio, l’efficacia del codice di autodisciplina è stata messa in dubbio da numerose voci critiche21, che ne hanno contestato soprattutto la scarsa capacità di incidere sulle delicate dinamiche di conflitto d’interessi tipiche delle grandi imprese quotate. In proposito, tuttavia, può condividersi che «i codici di autodisciplina hanno il pregio di (tentare) di indurre comportamenti virtuosi attraverso l’adozione 20 COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di autodisciplina, 2006, p. 3. 21 Tra le voci critiche più autorevoli, si veda: G. ROSSI, Le c.d. regole di corporate governance sono in grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Rivista delle società, 2001, p. 6 e ss. 128 spontanea di regole, anziché mediante la rigidità dell’imposizione normativa. Ciò può consentire un adeguamento progressivo, condiviso, non subito e perciò, sul medio periodo, probabilmente effettivo»22. Passando ad esaminare le specifiche regole previste dal Codice, si osserva che le operazioni con parti correlate vengono menzionate già al criterio applicativo 1.C.1, che si riferisce al ruolo del consiglio di amministrazione. In particolare, il Codice, stabilisce che l’organo di gestione, in sede collegiale: - «esamina e approva preventivamente le operazioni dell’emittente e delle sue controllate, quando tali operazioni abbiano un significativo rilievo strategico, economico, patrimoniale o finanziario per l’emittente stesso, prestando particolare attenzione alle situazioni in cui uno o più amministratori siano portatori di un interesse per conto proprio o di terzi e, più in generale, alle operazioni con parti correlate»; - «a tal fine stabilisce criteri generali per individuare le operazioni di significativo rilievo». Il Codice dedica alla tematica delle operazioni con parti correlate uno specifico principio (il principio 9 Interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate), nel quale si afferma che «il consiglio di amministrazione adotta misure volte ad assicurare che le operazioni nelle quali un amministratore sia portatore di un interesse, per conto proprio o di terzi, e quelle poste in essere con parti correlate vengano compiute in modo trasparente e rispettando criteri di correttezza sostanziale e procedurale». Si noti che tale principio ricalca quanto previsto dall’art. 2391-bis, trattando congiuntamente le situazioni di operazioni in cui gli amministratori abbiano un interesse e i casi di correlazione con la controparte, nonostante, come osservato, possano verificarsi casi in cui deve applicarsi l’art. 2391 e non l’art. 2391-bis. Il Codice, nel definire i criteri applicativi di tale principio, affida un ruolo centrale al comitato di controllo interno23, nell’ipotesi che tale organo, in virtù della propria composizione, sia in grado di assicurare la dovuta indipendenza di giudizio rispetto alle tematiche più delicate in termini di possibili conflitti di interesse. 22 P. MONTALENTI, Corporate Governance, consiglio di amministrazione, sistemi di controllo interno: spunti per una riflessione, in Ibid., 2002, p. 814. 23 Al comitato di controllo interno è dedicato il principio n. 8 del Codice. 129 Esso, infatti risulta composto di soli consiglieri non esecutivi, la maggioranza dei quali24 deve essere «indipendente»25, verificando i requisiti di indipendenza stabiliti al principio 3 Amministratori indipendenti dallo stesso Codice. In particolare, il Codice definisce amministratori indipendenti coloro che «non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne attualmente l’autonomia di giudizio», fornendo alcuni esempi (non tassativi) di situazioni di assenza di indipendenza26. 24 Sulla composizione del comitato, il principio n. 8 precisa che: «se l’emittente è controllato da altra società quotata, il comitato per il controllo interno è composto esclusivamente da amministratori indipendenti. Almeno un componente del comitato possiede una adeguata esperienza in materia contabile e finanziaria, da valutarsi dal consiglio di amministrazione al momento della nomina». 25 Sugli amministratori indipendenti, si veda: M. BELCREDI, Amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, e dintorni, in Rivista delle società, 2005, p. 853 e ss; F.A. GRASSINI, C'è un ruolo per gli amministratori indipendenti?, in Mercato concorrenza regole; P. MONTALENTI, Amministrazione, controllo, minoranze nella legge sul risparmio, in Rivista delle società, 2006, p. 975 e ss; R. RORDORF, Gli amministratori indipendenti, in Giurisprudenza commerciale, vol. I, 2007, p. 143 e ss. 26 Precisamente, il criterio 3.C.1 stabilisce che: « Il consiglio di amministrazione valuta l’indipendenza dei propri componenti non esecutivi avendo riguardo più alla sostanza che alla forma e tenendo presente che un amministratore non appare, di norma, indipendente nelle seguenti ipotesi, da considerarsi come non tassative: a) se, direttamente o indirettamente, anche attraverso società controllate, fiduciari o interposta persona, controlla l’emittente o è in grado di esercitare su di esso un’influenza notevole, o partecipa a un patto parasociale attraverso il quale uno o più soggetti possano esercitare il controllo o un’influenza notevole sull’emittente; b) se è, o è stato nei precedenti tre esercizi, un esponente di rilievo dell’emittente, di una sua controllata avente rilevanza strategica o di una società sottoposta a comune controllo con l’emittente, ovvero di una società o di un ente che, anche insieme con altri attraverso un patto parasociale, controlla l’emittente o è in grado di esercitare sullo stesso un’influenza notevole; c) se, direttamente o indirettamente (ad esempio attraverso società controllate o delle quali sia esponente di rilievo, ovvero in qualità di partner di uno studio professionale o di una società di consulenza), ha, o ha avuto nell’esercizio precedente, una significativa relazione commerciale, finanziaria o professionale: – con l’emittente, una sua controllata, o con alcuno dei relativi esponenti di rilievo; – con un soggetto che, anche insieme con altri attraverso un patto parasociale, controlla l’emittente, ovvero – trattandosi di società o ente – con i relativi esponenti di rilievo; 130 L’attribuzione di un ruolo di rilevo al comitato di controllo interno poggia sull’ipotesi che tale organo, in virtù della propria composizione, sia in grado di svolgere una fondamentale funzione istruttoria e consultiva nelle operazioni più delicate sotto il profilo del possibile compimento di atti contrari all’interesse dell’impresa e dei suoi azionisti27. Nei criteri applicativi 9.C.1.e 9.C.2, infatti, il Codice stabilisce che: - «il consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo interno, stabilisce le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni poste in essere dall’emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate. Definisce, in particolare, le specifiche operazioni (ovvero determina i criteri per individuare le operazioni) che debbono essere approvate previo parere dello stesso comitato per il controllo interno e/o con l’assistenza di esperti indipendenti». ovvero è, o è stato nei precedenti tre esercizi, lavoratore dipendente di uno dei predetti soggetti; d) se riceve, o ha ricevuto nei precedenti tre esercizi, dall’emittente o da una società controllata o controllante una significativa remunerazione aggiuntiva rispetto all’emolumento “fisso” di amministratore non esecutivo dell’emittente, ivi inclusa la partecipazione a piani di incentivazione legati alla performance aziendale, anche a base azionaria; e) se è stato amministratore dell’emittente per più di nove anni negli ultimi dodici anni; f) se riveste la carica di amministratore esecutivo in un’altra società nella quale un amministratore esecutivo dell’emittente abbia un incarico di amministratore; g) se è socio o amministratore di una società o di un’entità appartenente alla rete della società incaricata della revisione contabile dell’emittente; h) se è uno stretto familiare di una persona che si trovi in una delle situazioni di cui ai precedenti punti». 27 Osserva criticamente l’Enriques: «è indubbio che per dimostrare l’indipendenza non soltanto a parole, bensì nelle best practice, occorre qualcosa di più, e cioè la presenza di qualità personali, quali l’autonomia di giudizio, il coraggio delle proprie idee, il senso della missione di tutelare interessi diffusi e dunque mal organizzati nonché sufficiente concern per la propria reputazione nei confronti del mercato, e in particolare degli investitori istituzionali. E d’altra parte queste qualità potrebbero persino non bastare: occorreranno persone disposte a uscire definitivamente dal mercato degli amministratori indipendenti, perché frequentemente esse pagheranno perlomeno in questo modo la propria opposizione ai soci di controllo; inoltre, almeno in certi paesi, occorre anche il coraggio di sfidare il rischio di dover pagare l’indipendenza dimostrata nel consiglio di amministrazione con un cattivo trattamento da parte della stampa finanziaria, quando questa, a sua volta, non sia sufficientemente indipendente dai gruppi di comando delle principali società». L. ENRIQUES, Codici di corporate governance, diritto societario e assetti proprietari: alcune considerazioni preliminari, in Banca Impresa e Società, 2003, p. 100. 131 - «il consiglio di amministrazione adotta soluzioni operative idonee ad agevolare l’individuazione ed una adeguata gestione delle situazioni in cui un amministratore sia portatore di un interesse per conto proprio o di terzi». Nella commento al principio 9, il Codice suggerisce poi alcune possibili soluzioni applicative che possono essere considerate nello stabilire le regole ex 2391-bis: - «la riserva alla competenza del consiglio dell’approvazione delle operazioni di maggiore rilievo; - la previsione di un parere preventivo del comitato per il controllo interno; - l’affidamento delle trattative ad uno o più amministratori indipendenti (o comunque privi di legami con la parte correlata); - il ricorso ad esperti indipendenti (eventualmente selezionati da amministratori indipendenti)». Il Codice precisa, inoltre, che «la concreta articolazione di questi o analoghi presidi non può che essere lasciata al potere di autoregolamentazione del consiglio – sia pure nel rispetto dei principi generali indicati dalla Consob ai sensi dell’art. 2391-bis cod. civ. – in funzione della tipologia e della rilevanza, sotto il profilo economico e/o strategico, delle operazioni, nonché della natura ed estensione delle relazioni esistenti con le controparti». Sempre nei commenti al Principio 9, il Codice fa un riferimento alla possibilità di adottare procedure semplificate per quelle operazioni che siano compiute nell’ambito del medesimo contesto di direzione e coordinamento. In proposito, il Codice suggerisce che: «per quanto riguarda le operazioni nelle quali un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse, il Comitato raccomanda che il consiglio di amministrazione ricerchi soluzioni che contemperino l’esigenza di trasparenza e correttezza sottesa alle norme di legge con l’opportunità di non appesantire l’attività dell’organo di gestione con adempimenti eccessivamente onerosi; ciò, in particolare, nei casi in cui l’amministratore dell’emittente sia esponente della società o dell’ente che esercita sull’emittente attività di direzione e coordinamento, tenuto conto che in tale circostanza gli artt. 2497 ss. cod. civ. prevedono penetranti presidi a tutela degli azionisti. In generale, nei casi in cui l’amministratore sia portatore di un interesse in quanto membro dell’organo di amministrazione di una società legata all’emittente da un rapporto di controllo (o di comune controllo), pare ammissibile che eventuali obblighi informativi e/o di motivazione relativi ad operazioni che rientrano nella normale operatività del gruppo siano adempiuti in 132 modo generale e sintetico anche in via preventiva, salva la necessità di informazioni integrative a fronte di operazioni di particolare rilievo». Con riferimento alla concreta adozione da parte delle società quotate di quanto previsto dal codice di autodisciplina, uno studio effettuato sulle relazioni di governo societario relative all’anno 2008 dall’Assonime ha verificato la definizione di apposite procedure e la loro articolazione nelle 291 società quotate italiane. In particolare, l’Assonime ha constatato che: « In 250 casi (pari all’86% del totale; erano l’83% nel 2007) le società comunicano di avere adottato procedure per l’approvazione delle operazioni con parti correlate; la percentuale è intorno al 95% nelle società maggiori (S&P, Midex e Star) e al 75% in quelle minori (Altre ed Expandi)»28. Per quanto riguarda le società restanti, è ragionevole ipotizzare che esse si adegueranno alla normativa successivamente all’emanazione del regolamento da parte della Consob. 28 ASSONIME, Analisi dello stato di attuazione del Codice di Autodisciplina delle società quotate (Anno 2008), 2009, pp.21-22 e tav. 26 dell’Allegato 2. 133 3.6. Le regole in materia di operazioni con parti correlate: principali problematiche applicative e possibili soluzioni Le regole stabilite dall’organo amministrativo devono raggiungere due fondamentali obiettivi. In primo luogo, esse devono essere «efficaci», cioè essere idonee ad assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale, secondo quanto espressamente indicato dalle disposizioni normative. In proposito, è importante che l’organo amministrativo comprenda e condivida lo spirito informatore delle norme legislative e regolamentari, cercando di definire regole che ne assicurino il rispetto dal punto di vista sostanziale. Una mera osservanza formale delle disposizioni normative, infatti, potrebbe facilmente rivelarsi inefficace, tenuto conto della delicatezza e della complessità della materia. In secondo luogo, le regole devono essere «efficienti», cioè devono garantire che l’obiettivo primario dell’efficacia venga raggiunto senza che la gestione risulti gravata da eccessivi oneri o da inutili complicazioni. Una maggiore efficienza, in questo senso, è garantita da un sistema di presidi il più possibile «integrati» nell’infrastruttura organizzativa e fatti propri dalla cultura aziendale e non semplicemente «aggiunti» ad essa. Per quanto concerne il livello di dettaglio richiesto alle regole in materia di operazioni con parti correlate, l’organo amministrativo è chiamato a trovare il giusto equilibrio tra la formulazione di regole sintetiche, che, ad esempio, si fondino su linee guida e principi generali, e la definizione di regole maggiormente analitiche, che tentino di disciplinare in modo dettagliato, per quanto possibile, le varie situazioni concretamente verificabili. Entrambe le soluzioni possono presentare vantaggi e svantaggi in termini di efficacia e di efficienza. Regole maggiormente sintetiche presentano il vantaggio di una maggiore flessibilità, ma rendono necessaria un’attività interpretativa più o meno complessa in sede di loro concreta applicazione. La loro efficacia, pertanto, trova un fondamentale presupposto nell’indipendenza di giudizio dei soggetti chiamati a interpretarle e ad applicarle. Diversamente, regole caratterizzate da un più elevato grado di analiticità (che possono assumere la forma di una vera e propria procedura aziendale o di gruppo), presentano il vantaggio di minimizzare la discrezionalità in sede applicativa ma possono rischiare di burocratizzare eccessivamente la gestione, nei casi in cui non siano pienamente ed efficientemente integrate nel complesso delle altre procedure aziendali. 134 Le specificità di ogni singola impresa (in termini di assetto proprietario, attività svolta, modello organizzativo, cultura aziendale…) escludono la possibilità di teorizzare nel dettaglio regole universalmente valide in materia di operazioni con parti correlate. Tuttavia, è possibile individuare alcune fondamentali problematiche, comuni a tutte le imprese, che le regole stabilite dall’organo amministrativo devono senz’altro affrontare e risolvere al fine di risultare efficaci. In proposito, nei prossimi paragrafi si svolgono alcune brevi osservazioni, anche alla luce delle prime soluzioni sviluppate nella pratica dalle principali società quotate, secondo quanto reso pubblico dalle stesse nella relazione sul governo societario o con altre modalità. Al riguardo, va rimarcata l’importanza per le società di fornire al mercato la più ampia informativa sulle regole adottate. Com’è intuibile, infatti, gli investitori (attuali e potenziali) tendono a prediligere le imprese dotate, quantomeno sul piano formale, di regole severe e credibili che, almeno presumibilmente, siano idonee a garantire la correttezza e la trasparenza delle operazioni con parti correlate, così contrastando i fenomeni espropriativi operati dal soggetto che esercita il controllo29. Diversamente, le società che non sottopongono alla valutazione degli investitori le proprie regole in materia, ovvero quelle che si limitano a fornire un’informativa generica o parziale che non chiarisce adeguatamente tutti gli snodi chiave della disciplina, dispongono di una minore capacità di attirare la fiducia degli investitori. Le principali problematiche che le regole in materia di operazioni con parti correlate devono affrontare possono essere ricondotte alle seguenti attività: 1. Attività preliminari: - mappatura delle controparti correlate; - identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili) con parti correlate; 2. Attività relative al processo deliberativo: - valutazione (preliminare) della rilevanza; - deliberazione delle operazioni non rilevanti; 29 Si ricordi poi che l’è tenuto a relazionare l’assemblea sull’effettiva applicazione delle regole adottate. 135 - deliberazione delle operazioni rilevanti; 3. Attività di monitoraggio. Tra le attività denominate «preliminari» (punto 1) sono incluse tutte le attività necessarie ad identificare, preliminarmente alla loro effettuazione, le operazioni alle quali vadano applicati i maggiori presidi in termini di correttezza e trasparenza richiesti dalla normativa. In proposito, possono distinguersi le problematiche relative all’individuazione del soggetto delle operazioni (la mappatura delle parti correlate) e all’oggetto delle stesse (le operazioni da ritenersi «significative», tenuto conto delle finalità della normativa). La presenza di regole che garantiscano in modo tempestivo e completo l’identificazione preliminare delle operazioni con parti correlate costituisce un presupposto imprescindibile per l’efficacia delle regole riferite al vero e proprio processo deliberativo. Infatti, qualora l’identificazione preliminare delle operazioni con parti correlate fosse solo parziale, vi sarebbero operazioni che sfuggirebbero completamente agli specifici presidi previsti in materia di correttezza e trasparenza e risulterebbe inevitabilmente pregiudicato, nel suo complesso, l’obiettivo dell’efficacia. Venendo alle attività relative al processo deliberativo delle operazioni con parti correlate (punto 2), al fine di una maggiore efficienza, le regole potranno prevedere percorsi diversi a seconda della minore o maggiore rilevanza delle operazioni, la cui valutazione costituisce un’attività cui le regole stabilite dall’organo amministrativo devono dedicare la massima attenzione. Per le operazioni significative giudicate non rilevanti, le regole potranno limitarsi alle problematiche relative alla documentazione delle stesse e alla creazione di un adeguato flusso informativo periodico successivo alla loro conclusione. Diversamente, per le operazioni rilevanti, le regole potranno andare a modificare, anche in modo molto significativo, il processo decisionale seguito per le operazioni analoghe ma concluse con parti non correlate, intervenendo su tutte le fasi del processo decisionale: - chiara esplicitazione delle motivazioni dell’operazione; - allargamento della base informativa, garantendo il più possibile la neutralità della stessa rispetto alle istanze del soggetto economico, anche mediante l’utilizzo di autorevoli fonti esterne di informazione; 136 - esplicitazione delle possibili alternative alla conclusione dell’operazione e degli scenari associati a ciascuna alternativa; - esplicitazione dei criteri di valutazione della convenienza dell’operazione, coinvolgimento nella scelta di un numero più ampio di soggetti ovvero di soggetti posti ad un livello gerarchico più elevato, delega delle decisioni a soggetti indipendenti, ecc. Tra le attività di monitoraggio (punto 3 dello schema precedente), infine, sono incluse tutte le attività volte a valutare nel tempo l’efficacia e l’efficienza delle regole stabilite alla luce della loro concreta applicazione, al fine di evidenziare le eventuali criticità e le aree di possibile miglioramento. Nei paragrafi che seguono, si enucleano le fondamentali problematiche relative alle attività considerate e si presentano alcune possibili soluzioni applicative. 3.6.1. La mappatura delle parti correlate La mappatura delle parti correlate è un’attività onerosa e complessa, che richiede la definizione di un quadro informativo estremamente ampio e che presenta rilevanti ambiti di discrezionalità. L’oggetto di tale attività è la creazione, l’aggiornamento periodico e il mantenimento di un registro delle parti correlate, a disposizione delle strutture della società e delle società controllate, al fine di consentire loro di identificare le parti correlate in via preliminare alla conclusione di una qualsiasi operazione con esse. Quanto ai soggetti responsabili in concreto della mappatura delle parti correlate, ferma restando la suprema responsabilità dell’organo amministrativo, nella pratica si è evidenziata l’opportunità di attribuire tale compito ad un apposito comitato, formato dai responsabili di alcune aree chiave (internal audit, area legale, area amministrativa), che disponga delle necessarie risorse e competenze, nonché di un sufficiente grado di indipendenza di giudizio. Limitazioni del quadro informativo e ambiti di discrezionalità 137 Per quanto concerne la definizione del quadro informativo, si osserva che il concreto reperimento delle informazioni necessarie per l’applicazione dei criteri previsti dallo IAS 24 incontra alcune significative limitazioni. In proposito, possono distinguersi limitazioni che discendono dalla comparazione tra l’onerosità e la rilevanza delle informazioni da acquisire e limitazioni legate a particolari situazioni che impediscono il reperimento delle informazioni. Nel primo caso, può parlarsi di limitazioni di tipo «soggettivo», in quanto la scelta del rapporto tra onerosità e rilevanza delle informazioni è di tipo discrezionale. Nel secondo caso, le limitazioni possono definirsi di tipo «oggettivo». Al riguardo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, si menzionano i casi seguenti: - presenza, nella catena di controllo della reporting entity, di veicoli societari che garantiscono l’anonimato dei relativi proprietari; - esistenza di accordi o patti che garantiscono il controllo o l’esercizio di un’influenza notevole sulla reporting entity (o sulle società poste lungo la catena di controllo) e che possono restare del tutto o parzialmente riservati; - indisponibilità degli individui correlati (in particolare, di quelli identificati in base ai criteri sub a) a fornire le informazioni relative ai propri stretti familiari. Ciò considerato, con riferimento all’accessibilità delle informazioni, si possono distinguere: i. le informazioni accessibili immediatamente (ad esempio, le informazioni relative alle società controllate dalla reporting entity); ii. le informazioni accessibili solo in seguito allo svolgimento di specifiche attività, la cui onerosità sia ragionevole; iii. le informazioni non accessibili a causa di limitazioni di carattere soggettivo (l’onerosità delle attività necessarie al loro reperimento viene giudicata eccessiva rispetto alla rilevanza delle informazioni acquisibili); iv. le informazioni non accessibili a causa di limitazioni di carattere oggettivo. Sia alle limitazioni di carattere soggettivo, che a quelle di carattere oggettivo, dovrebbe essere assicurata la massima tracciabilità, documentando opportunamente (in modo valido, accurato e completo) l’attività svolta e 138 limitazioni incontrate, in modo da consentire in tempi successivi lo svolgimento di eventuali attività di controllo. In aggiunta alle limitazioni sinora esaminate, che attengono alla dimensione spaziale, intesa come accessibilità delle informazioni, la definizione del quadro informativo incontra ulteriori limitazioni legate alla dimensione temporale e dovute alla continua mutabilità (almeno potenziale)30 delle relazioni sulle quali si fondano i criteri di definizioni di parte correlata, cui si contrappone la concreta impossibilità di un loro continuo monitoraggio. In proposito, si noti che anche la scelta della periodicità con la quale aggiornare il quadro informativo ha carattere discrezionale e si basa sul confronto tra l’onerosità delle attività richieste e il rischio che le informazioni a disposizione non siano sufficientemente aggiornate31. Sul punto, in base alle informazioni sulle regole adottate comunicate al mercato, le società quotate si sono attualmente orientate per una frequenza di aggiornamento trimestrale, coincidente con le date di redazione dei documenti di informazione economico-finanziaria. Focalizzando l’attenzione sugli ambiti di discrezionalità dell’attività di mappatura delle parti correlate, oltre a quanto sinora evidenziato con riferimento alle scelte relative all’attività di reperimento delle informazioni, occorre sottolineare le problematiche che presenta la concreta applicazione dei criteri definitori forniti nello IAS 24, ai quali fa rinvio la normativa regolamentare. Richiamando brevemente quanto già in precedenza osservato, altamente soggettiva può risultare l’individuazione dei dirigenti con responsabilità strategiche sull’attività della reporting entity (criterio d) e degli stretti familiari degli individui correlati alla reporting entity (criterio e). Infatti, la definizione dei concetti di «responsabilità strategiche» e di «stretta familiarità» non si fonda semplicemente su condizioni di carattere formale oggettivamente riscontrabili, quali il ruolo ricoperto nella struttura organizzativa o il grado di parentela o di 30 Ad esempio, l’azionista di controllo potrebbe costituire o acquisire nuove società oppure potrebbero verificarsi significativi avvicendamenti tra le figure dirigenziali chiave, con l’ingresso di nuovi soggetti in grado influenzare significativamente le attività della società o delle sue controllate. 31 La misura del rischio in parola può mutare nel tempo. Si pensi ad una società quotata a controllo familiare il cui controllo venga acquisito da un gruppo multinazionale impegnato continuamente in frequenti operazioni di merger and acquisition. 139 affinità con un certo individuo, ma necessita di un’accurata valutazione della natura sostanziale delle relazioni che collegano un determinato individuo alla reporting entity e ai processi decisionali che ne determinano il comportamento, siano esse relazioni di tipo diretto (come nel caso dei dirigenti con responsabilità strategiche), sia di tipo indiretto (come nel caso degli stretti familiari di individui correlati). In alcuni casi, inoltre, anche l’applicazione dei criteri sub a) può sollevare dubbi interpretativi, tenuto conto che le relazioni di controllo, influenza notevole e controllo congiunto sono definite dallo IAS 24 con riferimento anche a presupposti di carattere sostanziale. In proposito, notevoli incertezze possono presentarsi quando si debba valutare se, in presenza di un patto di sindacato a monte della reporting entity, gli aderenti al patto (tutti o solo alcuni) siano nelle condizioni di esercitare il controllo congiunto sulla reporting entity e debbano pertanto essere considerati parti correlate. E’ appena il caso di osservare che il rimando categorico dell’attuale normativa regolamentare alle dettagliate definizioni poste dallo IAS 24, consente di limitare notevolmente la discrezionalità del processo di identificazione delle parti correlate. Una definizione normativa meno analitica, invece, avrebbe inevitabilmente l’effetto di ampliare notevolmente gli ambiti di incertezza applicativa e di correlata discrezionalità. La presenza di spazi di discrezionalità tanto ampi, ha condotto alcune società quotate a prevedere, all’interno della propria struttura organizzativa, un comitato (denominato Advisory Board) con lo specifico compito di sovraintendere alle attività di mappatura delle parti correlate, nell’ambito di linee guida indicate dall’organo amministrativo. Nelle linee guida, di frequente, l’organo amministrativo fornisce alcune precisazioni alle definizioni fornite dallo IAS 24, adattandole alle specificità proprie della società, al fine di ridurre, sotto la propria responsabilità, gli ambiti di discrezionalità applicativa e, generalmente, di ridurre l’onerosità delle attività di mappatura32. 32 In proposito, deve osservarsi che alcune società modificano anche in modo significativo le definizioni fornite dallo IAS 24, fornendone una versione riveduta e dalla portata ridotta. Ad esempio, frequentemente, le definizioni di controllo e di influenza notevole vengono frequentemente ricondotte a quelle previste dalle norme del codice civile o del TUF; inoltre, se 140 Mettendo a sistema le varie soluzioni sviluppate dalle diverse società, l’Advisory Board presenta le seguenti caratteristiche: - è composto dal responsabile della funzione Internal Audit (al fine di garantire l’opportuna indipendenza alle decisioni), dal responsabile dell’Area Legale (tenuto conto delle competenze legali necessarie per chiarire la sussistenza di alcune forme di correlazione) e dal responsabile dell’Area Amministrativa (che, tra l’altro, accentra generalmente le funzioni relative alla formalizzazione delle procedure aziendali e di gruppo); - reperisce le informazioni necessarie utilizzando le strutture e le risorse assegnate ai propri componenti; - - nei casi in cui l’individuazione di una parte correlata risulta complessa o controversa, il comitato può avvalersi dell’opinione di esperti esterni indipendenti; - fa riferimento al Comitato di Controllo Interno, cui può sottoporre, se opportuno, le problematiche di maggiore impatto rilevate nel corso della propria attività. Nei casi in cui non sia previsto formalmente un simile organismo, il compito di mappare le parti correlate ricade sulla funzione amministrativa. In tali casi, l’attività di monitoraggio successiva svolge un ruolo chiave nel garantire l’efficacia delle attività svolte, tenuto conto della diretta dipendenza dell’area amministrativa dagli organi delegati. Creazione, aggiornamento e mantenimento di un registro delle parti correlate Come osservato, la finalità ultima dell’attività di individuazione delle parti correlate è la creazione, l’aggiornamento periodico e il mantenimento di un registro delle parti correlate, al quale tutte le strutture della società e delle la società è controllata dallo Stato (anticipando le innovazioni al principio IAS 24 non ancora approvate dallo IASB), vengono escluse le società sottoposte a comune controllo, tenuto conto del loro vastissimo numero. Vi sono, peraltro, alcuni casi di società che integrano i criteri di definizione ex IAS 24, includendovi espressamente tutti i soggetti partecipanti ai patti di sindacato e i dirigenti chiave delle società controllate. 141 controllate possano fare riferimento al fine di accertare, preliminarmente alla conclusione di un operazione, se la controparte sia correlata. Nel registro può essere opportuno raccogliere non soltanto i dati identificativi di certa parte correlata e le ragioni di correlazione, ma anche alcune informazioni supplementari. Ad esempio, per le persone giuridiche, potrebbe essere opportuno raccogliere (se disponibili) anche le informazioni inerenti la data di costituzione (o dell’ultimo trasferimento di proprietà), l’attività svolta, i fondamentali dati sulla dimensione aziendale (es. ricavi, totale attività, patrimonio netto, numero di dipendenti, …), ecc. Per le persone fisiche, potrebbe essere opportuno ottenere, ad esempio, le informazioni inerenti il titolo di studio posseduto, l’occupazione, il livello di reddito, ecc. Tali informazioni supplementari non soltanto potrebbero risultare particolarmente utili in sede di valutazione della correttezza di una certa operazione effettivamente conclusa con tali soggetti, ma possono consentire di suddividere le parti correlate in diverse categorie, alle quali associare gradi di «rischiosità» diversi e per le quali stabilire presidi di correttezza e trasparenza più o meno semplificati. Come si vedrà, infatti, sul giudizio preliminare di rilevanza può incidere anche la natura della correlazione. Ad esempio, per le operazioni con società sulle quali si esercita l’attività di direzione e coordinamento potrebbero essere previste procedure semplificate. Al contrario, procedure più complesse si potrebbero prevedere per le operazioni con parti correlate di recente costituzione, con un ammontare di ricavi poco significativo, oppure le cui controparti hanno sede in paradisi societari o fiscali. Nel registro può essere utile che siano opportunamente evidenziate le parti correlate per il tramite degli amministratori della società ai sensi del criterio f) dello IAS 24, in quanto, per le operazioni concluse con esse, potrebbe valutarsi l’applicazione delle disposizioni di cui all’art 2391 del codice civile. Da ultimo, si sottolinea la grande attenzione da dedicare alla riservatezza delle informazioni conservate nel registro delle parti correlate, anche al fine di garantire il rispetto delle normative sulla tutela dei dati personali. 3.6.2. L’identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili) con parti correlate 142 Sul piano teorico, regole efficaci devono assicurare che, preliminarmente all’effettuazione delle operazioni, sia accertata l’eventuale correlazione della controparte, in modo tale che sia possibile sottoporre l’operazione stessa agli opportuni presidi di correttezza e di trasparenza richiesti dalla normativa. Considerata l’intuibile tempestività richiesta all’attività in commento, è necessario che l’attività venga svolta direttamente a livello delle funzioni di line, adattando opportunamente le procedure aziendali inerenti le diverse attività aziendali. Maggiormente efficaci ed efficienti, nelle accezioni indicate in precedenza, risulteranno le procedure automatizzate, che limitino al massimo l’intervento dell’uomo nel processo decisionale. Guardando alle soluzioni sviluppate dai gruppi quotati, si evidenzia che le regole dettate dall’organo amministrativo affidano la responsabilità dell’attività in parola alle direzioni competenti per la particolare tipologia di operazione (quando l’operazione coinvolge direttamente la società) e agli amministratori delegati delle società controllate (quando l’operazione coinvolge queste ultime). In proposito, si osserva che, tenuto conto del numero di operazioni di gestione effettuate dalle società quotate, sarebbe impensabile che il compimento di ciascuna di esse fosse subordinato alla preventiva verifica della sussistenza di un’eventuale correlazione della controparte. Si pensi, come caso limite, alle vendite effettuate in pubblici esercizi, in cui il venditore neppure conosce l’identità dei propri clienti. Si pensi, inoltre, ad operazioni di valore insignificante, per le quali risulterebbe del tutto antieconomico mantenere traccia di informazioni sulle caratteristiche dell’operazione. E’ dunque opportuno che, in questa fase, siano stabilite esplicitamente delle «soglie di tolleranza», che tengano conto sia degli aspetti quantitativi che degli aspetti qualitativi delle operazioni e che portino ad escludere lo svolgimento delle operazioni seguenti per le operazioni che possono senz’altro essere giudicate «trascurabili». Al fine di non vanificare l’efficacia della norma, le soglie di tolleranza dovrebbero essere definite in modo il più possibile oggettivo ed essere estremamente ridotte sotto il profilo quantitativo. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ritenere trascurabili le operazioni che rientrano nei poteri dei responsabili posti ai più bassi livelli dell’organizzazione. 143 3.6.3. La valutazione preliminare della rilevanza Una volta identificata una certa operazione con parti correlate, è necessario valutarne preliminarmente la rilevanza. La valutazione della rilevanza consiste in un giudizio teso a verificare il grado di rischio che una particolare decisione possa nuocere in modo più o meno significativo all’interesse aziendale. Quanto maggiore è la rilevanza dell’operazione, tanto maggiori i presidi che dovranno essere assicurati al processo deliberativo. Il giudizio conduce ad una fondamentale distinzione tra: - operazioni non rilevanti, che possono subire un processo deliberativo ordinario, seppure rafforzato in termini di tracciabilità delle decisioni; - operazioni rilevanti, per le quali si rende necessario rafforzare in modo più o meno significativo il processo deliberativo. Come la precedente, anche l’attività in parola è inevitabilmente decentrata nelle funzioni di line (per le controllate, ne viene generalmente assegnata la responsabilità all’Amministratore Delegato), che dispongono delle necessarie competenze tecniche per valutare la rilevanza di una certa operazione, ma non sono indipendenti. Per questo motivo, è opportuno che i criteri che definiscono la rilevanza siano definiti in modo il più possibile oggettivo, lasciando minimi ambiti di discrezionalità. Inoltre, il giudizio formulato dovrà essere adeguatamente documentato, in modo da consentire i successivi controlli da parte di organi di controllo caratterizzati da una maggiore indipendenza (es. internal audit, collegio sindacale). Il giudizio di rilevanza si fonda primariamente sugli aspetti quantitativi dell’operazione, che generalmente sono di più immediata individuazione, ma le soglie quantitative possono variare in funzione di ulteriori elementi, quali: - le caratteristiche della controparte e delle relazioni che determinano la correlazione; - la natura, l’oggetto e le condizioni dell’operazione. Guardando all’esperienza dei principali gruppi quotati, tra le operazioni non rilevanti vengono frequentemente incluse: 144 - le operazioni compiute tra società il cui capitale sia interamente posseduto, direttamente o indirettamente, dalla società; - le operazioni il cui corrispettivo sia fissato sulla base di: quotazioni ufficiali di mercato, tariffe definite da autorità competenti, nonché di listini interni basati su procedure documentate e verificabili di benchmarking; - operazioni concluse a condizioni standard o di mercato, cioè quelle concluse a condizioni analoghe a quelle usualmente praticate nei rapporti con soggetti che non siano parti correlate; - siano concluse in esito a una procedura competitiva adeguatamente documentata e verificabile, a prescindere da limiti di valore o durata. Inoltre, le regole stabilite dagli organi amministrativi delle società quotate fanno spesso riferimento alle c.d. operazioni tipiche o usuali, per tali intendendo quelle che per oggetto o natura risultano coerenti con il core business della societa (o della controllata interessata a compiere l’operazione) e che non presentano particolari elementi di criticità connessi alle loro caratteristiche, ai rischi inerenti alla natura della controparte o al tempo del loro compimento. In tali casi, si noti che vengono fissate anche delle soglie quantitative, al superamento delle quali le operazioni vengono comunque definite rilevanti. 3.6.4. Il processo deliberativo delle operazioni non rilevanti Per le operazioni non rilevanti non si pone il problema di modificare sensibilmente il processo decisionale e l’attribuzione dei poteri. Il processo deliberativo segue l’iter previsto per le analoghe operazioni compiute con parti non correlate, ma: - vanno stabiliti maggiori presidi in termini di documentazione e tracciabilità delle decisioni; - occorre garantire un flusso informativo successivo a frequenza periodica, destinato principalmente agli organi di controllo. Documentazione La predisposizione di un’adeguata documentazione sul processo decisionale che ha condotto all’operazione è il fondamentale presupposto per dimostrare, in 145 prospettiva ex post, la correttezza sostanziale e procedurale di una certa operazione. Inoltre, costituisce la base informativa necessaria ad adempiere agli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa. Quanto al contenuto della documentazione, ferma restando l’opportunità di prevedere quantità variabili di informazioni in base alle caratteristiche dell’operazione e della controparte, le informazioni da raccogliere dovrebbero riguardare almeno: - le parti coinvolte; - la natura della correlazione; - le caratteristiche dell’operazione; - le modalità esecutive; - i termini temporali; - le condizioni economiche e i procedimenti valutativi utilizzati per definirle; - le motivazioni sottostanti all’operazione, nell’ottica dell’interesse proprio della società. La documentazione raccolta, al fine di essere giudicata attendibile, deve verificare tre requisiti fondamentali di validità, accuratezza e completezza33. Possono essere distinte tre attività fondamentali, che vengono affidate alla responsabilità delle strutture amministrative: - la raccolta della documentazione inerente l’operazione, predisposta direttamente dalle strutture interessate; - la predisposizione di ulteriore documentazione di sintesi, secondo standard predefiniti; - la conservazione della documentazione per un periodo adeguato (es. 10 anni). Informativa successiva periodica 33 Cfr. V. CODA, Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto, in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam, Padova, 1997, p. 326-327. 146 Al fine di garantire che anche le operazioni singolarmente non rilevanti possano essere oggetto di verifiche da parte degli organi di controllo, seppure in una prospettiva ex post, è opportuno che venga assicurato loro un flusso informativo periodico, che può sostanziarsi nella produzione, da parte della struttura amministrativa, di report informativi contraddistinti da un elevato grado di sintesi. La finalità di tale attività di reporting, che può assumere una cadenza trimestrale, allineata alle scadenze previste per la pubblicazione dei documenti di informativa contabile, è soprattutto quella di mettere in luce le eventuali criticità e le aree di possibile miglioramento, nonché di evidenziare le operazioni meritevoli di ulteriori controlli mirati. In tale ottica, i report dovrebbero essere destinati sia al comitato di controllo interno, sia al collegio sindacale, nonché al consiglio di amministrazione, che è responsabile delle regole adottate. Nei report, per le singole operazioni con parti correlate non rilevanti, ma superiori a predefinite soglie, potrebbero essere specificati, alla luce anche di quanto reso noto da alcune società quotate: - indicazione sintetica del tipo di operazione; - oggetto e valore; - data di conclusione del contratto; - identità della controparte (con alcune precisazioni inerenti il tipo di correlazione e le altre informazioni che aiutino a chiarire il livello del rischio di operazioni contrarie all’interesse aziendale). Inoltre, per ciascuna parte correlata, il report potrebbe riepilogare: - il complessivo di tutte le operazioni concluse nel periodo di riferimento e gli effetti sui conti della società; - le medesime informazioni con riferimento all’avanzamento annuale. In questo modo, potrebbe ravvisarsi l’opportunità di formalizzare in contratti quadro le relazioni con le parti correlate con le quali si intrattengono i maggiori rapporti. Nei report, inoltre, le operazioni con parti correlate non rilevanti potrebbero essere aggregate, anziché in base alla controparte, tenendo in considerazione il tipo di operazione sottostante, al fine di evidenziare l’eventuale opportunità di prevedere specifiche procedure per particolari operazioni maggiormente ricorrenti. 147 3.6.5. Il processo deliberativo delle operazioni rilevanti Le operazioni giudicate rilevanti sono sottoposte ad un processo deliberativo modificato rispetto a quello seguito per operazioni analoghe ma concluse con parti non correlate. Le modifiche possono riguardare due aspetti fondamentali: - la competenza decisionale: il processo decisionale può essere affidato a organi diversi, caratterizzati tipicamente da una maggiore indipendenza di giudizio; - la previsione di specifici presidi alle diverse fasi di cui si compone il processo decisionale, migliorando la qualità della base informativa disponibile e aumentando la razionalità della scelta. Una soluzione interessante, tesa a limitare l’intervento di amministratori e sindaci alle sole operazioni eccezionalmente rilevanti, è quella di costituire all’interno della società un comitato, composto da alcuni alti dirigenti aziendali, al quale affidare la preventiva approvazione delle operazioni rilevanti che non eccedono determinate soglie. Nelle società che adottano questa soluzione, il comitato, che può riunirsi con una periodicità certamente maggiore rispetto agli organi sociali, esamina le informazioni sull’operazione con l’assistenza, in veste di relatore, del responsabile dell’area operativa competente. Conclusa l’attività istruttoria, il comitato può decidere, alternativamente di: - autorizzare l’operazione; - rimettere la decisione al comitato di controllo interno o al consiglio di amministrazione. Quanto alla composizione del comitato, nei casi concreti in cui la soluzione in parola è adottata, esso risulta composto dai responsabili dell’area amministrazione/finanza, dell’area legale e dell’internal audit 34. 34 Si noti che si tratta della medesima composizione dell’Advisory Board descritto al precedente paragrafo 3.6.1. I due comitati, pertanto, potrebbero coincidere, nonostante tra i principali gruppi quotati non vi siano casi in cui le regole stabilite dal consiglio di amministrazione li prevedono entrambi. 148 Più frequente, anche perché in linea con le disposizioni del codice di autodisciplina, risulta l’affidamento al comitato di controllo interno del compito di formulare un parere preventivo sulle operazioni rilevanti. La soluzione in parola è certamente interessante, ma è bene tenere in considerazione il notevole impegno che potrebbe essere richiesto ai componenti del comitato di controllo interno, in termini sia di maggiore frequenza delle riunioni che di documentazione da esaminare. In tal senso, l’inevitabile sforzo di sintesi delle strutture aziendali potrebbe non essere sufficiente a garantire un controllo effettivo, laddove il numero di operazioni rilevanti sottoposte al comitato di controllo interno dovesse essere eccessivo. Al fine di risolvere queste problematiche, il comitato di controllo interno potrebbe delegare un proprio membro, possibilmente indipendente, ad esaminare approfonditamente una specifica operazione, per poi riferire al comitato riunito in sede collegiale. La scelta, a tal fine, dell’amministratore nominato dalle minoranze potrebbe garantire maggiore rigore nell’attività di controllo. A seguito dell’acquisizione del parere favorevole da parte del comitato di controllo interno, la vera e propria approvazione dell’operazione può avvenire: - da parte dell’amministratore delegato, nel caso in cui essa rientri nelle deleghe attribuite; - da parte del consiglio di amministrazione in sede collegiale. E’ da menzionare, infine, la possibilità che il potere decisionale venga rimesso all’Assemblea, fornendo la possibilità di valutare preventivamente le operazioni con parti correlate eccezionalmente rilevanti anche alle minoranze azionarie che non sono in grado di esprimersi negli organi sociali. In certi casi, ma è una soluzione che difficilmente può trovare applicazione in assenza di specifiche disposizioni normative, la decisione potrebbe essere rimessa ai soli detentori del capitale ordinario controllato, senza che l’azionista di controllo esprima il proprio giudizio (c.d. meccanismo di white wash). Quanto ai presidi che possano aumentare la razionalità delle diverse fasi di cui si compone il processo decisionale, incrementando la qualità della base informativa, possono menzionarsi i seguenti: - svolgimento di specifiche attività istruttorie tese ad approfondire le motivazioni dell’operazione (soprattutto quando esse si discostino notevolmente 149 dalla normale operatività aziendale) e a verificare la funzionalità dell’operazione rispetto alla missione aziendale; - per le operazioni più complesse (come la sottoscrizione di accordi pluriennali, partnership, acquisti e cessioni di complessi aziendali, ecc.), garantire un flusso informativo sull’andamento delle trattative e che non si collochi temporalmente troppo vicino alla decisione finale; - diversificazione delle fonti di informazione, garantendo il più possibile la neutralità delle stesse rispetto alle istanze del soggetto economico, anche mediante il ricorso ad autorevoli fonti esterne; - esplicitazione delle possibili alternative alla conclusione dell’operazione e sviluppo degli scenari associati a ciascuna alternativa praticabile; - esplicitazione dei criteri di valutazione della convenienza dell’operazione e delle ipotesi sottostanti, anche con l’intervento di esperti esterni, che dovrebbero essere scelti dagli amministratori indipendenti, garantendo eventualmente un’opportuna rotazione. 3.6.6. Le attività di monitoraggio Le attività sinora esaminate, cui vanno aggiunte le attività relative alla produzione dei documenti informativi a valenza esterna, secondo gli obblighi di informativa periodica e speciale, devono essere adeguatamente affiancate da un’attività di monitoraggio, complessivamente tesa a verificare: a) la concreta osservanza delle regole stabilite; b) l’efficacia delle stesse, intesa come loro effettiva capacità di assicurare gli obiettivi di correttezza sostanziale e procedurale e di trasparenza; c) l’efficienza delle regole adottate, al fine di incrementare il grado di integrazione delle regole nelle procedure aziendali. Per quanto concerne gli organi deputati all’attività di monitoraggio, come già osservato, la legge assegna un ruolo fondamentale all’organo di controllo, cui assegna espressamente il compito di controllare la concreta osservanza delle regole adottate dall’organo amministrativo. Nondimeno, l’organo di controllo è tenuto a verificare anche che le regole siano efficaci, cioè che garantiscano il rispetto della legge da un punto di vista sostanziale. Il Collegio, infatti, assiste alle riunioni del consiglio e, ove istituito, del comitato di controllo interno (almeno tramite un proprio rappresentante), 150 potendo disporre delle medesime informazioni dei consiglieri. Senza entrare nel merito delle decisioni, il suo ruolo gli impone, tra l’altro, di sollevare rilievi, in sede di discussione e di deliberazione delle operazioni con parti correlate, sull’effettivo rispetto delle regole stabilite, nonché sulla carenza delle informazioni poste a supporto della decisione. Ferma restando la possibilità che l’organo di controllo possa effettuare direttamente controlli mirati, utilizzando i propri ampi poteri ispettivi, esso potrà fare ampio affidamento per le attività di monitoraggio alla funzione di Internal Audit, che dispone delle necessarie strutture e competenze e – nella forma e, auspicabilmente, anche nella sostanza - dell’indipendenza di giudizio richiesta. In questo senso, l’organo di controllo potrà attivare opportunamente la funzione di Internal Audit, richiedendo eventualmente l’effettuazione dei controlli mirati ritenuti necessari. Anche indipendentemente dalle istanze dell’organo di controllo, le attività di monitoraggio sopra definite rientrano certamente nella sfera di competenza della funzione di Internal Audit35, che dovrà inserire nei propri piani di lavoro opportune verifiche, ad esempio: - sulle attività di mappatura delle parti correlate, con particolare attenzione alla limitazioni incontrate nel processo di raccolta delle informazioni e alle scelte maggiormente discrezionali; - sulla corretta applicazione delle soglie di tolleranza e di rilevanza eventualmente previste; - sull’accuratezza, validità e completezza della documentazione relativa alle operazioni non rilevanti, nonché dei report periodici trasmessi agli organi di amministrazione e controllo; - sulla qualità, neutralità e tempestività dei flussi informativi relativi alla deliberazione delle operazioni rilevanti; - sulle modalità di concreta esecuzione delle deliberazioni, soprattutto nel caso di contratti quadro o pluriennali. 35 Per un approfondimento, si rinvia a: G. BRUNI, Contabilità per l'alta direzione. Il processo informativo funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda edizione aggiornata), Etas Libri, Milano, 1999, pp. 226-234; G. ZANDA, Sistema di controllo interno e Internal Auditing. Problemi di struttura e funzionamento, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendalen. 1/2, 2002, n.1/2, 2002. 151 Tra gli strumenti più efficaci in fase di monitoraggio per l’individuazione di possibili abusi, si segnala l’opportunità di istituire una procedura di raccolta di segnalazioni anonime, che potrebbe consentire di individuare le operazioni con parti correlate (e operazioni analoghe) che potrebbero essere sfuggite alle regole stabilite dall’organo amministrativo. Inoltre, la funzione Internal Audit potrebbe richiedere ai dirigenti e ai responsabili chiave di comunicare formalmente, con cadenza periodica, eventuali informazioni su: - controparti correlate che non risultino mappate; - operazioni con parti correlate che non fossero state sottoposte, per qualsivoglia motivo, ai controlli di correttezza e trasparenza. Al riguardo deve sottolinearsi che le attività di monitoraggio devono essere improntate ad uno stile supportivo, teso a diffondere una cultura d’autocontrollo a tutti i livelli dell’organizzazione, senza prevedere sanzioni eccessive e atteggiamenti punitivi che alimenterebbero la paura di riconoscere errori e inadeguatezze del sistema dei controlli36. L’attività di monitoraggio deve essere rivolta principalmente al miglioramento delle procedure esistenti, tramite l’identificazione delle eventuali criticità e delle aree di possibile miglioramento (sia in termini di efficacia che di efficienza) da portare all’attenzione, oltre che dell’organo di controllo: - delle strutture da questo eventualmente deputate alla definizione degli aspetti di maggior dettaglio delle regole e della loro applicazione (es. l’Advisory Board di cui si è detto), che possono apportare eventuali modifiche alle procedure seguite al fine di incrementarne l’efficacia e l’efficienza; - del comitato di controllo interno, ove istituito, per consentirgli un più consapevole svolgimento del ruolo eventualmente assegnato nel processo decisionale e, comunque, delle proprie funzioni in materia di sistema dei controlli interni; - dell’organo amministrativo, che potrà valutare l’opportunità di apportare modifiche alle regole stabilite, ovvero di stabilire procedure dettagliate per particolari operazioni o di sottoscrivere contratti quadro per le operazioni compiute in modo ricorrente con medesime controparti correlate. 36 Cfr. V. CODA, L'impresa responsabile, in P. MELLA-D. VELO, Creazione di valore, corporate governance e informativa societaria : scritti in onore di Ferdinando Superti Furga, Giuffrè, Milano, 2007, p. 356. 152 Appendice L’evoluzione normativa in corso: la bozza regolamentazione proposta dalla Consob nel 2008 1. di Le linee generali del progetto di riforma Nell’aprile 2008, la Consob, in esecuzione della delega legislativa di cui all’art. 2391-bis, ha sottoposto alla consultazione del pubblico una bozza di regolamentazione estremamente articolata e complessa37, che prevede l’inserimento nel Regolamento Emittenti di un apposito capo dedicato alle operazioni rilevanti con «parti correlate» e riguardante sia la disciplina sull’informativa nei confronti del mercato, sia la fissazione dei principi di trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale per la realizzazione delle stesse. Con riferimento al tema della correttezza procedurale e sostanziale delle operazioni, è possibile identificare tre fondamentali aree di intervento: A) la conferma del rimando alla definizione di parte correlata previsto dallo IAS 24, con la previsione di un obbligo in capo ad alcune categorie di parti correlate di comunicare alle società soggette all’art. 2391-bis le informazioni necessarie al fine di consentire l’identificazione di altre parti ad esse correlate; B) l’individuazione di indici quantitativi per l’identificazione delle c.d. «operazioni rilevanti», corredati da alcune indicazioni di tipo qualitativo; C) la centralità del ruolo degli amministratori indipendenti nelle decisioni concernenti la conclusione delle operazioni con parti correlate. 37 CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008. 153 Da segnalare, inoltre, la proposta di consentire procedure semplificate alla società di minori dimensioni38 e alle società di recente quotazione39. A) Nella proposta di regolamentazione, la Consob conferma il rinvio alla definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24, con la finalità esplicita di consentire « alle società interessate di individuare un unico perimetro di «correlazione» rilevante sia per la disciplina contabile che per la disciplina della trasparenza e della correttezza sostanziale e procedurale»40. In aggiunta, la Consob ha proposto l’introduzione di una specifica norma41 che richieda alle società di valutare se individuare come parti correlate rilevanti ai fini della disciplina in esame ulteriori soggetti rispetto a quelli individuati ai sensi dello IAS 24, tenendo presenti: - particolari assetti proprietari42; - eventuali vincoli contrattuali rilevanti ai fini dell'art. 2359, primo comma, n. 3), del codice civile43; 38 L’indice della dimensione è la capitalizzazione, che non deve superare i 500 milioni di euro per tre anni consecutivi. Cfr. Art. x.6, c.2 della bozza di articolato. 39 Sono società di recente quotazione «le società con azioni quotate nel periodo compreso tra la data di inizio delle negoziazioni e la data di approvazione del bilancio relativo al secondo esercizio successivo a quello di quotazione». Art. x.6, c.3, bozza articolato Consob. 40 Ibidem, p. 59. 41 Cfr. Art. x.1 della bozza di articolato: «Le società valutano se individuare come parti correlate rilevanti ai fini del presente Capo ulteriori soggetti rispetto a quelli definiti tali ai sensi del presente regolamento. A tal fine, esse tengono conto, in particolare, degli assetti proprietari, di eventuali vincoli contrattuali rilevanti ai fini dell'art. 2359, primo comma, n. 3), del codice civile nonché delle discipline di settore alle stesse eventualmente applicabili in materia di parti correlate». Ibidem, p. 147. 42 Osserva la Consob: «Una società potrebbe, ad esempio, stabilire che i soggetti che controllano congiuntamente, tramite patto, una società che esercita un’influenza notevole sulla quotata, siano soggetti correlati benché non espressamente ricompresi nella definizione IAS. Un altro esempio potrebbe essere quello di una società con assetti proprietari particolarmente frammentati che potrebbe decidere di includere tra le parti correlate azionisti con partecipazioni inferiori alla percentuale che attribuisce l’influenza notevole». Ibidem, p. 60. 43 «Si fa riferimento ai particolari vincoli contrattuali che, ai sensi dell’art. 2359 c.c., possono determinare il c.d. controllo esterno di fatto qualora portino ad un’influenza dominante (ad es. contratti di somministrazione in esclusiva). Si può pensare inoltre a contratti di finanziamento quando un soggetto è l’unico finanziatore per importi ingenti». Ibdiem, p. 60. 154 - le discipline di settore eventualmente applicabili in materia di parti correlate44. Inoltre, l’art. x.2, comma 5, della bozza di articolato stabilisce che: « I soggetti controllanti e gli altri soggetti indicati nell’articolo 114, comma 5, del TUF che siano parti correlate delle società, forniscono a queste ultime le informazioni necessarie al fine di consentire l’identificazione delle parti correlate ai sensi del comma 1, lettera a)». Sul punto giova ricordare che, come osservato nel capitolo dedicato all’individuazione delle parti correlate, le società quotate possono non disporre delle informazioni necessarie per fare piena luce sugli assetti proprietari delle società controllanti (specie in presenza di piramidi societarie o di società fiduciarie) e, ancor di più, sulle relazioni di stretta familiarità degli individui che vengano identificati come parti correlate ai sensi del criterio a) o come dirigenti con responsabilità strategiche ai sensi del criterio d) dello IAS 24. In particolare, secondo l’attuale ordinamento, gli amministratori non dispongono formalmente di alcun diritto ad accedere a tali informazioni, con l’effetto che l’attività di individuazione delle parti correlate conduce a risultati fortemente limitati. Secondo la nuova disposizione proposta dalla Consob, le società quotate si verrebbero a trovare nella condizione di poter richiedere le informazioni necessarie per agevolare l’individuazione delle parti correlate ad un nutrito numero di soggetti correlati, e precisamente: i) ai soggetti controllanti; ii) ai soggetti indicati all’art. 114, quinto comma, del TUF, e cioè (sempre a condizione che risultino già essere parti correlate ai sensi dello IAS 24): - agli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine; - ai componenti degli organi di amministrazione e controllo; - ai dirigenti; - ai soggetti che detengono una partecipazione rilevante ai sensi dell'articolo 120 del TUF; - ai partecipanti a un patto previsto dall'articolo 122 TUF. 44 »Ai sensi di discipline di settore, quali quella bancaria, le società potrebbero essere tenute ad individuare un “perimetro di correlazione” più ampio rispetto a quello derivante dallo IAS 24 e, pertanto, ai fini di una semplificazione delle procedure, potrebbero ritenere utile individuare un unico perimetro conforme ad entrambe le discipline». Ibidem, p. 60. 155 B) Nella disciplina sottoposta a consultazione la Consob propone, sul modello dell’esperienza di altri paesi (in particolare, delle UK Listing Rules), alcuni indici di tipo quantitativo per l’identificazione delle «operazioni con parti correlate» da assoggettare a procedure deliberative più rigorose e a specifici obblighi di informativa periodica e speciale. Gli indici di rilevanza identificati dalla Consob sono i seguenti45: a) Indice di rilevanza del controvalore, pari al rapporto tra il controvalore dell’operazione e la capitalizzazione media degli ultimi 6 mesi delle azioni della società46; b) Indice di rilevanza dell’attivo, pari al rapporto tra il totale attivo dell’entità oggetto dell’operazione e il totale attivo della società47; 45 Cfr. Ibidem, pp.156-157. Più in particolare, «se le condizioni economiche dell’operazione sono determinate, il controvalore dell’operazione è: i) per le componenti in contanti, l’ammontare pagato alla/dalla controparte contrattuale; ii) per le componenti costituite da strumenti finanziari, il fair value determinato, alla data dell’operazione, in conformità ai principi contabili internazionali adottati con Regolamento (CE) n.1606/2002. Se le condizioni economiche dell’operazione dipendono in tutto o in parte da grandezze non ancora note, il controvalore dell’operazione è il valore massimo ricevibile o pagabile ai sensi dell’accordo. Se non è determinato un valore massimo e non è calcolabile nessuno degli altri indici di rilevanza, l’operazione si considera comunque rilevante. Nel caso in cui la capitalizzazione non sia calcolabile (ad esempio, nel caso di operazioni relative a società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante), il denominatore dell’indice è costituito dal patrimonio netto della società. I dati da utilizzare devono essere tratti dal più recente stato patrimoniale pubblicato (consolidato, se redatto) dalla società». Ibidem, Allegato 3I, p. 156. 47 «I dati da utilizzare devono essere tratti dal più recente stato patrimoniale pubblicato (consolidato, se redatto) dalla società; ove possibile, analoghi dati devono essere utilizzati per la determinazione del totale dell’attivo dell’entità oggetto dell’operazione. Per le operazioni di acquisizione e cessione di partecipazioni in società che hanno effetti sull’area di consolidamento, il valore del numeratore è il totale attivo della partecipata, indipendentemente dalla percentuale di capitale oggetto di disposizione. Per le operazioni di acquisizione e cessione di partecipazioni in società che non hanno effetti sull’area di consolidamento, il valore del numeratore è: i) in caso di acquisizioni, il controvalore dell’operazione maggiorato delle passività della società acquisita eventualmente assunte dall’acquirente; ii) in caso di cessioni, il valore dell’attività ceduta. 46 156 c) Indice di rilevanza degli utili, pari al rapporto tra gli utili ante imposte attribuibili all’entità oggetto dell’operazione e gli utili ante imposte della società48; d) Indice di rilevanza delle passività, pari al rapporto tra il totale delle passività dell’entità acquisita e il totale attivo della società49; e) Indice di rilevanza di acquisti e vendite di beni e servizi, pari al rapporto tra il corrispettivo dell’operazione ed i ricavi della società50. Le società devono includere tra le operazioni rilevanti quelle in cui almeno uno dei predetti indici risulti superiore alla soglia del 5%. In proposito, si noti che la Consob specifica che «anche per evitare elusioni della disciplina in esame, è inoltre previsto che si debba tener conto cumulativamente di tutte le operazioni compiute con una stessa parte correlate, ovvero con soggetti a quest’ultima correlati che risultino a loro volta correlati alla società, poste in essere in un periodo di dodici mesi»51. Si noti che la Consob evita espressamente di includere nel novero delle parti correlate soggetti ulteriori rispetto a quelli individuati applicando la definizione dello IAS 2452. Per le operazioni di acquisizione e cessione di altre attività (diverse dall’acquisizione di una partecipazione), il valore del numeratore è: i) in caso di acquisizioni, il maggiore tra il controvalore e il valore contabile che verrà attribuito all’attività; ii) in caso di cessioni, il valore contabile dell’attività». Ibidem, Allegato 3I, pp. 156-157. 48 «I dati da utilizzare devono essere tratti dall’ultimo bilancio di esercizio pubblicato (consolidato, se redatto) sia della società sia dell’entità oggetto dell’operazione». Ibidem, Allegato 3I, p. 157. 49 «I dati da utilizzare devono essere tratti dal più recente stato patrimoniale pubblicato (consolidato, se redatto) dalla società; ove possibile, analoghi dati devono essere utilizzati per la determinazione del totale dell’attivo della società o del ramo di azienda acquisiti». Ibidem, Allegato 3I, p. 157. 50 «I dati da utilizzare devono essere tratti dall’ultimo bilancio di esercizio pubblicato (consolidato, se redatto) della società». Ibidem, Allegato 3I, p. 157. 51 Ibidem, p. 63. 52 Osserva la Consob: « Tale precisazione è stata introdotta per evitare di allargare la disciplina, con una sorta di “correlazione di secondo grado” , a soggetti che non siano correlati alle società secondo la definizione dello IAS 24». Ibidem, nota 49 a p. 63. 157 Inoltre, la soglia del 5% è ridotta all’1% per alcune operazioni considerate particolarmente a rischio, a causa di particolari caratteristiche dell’assetto proprietario/di controllo delle società. Rientrano in tale categoria quelle poste in essere con: i) i soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento; ii) le società controllanti quotate; iii) i soggetti controllanti, qualora la società abbia emesso azioni a voto limitato o senza diritto di voto, quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante; iv) i soggetti controllanti, qualora lo statuto della società preveda limiti al possesso azionario o al diritto di voto; v) i soggetti correlati a quelli indicati nei punti precedenti, purché risultino a loro volta correlati alle società. In aggiunta agli anzidetti criteri di rilevanza quantitativi, nella proposta della Consob viene indicato che53: «le società, fermi i criteri di tipo quantitativo (…) individuano altresì criteri di tipo qualitativo per l’identificazione delle operazioni rilevanti con parti correlate, facendo almeno riferimento: i) alle operazioni con parti correlate aventi ad oggetto un’attività immateriale (ad esempio, marchi, brevetti); ii) alle operazioni con parti correlate atipiche e/o inusuali». Il riferimento alle operazioni sub i) è motivato dall’intenzione della Consob di far ricadere nel concetto di rilevanza anche le tipiche operazioni di asset tunneling54, che prevedono il trasferimento di asset (tipicamente attività immateriali internamente generate) non rilevabili contabilmente o iscritti a valori esigui, che presentino invece elevate potenzialità strategiche. Inoltre, la Consob (punto ii) fa nuovamente riferimento alla categoria delle operazioni atipiche e/o inusuali, proponendone una nuova semplificata definizione: «operazioni con caratteristiche atipiche o inusuali rispetto alla normale gestione d’impresa, per natura della controparte, oggetto della transazione, modalità di determinazione del prezzo o tempistica (prossimità della chiusura dell’esercizio sociale)». 53 54 Ibidem, Allegato 3I, p. 157. Si rimanda al primo capitolo. 158 L’intento della nuova definizione, che nella sostanza non si discosta dalla precedente, è eliminare le connotazioni negative del concetto di atipicità/inusualità, sottolineando che anche le operazioni atipiche e inusuali possono essere «corrette»55. La Consob, infine, specifica che ciascuna società può decidere di stabilire soglie di rilevanza quantitativa inferiori e che le procedure possono individuare, motivandone la scelta, criteri per l’identificazione di ‘operazioni di importo esiguo’ che sono invece escluse dal novero delle operazioni rilevanti individuate sulla base dei criteri qualitativi56 C) Una delle scelte di fondo della bozza di regolamentazione Consob è costituita dall’attribuzione di un ruolo centrale agli amministratori indipendenti nell’assicurare la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate. Secondo la Consob si tratterebbe di una soluzione57: - coerente con le best practice di matrice anglosassone e con la recente raccomandazione della Commissione Europea sul ruolo degli amministratori non esecutivi58; - allineata alle più recenti riforme del legislatore59 e con i principi del codice di autodisciplina. Inoltre la Consob ha sottolineato che, nelle operazioni rilevanti con parti correlate60: - gli amministratori indipendenti dovrebbero essere coinvolti nelle trattative sin dall’inizio, «al fine di consentire loro di acquisire una conoscenza diretta e 55 Si veda la precedente Nota 7 a p. 111. cfr. art.x.8, comma 2, della proposta di articolato. Ibidem, p. 64. 57 CONSOB, op. cit., pp. 67- 68. 58 Nella Raccomandazione 2005/162/CE del 15 febbraio 2005 sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio di amministrazione o di sorveglianza, la Commissione Europea ha evidenziato che «è particolarmente importante promuovere» il ruolo degli amministratori non esecutivi nella risoluzione di situazioni che comportano conflitti d’interessi «per ridare fiducia nei mercati finanziari». 59 Si noti che questo assunto ha suscitato un notevole numero di critiche in sede di consultazione. 60 Cfr. Ibidem, pp. 68-69. 56 159 non mediata di tutti gli aspetti rilevanti dell’operazione e di ridurre l’asimmetria informativa che sussiste tra esecutivi e non esecutivi»; - è essenziale che gli indipendenti, per poter adempiere ai propri compiti e poter esprimere un giudizio consapevole, «oltre ad essere soggetti ovviamente qualificati, abbiano direttamente il potere di scegliere e nominare, a spese della società, degli esperti indipendenti». Sulla base di tali considerazioni, in estrema sintesi, la Consob ha proposto61: - l’introduzione di una definizione di «amministratori indipendenti» rilevante per il Regolamento Emittenti e mutuata dall’articolo 147- ter, comma 4, del TUF62; - che, per le operazioni rilevanti, identificate come tali ai fini della disciplina di trasparenza, venga attribuito nell’intero processo decisionale un ruolo determinante ad un comitato di amministratori indipendenti. Tale comitato dovrebbe avere un potere determinante nella decisione dell’operazione, a meno che la competenza decisionale sia per legge o previsione statutaria in capo all’intero consiglio di amministrazione, nel qual caso il comitato dovrebbe esprimere un parere preventivo sull’operazione. Il comitato dovrebbe inoltre partecipare attivamente alla conduzione delle trattative e potersi avvalere, a spese della società, del parere di esperti indipendenti di propria scelta; - che, per le operazioni con parti correlate diverse da quelle rilevanti, sia possibile adottare una procedura semplificata, nella quale gli amministratori indipendenti forniscano un parere preventivo sull’operazione, sempre con la facoltà di avvalersi del parere indipendente di esperti di loro scelta, ma non debbano necessariamente prendere parte all’intero processo decisionale; - che, al fine di non gravare di eccessivi oneri le società con azioni diffuse, le società di minori dimensioni e le società di recente quotazione, sia prevista per queste società la possibilità di adottare la procedura semplificata anche per le operazioni rilevanti; 61 Cfr. Ibidem, pp. 71-73. Secondo l’art. 2, primo comma, lett. q) della bozza di articolato Consob, devono essere considerati indipendenti «gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall'articolo 148, comma 3, del Testo unico ovvero, se lo statuto lo prevede, dei requisiti previsti da codici di comportamento promossi da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria». 62 160 - che, per le operazioni con parti correlate la cui competenza decisionale sia dell’assemblea, le società adottano meccanismi volti ad evitare che la loro approvazione avvenga con il voto decisivo delle parti correlate o, in alternativa, che gli amministratori indipendenti abbiano un ruolo determinante nell’elaborazione della proposta da sottoporre all’assemblea. Infine, nella bozza di documento sottoposta a consultazione, la Consob ha previsto che determinate operazioni, sebbene «rilevanti», possano essere escluse dalle procedure di correttezza di cui sopra. In particolare, è prevista l’esclusione nei casi di: i) operazioni con società controllate, anche non al 100%, purché in tali controllate non vi siano interessi di altre parti correlate (quali, ad esempio, partecipazioni degli amministratori, ovvero forme di remunerazione legate ai risultati della controllata gestita da un amministratore che sia anche amministratore della società controllante)63; ii) operazioni svolte in attuazione di piani di compensi basati su strumenti finanziari (piani di stock option e similari) approvati dall’assemblea ai sensi dell’art. 114-bis del D.Lgs. n. 58/199864; 63 Tale esclusione deriva dall’intento della Consob di non creare un irrigidimento nella gestione ordinaria, di escludere le operazioni con società controllate che risultano molto frequenti nell’organizzazione dei gruppi di società e che non presentano particolari profili di rischio. Cfr. Ibidem, p.77. 64 Ciò in quanto tali piani, oltre all’approvazione assembleare, sono già soggetti alle regole di trasparenza previste dal combinato disposto dell’art. 114-bis e dell’art. 84-bis del Regolamento Emittenti. Le società potrebbero, comunque, decidere di non escludere tali operazioni che possono coinvolgere parti correlate (dirigenti con responsabilità strategiche secondo la definizione dello IAS 24) dalla disciplina di cui trattasi attribuendo, ad esempio, nella fase di approvazione della proposta da sottoporre all’assemblea, i compiti previsti per gli amministratori indipendenti ad un comitato di remunerazione composto da soli indipendenti. Cfr. Ibidem, p.77. 161 2. Le principali osservazioni emerse in sede di consultazione: brevi commenti Dopo la conclusione del processo di consultazione, la Consob ha pubblicato sul proprio sito n. 30 documenti contenenti le osservazioni sulla proposta di regolamentazione formulate da vari soggetti e organizzazioni (accademici, studi legali, fondi d’investimento, associazioni di categoria, singole società quotate, …). Dall’esame delle osservazioni sottoposte alla Consob, si evidenzia una notevole variabilità nei giudizi formulati dai vari osservatori; in buona sostanza, tutti gli aspetti chiave della proposta di regolamentazione sono stati oggetto tanto di vivi apprezzamenti da parte di alcuni ossservatori, quanto di critiche, talvolta anche aspre, da parte di altri. Nel presente paragrafo si intende delineare un breve quadro di sintesi delle osservazioni trasmesse alla Consob con riferimento ai tre aspetti della proposta di regolamentazione sui quali si è soffermata l’attenzione nei paragrafi precedenti65: A) la conferma dell’allineamento della normativa alla definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24, pur con la previsione esplicita di poter considerare ulteriori soggetti nel novero delle parti correlate; B) la significatività dei criteri quantitativi proposti dalla Consob per la definizione delle «operazioni rilevanti»; C) i compiti affidati agli amministratori indipendenti nel processo decisionale. Nella tabella seguente, si riepilogano i documenti di commento pubblicati dalla Consob. 65 Si rimarca la scelta di non trattare nel presente lavoro le tematiche inerenti l’informativa esterna. 162 Tabella 3. – Documenti di commento alla proposta di regolamentazione Consob Mittente Analisi giuridica dell'economia Dott. E. Di Carlo Prof. D.U. Santosuosso Prof. M. Irrera Prof. M. Stella Richter Prof. P. Montalenti Association of British Insurers Associazione Bancaria Italiana Ass. Italiana Analisti Finanziari Ass. Italiana Internal Auditors Assogestioni Assonime Assopopolari Confindustria Nedcommunity Algebris Investments Fidelity International Hermes Fund Management LTD Riskmetrics Group York Capital Management Studio Cleary Gottlieb Steen & H. Studio legale Allen & Overy Studio legale Biscozzi Nobili Studio legale Clifford Chance Studio Negri-Clementi, T., M. & S. Lottomatica Telecom Unicredit Borsa Italiana Fiba Cisl Cat. AC AC AC AC AC AC ASS ASS ASS ASS ASS ASS ASS ASS ASS F F F F F SL SL SL SL SL SOC SOC SOC V V Naz. Pagg. IT 11 IT 9 IT 4 IT 15 IT 5 IT 10 UK 1 IT 32 IT 8 IT 2 IT 4 IT 16 IT 7 IT 20 IT 6 UK 4 UK/USA 3 UK 4 MULTI 5 UK 1 IT 13 IT 3 IT 7 IT 6 IT 9 IT 2 IT 10 IT 8 IT 4 IT 2 TOT % IAS24 1 CQ 1 IND 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9 30% 14 47% 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 21 70% In particolare, nelle prime quattro colonne sono indicati: - la persona o l’ente che ha trasmesso le osservazioni; - la categoria di appartenenza66; - la nazionalità di riferimento67; - il numero di pagine di cui si compongono le osservazioni trasmesse68. 66 In proposito, sono state individuate sei categorie: Accademici e simili (AC), Associazioni di categoria (ASS), Fondi d’investimento e simili (F), Studi legali e simili (SL), Singole società quotate (SOC), Enti vari (V). 67 Si è osservata una netta prevalenza di mittenti italiani (IT), con alcuni mittenti del Regno Unito (UK), americani (USA), o multinazionali (MULTI). 68 Non si sono considerate eventuali lettere di accompagnamento. 163 Nelle ultime tre colonne è stato iscritto il numero 1 nei casi in cui il documento contenga precise critiche69: - alla scelta di utilizzare la definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24 (colonna “IAS); - ai criteri quantitativi proposti per la definizione di “operazione rilevante” (colonna “CQ”); - al ruolo assegnato agli amministratori indipendenti nel processo decisionale (colonna “IND”). Le ultime due righe della tabella mostrano, a titolo indicativo, il totale dei documenti che contengono critiche sulle tre tematiche selezionate e la loro incidenza sul totale. Nel prosieguo, si riportano assai brevemente alcune delle critiche più interessanti formulate alla proposta di regolamentazione Consob, con riferimento alle tre tematiche considerate: A) La scelta della Consob di confermare la definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24 è stata oggetto di critiche solo in un numero abbastanza contenuto di casi (30%) rispetto al totale delle osservazioni pubblicate. In proposito, sembra plausibile collegare tale circostanza ad un implicito apprezzamento da parte degli operatori della scelta operata dalla Consob. Tra le osservazioni più articolate e autorevoli sulla scelta della Consob, si segnalano: - quelle dell’Associazione Bancaria Italiana, che ritiene che la nozione proposta dallo IAS 24 sia eccessivamente ampia rispetto alla finalità della normativa70; 69 Non sono state considerate le critiche generiche ovvero non pertinenti alle proposte formulate dalla Consob. 70 Osserva l’ABI: « Pur avendo quindi affermato che l’obiettivo della disciplina delle operazioni con parti correlate è focalizzato alla risoluzione dei conflitti tra azionisti rilevanti (e relativo management) e azionisti minoritari, l’articolato proposto non recepisce tale impostazione, facendo generico riferimento a tutti i soggetti contemplati dallo IAS24. (…) Si auspica quindi che l’Autorità colga l’occasione – dando attuazione al dettato dell’art. 2391 bis c.c. – per ritornare sulla definizione di “parti correlate”, non confermando la piena equivalenza con la disciplina dettata dallo IAS 24, ma elaborandone una più circoscritta che meglio tenga in conto le finalità della regolamentazione». ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA, Disciplina 164 - sul fronte opposto, le osservazioni di Assogestioni, che condivide l’adozione della definizione posta dallo IAS 24, ma auspica una più chiara esplicitazione da parte della Consob dell’inclusione tra le parti correlate dei soggetti che esercitano il controllo tramite patti parasociali71. B) I criteri quantitativi proposti dalla Consob hanno sollevato numerose critiche (presenti nel 47% dei documenti esaminati). In estrema sintesi, le critiche che ricorrono maggiormente riguardano i seguenti punti: - gli indici considerati dalla Consob sono illustrati in modo eccessivamente sintetico, non sono applicabili a tutte le operazioni e, in sede di concreta applicazione, potrebbero sollevare problematiche interpretative di rilievo72; regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Position Paper, 2008, pp. 3-4. Dello stesso avviso lo Studio legale Allen & Overy, pp.2-3. 71 Evidenzia Assogestioni: «La definizione, dettata dal paragrafo 9 dello IAS 24, considera come correlata all’entità la parte che la controlli congiuntamente (cioè, unitamente ad altre); e intende il “controllo congiunto” come “la condivisione, stabilita contrattualmente, del controllo su un’attività economica”. A nostro avviso, tale nozione di controllo congiunto è idonea a ricomprendere anche il controllo derivante da qualsiasi patto parasociale. In ogni caso, per esigenze di maggiore chiarezza del precetto e per evitare possibili divergenze nell’interpretazione di aspetti specifici del paragrafo 9 dello IAS 24, si ritiene opportuno che l’articolato includa testualmente qualsiasi forma di patto parasociale come strumento idoneo a integrare una fattispecie di controllo congiunto sull’entità ai sensi dello IAS 24. Del resto, se si assume che l’obiettivo fondamentale della nuova regolamentazione sia quello di evitare l’espropriazione degli azionisti di minoranza, occorre che i pattisti in discorso siano esplicitamente inclusi tra le c.dd. parti correlate così che non possano utilizzare la loro influenza sulle scelte della società per concludere operazioni a loro esclusivo vantaggio e a detrimento della società». ASSOGESTIONI, Risposta alla consultazione della Consob circa la disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del Codice civile in materia di operazioni con parti correlate, 2008, p. 4. Osservazioni del tutto analoghe sono formulate dall’Algebris investments (p.3) e dallo Studio Cleary Gottlieb Steen & Hamilton (p.3), 72 Tra gli altri, Confindustria osserva: «In primo luogo, non è chiaro quali indici di rilevanza si applichino a ciascuna categoria di operazioni. A titolo esemplificativo, l’indice dell’attivo sembrerebbe essere riferito alle sole operazioni di acquisizione o cessione di partecipazioni o di altre attività. Al fine di garantire un’applicazione delle nuove regole ispirata a criteri di adeguatezza e uniformità, sarebbe opportuno differenziare i singoli indici considerati a seconda delle diverse tipologie di operazioni. Si segnala, inoltre, come nessuno degli indici 165 - sarebbe opportuno escludere dalla disciplina sulle operazioni rilevanti «le operazioni svolte a normali condizioni di mercato con società controllate»73; - partecipano al calcolo della rilevanza tutte le operazioni compiute nell’arco di 12 mesi con uno stessa parte correlata o con altri soggetti a questa correlato (che devono però essere parti correlate della società ai sensi dello IAS 24); tuttavia, non viene chiarito come debba calcolarsi il periodo di 12 mesi74; inoltre, l’applicazione pratica del criterio di «correlazione indiretta» rischia di essere poco efficace in termini di controllo ed eccessivamente oneroso per l’impresa75; - non risulta esplicitato in che modo debba tenersi conto, nel calcolo delle soglie di rilevanza, delle «operazioni concluse per il tramite di controllate»; in particolare, non è chiaro se gli indici di rilevanza che si fondano sui dati di bilancio (indici b,c,d,e) debbano considerare il bilancio separato della controllata ovvero il bilancio consolidato redatto dalla capogruppo quotata (ove esistente). previsti sia riferibile in maniera appropriata alle operazioni di finanziamento, rispetto alle quali dovrebbe rilevare non già l’ammontare massimo dell’importo erogabile, bensì le sole commissioni corrisposte». CONFINDUSTRIA, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni di Confindustria, 2008, p. 16-17. 73 Osserva l’Assonime: «Anche alla luce dell’esperienza estera e della peculiare struttura di gruppo delle società quotate italiane, sarebbe auspicabile escludere dall’applicazione della nuova disciplina tale tipologia di operazioni, sulle quali si potrebbe comunque richiedere una informativa semestrale, ai sensi dell’art. 154-ter, comma 4, Tuf, eventualmente differenziando il grado di dettaglio dell’informativa tra operazioni rilevanti e non rilevanti». ASSONIME, Osservazioni al documento di consultazione in materia di “Disciplina Regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis c.c. in materia di operazioni con parti correlate”, 2008, p. 3. Similmente, CONFIDUSTRIA, p.17. 74 In particolare, alcuni osservatori suggeriscono che si possa considerare quale riferimento l’esercizio sociale, dal momento che risulterebbe molto complesso e oneroso implementare procedure in grado di calcolare le soglie con riferimento ai 12 mesi antecedenti. Al riguardo è stato anche osservato che le operazioni più complesse prevedono più fasi successive e che potrebbe non essere affatto immediato calcolare il periodo di 12 mesi. Si veda, tra gli altri: ASSONIME, p.5. 75 Così l’Associazione Bancaria Italiana: «si chiede di eliminare dal cumulo le operazioni con soggetti correlati ad una parte correlata che, a loro volta, siano parti correlate dell’emittente, atteso che questa “doppia correlazione” appare difficile da verificare (e quindi suscettibile di non volute omissioni nella segnalazione), nonché ulteriore fonte di costo, a fronte di benefici non certi in punto di trasparenza e di informativa al pubblico». ABI, p. 5. Nello stesso senso, CONFINDUSTRIA, p. 9. 166 C) Le osservazioni avanzate dalle associazioni di categoria e dalle diverse parti chiamate ad esprimersi in merito alla proposta di regolamentazione elaborata dalla Consob si sono concentrate soprattutto sul ruolo centrale che la Consob propone di assegnare agli amministratori non esecutivi indipendenti nelle deliberazioni riguardanti le operazioni con parti correlate maggiormente significative76. Anche in questo caso, il quadro delle critiche formulate dagli osservatori non è affatto uniforme; per gran parte degli aspetti chiave della disciplina proposta dalla Consob, infatti, sono presenti sia commenti che richiedono un ruolo ancora maggiore per gli indipendenti, esaltandone il ruolo di garanzia e le peculiari capacità di formulare giudizi oggettivi, sia osservazioni che contestano, talvolta in modo anche aspro, la concreta applicabilità dei procedimenti deliberativi proposti dalla Consob. Tralasciando le critiche di natura prettamente giuridica, in questa sede ci si limita a sottolineare una critica di fondo alle proposte formulate dalla Consob, presente nella gran parte delle osservazioni77. In particolare, ha destato notevoli dubbi la previsione di un coinvolgimento diretto e quasi esclusivo degli amministratori indipendenti nella fase istruttoria delle operazioni più rilevanti, con una partecipazione diretta nelle trattative con la controparte e con l’attribuzione agli stessi di veri e propri poteri decisionali, seppure limitati a tali particolari operazioni. Secondo alcuni, infatti, l’attribuzione agli amministratori indipendenti di poteri decisionali rischierebbe di snaturarne la 76 In proposito, si noti che il 70% dei documenti esaminati (percentuale che arriva al 100% se si escludono i documenti di carattere formale o privi di spunti critici inerenti specificamente la proposta Consob) contengono delle critiche al ruolo assegnato agli amministratori indipendenti. 77 Si vedano, in particolare: BORSA ITALIANA, Disciplina regolamentare di attuazione dell'art. 2391-bis (osservazioni), 2008, p.2-3, M. STELLA RICHTER, Brevi osservazioni sulla proposta di disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis cod. civ., in materia di operazioni con parti correlate, 2008; CONFINDUSTRIA, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni di Confindustria, 2008, p.3 167 loro fondamentale funzione di controllo e di garanzia, facendoli diventare, anche se solo per particolari operazioni, veri e propri amministratori esecutivi78. Ciò considerato, nello scegliere gli amministratori indipendenti, gli azionisti delle società quotate potrebbero preferire i soggetti dotati di competenze manageriali e non, come avviene attualmente, figure professionali o accademiche probabilmente più portate a svolgere funzioni di controllo e di garanzia. In tal modo, potrebbe venir meno, in seno al consiglio d’amministrazione, quella diversità di sensibilità e competenze, che, in presenza di un effettivo coinvolgimento di tutti gli amministratori, può contribuire ad arricchire il dibattito consiliare e la razionalità delle decisioni che vengono prese. 78 Osserva il Montalenti: « L’amministratore indipendente è figura ancora in cerca d’identità. La sua configurazione, nel nostro ordinamento, non può derivarsi attraverso meccaniche trasposizioni di esperienze straniere, ma deve ricostruirsi, in base ai, per il vero limitati, riferimenti normativi, al Codice di Autodisciplina, best practice e massime di esperienza. In sintesi si può affermare, a mio parere, che l’amministratore indipendente è amministratore non esecutivo, privo dei legami indicati dalle norme e dalle previsioni autoregolamentari, garante del perseguimento dell’interesse sociale, tutore del rispetto delle regole di correttezza e, in questo quadro, strumento di prevenzione della c.d. estrazione di benefici privati dal controllo. Di regola è esperto in discipline tecniche (giuridiche, economiche, finanziarie, etc.); non è, di regola, – proprio in quanto non esecutivo – specificamente esperto nella conduzione diretta degli affari; non è – proprio in quanto indipendente – direttamente inserito nella gestione dell’impresa. (…) l’attribuzione di poteri decisionali agli amministratori indipendenti, li trasforma – o rischia di trasformarli – in amministratori esecutivi; depotenzia il loro ruolo di gatekeepers della correttezza per trasformarli in gestori diretti di atti d’impresa di particolare rilevanza e criticità; rischia di pregiudicare l’interesse della società per una presumibile non piena conoscenza del merito dell’operazione sia nella fase delle trattative sia nella fase decisionale». P. MONTALENTI, Proposta di disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del cod. civ. in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni., 2008, pp. 2-5. 168 Osservazioni finali Il presente lavoro ha affrontato il tema del processo decisionale nelle operazioni con parti correlate da un punto di vista economico-aziendale, analizzando l’attuale quadro normativo e mettendone in luce le principali problematiche applicative nella prospettiva delle grandi imprese aperte. Nel primo capitolo, si è fornito un breve inquadramento concettuale sull’argomento, mettendone in evidenza i profili di complessità e la centralità nelle fondamentali dinamiche di corporate governance delle grandi imprese. La prospettiva di osservazione prescelta è stata l’azienda, intesa quale sistema all’interno del quale le singole operazioni di gestione si inseriscono e trovano il proprio significato economico. Si sono ricordati brevemente i profili di elevata complessità dei processi di decisione, esecuzione e controllo che determinano il comportamento aziendale, definibili secondo un modello di razionalità limitata. Particolare enfasi è stata posta sull’importanza chiave delle informazioni, che costituiscono la materia prima delle decisioni, delle azioni e dei controlli, nonché sulle dinamiche di conflitto ed equilibrio di interessi che caratterizzano tutte le decisioni aziendali. Queste ultime, infatti, sono il punto di convergenza di diversi interessi soggettivi che possono tra loro collimare o essere in opposizione gli uni agli altri. In proposito, è stato identificato, quale unico interesse sovraordinato e condivisibile, l’interesse oggettivo dell’azienda al mantenimento e al miglioramento delle condizioni di equilibrio e alla propria sopravvivenza nel lungo periodo. Tale interesse superiore definisce il criterio dell’economicità aziendale, al quale, in un’ottica normativa, il soggetto economico dell’azienda, che dispone della volontà, delle capacità e del potere di governarla, dovrebbe ispirare tutte le decisioni aziendali. In un’ottica positiva, con specifico riferimento alle grandi imprese aperte, sono state approfondite le dinamiche che possono condurre al compimento di operazioni che si discostano dal criterio guida dell’economicità aziendale e che si ispirano, invece, a criteri di economicità superaziendale ovvero alla diretta soddisfazione dell’utilità personale dei soggetti in grado di orientare le decisioni dell’impresa. In particolare, si sono approfonditi i rapporti conflittuali tra gli azionisti-proprietari e gli amministratori-professionisti, tipici delle c.d. imprese manageriali, e le delicate relazioni tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale controllato», tipiche delle imprese a capitale concentrato. Proprio nell’ambito di tali dinamiche sono state individuate le ragioni per le quali la disciplina delle operazioni con parti correlate rappresenta una delle più rilevanti e prioritarie problematiche di corporate governance. Quando un’operazione coinvolge due parti correlate, sia la decisione di concludere la transazione, sia la definizione delle relative condizioni non sono il risultato del confronto dialettico tra interessi contrapposti, ma dipendono dalla volontà e dagli interessi dell’unico soggetto in grado di orientare le decisioni dell’una e dell’altra parte. Pertanto, in assenza di regole, le operazioni con parti correlate possono costituire uno strumento di abuso facilmente accessibile e difficilmente controllabile a disposizione di chi governa le imprese, che può utilizzarle al fine di appropriarsi delle risorse dell’impresa governata o di manipolare artatamente i documenti di informativa economico-finanziaria. Chiarite le ragioni che motivano l’emanazione di specifiche norme volte a diminuire l’efficacia delle operazioni con parti correlate quali strumenti di abuso, nel secondo capitolo, si è offerto un quadro d’insieme della normativa vigente. In particolare, si sono distinte le norme che, in un’ottica ex ante, stabiliscono particolari presidi al processo deliberativo che conduce alle operazioni con parti correlate e le norme che, in un’ottica ex post, prevedono rafforzati obblighi di trasparenza informativa su tali operazioni. Il fondamentale problema della definizione legale di «parte correlata» è stato oggetto di particolare approfondimento. Si è ritenuta condivisibile la scelta della Consob di non stabilire una definizione generale e astratta di parte correlata (più flessibile, ma eccessivamente discrezionale in sede di concreta applicazione), bensì di indicare dettagliati criteri di identificazione, così limitando al massimo gli ambiti di discrezionalità delle società destinatarie della normativa. Altrettanto condivisibile è apparsa la soluzione di allineare la definizione legale di parte correlata ai criteri forniti dal principio contabile IAS 24, che le società quotate applicano nella redazione dei propri bilanci. 170 Si è proceduto, anche con l’ausilio di alcuni esempi schematici, ad analizzare approfonditamente tale definizione, al fine di chiarirne i concreti risvolti applicativi. Dall’analisi sono emersi numerosi spunti di riflessione, che sono stati sviluppati successivamente nell’ambito del terzo capitolo. In particolare, si è osservato che l’identificazione delle parti correlate costituisce un’attività complessa, che richiede una base informativa estremamente ampia e che presenta significativi ambiti di discrezionalità. Inoltre, si è evidenziato che è irragionevole ritenere che una società possa individuare tutte le parti ad essa correlate, dal momento che non tutte le informazioni necessarie sono accessibili (vincolo spaziale) e che il quadro delle relazioni che determinano la correlazione è in continuo mutamento (vincolo temporale). Il terzo capitolo, infine, ha affrontato le problematiche connesse alla concreta applicazione delle disposizioni dell’art. 2391-bis del codice civile. Nella prima parte del capitolo, si è analizzato il complesso quadro normativo vigente, chiarendone gli ambiti di sovrapposizione con le disposizioni in materia di operazioni con interessi degli amministratori (art. 2391 c.c.) e con quelle relative alla direzione e coordinamento di società (artt. 2497 e ss. c.c.). Particolare attenzione è stata dedicata all’approfondimento delle nozioni di correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni, richiamate dall’art. 2391bis. Al riguardo, si è fatto riferimento sia a quanto previsto dal diritto comune statunitense, nel quale tali concetti si sono originariamente sviluppati, sia alla nozione di correttezza gestionale definita dalla dottrina economico-aziendale. Richiamando anche quanto osservato nel primo capitolo in merito alla natura sistemica dell’azienda e delle operazioni di gestione, si è sottolineata l’elevata complessità e discrezionalità dei giudizi di correttezza, che implicano, soprattutto per le operazioni di maggiore rilievo, la valutazione non soltanto delle caratteristiche e delle condizioni della singola operazione, ma anche del complessivo quadro della gestione in cui essa si inserisce. In tale ottica, si è affermato che la correttezza di un’operazione con parti correlate dipende soprattutto dalla tracciabilità e dalla qualità del processo decisionale che conduce alla sua conclusione. Dopo una breve disamina delle indicazioni del codice di autodisciplina, nella seconda parte del terzo capitolo si sono svolte alcune osservazioni sulle problematiche di concreta applicazione delle disposizioni normative, 171 considerando anche le prime soluzioni sviluppate nella pratica dalle principali società quotate. Le attività necessarie ad assicurare la trasparenza e la correttezza delle operazioni con parti correlate sono state ricondotte a tre fondamentali categorie: - attività preliminari, necessarie ad identificare, in via antecedente alla loro effettuazione, le operazioni alle quali si debbano applicare i maggiori presidi di correttezza e trasparenza richiesti dalla normativa; - attività relative al processo deliberativo, che prevedono specifici percorsi a seconda della minore o maggiore rilevanza delle operazioni; - attività di monitoraggio, volte a valutare nel tempo l’efficacia e l’efficienza delle regole stabilite, al fine di individuare le eventuali criticità e le aree di possibile miglioramento. L’approfondimento dei risvolti applicativi della normativa ha consentito di evidenziare la complessità e l’onerosità delle attività necessarie ad assicurare la correttezza e la trasparenza alle operazioni con parti correlate. Le attività da svolgere, infatti, richiedono il coinvolgimento, in varia misura, di tutti i livelli dell’organizzazione, non soltanto nell’ambito della singola società quotata, ma anche delle sue controllate. Tali attività implicano, pertanto, costi significativi, a fronte dei quali deve essere attentamente valutato il rischio, sempre presente, che esse si possano rivelare inefficaci, soprattutto quando chi detiene il potere di governare l’impresa sia animato da intenti fraudolenti. In conclusione, il presente lavoro ha confermato la necessità che i processi decisionali che nelle grandi imprese aperte conducono alla conclusione di operazioni con parti correlate siano oggetto di specifiche disposizioni normative, tese a garantire gli obiettivi della correttezza e della trasparenza informativa. Regole efficaci in materia di operazioni correlate, infatti, soprattutto nelle grandi imprese a capitale concentrato tipiche del modello capitalistico italiano, consentono di limitare notevolmente i fenomeni espropriativi, identificabili come una delle prioritarie problematiche di corporate governance, ma soprattutto possono consentire di diffondere, nel contesto economico-sociale e nel contesto organizzativo delle imprese, una maggiore sensibilità alle dinamiche di conflitto e di equilibrio di interessi che caratterizzano le decisioni aziendali e una maggiore attenzione agli interessi diversi da quelli del soggetto economico. 172 Per quanto concerne le concrete modalità attraverso le quali assicurare gli obiettivi di correttezza e di trasparenza, tuttavia, può individuarsi un problema fondamentale, tuttora ben lontano dall’essere risolto, cioè la definizione dei soggetti che – nell’ambito dei processi di decisione, esecuzione e controllo che orientano il comportamento delle grandi imprese – si possano fare concretamente promotori dell’interesse aziendale contro gli interessi soggettivi – ben più forti e presidiati – di coloro che detengono il potere di governare le imprese. Infatti, in assenza di persone che, dotate dei necessari poteri, diano voce, all’interno delle imprese, all’«unico interesse sovraordinato e condivisibile», qualsiasi norma o regola imposta si rivela solo parzialmente efficace, potendo contribuire soltanto a rendere più difficoltosi i comportamenti contrastanti all’interesse aziendale. Le più recenti riforme legislative, guardando ai modelli di governo societario anglosassoni, sembrano avere identificato tali figure negli amministratori indipendenti. La Consob ha fatto proprio questo orientamento e, nella bozza di regolamentazione di cui si è trattato brevemente, ha proposto di assegnare ad essi un ruolo centrale in materia di correttezza e trasparenza delle operazioni con parti correlate. Questa soluzione potrebbe essere efficace, ma necessita di un’evoluzione culturale purtroppo ancora molto lontana. Guardando agli amministratori indipendenti che siedono nei consigli di amministrazione delle società quotate, nonché ai compensi spesso poco più che simbolici che ad essi sono attribuiti, viene da domandarsi se e fino a che punto gli amministratori indipendenti siano pronti a ricoprire un ruolo tanto importante e se abbiano piena consapevolezza dei notevoli sforzi necessari a farsi interpreti dell’interesse aziendale e a difenderlo con decisione, anche contro gli interessi dell’azionista che li ha nominati (e che potrebbe non riconfermarli). 173 Appendice normativa CODICE CIVILE Art. 2391 - Interessi degli amministratori [1] L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile. [2] Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione. [3] Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. [4] L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione. [5] L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico. Art. 2391-bis - Operazioni con parti correlate [1] Gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo princìpi generali indicati dalla Consob, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle caratteristiche dell'operazione. [2] I princìpi di cui al primo comma si applicano alle operazioni realizzate direttamente o per il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza decisionale, di motivazione e di documentazione. L'organo di controllo vigila sull'osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella relazione all'assemblea. Art. 2427 - Contenuto della nota integrativa [1] La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni: (…) 22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società; [2] Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea. Art. 2497 - Responsabilità. [1] Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. [2] Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. [3] Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. [4] Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario. Art. 2497-bis - Pubblicità 175 [1] La società deve indicare la società o l'ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di cui al comma successivo. [2] È istituita presso il registro delle imprese apposita sezione nella quale sono indicate le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette. [3] Gli amministratori che omettono l'indicazione di cui al comma primo ovvero l'iscrizione di cui al comma secondo, o le mantengono quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi. [4] La società deve esporre, in apposita sezione della nota integrativa, un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio della società o dell'ente che esercita su di essa l'attività di direzione e coordinamento. [5] Parimenti, gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa sociale e sui suoi risultati. Art. 2497-ter - Motivazione delle decisioni [1] Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'articolo 2428. Art. 2497-quater - Diritto di recesso [1] Il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento può recedere: a) quando la società o l'ente che esercita attività di direzione e coordinamento ha deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale, ovvero ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale consentendo l'esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento; b) quando a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'articolo 2497; in tal caso il diritto di recesso può essere esercitato soltanto per l'intera partecipazione del socio; c) all'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto. [2] Si applicano, a seconda dei casi ed in quanto compatibili, le disposizioni previste per il diritto di recesso del socio nella società per azioni o in quella a responsabilità limitata. Art. 2497-quinquies - Finanziamenti nell'attività di direzione e coordinamento [1] Ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l'articolo 2467. 176 Art. 2497-sexies - Presunzioni [1] Ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo 2359. Art. 2497-septies - Coordinamento fra società. [1] Le disposizioni del presente capo si applicano altresì alla società o all'ente che, fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 2497-sexies, esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti. DECRETO LEGISLATIVO 24 FEBBRAIO 1998, N. 58 “TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA” Sezione V - Organi di controllo Art. 150 - Informazione [1] Gli amministratori riferiscono tempestivamente, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale, al collegio sindacale sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate; in particolare, riferiscono sulle operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento. (…) Art. 153 - Obbligo di riferire all'assemblea [1] Il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza ed il comitato per il controllo sulla gestione riferiscono sull'attività di vigilanza svolta e sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati all'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio di esercizio ovvero ai sensi dell' articolo 2364-bis, comma 2, del codice civile. [2] Il collegio sindacale può fare proposte all'assemblea in ordine al bilancio e alla sua approvazione nonché alle materie di propria competenza. Sezione V-bis - Informazione finanziaria Art. 154-ter - Relazioni finanziarie [1] Fermi restando i termini di cui agli articoli 2429 del codice civile e 156, comma 5, entro centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio gli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine approvano il bilancio d'esercizio e pubblicano la relazione finanziaria annuale comprendente il bilancio di esercizio, il bilancio consolidato, ove redatto, la relazione sulla gestione e l'attestazione di cui all'articolo 154-bis, comma 5. Le relazioni di revisione di cui all'articolo 156 sono pubblicate integralmente insieme alla relazione finanziaria annuale. 177 [2] Entro sessanta giorni dalla chiusura del primo semestre dell' esercizio, gli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine pubblicano una relazione finanziaria semestrale comprendente il bilancio semestrale abbreviato, la relazione intermedia sulla gestione e l'attestazione prevista dall'articolo 154-bis, comma 5. La relazione sul bilancio semestrale abbreviato della società di revisione, ove redatta, è pubblicata integralmente entro il medesimo termine. [3] Il bilancio semestrale abbreviato di cui al comma 2, è redatto in conformità ai principi contabili internazionali applicabili riconosciuti nella Comunità europea ai sensi del regolamento (CE) n. 1606/2002. Tale bilancio è redatto in forma consolidata se l'emittente quotato avente l'Italia come Stato membro d'origine è obbligato a redigere il bilancio consolidato. [4] La relazione intermedia sulla gestione contiene almeno riferimenti agli eventi importanti che si sono verificati nei primi sei mesi dell' esercizio e alla loro incidenza sul bilancio semestrale abbreviato, unitamente a una descrizione dei principali rischi e incertezze per i sei mesi restanti dell'esercizio. Per gli emittenti azioni quotate aventi l 'Italia come Stato membro d'origine, la relazione intermedia sulla gestione contiene, altresì, informazioni sulle operazioni rilevanti con parti correlate. [5] Gli emittenti azioni quotate aventi l'Italia come Stato membro d' origine pubblicano, entro quarantacinque giorni dalla chiusura del primo e del terzo trimestre di esercizio, un resoconto intermedio di gestione che fornisce: a) una descrizione generale della situazione patrimoniale e dell'andamento economico dell'emittente e delle sue imprese controllate nel periodo di riferimento; b) un'illustrazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel periodo di riferimento e la loro incidenza sulla situazione patrimoniale dell'emittente e delle sue imprese controllate. [6] La Consob, in conformità alla disciplina comunitaria, stabilisce con regolamento: a) le modalità di pubblicazione dei documenti di cui ai commi 1, 2 e 5; b) i casi di esenzione dall'obbligo di pubblicazione della relazione finanziaria semestrale; c) il contenuto delle informazioni sulle operazioni rilevanti con parti correlate di cui al comma 4; d) le modalità di applicazione del presente articolo per gli emittenti quote di fondi chiusi. (…) REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO 24 FEBBRAIO 1998, N. 58, CONCERNENTE LA DISCIPLINA DEGLI EMITTENTI (ADOTTATO DALLA CONSOB CON DELIBERA N. 11971 DEL 14 MAGGIO 1999) Art. 2 - Definizioni [1] Nel presente regolamento si intendono per: (…) h) “parti correlate”: i soggetti definiti tali dal principio contabile internazionale concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate, adottato secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002; 178 Art. 71-bis - Operazioni con parti correlate [1] In occasione di operazioni con parti correlate, concluse anche per il tramite di società controllate, che per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di realizzazione possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o sulla completezza e correttezza delle informazioni, anche contabili, relative all'emittente, gli emittenti azioni mettono a disposizione del pubblico un documento informativo redatto in conformità all'Allegato 3B. Tale obbligo non sussiste se le informazioni sono inserite nel comunicato eventualmente diffuso secondo le modalità indicate nel Capo I o nel documento informativo previsto dagli articoli 70 e 71. [2] Il documento informativo è depositato presso la sede sociale e la società di gestione del mercato entro quindici giorni dalla conclusione delle operazioni. Del deposito è data immediata notizia mediante avviso pubblicato su almeno un quotidiano a diffusione nazionale. Art. 81 - Relazione finanziaria semestrale [1] Gli emittenti azioni, ai sensi dell'articolo 154-ter, comma 4, del Testo unico, forniscono nella relazione intermedia sulla gestione un'informazione analitica: a)sulle singole operazioni con parti correlate concluse nel periodo di riferimento che hanno influito in misura rilevante sulla situazione patrimoniale o sui risultati dell'emittente; e b) su qualsiasi modifica o sviluppo delle operazioni con parti correlate descritte nelle precedenti relazioni che potrebbe avere un effetto significativo sulla situazione patrimoniale o i risultati dell'impresa. [2] Gli emittenti valori mobiliari mettono a disposizione del pubblico presso la sede sociale e con le modalità indicate nel Capo I, i documenti previsti nell'articolo 154-ter , comma 2, del Testo unico. Art. 91-bis - Operazioni con parti correlate [1] Gli emittenti azioni, contestualmente alla diffusione al pubblico, trasmettono alla Consob il documento informativo predisposto ai sensi dell'articolo 71-bis. Allegato 3B Schema N. 4: Documento informativo relativo ad operazioni con parti correlate Nei casi in cui l’emittente quotato ponga in essere con parti correlate le operazioni indicate nell’articolo 71-bis del regolamento, il documento informativo deve riportare i seguenti elementi: 1. Avvertenze Evidenziare, in sintesi, i rischi connessi ai potenziali conflitti di interesse delle parti correlate con cui è effettuata l’operazione descritta nel documento informativo. 2. Informazioni relative all’operazione 2.1 Descrizione sintetica delle caratteristiche, modalità, termini e condizioni dell’operazione. 2.2. Indicazione delle parti correlate con cui l’operazione è stata posta in essere, del relativo grado di correlazione, della natura e della portata degli interessi di tali parti nell’operazione. 179 2.3. Indicazione delle motivazioni economiche della società emittente al compimento dell’operazione. 2.4. Modalità di determinazione del prezzo dell’operazione e valutazioni circa la sua congruità rispetto ai valori di mercato di operazioni similari. Al riguardo indicare l’eventuale esistenza di valutazioni svolte da professionisti a supporto della congruità di tale prezzo e gli esiti finali delle medesime, precisando se dette valutazioni sono state appositamente commissionate dall’emittente. 2.5. Effetti economici, patrimoniali e finanziari dell’operazione. 2.6. Se l’ammontare dei compensi dei componenti dell’organo di amministrazione dell’emittente e/o di società da questo controllate è destinato a variare in conseguenza dell’operazione, dettagliate indicazioni delle variazioni. Se non sono previste modifiche, inserimento, comunque, di una dichiarazione in tal senso. 2.7. Nel caso di operazioni ove le parti correlate coinvolte siano i componenti degli organi di amministrazione e di controllo direttori generali e dirigenti dell’emittente, informazioni relative agli strumenti finanziari dell’emittente medesimo detenuti dai soggetti sopra individuati e agli interessi di questi ultimi in operazioni straordinarie, previste dai paragrafi 2.8, 2.9 e 2.10 dello schema n. 1 del prospetto riportato nella parte terza dell’Allegato 1B del presente regolamento. 180 PRINCIPIO CONTABILE IAS 24 INFORMATIVA DI BILANCIO SULLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE (ADOTTATO CON REG. CE N. 1126/2008 DEL 3 NOVEMBRE 2008) FINALITÀ 1. La finalità del presente Principio è di assicurare che il bilancio di un’entità contenga le informazioni integrative necessarie a evidenziare la possibilità che la sua situazione patrimoniale-finanziaria ed il suo risultato economico possano essere stati influenzati dall’esistenza di parti correlate e da operazioni e saldi in essere con tali parti. (…) SCOPO DELL’INFORMATIVA DI BILANCIO SULLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE 5. I rapporti fra parti correlate sono aspetti ordinari delle attività commerciali e gestionali. Ad esempio, le entità spesso svolgono una parte delle proprie attività avvalendosi di società controllate, joint venture e società collegate. In tali circostanze, la capacità di influire sulle politiche finanziarie e gestionali della partecipata viene esercitata attraverso il controllo, il controllo congiunto o l’influenza notevole. 6. Un rapporto con una parte correlata può avere un effetto sulla situazione patrimoniale-finanziaria e sul risultato economico dell’entità. Le parti correlate possono effettuare operazioni che società indipendenti non effettuerebbero. Per esempio, un’entità che vende merci alla sua controllante al costo potrebbe non vendere alle stesse condizioni ad altri clienti. Inoltre, operazioni tra parti correlate possono non essere effettuate ai medesimi corrispettivi rispetto a quelle intercorrenti tra parti indipendenti. 7. Il risultato economico e la situazione patrimoniale-finanziaria di un’entità possono essere influenzati da rapporti con parti correlate anche nel caso in cui non si verifichino operazioni con le stesse. La semplice esistenza del rapporto può essere sufficiente a condizionare le operazioni dell’entità con parti terze. Per esempio, una controllata può interrompere i propri rapporti con una controparte commerciale a partire dal momento dell’acquisizione da parte della capogruppo di un’altra controllata che svolge la stessa attività della precedente controparte. In alternativa, una parte può astenersi dal compiere determinate operazioni a causa dell’influenza notevole di un’altra; per esempio, una controllata può essere istruita dalla sua controllante a non impegnarsi in attività di ricerca e sviluppo. 8. Per tali ragioni, la conoscenza di operazioni, saldi e rapporti in essere con parti correlate può incidere sulla valutazione da parte degli utilizzatori del bilancio delle attività di un’entità, inclusa sulla valutazione dei rischi e delle opportunità a cui l’entità va incontro. DEFINIZIONI 9. I seguenti termini sono usati nel presente Principio con i significati indicati: Parte correlata Una parte è correlata a un’entità se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: 181 i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo); ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima; o iii) controlla congiuntamente l’entità; b) la parte è una società collegata (secondo la definizione dello IAS 28 Partecipazioni in società collegate) dell’entità; c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (cfr. IAS 31 Partecipazioni in joint venture); d) la parte è uno dei dirigenti con responsabilità strategiche dell’entità o della sua controllante; e) la parte è uno stretto familiare di uno dei soggetti di cui ai punti a) o d); f) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto; o g) la parte è un piano per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti dell’entità, o di una qualsiasi altra entità a essa correlata. Un’operazione con una parte correlata è un trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni fra parti correlate, indipendentemente dal fatto che sia stato pattuito un corrispettivo. Si considerano familiari stretti di un soggetto quei familiari che ci si attende possano influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità. Essi possono includere: a) il convivente e i figli del soggetto; b) i figli del convivente; e c) le persone a carico del soggetto o del convivente. La retribuzione comprende tutti i benefici per i dipendenti (come definiti nello IAS 19 Benefici per i dipendenti) inclusi quei benefici per i dipendenti ai quali si applica l’IFRS 2 Pagamenti basati su azioni. I benefici per i dipendenti sono rappresentati da tutte le forme di emolumenti corrisposti, pagabili o accantonati dall’entità, o per suo conto, a fronte dei servizi prestati all’entità da un dipendente. Comprendono anche quei corrispettivi relativi all’entità, pagati per conto di una controllante dell’entità stessa. La retribuzione include: a) benefici a breve termine per i dipendenti, quali salari, stipendi e relativi contributi sociali, pagamento di indennità sostitutive di ferie e di assenze per malattia, compartecipazione agli utili e incentivazioni (se dovuti entro dodici mesi dalla fine dell’esercizio) e benefici non monetari (quali assistenza medica, abitazione, auto aziendale e beni o servizi gratuiti o a costo ridotto) per il personale in servizio; b) benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro quali pensioni, altri benefici pensionistici, assicurazioni sulla vita e assistenza sanitaria successive al rapporto di lavoro; c) altri benefici a lungo termine per i dipendenti, ivi inclusi permessi o periodi sabbatici legati all’anzianità di servizio, premi in occasione di anniversari o altri benefici legati all’anzianità di servizio, indennità per invalidità permanente e, se dovuti dopo dodici 182 mesi o più dalla chiusura dell’esercizio, compartecipazione agli utili, incentivi e retribuzioni differite; d) benefici dovuti ai dipendenti per la cessazione del rapporto di lavoro; e e) pagamenti basati su azioni. Il controllo è il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali di un’entità al fine di ottenere benefici dalle sue attività. Il controllo congiunto è la condivisione, stabilita contrattualmente, del controllo su un’attività economica. I dirigenti con responsabilità strategiche sono quei soggetti che hanno il potere e la responsabilità, direttamente o indirettamente, della pianificazione, della direzione e del controllo delle attività dell’entità, compresi gli amministratori (esecutivi o meno) dell’entità stessa. L’influenza notevole è il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali di un’entità senza averne il controllo. Un’influenza notevole può essere ottenuta attraverso il possesso di azioni, tramite clausole statutarie o accordi. 10. Nell’esame di ciascun rapporto con parti correlate l’attenzione deve essere rivolta alla sostanza del rapporto e non semplicemente alla sua forma giuridica. 11. Nel contesto del presente Principio, le seguenti situazioni non rappresentano necessariamente operazioni con parti correlate: a) due entità per il solo fatto di avere in comune un amministratore o un altro dirigente con responsabilità strategiche, nonostante quanto esposto ai punti d) e f) nella definizione di «parte correlata»; b) due entità partecipanti, per il solo fatto di detenere il controllo congiunto in una joint venture; c) i) finanziatori; ii) sindacati; iii) imprese di pubblici servizi; e iv) agenzie e dipartimenti pubblici, solo in ragione dei normali rapporti d’affari con l’entità (sebbene essi possano circoscrivere la libertà di azione dell’entità o partecipare al suo processo decisionale); d) un cliente, fornitore, franchisor, distributore o agente generale con il quale l’entità effettua un rilevante volume di affari, unicamente in ragione della dipendenza economica che ne deriva. (…) CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLE SOCIETÀ QUOTATE MARZO 2006 183 9. Interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate Principi 9.P.1. Il consiglio di amministrazione adotta misure volte ad assicurare che le operazioni nelle quali un amministratore sia portatore di un interesse, per conto proprio o di terzi, e quelle poste in essere con parti correlate vengano compiute in modo trasparente e rispettando criteri di correttezza sostanziale e procedurale. Criteri applicativi 9.C.1. Il consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo interno, stabilisce le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni poste in essere dall’emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate. Definisce, in particolare, le specifiche operazioni (ovvero determina i criteri per individuare le operazioni) che debbono essere approvate previo parere dello stesso comitato per il controllo interno e/o con l’assistenza di esperti indipendenti. 9.C.2. Il consiglio di amministrazione adotta soluzioni operative idonee ad agevolare l’individuazione ed una adeguata gestione delle situazioni in cui un amministratore sia portatore di un interesse per conto proprio o di terzi. Commento Le nuove disposizioni contenute nel codice civile in materia di interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate (artt. 2391 e 2391-bis) dettano una disciplina puntuale della materia, in buona parte recependo i principi di fondo introdotti dalla precedente versione del codice di autodisciplina. Nella definizione della best practice ci si limita quindi a chiarire alcuni aspetti relativi alle modalità di gestione di dette operazioni. Innanzitutto il Comitato auspica l’adozione di adeguate pratiche, da parte dell’organo di gestione, volte a perseguire l’obiettivo, ora espressamente previsto dalla legge, della correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate. Il Comitato raccomanda, al riguardo, che il consiglio di amministrazione si avvalga del supporto del comitato per il controllo interno nel definire le modalità di approvazione e di esecuzione delle predette operazioni. La prassi, sul punto, ha individuato diverse tecniche che possono essere utilizzate, anche cumulativamente, per assicurare la correttezza sostanziale e procedurale di tali operazioni; si segnalano, a titolo indicativo: la riserva alla competenza del consiglio dell’approvazione delle operazioni di maggiore rilievo, la previsione di un parere preventivo del comitato per il controllo interno, l’affidamento delle trattative ad uno o più amministratori indipendenti (o comunque privi di legami con la parte correlata), il ricorso ad esperti indipendenti (eventualmente selezionati da amministratori indipendenti). La concreta articolazione di questi o analoghi presidi non può che essere lasciata al potere di autoregolamentazione del consiglio – sia pure nel rispetto dei principi generali indicati dalla Consob ai sensi dell’art. 2391-bis cod. civ. – in funzione della tipologia e della rilevanza, sotto il profilo economico e/o strategico, delle operazioni, nonché della natura ed estensione delle relazioni esistenti con le controparti. 184 Per quanto riguarda le operazioni nelle quali un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse, il Comitato raccomanda che il consiglio di amministrazione ricerchi soluzioni che contemperino l’esigenza di trasparenza e correttezza sottesa alle norme di legge con l’opportunità di non appesantire l’attività dell’organo di gestione con adempimenti eccessivamente onerosi; ciò, in particolare, nei casi in cui l’amministratore dell’emittente sia esponente della società o dell’ente che esercita sull’emittente attività di direzione e coordinamento, tenuto conto che in tale circostanza gli artt. 2497 ss. cod. civ. prevedono penetranti presidi a tutela degli azionisti. In generale, nei casi in cui l’amministratore sia portatore di un interesse in quanto membro dell’organo di amministrazione di una società legata all’emittente da un rapporto di controllo (o di comune controllo), pare ammissibile che eventuali obblighi informativi e/o di motivazione relativi ad operazioni che rientrano nella normale operatività del gruppo siano adempiuti in modo generale e sintetico anche in via preventiva, salva la necessità di informazioni integrative a fronte di operazioni di particolare rilievo. Sempre in tema di gestione delle operazioni regolate dall’art. 2391 cod. civ., si rileva che nella prassi non sono rari i casi in cui l’amministratore interessato – pur in mancanza di un vincolo di legge in tal senso – è chiamato ad astenersi dal voto o ad allontanarsi dalla riunione al momento della discussione e della deliberazione. Questa soluzione può contribuire ad evitare o ridurre il rischio di alterazione della corretta formazione della volontà dell’organo di gestione. Peraltro non mancano ipotesi nelle quali tale rischio non appare rilevante e, al contrario, la stessa partecipazione alla discussione e il voto dell’amministratore in questione risultano auspicabili, in quanto elementi di responsabilizzazione in merito a operazioni che proprio l’interessato potrebbe conoscere meglio degli altri membri del consiglio. In tale prospettiva, la indicata prassi che contemplasse l’astensione potrebbe altresì attribuire allo stesso consiglio, alla luce delle specifiche circostanze del caso, la facoltà di disporre diversamente e così di consentire la partecipazione dell’amministratore interessato alla discussione e al voto. 185 Bibliografia AA.VV., Il sistema di controllo interno. 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