Dott. Valerio Pieri

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DOTT. VALERIO PIERI
DOTTORE DI RICERCA IN ECONOMIA AZIENDALE
CULTORE DI ECONOMIA AZIENDALE
PRESSO L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE”
E-MAIL:
[email protected]
Roma, 30 ottobre 2009
CONSOB
Divisione Studi Giuridici
Via G.B.Martini, 3
00198 ROMA
[email protected]
Oggetto: Risposta al documento di consultazione in materia di disciplina
delle operazioni con parti correlate.
Con l’auspicio di offrire un contributo al processo di definizione della
disciplina regolamentare di attuazione della normativa in materia di disciplina, lo
scrivente trasmette a codesta spettabile Autorità copia della propria tesi di
dottorato «Il processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Analisi
economico-aziendale alla luce della normativa di riferimento».
Il lavoro, discusso nello scorso mese di settembre, affronta la tematica delle
operazioni con parti correlate da un punto di vista economico-aziendale, nel
tentativo di arricchire, in una diversa prospettiva, il vasto dibattito dei giuristi e
degli economisti su una delle problematiche di corporate governance più
rilevanti e attuali, soprattutto in un paese, come l’Italia, in cui le grandi imprese
aperte sono caratterizzate dalla presenza di un azionista o di una coalizione di
azionisti in grado di detenere stabilmente il controllo dell’assemblea, potendo
incidere sulla nomina degli amministratori e, per loro tramite, sulle decisioni che
determinano il comportamento dell’impresa.
Lo scrivente autorizza la Consob a pubblicare il presente documento
unitamente al suo allegato sul proprio sito.
Ogni altro utilizzo del presente documento o di parte di esso, nonché del suo
allegato o di parte di esso, è consentito solo per scopi non commerciali e a
condizione di citare espressamente la fonte e l’autore e previa comunicazione da
inviare all’indirizzo e-mail [email protected].
Augurandomi che questo contributo possa essere di qualche utilità, porgo i
miei migliori saluti.
Valerio Pieri
All. n.1:
V.PIERI, Il processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Analisi
economico-aziendale alla luce della normativa di riferimento, Tesi di dottorato
in Economia Aziendale, Università degli Studi di Foggia, 2009.
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA
FACOLTÀ DI ECONOMIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICO-AZIENDALI, GIURIDICHE,
MERCEOLOGICHE E GEOGRAFICHE
Dottorato di ricerca in Economia Aziendale XXI ciclo
TESI DI DOTTORATO
IL PROCESSO DECISIONALE NELLE
OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE.
ANALISI ECONOMICO-AZIENDALE
ALLA LUCE DELLA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
DOTT. VALERIO PIERI
Coordinatore:
Chiar.mo Prof. Nunzio Angiola
Tutor:
Chiar.mo Prof. Mauro Romano
A mio padre
«In ogni operazione dell’azienda è tutta
l’azienda, come in ogni atto dell’uomo è
tutto l’uomo. Vana sarebbe quindi la pretesa
di studiare le operazioni di gestione nel loro
significato economico, dimenticando o
ignorando l’azienda, nella sua complessa e
dinamica economia».
P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5.
3
Indice
pag.
Premessa
1.
Inquadramento concettuale delle operazioni con parti correlate
1.1.
Considerazioni introduttive
7
10
10
1.2. Le operazioni con parti correlate: profili di complessità
20
1.2.1. Il sistema aziendale nella sua unitaria, complessa e dinamica
economia e le decisioni che ne determinano il comportamento.
20
1.2.2. Il conflitto e l’equilibrio dei diversi interessi che influiscono sulle
decisioni aziendali. Il criterio dell’economicità e il ruolo del soggetto
economico.
29
1.3. La centralità delle operazioni con parti correlate nelle fondamentali
dinamiche di corporate governance delle grandi imprese
35
1.3.1. La separazione tra proprietà e controllo nelle imprese manageriali: il
conflitto d’interessi tra gli azionisti-proprietari e i manager-professionisti 40
1.3.2. Le imprese a capitale concentrato: il conflitto d’interessi tra i
detentori del «capitale di comando» e del «capitale controllato»
43
2.
Le operazioni con parti correlate nell’attuale quadro normativo
48
2.1.
Considerazioni introduttive
48
2.2.
I percorsi seguiti dal legislatore e dalla Consob
51
2.3. La normativa vigente in materia di operazioni con parti correlate:
quadro di sintesi
2.3.1. I presidi ai procedimenti deliberativi delle operazioni con parti
correlate
2.3.2. Gli obblighi di trasparenza informativa
55
56
58
2.4. La definizione di «parte correlata»: il rinvio della normativa al
principio contabile IAS 24
63
2.4.1. Il criterio a.i): i soggetti controllanti, controllati e sottoposti a
comune controllo
69
2.4.2. Il criterio a.ii): i soggetti che esercitano un’influenza notevole sulla
reporting entity
77
2.4.3. Il criterio a.iii): i soggetti che controllano congiuntamente la
reporting entity
82
2.4.4. I criteri b) e c): le collegate e le joint venture della reporting entity 85
2.4.5. Il criterio d): i dirigenti con responsabilità strategiche sull’attività
della reporting entity
88
2.4.6. Il criterio e): gli stretti familiari degli individui correlati alla
reporting entity secondo i criteri a) e d)
91
2.4.7. Il criterio f): entità correlate per il tramite di individui correlati alla
reporting entity
94
2.4.8. Il criterio g): fondi pensione (e simili) correlati alla reporting
entity
96
2.4.9. Le prospettive di evoluzione negli exposure draft pubblicati dallo
IASB
98
3. La normativa in materia di processo decisionale nelle operazioni con parti
correlate: problematiche applicative
107
3.1.
Considerazioni introduttive
107
3.2. Le regole stabilite dal consiglio di amministrazione: gli obiettivi di
trasparenza e di correttezza sostanziale e procedurale
109
3.3. La disciplina sulle operazioni con parti correlate: le operazioni con
interessi degli amministratori e l’attività di direzione e coordinamento
120
3.3.1. Un possibile schema di sintesi della normativa
124
3.4.
Compiti e responsabilità del collegio sindacale
125
3.5. Le operazioni con parti correlate secondo il codice di autodisciplina
delle società quotate
128
5
3.6. Le regole in materia di operazioni con parti correlate: principali
problematiche applicative e possibili soluzioni
134
3.6.1. La mappatura delle parti correlate
137
3.6.2. L’identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili) con
parti correlate
142
3.6.3. La valutazione preliminare della rilevanza
144
3.6.4. Il processo deliberativo delle operazioni non rilevanti
145
3.6.5. Il processo deliberativo delle operazioni rilevanti
148
3.6.6. Le attività di monitoraggio
150
Appendice - L’evoluzione normativa in corso: la bozza di regolamentazione
proposta dalla Consob nel 2008
153
1. Le linee generali del progetto di riforma
153
2. Le principali osservazioni emerse in sede di consultazione: brevi
commenti
162
Osservazioni finali
169
Appendice normativa
174
Bibliografia
186
6
Premessa
Le operazioni con parti correlate rappresentano una delle più rilevanti e
attuali tematiche di corporate governance, soprattutto in un paese, come l’Italia,
in cui le grandi imprese aperte sono caratterizzate dalla presenza di un azionista o
di una coalizione di azionisti in grado di detenere stabilmente il controllo
dell’assemblea, potendo incidere sulla nomina degli amministratori e, per loro
tramite, sulle decisioni che determinano il comportamento dell’impresa.
L’esperienza degli scandali che hanno sconvolto i mercati finanziari
mondiali nei primi anni Duemila – dapprima negli Stati Uniti e poi, con
caratteristiche e proporzioni simili, anche in Europa e nel nostro paese – ha
fornito una tangibile evidenza che le operazioni con parti correlate possono
costituire uno strumento efficace e poco controllabile mediante il quale gli
individui che detengono il potere decisionale possono compiere, nel proprio
interesse, varie forme di abuso, tra le quali l’appropriazione di risorse
dell’impresa gestita e la manipolazione dell’informativa contabile.
D’altro canto, in un’economia sempre più caratterizzata dalla presenza di
grandi gruppi aziendali e dalla diffusione di altre forme di relazione di lungo
periodo, le imprese si trovano ad effettuare con parti correlate, senza alcuna
finalità di abuso, operazioni frequenti e anche molto rilevanti.
Intorno tali particolari operazioni si è sviluppato un ampio dibattito ed è
stata avvertita l’esigenza di specifici interventi normativi, finalizzati, da un lato, a
porre adeguati presidi ai processi decisionali che conducono al loro compimento
e, dall’altro lato, ad assicurare su di esse una piena trasparenza informativa, sia di
tipo qualitativo che quantitativo.
In Italia, entrambe le problematiche sono state oggetto di specifici interventi
normativi, sia da parte del legislatore, sia, in prevalenza, da parte della Consob.
Proprio dall’autorità regolamentare ci si attende, ormai a breve,
l’emanazione delle norme attuative dell’ampia delega concessa dal legislatore
nell’art. 2391-bis del codice civile. Nell’aprile 2008, infatti, la Consob ha
7
pubblicato una prima proposta di regolamentazione, che ha ravvivato
notevolmente il dibattito sulla materia, sollevando reazioni molto contrastanti tra
gli osservatori, cui ha fatto seguito, a distanza di oltre un anno, nell’agosto del
2009, una seconda e riveduta bozza di articolato regolamentare.
Il presente lavoro prende spunto dalla constatazione che il dibattito sui
particolari presidi cui sottoporre il processo decisionale nelle operazioni con parti
correlate al fine di assicurarne la correttezza è dominato esclusivamente dai
giuristi e, in misura minore, dagli economisti. Il contributo offerto da parte degli
studiosi di Economia d’Azienda, invece, è stato sinora del tutto marginale.
E’ vero che solo mediante l’imposizione di specifiche norme, la cui
definizione non può che competere ai giuristi, è possibile tentare di porre delle
limitazioni all’influenza sul processo decisionale di quei soggetti che occupano
posizioni di dominio sulle imprese. Tuttavia, può certamente osservarsi che
l’Economia Aziendale, che è la scienza che studia «i processi di decisione, di
esecuzione e di controllo e il sistema informativo, compreso il feedback»1, è
certamente in grado di offrire al diritto, su tematiche come questa, «un contributo
di tipo propulsivo, cioè capace di evidenziare importanti criticità e di avviare
approfonditi dibattiti intorno a taluni problemi tipici del mondo aziendale»2.
Il presente lavoro, pertanto, si pone l’obiettivo di arricchire il dibattito in
materia di processo decisionale nelle operazioni con parti correlate da un punto di
vista economico-aziendale, analizzando l’attuale assetto normativo – che, come
si dirà, si presenta molto articolato e complesso – e mettendo in luce i tanti
problemi aperti, che potranno essere oggetto di maggiori approfondimenti
nell’ambito di future ricerche.
Nel primo capitolo, si fornisce un inquadramento della tematica delle
operazioni con parti correlate, ponendo particolare enfasi sulla centralità del
sistema aziendale, all’interno del quale le operazioni di gestione si inseriscono e
trovano il proprio significato economico, sulla complessità dei processi decisori
che determinano il comportamento delle aziende, nonché sulle dinamiche di
conflitto ed equilibrio di interessi che caratterizzano le decisioni aziendali.
Inoltre, con specifico riferimento alle grandi imprese aperte, viene sottolineata la
1
G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, p.6.
T. ONESTI, Il contributo degli studi economico-aziendali alle scienze giuridiche, in G.
COMANDÉ-G. PONZANELLI, Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato. Atti del
Convegno tenutosi a Pisa il 22/24 maggio 2003, Giappichelli, Torino, 2004, p. 482.
2
8
centralità delle operazioni con parti correlate in due delle principali aree di
interesse della corporate governance: il dualismo tra azionisti-proprietari e
amministratori-professionisti, tipico delle c.d. imprese manageriali, e le delicate
relazioni tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale
controllato», tipiche delle imprese a capitale concentrato.
Dopo un breve riepilogo della normativa vigente in materia di operazioni
con parti correlate, distinguendo tra le disposizioni inerenti i procedimenti
deliberativi e quelle in materia di informativa esterna, nel secondo capitolo si
approfondiscono le problematiche inerenti l’individuazione delle parti correlate,
analizzando l’attuale definizione fornita dal principio contabile IAS 24 (cui la
normativa fa esplicito rimando) e mettendone in luce le problematiche
applicative. Inoltre, tenuto conto dell’attuale processo di revisione dello IAS 24
da parte dello IASB, vengono analizzate anche le modifiche prospettate dallo
standard setter negli exposure draft pubblicati nel 2007 e nel 2008.
Il terzo capitolo, infine, approfondisce le problematiche di concreta
applicazione, nell’ambito dei processi decisionali relativi alle operazioni con
parti correlate, delle disposizioni dell’art. 2391-bis del codice civile, che si
inseriscono in un quadro normativo particolarmente complesso e articolato, nel
quale la disciplina sulle operazioni con parti correlate trova significativi ambiti di
sovrapposizione con quella relativa alle operazioni con interessi degli
amministratori (art. 2391 c.c.) e con la normativa in materia di direzione e
coordinamento di società (artt. 2497 e ss. c.c.). In proposito, vengono analizzati
anche i principi indicati dal codice di autodisciplina delle società quotate, che si
fondano sulle best practice internazionali in materia, nonché alcune delle più
interessanti soluzioni sviluppate dai principali gruppi quotati. In appendice al
capitolo, infine, si svolge una breve disamina delle prospettive di evoluzione
della normativa, alla luce della proposta di regolamentazione posta in
consultazione dalla Consob nell’aprile del 2008.
9
Capitolo 1
Inquadramento concettuale delle operazioni con parti
correlate
1.1.
Considerazioni introduttive
Il diffondersi del modello della grande impresa a capitale aperto e la
progressiva riduzione delle barriere alla libera circolazione internazionale dei
beni e dei capitali hanno determinato un crescente e ampio dibattito sulla
corporate governance3, cioè sul «modo in cui le grandi imprese sono dirette e
3
Sul tema della corporate governance si vedano: G. AIROLDI-G. FORESTIERI, Corporate
governance. Analisi e prospettive del caso italiano, Etas, Milano, 1998; M. ALLEGRINI-S.
BIANCHI MARTINI, La Corporate Governance in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Modelli e
pratiche a confronto, Franco Angeli, Milano, 2006; F. BARCA, Imprese in cerca di padrone.
Proprietà e controllo nel capitalismo italiano, Laterza, Bari, 1994; S. BIANCHI MARTINI-G. DI
STEFANO-G. ROMANO, La governance delle società quotate tra best practice internazionali e
tradizioni aziendali italiane, Franco Angeli, Milano, 2006; M.M. BLAIR, Ownership and
Control: Rethinking Corporate Governance for the Twenty-First Century, Brookings Institution
Press, Washington, 1995; A.D. CHANDLER, Scale and Scope: The Dynamics of Industrial
Capitalism Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA), 1994; D. CHEW,
Studies in International Corporate Finance and Governance Systems: A Comparison of the US,
Japan, and Europe, Oxford University Press, USA, 1997; T. CLARKE, Theories of Governance:
The Philosophical Foundations of Corporate Governance, Routledge, London, 2004; G. FIORIR. TISCINI (a cura di), Corporate governance, regolamentazione contabile e trasparenza
dell'informativa aziendale, Franco Angeli, Milano, 2005; R.E. FREEMAN-G. RUSCONI-M.
DORIGATTI (a cura di), Teoria degli stakeholder, Franco Angeli, Milano, 2007; G.M. GROS
PIETRO-E. REVIGLIO-A. TORRISI, Assetti proprietari e mercati finanziari europei, Il Mulino,
Bologna, 2001; K. KEASEY-S. THOMPSON-M. WRIGHT (a cura di), Corporate Governance:
Accountability, Enterprise and International Comparisons, John Wiley & Sons, London, 2005;
A. MELIS, Creazione di valore e meccanismi di corporate governance, Giuffré, Milano, 2002;
10
controllate»4, in considerazione sia delle complessità gestionali connesse alle loro
dimensioni, sia della numerosità e della rilevanza degli interessi coinvolti.
Varie discipline hanno offerto nel tempo il loro contributo (diritto
societario, diritto dell’impresa, diritto dei mercati finanziari, economia aziendale,
macroeconomia, finanza, ecc.), mettendo in risalto i diversi aspetti della tematica
in esame, non sempre però considerandoli a sistema. In tal modo, ogni scienza ha
voluto trattare gli aspetti di corporate governance a seconda del proprio campo
di azione: si passa così dall’analisi dell’efficienza dei mercati finanziari e
dell’allocazione delle risorse, alla considerazione del grado di protezione di
particolari categorie sociali dei soggetti coinvolti, alla capacità delle imprese di
creare valore per gli azionisti; finalità, talvolta, persino antinomiche fra loro.
Tutti gli studi sulla corporate governance sono fortemente influenzati dalle
caratteristiche peculiari dei relativi contesti ambientali di riferimento5, che
R.A.G. MONKS-N. MINOW, Corporate Governance, Wiley-Blackwell (4 ed.), London, 2008; T.
ONESTI-N.
ANGIOLA-M.
ROMANO-M.
TALIENTO,
Alcune
riflessioni
critiche
sull'armonizzazione dei modelli di governo societario, tra localismo e globalizzazione, in
AA.VV, Atti del XXV Convegno dell'Accademia Italiana di Economia Aziendale tenutosi a
Novara il 4 e 5 ottobre 2002 sul tema "Competizione globale e sviluppo locale tra etica e
innovazione", McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 2003; M. REBOA, Proprietà e controllo di
impresa. Aspetti di corporate governance, Giuffrè, Milano, 1999; A. SHLEIFER-R.W. VISHNY, A
Survey of Corporate Governance, in Journal of Finance, vol. 52, n. 2, 1997, pp. 737-783; L.
SPAVENTA, Struttura proprietaria e corporate governance. Ai confini tra diritto ed economia,
Università degli studi di Macerata, Laboratorio Fausto Vicarelli, 2002; O.E. WILLIAMSON,
Corporate Finance and Corporate Governance, in Journal of Finance, vol. 43, n. 3, 1988, pp.
567-591; A. ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governance, EGEA, Milano, 2006.
4
E’ questa, a nostro parere, la traduzione più «neutrale» possibile di corporate
governance, che si basa sulla definizione fornita nel 1992 nel c.d. «Cadbury Report», redatto dal
«Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance», costituito da esponenti
nominati dal Financial Reporting Council inglese, dal London Stock Exchange e da esponenti
della professione contabile inglese, e presenziato da Sir Adrian Cadbury. CADBURY REPORT,
Report of the committee on the financial aspects of corporate governance, Gee & co., London,
1992 (disponibile online http://www.ecgi.org/codes/documents/cadbury.pdf). Al riguardo, si
aggiunge che il Cadbury report contiene il primo codice in materia di corporate governance
basato sul principio del «comply or explain», che caratterizza tutti i più recenti codici di
autodisciplina.
5
Giova rimarcare che ogni paese è caratterizzato da particolari fattori ambientali che
influenzano in modo del tutto peculiare il comportamento degli individui e delle organizzazioni,
con particolare riguardo allo svolgimento delle attività economiche.
In particolare, possono distinguersi degli elementi differenziatori di primo livello, che si
caratterizzano per un impatto pervasivo sul “macroambiente” (quali la situazione geo-politico-
11
rappresentano un indubbio limite allo sviluppo di teorie e prassi valide per tutti i
paesi6.
Una sintesi ampiamente condivisa delle varie finalità assegnate alla
corporate governance viene fornita nelle premesse dei principi di governo
societario dell’OCSE7.
istituzionale, il sistema dei valori socio-culturali, il sistema economico, il tipo di ordinamento
giuridico) ed elementi differenziatori di secondo livello, il cui impatto è limitato ad uno o pochi
sub-sistemi che compongono il più ampio “macroambiente” (il tipo di imprese più diffuse, le
modalità di reperire i capitali di rischio, le modalità di concedere finanziamenti da parte del
sistema creditizio, il grado di ingerenza delle banche nella gestione delle imprese, l’influenza
della legislazione fiscale, la forza della professione contabile, altri fattori residuali). Cfr. T.
ONESTI, 'Fattori Ambientali' e comportamenti contabili. Analisi comparata dei sistemi contabili
di alcuni paesi industrializzati, Giappichelli, Torino, 1995, cap. VI.
6
Osserva l’Hofstede: «In the management literature there are numerous unquestioning
extrapolations of organizational solutions beyond the border of the country in which they were
developed. This is especially true for the exportation of management theories from the United
States to the rest of the world, for which the non-U.S. importers are at least as responsible as the
U.S. exporters. (…) However, the empirical basis for American management theories is
America organisations and we should not assume without proof that they apply elsewhere. (…)
As a matter of scientific etiquette, I suggest that any article written for an international public
should mention the country – and time period – in which the data were collected». G.
HOFSTEDE, Cultures Consequences : International Differences in Work-Related Values, Sage
Publications, London, 1984, p. 253. Dello stesso Autore, si veda anche il più recente lavoro:
ID., Culture's Consequences: Comparing Values, Behaviors, Institutions and Organizations
Across Nations, Sage Publications, London, 2003, in particolare le pp. 373-414.
Sulla fondamentale importanza dei fattori ambientali per lo studio del comportamento
degli individui e delle organizzazioni, con particolare riguardo agli assetti di corporate
governance , si vedano anche: L. DALEY-J. JIAMBALVO-G.L. SUNDEM-Y. KONDO, Attitudes
toward financial control systems in the United States and Japan, in Journal of International
Business Studies, vol. 16, n.3, 1985, pp. 91 e ss; G. HOFSTEDE, Business Goals and Corporate
Governance, in Asia Pacific Business Review, vol. 10, n.3/4, 2004, p. 292 e ss; T. PEDERSEN-S.
THOMSEN, European patterns of corporate ownership: a twelve-country study, in Journal of
International Business Studies, vol. 28, 1997, p. 759 e ss.
7
Nei principi di governo societario, che, com’è noto, rappresentano una primaria fonte di
riferimento per i legislatori e le autorità regolamentari dei paesi membri per la fissazione di
nuove norme in materia di governo societario, l’OCSE afferma che: «Il governo societario è uno
degli elementi fondamentali per migliorare l’efficienza economica e la crescita e per aumentare
la fiducia degli investitori. Il governo societario coinvolge un insieme di relazioni fra i dirigenti
di una società, il suo consiglio di amministrazione, i suoi azionisti e le altri parti interessate. Il
governo societario definisce la struttura attraverso cui vengono fissati gli obiettivi della società,
vengono determinati i mezzi per raggiungere tali obiettivi e vengono controllati i risultati. Un
12
Tra le molteplici tematiche di corporate governance, la disciplina delle
operazioni con parti correlate è oggetto di particolare attenzione. Infatti, diffusa è
la consapevolezza che esse possano rappresentare uno strumento per il
compimento di abusi a danno delle imprese stesse e delle diverse categorie di
stakeholder, perpetrati dai soggetti che si trovano ad occupare posizioni apicali o
che, comunque, siano detentori del potere decisionale all’interno delle
organizzazioni. Talvolta, come è scritto nella storia delle imprese, con esiti
drammatici8.
buon governo societario dovrebbe assicurare al consiglio di amministrazione e ai dirigenti
incentivi adeguati alla realizzazione di obiettivi in linea con gli interessi della società e dei suoi
azionisti e dovrebbe facilitare un efficace controllo. La presenza di un efficace sistema di
governo societario, per la singola impresa e per l’economia nel suo complesso, contribuisce ad
assicurare un adeguato livello di fiducia, necessario al buon funzionamento dell’economia di
mercato. Il risultato è di ridurre il costo del capitale e di incoraggiare le imprese a impiegare le
risorse in modo più efficiente, stimolando così la crescita». OCSE, Principi di governo
societario dell'OCSE, 2004, p. 10.
8
Tra i casi meno recenti, si menziona il caso del fallimento della statunitense Continental
Vending nel 1970, i cui amministratori e revisori contabili furono accusati penalmente per
l’omissione di informazioni inerenti la concessione di un prestito ad un amministratore per il
tramite di una società da questi controllata. Per approfondimenti, anche su altri casi dello stesso
periodo e avvenuti in altri paesi: S. CHONG-G. DEAN, Related Party Transactions: a
preliminary evaluation of SFAS 57 and IAS 24 using four case studies, in Abacus, vol. 21, n.1,
1985. Si noti che il caso della Continental Vending deve ritenersi particolarmente significativo,
perché, insieme ad altri casi simili, è stato uno dei principali motivi per l’emanazione nel 1975
dello Statement of Auditing Standard n. 6 Related pary transactions da parte dell’American
Institute of Certified Public Acccountants, al quale hanno fatto seguito i principi contabili FAS
57 e IAS 24, emanati rispettivamente dal FASB nel 1982 e dallo IASC nel 1984.
Si può citare, inoltre, con riferimento al Regno Unito, il noto caso della Polly Peck
(1990), il cui CEO, al fine di sostenere artificialmente il corso del titolo in una delicata fase di
tensione finanziaria, aveva acquistato ripetutamente sul mercato le azioni della stessa società
attraverso altre imprese di famiglia, alle quali la stessa Polly Peck forniva la liquidità necessaria.
Tra i casi più recenti, possono menzionarsi, negli Stati Uniti:
- il caso Enron (2001), certamente il caso più complesso e interessante, per il quale si
rinvia a: C.R. BAKER-R. HAYES, Reflecting form over substance: the case of Enron Corp, in
Critical Perspectives on Accounting, vol. 15, n. 6/7, 2004, pp. 767-785; P.M. HEALY-K.G.
PALEPU, The Fall of Enron, in Journal of Economic Perspectives, vol. 17, n. 2, 2003, p. 3 e ss.
- il caso dell’ Adelphia Communications (2002), in cui i fondatori dirottavano la liquidità
generata dalla gestione nelle altre aziende di famiglia; per un approfondimento, si veda L.R.
JOHNSON-H.R. RUDOLPH, The lessons of Adelphia's cash fraud, in Journal of Corporate
Accounting & Finance (Wiley), vol. 19, n. 1, 2007, p. 19 e ss.
13
Nel complessivo sistema delle operazioni aziendali, le c.d. «operazioni con
parti correlate» si caratterizzano per la presenza di relazioni significative tra i
soggetti che detengono il potere di orientare le decisioni aziendali e le persone o
gli enti con i quali le operazioni vengono poste in essere.
In primissima approssimazione, costituiscono esempi di operazioni con parti
correlate quelle concluse tra l’azienda e il proprio amministratore delegato, tra
l’azienda e il suo principale o unico azionista, tra l’azienda e una qualsiasi
impresa del gruppo cui essa appartiene9.
In buona sostanza, la particolarità che caratterizza le operazioni con parti
correlate è che si riduce (o si annulla) la contrapposizione d’interessi tipica delle
normali transazioni di mercato e può risultarne influenzata, almeno
potenzialmente:
i) la decisione stessa di concludere la transazione;
ii) la definizione delle condizioni dell’operazione.
In altre parole, i soggetti che detengono il potere decisionale nell’azienda
possono concludere con una c.d. «parte correlata» delle operazioni che non
avrebbero concluso con una controparte non correlata, ovvero potrebbero
stabilire delle condizioni economiche (corrispettivi, tempi dell’operazione,
eventuali garanzie prestate o ricevute, …) non in linea con quelle che verrebbero
- il caso Tyco (2002), in cui, tra l’altro, il Presidente e l’Amministratore Delegato si erano
sostanzialmente autoassegnati un compenso straordinario di 150 milioni di dollari;
- il caso WorldCom (2002), il cui Presidente e fondatore era riuscito ad ottenere dal
Consiglio di Amministrazione un prestito personale di 400 milioni di dollari.
Per una sintesi dei maggiori scandali finanziari negli Stati Uniti, si rinvia a G. GIROUX,
What Went Wrong? Accounting Fraud and Lessons from the Recent Scandals, in Social
Research, vol. 75, n. 4, 2008, p. 1205 e ss.
Infine, in Italia, sono degni di menzione i casi Cirio (2002) e Parmalat (2003). Soprattutto
nel secondo caso, va segnalato il vasto utilizzo di operazioni compiute con società correlate e
non incluse nel bilancio consolidato. Per approfondimenti: G. CAPOLINO-F. MASSARO-P.
PANERAI, Parmalat. La grande truffa, Milano Finanza, Milano, 2004.
Si rinvia anche a: G. FIORI-R. TISCINI (a cura di), Corporate governance,
regolamentazione contabile e trasparenza dell'informativa aziendale, Franco Angeli, Milano,
2005, pp. 67-99.
Si vedano infine, i casi di appropriazione delle risorse aziendali da parte dell’azionista di
controllo (cc.dd. tunneling transactions) riportati in S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE
SILANES-A. SHLEIFER, Tunneling, in American Economic Review, vol.90, n.2, 2000.
9
Per l’approfondimento della corrente definizione di «parte correlata» si rinvia al secondo
capitolo.
14
praticate in una medesima transazione con una parte non correlata, favorendo,
invece, l’una o l’altra parte10. Si tratta a tutta evidenza di operazioni
potenzialmente pericolose in quanto gli interessi in gioco, talvolta, possono
trovarsi in posizione conflittuale con gli interessi dell’impresa.
Come meglio si chiarirà più avanti, il rischio fondamentale sotteso alle
operazioni con parti correlate è che esse possano costituire uno strumento
efficace e poco controllabile per la sottrazione di risorse all’economia
dell’azienda e per il loro trasferimento ad altre economie, nell’interesse personale
degli individui dotati del potere decisionale (cc.dd. tunneling transactions)11.
10
Nel definire lo scopo dello IAS 24, che nel sistema dei principi contabili IAS/IFRS
disciplina specificamente l’informativa in bilancio sulle parti correlate e sul quale, come si
vedrà, si fonda anche la definizione normativa di «parte correlata», lo IASB osserva che « 5. I
rapporti fra parti correlate sono aspetti ordinari delle attività commerciali e gestionali. Ad
esempio, le entità spesso svolgono una parte delle proprie attività avvalendosi di società
controllate, joint venture e società collegate. In tali circostanze, la capacità di influire sulle
politiche finanziarie e gestionali della partecipata viene esercitata attraverso il controllo, il
controllo congiunto o l’influenza notevole.
6. Un rapporto con una parte correlata può avere un effetto sulla situazione patrimonialefinanziaria e sul risultato economico dell’entità. Le parti correlate possono effettuare operazioni
che società indipendenti non effettuerebbero. Per esempio, un’entità che vende merci alla sua
controllante al costo potrebbe non vendere alle stesse condizioni ad altri clienti. Inoltre,
operazioni tra parti correlate possono non essere effettuate ai medesimi corrispettivi rispetto a
quelle intercorrenti tra parti indipendenti.
7. Il risultato economico e la situazione patrimoniale-finanziaria di un’entità possono
essere influenzati da rapporti con parti correlate anche nel caso in cui non si verifichino
operazioni con le stesse. La semplice esistenza del rapporto può essere sufficiente a
condizionare le operazioni dell’entità con parti terze. Per esempio, una controllata può
interrompere i propri rapporti con una controparte commerciale a partire dal momento
dell’acquisizione da parte della capogruppo di un’altra controllata che svolge la stessa attività
della precedente controparte. In alternativa, una parte può astenersi dal compiere determinate
operazioni a causa dell’influenza notevole di un’altra; per esempio, una controllata può essere
istruita dalla sua controllante a non impegnarsi in attività di ricerca e sviluppo». IASB, IAS 24 Related Party Disclosures, 2003, parr. 5-7.
11
Secondo una tassonomia diffusa nella letteratura internazionale, le operazioni con parti
correlate possono essere lo strumento:
- per sottrarre risorse all’azienda (c.d. tunneling transactions);
- in senso opposto, per apportare risorse nell’azienda (c.d. propping up transactions);
- per modificare artatamente i risultati economici (c.d. earnings management).
Sull’argomento sono stati svolti numerosi studi empirici, soprattutto relativamente ai
mercati asiatici nei quali la proprietà azionaria è molto concentrata. Tra gli studi più recenti , si
15
Inoltre, le operazioni con parti correlate possono costituire anche un efficace
strumento di alterazione dell’informativa contabile12 (c.d. earnings
management13) e rappresentano una delle principali aree di rischio sulla quale si
concentra l’attenzione dei revisori contabili14.
vedano: S.Y. CHEUNG-L. JING-T. LU-R. RAU-A. STOURAITIS, Tunneling and Propping Up: An
Analysis of Related Party Transactions by Chinese Listed Companies, in Pacific-Basin Finance
Journal, 2008; E.A. GORDON-E. HENRY, Related Party Transactions and Earnings
Management, in SSRN eLibrary, 2005. Per approfondimenti sulle tunneling transaction nei vari
contesti-paese, si veda: S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE SILANES-A. SHLEIFER,
Tunneling, in American Economic Review, vol.20, n.2, 2000.
Si osservi, inoltre, che, a tali finalità possono ricondursi anche le operazioni di scambio
compiute nell’ambito di gruppi multinazionali e finalizzate ad ottimizzare il livello di
imposizione fiscale, mediante il trasferimento dei redditi fiscali nei paesi a più ridotta
tassazione.
12
Si pensi, a titolo di mero esempio, alla ben maggiore facilità con cui possono essere
poste in essere, tra parti correlate, le c.d. round-trip transactions, cioè quelle operazioni di
vendita e acquisto dei medesimi beni e finalizzate esclusivamente ad incrementare il valore dei
ricavi iscritti in bilancio.
13
Sull’argomento, si rinvia a: P.M. HEALY-J.M. WAHLEN, A review of the earnings
management literature and its implications for standard setting, in Accounting Horizons, vol.
13, n. 4, pp. 365-383. Gli Autori forniscono la seguente definizione: «Earnings management
occurs when managers use judgment in financial reporting and in structuring transactions to
alter financial reports to either mislead some stakeholders about the underlying economic
performance of the company or to infiuence contractual outcomes that depend on reported
accounting numbers», p.368.
14
«An undisclosed related party is a powerful tool in the hands of an unscrupulous
person. Related parties, such as controlled entities, principal stockholders or management can
execute transactions that improperly inflate earnings by masking their economic substance or
distort reported results through lack of disclosure, or can even defraud the company by
transferring funds to conduit related parties and ultimately to the perpetrators. Related parties
and related party transactions are difficult to audit for several reasons. First, transactions with
related parties are not always easily identifiable. For example, a series of sales in the normal
course of business, individually insignificant, could be executed with an undisclosed related
party that in total could be material. Second, although other procedures are ordinarily
performed, the auditor relies primarily upon management and principal owners to identify all
related parties and related party transactions. Third, such transactions may not be easily tracked
by a company's internal control». AMERICAN INSTITUTE OF CERTIFIED PUBLIC ACCOUNTANTS,
Accounting and Auditing for Related Parties and Related Party Transactions. A Toolkit for
Accountants and Auditors, 2001, p. 5. Sempre nella prospettiva della società di revisione, si
veda anche: K.M. JOHNSTONE-J.C. BEDARD, Audit Firm Portfolio Management Decisions, in
16
Tuttavia, deve anche osservarsi che l’effettuazione di operazioni con parti
correlate, anziché con parti terze, non necessariamente implica il compimento di
abusi, ma potrebbe anzi contribuire significativamente a ridurre i rischi e i costi
dell’operazione, generando vantaggi per l’impresa e per tutti gli stakeholder. Si
pensi, ad esempio, al fenomeno dei gruppi aziendali, nei quali è intuitiva la
convenienza per le singole imprese del gruppo di usufruire stabilmente, per
quanto possibile, dei beni e dei servizi prodotti all’interno del gruppo stesso,
piuttosto che intraprendere dei rapporti con controparti non conosciute.
Peraltro, il semplice fatto che un’operazione coinvolga parti correlate non
necessariamente implica che essa sia conclusa a condizioni diverse da quelle che
sarebbero concluse tra parti non correlate15, come, di converso, anche
un’operazioni compiuta con parti non correlate, laddove i soggetti che agiscono
siano animati da intenti fraudolenti, potrebbe raggiungere i medesimi risultati di
un’operazione compiuta con parti correlate, seppure in modo certamente meno
agevole16.
Journal of Accounting Research, vol.42, n.4, 2004, in particolare, p.671, in cui le Autrici
includono le operazioni con parti correlate tra gli indicatori di rischio.
In Italia, secondo il principio di revisione n. 550: «in presenza di operazioni con parti
correlate esistono limitazioni che possono influenzare la capacità persuasiva degli elementi
probativi disponibili per trarre le conclusioni su specifiche asserzioni di bilancio. Il revisore
deve attentamente valutare l'adeguatezza di tali elementi posto che, in presenza di operazioni
con parti correlate, essi si fondano in generale su documentazione e affermazioni che, per loro
natura, hanno meno efficacia probatoria di quelle ottenute da terzi». COMMISSIONE
PARITETICA PER LA STATUIZIONE DEI PRINCIPI DI REVISIONE, Documento n. 550. Le parti
correlate, 2002.
Sugli aspetti teorici del falso in bilancio, si rinvia a: F. SUPERTI FURGA, Il falso in
bilancio nella prospettiva economico-aziendale, in Giurisprudenza commerciale, 1996, pp.
217-230., 1996,
15
Osservava il Paton, fondatore dell’American Accounting Association, nel 1947: «Here
is clear recognition of the fact that the terms of transaction between affiliates may ‘at times’ not
be on commercial basis and hence may deserve special scrutiny. But here is also clear
recognition of the fact that affiliates may deal at ‘arm’s length’ and that fair value at date of
transfer is the basic measure to be applied in testing validity». W.A. PATON, Transactions
between affiliates, in Accounting Review, vol. 20, n. 3, 1947.
16
Si pensi, a titolo di mero esempio, ad una società “A” che venda al prezzo di 1.000 beni
del valore di 2.000 ad una società “B” non correlata (ma compiacente), la quale poi rivenda per
1.100 (incassando una fee) gli stessi beni ad una società “C” di proprietà dell’Amministratore
Delegato e azionista di riferimento di “A”. L’operazione, pur in assenza di vere e proprie
17
Di conseguenza, i legislatori e le autorità di regolamentazione dei vari paesi
hanno avvertito la pressante necessità di contemperare due esigenze: da un lato,
consentire il compimento di quelle operazioni che, seppure effettuate tra parti
correlate, risultano economicamente vantaggiose per le parti coinvolte e,
dall’altro lato, contrastare l’utilizzo di tali operazioni come strumento di abuso.
In tale ottica, sono state seguite due fondamentali direttrici d’intervento:
- subordinare il compimento delle operazioni con parti correlate al rispetto
di particolari regole che, nella fase decisoria, garantiscano la razionalità e la
piena tracciabilità delle decisioni assunte e che, nella fase di controllo,
consentano un’adeguata attività di monitoraggio da parte degli organi del sistema
di controllo interno;
- stabilire specifici obblighi di trasparenza e di informativa esterna, sia di
carattere ordinario/periodico (da fornirsi nelle relazioni finanziarie), sia di
carattere speciale (subordinati al compimento di particolari operazioni)17.
operazioni di “A” con parti correlate, condurrebbe comunque al trasferimento di risorse
economiche da “A” a “C”.
17
La Consob, nel recente documento di consultazione teso all’emanazione di una nuova e
più evoluta disciplina delle operazioni con parti correlate, individua tre finalità dei possibili
strumenti di regolazione, che possono essere ricondotte alle due direttrici indicate nel testo (nel
quale si considerano congiuntamente la prima e la terza finalità): «una prima finalità è quella di
assicurare un controllo di correttezza sulle singole transazioni realizzate, vuoi di tipo preventivo,
attraverso l’adozione di specifiche procedure che le società devono adottare nelle varie fasi di
definizione e di approvazione delle operazioni, vuoi di tipo successivo, attraverso meccanismi di
ratifica da parte di determinati organi sociali (generalmente l’assemblea) o attraverso il vaglio
da parte di un’autorità pubblica (tipicamente di un giudice);
- una seconda finalità è quella di favorire il controllo esterno del mercato sulle operazioni
con parti correlate prevedendo specifici obblighi di trasparenza informativa più penetranti di
quelli stabiliti per le altre categorie di operazioni. Questo approccio (cosiddetto market
enhancing approach) punta a depotenziare le asimmetrie informative che caratterizzano le
operazioni in cui la controparte delle società è strutturalmente in una posizione di privilegio
informativo rispetto al mercato;
- una terza finalità è quella di rafforzare i meccanismi di controllo interni alla società nella
funzione di prevenire strutturalmente i rischi di fenomeni espropriativi. Tale approccio punta a
rafforzare gli incentivi necessari perché i soggetti coinvolti nelle funzioni di controllo interno
effettuino un’adeguata attività di monitoring sulla gestione della società al fine di garantire gli
interessi degli azionisti in particolare nelle operazioni a più elevato rischio di conflitto di
interesse, con un ruolo suppletivo e integrativo rispetto ai controlli pubblici e del mercato».
CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia
di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, pp. 16-17.
18
Il presente lavoro si concentra sulla prima delle due direttrici, partendo dal
presupposto che l’obiettivo primario in materia di operazioni con parti correlate –
a nostro sommesso avviso – sia garantire che il processo decisionale che conduce
al loro compimento sia assistito da adeguati presidi che ne garantiscano
l’allineamento agli interessi oggettivi dell’impresa, i quali trovano la propria
sintesi nel mantenimento e nel miglioramento delle condizioni di equilibrio
aziendale e nello sviluppo duraturo dell’impresa stessa. In tale ottica, gli obblighi
di trasparenza informativa possono essere considerati un presidio di secondo
livello, in quanto si collocano inevitabilmente in una prospettiva temporale
successiva al compimento delle operazioni, nonostante possano porre potenti
remore all’effettuazione di operazioni scorrette18.
Prima di trattare, nei prossimi capitoli, gli aspetti essenziali della complessa
normativa in materia di operazioni con parti correlate e le problematiche relative
alla sua applicazione ai processi decisionali delle grandi imprese, il presente
capitolo fornisce un inquadramento concettuale sulle operazioni con parti
correlate.
Nel secondo paragrafo, si rimarcano i principali elementi di complessità che
devono essere tenuti in considerazione nell’esaminare le problematiche relative
la processo decisionale nelle operazioni con parti correlate. Dopo un breve
riepilogo delle fondamentali caratteristiche della dinamica e complessa economia
delle aziende e la complessità dei processi decisionali sui quali si basa la
condotta aziendale, si analizzano i conflitti e gli equilibri dei diversi interessi che
influenzano le decisioni aziendali, che possono condurre a decisioni conformi o
non conformi all’equilibrio aziendale e al correlato criterio dell’economicità
aziendale, indipendentemente dal fatto che esse implichino o meno operazioni
con parti correlate.
Nel terzo paragrafo, si chiarisce la collocazione delle operazioni con parti
correlate nell’ambito di due delle principali aree di interesse della corporate
governance: la relazione tra gli azionisti-proprietari e gli amministratoriprofessionisti e il rapporto tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e del c.d.
«capitale controllato».
18
Sull’indissolubile correlazione tra la correttezza gestionale e la trasparenza informativa,
che costituiscono veri e propri «valori aziendali» di rilevanza strategica, si veda: V. CODA,
Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto, in AA.VV.,
Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam, Padova, 1997, vol. I,
pp. 322-323.
19
1.2.
Le operazioni con parti correlate: elementi di complessità
1.2.1. Il sistema aziendale nella sua unitaria, complessa e dinamica
economia e le decisioni che ne determinano il comportamento.
Le complesse dinamiche di corporate governance connesse alle operazioni
con parti correlate non possono essere trattate senza rimarcare che, utilizzando le
parole dell’Onida, «vana sarebbe la pretesa di studiare le operazioni di gestione
nel loro significato economico, dimenticando o ignorando l’azienda, nella sua
complessa e dinamica economia» 19.
In tale ottica, si ritiene che l’azienda costituisca la prospettiva di
osservazione privilegiata per l’osservazione del fenomeno delle operazioni con
parti correlate20 e che solo dopo averne rimarcato la centralità, può essere
possibile recepire – in modo critico – i contributi sull’argomento degli studiosi di
altre discipline o che appartengono a una diversa matrice culturale.
19
Osserva l’Onida: «Anche nel solo aspetto economico, ogni operazione acquista il suo
pieno significato unicamente nel sistema di gestione che la esprime, nel contesto economico che
la regge. Ogni operazione, invero, riflette in se stessa, più o meno vivamente, l’unità e l’unicità
dell’azienda nella quale ha vita. In un certo senso, si potrebbe dire, con immagine forse non
eccessivamente ardita, che in ogni operazione dell’azienda è tutta l’azienda, come in ogni atto
dell’uomo è tutto l’uomo. Vana sarebbe quindi la pretesa di studiare le operazioni di gestione
nel loro significato economico, dimenticando o ignorando l’azienda, nella sua complessa e
dinamica economia». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5. Si vedano
anche le pp. 251-258 e 304-308. Secondo il Giannessi, «l’azienda è anche un sistema operativo
nel senso che le operazioni da cui essa è composta non sono slegate, non hanno cioè vita
autonoma, ma sono avvinte da una serie di nessi e connessi, di rapporti di causa ad effetto, di
concausa e di effetto molteplice di cui non è possibile effettuare una consapevole
discriminazione». E. GIANNESSI, Considerazioni critiche intorno al concetto di azienda, in
AA.VV., Scritti in onore di Giordano Dell'Amore. Saggi di discipline aziendali e sociali, vol. I,
Giuffrè, Milano, 1969, p. 520. Si veda anche A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e
nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, pp. 189-191.
20
In tal senso, al fine di sottolineare anche sotto il mero profilo terminologico la centralità
dell’azienda nelle operazioni con parti correlate, si è ritenuto opportuno tradurre l’espressione
anglosassone “related party transactions” utilizzando la preposizione “con”, piuttosto che la
preposizione “fra”, così da rimarcare che si tratta di “operazioni (dell’azienda) con parti
correlate”.
20
L’azienda è un «istituto economico atto a perdurare che, per il
soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione, la
produzione o il procacciamento o il consumo della ricchezza»21.
Tale definizione chiarisce i caratteri distintivi dell’azienda:
- essa è un “istituto”, in quanto si atteggia come combinazione, all’interno
di un unitario processo economico, di tre elementi fondamentali, tra loro
coordinati e complementari: la componente reale, quella personale e quella
organizzativa22;
21
G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1957, Tomo I,
p.37. Secondo l’Onida, l’azienda è «un complesso economico che, sotto il nome di un soggetto
giuridico ed il controllo di un soggetto economico, ha vita in un sistema continuamente
rinnovantesi e mutevole di operazioni attuabili mercé una duratura, sebbene non rigida,
organizzazione di lavoro, per la soddisfazione dei bisogni umani, in quanto questa richieda
produzione o acquisizione e consumo di beni economici». P. ONIDA, L’azienda. Primi principi
di gestione e di organizzazione, Giuffré, Milano, 1954, p.11. Il Giannessi definisce l’azienda
quale «unità elementare dell’ordine economico-generale, dotata di vita propria e riflessa,
costituita da un sistema di operazioni promanante dalla combinazione di particolari fattori e
dalla combinazione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della
distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato
equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata ai
fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per
conto del quale l’attività si svolge». E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale con
particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979, pp.10-11. Osserva l’Amaduzzi:
«Dare una definizione sintetica dell’azienda, che nei suoi termini richiami tutti i suoi aspetti di
contenuto, di soggetti che vi operano, di confini nell’ambito del mondo economico, di
svolgimento evolutivo nel tempo, di aprioritismo indeterministico dei suoi piani, ecc., non è
forse possibile. Perciò è opportuno tenere presente che il concetto di azienda, di primissimo
ordine perché segna il campo, i confini, le parentele del nostro compito scientifico, può essere
acquisito a poco a poco, mano mano che ci s’inoltra nello studio». A. AMADUZZI, L'azienda nel
suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978
22
Secondo l’Onida: «l’azienda, contemplata sia nella gestione che nell’organizzazione, si
presenta come mobile complesso o come sistema dinamico nel quale si realizzano in sintesi
vitale l’unità nella molteplicità, la permanenza nella mutabilità. L’unità nella molteplicità si
rivela quando l’azienda, nel sistema delle svariatissime operazioni d’esercizio,
nell’organizzazione del lavoro, nella riunione di tutti i fattori cooperanti a comuni fini,
costituisce o tende a costituire un complesso esteso nello spazio e nel tempo e nel quale
elementi molteplici operano avvinti da relazioni di complementarità, di connessione,
d’interdipendenza (…) La sintesi di permanenza e di mutabilità, si realizza nell’azienda
similmente quasi a quanto accade negli organismi viventi che perdurano nonostante l’assiduo
mutare di ogni elemento costitutivo: col trascorrere del tempo tutto si rinnova o può rinnovarsi
nella azienda; cose e persone possono mutare: ma la vita di relazione fra gli elementi del
21
- ha carattere “economico”, in quanto nell’azienda si prendono decisioni che
consentono di adattare i mezzi scarsi a disposizione ai molteplici fini da
raggiungere23;
- è un istituto “duraturo”, in quanto l’azienda è destinata a vivere a lungo e a
sopravvivere al di là della vita fisica delle persone e dei beni che la
compongono24: le decisioni, pertanto, devono essere orientate al lungo o al
lunghissimo periodo25;
complesso e fra il complesso e il mondo esterno continua, finché l’azienda non si liquidi e il
complesso non si dissolva.». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, pp.4-5.
23
Si può attribuire allo studioso britannico Lionel Robbins la prima rigorosa definizione
dei concetti di attività economica e di scienza economica, cui egli perviene nel 1932 al termine
di una rigorosa opera di sistematizzazione degli studi svolti sull’argomento. In particolare, lo
Studioso sostiene che sono necessarie e sufficienti quattro condizioni affinché la condotta
umana possa essere suscettibile di considerazione economica. Più precisamente, esiste aspetto
economico nell’attività umana quando: 1) i fini/scopi da realizzare sono molteplici; 2) tali
fini/scopi hanno differente rilevanza e sono classificabili in ordine di importanza; 3) i mezzi a
disposizione sono scarsi rispetto ai bisogni da soddisfare; 4) i mezzi dono suscettibili di usi
alternativi, nel senso che possono essere impiegati per soddisfare bisogni differenti. Così
qualificato il concetto di attività economica, il Robbins definisce l’economia la scienza che
studia il comportamento umano come relazione tra finalità e mezzi scarsi: «Economics is the
science which studies human behaviour as a relationship between ends and scarce means which
have alternative uses», L.C. ROBBINS, Essay on the Nature and Significance of Economic
Science, Macmillan and co. , London, 1932 (disponibile online sul sito del Ludwig von Mises
Institute: www.mises.org), p.15.
24
«L’azienda, nella sua vita, trascende i singoli momenti del suo operare e le sue singole
molteplici manifestazioni, tutto unificando – nonostante la variabilità e la mutabilità degli
elementi - in un principio vitale che sempre esige dai singoli momenti e dalle singole
manifestazioni, la conservazione e il potenziamento dell’azienda, contro la frattura e
l’indebolimento». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p.5. L’Amaduzzi
sottolinea che la destinazione a durare dell’azienda è da ritenersi come un «concetto di
tendenza», precisando che «non deve escludersi la fase economica della liquidazione o
cessazione dell’istituto». A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue
rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, p. 26.
25
Per tutti: V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988. In
particolare, osserva il Coda: «Un orientamento strategico di lungo periodo assume come valore
centrale lo sviluppo dell’impresa; ma questo non può ottenersi senza un profitto dalle solide
basi, che scaturisce da una superiore capacità di competere sul mercato e di attrarre risorse e che
è prioritariamente destinato ad alimentare tale capacità e lo sviluppo che ne consegue. La
produzione di un profitto così concepito, a sua volta, presuppone lo svolgersi di un progetto
d’impresa di vasto respiro a tal fine reindirizzato, che sia l’espressione:
22
- è finalizzata al soddisfacimento, diretto o indiretto, di bisogni umani26.
Seguendo un approccio di tipo «sistemico»27, capace di tener conto sia delle
relazioni di complementarità, di connessione e d’interdipendenza tra i molteplici
- di una continua ricerca di consonanza fondata sui principi di servizio del cliente e di
rispetto e valorizzazione delle risorse;
- di una costante salvaguardia dell’autonomia aziendale e dell’economicità della gestione;
- di un apprendimento diffuso finalizzato ad una eccellenza di prestazioni, individuali e
aziendali;
- di un bisogno di trasparenza, quale si conviene ad un progetto che, per ottimizzare
l’efficacia realizzativa, esige dagli interlocutori interessati un’adesione convinta e matura».
Ibidem, p. 262.
26
Osserva il Caramiello: «nell’aspetto della produzione si parla di soddisfacimento
indiretto dei bisogni: poiché in questa fase vengono approntati i beni che poi serviranno al
soddisfacimento dei bisogni stessi. Nell’aspetto del consumo si parla di soddisfacimento diretto
dei bisogni: poiché in questa fase i beni vengono destinati al soddisfacimento dei bisogni stessi
(…) Possiamo dire che l’azienda è l’unità operativa mediante la quale i gruppi umani attuano la
produzione dei beni, al fine del soddisfacimento dei bisogni». C. CARAMIELLO, L'azienda,
alcune brevi riflessioni introduttive, Giuffrè, Milano, 1993, p. 20-21.
27
Tra i più importanti contributi che hanno concorso a sviluppare in Italia gli studi
sull’azienda secondo l’approccio «sistemico», si vedano: A. AMADUZZI, Il sistema aziendale ed
i suoi sottosistemi, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n.1, 1972; ID.,
L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET,
Torino, 1978; ANT. AMADUZZI, L'analisi dei sistemi nello studio dell'equilibrio aziendale, in
AA.VV., Studi di ragioneria, organizzazione e tecnica economica. Scritti in memoria di Alberto
Riparbelli, Cursi, Pisa, 1975; U. BERTINI, Caratteristiche sistematiche dell'azienda moderna, in
Banca Toscana. Studi e informazioni., 8-9, anno III, 1980; ID., Il sistema d'azienda. Schema di
analisi, Giappichelli, Torino, 1990; C. CARAMIELLO, L'azienda, alcune brevi riflessioni
introduttive, Giuffrè, Milano, 1993; P.E. CASSANDRO, Le aziende. Principi di ragioneria,
Cacucci, Bari, 1979; V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988; G.
FERRERO, Impresa e management, Giuffrè, Milano, 1987; F. FONTANA, Il sistema organizzativo
aziendale, Franco Angeli, Milano, 1981; E. GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria,
Cursi, Pisa, 1960; G.M. GOLINELLI, L'approccio sistemico al governo dell'impresa, Cedam,
Padova, 2000; C. MASINI, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979; P. ONIDA, Economia
d'azienda, UTET, Torino, 1971; O. PAGANELLI, Il sistema aziendale, Clueb, Bologna, 1976; P.
SARACENO, La produzione industriale, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, nona edizione,
1978; S. SARCONE, L'azienda. Caratteri d'Istituto, Soggetti, Economicità, Giuffrè, Milano,
1997; S. SCIARELLI, Il sistema d'impresa. Strategie, politiche e tecniche di gestione dell'impresa
industriale, Cedam, Padova, 1991; F. SUPERTI FURGA, Osservazioni sulla logica operativa dei
sistemi aziendali integrati, Giuffré, Milano, 1971; G. ZANDA, La grande impresa.
23
elementi che compongono l’azienda28, sia dei rapporti che il complesso aziendale
intrattiene con l’ambiente circostante29, l’azienda si definisce un sistema «aperto,
finalizzato, eccessivamente complesso, probabilistico, dotato di particolari forme
di regolazione e capace di influenzare l’ambiente»30.
Solo concependo l’azienda come sistema, si riesce a ben capire e ad
individuare quelle variabili che ne determinano il funzionamento.
L’azienda è un sistema «aperto», in quanto scambia informazioni, materiali
ed energia con l’ambiente che la circonda; essa non si limita a subirne
passivamente le forze, ma essa è anche «capace di influenzarlo», seppure con
intensità diversa a seconda della sua dimensione e delle peculiarità dei mercati in
cui esplica le proprie operazioni gestionali31.
Nell’approcciare allo studio dell’azienda, inoltre, occorre considerarne il
carattere di «eccessiva complessità», che discende dall’elevato numero di
Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974; G. ZAPPA, Le produzioni
nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1957.
In proposito, va ricordato che il primo studio organico e completo sulla teoria dei sistemi
si deve al Von Bertalanffy, il quale individua nel «sistema», definito come «una combinazione
di parti riunite in un tutto», l’elemento unificante dell’analisi scientifica e il perno del nuovo
approccio metodologico. Per la formulazione completa della teoria dei sistemi: L. VON
BERTALANFFY, General System Theory. Foundations, Development, Applications, Braziller,
New York, 1968 (trad. it. Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, ILI,
Milano, 1971).
28
Si veda la precedente nota 19 a p. 20.
29
Sul sistema delle relazioni azienda-ambiente, si vedano: U. BERTINI, Il sistema
d'azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990, p. 81 e ss; V. CODA, L'orientamento
strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988, p. 11 e ss; G. FERRERO, Impresa e management,
Giuffrè, Milano, 1987, cap. IV; S. SCIARELLI, Il sistema d'impresa. Strategie, politiche e
tecniche di gestione dell'impresa industriale, Cedam, Padova, 1991, cap.1. Sull’evoluzione, in
chiave strategica, del concetto di confine tra l’azienda e l’ambiente esterno, si veda: S.
GARZELLA, I confini dell'azienda. Un approccio strategico, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 3-46.
30
G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento, Giuffrè,
Milano, 1974, p.222. Per il prosieguo, cfr. pp. 222-232.
31
Sulle scelte aziendali in relazione all’ambiente esterno, osserva il Coda che «possono
essere informate a logiche di adattamento ai mutamenti ambientali in atto oppure a logiche
imprenditoriali così innovative che, mentre imprimono un nuovo corso alla vita aziendale,
contribuiscono alla creazione di un ambiente per certi aspetti ‘nuovo’». V. CODA,
L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988, p. 12.
Si veda anche: N. ANGIOLA, Alcune riflessioni sull'impresa come sistema aperto alla luce
del recente dibattito sulla corporate governance, in Rivista Italiana di Ragioneria e di
Economia Aziendale, n. 1 e 2, 2001.
24
elementi di cui essa si compone, le cui relazioni dinamiche appaiono
estremamente complicate, non facilmente e completamente determinabili e non
sufficientemente descrivibili. Le interazioni tra gli elementi del sistema, inoltre,
non sono stabili e non si manifestano sempre e invariabilmente allo stesso modo,
per cui il comportamento dell’azienda non può essere determinato o previsto in
modo esatto e inequivocabile, ma solo su base «probabilistica».
L’azienda è inoltre un sistema «finalizzato», dal momento che essa è creata
e mantenuta in vita dall’uomo per la realizzazione di particolari obiettivi e i suoi
elementi costitutivi e i suoi processi necessitano di essere impostati, organizzati,
attuati e regolati in senso teleologico. In particolare, l’operare di «processi
regolativi» rende possibile il conseguimento delle finalità dell’azienda,
consentendole sia di far tendere i particolari comportamenti dei suoi elementi
interni agli obiettivi verso i quali è orientata, sia di adattarsi ai fenomeni che si
dispiegano nell’ambiente esterno.
Alla base di ogni comportamento del sistema aziendale, vi è una decisione.
Il processo decisorio orienta, infatti, l'azione e quest’ultima richiede il controllo,
che ha lo scopo di verificare se l’azione è conforme alla decisione. Le decisioni
aziendali sono alimentate dalle informazioni disponibili, che riguardano sia
l’ambiente interno, sia l’ambiente esterno all’azienda32.
Secondo il Dewey, il processo decisionale si articola in diverse fasi, che
possono essere cosi schematizzate33:
1) individuazione del problema;
2) definizione del problema, con la raccolta di informazioni, sia all’interno
che all’esterno del sistema aziendale, per capire quali siano le cause e i
lineamenti del problema, con particolare attenzione agli eventuali vincoli e agli
32
Cfr., anche per il prosieguo, G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa,
Roma, 2004, cap. I. Per un approfondimento sulla logica e sugli sviluppi del processo decisorio,
si rinvia a: L. CASELLI, Teoria dell'organizzazione e processi decisionali nell'impresa,
Giappichelli, Torino, 1966; P. MELLA, I sistemi di controllo. Dal systems thinking alla
disciplina del controllo, Franco Angeli, Milano, 1999; S. SCIARELLI, Il processo decisorio
nell'impresa, Cedam, Padova, 1967.
33
Cfr. J. DEWEY, How we think, D.C. Heath and co., Boston, 1936 (disponibile online sul
sito www.archive.org) (trad. it. Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze, 1961); ID., Logic, the
Theory of Inquiry, Henry Holt and company, New York, 1938 (disponibile online sul sito
www.archive.org).
25
obiettivi; si noti che, com’è ovvio, non si può parlare di decisione se non esistono
alternative ad un unico comportamento obbligato;
3) sviluppo delle soluzioni alternative che siano reputate praticabili, cioè
idonee a risolvere i1 problema;
4) individuazione degli scenari associabili a ciascuna alternativa praticabile.
In relazione ad ogni soluzione alternativa si tenta di determinare le presumibili
conseguenze;
5) scelta dell'alternativa più conveniente in base ad un prefissato sistema di
criteri.
Per lo studio del processo decisionale vengono utilizzati due modelli
fondamentali:
- il modello della «razionalità obiettiva», che, come si dirà, risulta del tutto
inadatto allo studio del comportamento aziendale;
- il modello della «razionalità limitata», le cui fondamenta teoriche si
rinvengono negli studi del Simon (insignito del premio Nobel per l’Economia nel
1978), cui fa capo quella che viene meglio conosciuta come la “Teoria del
comportamento amministrativo”34.
Nel modello della razionalità obiettiva, a cui si è ispirata la teoria
economica neoclassica, il protagonista dell'azione decisionale, ovvero l'artefice
delle decisioni, è il c.d. “uomo economico”.
Tale soggetto ha la particolarità di essere onnisciente, perfettamente
razionale e in grado di scegliere sempre l'alternativa ottima. Più precisamente,
l'uomo economico individua tutti i problemi, li definisce in modo perfetto,
prefigura tutte le alternative e tutte le conseguenze associabili a ciascun possibile
scenario e quindi opta per l'alternativa ottima in senso oggettivo.
34
Si vedano: H.A. SIMON, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958;
ID., Rational Decision Making in Business Organizations. , Nobel Memorial Lecture
(disponibile sul sito della Fondazione Nobel: www.nobelprize.org), Stoccolma, 1978; ID.,
Causalità, razionalità, organizzazione, Il Mulino, Bologna, 1985. Si veda, inoltre: J.G. MARCHH.A. SIMON, Teoria dell'organizzazione, Edizioni di comunità, Milano, 1966. (ult. ed. Etas,
2003). Al riguardo, si menziona l’efficace analogia, proposta dal Simon, tra l’uomo che deve
prendere una decisione di carattere economico e il giocatore di scacchi che deve decidere la
mossa da compiere.
26
Si tratta, evidentemente, di un modello astratto, distante dalla realtà concreta
e che non appare in grado di spiegare pienamente né il comportamento umano né,
tanto meno, l’effettiva conduzione delle scelte aziendali35.
Il modello della «razionalità limitata», sviluppato dal Simon, costituisce
invece il modello di riferimento per la scienze economico-aziendali, in quanto
esso dimostra un grado ben maggiore di aderenza alla realtà dei fatti ai fini
dell'analisi del comportamento delle aziende.
Secondo questo modello, il protagonista dell'azione decisionale è il c.d.
“uomo amministrativo”, il quale, dotato di informazioni e capacità analitiche
limitate, non perviene a scelte ottimali, ma sceglie l’alternativa ritenuta
soddisfacente. Il suo comportamento è solo limitatamente razionale perché, di
fatto, si discosta dal modello di razionalità obiettiva36.
Più in dettaglio, ripercorrendo le varie fasi del processo decisionale secondo
il modello della razionalità limitata, si osserva che l’uomo amministrativo37:
1) ha una limitata capacità di individuare i problemi: coglie e affronta solo
alcuni dei problemi che si presentano nel corso del tempo;
2) la sua definizione dei problemi non sempre è completa, perché non
dispone del tempo e dei mezzi necessari per raccogliere tutte le informazioni
esistenti sul problema38;
3) non conosce tutte le soluzioni alternative, perché le capacità della sua
mente e la sua immaginazione non gli consentono di identificare tutti i
35
Si tratta di limiti che permangono, secondo il Simon, anche in quelle che possono
essere considerate delle evoluzioni del modello dell’uomo economico, cioè la teoria dei giochi,
sviluppata dal Von Neumann e dal Morgenstern (J. VON NEUMANN-O. MORGENSTERN, Theory
of games and economic behavior Princeton University Press, Princeton, 1947), e la teoria
statistica delle decisioni, dovuta a Neyman, Perason, Wald e ad altri ancora. Cfr. H.A. SIMON, Il
comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958, p.25.
36
«La teoria amministrativa è squisitamente teoria della razionalità intenzionale e
limitata, la teoria cioè del comportamento dell’uomo che, non avendo la possibilità di
massimizzare, ricerca una soluzione sufficientemente buona». H.A. SIMON, Il comportamento
amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958, p. 21-22.
37
Cfr. G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento,
Giuffrè, Milano, 1974, p. 346-363
38
Si ricordino, in proposito, anche gli studi sula relazione tra costo delle informazioni ed
inefficienza dei mercati finanziari svolti da Grossman e Stiglitz. S.J. GROSSMAN-J.E. STIGLITZ,
Information and competitive price systems, in American Economic Review, vol.66, 1976, pp.
246-253; ID., On the impossibility of informationally efficient markets, in American Economic
Review, vol.70, 1980, pp. 393-408.
27
comportamenti possibili. In proposito, giova ricordare che le alternative da
sviluppare possono essere molteplici e che esistono fattori (tempo, disponibilità
di informazioni e di risorse) che possono ostacolare lo sviluppo delle alternative
e che riducono notevolmente il numero delle opzioni praticabili; l’identificazione
dei vari corsi d’azione alternativi, infatti, è il prodotto di una vera e propria
attività di ricerca;
4) nel determinare le presumibili conseguenze di ogni soluzione alternativa,
egli incontra ostacoli assai significativi che non gli consentono di cogliere tutte
le conseguenze possibile di una scelta, dal momento che esse sono
potenzialmente in numero illimitato e possono manifestare i propri effetti lungo
un orizzonte temporale molto lungo.
5) scelta dell'alternativa più conveniente in base ad un prefissato sistema di
criteri39.
In particolare, come si avrà modo di sottolineare nei capitoli successivi, le
procedure aziendali in materia di processi decisionali, siano esse imposte dalla
normativa o definite su base volontaria, rischiano di concentrarsi soprattutto sulla
fase di scelta vera e propria, trascurando il fatto che la razionalità di tale scelta
riposa soprattutto sulla qualità delle informazioni disponibili, che a sua volta
discende dagli sforzi profusi nello svolgimento delle fasi precedenti dell’unitario
processo decisionale.
Per quanto più rileva ai fini del presente lavoro e in modo più completo,
deve invece rimarcarsi che:
- la razionalità di una decisione dipende dalle informazioni disponibili e
reperibili;
- tutte le decisioni aziendali sono caratterizzate da condizioni di incertezza e
di rischio40;
39
Una volta che la scelta sia stata compiuta, essa diviene il presupposto di nuovi processi
decisionali, tesi a definire gli aspetti di dettaglio relativi alla sua esecuzione.
40
Sulla definizione di rischio e sulla sua correlazione con il sistema delle decisioni,
osserva il Bertini: «la rappresentazione dei fenomeni in sede di formulazione dei programmi
nasce, pertanto, nella piena consapevolezza di errare; l’ipotesi che ne deriva, fondandosi su di
una ‘possibilità di errore’, è cioè destinata a discostarsi dagli andamenti reali della vita
aziendale. Tale possibilità di scostamento tra ipotesi e realtà costituisce il fondamento della
problematica del rischio aziendale». U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi in Economia
Aziendale, Cursi, Pisa, 1969 (ult. ed. 1987 per i tipi della Giuffré), p.5. Sui rischi aziendali si
vedano anche: E. CAVALIERI, Variabilità e strutture d'impresa, Cedam, Padova, 1995; F.
28
- le informazioni non sono «dati» immediatamente disponibili, ma devono
essere sistematicamente ricercate, create, elaborate, trasmesse;
- la qualità e l’efficacia dei processi di decisione, esecuzione e controllo
sono influenzate dagli obiettivi, dalle motivazioni e dalle capacità delle persone
che ricoprono i vari ruoli organizzativi, dalle strutture organizzative
effettivamente adottate, dagli stili di direzione sviluppati dai manager, nonché
dal tipo e dalla qualità degli strumenti e delle procedure adottate per creare,
ricercare, elaborare e trasmettere le informazioni, che costituiscono la materia
prima delle decisioni, delle azioni e dei controlli.
1.2.2. Il conflitto e l’equilibrio dei diversi interessi che influiscono sulle
decisioni aziendali. Il criterio dell’economicità e il ruolo del soggetto
economico.
Le decisioni aziendali sono il punto di convergenza di diversi interessi che
possono tra loro collimare o essere in opposizione gli uni agli altri.
Una fondamentale tassonomia degli interessi che confluiscono nelle
decisioni dell’azienda viene fornita dall’Amaduzzi41, il quale, pur concentrandosi
specificamente sulle decisioni inerenti le valutazioni di bilancio42, propone una
classificazione che può certamente ritenersi generale e tuttora di grande
attualità43.
DEZZANI, Rischi e politiche d'impresa, Giuffré, Milano, 1971; F. DI LAZZARO, Il rischio
aziendale. I modi per il suo fronteggiamento, Giuffré, Milano, 1990.
41
A. AMADUZZI, Conflitto ed equilibrio di interessi nel bilancio dell'impresa, Cacucci,
Bari, 1957.
42
Si ricordi che, all’epoca, in assenza di criteri di valutazione codificati come gli attuali,
la redazione del bilancio presentava ambiti di discrezionalità molto rilevanti per gli
amministratori.
43
Lo stesso Amaduzzi osserva: «I vari gruppi di interessi influiscono, secondo le proprie
esigenze, sulla condotta unitaria dell’amministrazione aziendale e cioè, prima che sui processi
della rilevazione economico amministrativa (conti e bilanci), sulle operazioni della gestione e
sugli accorgimenti dell’organizzazione», Ibidem, p. 18.
29
Lo Studioso effettua una fondamentale distinzione tra:
- interessi «oggettivi», «che sono dettati dalla necessità di mantenimento
delle condizioni di equilibrio aziendale, ed in genere dalla necessità del buon
governo dell’azienda»44;
- interessi «soggettivi», cioè «quelli che fanno capo a persone o a gruppi di
persone che prestano la loro opera nell’azienda o che, dal di fuori, si interessano
del posto che l’azienda può occupare nel sistema sociale. Sono interessi, questi
ultimi, che non hanno il loro fondamento in un fenomeno oggettivo dell’azienda,
(…), ma nelle vedute e nelle aspirazioni di persone»45, «avulse da una logica
oggettiva ma intonate ad esigenze di classi, di persone».
Nel chiarire la differenza tra interessi oggettivi dell’azienda e interessi
soggettivi, l’Amaduzzi precisa che gli interessi obiettivi dell’azienda sono
sempre «curati da persone» e che «le stesse persone, insieme ad altre,
protagoniste dirette od indirette del mondo aziendale, possono avere loro interessi
particolari da porre in giuoco nell’amministrazione dell’azienda, (…) interessi
che possono non essere in contrasto con quelli obiettivi (…), ovvero che possono
essere in contrasto, almeno immediato, con gli interessi obiettivi»46.
Egli sottolinea altresì che «gli interessi che giuocano in equilibrio od in
conflitto tra loro, possono poi essere spaziali e temporali, a seconda che il loro
peso venga avvertito nella simultaneità o nella successione del tempo»47.
La tassonomia proposta dall’Amaduzzi può essere rappresentata nel modo
seguente:
44
Ibidem, p. 13.
Ibidem, p. 14.
46
Ibidem, p. 15.
47
Ibidem, p. 16.
45
30
Figura 1.- Interessi che influiscono sulle decisioni dell’impresa48
Conformi alle
condizioni di
equilibrio aziendale
Interessi oggettivi
dell’azienda
Conformi alle
condizioni di
equilibrio aziendale
Interessi che
influiscono
sulle decisioni
aziendali
di persone
dell’azienda
Contrari alle
condizioni di
equilibrio aziendale
Interessi soggettivi
di persone ed enti
estranei all’azienda
Conformi alle
condizioni di
equilibrio aziendale
Contrari alle
condizioni di
equilibrio aziendale
In proposito, si sottolinea l’importanza del concetto di «equilibrio
aziendale», che oltre a qualificare gli interessi «oggettivi», rappresenta un
fondamentale elemento di distinzione dei vari interessi soggettivi che
intervengono sulle decisioni d’impresa.
L’equilibrio aziendale poggia sulle fondamentali condizioni dell’«equilibrio
economico», da intendersi come l’attitudine della gestione aziendale a generare,
almeno nel medio-lungo termine, un flusso di ricavi che sia in grado di
rimunerare tutti i fattori produttivi posti in posizione contrattuale e di lasciare un
congruo margine per la remunerazione anche del fattore produttivo posto in
posizione residuale, e della «realizzazione di un’adeguata potenza finanziaria»,
cioè la capacità di coprire pienamente, continuamente e convenientemente il
fabbisogno finanziario collegato ai tempi di attesa, più o meno lunghi, necessari
per conseguimento degli sperati frutti economici della gestione49.
Il concetto di equilibrio aziendale definisce il fondamentale criterio
dell’economicità, che consente di giudicare la convenienza a iniziare e/o a
continuare una certa iniziativa/attività imprenditoriale, nonché la validità
economico finanziaria dei progetti di investimento50.
48
Elaborazione dello schema proposto dall’Amaduzzi. Ibidem, p.17
Cfr. P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971 , pp. 55-62 e G. ZANDA,
Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. IX.
50
Cfr. G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, cap. IX. Sul
criterio di economicità si rinvia a: A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle
49
31
I diversi interessi soggettivi che intervengono nelle decisioni aziendali,
siano essi di persone interne all’azienda ovvero di persone o enti esterni, possono
essere ispirati ad obiettivi conformi o contrari alla salvaguardia e al
miglioramento dell’equilibrio aziendale e possono pertanto indurre
comportamenti ispirati o meno al criterio dell’economicità aziendale.
In tale contesto, assume rilevanza fondamentale il ruolo del c.d. soggetto
economico, cioè «la persona o il gruppo di persone che di fatto ha ed esercita il
supremo potere nell’azienda, subordinatamente solo ai vincoli d’ordine giuridico
e morale ai quali deve o dovrebbe sottoporsi»51.
Il soggetto economico, che detiene la capacità, la volontà e il potere di
governare l’azienda52, è il massimo artefice del comportamento aziendale e, nelle
proprie decisioni, si trova a tenere conto dei molteplici interessi che gravitano
intorno all’impresa53.
sue rilevazioni (terza edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, pp.192-215; E. BORGONOVI,
Introduzione all'economia delle amministrazioni pubbliche, Giuffré, Milano, 1984, p. 25 e 79;
G. BRUNETTI, L'economicità il reddito e il capitale, in G. AIROLDI-G. BRUNETTI-V. CODA,
Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994, p.174 e ss; P.E. CASSANDRO, Sul concetto di
economicità aziendale, in Scritti Vari (1929-1990), vol. II, Cacucci, Bari, 1980; C. MASINI,
Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979, p. 240 e ss; P. ONIDA, L'economicità dell'impresa, in
AA.VV., Studi di Tecnica economica, Organizzazione e Ragioneria pubblicati in memoria del
prof. Gaetano Corsani, Cursi, Pisa, 1966, p.. 205 e ss..
51
P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 22. Tra i numerosi contributi
dedicati al soggetto economico, solo a titolo indicativo, si possono menzionare i seguenti: G.
AIROLDI-G. BRUNETTI-V. CODA, Economia aziendale, Il mulino, Bologna, 1994, p. 94 e ss; A.
AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza edizione
aggiornata), UTET, Torino, 1978, p.65 e ss; U. BERTINI, Scritti di politica aziendale,
Giappichelli, Torino, 1995; G. FERRERO, Istituzioni di economia d'azienda, Giuffè, Milano,
1968, p. 48 e ss; E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle
aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979, p. 48 e ss; C. MASINI, Lavoro e risparmio, UTET, Torino,
1979, p. 41 e ss; P. SARACENO, La produzione industriale, Libreria Universitaria Editrice,
Venezia, nona edizione, 1978, p. 45 e ss; G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa,
Roma, 2004, cap. VI; G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia delle imprese, Giuffrè, Milano,
1957, vol. II, p. 86 e ss. Per una possibile sistematizzazione delle diverse definizioni del
soggetto economico elaborate dalla dottrina economico-aziendale si veda: E. CAVALIERI-F.
RANALLI, Economia Aziendale. Vol. II Aree funzionali e governo aziendale, Giappichelli,
Torino, 1999, capp. 13-14.
52
G. ZANDA, Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2004, p. 120.
53
Sottolinea il Bruni: «Il soggetto economico volitivo, oltre che per tutelare il proprio
interesse e quello oggettivo dell’impresa, si trova ad essere scomodamente arbitro di un sistema
di forze dirompenti e centrifughe che, se non accuratamente composte ed equilibrate, possono
32
Come osservato dall’Amaduzzi, «l’individuazione del soggetto economico è
indispensabile per intendere i motivi informatori delle operazioni economiche
che a lui fanno capo e per rendersi conto di andamenti della gestione
amministrativa che non potrebbero essere altrimenti compresi»54.
Gli interessi del soggetto economico non necessariamente coincidono con
gli interessi oggettivi dell’azienda. I giudizi di convenienza economica formulati
dallo stesso, infatti, potrebbero discostarsi dal criterio di economicità aziendale,
ispirato all’equilibrio della specifica azienda, e potrebbero invece considerare un
criterio di economicità di tipo superaziendale, laddove il medesimo soggetto
economico riunisca sotto la propria sfera di influenza più entità giuridiche55,
seriamente compromettere le condizioni di esistenza dell’impresa». G. BRUNI, Contabilità per
l'alta direzione. Il processo informativo funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda
edizione aggiornata), Etas Libri, Milano, 1999, p. 27.
54
A. AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni (terza
edizione aggiornata), UTET, Torino, 1978, p. 65. Sottolinea inoltre l’Amaduzzi: «La
considerazione del soggetto nel cui interesse prevalente si svolge l’amministrazione
dell’azienda, si manifesta di primaria importanza, nei nostri studi, anche perché l’individuazione
di tale soggetto non sembra che possa coincidere con la determinazione della persona fisica i
della persona giuridica, per la quale l’azienda appare istituita e retta, nei riguardi giuridici, e che
assume i diritti e le obbligazioni che sorgono dalle operazioni». Ibidem, p. 66.
Lo stesso concetto viene affermato dall’Onida: «La conoscenza del soggetto al quale
risale il supremo ‘controllo’ dell’azienda è spesso necessaria per comprendere i fini che
indirizzano l’attività della medesima e per interpretare correttamente la gestione e talora anche
la stessa organizzazione. Tale soggetto, mentre da un lato ha il pieno controllo dell’azienda,
dall’altro – come si è visto - può non assumere per intero e talora neanche parzialmente il
rischio patrimoniale. Questa condizione non è eccezionale, ma si verifica comunemente, sia
pure in vario modo, in imprese private o pubbliche». P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET,
Torino, 1971, p. 27.
55
Sulle peculiari dinamiche del processo decisionale e dei giudizi di convenienza
economica delle operazioni tra imprese inserite in un gruppo, ci si limita, in questa sede, a fare
rinvio alla vasta letteratura sull’argomento. Tra gli altri: L. AZZINI, I gruppi aziendali, Giuffré,
Milano, 1975; G. BRUNETTI, Le tipologie di gruppo e la pianificazione aziendale, in AA.VV,
Scritti in onore di Domenico Amodeo, Giuffrè, Milano, 1987; P.E. CASSANDRO, I gruppi
aziendali, Cacucci, Bari, 1988; B. PASSAPONTI, I gruppi e le altre aggregazioni aziendali,
Giuffré, Milano, 1994; S. SARCONE, Gruppi aziendali. Strutture e bilanci consolidati,
Giappichelli, Torino, 2000.
Tra i contributi più recenti, si vedano: E. D'AMICO, Economia dei gruppi aziendali,
Cedam, Padova, 2006; A. LAI, Paradigmi interpretativi dell'impresa contemporanea. Teorie
istituzionali e logiche contrattuali, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 199 e ss. Si veda anche: E.
DI CARLO, I gruppi aziendali tra economia e diritto, Giappichelli, Torino, 2009
33
oppure, più semplicemente, il comportamento aziendale potrebbe essere orientato
agli interessi soggettivi degli individui che compongono il soggetto economico,
indipendentemente dal fatto che essi siano conformi o contrari all’equilibrio
aziendale.
Quanto osservato aiuta a comprendere che ciò che più rileva nel giudicare le
operazioni aziendali non è la controparte con la quale esse vengono concluse,
bensì il loro essere conformi o contrarie all’interesse obiettivo della singola
azienda, che, come anzi detto, corrisponde al mantenimento e al miglioramento
della condizione di equilibrio aziendale56.
Come meglio si dirà nel prossimo paragrafo, lo sviluppo economico dei
paesi industrializzati è stato caratterizzato dalla diffusione e dalla definitiva
affermazione del modello delle grandi imprese private, cui si è accompagnata
l’evoluzione dei mercati finanziari e la loro progressiva integrazione
internazionale. In tale scenario, la precisa identificazione delle persone che
compongono il soggetto economico, nonché la chiara definizione degli interessi
in conflitto risultano frequentemente obiettivi concretamente non raggiungibili57.
56
Osserva il Coda: «L’unico interesse sovraordinato e condivisibile è l’interesse aziendale
alla sopravvivenza nel lungo periodo». V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa,
UTET, Torino, 1988, p. 120. Ancora, più ampiamente: «L’impresa è un soggetto dotato di un
suo fine, che non può in alcun modo confondersi e tanto meno identificarsi con le finalità dei
soggetti che detengono il controllo o con i fini di qualsiasi altro soggetto coinvolto nella sua
vita. Il suo fine consiste per l’appunto nella realizzazione piena della sua specifica vocazione
produttiva al servizio di dati bisogni, in un contesto di regole di mercato e istituzionali che
dovrebbero favorire il rispetto per il cliente/utente e l’attenzione alle sue esigenze; il rispetto e la
valorizzazione delle risorse tutte – umane, finanziarie, ambientali, infrastrutturali – utilizzate;
una economicità di gestione tale da assicurare il funzionamento e lo sviluppo dell’impresa», ID.,
Relazione presentata al seminario svoltosi a Milano l’11 maggio 1991 presso il Mediocredito
Lombardo, 1991, p. 10, citato in A. D'AMICO, La funzione armonizzatrice degli interessi
convergenti nell’impresa, Giappichelli, Torino, 1997, p. 73.
57
Sulle difficoltà di identificare il soggetto economico osservava già l’Onida: «Il soggetto
economico può restare occulto quando non si conoscano i collegamenti intersocietari dei quali si
parla. Per identificare questo soggetto, non basta sapere come siano distribuite le azioni
formanti il capitale nominale della società che esercita l’azienda considerata: può essere
necessario risalire a lungo, attraverso una rete più o meno districata di partecipazioni fra
numerose società, per ritrovare la persona che, stando a capo del gruppo, si trova nella
possibilità di controllare anche la particolare società considerata». P. ONIDA, Economia
d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 27. L’argomento verrà ripreso nel capitolo dedicato ai criteri
di definizione delle «parti correlate» stabiliti dallo IAS 24.
34
Tuttavia, nello studio delle decisioni aziendali e delle operazioni che ne derivano,
indipendentemente dalla complessità delle strutture di governo e dell’intreccio di
interessi non deve mai essere posta in secondo piano l’esistenza di interessi
oggettivi della specifica azienda, connessi al mantenimento e al miglioramento
delle condizioni di equilibrio aziendale e che definiscono il fondamentale criterio
guida dell’economicità aziendale; inoltre, non deve essere sottovalutata
l’importanza di tentare di comprendere, per quanto possibile, di quali individui si
componga il soggetto economico, siano essi esponenti della proprietà, degli
organi societari, della dirigenza ovvero altri soggetti, al fine di comprendere la
loro influenza sulle decisioni aziendali e il rischio che queste non si ispirino al
criterio dell’economicità aziendale.
1.3.
La centralità delle operazioni con parti correlate nelle
fondamentali dinamiche di corporate governance delle grandi imprese
Nel presente paragrafo, si svolge una breve analisi della conflittualità di
interessi e delle dinamiche che caratterizzano due tra le fondamentali tematiche
di corporate governance:
A) la separazione tra la proprietà (ossia la titolarità del capitale azionario) e
l’esercizio delle prerogative del controllo societario (inteso come gestione
dell’impresa);
B) le relazioni tra gli azionisti che detengono il c.d. «capitale di comando» e
la generalità degli altri azionisti, titolari del c.d. «capitale controllato».
Preliminarmente, è bene ricordare che le due anzidette problematiche
vengono ricondotte agli assetti proprietari tipici dei due principali modelli di
sistema capitalistico, tradizionalmente posti in contrapposizione l’uno all’altro: il
modello anglosassone – tipico degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei principali
paesi del Commonwealth – e il modello renano-nipponico – proprio delle grandi
Si veda anche G. BRUNI, Contabilità per l'alta direzione. Il processo informativo
funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda edizione aggiornata), Etas Libri,
Milano, 1999, p. 19 e ss.
35
imprese tedesche e giapponesi – al quale viene ricondotto, pur con alcune
peculiarità molto rilevanti, anche il modello di capitalismo italiano.
Più precisamente, i principali caratteri che definiscono il modello
anglosassone, che si configura come un outsider system, sono l’elevata presenza
di grandi imprese a proprietà molto frazionata, un attivo mercato per il controllo
societario, fondato su borse di notevoli dimensioni (c.d. sistema market based),
una forte presenza di intermediari finanziari che operano attivamente sui mercati,
un atteggiamento delle pubbliche istituzioni di tendenziale non intervento
nell’economia, salvo che con funzioni di vigilanza, la storica presenza di
normative antitrust (che si riflette anche in una diffusa concorrenzialità dei vari
mercati), nonché di disposizioni che rendono incompatibile lo svolgimento di
attività creditizia e l’assunzione di partecipazioni nelle imprese58.
La polverizzazione del capitale azionario, diviso tra un numero assai elevato
di azionisti, conduce al fenomeno c.d. di separazione della proprietà e del
controllo, che rappresenta, nel modello della grande impresa anglosassone, la
principale problematica di corporate governance.
Il modello di renano-nipponico di capitalismo, diversamente, è un esempio
di insider system e si caratterizza per la presenza di un numero considerevole di
grandi imprese, in cui alcuni azionisti detengono quote rilevanti del capitale
sociale, tali da consentire loro il controllo stabile dell’assemblea e la nomina
degli amministratori, per il cui tramite, essi possono esercitare il controllo sulla
gestione dell’impresa. Nel modello renano-nipponico, inoltre, i mercati finanziari
non sono particolarmente sviluppati, mentre gli intermediari finanziari svolgono
un ruolo fondamentale (si parla anche di sistema credit based), operando come
finanziatori delle imprese sia a titolo di capitale di prestito, sia a titolo di capitale
di rischio, instaurando rapporti di lungo periodo59.
Nel modello di grande impresa renano-giapponese, la separazione tra
proprietari e manager è meno netta e la principale tematica di corporate
58
Per un approfondimento, si rinvia alla bibliografia indicata nella precedente nota 3 a p.
8.
59
Sui più recenti cambiamenti degli assetti di corporate governance giapponesi,
susseguenti alla persistente crisi dell’economia, si veda: M. AOKI-G. JACKSON-M. HIDEAKI (a
cura di), Corporate Governance in Japan: institutional change and organizational diversity,
Oxford University Press, USA, 2008; M. NAKAMURA, Corporate governance and management
practices in Japan: current issues, in Corporate Ownership & Control, vol.1, n.2, 2004, p.38 e
ss..
36
governance è rappresentata dal conflitto d’interessi tra due diverse categorie di
soci:
- l’azionista (o la coalizione di azionisti) in grado di dominare stabilmente
l’assemblea e, indirettamente, di concorrere alle decisioni strategiche;
- gli altri azionisti, detentori delle quote del c.d. «capitale controllato».
Con particolare riguardo agli assetti proprietari, giova sottolineare che i più
recenti studi empirici svolti su scala internazionale hanno mostrato che, anche nei
paesi di tradizione anglosassone, la vera e propria public company non
rappresenta il modello predominante e che, invece, nella maggior parte dei casi, è
presente un azionista che detiene una quota significativa dei diritti di voto ed è
dunque, presumibilmente, in grado di esercitare una significativa influenza sulle
decisioni dei manager60.
Il modello di capitalismo italiano, come già accennato, presenta caratteri
molto particolari61: una presenza elevata di piccole e medie imprese, in cui
domina il modello della gestione familiare, un numero contenuto di grandi
imprese, la cui proprietà è spesso concentrata e con la prevalenza di una gestione
e di un controllo di tipo familiare, un mercato finanziario storicamente poco
sviluppato, con una presenza predominante degli intermediari finanziari e la
sostanziale assenza di investitori istituzionali, la storica presenza dello Stato
60
Osservano Gadhoum-Lang-Young in un recente studio sulle società quotate degli Stati
Uniti: «We define a corporation to have a controlling shareholder if the largest shareholder
owns at least 10% of the voting shares, either directly or via a chain of other corporations with
control links of at least 10%. 59.74% of listed US corporations have a controlling shareholder –
a higher incidence than in Japan (58.00%), whose corporations have been stereotyped as bankcontrolled. 36.60% of US corporations are controlled by a family: about the same as in
Germany (37.26%) and higher than in Japan, France or the UK. 24.57% of US corporations are
controlled and managed by a family – the same as in East Asia, whose corporations have been
stereotyped as family controlled and managed». Y. GADHOUM-H.P.L. LANG-L. YOUNG, Who
Controls US?, in European Financial Management, vol.11, n.3, 2005, p. 340.
61
Tra i numerosi contributi sull’argomento, si menzionano: M. ALLEGRINI-S. BIANCHI
MARTINI, La Corporate Governance in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Modelli e pratiche a
confronto, Franco Angeli, Milano, 2006; R. CAFFERATA (a cura di), Finanza e industria in
Italia. Ripensare la 'corporate governance' e i rapporti tra banche, imprese e risparmiatori per
lo sviluppo della competitività, Il Mulino, Bologna, 2007; A. MELIS, Corporate governance.
Un'analisi empirica della realtà italiana in un ottica europea Giappichelli, Torino, 1999; A.
ZATTONI, L' assetto istituzionale delle imprese italiane, EGEA, Milano, 2004.
37
nell’economia, attraverso il controllo delle maggiori imprese nazionali,
soprattutto prima delle privatizzazioni avvenute nel corso degli anni ’9062.
La proprietà azionaria in Italia presenta mediamente un’elevata
concentrazione dei diritti di voto, che consentono a un azionista o a una
coalizioni di azionisti (tipicamente riuniti in un patto di sindacato) di detenere il
controllo dell’assemblea.
Molto diffusa è inoltre la presenza delle strutture di controllo c.d.
«piramidali», che consentono al soggetto controllante di limitare notevolmente
l’entità dell’investimento finanziario necessario per acquisire e mantenere le
quote di capitale sociale necessarie al controllo.
Con riferimento alle strutture proprietarie delle grandi imprese aperte
italiane, si riportano nella Tabella seguente i dati relativi alla concentrazione
proprietaria registrati nel decennio 1996-2006:
62
Giova ricordare brevemente come l’esperienza delle privatizzazioni condotte negli anni
’90 non abbia contribuito a diffondere il modello della public company, ma si sia risolta nel
passaggio di molte delle maggiori imprese dal controllo pubblico al controllo di più o meno
ristrette oligarchie private. Osserva Chiappetta: «L’intento di restituire al mercato interi
comparti produttivi (…) non si è realizzato attraverso la creazione (pur fortemente auspicata) di
vere public compagnie. Alla diffusione della proprietà azionaria tra piccoli risparmiatori e
investitori istituzionali si è accompagnata, infatti, una nuova concentrazione della proprietà
intorno a pochi azionisti di controllo». F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam,
Padova, 2007, p.. 16.
38
Tabella 1. – Concentrazione proprietaria delle società italiane quotate in
Borsa/MTA e MTAX dal 1996 al 2006 (situazione al 31 dicembre)63
Nella tabella precedente, si osservi che, progressivamente, grazie allo
sviluppo del mercato finanziario, si è ampliata la quota di capitale diffusa sul
mercato. Permane, tuttavia, quale caratteristica tipica delle grandi imprese
italiane, la presenza di un azionista di riferimento, spesso rappresentato dalla
famiglia storicamente proprietaria dell’impresa.
Si noti anche che è progressivamente diminuita la quota detenuta
dall’azionista di maggioranza e si è invece accresciuta la quota
complessivamente detenuta dagli altri azionisti rilevanti, a indicazione della
crescente presenza di dinamiche di tipo «coalizionale» nelle strutture di controllo.
Ciò premesso, di seguito si svolge un breve approfondimento delle
dinamiche di corporate governance relative al modello d’impresa a capitale
diffuso e dell’impresa a capitale concentrato, con l’avvertenza che, nella concreta
realtà economica, le problematiche evidenziate vengono ad intrecciarsi
indissolubilmente, pur con una netta prevalenza, almeno in Italia, dei conflitti
d’interessi tipici del secondo modello.
63
I dati sulla concentrazione si riferiscono alle quote del capitale ordinario. Sono definiti
«azionisti rilevanti» coloro che detengono oltre il 2% del capitale ordinario. Cfr. CONSOB,
Relazione per l'anno 2006, www.consob.it, Tavola A.3.
La fonte dei dati è rappresentata dall’Archivio Consob sulla trasparenza proprietaria,
costituito dalle comunicazioni inviate ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. 58/1998 in base al quale
tutti coloro che partecipano in una società quotata italiana, in misura superiore al 2% del
capitale rappresentato da azioni con diritto di voto, devono darne comunicazione scritta alla
società stessa e alla Consob, che diffonde tali informazioni al mercato). Sono riportati i dati fino
al 2006 – con la distinzione tra MTA e MTAX (già Nuovo Mercato) - poiché nelle successive
relazioni annuali la Consob non ha inserito informazioni sull’argomento.
39
1.3.1. La separazione tra proprietà e controllo nelle imprese
manageriali: il conflitto d’interessi tra gli azionisti-proprietari e i managerprofessionisti
La disgiunzione tra proprietà e controllo costituisce il fenomeno tipico del
modello della c.d. impresa manageriale (detta anche public company o impresa
matura), teorizzato inizialmente da Berle e Means nel 1932 alla luce delle
evidenze empiriche del noto studio condotto sulle compagini azionarie delle 200
maggiori corporation americane64.
Nel modello dell’impresa manageriale, il capitale di rischio si presenta
diffuso tra un numero tanto elevato di azionisti da configurare il tramonto del
modello classico di impresa capitalistica, nella quale chi detiene la proprietà del
capitale esercita anche il potere di gestione.
Nell’impresa manageriale, infatti, il controllo materiale degli strumenti di
produzione viene ceduto in misura sempre maggiore a gruppi ristretti di
professionisti, mentre gli azionisti-proprietari si limitano al ruolo di meri
portatori di capitale, interessati esclusivamente alla percezione di un congruo
dividendo. Il capitale assume la valenza di un fattore produttivo generico, mentre
assume rilevanza strategica la «capacità manageriale», risorsa scarsa di cui sono
portatori gli amministratori-professionisti.
Come evidenziato soprattutto dalle teorie manageriali dell’impresa che si
sviluppano nel corso degli anni Sessanta e Settanta65, le relazioni tra i portatori
delle due risorse presentano profili di grande criticità.
64
A.A. BERLE-G.C. MEANS, The Modern Corporation and Private Property, Macmillan,
New York, 1932 (ult. ed. 1999 per i tipi della Transaction Publishers). Osservano gli Autori:
«Under the corporate system, (..) the position of the owner has been reduced to that of having a
set of legal and factual interests in the enterprise while the group which we have called control,
are in position of having legal and factual powers over it». Ibidem, p. 113.
65
Si rinvia, tra gli altri, ai seguenti studi di matrice anglosassone: J.K. GALBRAITH, The
new industrial state, Houghton-Mifflin, Boston, 1962; O.E. WILLIAMSON, Managerial
discretion and business behaviour, in American Economic Review, 1963; R. MARRIS, A model
of managerial enterprise, in Quarterly Journal of economics, May, 1963; W.J. BAUMOL,
Business behaviour. Value and growth, Harcourt, Brace & World, New York, 1967. Per un
approfondimento, si veda: G. ZANDA, La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di
comportamento, Giuffrè, Milano, 1974.
40
Infatti, nelle imprese manageriali, le decisioni dei massimi dirigenti
aziendali, amministratori-professionisti e non più azionisti (se non con quote
minimali del capitale), tendono ad affiancare e persino ad anteporre alla
massimizzazione del profitto, obiettivo caro agli azionisti «proprietari e
imprenditori», la ricerca della soddisfazione della propria funzione di utilità, ad
esempio attraverso la riduzione del rischio aziendale o lo sviluppo dimensionale.
Di notevole interesse per lo studio delle relazioni tra proprietari e
amministratori è il contributo della c.d. «agency theory»66, che si concentra sul
problema dei c.d. «costi di agenzia» connessi alla gestione dell’impresa.
Com’è noto, la separazione tra proprietà e controllo origina un implicito
rapporto di agenzia tra un soggetto delegante (c.d «principale»), identificabile
con gli azionisti-proprietari, e un soggetto delegato (c.d. «agente»), cioè i
manager che gestiscono effettivamente l’impresa67.
66
Tra i maggiori contributi allo studio dei costi di agenzia si segnalano: E.F. FAMA,
Agency Problems and the Theory of the Firm, in Journal of Political Economy, vol. 88, n.2,
1980, p.288 e ss; E.F. FAMA-M.C. JENSEN, Separation of ownership and control, in Journal of
Law & Economics, vol.26, n.2, 1983, p. 301 e ss; M.C. JENSEN, Agency Costs of Free Cash
Flow, Corporate Finance, and Takeovers, in American Economic Review, vol.76, n.2, 1986,
p.323 e ss; M.C. JENSEN-W.H. MECKLING, Theory of the firm: Managerial behavior, agency
costs and ownership structure, in Journal of Financial Economicsvol. 3, n.4, 1976, p. 305 e ss.
Giova osservare che il presupposto della teoria dell’agenzia, nonché dell'approccio neoistituzionalista alla teoria dell'impresa, sviluppato dal Williamson, sono gli studi sui costi di
transazione svolti da Ronald Harry Coase, insignito del premio Nobel per l’economia nel 1991.
Si vedano: R.H. COASE, The Nature of the Firm, in Economica, vol.4, n.16, 1937, p.386 e ss;
ID., The Problem of Social Cost, in Journal of Law and Economics, vol. 3, n.1, 1960
(disponibile online http://www.sfu.ca/~allen/CoaseJLE1960.pdf), p. 1 e ss.
67
«We define an agency relationship as a contract under which one or more persons (the
principal(s)) engage another person (the agent) to perform some service on their behalf which
involves delegating some decision making authority to the agent. If both parties to the
relationship are utility maximizers there is good reason to believe that the agent will not always
act in the best interests of the principal. The principal can limit divergences from his interest by
establishing appropriate incentives for the agent and by incurring monitoring costs designed to
limit the aberrant activities, of the agent. In addition in some situations it will pay the agent to
expend resources (bonding costs) to guarantee that he will not take certain actions which would
harm the principal or to ensure that the principal will be compensated if he does take such
actions. However, it is generally impossible for the principal or the agent at zero cost to ensure
that the agent will make optimal decisions from the principal’s viewpoint». M.C. JENSEN-W.H.
MECKLING, Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure, in
Journal of Financial Economics, vol.3, n.4, p. 309.
41
Il delegante si trova in una posizione di outsider, tale da non consentirgli di
disporre delle medesime informazioni sull’andamento della gestione aziendale a
disposizione dell’agente (insider). Sfruttando la propria posizione di privilegio
informativo, l’agente, in condizioni di incertezza, tende a prendere decisioni tese
a massimizzare la propria personale utilità e negligendo, almeno parzialmente,
quella del principale (c.d. problema di moral hazard dell’agente). Inoltre, il
principale non è in grado di scegliere l’agente, oppure lo sceglie in modo non
corretto in quanto non dispone delle informazioni necessarie per valutarne
l’operato e le capacità (c.d. problema di adverse selection, tipico del principale).
Il conflitto d’interessi tra i due soggetti dà luogo ad una serie di
conseguenze economico-finanziarie (sul piano della dinamica degli investimenti
e delle fonti, nonché dei costi e dei ricavi), che si traducono nella particolare
configurazione di costo denominata «costo di agenzia», dovuto allo scostamento
tra le scelte ottimali per il principale e le scelte ottimali per l’agente68.
In tale contesto, le operazioni con parti correlate possono costituire un
efficace strumento a disposizione dell’agente per ottenere benefici personali,
diretti o indiretti, a danno degli azionisti.
Possono essere ricondotte a questo ambito le operazioni c.d. in conflitto
d’interessi, cioè quelle operazioni che avvengono tra l’impresa e gli
amministratori stessi, ivi incluse le problematiche relative alla remunerazione
degli amministratori stessi, ovvero tra l’impresa e i soggetti o gli enti che siano in
qualche modo correlati agli stessi amministratori69.
Proprio al fine di proteggere l’interesse degli azionisti, soggetto debole del
rapporto di agenzia testé descritto, e di limitare il potere di chi governa l’impresa,
le norme e i codici di autodisciplina in tema di corporate governance hanno
previsto, tra l’altro, la presenza nei consigli di amministrazione di consiglieri non
68
Le componenti dei costi di agenzia possono enuclearsi come segue:
i) costi di controllo, che derivano dall’attività del principale volta a monitorare l’agente;
ii) costi di riassicurazione, che derivano dall’attività dell’agente finalizzata a convincere il
principale che egli non prenderà delle decisioni contro il suo interesse o per assicurare il
principale che lo rimborserà se il suo comportamento lo dovesse danneggiare;
iii) costi residuali: derivanti dalla perdita residuale di benessere che si crea nella relazione,
data l’impossibilità di conciliare perfettamente gli interessi divergenti delle parti.
69
Al riguardo, si noti che le operazioni che conducono all’espropriazione degli azionisti
da parte dei manager possono assumere le forme più diverse. Al di là dei casi estremi, che il
buon senso di dirigenti che si appropriano direttamente di fondi fraudolentemente sottratti
all’azienda,
42
esecutivi e possibilmente indipendenti, la separazione tra il ruolo di
amministratore delegato e di presidente del consiglio di amministrazione,
l’istituzione di comitati con competenze specifiche per le decisioni a più elevato
rischio di conflitto, la previsione di particolari procedure di comunicazione tra gli
organi amministrativi e le strutture e gli organi specificamente incaricati delle
funzioni di controllo interno e delle funzioni di controllo contabile.
1.3.2. Le imprese a capitale concentrato: il conflitto d’interessi tra i
detentori del «capitale di comando» e del «capitale controllato»
Le complesse dinamiche che caratterizzano il rapporto tra gli azionisti che
detengono il c.d. «capitale di comando» e del c.d. «capitale controllato»70 sono
tipiche delle imprese c.d. «ad azionariato concentrato», nelle quali la separazione
tra proprietà e controllo è meno netta rispetto alle public company, dal momento
che sono presenti azionisti che - singolarmente ovvero in coalizione con altri,
direttamente o indirettamente - detengono quote rilevanti del capitale sociale e
70
Al riguardo, va ricordato il pensiero dell’Onida, il quale, nel volume «Economia
d’Azienda», osserva che «fra i problemi dell’organizzazione dell’impresa, accanto a quelli
concernenti il lavoro (…) acquistano peso anche altri, riguardanti il capitale e in particolare il
‘capitale proprio’ o ‘di rischio’ e la difesa degli interessi dei portatori di questo capitale, contro
eventuali abusi dell’amministrazione, dominata da determinati e limitati centri di potere»,
osservando - con particolare riguardo alle società in cui «le azioni, negoziate più o meno
largamente sul mercato, sono distribuite fra soci numerosi e mutevoli» - che «avviene
comunemente ... che una parte delle azioni sia posseduta da persone che non si occupano né
direttamente né indirettamente della gestione sociale, non esercitano il diritto di voto nelle
assemblee o cedono facilmente questo diritto per procura. Nonostante l’eguaglianza dei diritti
conferiti alle azioni, i soci si dividono spontaneamente, in queste società, in due grandi
categorie: soci che si valgono del possesso azionario come strumento di comando e di
partecipazione attiva alla vita sociale, e soci che considerano sostanzialmente le azioni come
titoli di rendita e che, lungi dal partecipare attivamente alla vita sociale, spesso non hanno
neanche un’idea precisa dell’oggetto della società. Si parla in proposito, come sappiamo, di
‘capitale di comando’ e di ‘capitale controllato’. Il ‘capitale controllato’, posseduto dai soci
della seconda categoria, non sempre costituisce una minoranze dell’intero capitale sociale;
spesso forma una maggioranza disgregata e dispersa, alla quale si contrappone una minoranza
compatta che può di fatto comandare grazie all’assenza, dalle assemblee sociali, degli azionisti
formanti la suddetta maggioranza [...] In queste condizioni si pone il problema della difesa, non
solo delle minoranze, ma addirittura delle maggioranze formanti il ‘capitale controllato’, contro
possibili abusi da parte dei gruppi di comando», P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino,
1971, p. 234-236.
43
sono pertanto in grado di poter incidere sulla nomina degli amministratori e, per
loro tramite, sulle decisioni che determinano il comportamento dell’impresa.
Nelle relazioni tra azionisti di controllo e azionisti controllati si presentano, con
caratteri peculiari, problemi di agenzia analoghi a quelli che, nella public
company, intervengono tra azionisti e manager.
In particolare, gli azionisti che detengono il controllo si trovano a disporre del
potere di nominare e di controllare l’agente, con una conseguente netta
diminuzione delle asimmetrie informative e dei rischi che le decisioni dell’agente
possano rivolgersi al soddisfacimento delle proprie utilità personali.
In altre parole, la presenza di un azionista di riferimento che sia partecipe delle
decisioni aziendali, riduce notevolmente la possibilità di comportamenti
opportunistici da parte dei manager professionisti71.
Tuttavia, viene a porsi un nuovo fondamentale problema di corporate
governance: il soggetto che detiene il controllo potrebbe sfruttare la propria
posizione di vantaggio informativo (e il proprio potere decisionale) per porre in
essere dei comportamenti tesi a massimizzare la propria personale utilità, che non
sempre potrebbe coincidere con gli interessi oggettivi dell’impresa e,
indirettamente, con quelli degli azionisti detentori del capitale controllato, che
rappresentano il soggetto debole del rapporto di agenzia72.
Il conflitto d’interessi in parola assume la massima intensità laddove la quota
detenuta dall’azionista di comando sia molto limitata, come nei casi in cui il
controllo sia ottenuto attraverso piramidi societarie, con l’emissione di categorie
di azioni a voto limitato, mediante azioni con diritti speciali di voto o golden
shares, oppure tramite partecipazioni societarie incrociate73.
71
Si noti che si tratta pur sempre di una riduzione del rischio, perché permangono
comunque le asimmetrie informative connesse alla specializzazione e alla capacità tecnica e
relazionale che è propria solo dei manager professionisti.
72
Una possibile tipologia degli azionisti di minoranza viene fornita dal Montalenti, il
quale, commentando la situazione italiana, individua quattro possibili figure:
- l’azionista minimo, detentore di un esiguo numero di titoli azionari, che non partecipa
alle assemblee o che vi partecipa solo per curiosità o affezione personale;
- l’azionista disturbatore, al quale non è possibile riconoscere un ruolo di monitoring;
- l’azionista detentore di un pacchetto di qualche rilevanza, che dispone del potere di
incidere sugli assetti del potere assembleare;
- l’azionista di minoranza investitore istituzionale.
V. P. MONTALENTI, Corporate Governance. Raccomandazioni Consob, in Rivista delle
società, n.4, 1997.
73
Numerosi studi sono stati condotti sui meccanismi che consentono la negazione del
fondamentale principio noto come “one share-one vote”, sulla base della sistematizzazione
operata da S.J. GROSSMAN-O.D. HART, One share - One vote and the market for corporate
control, in Journal of Financial Economics, col. 20, n.1/2, 1988, p. 175 e ss.
44
In simili circostanze, si riduce notevolmente l’interesse delle minoranze di
controllo a massimizzare il valore delle azioni e i flussi di dividendi, dal
momento che esse potrebbero ritrarne benefici molto limitati, in ragione
dell’esigua partecipazione azionaria detenuta74. Invece, le minoranze di controllo
potrebbero tendere a sfruttare la loro posizione di dominio, seppure mediato dai
manager, per appropriarsi della ricchezza prodotta dall’azienda, ponendo in
essere le c.d. operazioni di tunneling, che, secondo una tipologia condivisa dalla
letteratura internazionale75, possono suddividersi in due principali categorie:
i) le c.d. self-dealing transactions;
ii) le c.d. diluitive transactions.
Le c.d. self-dealing transactions prevedono la vera e propria appropriazione di
risorse aziendali da parte di chi esercita il controllo.
Esse non necessariamente avvengono tramite veri e propri furti o frodi, ma
possono assumere le forme più varie, presentandosi, tipicamente, proprio come
operazioni dell’azienda con parti correlate a chi detiene il controllo. Nel citato
studio di Johnson-La Porta-Lopez de Silanes-Shleifer si forniscono alcuni
esempi: la società potrebbe cedere asset o stipulare contratti a valori vantaggiosi
per l’azionista di controllo, remunerare eccessivamente gli azionisti di controllo
che ricoprono posizioni apicali all’interno dell’impresa, concedere garanzie agli
azionisti di controllo (o a società da essi controllate o a essi collegate), consentire
lo sfruttamento in altri contesti aziendali di idee e opportunità d’investimento
originatesi all’interno dell’impresa (si pensi alla scoperta di un nuovo prodotto
innovativo, che potrebbe essere commercializzato da un’altra impresa in cui gli
azionisti di controllo detengono una quota totalitaria del capitale sociale).
74
Nel trattare gli effetti delle deviazioni dalle regole one share-one vote, il Ferrarini
osserva che «le minoranze di controllo (a differenza delle maggioranze) non internalizzano la
maggior parte degli effetti delle loro decisioni sul valore delle azioni, in quanto la loro
partecipazione può rappresentare solo una piccola frazione dei diritti ai flussi di cassa della
società». G. FERRARINI, Un'azione-un voto: un principio europeo, in Rivista delle società, 2006,
p.37.
75
Si veda S. JOHNSON-R. LA PORTA-F. LOPEZ DE SILANES-A. SHLEIFER, Tunneling, in
American Economic Review, vol.90, n.2, p.22 e ss.
Si ricordi che le operazioni di tunneling ricadono nella più ampia categoria dei c.d.
benefici privati del controllo, rappresentandone la componente monetaria. In proposito si veda
l’interessante tipologia dei benefici privati del controllo proposta da Ehrhardt e Nowak che,
includendo anche i benefici privati non pecuniari, tiene conto del diverso grado di trasferibilità
degli stessi. O. EHRHARDT-E. NOWAK, Private Benefits and Minority Shareholder
Expropriation (or What Exactly are Private Benefits of Control?), EFA 2003 Annual
Conference Paper No. 809, Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=423506 or DOI:
10.2139/ssrn.423506, 2003.
45
Tra questo tipo di operazioni è inoltre significativo distinguere tra76:
- le operazioni di cash-flow tunneling, che intaccano il risultato del singolo
esercizio ma non coinvolgono i fattori produttivi sui quali l’impresa fonda la
propria capacità di creare valore nel lungo periodo; esempi di questo tipo di
operazioni sono la compravendita di beni e servizi a prezzi che favoriscono la
controparte, l’eccessiva concessione di compensi e benefits, la vendita di fattori
produttivi di modesta importanza strategica;
- le vere e proprie operazioni di asset tunneling, che implicano il trasferimento di
fondamentali asset (tangibili e intangibili) o di interi complessi aziendali ad un
prezzo non commisurato alla loro valenza strategica. Le operazioni di questo tipo
si caratterizzano per danneggiare in modo significativo non soltanto i risultati
dell’esercizio, ma la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa e di reddito
anche negli esercizi successivi. Si noti che possono implicare sia operazioni di
acquisto a prezzi significativamente superiori al valore strategico, sia vendite di
asset strategici a valori esigui, al fine di favorire la controparte acquirente77.
Le c.d. diluting transactions, di cui al precedente punto ii), sono operazioni
dell’azionista di controllo tese all’incremento della propria quota nel capitale
ordinario, in assenza di un vero e proprio trasferimento di risorse aziendali.
Appartengono a questa categoria l’emissione di azioni a prezzi diluitivi (si pensi,
ad esempio, alle operazioni di conferimento di beni in natura o complessi
aziendali in funzionamento per valori solo parzialmente giustificati
economicamente), le strategie di freezee-out e di squeeze-out delle minoranze78,
l’attività di insider trading, le c.d. creeping acquisitions79.
76
La suddivisione proposta si ispira al recente contributo: V.A. ATANASOV-B.S. BLACKC.S. CICCOTELLO, Unbundling and Measuring Tunneling, U of Texas Law, Law and Econ
Research Paper No. 117; ECGI - Finance Working Paper; McCombs Research Paper Series,
Forthcoming, http://ssrn.com/abstract=1030529, 2008.
77
A ben vedere, a questa seconda fattispecie possono ricondursi anche tutte le operazioni
che, pur non avendo ad oggetto l’acquisto o la cessione di specifici asset, sono in grado di
incidere notevolmente sulle capacità dell’impresa di creare valore. Ad esempio, si pensi ad un
accordo con una parte correlata che imponga all’impresa di dismettere le attività in un
particolare settore che presenti prospettive favorevoli di crescita e di redditività, oppure ad un
accordo che preveda un impegno, da parte dell’impresa, in un settore poco redditizio o
antieconomico, ma che ricopre un’importanza strategica per chi controlla l’impresa, ad esempio
per acquisire consenso da parte delle autorità politiche.
78
Sull’argomento si rinvia a: M. ROMANO, Dinamica del valore e aspetti di corporate
governance negli squeeze out delle minoranze azionarie, Giappichelli, Torino, 2008.
79
Per creeping acquisitions (letteralmente acquisizioni striscianti) si intendono, con
espressione icastica, i rastrellamenti di azioni sul mercato tesi ad incrementare la quota di
capitale detenuta senza far scattare le eventuali soglie che eventualmente prevedano la
comunicazione al mercato o l’obbligo di lanciare offerte pubbliche di acquisto. Operazioni di
46
A ben vedere, se è vero che entrambe le categorie di operazioni danneggiano i
detentori del capitale controllato, solo le operazioni di tunneling del primo tipo si
caratterizzano per essere sempre contrarie all’interesse oggettivo dell’impresa e
non rispondenti al criterio dell’economicità aziendale. Al contrario, le operazioni
del secondo tipo attengono esclusivamente al rapporto di forza tra gli azionisti,
mutandolo in favore dell’azionista di controllo. In altre parole, si tratta di
operazioni che non coinvolgono direttamente l’impresa e le sue risorse, bensì la
composizione del suo capitale proprio (vengono dette anche operazioni di equity
tunneling).
Se è vero che entrambe le forme di tunneling devono essere contrastate da
apposite disposizioni legislative e regolamentari, finalizzate al miglioramento
dell’efficienza dei mercati finanziari, nonché alla tutela degli azionistirisparmiatori, soprattutto per le operazioni del primo tipo è interesse dell’impresa
stessa dotarsi di procedure tali da impedire la sottrazione di risorse da parte
dell’azionista di controllo.
E, conseguentemente, risponde agli interessi obiettivi di una grande impresa –
che, si rimarca, possono non coincidere con quelli dei suoi azionisti – dotarsi di
un sistema di corporate governance in grado di garantire che le operazioni con
parti correlate, che rappresentano proprio lo strumento privilegiato (seppure non
il solo) a disposizione dell’azionista di controllo per appropriarsi delle risorse
aziendali, siano sempre subordinate alla rispondenza agli interessi oggettivi
dell’impresa, che siano cioè ispirate al criterio dell’economicità, pur nella
consapevolezza della notevole complessità che può presentare l’applicazione di
tale fondamentale criterio.
Riuscire a regolamentare e a controllare l’effettuazione di operazioni con parti
correlate significa sottrarre all’azionista di controllo e ai manager una delle leve
fondamentali (e, forse, la principale) a disposizione degli stessi per compiere
abusi ai danni dell’azienda, prima ancora che dei detentori del capitale
controllato.
Nei prossimi capitoli, si adotterà proprio l’ottica della singola impresa,
analizzando le norme in materia di operazioni con parti correlate alla luce della
loro rispondenza alla suddetta finalità.
questo tipo consentono di mantenere ridotto il costo delle acquisizioni e, nell’eventualità di
voler successivamente procedere al lancio di un’offerta pubblica di acquisto, fanno sì che il
bidder riesca ad acquisire una certa quota aggiuntiva del capitale prima dell’offerta, ad un
prezzo certamente più basso di quello dell’offerta pubblica.
47
Capitolo 2
Le operazioni con parti correlate nell’attuale quadro
normativo
2.1. Considerazioni introduttive
In considerazione degli assetti proprietari tipici delle grandi imprese italiane
e in risposta al clamore suscitato dalle note vicende avvenute negli ultimi anni,
che hanno fatto seguito a fatti analoghi accaduti in tutti i maggiori mercati
finanziari internazionali, le riforme legislative e regolamentari che si sono
succedute nel recente passato nel campo del governo societario si sono ispirate
principalmente alla finalità di offrire la massima tutela alle minoranze e alle
maggioranze detentrici del c.d. capitale controllato nei confronti dei possibili
abusi compiuti dai detentori del c.d. capitale di comando o, in senso più ampio,
da parte degli individui costituenti il soggetto economico, come definito nel
capitolo precedente.
A tal fine, il legislatore ha agito in senso duplice: da un lato, sono stati
maggiormente tutelati i detentori del capitale controllato; dall’altro, sono state
innalzate le limitazioni alla libertà di azione del gruppo di comando1.
1
Per un quadro d’insieme delle novità apportate al diritto societario dalla Riforma del
2003, si rinvia a N. ABRIANI-T. ONESTI (a cura di), La riforma delle società di capitali.
Aziendalisti e giuristi a confronto. Atti del Convegno. Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Quaderni di
giurisprudenza commerciale, n.263, Giuffrè, Milano, 2004.
Sulle principali novità introdotte dalla legge sul risparmio si rinvia a: ASSONIME, le nuove
disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in Rivista delle
società, 2006, p. 445 e ss; G. FERRARINI-P. GIUDICI, La legge sul risparmio, ovvero un
potpourri della corporate governance, in Rivista delle società, 2006, pp. 573-632; P.
MONTALENTI, Amministrazione, controllo, minoranze nella legge sul risparmio, in Rivista delle
Con riferimento al primo aspetto, le minoranze azionarie sono state dotate
di più pervasivi poteri di controllo, di più efficaci strumenti di partecipazione al
governo societario, nonché di maggiori tutele a difesa del valore del proprio
investimento.
Ad esempio, si considerino2:
- le nuove norme concernenti la nomina di amministratori e sindaci, che
garantiscono la presenza nel Consiglio e nel Collegio Sindacale di almeno un
componente nominato proprio dalle minoranze controllate, che nel Collegio
Sindacale viene a ricoprire addirittura il ruolo di Presidente;
- la rinnovata disciplina del diritto di recesso, nella quale risulta
notevolmente ampliato il novero delle motivazioni che consentono all’azionista
di recedere dalla società, con la previsione di un corrispettivo non più quasi
simbolico e punitivo, bensì in qualche modo commisurato al valore economico
dell’azienda sottostante alla partecipazione;
- l’abbassamento delle soglie necessarie per la convocazione
dell’assemblea, per la denuncia al collegio sindacale di eventuali fatti censurabili,
per la denuncia al Tribunale ex art.2409 c.c., nonché per l’azione di
responsabilità nei confronti di amministratori, sindaci e direttori generali;
- la previsione di precisi obblighi e responsabilità in capo ai soggetti che
esercitano l’attività direzione e coordinamento di società;
- le significative modifiche apportate alla disciplina delle offerte pubbliche
di acquisto e scambio; si considerino, in particolare, le modifiche al meccanismo
di calcolo del prezzo nelle offerte pubbliche di acquisto preventive e successive
obbligatorie, ottenuto non più come media di più valori, ma individuato nel
maggior prezzo corrisposto dall’acquirente per le azioni acquisite sul mercato,
con l’effetto di corrispondere pienamente il premio di controllo anche a tutti gli
azionisti di minoranza.
Per quanto riguarda le limitazioni imposte alla libertà di azione del gruppo
di comando, si può osservare che il legislatore è intervenuto stabilendo una
disciplina più rigorosa degli assetti di amministrazione e controllo, che ha
condotto ad una maggiore trasparenza e tracciabilità dei processi decisionali, e
società, 2006, pp. 975-998; G. ROSSI, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della
tecnica legislativa, in Rivista delle società, 2006, pp. 1-23.
2
Ci sia consentito, anche nel prosieguo, limitare la trattazione al solo modello tradizionale
di amministrazione e controllo, tenuto conto della sua largamente prevalente diffusione.
49
prescrivendo, in capo alle società, obblighi sempre più ampi e articolati in tema
di comunicazione economico-finanziaria.
Nel percorso di evoluzione normativa, va sottolineata la scelta del
legislatore di affidare un ruolo fondamentale agli organismi di regolamentazione
e di controllo (in particolare, alla Consob), attraverso la concessione di ampie
deleghe su molteplici aspetti chiave delle varie novità legislative introdotte,
nonché di aver dato definitiva legittimazione ai codici di autoregolamentazione
redatti dalle società di gestione dei mercati regolamentati e dalle associazioni di
categoria3.
Al riguardo, tuttavia, occorre ricordare anche che, dopo la prima fase di
generale apprezzamento per le riforme attuate dal legislatore e analogamente a
quanto accaduto negli Stati Uniti a seguito dell’emanazione del Sarbanes-Oxley
Act, molti osservatori hanno successivamente sottolineato l’eccessiva onerosità
per le società quotate di alcuni dei provvedimenti adottati, che contribuiscono a
ridurre notevolmente la convenienza a mantenere la quotazione e sulla cui
concreta efficacia è stato sollevato più di un dubbio4.
Nell’ottica delle aziende, la presentazione di informazioni al mercato e la
proliferazione di organi e adempimenti in tema di controllo interno rappresentano
dei costi certi, che occorre valutare attentamente in rapporto benefici per le
imprese stesse, oltre che per le varie categorie di stakeholder5.
3
In proposito, giova rimarcare l’introduzione, mediante la L. n. 262/2005, della lettera cbis) all’art. 149, D.Lgs. 58/1998, che aggiunge ai doveri del Collegio Sindacale il compito di
vigilare «sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste dai
codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da
associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi».
4
Si rinvia agli interventi raccolti in: G.D. MOSCO-F. VELLA (a cura di), Imprese e
investitori. Crescita, tutele, interessi. Atti del Convegno di Roma, 29 gennaio 2007, Quaderni di
Giurisprudenza Commerciale, n. 318, Giuffré, Milano, 2008.
5
In proposito, pare significativo riportare i risultati di un recente studio condotto
dall’Assonime con riferimento, tra l’altro, ai costi sostenuti dalle società quotate italiane
nell’esercizio 2008, nel quale si evidenziano un valore mediano degli investimenti per
l’adattamento del sistema dei controlli interni alle nuove normative pari a 290 migliaia di euro e
un costo mediano annuo del sistema dei controlli pari a 633 migliaia di euro. Cfr. ASSONIME,
Analisi dello stato di attuazione del Codice di Autodisciplina delle società quotate (Anno 2008),
2009, pp. 69 e ss.
Nelle conclusioni, l’Assonime osserva «spicca, tuttavia, l’incremento di costi legati
all’attività di nuovi organismi di controllo, costituiti via via negli ultimi anni, in risposta a una
normativa alluvionale e non sempre coordinata: in particolare, quasi un terzo del totale è
50
Nel presente capitolo dopo una breve ricostruzione del percorso che ha
condotto alla definizione dell’attuale quadro normativo (secondo paragrafo), se
ne fornisce un quadro di sintesi, distinguendo le norme specificamente dedicate
ai processi deliberativi delle operazioni con parti correlate e quelle relative alla
trasparenza informativa (terzo paragrafo). Infine, si approfondisce la definizione
di «parte correlata» attualmente vigente, considerata la sua importanza nel
definire l’ambito della normativa (quarto paragrafo).
2.2.
I percorsi seguiti dal legislatore e dalla Consob
Come osservato nel capitolo precedente, le operazioni con parti correlate
possono rivestire una fondamentale importanza strumentale per l’appropriazione
delle risorse aziendali da parte dei soggetti che detengono il controllo delle
imprese, siano essi amministratori o azionisti di controllo.
I primi interventi in materia sono della Consob, la quale, a partire dal 19936,
cogliendo i profili di rischio connessi alle operazioni con parti correlate, ha
costituito da costi sicuramente legati a nuove normative (soprattutto il d.lgs. 231/2001). Se si
considerano le sole società per cui sono disponibili informazioni su tutte le categorie di costi
(organi di controllo e revisione, da un lato; costi “aggiuntivi”, si osserva che il costo del sistema
dei controlli nella società mediana ha subito un incremento pari almeno al 20% (…) f) È tuttavia
riscontrabile una fortissima variabilità di tali costi a livello di singola società (o di singolo
gruppo): soprattutto nelle società maggiori (e nel settore finanziario, soggetto alle ulteriori
spinte provenienti dalla vigilanza) i costi sono spesso sensibilmente più elevati. Gli sforzi per la
compliance con le nuove normative non appaiono ovunque di uguale intensità: accanto a società
che hanno effettuato spese ingenti, ne compaiono altre che hanno sostenuto spese aggiuntive di
entità assai minore. (…) Non si intende mettere in dubbio l’utilità degli sforzi che, prendendo lo
spunto dall’applicazione della normativa indicata, molte società hanno attuato per migliorare
l’efficienza e l’efficacia del sistema dei controlli e per promuovere una gestione più strutturata e
matura dei rischi aziendali. Non va però taciuto che tali sforzi hanno prodotto un incremento
significativo di costi (talché, sovente, il “sistema 231” è diventata una delle maggiori voci di
spesa attinenti al sistema dei controlli) e che una parte spesso rilevante di tali costi è legata
all’attivazione di consulenze per la produzione di documentazione di base (appunto, i
“modelli”) la cui efficacia rispetto allo scopo dichiarato non è garantita», Ibidem, pp. 77-78.
6
Il primo intervento della Consob sulla materia è la comunicazione n.
SOC/RM/93002422 del 31 marzo 1993, nella quale l’autorità di vigilanza, fornendo alle società
di revisione un’interpretazione di quali «fatti censurabili» esse dovessero comunicare al collegio
sindacale, raccomandava di prestare particolare attenzione alle operazioni compiute dalle
società oggetto di revisione con parti correlate, osservando che «tali operazioni possono non
51
emesso numerose comunicazioni e delibere, volte primariamente a sensibilizzare
gli organi di controllo sulla tematica e ad assicurare al pubblico la massima
informativa sul loro compimento e sui loro effetti 7.
Nel 1999, inoltre, il codice di autodisciplina, meglio noto come «Codice
Preda», emesso dal «Comitato per la corporate governance delle società quotate»
indicava tra i compiti specifici del consiglio di amministrazione l’esame e
l’approvazione delle «operazioni aventi un significativo rilievo economico,
patrimoniale e finanziario, con particolare riferimento alle operazioni con parti
correlate»8. Nella versione rivista nel 2002, inoltre, veniva inserito un intero
articolo dedicato espressamente alle operazioni con parti correlate, nel quale si
introduceva il concetto di «correttezza sostanziale e procedurale»9.
Nel 2003, il legislatore ha effettuato un primo intervento relativamente alle
operazioni tra società inserite nel medesimo gruppo, che rappresentano
certamente il tipo più diffuso e consueto di operazioni con parti correlate.
rispondere ai canoni della regolarità degli atti sociali» (e dare luogo, pertanto, a fatti
censurabili).
7
Per un commento sul percorso di avvicinamento all’attuale assetto normativo e per
l’elenco delle comunicazioni e delibere Consob, si rinvia a: A. POMELLI, Commento sub art.
2391-bis, in A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve al diritto delle società, CEDAM, Padova,
2005, p. 780-781.
8
COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di
autodisciplina, 1999, principio 1.2, lettera e). Commentava sul punto il Codice: «il Comitato
raccomanda che la delega agli amministratori delegati non copra, oltre alle materie riservate al
consiglio dalla legge o dallo statuto, le operazioni più significative (e tra queste, in particolare,
quelle con parti correlate), il cui esame e la cui approvazione rimangono nella competenza
esclusiva del consiglio. In relazione alle operazioni di tal genere, il Comitato raccomanda che
l’informativa all’assemblea sia sufficientemente analitica, tale da permettere la comprensione
dei vantaggi, per la società, di tali operazioni». E ancora: « il Comitato raccomanda che gli
organi delegati prestino particolare attenzione (fornendo una informativa mirata) alle tematiche
più delicate e cioè alle operazioni atipiche, inusuali e con parti correlate. Tali operazioni,
certamente legittime quando eseguite nell’interesse sociale, devono però trovare o il conforto
del consiglio di amministrazione nella sua collegialità, come nel caso di quelle più rilevanti di
cui all’articolo 1.2, lettera e), oppure, quando effettuate in virtù di deleghe - o, comunque, di
dimensione non rilevante - devono formare oggetto di adeguata informativa a tutto il consiglio».
9
ID., Codice di autodisciplina, 2002, art. 11.1. Sul punto, commentava il Comitato: « Il
riferimento alla fairness riflette le migliori pratiche internazionali, oltre a trovare corrispondenza
con la nostra disciplina legislativa dei conflitti di interesse. Per fairness sostanziale si intende la
correttezza dell’operazione dal punto di vista economico, quando ad esempio il prezzo di
trasferimento di un bene sia allineato con i prezzi di mercato. Per fairness procedurale si intende
il rispetto di procedure che mirano ad assicurare la correttezza sostanziale dell’operazione».
52
Nell’ambito della riforma del diritto societario, infatti, ha introdotto, agli att.
2497 e ss. del codice civile, la disciplina dell’attività di direzione e
coordinamento, che ha chiarito i profili di responsabilità di chi esercita il
controllo, stabilendo altresì precisi obblighi di trasparenza. Per tali operazioni, il
legislatore ha riconosciuto la legittimità - alla luce dell'unitario fenomeno
d'impresa sottostante - del coordinamento unitario di più entità dotate di propria
individualità giuridica, nel perseguimento di un interesse, appunto, «di gruppo» interpretato in concreto dall'ente che esercita l'attività di direzione e
coordinamento - che influenza ciascuna di esse10.
Successivamente, mediante il D.Lgs. n.310/2004 (c.d. «correttivo bis» alla
riforma del diritto societario), il legislatore è intervenuto sulla complessiva
materia delle operazioni con parti correlate, introducendo una specifica norma
nel codice civile, l’art. 2391-bis. In particolare, il legislatore ha recepito i principi
fondamentali raccomandati dal codice di autodisciplina all’epoca vigente e ha
stabilito i termini generali dei compiti e delle responsabilità in materia di
operazioni con parti correlate degli organi di amministrazione e controllo delle
«società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio»11, delle quali le
società emittenti titoli quotati rappresentano certamente il tipo più significative.
10
Sull’argomento, si veda, tra gli altri: P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei
gruppi societari: principi e problemi, in Rivista delle società, 2006, pp. 317-344.
11
Secondo l’art. 2325-bis c.c., «sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio sia le società con azioni quotate in mercati regolamentati, sia le società con azioni
diffuse fra il pubblico in maniera rilevante».
Oltre alle società quotate, dunque, sono soggette alla disciplina stabilità dall’art. 2391-bis
anche le c.d. «società con azioni diffuse fra il pubblico in maniera rilevante». Si tratta di una
categoria che, all’art. 2-bis del Regolamento Emittenti, la Consob definisce nel modo seguente:
«1. Sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali,
contestualmente: (a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200
che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%; (b) non
abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell'articolo 2435-bis,
primo comma, del codice civile. 2. I limiti di cui al comma precedente si considerano superati
soltanto se le azioni alternativamente: (i) abbiano costituito oggetto di una sollecitazione
all'investimento o corrispettivo di un'offerta pubblica di scambio; (ii) abbiano costituito oggetto
di un collocamento, in qualsiasi forma realizzato, anche rivolto a soli investitori professionali
come definiti ai sensi dell'articolo 100 del TUF; (iii) siano negoziate su sistemi di scambi
organizzati con il consenso dell'emittente o del socio di controllo; (iv) siano emesse da banche e
siano acquistate o sottoscritte presso le loro sedi o dipendenze. 3. Non si considerano emittenti
diffusi quegli emittenti le cui azioni sono soggette a limiti legali alla circolazione riguardanti
anche l'esercizio dei diritti aventi contenuto patrimoniale, ovvero il cui oggetto sociale prevede
53
L’approccio del legislatore è stato estremamente cauto e, comprendendo la
delicatezza e l’elevato grado di tecnicità della materia, ha previsto un’ampia
delega alla Consob per la statuizione dei principi generali relativi alle «regole che
assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle
operazioni con parti correlate».
In una prima fase, la Consob ha utilizzato solo parzialmente la delega
conferita, limitandosi sostanzialmente solo a fornire la definizione delle «parti
correlate» e occupandosi soprattutto di precisare i contenuti e le modalità
dell’informativa al mercato, più che del vero e proprio processo decisionale.
Nel marzo 2006, nell’assenza della regolamentazione Consob, il Comitato
per la Corporate Governance della Borsa Italiana ha pubblicato una nuova
versione del codice di autodisciplina, in cui vengono forniti alcune indicazioni
sulle regole da adottare ai sensi dell’art. 2391-bis.
Nell’aprile 2008, al termine di un processo durato circa un anno, la Consob
ha presentato una prima proposta di regolamentazione in materia di operazioni
con parti correlate, sottoponendola ai commenti degli operatori12.
esclusivamente lo svolgimento di attività non lucrative di utilità sociale o volte al godimento da
parte dei soci di un bene o di un servizio. 4. Sono emittenti obbligazioni diffuse fra il pubblico
in misura rilevante gli emittenti italiani dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque
milioni di euro e con un numero di obbligazionisti superiore a duecento».
La Consob cura periodicamente l’aggiornamento di un apposito «Elenco degli emittenti
strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante». Nell’ultimo aggiornamento
disponibile, relativo alla data del 1.2.2009 e avvenuto a mezzo della Delibera n. 16804, si tratta
di n. 90 società, quasi esclusivamente casse di risparmio e altri istituti finanziari a carattere
territoriale.
12
CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in
materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008. Nel documento,
la Consob spiega le ragioni del differimento dell’intervento regolamentare: « la Consob ha
ritenuto opportuno dare attuazione alla delega contenuta nell’art. 2391-bis c.c. una volta
completato il quadro regolamentare di attuazione della c.d. riforma per la tutela del risparmio introdotta con la legge n. 262 del 28 dicembre 2005 e da ultimo modificata con il d.lgs n. 303
del 29 dicembre 2006 (c.d. decreto Pinza) - al fine di poter disporre di un contesto normativo
della disciplina societaria sufficientemente stabile e organico nel quale inserire le disposizioni
regolamentari in materia di operazioni con parti correlate. In particolare si è ritenuto opportuno
definire preliminarmente le misure attuative delle nuove disposizioni introdotte dalla riforma in
materia di elezione e composizione degli organi di amministrazione e controllo, anche in
considerazione del ruolo che essi sono chiamati a svolgere nel dare concreta attuazione ai
principi fissati dalla Consob. L’art. 2391-bis, infatti, attribuisce un ruolo essenziale alla
autoregolamentazione delle singole società le quali, attraverso gli organi amministrativi e nel
54
Le difficoltà incontrate dalla Consob nel procedere alla regolamentazione
delegata dal legislatore – testimoniate dal numero e dal tenore dei commenti al
documento di consultazione, di cui si dirà brevemente nell’ultimo capitolo –
costituiscono una evidente conferma di quanto possa essere notevole l’impatto
delle norme sulle operazioni con parti correlate per il funzionamento delle grandi
imprese. A oltre un anno dalla chiusura della consultazione, probabilmente anche
in considerazione della difficile fase vissuta dai mercati finanziari e
dall’economia reale a partire dalla seconda metà del 2008, che ha certamente
influito sulle priorità dell’intervento normativo, la proposta di regolamentazione
non è stata ancora resa definitiva13.
Da ultimo, in ordine temporale, si segnala l’introduzione da parte del
legislatore, in attuazione della direttiva 2006/46/CE, del punto 22-bis) dell’art.
2427 del codice civile. La norma in parola, che si applica a tutte le società per
azioni, anche non quotate, prevede alcuni obblighi di informativa in materia di
operazioni con parti correlate, seppure limitati alle sole operazioni «rilevanti» e
che «non siano state concluse a normali condizioni di mercato.
2.3.
La normativa vigente in materia di operazioni con parti
correlate: quadro di sintesi
La normativa sulle operazioni con parti correlate si presenta notevolmente
articolata, dal momento che, per le operazioni in parola, alle disposizioni
normative generali in materia di amministrazione e controllo delle società per
azioni si aggiungono non soltanto alcune specifiche disposizioni di legge,
presenti in parte nel codice civile e in parte nel D.Lgs. n. 58/1998, ma anche
alcune norme regolamentari emanate dalla Consob, nonché le raccomandazioni,
comunicazioni e circolari trasmesse dalla stessa autorità di controllo al fine di
integrare e interpretare il quadro normativo vero e proprio.
In proposito, può osservarsi che la notevole complessità delle problematiche
connesse alle operazioni con parti correlate e, più in generale, ai conflitti
quadro dei principi generali determinati dalla Consob, devono stabilire regole puntuali e
dettagliate in materia.
13
Nell’agosto 2009, successivamente alla stesura del presente lavoro, la Consob ha
proceduto a mettere in consultazione una nuova e riveduta proposta di regolamentazione, che ha
apportato alcune significative semplificazioni rispetto alla precedente proposta, pur
mantenendone l’impostazione generale.
55
d’interesse che caratterizzano gli assetti di governance delle grandi imprese, si
riflette anche sulla normativa in materia, che appare oltremodo articolata, poco
sistematizzata, difficilmente comprensibile nella sua globalità e, sotto alcuni
aspetti, aperta a molteplici interpretazioni.
Restringendo il campo esclusivamente alle norme legislative e
regolamentari espressamente dedicate alle operazioni con parti correlate e
ispirando l’analisi alla massima semplificazione – nella consapevolezza di
inevitabili forzature e approssimazioni – si possono enucleare due principali
ambiti normativi:
i) le norme che pongono particolari presidi ai procedimenti deliberativi delle
operazioni con parti correlate;
ii) le norme relative agli obblighi di informativa al mercato.
Nei paragrafi che seguono, si riportano sinteticamente gli aspetti essenziali
delle norme che possono essere ricondotte ai due ambiti individuati.
2.3.1.
correlate
I presidi ai procedimenti deliberativi delle operazioni con parti
Le norme di legge che più rilevano nella conduzione dei processi
deliberativi relativi alle operazioni con parti correlate (per il cui approfondimento
si fa rinvio al terzo capitolo) sono le seguenti14:
- l’art. 2391-bis del codice civile, che costituisce il fulcro della disciplina e
delinea gli aspetti generali del processo di deliberazione delle operazioni con
parti correlate; in particolare, all’organo amministrativo viene affidato il compito
di stabilire le regole in materia, ispirate al conseguimento degli obiettivi di
trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale; all’organo di controllo,
invece, viene affidato il compito di vigilare sulle regole stabilite;
14
Nell’elenco proposto figurano esclusivamente le norme che si applicano alla generalità
delle società con azioni quotate, mentre sono escluse le ulteriori norme previste per le imprese
operanti in settori particolari, come il settore bancario e quello assicurativo.
56
- l’art. 2391 del codice civile, che disciplina i casi in cui gli amministratori
si trovino a detenere un interesse, per conto proprio o di terzi, in una certa
operazione della società;
- gli art. 2497 e ss. del codice civile, che regolano gli aspetti fondamentali
dei rapporti tra le società soggette alla medesima attività di direzione e
coordinamento, che, com’è intuitivo, costituiscono anche delle parti tra loro
correlate; in particolare, l’art. 2497-ter richiede che «le decisioni delle società
soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate,
debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle
ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione»;
- l’ art. 2, comma 1, lettera h) del Regolamento Emittenti, che fornisce la
definizione di parte correlata, facendo rimando al «principio contabile
internazionale concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti
correlate, adottato secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE)
n. 1606/2002», cioè il principio contabile IAS 24 – Informativa di bilancio sulle
operazioni con controparti correlate.
- l’art. 150 del D.Lgs. n. 58/1998, che pone, in capo agli amministratori,
precisi obblighi di informativa, a cadenza almeno trimestrale, nei confronti
dell’organo di controllo, con particolare riguardo alle operazioni nelle quali essi
abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal
soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento;
- l’art. 37, comma 1, lett. c) del Regolamento Mercati, che prevede che «le
azioni di società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di
un’altra società non possono essere ammesse alle negoziazioni in un mercato
regolamentato italiano ove tali società: (…)
c) abbiano in essere con la società che esercita la direzione unitaria ovvero
con altra società del gruppo a cui esse fanno capo un rapporto di tesoreria
accentrata, non rispondente all’interesse sociale. La rispondenza all’interesse
sociale è attestata dall’organo di amministrazione con dichiarazione
analiticamente motivata e verificata dall’organo di controllo».
57
2.3.2. Gli obblighi di trasparenza informativa
Per quanto concerne l’informativa esterna sulle operazioni con parti
correlate è opportuno distinguere:
A) gli obblighi di informativa ordinaria/periodica;
B) gli obblighi di informativa straordinaria/speciale, subordinati al
compimento di operazioni di particolare rilevanza.
A) Gli obblighi di informativa periodica si riferiscono al contenuto delle
relazioni finanziarie (annuali e intermedie) e dei documenti che le accompagnano
(in particolare, al contenuto della relazione sulla gestione15).
Le norme che dettano la disciplina dell’informativa periodica, che riguarda
sia gli aspetti quantitativi che alcuni aspetti qualitativi delle operazioni compiute,
possono essere compendiate come segue:
- il principio contabile IAS 24 “Informativa di bilancio sulle operazioni con
parti correlate”, omologato dall’Unione Europea16, che stabilisce le informazioni
da fornirsi nelle relazioni finanziarie periodiche redatte secondo il modello di
bilancio IAS/IFRS;
- l’art. 2391-bis del codice civile, in cui il legislatore stabilisce che le regole
adottate dagli amministratori per l’effettuazione di operazioni con parti correlate
debbano essere descritte nella relazione sulla gestione;
- l’art. 154-ter del D.Lgs. n.58/1998, che, al comma 4, prevede l’obbligo di
inserire, nelle relazioni intermedie di gestione degli emittenti azioni quotate
aventi l'Italia come Stato membro d'origine, «informazioni sulle operazioni
rilevanti con parti correlate»; il medesimo articolo, al comma 6, attribuisce alla
Consob il compito di definire quali informazioni debbano essere inserite;
15
Rientra in questo ambito anche l’informativa fornita dal Collegio Sindacale nella
propria relazione annuale all’assemblea, di cui si è detto nel paragrafo precedente.
16
Si ricorda che la Commissione Europea ha recentemente messo ordine tra i regolamenti
omologativi, con l’emanazione del regolamento CE/1126/2008 che ha organicamente recepito e
sostituito il regolamento CE/1725/2003 e tutti gli emendamenti successivi.
58
- in proposito, l’art. 81, comma 1, del Regolamento Emittenti, modificato
dalla Consob con la delibera n. 16850 dell'1.4.2009, specifica che la relazione
intermedia di gestione deve contenere «un'informazione analitica:
a) sulle singole operazioni con parti correlate concluse nel periodo di
riferimento che hanno influito in misura rilevante sulla situazione patrimoniale o
sui risultati dell'emittente; e
b) su qualsiasi modifica o sviluppo delle operazioni con parti correlate
descritte nelle precedenti relazioni che potrebbe avere un effetto significativo
sulla situazione patrimoniale o i risultati dell'impresa»;
- la delibera Consob n. 15519 del 27 luglio 2006 (“Disposizioni in materia
di schemi di bilancio da emanare in attuazione dell’art. 9, comma 3, del decreto
legislativo n. 38 del 28 febbraio 2005”), con la quale l’autorità di - vigilanza ha
meglio precisato alcuni aspetti degli schemi di bilancio previsti nel modello
IAS/IFRS, indicando, tra l’altro che «oltre a quanto specificatamente indicato
nello IAS 1 nonché negli altri principi contabili internazionali», le società sono
obbligate ad evidenziare «nei prospetti di stato patrimoniale, conto economico e
rendiconto finanziario, gli ammontari delle posizioni o transazioni con parti
correlate, distintamente dalle voci di riferimento. Tale indicazione può essere
omessa per singole voci qualora la presentazione non sia significativa ai fini della
comprensione della posizione finanziaria e patrimoniale, del risultato economico
e dei flussi finanziari dell'impresa e/o del gruppo»;
- la comunicazione n. 6064293 del 28 luglio 2006, nella quale vengono
indicate alcune informazioni integrative in materia di operazioni con parti
correlate da inserire nelle note al bilancio e nella relazioni sulla gestione.
Più precisamente, la comunicazione dell’autorità di vigilanza richiede, nelle
note al bilancio:
a) «in aggiunta a quanto previsto dal principio contabile internazionale in
materia di ‘Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate’ (IAS 24),
le informazioni dell’incidenza che le operazioni o posizioni con parti correlate,
così come classificate dallo stesso IAS 24, hanno sulla situazione patrimoniale e
finanziaria, sul risultato economico nonché sui flussi finanziari della società e/o
del gruppo. Le informazioni relative alle parti correlate ed ai rapporti con esse
intrattenuti devono essere accompagnate da una tabella riepilogativa di tali
effetti».
59
b) l’«ammontare della posizione finanziaria netta riportando il dettaglio
delle sue principali componenti e l’indicazione delle posizioni di debito e di
credito verso parte correlate»17;
e, nella relazione sulla gestione:
c) la «descrizione delle principali operazioni atipiche e/o inusuali avvenute
nel corso del periodo contabile di riferimento nonché degli effetti prodotti sulla
situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa e, nel caso di
operazioni infragruppo e di operazioni con parti correlate, l’indicazione
dell’interesse della società al compimento dell’operazione»;
- l’art. 2497-ter del codice civile, che impone che venga dato «adeguato
conto» nella relazione sulla gestione delle «decisioni delle società soggette ad
attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate».
- l’art. 2427, punto 22-bis) del codice civile, introdotto dal D.Lgs.
n.173/2008 in attuazione della direttiva 2006/46/CE, che stabilisce, per le società
che redigono il bilancio d’esercizio secondo il modello civilistico, alcuni
specifici obblighi di informativa in materia di operazioni con parti correlate,
seppure limitati alle sole operazioni «rilevanti» e che «non siano state concluse a
17
In proposito, la Consob specifica che per la definizione della posizione finanziaria netta
le società devono fare riferimento a quanto indicato sull’argomento nella Raccomandazione del
CESR del 10 febbraio 2005 "Raccomandazioni per l’attuazione uniforme del regolamento della
Commissione Europea sui prospetti informativi", in cui si prevede la seguente impostazione:
A. Cassa
B. Altre disponibilità liquide (dettagli)
C. Titoli detenuti per la negoziazione
D. Liquidità (A) + (B) + (C)
E. Crediti finanziari correnti
F. Debiti bancari correnti
G. Parte corrente dell’indebitamento non corrente
H. Altri debiti finanziari correnti
I. Indebitamento finanziario corrente (F)+(G)+(H)
J. Indebitamento finanziario corrente netto (I) – (E) – (D)
K. Debiti bancari non correnti
L. Obbligazioni emesse
M Altri debiti non correnti
N. Indebitamento finanziario non corrente (K) + (L) + (M)
O. Indebitamento finanziario netto (J) + (N)
60
normali condizioni di mercato»; in particolare, per tali operazioni, la norma
richiede che vengano precisati: «l'importo, la natura del rapporto e ogni altra
informazione necessaria per la comprensione del bilancio»18.
- l’art. 153 del D.Lgs. n.58/1998, nel quale si stabilisce che l’organo di
controllo debba riferire all’assemblea convocata per l'approvazione del bilancio
di esercizio «sull'attività di vigilanza svolta e sulle omissioni e sui fatti
censurabili rilevati» e nella quale - secondo la Comunicazione Consob
DEM/1025564 trasmessa il 6 aprile 2001 ai Collegi Sindacali delle società
quotate – devono essere indicate precise informazioni sulle operazioni con parti
correlate concluse dalla società19;
18
Si riporta di seguito il testo della norma in commento: «la nota integrativa deve
indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni: (…) 22-bis) le operazioni realizzate con
parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria
per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non
siano state concluse a normali condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole
operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata
evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla
situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società». Si noti inoltre che
il secondo comma dell’art. 2427 precisa che: «Ai fini dell'applicazione del primo comma,
numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le
definizioni di "strumento finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte
correlata" e "modello e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai
principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea».
19
In particolare, la Consob raccomanda che la relazione contenga, tra l’altro, le seguenti
informazioni:
«2. Indicazione dell'eventuale esistenza di operazioni atipiche e/o inusuali, comprese
quelle infragruppo o con parti correlate (3); inoltre,
2.1 Per le operazioni atipiche e/o inusuali effettuate con parti correlate ovvero in grado di
incidere in maniera significativa sulla situazione economico, patrimoniale e finanziaria della
società, sintetica descrizione delle operazioni rilevate con l'indicazione:
- delle caratteristiche delle operazioni,
- dei soggetti coinvolti e della loro correlazione con l'emittente;
- delle modalità di determinazione del prezzo;
- degli effetti economici e patrimoniali;
- delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza
all'interesse della società;
2.2. per le operazioni atipiche e/o inusuali con terzi o con società infragruppo, sintetica
indicazione:
- delle caratteristiche delle operazioni;
61
B) Le norme che disciplinano gli obblighi di informativa
straordinaria/speciale in materia di operazioni con parti correlate riguardano
specifiche comunicazioni da trasmettere successivamente al compimento di
operazioni con parti correlate particolarmente significative.
In particolare, gli art. 71-bis e 91-bis del Regolamento Emittenti prevedono
che, «in occasione di operazioni con parti correlate, concluse anche per il tramite
di società controllate, che per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di
realizzazione possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o
sulla completezza e correttezza delle informazioni, anche contabili, relative
all'emittente», debba essere pubblicato un comunicato informativo al mercato
(art. 71-bis) e alla Consob (art. 91-bis) entro quindici giorni dalla loro
conclusione, redatto in conformità all'Allegato 3B dello stesso Regolamento
Emittenti, nel quale la Consob indica le informazioni che devono essere fornite
sull’operazione
(più
precisamente,
nello
schema
n.4)20;
si noti tuttavia che, laddove l’operazione costituisca informazione privilegiata ai
sensi dell’art. 181 del D.Lgs. n.58/199821, il predetto obbligo deve essere assolto,
- delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza all'interesse della
società;
2.3. per le operazioni infragruppo e con parti correlate di natura ordinaria, sintetica
indicazione:
- delle caratteristiche delle operazioni, fornendo per le sole operazioni con parti
correlate gli effetti economici;
- delle valutazioni del collegio circa la loro congruità e rispondenza all'interesse
della società;
3. Valutazione circa l'adeguatezza delle informazioni rese, nella relazione sulla gestione
degli amministratori, in ordine alle operazioni atipiche e/o inusuali, comprese quelle
infragruppo e con parti correlate».
20
Per le evidenze empiriche sulla pubblicazione, da parte delle società quotate italiane, di
documenti informativi sulle operazioni con parti correlate si rinvia a: CONSOB, Disciplina
regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con
parti correlate. Documento di consultazione, 2008, Appendice 3, pp. 126 e ss.
21
La norma in parola stabilisce che «per informazione privilegiata si intende
un'informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o
indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se
resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari».
62
invece, con una comunicazione emessa «senza indugio» ai sensi dell’art.66 del
Regolamento Emittenti.
2.4.
La definizione di «parte correlata»: il rinvio della normativa al
principio contabile IAS 24
Il legislatore, all’art. 2391-bis del codice civile si limita a fissare le linee di
indirizzo in materia di operazioni parti correlate, riservando alla potestà
regolamentare della Consob la definizione degli aspetti tecnici e di maggior
dettaglio della disciplina. In particolare, il legislatore non fornisce neppure delle
indicazioni di massima su quali criteri debbano essere adottati per definire se un
certo soggetto vada o meno considerato una parte correlata e se,
conseguentemente, alle operazioni compiute con tale soggetto debbano o meno
applicarsi le disposizioni in materia.
La Consob, mediante la delibera n. 14990 del 14.4.2005, ha fornito la
definizione di parte correlata, introducendo all’art. 2, comma 1, lettera h) del
Regolamento Emittenti, un rimando al «principio contabile internazionale
concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate, adottato
secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002»,
cioè il principio contabile IAS 24 – Informativa di bilancio sulle operazioni con
controparti correlate22.
22
Si noti che già in precedenza, con la comunicazione DEM/2064231 del 30 settembre
2002, la Consob aveva fornito una prima definizione di parte correlata, fondata sull’allora
vigente IAS 24 (1994), pur se con alcuni adattamenti connessi alle specifiche nozioni giuridiche
del diritto italiano (in particolare venivano ricondotti al nostro ordinamento i concetti di
controllo, influenza notevole e familiarità). La definizione, poi abrogata, era la seguente: «Le
parti correlate sono definite come segue:
a) i soggetti che controllano, sono controllati da, o sono sottoposti a comune controllo con
l'emittente;
b) gli aderenti, anche in via indiretta, a patti parasociali di cui all'art. 122, comma 1, del
D.Lgs. n. 58/98, aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto, se a tali patti è conferita una
partecipazione complessiva di controllo;
c) i soggetti collegati all'emittente e quelli che esercitano un'influenza notevole
sull'emittente medesimo;
d) coloro ai quali sono attribuiti poteri e responsabilità in ordine all'esercizio delle
funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell'emittente;
63
La scelta della Consob di allineare l’intero impianto normativo in materia di
operazioni con parti correlate ai criteri definitori previsti dallo IAS 24 è motivata,
come in più sedi osservato dalla stessa autorità di vigilanza23, dalla
consapevolezza che la previsione di due diverse definizioni ai fini normativi e ai
fini di bilancio possa determinare inutili oneri amministrativi in capo alle società
destinatarie della normativa.
Preliminarmente, occorre sottolineare che la definizione posta dallo IAS 24
è finalizzata espressamente allo scopo di «assicurare che il bilancio di un’entità
contenga le informazioni integrative necessarie a evidenziare la possibilità che la
sua situazione patrimoniale-finanziaria ed il suo risultato economico possano
essere stati influenzati dall’esistenza di parti correlate e da operazioni e saldi in
essere con tali parti»24.
Si evidenzia dunque una diversità tra lo scopo del principio contabile IAS
24, che si pone inevitabilmente in una prospettiva ex post di rappresentazione
degli effetti di operazioni già avvenute, e la finalità delle disposizioni di cui
all’art. 2391-bis, che si pongono soprattutto in una prospettiva ex ante, essendo
finalizzate a garantire, oltre alla trasparenza, anche la correttezza delle operazioni
di gestione effettuate con controparti correlate.
e) gli stretti familiari delle persone fisiche ricomprese nelle lettere a), b), c) e d);
f) i soggetti controllati dalle persone fisiche ricomprese nelle lettere b), c), d) ed e), o sui
quali le persone fisiche ricomprese nelle lettere a), b), c), d) ed e) esercitano un'influenza
notevole;
g) i soggetti che hanno in comune con l'emittente la maggioranza degli amministratori.
Ai fini di quanto disposto dalla suindicata definizione si precisa che:
- per controllo si intende quello previsto dall'art. 93 del D.Lgs. n. 58/98;
- per collegamento ed influenza notevole si intendono quelli previsti dall'art. 2359,
comma 3, del codice civile;
- tra i soggetti di cui alla lettera d) si intendono compresi i componenti degli organi
sociali, i direttori generali e i dirigenti dotati di poteri conferiti dal Consiglio di
Amministrazione;
- per stretti familiari si intendono quelli potenzialmente in grado di influenzare la persona
fisica correlata all'emittente, o esserne influenzati, nei loro rapporti con l'emittente medesimo,
tra cui i conviventi; in ogni caso si considerano stretti familiari il coniuge non legalmente
separato, i parenti e gli affini entro il secondo grado».
23
Da ultimo, si veda: CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis
del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione,
2008, p. 59.
24
Ibidem, par. 1.
64
In proposito, si può ritenere che, anche se inserita nell’ambito di una diversa
finalità, la validità della definizione proposta dallo IAS 24 non risulti
pregiudicata. Una parte correlata, infatti, è definibile come tale in considerazione
delle relazioni che la collegano ai soggetti che detengono il potere di influenzare
le decisioni dell’azienda. Mutando la prospettiva di osservazione (ex post nello
IAS 24 ed ex ante nella normativa ex 2391-bis) si modificano soltanto le
modalità con le quali è possibile identificare tali relazioni: nel primo caso,
l’individuazione può avvenire anche in un momento successivo al compimento
dell’operazione (ad esempio, in occasione della chiusura del bilancio), nel
secondo, invece, deve avvenire necessariamente in via preliminare al
compimento stesso dell’operazione. Queste problematiche verranno approfondite
nel terzo capitolo.
Nel formulare la definizione delle «parti correlate» lo IAS 24 non si è
limitato a indicare una definizione generale, ma ha stabilito alcuni precisi criteri,
limitando notevolmente, seppure non completamente, gli spazi di discrezionalità
dei soggetti chiamati ad applicare tali criteri (nell’originale finalità, i responsabili
della redazione del bilancio).
Tali criteri sono il punto di arrivo di un percorso di affinamento che lo
standard setter ha iniziato nei primi anni Ottanta e che ha condotto
progressivamente all’attuale formulazione, frutto dell’ultima revisione del
principio, avvenuta nel 200325.
25 I primi a percepire l’opportunità di stabilire una precisa definizione delle parti correlate
erano stati i revisori contabili statunitensi, al fine di delimitare meglio le loro responsabilità
riguardo ad una materia tanto delicata, considerato anche il loro coinvolgimento in alcuni
procedimenti giudiziari relativi a casi di frode contabile (si veda la nota 8 a p. 13). Con tale
finalità, nel 1975, l’American Institute of Certified Public Acccountants aveva pubblicato uno
specifico principio di revisione, lo Statement of Auditing Standard n. 6 - Related pary
transactions.
Nel marzo 1982, il FASB americano emana il primo principio contabile sulla materia, lo
Statement of financial reporting standard No. 57 Related party disclosures. Nel marzo 1983 lo
IASC pubblica l’Exposure Draft E25 Disclosure of Related Party Transactions, che si traduce
nella prima versione dello IAS 24 Related Party Disclosures, approvata nel luglio 1984 ed
entrata in vigore il 1° gennaio 1986.
Una prima significativa revisione dello IAS 24 risale al 1994, mentre l’attuale
formulazione è stata oggetto di approvazione da parte dello IASB nel dicembre 2003 ed è
entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2005.
65
Nel prospetto sinottico che segue si riporta sia la definizione di parte
correlata fornita dal principio IAS 24 nella versione omologata in lingua inglese,
che riprende esattamente il principio emanato dallo standard setter, sia la
versione tradotta dall’Unione Europea in sede di omologazione. Come si dirà, la
traduzione delle definizioni in lingua italiana rischia, in alcuni casi, di favorire
interpretazioni erronee e di sollevare dubbi interpretativi che, alla luce
dell’originale stesura formulata dallo standard setter, non hanno ragione di
sussistere.
Tabella 2. – La definizione di parte correlata: raffronto tra il testo in lingua
inglese e il testo in lingua italiana
Lingua inglese
A party is related to an
entity if:
a) directly, or indirectly
through
one
or
more
intermediaries, the party:
i) controls, is controlled by,
or is under common control
with, the entity (this includes
parents, subsidiaries and fellow
subsidiaries);
ii) has an interest in the
entity that gives it significant
influence over the entity; or
iii) has joint control over
the entity;
Lingua italiana
Una parte è correlata a
un’entità se:
a)
direttamente,
o
indirettamente attraverso uno o
più intermediari, la parte:
i) controlla l’entità, ne è
controllata, oppure è sotto
comune controllo (ivi incluse le
entità controllanti, le controllate
e le altre società del gruppo);
ii)
detiene
una
partecipazione nell’entità tale da
poter esercitare un’influenza
notevole su quest’ultima; o
iii)
controlla
Si ricordi che, nel 2007, lo IASB ha avviato una procedura di consultazione finalizzata
alla revisione di alcuni aspetti critici dello IAS 24, tra i quali proprio la definizione di parte
correlata, che si è tradotta in due successivi Exposure Draft pubblicati nel 2007 e nel 2008
(IASB, Exposure Draft of proposed Amendments to IAS 24 Related Party Disclosures - Statecontrolled Entities and the Definition of a Related Party, 2007; ID., Relationships with the State
(proposed amendments to IAS 24 Related Party Disclosures), 2008). All’epoca della redazione
del presente lavoro, lo IASB non ha approvato alcuna modifica alla formulazione del 2003,
pertanto nel presente lavoro si fa riferimento ad essa. Sulle modificazioni all’attuale definizione
previste dallo IASB si svolgeranno alcuni approfondimenti al termine del presente capitolo.
66
Lingua inglese
Lingua italiana
congiuntamente l’entità;
b) the party is an associate
b) la parte è una società
(as defined in IAS 28 collegata (secondo la definizione
Investments in associates) of the dello IAS 28 Partecipazioni in
entity;
società collegate) dell’entità;
c) the party is a joint
c) la parte è una joint
venture in which the entity is a venture in cui l’entità è una
venturer (see IAS 31 Interests in partecipante (cfr. IAS 31
joint ventures);
Partecipazioni in joint venture);
d) the party is a member of
d) la parte è uno dei
the key management personnel dirigenti con responsabilità
of the entity or its parent;
strategiche dell’entità o della sua
controllante;
e) the party is a close
e) la parte è uno stretto
member of the family of any familiare di uno de<i soggetti di
individual referred to in (a) or cui ai punti a) o d);
(d);
f) the party is an entity that
is controlled, jointly controlled
or significantly influenced by, or
for which significant voting
power in such entity resides
with, directly or indirectly, any
individual referred to in (d) or
(e); or
f) la parte è un’entità
controllata,
controllata
congiuntamente o soggetta ad
influenza notevole da parte di
uno dei soggetti di cui ai punti
d) o e), ovvero tali soggetti
detengono,
direttamente
o
indirettamente,
una
quota
significativa di diritti di voto; o
(g) the party is a postg) la parte è un piano per
employment benefit plan for the benefici successivi alla fine del
benefit of employees of the rapporto di lavoro a favore dei
67
Lingua inglese
Lingua italiana
entity, or of any entity that is a dipendenti dell’entità, o di una
related party of the entity.
qualsiasi altra entità a essa
correlata.
Nei paragrafi che seguono si analizzano i singoli criteri di correlazione
previsti dal principio IAS 24, facendo ricorso ad alcuni esempi che sappiano
mettere in luce quali soggetti (persone fisiche, società, ecc.) rientrino nella
definizione di parti correlate fornita dallo IAS 24, nonché le eventuali
problematiche che possono incontrare gli amministratori nella loro
individuazione. Ad indicare la singola entità giuridica chiamata ad applicare le
disposizioni di cui all’art. 2391-bis, si utilizza l’espressione «reporting entity»,
che, nei principi contabili IAS/IFRS, indica comunemente il soggetto che
predispone il bilancio26, anche al fine di ricordare la duplice finalità con la quale
gli amministratori sono chiamati ad individuare le parti correlate.
Preliminarmente, tuttavia, va ricordato che, nel paragrafo 10, IAS 24
puntualizza che, nel considerare ogni «possibile relazione con una parte
correlata», l’attenzione deve essere diretta alla sostanza della relazione e non alla
sua mera forma giuridica27. Tale prescrizione presenta una non facile
interpretazione e potrebbe indurre a pensare che lo standard setter voglia
indicare che possono esistere parti correlate che non ricadano nelle condizioni
26
In proposito, occorre precisare che la definizione di «reporting entity» è stata oggetto di
un discussion paper pubblicato congiuntamente dallo IASB e dal FASB nel maggio 2008,
nell’ambito del progetto di convergenza tra i conceptual framework dei due standard setter.
IASB, Preliminary views on an improved conceptual framework for financial reporting. The
Reporting Entity. Discussion Paper, 2008. In tale documento, si propone di assegnare
all’espressione un significato notevolmente più ampio rispetto a quello utilizzato nel presente
lavoro.
27
Anche in questo caso è bene interpretare la traduzione italiana («Nell’esame di ciascun
rapporto con parti correlate l’attenzione deve essere rivolta alla sostanza del rapporto e non
semplicemente alla sua forma giuridica» ) alla luce dell’originario testo in lingua inglese: «In
considering each possible related party relationship, attention is directed to the substance of the
relationship and not merely the legal form», Ibidem, par. 10. Si noti che nella traduzione italiana
viene meno l’aggettivo «possibile» lasciando spazio al dubbio interpretativo di cui si dirà tra
poco, totalmente infondato se si guarda alla definizione nel suo testo originale.
68
dallo stesso espressamente indicate. In altre parole, potrebbe lasciare intendere
che esistono parti correlate che sfuggono alla definizione fornita dallo IASB.
Non è ragionevole accogliere tale interpretazione, che presupporrebbe
un’implicita ammissione, da parte dello stesso standard setter, che la definizione
fornita non costituisce una vera e propria definizione, ma una semplice
esemplificazione (non esaustiva) delle possibili relazioni di correlazione.
L’inaccettabilità di tale interpretazione appare evidente se si considera che la
definizione fornita al paragrafo 9 è assolutamente categorica, non contenendo
alcuna indicazione, neppure implicita, a criteri residuali di individuazione, e che
lo standard setter inserisce il richiamo al principio della sostanza solo nel
successivo paragrafo 10, facendo riferimento, specificamente, all’attività di
«esame» delle possibili relazioni con parti correlate.
In tale ottica, si ritiene che il richiamo dello IAS 24 al principio della
prevalenza della sostanza sulla forma vada interpretato come l’indicazione
dell’atteggiamento da tenere con riferimento agli spazi di discrezionalità concessi
dai criteri stessi, di cui si dirà nel prosieguo.
2.4.1. Il criterio a.i): i soggetti controllanti, controllati e sottoposti a
comune controllo
Il criterio a.i) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se: a)
direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: i)
controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le
entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo)».
Si sottolinea preliminarmente che l’espressione indicata “fra parentesi” («ivi
incluse...») rappresenta semplicemente una maggiore specificazione di quanto
enunciato nella prima parte del criterio. Il riferimento al «gruppo», infatti, che
potrebbe far pensare ad una qualche limitazione del criterio, magari con
riferimento al più ampio bilancio consolidato esistente, costituisce solo la
traduzione poco felice del testo originale in lingua inglese28, nel quale non si
parla di «società del gruppo» ma di società sottoposte ad un comune controllo
(«fellow subsidiaries»).
28
«A party is related to an entity if: (a) directly, or indirectly through one or more
intermediaries, the party: (i) controls, is controlled by, or is under common control with, the
entity (this includes parents, subsidiaries and fellow subsidiaries», Ibidem, par. 9.
69
In proposito, non si dimentichi che sono proprio le operazioni con società
sottoposte a comune controllo, ma escluse dal consolidamento, a rappresentare la
fattispecie più rischiosa di operazioni, come si è concretamente evidenziato in
modo drammatico in alcuni degli scandali finanziari dei primi anni Duemila (in
particolare, nei casi Enron e Parmalat).
Prima di procedere ad un esempio applicativo del criterio a.i), è necessario
precisare quale sia la nozione di «controllo» da utilizzare.
Al riguardo, il principio contabile IAS 24 si limita a fornire una definizione
generale di controllo: «il controllo è il potere di determinare le politiche
finanziarie e gestionali di un’entità al fine di ottenere benefici dalle sue
attività»29.
Nonostante il principio IAS 24 non vi faccia un esplicito rimando, per una
maggiore specificazione della definizione di controllo si può fare riferimento al
principio IAS 27 Bilancio consolidato e separato, tenuto conto della perfetta
identità tra le definizioni generali di controllo riportate nei due principi30.
Lo IAS 27 stabilisce, in estrema sintesi31, che il controllo32:
29
Ibidem, par. 9.
Si osserva, infatti, che la definizione di «controllo» fornita dallo standard setter nel
paragrafo 4 dello IAS 27 è identica a quella del principio IAS 24.
31
Per un approfondimento, si rinvia, tra gli altri, a: M. CASÒ, Controllo di diritto e
controllo di fatto negli IFRS: le possibili interpretazioni dello IAS 27 e il comunicato dello IASB
di ottobre 2005, in Rivista dei dottori commercialisti, vol. 56, n. 6, 2005; M. TALIENTO,
Partecipazioni di controllo nei bilanci consolidati e separati IAS/IFRS, in Contabilità finanza e
controllo, vol. 30, n. 10, 2008.
32
In particolare, lo IAS 27 stabilisce che: «Si presume che esista il controllo quando la
capogruppo possiede, direttamente o indirettamente attraverso le proprie controllate, più della
metà dei diritti di voto di un’entità a meno che, in casi eccezionali, possa essere chiaramente
dimostrato che tale possesso non costituisce controllo. Il controllo esiste anche quando la
capogruppo possiede la metà, o una quota minore, dei diritti di voto esercitabili in assemblea se
essa ha:
a) il controllo di più della metà dei diritti di voto in virtù di un accordo con altri
investitori;
b) il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali dell’entità in forza di uno
statuto o di un accordo;
c) il potere di nominare o di rimuovere la maggioranza dei membri del consiglio di
amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è
detenuto da quel consiglio o organo; o
30
70
- si presume nei casi di possesso, diretto o indiretto, di più della metà dei
diritti di voto, a meno che, in casi eccezionali, possa essere chiaramente
dimostrato che tale possesso non costituisca controllo33;
- sussiste anche quando, indipendentemente dalla quota dei diritti di voto
esercitabili in assemblea, l’entità dispone (è sufficiente il verificarsi di una
soltanto delle condizioni indicate):
a) del controllo di più della metà dei diritti di voto in virtù di un accordo con
altri investitori;
b) del potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali dell’entità in
forza di uno statuto o di un accordo;
c) del potere di nominare o di rimuovere la maggioranza dei membri
dell’organo amministrativo;
d) del potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute
dell’organo amministrativo.
Si osserva che, in ossequio al principio della prevalenza della sostanza sulla
forma, che ispira il sistema dei principi contabili IAS/IFRS, ciò che rileva, nella
nozione di controllo specificata dallo IAS 27, è l’esercizio «effettivo» del
controllo.
d) il potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute del consiglio di
amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è
detenuto da quel consiglio o organo». IASB, IAS 27 - Consolidated and separate financial
statements, 2008, par. 13.
Si ricorda che il codice civile stabilisce la nozione di controllo all’art. 2359, primo
comma: «sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della
maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società
dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le
società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa». Al secondo comma precisa che «ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e
2) del comma 1° si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a
persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi».
Le diverse fattispecie di controllo considerate dalla norma sono comunemente indicate
come: «controllo interno (o azionario) di diritto» (sub n.1); «controllo interno (o azionario) di
fatto» (sub n.2); «controllo esterno (o contrattuale)» (sub n.3) ; «controllo indiretto».
33
Ad esempio, costituiscono «casi eccezionali» le società possedute con una percentuale
superiore al 50% ma sottoposte a procedure fallimentari o di amministrazione straordinaria,
oppure le società possedute con una partecipazione superiore al 50% ma in cui il controllo non
può essere esercitato per vincoli legislativi, ad esempio nel caso di una società che svolga la
funzione di banca depositaria nell’ambito del risparmio gestito.
71
La sussistenza di tale relazione può essere valutata con certezza solo in base
alle informazioni possedute da chi effettivamente esercita il controllo, mentre
soggetti diversi, persino chi subisce il controllo, potrebbero non disporre delle
informazioni necessarie.
Ad esempio, l’esistenza di un accordo che garantisca il controllo potrebbe
non necessariamente essere pubblico.
Si intuisce la difficoltà, per gli amministratori chiamati ad applicare il
criterio a.i), nel valutare gli assetti di controllo della propria società controllante
(e delle eventuali controllanti indirette) e nell’individuare le società sottoposte a
comune controllo. Tali difficoltà potrebbero divenire insormontabili laddove la
catena del controllo sia particolarmente lunga, soprattutto in presenza di società
situate in paesi a limitata trasparenza o di accordi di controllo strettamente
riservati.
Quanto osservato aiuta a comprendere perché, nei punti a.i), a.ii) e a.iii),
riguardo ai concetti di controllo, influenza notevole e controllo congiunto, non
sia presente alcun rimando agli specifici principi IAS 27, IAS 28 e IAS 31, in
evidente contrasto con il rimando esplicito contenuto nei successivi punti b) e c)
allo IAS 28 e allo IAS 31.
In proposito, si ritiene che lo standard setter, ponendosi in modo molto
opportuno nella prospettiva dell’organo amministrativo chiamato ad individuare
le parti correlate, abbia compreso la notevole differenza tra i rapporti in cui la
reporting entity ricopra una posizione in qualche modo «sovraordinata» (cioè sia
essa stessa ad esercitare il controllo, l’influenza notevole o il controllo congiunto,
direttamente o indirettamente) e i rapporti in cui, invece, essa si trovi in una
posizione in qualche modo «subordinata» (cioè la reporting entity subisca il
controllo, l’influenza notevole o il controllo congiunto da parte di altri soggetti).
Nelle fattispecie riconducibili al secondo caso, l’organo amministrativo
della reporting entity potrebbe non essere nella posizione per applicare in modo
compiuto le definizioni di controllo, collegamento e controllo congiunto
contenute nei principi IAS 27, 28 e 31, tenuto conto che detti principi si pongono
nella peculiare prospettiva del soggetto che esercita il controllo, l’influenza
notevole e il controllo congiunto e che tale soggetto dispone di una base
informativa ben più ampia rispetto a chi tali particolari rapporti, invece, li
subisce.
Sul punto, in conclusione, è da ritenersi che per le nozioni di controllo,
influenza notevole, controllo congiunto richiamate nei punti a.i), a.ii), a.iii), le
72
specifiche definizioni fissate dai principi IAS 27, 28 e 31 possano ritenersi degli
utili riferimenti che, tuttavia, devono essere applicati tenendo conto della
specifica posizione soggettiva della reporting entity e delle informazioni
conoscibili dal relativo organo amministrativo.
Inoltre, in analogia a quanto stabilito nei punti b) e c), che fanno esplicito
riferimento agli IAS 28 e 31, si ritiene che, alle società direttamente o
indirettamente controllate, è invece pienamente applicabile la nozione di
controllo contenuta nello IAS 27.
Alla luce di tale doverosa premessa, chiarito in che modo vada interpretato
il concetto di «controllo, la Figura seguente fornisce un’esemplificazione dei
possibili casi di correlazione contemplati dal criterio a.i e può aiutare a mettere in
luce alcuni aspetti salienti del criterio in esame:
Figura 2. - Esemplificazione criterio a.i)
A
C
C
B
Legenda:
C
C
R
C
D
R
C
E
Reporting entity
Società correlata
C
Persona fisica
correlata
F
C
C
Relazione di
controllo
Area di
consolidamento
G
Il punto di osservazione prescelto è “R” (reporting entity), società quotata in
Italia che controlla direttamente (“E” ed “F”) ed indirettamente (“G”).
A sua volta, la società “R” è soggetta al controllo diretto di “C” (una
società) e al controllo indiretto di “A” (una persona fisica), che controlla altre due
società, “B” e “D”.
Nell’esempio, tutte le società considerate e il soggetto “A” rappresentano
delle parti correlate di “R” ai sensi del criterio stabilito al punto 9.a.i) dello IAS
24.
73
Le società “E”, “F” e “G” rappresentano certamente le parti correlate di più
facile individuazione, dal momento che il controllo è esercitato proprio da “R”.
Nonostante esista un bilancio consolidato che racchiude le informazioni sul
gruppo nella sua interezza, anche le informazioni sulle operazioni compiute con
le società controllate possono certamente presentare dei profili di rischio.
Si ipotizzi, ad esempio, che il soggetto “A”, che controlla indirettamente
l’intero gruppo, possegga direttamente anche una significativa partecipazione di
minoranza nella società “F”, come indicato nella figura di dettaglio che segue (tra
parentesi le quote di partecipazione detenute):
Figura 3. – Esemplificazione criterio a.i). Dettaglio
A
(51%)
C
(51%)
R
A
(51%)
(49%)
F
Si assuma, inoltre, che tutte le società considerate siano in grado di
distribuire interamente gli utili conseguiti e che non vi sia imposizione fiscale. In
tali condizioni, per ogni 100 milioni di euro di dividendi distribuiti da “F”, “A”
potrebbe incassare, direttamente, 49 milioni di euro, e, indirettamente, tramite
“C”, una quota ulteriore di 13,3 milioni di euro34, per un totale complessivo di
62,3 milioni di euro. Per ogni 100 milioni di euro di dividendi distribuiti dalla
34
L’importo di 13,27 milioni di euro si ottiene moltiplicando i dividendi distribuiti da
“F”, pari a 100 milioni di euro, per la quota detenuta indirettamente da “A” in “F” (51% x 51%
x 51%=13,27%). Nell’esempio, la quota di dividendi non incassata da “A”, pari a 37,73 milioni,
viene incassata dalle minoranze azionarie presenti in “R” e in “C”.
74
capogruppo “R”, invece, “A” incasserebbe una quota di 26 milioni35, ben
inferiore alla precedente36.
Nella situazione delineata, “A” sarebbe certamente portato ad esercitare il
proprio potere di controllo su “R” e su “F” in modo tale che tra le due società
vengano poste in essere delle operazioni tali da migliorare il risultato economico
di “F”, a discapito di quello di “R”.
In tal modo, “A” potrebbe accedere direttamente ad una quota maggiore di
dividendi, a discapito delle minoranze eventualmente presenti in “R” e in “C”. Il
bilancio consolidato, fornendo la scomposizione del risultato tra utile di gruppo e
utile di pertinenza delle minoranze, darebbe una prima informazione importante
alle minoranze sulla capacità della capogruppo di accentrare gli utili generati.
Tuttavia solo l’informativa sulle operazioni con parti correlate, in questo caso
infragruppo, fornita nel bilancio separato di “R”, potrebbe consentire alle
minoranze di conoscere l’esistenza di “trasferimenti” a “F”.
L’esempio dimostra l’importanza dell’informativa sulle parti correlate
anche laddove tali operazioni avvengano tra società incluse nel medesimo
bilancio consolidato e il motivo per cui lo IAS 24 include anche tali società nel
novero delle parti correlate.
Ma una rilevanza ancora maggiore dell’informativa sulle parti correlate
sussiste laddove tali operazioni siano concluse con parti correlate esterne all’area
di consolidamento, in altre parole diverse dalle società controllate (nell’esempio
di cui alla Figura 2, che si limita ai soli casi contemplati dal criterio a.i, le società
“B”, “C”, “D” e la stessa persona fisica “A”).
In questo caso, va precisato che, come osservato in precedenza, per gli
organi di amministrazione di “R” potrebbe risultare estremamente complesso –
ed il più delle volte impossibile - ricostruire la mappa completa del gruppo cui
“R” appartiene, dal momento che non necessariamente gli organi di
amministrazione di “R” dispongono dell’autorità, dei poteri e degli strumenti di
indagine necessari per raccogliere le informazioni utili a valutare la natura dei
vari rapporti, identificando univocamente chi eserciti il controllo. In generale,
infatti, considerata la soggezione di “R” rispetto alle società controllanti, il suo
organo amministrativo, nell’attività di identificazione delle parti correlate, può
35
Il valore indicato è ottenuto nel modo seguente: 100 x (51% x 51%). In questo caso, le
minoranze presenti in “C” e in “R” incasserebbero i restanti 74 milioni.
36
La sproporzione potrebbe essere anche maggiore, qualora “R” o “C” nono fossero nelle
condizioni di distribuire i propri dividendi.
75
far conto solo sugli strumenti informativi che l’ordinamento giuridico gli mette a
disposizione (es. i vari obblighi di trasparenza in capo alle società e alle persone
fisiche che detengono il controllo di società quotate, gli obblighi inerenti
l’inserimento di informazioni nel Registro delle Imprese, ecc.).
Difficoltà spesso insormontabili si possono incontrare nei casi in cui il
controllo sia esercitato in assenza di un significativo legame partecipativo, ad
esempio nelle situazioni di presumibile controllo previste dal paragrafo 13 dello
IAS 27 (accordi con altri investitori, particolari poteri di nomina, controllo di
fatto degli organi di governo, …).
Inoltre, anche chiarire i rapporti partecipativi delle società controllanti e di
quelle sottoposte a comune controllo potrebbe presentare notevoli difficoltà,
specie nei casi in cui tali società siano costituite in paesi che garantiscono una
limitata trasparenza societaria.
Nell’esempio precedente, si ipotizzi che “C” sia una società fiduciaria e che
non sia possibile risalire all’identità di “A”. Le informazioni conoscibili dagli
amministratori di “R” impedirebbe di identificare anche “B” e “D” come parti
correlate (si veda la figura seguente):
Figura 4. – Esemplificazione criterio a.i). Caso in cui non sia conoscibile
l’identità di “A”
A
C
Legenda:
C
B
R
C
C
Società
fiduciaria
Reporting entity
Società correlata
C
“Schermo” societario
D
R
C
Persona fisica non
identificabile
C
Società terza
E
F
C
C
Relazione di
controllo
Area di
consolidamento
G
In questo caso, le operazioni poste in essere tra “R” (o le sue controllate) e
le società “B” e “D” non potrebbero ragionevolmente essere identificate
76
dall’organo di amministrazione di “R” come operazioni con parti correlate. “A”
potrebbe esercitare il proprio potere di controllo tramite “C” e trasferire risorse,
ad esempio, da “R” a “B”, così sfuggendo agli obblighi procedurali e informativi
rafforzati previsti per le operazioni con parti correlate.
La fattispecie esaminata, estremamente semplificata rispetto ai casi che
concretamente potrebbero verificarsi, evidenzia alcuni primi esempi di parti
correlate che l’organo di amministrazione può non essere in condizione di
identificare, nonostante attivi tutti gli strumenti conoscitivi a propria
disposizione37. In proposito, si ritiene che, laddove vi siano elementi tali da
lasciar presupporre ragionevolmente l’esistenza di una correlazione, nonostante
non ve ne possa essere piena certezza, gli amministratori dovrebbero comunque
valutare l’opportunità di inserire il soggetto nel novero delle parti correlate.
2.4.2. Il criterio a.ii): i soggetti che esercitano un’influenza notevole
sulla reporting entity
Il criterio di cui al punto a.ii) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità
se: a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte:
(…) ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza
notevole su quest’ultima».
Tale criterio si fonda sull’identificazione delle relazioni di «influenza
notevole» cui è soggetta la reporting entity.
37
Le linee guida OCSE in materia di corporate governance richiamano l’attenzione sui
casi in cui vi sia alterità tra i detentori diretti delle quote di capitale e i veri e propri proprietari
finali, che possono rappresentare dei significativi impedimenti alla possibilità di identificare
potenziali conflitti d’interessi, transazioni compiute con parti correlate e uso illecito di
informazioni privilegiate . In tali casi, l’OCSE sottolinea che le informazioni sui proprietari
«sostanziali» delle azioni dovrebbero essere sempre conoscibili almeno agli enti preposti alla
garanzia dell’applicazione della legge e/o nell’ambito di procedure giudiziarie. OCSE, Principi
di governo societario dell'OCSE, 2004, p.37. Osserva inoltre l’OCSE: «Gli obblighi di
pubblicità includono la natura della relazione, laddove esiste il controllo, e la natura e
l’ammontare delle operazioni con parti correlate, raggruppate nel modo più opportuno. Data
l’intrinseca opacità di molte di queste transazioni, può esser necessario imporre al loro
beneficiario l’obbligo di informare della transazione il consiglio di amministrazione, il quale a
sua volta dovrebbe renderle note al mercato. Questo non dovrebbe esimere la società
dall’obbligo di mantenere un proprio sistema di controllo, che è una importante responsabilità
del consiglio di amministrazione». Ibidem, p. 38-39.
77
I fondamentali casi di «correlazione» contemplati dal criterio di cui al punto
a.ii) sono esemplificati nella Figura seguente:
Figura 5. – Esemplificazione criterio a.ii)
Legenda:
C
A
C
E
C
R
C
B
Società correlata
D
IN
Reporting entity
Società non correlata
Persona fisica
correlata
IN
R
C
Relazione di
controllo
IN
Relazione di
influenza notevole
Si osserva che le società “B” e “D” sono parti correlate a “R” perché in
grado di esercitare direttamente su di essa un’influenza notevole, mentre la
società “A” e la persona fisica “C” sono parti correlate in quanto esercitano
indirettamente un’influenza notevole su “R”. “E”, pur essendo soggetta a
controllo comune rispetto a “ B”, non rientra nel criterio di correlazione previsto
dal punto a.ii)38.
Sicuramente, la difficoltà maggiore che l’organo amministrativo può
incontrare nell’identificare le parti correlate che rispondono al criterio di cui al
punto a.ii) è riuscire a distinguere i casi di «influenza notevole».
Riprendendo la definizione contenuta nel paragrafo 2 del principio IAS
39
28 , lo IAS 24 definisce «influenza notevole» «il potere di partecipare alla
determinazione delle politiche finanziarie e gestionali di un’entità senza averne il
controllo», con l’ulteriore precisazione, non espressamente presente nello IAS
38
E’ questa una delle fattispecie che dovrebbe essere inclusa nella nozione di correlazione
al termine del processo di revisione dello IAS 24, secondo quanto indicato dallo IASB
nell’Exposure Draft emesso nel 2008.Si rinvia al par. 2.4.9.
39
«L’influenza notevole è il potere di partecipare alla determinazione delle politiche
finanziarie e gestionali della partecipata senza averne il controllo o il controllo congiunto».
IASB, IAS 28 - Investments in associates, 2004, par. 2.
78
28, che «un’influenza notevole può essere ottenuta attraverso il possesso di
azioni, tramite clausole statutarie o accordi»40.
E’ possibile prendere a riferimento la definizione di «influenza notevole»
fornita dallo IAS 28, pur tenendo conto, come già osservato in sede di commento
del sub a.i), della specifica posizione soggettiva della reporting entity e delle
limitate informazioni conoscibili dal relativo organo amministrativo.
Secondo i criteri stabiliti dallo IAS 28, l’influenza notevole41:
- si suppone in caso di possesso, diretto o indiretto (per esempio, tramite
società controllate), del 20 % o di una quota maggiore dei voti esercitabili
nell’assemblea della partecipata, a meno che non possa essere chiaramente
dimostrato il contrario;
- deve essere chiaramente dimostrata se, invece, la partecipante possiede,
direttamente o indirettamente (per esempio tramite società controllate), una quota
minore del 20% dei voti esercitabili nell’assemblea della partecipata. A tal fine
devono essere considerate alcune circostanze, quali, ad esempio:
a) la rappresentanza nel consiglio di amministrazione della partecipata;
b) la partecipazione nel processo decisionale, inclusa la partecipazione alle
decisioni in merito ai dividendi o ad altro tipo di distribuzione degli utili;
c) la presenza di operazioni rilevanti tra la partecipante e la partecipata;
d) l’interscambio di personale dirigente; o
e) la messa a disposizione di informazioni tecniche essenziali.
Si noti che la soglia che fa presumere l’influenza notevole, pari al 20%, è
maggiore della soglia del 10% stabilità all’ultimo comma dell’art. 2359 del
codice civile per le società con azioni quotate42. Nei casi di società quotate, gli
amministratori possono optare prudenzialmente per tale minore soglia anche ai
fini della definizione delle società che esercitano un’influenza notevole.
40
Ibidem, par. 2.
Cfr. Ibidem, par. 6-7.
42
«L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno
un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati».
Sul punto, si noti che anche il principio contabile FAS No. 57 considera il 10% quale soglia che
lascia presumente una relazione di influenza notevole.
41
79
Considerata la specificazione fornita dallo IAS 24, affinché si possa parlare
di «parte correlata» ai sensi del criterio a.ii), va verificato che l’influenza
notevole sia ottenuta:
- attraverso il possesso di azioni;
- mediante clausole dello statuto;
- mediante accordi di vario tipo.
In proposito, appare difficile ipotizzare situazioni in cui possa sussistere
influenza notevole senza che si verifichino le suddette condizioni.
Alla luce di quanto osservato, tralasciando i casi più semplici delle società o
delle persone fisiche che detengano oltre il 20%43 del capitale della società (che
molto difficilmente potranno essere escluse dal novero dei soggetti correlati), si
ritiene che, ai sensi del criterio a.ii) dello IAS 24, nelle società quotate vada
considerato una parte correlata anche il principale azionista di minoranza o, più
precisamente, il soggetto (o i soggetti) che, ai sensi dell’art. 147-ter del D.Lgs.
n.58/1998, abbia (o abbiano) contribuito ad eleggere il consigliere di
amministrazione di spettanza delle minoranze44.
In proposito, si ricordi che il meccanismo di elezione previsto dall’articolo
147-ter prevede che almeno un consigliere di amministrazione (nonché il
presidente del collegio sindacale) sia eletto sulla base di una lista che non sia
43
Ovvero il 10% se la reporting entity è quotata, come osservato in precedenza.
La nomina di almeno un consigliere di amministrazione da parte delle minoranze nelle
società quotate è garantita dal terzo comma dell’art. 147-ter Elezione e composizione del
consiglio di amministrazione del D.Lgs. n. 58/1998, nel quale si stabilisce che «almeno uno dei
componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che abbia
ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente,
con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti».
Si ricordi che un analogo meccanismo è previsto per l’elezione del Presidente del
Collegio Sindacale ai commi 2 e 2-bis dell’art. 148 Composizione (dell’organo di controllo),
D.Lgs. n.58/1998: «2. La Consob stabilisce con regolamento modalità per l'elezione, con voto di
lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano
collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima
per numero di voti.
2-bis. Il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea tra i sindaci eletti
dalla minoranza». La Consob, con delibera n. 15915 del 3.5.2007, ha introdotto nel
Regolamento Emittenti, agli artt. 144-quinquies e 145-sexies le norme regolamentari attuative di
propria competenza.
44
80
collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato
o votato la lista risultata prima per numero di voti45.
In quanto in grado di accedere a tale «privilegio» concesso dalla legge, tali
azionisti di minoranza, infatti, potrebbero approfittare del potere di eleggere un
consigliere di amministrazione, al fine di porre in essere dei comportamenti
opportunistici a danno degli altri azionisti di minoranza.
Ai rischi di espropriazione delle minoranze compiute nell’interesse di chi
esercita il controllo, potrebbero accompagnarsi ulteriori fenomeni espropriativi
tesi a compensare le minoranze «privilegiate», così cagionando danni ancora
maggiori agli azionisti di minoranza «non privilegiati» (e, tra questi, in
particolare, il pubblico dei risparmiatori).
Si distinguono due fasi: i) la presentazione delle liste e ii) la votazione in
sede assembleare. Si ritiene che debba essere questa seconda fase a rilevare ai
fini dell’individuazione delle parti correlate; più precisamente, i soggetti che con
i loro voti hanno contribuito ad eleggere il consigliere di minoranza sono da
ritenersi parti correlate, indipendentemente da chi abbia presentato
originariamente la lista.
Un esempio può aiutare a chiarire la particolare fattispecie in argomento. Si
ipotizzi che nell’esempio precedente (cfr. Figura 5, p. 78), la compagine
societaria di “R”, società quotata soggetta alla disciplina del TUF, sia la
seguente:
- un azionista di riferimento “F” (non rappresentato nella Figura) che
detenga il 51% dei voti esercitabili in assemblea;
- gli azionisti “B” e “D”, che detengano rispettivamente il 3% e il 5% dei
voti;
- il restante capitale sia diffuso sul mercato (e non partecipi alle riunioni
assembleari).
In vista dell’assemblea chiamata a rinnovare il Consiglio di
Amministrazione, l’azionista “F” presenta la propria lista (di maggioranza) e
l’azionista “B” presenta una seconda lista (di minoranza). In sede assembleare, il
socio “F” vota la propria lista, mentre la lista presentata dal socio “B” viene
votata anche dal socio “D”. In base all’art. 147-ter del D.Lgs. n. 58/1998, da
45
Per approfondimenti: F. CARBONETTI, Amministratori e sindaci di minoranza e
'rapporti di collegamento', in Le società, vol. 26, n.10, 2007, p. 1186 e ss.
81
quest’ultima lista viene scelto almeno uno (o più, se lo statuto sociale lo dovesse
prevedere) dei consiglieri.
La presenza di un consigliere di amministrazione eletto da “B” e “D” si
ritiene possa costituire una condizione di correlazione ai sensi del criterio a.ii)
dello IAS 24, dal momento che, almeno potenzialmente, per il tramite di tale
consigliere, “B” e “D” hanno il potere di partecipare alla determinazione delle
politiche finanziarie e gestionali di “R”, pur non avendone il controllo.
Per quanto osservato, risulta evidente che le operazioni che la società
dovesse porre in essere con “B” o con “D” (e con le società che le controllano)
sono operazioni in qualche modo sospette, meritevoli di rafforzati presidi di
correttezza e trasparenza.
Tornando ad analizzare la situazione rappresentata nella precedente Figura 5
(cfr. p.78), si noti che la società “E”, pur essendo soggetta al controllo di “A”,
non rientra nel criterio di correlazione previsto dal punto a.ii).
Premesso che la prossima riformulazione dello IAS 24 estenderà la
definizione di parte correlata anche a tali fattispecie, è indubbio che le operazioni
compiute tra “R” e “E” presentino profili di potenziale rischiosità del tutto
analoghi rispetto alle operazioni compiute, ad esempio, tra “R” e “A”.
In tali circostanze, tenuto conto anche del richiamo alla prevalenza della
sostanza sulla forma di cui al paragrafo 10 dello IAS 24, si ritiene che, laddove
per gli amministratori di “R” sia concretamente possibile risalire alle relazioni
che collegano “E” ad “A” e a “B”, sia opportuno che essi valutino attentamente
l’eventuale inserimento anche di “E” nel novero delle «parti correlate».
2.4.3. Il criterio a.iii): i soggetti che controllano congiuntamente la
reporting entity
Il criterio a.iii) stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se: a)
direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: (…) iii)
controlla congiuntamente l’entità».
Lo IAS 24 stabilisce altresì che: «il controllo congiunto è la condivisione,
stabilita contrattualmente, del controllo su un’attività economica»46.
Tale definizione appare estremamente generica se confrontata con la
nozione di controllo congiunto contenuta nello IAS 31 Partecipazioni in joint
46
IASB, IAS 24 - Related Party Disclosures, 2003, par. 9.
82
venture: «Il controllo congiunto è la condivisione, stabilita contrattualmente, del
controllo su un’attività economica, ed esiste unicamente quando per le decisioni
finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività è richiesto il consenso
unanime di tutte le parti che condividono il controllo (partecipanti al controllo
congiunto)»47.
Alla luce di tale differenza, deve ritenersi che i concetti di controllo
congiunto previsti nello IAS 24 e nello IAS 31, nonostante i notevoli profili di
affinità, siano difformi.
In particolare, la nozione di controllo congiunto prevista dal criterio a.iii)
dello IAS 24 è da ritenersi significativamente più ampia, dal momento che essa
non contiene la precisazione, fortemente limitante, che le decisioni finanziarie e
gestionali strategiche relative all’attività siano subordinate «al consenso unanime
di tutte le parti che condividono il controllo (partecipanti al controllo
congiunto)».
Si ritiene, pertanto, che possono essere ricompresi nella nozione di
«correlazione» prevista al punto a.iii) dello IAS 24 anche i partecipanti ai c.d.
«sindacati di voto», ampiamente diffusi nella realtà economica italiana, laddove
questi assumano caratteristiche tali da conferire agli aderenti il controllo della
società48.
47
ID., IAS 31 - Interests in Joint Ventures, 2008, par. 3.
Si ricorda che i sindacati di voto, disciplinati, laddove coinvolgano società aperte, agli
art. 122 e 123 del D.Lgs. n.58/1998, «nonostante l’ampio spettro di configurazioni che in
concreto essi assumono, normalmente consistono in accordi volti a vincolare i paciscenti
all’esercizio di voto nelle assemblee delle società in conformità alle decisioni prese secondo le
regole organizzative del sindacato (…) I sindacati di voto possono avere carattere occasionale
(essere riferiti, cioè, ad una sola assemblea) o permanente e, in questo secondo caso, possono
configurarsi con un limite temporale limitato o meno. I sindacati inoltre possono avere ad
oggetto un vincolo di voto per tutte le delibere assembleari o soltanto per quelle di un
deterimanto tipo (ad esempio, sindacati di voto per la nomina degli amministratori). Tali
accordi, infine, possono anche prevedere che il vincolo di voto venga assunto all’unanimità
ovvero a maggioranza dei soci sindacati e stabilire le modalità con cui il voto verrà esercitato
nell’assemblea della società». F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam, Padova,
2007, pp. 44-45. Si vedano, inoltre: L. ABETE, Patti parasociali e sindacati di voto, in Le
società, vol. 25, n. 8, 2006, p. 957-965; G.F. CAMPOBASSO, Voto di lista e patti parasociali
nelle società quotate, in Banca borsa e titoli di credito, vol. 56, n. 2, 2003, pp.125-133; V.
CARIELLO, Controllo congiunto e accordi parasociali, Giuffré, Milano, 1997; F. CHIAPPETTA, I
patti nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, in Rivista
delle società, 1998, p. 988 e ss; P.G. JAEGER, Il problema delle convenzioni di voto, in
48
83
Ulteriori osservazioni sono possibili sulla base delle esemplificazioni
riportate nella Figura seguente:
Figura 6. – Esemplificazioni criterio a.iii)
A
Legenda:
C
B
A
C
R
Reporting entity
Società correlata
C
CC
B
C
D
C
R
Persona fisica
correlata
E
CC
Caso 1
D
Caso 2
R
CC Relazione di
controllo congiunto
C
Relazione di controllo
Nel primo caso, il controllo congiunto viene esercitato direttamente da “B”,
“C”, “D”. Anche “A”, che esercita indirettamente il controllo congiunto, in
quanto controllante di “B”, può ritenersi parte correlata ai sensi del criterio a.iii).
Si noti che nulla cambia nel secondo caso, in cui il controllo congiunto non si
evidenzia direttamente in capo a “R”, bensì alla sua controllante “E”.
Riprendendo quanto dianzi osservato in merito alla differenza tra la nozione
di controllo congiunto contenuta nel criterio a.iii) dello IAS 24, finalizzata
all’identificazione delle parti correlata, e quella che, nel principio IAS 31,
sovrintende al trattamento contabile delle partecipazioni in joint venture, si
ipotizzi che, con riferimento al Caso 1, sia stato sottoscritto un sindacato di voto
tra i tre azionisti “B”, “C”, “D” che non presenti le caratteristiche richieste dallo
IAS 31.
In tal caso, anche se “B” e “D” (che, per ipotesi, redigano il bilancio
secondo i principi IAS/IFRS) non dovessero applicare per la partecipazione
detenuta in “R” il trattamento contabile previsto dallo IAS 31, gli amministratori
di “R” dovrebbero comunque valutare che il patto verifichi il criterio di cui allo
IAS 24 e, eventualmente, considerare “B”, “C” e “D”, e le loro eventuali
controllanti, delle «parti correlate». Ciò, come più volte precisato, nei limiti delle
Giurisprudenza Commerciale, vol. 1, 1989, p. 253 e ss; A. TUCCI, Patti parasociali e
governance nel mercato finanziario, Cacucci, Bari, 2005.
84
informazioni concretamente conoscibili da parte dell’organo amministrativo di
“R”49.
2.4.4.
entity
I criteri b) e c): le collegate e le joint venture della reporting
I criteri previsti dai punti b) e c) includono nel novero delle parti correlate le
«collegate» e le «joint venture», con un esplicito rimando dello standard setter ai
principi contabili che ne disciplinano il trattamento contabile, rispettivamente lo
IAS 28 e lo IAS 3150.
Più precisamente, essi stabiliscono che: «Una parte è correlata a un’entità
se: (…)
b) la parte è una società collegata (secondo la definizione dello IAS 28
Partecipazioni in società collegate) dell’entità;
c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (cfr. IAS 31
Partecipazioni in joint venture)».
Con specifico riferimento al criterio sub b), possono evidenziarsi alcuni
dubbi interpretativi che vengono esplicitati con l’ausilio dell’esempio
rappresentato nella Figura seguente51:
49
Ad esempio, “B” potrebbe essere una società fiduciaria e potrebbe non essere possibile
risalire all’identità di “A”, ,oppure, nel Caso 2, “R” potrebbe non conoscere i dettagli del patto
di sindacato che garantisce il controllo congiunto su “E”.
50
Per le definizioni di influenza notevole e di controllo congiunto nei principi IAS 28 e
IAS 31 si faccia riferimento a quanto già osservato nel paragrafo precedente con riguardo ai
criteri a.ii) e a.iii).
51
Considerazioni analoghe possono essere svolte per il criterio sub c).
85
Figura 7. – Esemplificazione criterio b)
Legenda:
R
IN
R +A
C
A
Reporting entity
R
IN
Società correlata
B
IN
B
IN
Relazione di
influenza notevole
IN
Società terza
C
Interpretazione letterale
(ottica del bilancio separato)
C
C
Interpretazione estensiva
(ottica del bilancio consolidato)
Relazione di
controllo
Area di
consolidamento
Nell’esempio proposto, la società “R” controlla direttamente “A” ed esercita
un’influenza notevole su “B” (in modo diretto) e su “C” (in modo indiretto).
Nell’ottica dell’organo amministrativo di “R”, stante il tenore letterale del punto
b), che si riferisce alle «società collegate», sembrerebbe che la società “C”:
- non debba ritenersi una «parte correlata» nell’ottica del bilancio separato;
- debba ritenersi una «parte correlata» in sede di redazione del bilancio
consolidato, ove per «entità» si considera l’aggregazione aziendale costituita da
“R” e dalla sua controllata “A”.
Restando sul piano dell’informativa di bilancio, secondo questa
interpretazione letterale, nel bilancio separato di “R” non sarebbe richiesta alcuna
informativa specifica ai sensi dello IAS 24 sulle operazioni compiute con “C”,
informativa che sarebbe invece fornita in sede di bilancio consolidato, ma con
riferimento ai rapporti dell’aggregato “R+A”. In ogni caso, non sembrano
sussistere particolari motivazioni per questa disparità di trattamento, dal
momento che l’integrazione di informativa richiesta nel bilancio separato di “R”
implicherebbe un impegno trascurabile per le strutture amministrative.
Con particolare riguardo all’applicazione del criterio b) nell’ottica della
normativa ex art. 2391-bis, è ragionevole ritenere che l’organo amministrativo di
“R” debba preferibilmente optare per un’interpretazione estensiva, includendo
anche le collegate delle proprie società controllate nel novero delle «parti
correlate», nonostante un’interpretazione letterale potrebbe escludere tali società.
86
Un’ulteriore considerazione può essere svolta se, nella situazione di cui alla
figura precedente, ci si pone nella prospettiva dell’organo amministrativo di “A”
e si considera la sussistenza di un rapporto di correlazione con “B”. Anche in
questo caso l’interpretazione letterale del criterio sub b) farebbe escludere una
correlazione, ma, considerando che “A” è soggetta al controllo di “R” ed è
inserita nella relativa area di consolidamento, sembrerebbe opportuno includere
“B” tra le parti correlate52.
Diversamente, l’organo amministrativo di “C”, anche se si trovasse nella
condizione (ideale) di perfetta conoscenza della natura delle relazioni tra le varie
società considerate, non dovrà considerare “B” una parte correlata ai sensi del
criterio b)53. In effetti, il legame tra le due società appare troppo «debole» per far
sorgere particolari dubbi sulla correttezza delle operazioni concluse tra di esse.
Ricordando quanto osservato nel paragrafo precedente in merito alla
differenza tra la nozione di controllo congiunto contenuta nel punto a.iii) dello
IAS 24 rispetto a quella contenuta nello IAS 31, si propone il seguente esempio
applicativo del criterio sub c):
52
La situazione in commento costituisce una delle aree di miglioramento della definizione
di «parte correlata» sulle quali interverrà lo IASB nella prossima modifica del principio IAS 24.
La modifica prospettata determinerà l’inclusione di “B” tra le parti correlate di “A”. Al
riguardo, è doveroso tuttavia sottolineare che, nelle Basis for conclusions dell’Exposure Draft
pubblicato nel 2007, lo IASB osserva (pur se in senso critico e strumentale alla prospettata
modifica) che, secondo l’attuale definizione, “B” non sia da considerarsi una parte correlata di
“A”. Sul punto, si rinvia il lettore al par. 2.4.9.
53
Potranno ovviamente sussistere le condizioni di correlazione previste da altri criteri.
Anche questa interpretazione è in linea con le evoluzioni prospettate dallo IASB negli Exposure
Draft pubblicati nel 2007 e 2008. Anche su questo punto si rinvia al par. 2.4.9.
87
Figura 8. – Esemplificazione criterio c)
Legenda:
A
IA
S
C
24
Reporting entity
R
R
B
Società correlata
IAS31
C
Persona fisica non
correlata
JV1
Società terza
IA
S
31
E
D
IA
S
24
IAS 31
JV2
C
Relazione di controllo
congiunto (IAS 31)
Relazione di controllo
congiunto (IAS 24)
Relazione di
controllo
Area di
consolidamento
Nell’esempio, la reporting entity partecipa direttamente alla joint venture
“JV1” e indirettamente, per il tramite della controllata “E”, alla joint venture
“JV2” (entrambe le partecipazioni verificano le condizioni previste dallo IAS 31).
Partecipa altresì, insieme ad “A”, ad un sindacato di voto che le consente di
controllare la società “C” e che verifica le condizioni di cui al criterio a.iii.
In proposito, si noti che “C” non è da ritenersi una parte correlata di “R”,
dal momento che il patto parasociale, nell’esempio, non verifica le precise
condizioni di cui allo IAS 3154.
2.4.5. Il criterio d): i dirigenti con responsabilità strategiche
sull’attività della reporting entity
Il criterio d) dello IAS 24 include nel novero delle parti correlate i «dirigenti
con responsabilità strategiche dell’entità o della sua controllante», cioè «quei
soggetti che hanno il potere e la responsabilità, direttamente o indirettamente,
54
Si noti che, mutando punto di vista e assumendo la prospettiva dell’organo
amministrativo di “C”, come già evidenziato commentando la Figura 6 a p.84, la relazione con
“R” ricade nella nozione di controllo congiunto di cui al criterio a.iii) dello IAS 24 e, dunque,
“C” dovrà considerare “R” una parte correlata.
88
della pianificazione, della direzione e del controllo delle attività dell’entità,
compresi gli amministratori (esecutivi o meno) dell’entità stessa».
In altri termini, secondo questo criterio, sono parti correlate alla reporting
entity gli individui in grado di influire in modo determinante sulle decisioni
aziendali, in ragione del ruolo ricoperto e dei poteri posseduti.
Preliminarmente, giova sottolineare che il criterio in commento lascia
ambiti di discrezionalità molto maggiori rispetto ai precedenti.
Focalizzando l’attenzione sulla singola società, ai sensi del criterio d)
costituiscono senz’altro delle parti correlate alla stessa tutti gli amministratori,
esecutivi e non esecutivi, in quanto espressamente indicati55, ivi inclusi i
componenti del collegio sindacale56. Inoltre, sono identificabili come parti
correlate anche i massimi dirigenti aziendali competenti per le attività di
pianificazione, esecuzione e controllo57.
Quanto alle società controllanti58, per la cui individuazione vale quanto già
in precedenza osservato descrivendo il criterio a.i), si può ragionevolmente
escludere che i relativi amministratori costituiscano sempre delle parti correlate
alla reporting entity. Con riferimento a ciascuno di essi, infatti, deve sussistere
un’effettiva attribuzione di «poteri e responsabilità» in materia di pianificazione,
55
In proposito, si ritiene che vadano considerati parti correlate anche gli amministratori
indipendenti, stante la categoricità dell’enunciato « compresi gli amministratori (esecutivi o
meno) dell’entità stessa», nonché la «pericolosità» intrinseca alle operazioni compiute dalla
società con i propri amministratori indipendenti.
56
Nonostante il principio IAS 24 (di matrice anglosassone) non li richiami espressamente,
si ritiene che il criterio in commento includa anche i componenti del collegio sindacale della
reporting entity, in quanto essi svolgono anche funzioni analoghe a quelle degli amministratori
non esecutivi nei sistemi di amministrazione di tipo one tier.
57
In proposito, si ritiene che il termine «controllo» utilizzato dallo IAS 24 debba
intendersi riferito esclusivamente, facendo riferimento alle definizioni fornite dal Committee of
Sponsoring Organizations (COSO), a chi si disponga dipoteri e responsabilità inerenti i controlli
di efficacia e di efficienza (operational) e non anche a chi sia responsabile dei controlli di
reporting e di compliance. Per un approfondimento, si veda: AA.VV., Il sistema di controllo
interno. Un modello integrato di riferimento per la gestione dei rischi aziendali (a cura del
Progetto Corporate Governance per l'Italia), Il Sole 24 Ore, Milano, 1997 (ult. ed. 2006).
58
Si noti che il criterio d) parla, più precisamente, di «controllante». Tuttavia, si ritiene
che il riferimento debba estendersi senz’altro a tutte le società poste lungo la catena di controllo.
Infatti, facendo riferimento all’esempio di cui alla Figura 2 (p. 73), nella prospettiva della
società “G” non parrebbe ragionevole che si dovessero escludere a priori come parti correlate i
soggetti apicali di “R” e di “C”. La stessa interpretazione sembra opportuna anche con riguardo
al paragrafo 18 dello IAS 24, in cui di nuovo si parla, al singolare, di «controllante».
89
direzione e controllo tali da condizionare l’attività della reporting entity.
Condizioni del tutto analoghe dovranno essere verificate al fine di includere nel
novero delle parti correlate un alto dirigente delle società controllanti. In
proposito, una maggiore attenzione dovrà essere adottata con riferimento agli
amministratori e ai dirigenti apicali delle società che dovessero esercitare
l’attività di direzione e coordinamento sulla reporting entity.
Alcune rilevanti incertezze interpretative sorgono laddove debba essere
valutata l’inclusione tra le parti correlate di quegli amministratori e dirigenti delle
controllanti che non dispongano sul piano formale di responsabilità strategiche
relative alla controllata, ma che siano nelle condizioni, di fatto (ad esempio in
virtù della posizione ricoperta nella struttura organizzativa), di influenzare
l’operato dei soggetti cui formalmente siano attribuite tali responsabilità. Si
pensi, ad esempio, all’amministratore delegato della controllante della reporting
entity, che potrebbe non disporre di specifiche deleghe inerenti l’indirizzo delle
attività della controllata, pur potendo trovarsi nelle condizioni di influenzarla
significativamente.
In simili circostanze, è difficile individuare una soluzione univoca; pertanto,
ferma restando la maggiore prudenza della scelta di considerare tali soggetti tra le
parti correlate, l’organo amministrativo della reporting entity potrà valutare, sotto
la propria responsabilità, l’opportunità di non considerare tali soggetti delle parti
correlate, ritenendo non presenti relazioni di influenza significativa.
Il criterio d) dello IAS 24 menziona espressamente i dirigenti con
responsabilità strategiche «dell’entità o della sua controllante», senza alcun
riferimento alle società controllate. Tuttavia, è frequente il caso di holding
quotate nelle quali le responsabilità strategiche sono, almeno parzialmente (ad es.
con riferimento a particolari settori di attività), decentrate significativamente
nelle società controllate. Si pensi, ad esempio, ad un gruppo in cui la holding
quotata controlli direttamente varie sub-holding ciascuna delle quali sia
pienamente responsabile delle attività svolte in uno specifico settore, non legato
agli altri da nessi di complementarità.
In simili circostanze, gli amministratori e i dirigenti delle società controllate
potrebbero effettivamente disporre di responsabilità strategiche che, seppure
limitate alla società gestita ed alle sue eventuali controllate, potrebbero essere
sufficienti alla conclusione di operazioni a carattere espropriativo del tutto
analoghe a quelle compiute dai dirigenti chiave della reporting entity o delle sue
controllanti.
90
Limitando il campo alle tematiche di informativa contabile, la problematica
evidenziata viene superata nel bilancio consolidato, nel quale il termine «entità»
indicato nel criterio d) non si riferisce soltanto alla capogruppo singolarmente
considerata, ma anche alla più ampia «entità» costituita dal gruppo nel suo
complesso. Venendo a cadere le divisioni tra le diverse entità giuridiche, anche
gli eventuali dirigenti con responsabilità strategiche delle controllate saranno da
annoverarsi tra le parti correlate. Ai fini dell’informativa contabile, pertanto, le
eventuali operazioni concluse con essi da una qualsiasi delle società consolidate
dovranno essere oggetto dell’informativa prevista dallo IAS 24.
Allo stesso modo, nell’ottica della normativa dettata dall’art. 2391-bis del
codice civile, non v’è ragione per cui tali soggetti non debbano considerarsi delle
parti correlate.
In conclusione, sul punto può osservarsi che le problematiche in commento
non sussistono nei gruppi in cui i poteri e le responsabilità in materia di
pianificazione, direzione e controllo risultino accentrati nella capogruppo e nei
quali l’efficacia del sistema dei controlli interni di gruppo sia tale da escludere
ragionevolmente che i soggetti apicali delle società controllate possano
approfittare della propria posizione di vertice concludendo operazioni nel proprio
interesse.
2.4.6. Il criterio e): gli stretti familiari degli individui correlati alla
reporting entity secondo i criteri a) e d)
Il criterio sub e) stabilisce che è da ritenersi parte correlata «uno stretto
familiare di uno dei soggetti di cui ai punti a) o d)», cioè di uno degli individui
che:
- esercitino, direttamente o indirettamente, il controllo sull’entità (criterio
59
a.i) ;
- esercitino, direttamente o indirettamente, un’influenza notevole sull’entità
(criterio a.ii)60;
- esercitino, direttamente o indirettamente, il controllo congiunto sull’entità
(criterio a.iii)61;
59
Ad esempio, nel caso rappresentato nella Figura 2 a p. 73, sempre con riferimento alla
reporting entity “R”, il soggetto “A”.
60
Si consideri, a titolo esemplificativo, il soggetto “C” nella Figura 5 a p. 78.
61
Si veda la posizione del soggetto “C” nei due casi rappresentati nella Figura 6 a p. 84.
91
- siano identificati quali dirigenti con «responsabilità strategiche» (criterio
d).
Lo IAS 24 fornisce una definizione estremamente generica di «stretto
familiare», fornendo alcuni esempi esplicativi: «si considerano familiari stretti di
un soggetto quei familiari che ci si attende possano influenzare, o essere
influenzati da, il soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità. Essi possono
includere:
a) il convivente e i figli del soggetto;
b) i figli del convivente; e
c) le persone a carico del soggetto o del convivente»62.
Innanzi tutto, si osserva che la definizione di «stretta familiarità» pone in
capo all’organo amministrativo degli ambiti di discrezionalità eccezionalmente
ampi.
Se pare intuibile che, dal novero dei soggetti «che ci si attende possano
influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato», non possano essere
esclusi, ad esempio, un fratello o un genitore, la schiera dei familiari in grado di
influenzare le decisioni potrebbe essere molto più ampia rispetto ai pochi esempi
proposti dallo IAS 24.
Per risolvere il dubbio interpretativo, si potrebbe ricordare che il legislatore
civilistico, ponendosi un problema di «indipendenza» simile a quello cui si
riferisce il criterio f) dello IAS 24, nel fissare all’art. 2399 le cause
d'ineleggibilità e di decadenza del Collegio Sindacale, indica che sono
ineleggibili «il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli
amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini
entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate,
delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo».
Inoltre, si potrebbe fare riferimento alla posizione (superata, ma pur sempre
autentica) della Consob, che nella comunicazione DEM/2064231/2002 (abrogata
nel 2005) stabiliva che «per stretti familiari si intendono quelli potenzialmente in
grado di influenzare la persona fisica correlata all'emittente, o esserne influenzati,
nei loro rapporti con l'emittente medesimo, tra cui i conviventi; in ogni caso si
considerano stretti familiari il coniuge non legalmente separato, i parenti e gli
affini entro il secondo grado».
62
IAS 24, par. 9.
92
Da ultimo, si sottolinea che gli esempi proposti dallo IAS 24 fanno
addirittura riferimento ad un concetto di famiglia «allargata», includendo tra gli
stretti familiari il convivente, nonché i figli e le persone a carico dello stesso.
Anche in questo caso, può essere consigliabile che l’organo amministrativo
adotti un atteggiamento improntato alla massima prudenza e che disponga
procedure tali da identificare anche i casi dubbi quali parti correlate.
Si noti che, per l’organo amministrativo chiamato a identificare le parti
correlate, la concreta applicazione del criterio e) risulta estremamente
complicata. E’ necessaria, infatti, la conoscenza di informazioni personali di
individui che, quand’anche rintracciabili, possono essere significativamente
estranei all’azienda o al gruppo (es. i soggetti inclusi in base ai criteri a.ii e a.iii)
e difficilmente disposti a comunicare proprie informazioni personali63. Inoltre, si
noti che la necessità di raccogliere informazioni personali sugli stretti familiari,
potrebbe sollevare qualche problema di riservatezza delle stesse.
In ogni caso, va sottolineata l’importanza di individuare gli «stretti
familiari» correlati alla reporting entity, in quanto fondamentale presupposto per
l’ applicazione del criterio f), che si analizza nel paragrafo che segue. In
proposito, si ricordi la grande diffusione, soprattutto nel nostro paese, dei gruppi
a controllo familiare e l’esperienza di alcuni dei principali scandali finanziari
avvenuti nell’ultimo decennio, nei quali le operazioni compiute con società
controllate da membri della famiglia del dominus sono state il veicolo di
operazioni fraudolente, sia con finalità di tunneling, sia di frode contabile.
Si osserva, inoltre, che il criterio in esame non include tra le parti correlate
quegli individui che, pur non potendo essere considerati dei «familiari»,
verificano la seconda (e probabilmente più rilevante) parte della criterio in
commento («ci si attende possano influenzare, o essere influenzati da, il soggetto
interessato nei loro rapporti con l’entità»). Si pensi, ad esempio, ad un individuo
che sia legato ad uno degli amministratori (o a un dirigente chiave) da
significativi rapporti di carattere personale (ad esempio, una lunghissima
amicizia o una duratura collaborazione professionale, …) ovvero di carattere
patrimoniale (ad esempio, faccia parte di un medesimo studio associato).
63
In proposito, si fa presente che è in programma un intervento della Consob su questa
tematica, nell’ambito della regolamentazione ex 2391-bis c.c. in corso di definizione. Si veda il
par. 0 a p. 154.
93
Simili fattispecie, al momento, non sono soggette alla speciale disciplina
prevista per le operazioni con parti correlate.
2.4.7. Il criterio f): entità correlate per il tramite di individui correlati
alla reporting entity
Secondo il criterio di cui alla lettera f): «una parte è correlata a un’entità se
(…) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad
influenza notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali
soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di
diritti di voto».
Si tratta certamente del criterio di più complessa applicazione, perché
necessita di informazioni che possono essere di difficile accesso.
In proposito, si osserva che lo standard setter non indica cosa debba
intendersi per «quota significativa di diritti di voto» («significant voting power»,
nel testo originale in lingua inglese).
Tenuto conto che i casi del controllo, dell’influenza notevole e del controllo
congiunto sono già espressamente menzionati dal criterio, si può presumere che
per «quota significativa di diritti di voto» debba intendersi una partecipazione,
diretta o indiretta, che possa generare una qualche forma di correlazione.
Peraltro, non si comprende perché il concetto di «significant voting power»
sia riportato solo al criterio f) e non anche, ad esempio, nel criterio a). Anche in
questo caso, è bene rimarcarlo, la definizione posta dallo IAS 24 presenta un
significativo elemento di incertezza e di conseguente discrezionalità.
Un’interpretazione improntata alla massima prudenza suggerirebbe di
considerare le soglie di rilevanza stabilite all’art. 120 del D.Lgs. 57/1998,
secondo quanto specificato dalla Consob nel Regolamento Emittenti. Una simile
scelta, tuttavia, amplierebbe in modo forse eccessivo il novero delle parti
correlate.
Una scelta intermedia tra l’ignorare totalmente una prescrizione tanto oscura
e scegliere una soluzione probabilmente troppo prudente (e onerosa sul piano
applicativo/organizzativo), potrebbe essere quella di considerare le soglie di
presunzione dell’influenza notevole previste all’art. 2359, ultimo comma, del
codice civile, pari al 10% per le società quotate e al 20% per le società non
quotate.
94
L’esempio riportato nella Figura seguente mette in luce le difficoltà, in
concreto, può incontrare l’organo amministrativo nel raccogliere le informazioni
necessarie per ricostruire il quadro completo delle «parti correlate» che
rispondono al criterio sub f).
Figura 9. - Esemplificazione criterio f)
A
C
SF
Legenda:
B
Società correlata
C
C
Reporting entity
R
C
E
Persona fisica
correlata
C
C
D
C
R
F
PVS
G
IN
IN
Relazione di
controllo
Relazione di
influenza notevole
PVS Poteri di voto
significativi
H
SF
Relazione di stretta
familiarità
Nell’esempio, “R” è soggetta al controllo indiretto di “A”, persona fisica
legata a “B” da rapporti di «stretta familiarità» (ad es., “B” è il convivente di
“A”). “B”, a sua volta, controlla indirettamente la società “F”, la quale esercita
un’influenza notevole su “H” e detiene una quota significativi dei diritti di voto
nell’assemblea si “G”.
In una situazione di informazione perfetta, ai sensi del criterio f), “R”
dovrebbe includere le società “E”, “F”, “G” e “H” tra le proprie parti correlate.
Nella realtà dei fatti, gli amministratori di “R”, in considerazione della
propria posizione soggettiva e degli strumenti informativi a loro disponibili,
potrebbero non essere in grado di conoscere, ad esempio:
- l’identità di “A”64;
64
Si veda l’esempio rappresentato nella Figura 4 a p. 73.
95
- il legame di stretta familiarità tra “A” e “B” (dovrebbe essere il soggetto
“A” a comunicare di sua spontanea volontà - o in ragione di un obbligo che ad
oggi non sussiste - il suo rapporto di stretta familiarità con “B”);
- l’esistenza e la composizione del gruppo controllato da “B” (anche in
questo caso è difficile immaginare un meccanismo che consenta ad “R” di
acquisire tali informazioni chiave, in assenza di specifiche prescrizioni
normative65).
In buona sostanza, l’incompletezza delle informazioni effettivamente e
normalmente accessibili agli amministratori sottrae inevitabilmente alcune parti
correlate al processo di identificazione.
Laddove poi vi fosse la presenza di individui animati dalla precisa volontà
di concludere operazioni con parti correlate al fine di appropriarsi di risorse
dell’impresa (c.d. tunneling), ovvero di modificarne artatamente i risultati di
bilancio (c.d. earnings management) è intuibile la facilità con la quale i rapporti
di correlazione potrebbero essere mantenuti ignoti e sfuggire sia agli obblighi di
disclosure in bilancio, sia alla normativa in materia di trasparenza e correttezza
sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlare.
In simili circostanze, potrebbe essere utile che si attivassero delle procedure
di internal audit volte ad utilizzare metodi alternativi di individuazione delle
parti correlate. Al riguardo potrebbe essere utile applicare le tecniche alternative
sviluppate nel tempo dalla revisione contabile66.
2.4.8.
entity
Il criterio g): fondi pensione (e simili) correlati alla reporting
L’ultimo criterio di identificazione delle parti correlate previsto dallo IAS
24, stabilisce che «una parte è correlata a un’entità se (…) g) la parte è un piano
65
Per l’evoluzione in atto sul punto, come già anticipato, si veda il par. 0 a p. 154.
Si veda, ad esempio, l’elenco di situazioni di sospetta correlazione riportate in: AICPA
AMERICAN INSTITUTE OF CERTIFIED PUBLIC ACCOUNTANTS, Accounting and Auditing for
Related Parties and Related Party Transactions. A Toolkit for Accountants and Auditors, 2001,
pp-33-34.
66
96
per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti
dell’entità, o di una qualsiasi altra entità a essa correlata».
Lo stesso IAS 24 identifica i «benefici successivi alla fine del rapporto di
lavoro» nei seguenti: «pensioni, altri benefici pensionistici, assicurazioni sulla
vita e assistenza sanitaria successive al rapporto di lavoro».
Una delle principali fattispecie di parte correlata riconducibili al criterio g) è
costituita dai fondi pensione aziendali o di gruppo, che vengono costituiti sotto
forma di associazioni senza scopo di lucro, generalmente attraverso un contratto
o un accordo collettivo (o regolamento aziendale), ovvero tramite un accordo tra
lavoratori promosso da sindacati o associazioni di categoria. L’assetto di
governance dei fondi pensione prevede generalmente una compartecipazione alle
decisioni sia dei lavoratori, soprattutto tramite i propri rappresentanti sindacali,
sia di chi guida l’azienda o il gruppo.
I fondi pensione aziendali o di gruppo dispongono di un proprio patrimonio
distinto e separato da quello dell'azienda o gruppo di riferimento e gestiscono
ingenti risorse finanziarie, nel rispetto delle stringenti disposizioni legislative e
regolamentari in materia, nonché secondo le disposizioni emanate dall’autorità di
vigilanza competente.
Capita spesso che i fondi pensione di gruppo, poiché obbligati ad investire
larga parte delle proprie risorse in proprietà immobiliari, acquistino dell’azienda
(o dal gruppo) di riferimento le strutture immobiliari in cui si svolgono le attività
produttive, concedendole immediatamente in locazione alla stessa azienda o
gruppo. Questo genere di operazioni, del tutto normali, potrebbero essere
compiute a condizioni non di mercato e costituire, almeno potenzialmente, lo
strumento per «trasferire» indebitamente delle risorse dal fondo
all’azienda/gruppo e viceversa, ad esempio nell’interesse dei lavoratori ma a
danno delle minoranze azionarie presenti nell’azienda o nel gruppo.
Per tali ragioni, è importante che anche questo genere di operazioni siano
soggette ai presidi previsti dalla disciplina delle operazioni con parti correlate.
Da ultimo, si sottolinea che il criterio g) non si riferisce soltanto ai piani per
benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti
dell’entità, ma anche in favore dei dipendenti di una qualsiasi delle parti correlate
97
dell’entità, così come identificate applicando i criteri precedenti. Anche in questo
caso, si intuisce l’ampia portata del criterio in esame.
2.4.9. Le prospettive di evoluzione negli exposure draft pubblicati
dallo IASB
In considerazione del fatto che l’esperienza applicativa dell’attuale versione
del principio IAS 2467, modificato da ultimo nel 2003, ne ha messo in luce alcune
aree di possibile miglioramento, lo IASB ha pubblicato, nel febbraio 2007, un
primo exposure draft68 (nel prosieguo, più brevemente, “ED 2007”) finalizzato al
suo aggiornamento. Sulla base dei commenti ricevuti, nel dicembre 2008, lo
standard setter ha sottoposto a consultazione un nuovo exposure draft69 (“ED
2008”), che ha riformulato e semplificato alcuni passaggi del precedente70.
Gli obiettivi principali cui si ispirano gli exposure draft pubblicati dallo
IASB (nel prosieguo più brevemente “ED”) possono enuclearsi come segue:
i) estendere la definizione di «parte correlata» ad alcune situazioni prima
escluse e migliorarne la coerenza, nella constatazione che alcune situazioni che
sfuggono all’attuale definizione sono del tutto assimilabili ad altre ivi incluse e
che alcune situazioni che sono incluse nella definizione vigente evidenziano una
correlazione sostanzialmente trascurabile;
ii) accrescere la chiarezza della definizione, mediante una sua
riformulazione, ma senza modificarne il significato (con l’eccezione delle
modifiche espressamente indicate dagli stessi ED e riferite all’obiettivo di cui al
punto precedente);
67
Nel prosieguo, più brevemente, IAS 24 (2003).
IASB, Exposure Draft of proposed Amendments to IAS 24 Related Party Disclosures State-controlled Entities and the Definition of a Related Party, 2007.
69
ID., Relationships with the State (proposed amendments to IAS 24 Related Party
Disclosures), 2008.
70
Al momento della redazione del presente lavoro, lo IASB non ha fornito informazioni
sull’esito della consultazione, né sulla tempistica prevista per l’effettivo aggiornamento dello
IAS 24.
68
98
iii) ridurre il livello di informativa richiesto per le operazioni con parti
correlate compiute tra società controllate o soggette all’influenza notevole dello
Stato, inteso sia come amministrazione nazionale, regionale e locale71;
Ai fini del presente lavoro, tenuto conto anche dello stato di avanzamento
del progetto di aggiornamento dello IAS 24(2003), non ancora concluso, si
ritiene utile esaminare le correzioni proposte dallo IASB all’attuale definizione di
parte correlata.
Si ritiene ancora prematuro, invece, commentare nel dettaglio la nuova
formulazione della definizione di parte correlata proposta negli ED72, tenuto
71
A tal fine, l’ED 2008 propone l’introduzione nello IAS 24 di due nuovi paragrafi (17A
e 17B), che precisano le condizioni di esonero dall’obbligo di informativa. Si noti che
l’intervento dello IASB su questo punto è legato alle difficoltà incontrate dalle grandi imprese
cinesi, in cui lo Stato è - come ben noto - fortemente presente nell’economia , nel fornire
un’informativa completa sui rapporti con tutte le imprese controllate dallo Stato. In Italia, si
ricordi, che le modifiche prospettate dallo IASB avranno rilevanza sui bilanci di società quotate
molto importanti, tra le quali Eni, Enel, Finmeccanica, Terna.
72
Per completezza, si riporta di seguito la nuova definizione di parte correlata proposta
dallo IASB nell’ED 2008: «A related party is a person or entity that is related to the entity that
is preparing its financial statements (in this Standard referred to as the ‘reporting entity’).
(a) A person or a close member of that person’s family is related to a reporting entity if
that person:
(i) is a member of the key management personnel of the reporting entity or of a parent of
the reporting entity;
(ii) has control over the reporting entity; or
(iii) has joint control or significant influence over the reporting entity or has significant
voting power in it.
(b) An entity is related to a reporting entity if any of the following conditions applies:
(i) the entity and the reporting entity are members of the same group (which means that
each parent, subsidiary and fellow subsidiary is related to the others). (ii) either entity is an
associate or joint venture of the other entity (or of a member of a group of which the other entity
is a member).
(iii) both entities are joint ventures of a third party.
(iv) either entity is a joint venture of a third entity and the other entity is an associate of
the third entity.
(v) the entity is a post-employment benefit plan for the benefit of employees of either the
reporting entity or an entity related to the reporting entity. If the reporting entity is itself such a
plan, the sponsoring employers are also related to the plan.
(vi) the entity is controlled or jointly controlled by a person identified in (a).
(vii) a person identified in (a)(i) has significant voting power in the entity.
99
conto che essa potrebbe essere soggetta a modifiche anche molto rilevanti e
considerato, soprattutto, che è lo stesso IASB a lasciare intendere che la nuova
definizione è finalizzata esclusivamente a chiarire la precedente formulazione, ad
eccezione delle correzioni espressamente proposte73.
Le ulteriori modifiche prospettate al principio IAS 24 – di cui al precedente
punti iii) – riguardano l’informativa da fornire in bilancio in materia di
operazioni con parti correlate.
Negli ED, lo IASB propone di intervenire sulla definizione di parte
correlata apportando quattro modifiche sostanziali (di cui tre contenute nell’ ED
2007 e una aggiunta nell’ ED 2008), che vengono brevemente analizzate nel
prosieguo.
(viii) a person identified in (a)(ii) has significant influence over the entity or significant
voting power in it.
(ix) a person or a close member of that person’s family (A) has significant influence over
the entity or significant voting power in it and (B) has joint control over the reporting entity.
(x) a member of the key management personnel of the entity or of a parent of the entity,
or a close member of that member’s family, has control or joint control over the reporting entity
or has significant voting power in it».
73
In particolare, nelle Basis for Conclusions dell’ ED 2007, lo IASB osserva:
«BC24. The Board noted that the definition of a related party has weaknesses other than
those noted in paragraphs BC2–BC9: it is cumbersome and includes several cross-references
that make it difficult to read (and to translate). Therefore, the Board decided to take this
opportunity to clarify the intended meaning and to simplify the structure of the definition. The
redrafting included replacing the word ‘individual’ with ‘person’. As a consequence, the Board
proposes, for consistency, to amend the definition of close member of the family of a person.
BC25 The Board also proposes supplementing the standard with implementation guidance
to highlight some situations in which entities are related parties.
BC26 Changes to the structure of the definition of a related party are not intended to alter
the meaning in IAS 24, except for the other amendments proposed in this exposure draft».
Si noti altresì che una delle domande espressamente poste ai commentatori nell’ED 2007
è la seguente: «Do you agree with the proposal to clarify the definition of a related party? Does
the wording proposed capture the same set of related parties as IAS 24 at present (except for the
amendments described in (a)–(c) above)? Do you agree that the proposed wording improves the
definition of a related party?». ED 2007, p. 6.
100
La prima proposta di modifica74 si riferisce alle situazioni raffigurate nella
Figura seguente, in cui si ipotizza l’esistenza di una società “A” che controlla
“C” ed esercita un’influenza notevole su “B”.
Figura 10. - Correlazione tra collegate e controllate di una stessa entità
IAS 24 (2003)
Proposta ED
A
A
C
IN
Caso 1
IN
C
B
Legenda:
C
B
Reporting entity
Società correlata
C
Società terza
C
A
A
IN
Caso 2
B
C
C
IN Relazione di
influenza notevole
C
IN
B
Relazione di controllo
C
Nella parte sinistra della Figura si mostra quanto previsto dall’attuale
definizione fornita dallo IAS 24, mentre nella parte destra si rappresenta il
risultato auspicato dallo IASB a seguito delle proposte di revisione formulate
negli ED.
Secondo l’attuale definizione:
- nella prospettiva di “B” (Caso 1), “A” è una parte correlata (ai sensi del
criterio a.ii), mentre la correlazione di “C” non è espressamente richiamata da
nessuno dei criteri dello IAS 24, nonostante sia intuitivo osservare che una stessa
operazione compiute da “B” con “A” o con “C” non presenti differenze
sostanziali (si pensi al caso limite in cui “C” sia posseduta al 100% da “A”)75;
74
Cfr. ED 2007, parr. BC2-BC5.
Si pensi alla particolare situazione che potrebbe presentarsi laddove dovesse esistere un
bilancio consolidato del gruppo “A+C”, nel quale anche le operazioni tra “B” e “C”
ricadrebbero nella nozione di operazioni con parti correlate. Difficilmente si potrebbe motivare
una loro esclusione nel bilancio separato di “C”. In proposito, nelle basis for conclusions dell’
ED 2007, lo IASB osserva: «The Board was asked to consider whether an associate and a
subsidiary of the same entity are related parties. The Board noted that the definition of a related
party includes a party that has significant influence over the entity. Therefore, when an associate
prepares individual or separate financial statements, its investor is a related party. If the investor
has a subsidiary, that subsidiary is also related to the associate, because the subsidiary is part of
75
101
- nella prospettiva di “C” (Caso 2), “A” è una parte correlata (ai sensi del
criterio a.i), mentre “B” non lo è.
Secondo quanto esposto dallo IASB negli ED, nella nuova definizione di
parte correlata (parte destra della figura) entrambe le situazioni verranno
ricomprese nella nozione di correlazione: “B” dovrà considerare “C” una propria
parte correlata e viceversa.
Si noti che considerazioni del tutto analoghe a quelle formulate con
riferimento all’esempio proposto, potrebbero essere svolte nel caso in cui “A”,
anziché essere una società, fosse una persona fisica.
La seconda modifica sostanziale si riferisce all’eliminazione di
un’incoerenza riscontrata nell’attuale formulazione, che viene evidenziata
nell’esempio rappresentato nella figura seguente:
Figura 11. Correlazione tra entità sottoposte all’influenza notevole di uno
stesso soggetto
IAS 24 (2003)
Proposta ED
A
A
Caso 1
R
B
R
IN
IN
IN
IN
Legenda:
R
B
Reporting entity
Società correlata
Società terza
A
A
IN
Caso 2
R
IN
IN
B
R
Persona fisica
correlata
IN
IN Relazione di
influenza notevole
B
I due casi rappresentati in Figura differiscono solo per la natura del soggetto
“A” che esercita l’influenza notevole:
- nel Caso 1, si tratta di una persona fisica;
- nel Caso 2, si tratta di una società.
the group that has significant influence over the associate. The Board proposes an amendment to
ensure that the definition states this more clearly», ED 2007, BC2.
102
Secondo l’attuale definizione (parte sinistra della figura), nella prospettiva
della reporting entity “R”, “A” costituisce in entrambi i casi una parte correlata
(ai sensi del criterio a.ii).
Diversamente, la diversa natura di “A” incide sull’inclusione di “B” nel
novero delle parti correlate di “R”. In particolare:
- nel Caso 1, “B” è ricompressa nel criterio f) e si considera una parte
correlata;
- nel caso “2”, invece, “B” non viene ricompresa in alcuno dei criteri
previsti dall’attuale formulazione dello IAS 24 e non costituisce una parte
correlata.
Secondo quanto indicato dallo IASB negli ED, la nuova definizione
escluderà la correlazione anche nel Caso 1, nell’ipotesi che l’influenza notevole
esercitata da uno stesso soggetto non possa ritenersi una relazione
sufficientemente significativa da far concludere che due parti siano fra loro
correlate76.
La terza modifica di carattere sostanziale proposta dallo IASB amplia in
modo significativo il novero delle parti correlate di un’entità.
Come osservato con riferimento al criterio f), l’attuale definizione fornita
dallo IAS 24 prevede che una reporting entity consideri parti correlate le entità
controllate, controllate congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte
di un proprio dirigente con responsabilità strategiche (identificato ai sensi del
criterio d), ovvero nelle quali un tale soggetto detenga, direttamente o
indirettamente, una quota significativa di diritti di voto. Tuttavia la definizione
dello IAS 24 non prevede che la correlazione sia reciproca. Si veda l’esempio
rappresentato nella figura seguente.
76
Nelle Basis for conclusions dell’ ED 2007, osserva lo IASB: «The Board concluded
that the relationship between associates of an entity should not fall within the definition of a
related party. This is because there is insufficient influence through the common investment in
two associates to warrant concluding that they are related». ED 2007, BC6.
103
Figura 12. Dirigenti con responsabilità strategiche: reciprocità del criterio f)
IAS 24 (2003)
Proposta ED
Legenda:
Caso 1
C
B
A
Reporting entity
C
C/IN/CC
C/IN/CC
B
A
Società correlata
Società terza
Persona fisica
correlata
Relazione valida ai
sensi del criterio f)
Caso 2
C
C
C/IN/CC
A
B
C/IN/CC
B
A
Nell’esempio, il soggetto “C” è un dirigente con responsabilità strategiche
della società “A” ed esercita il controllo su “B” (oppure un’influenza notevole o
il controllo congiunto)77.
Secondo l’attuale definizione (parte sinistra della figura):
- nella prospettiva della società “A” (Caso 1), “C” è una parte correlata ai
sensi del criterio d) e “B” è una parte correlata ai sensi del criterio f);
- nella prospettiva della società “B” (Caso 2), invece, “C” è una parte
correlata ai sensi del criterio a.i), mentre “A” non è una parte correlata.
Secondo quanto prospettato dallo IASB negli ED, la nuova definizione
manterrà invariata la situazione rappresentata nel Caso 1 e determinerà
l’inclusione di “A” tra le parti correlate di “B” nel Caso 278, in considerazione del
77
Nell’esempio, si esclude il caso, previsto dal criterio f), in cui “A” detenga un «potere
di voto significativo», stanti le difficoltà che si incontrano nell’interpretare tale concetto e già
evidenziate nel par. 2.4.7.
78
Osserva lo IASB: « BC8. Subparagraph (f) of the definition of related party states that
when a member of the key management personnel of the reporting entity (Entity A) controls,
jointly controls or significantly influences, or holds significant voting power in, another entity
(Entity B) then Entity B is related to Entity A. The Board decided that this is appropriate
because, in this situation, the person could influence transactions between the entities through
the management position in Entity A and the ownership interest in Entity B. The Board
104
fatto che, nella prospettiva di “B”, le operazioni effettuate con “A” potrebbero
comunque essere influenzate dalla posizione di rilievo ricoperta da “C”79.
L’ ED 2008 propone un ulteriore ampliamento nella definizione di parte
correlata, relativo ad alcuni casi particolarmente articolati. L’esempio
rappresentato nella figura seguente sintetizza quanto proposto dallo IASB.
Figura 13. - Ulteriore ampliamento della nozione di «parte correlata»
previsto nell’ED 2008
IAS 24 (2003)
Proposta ED
C
C
Caso 1
Legenda:
A
A
CC
IN/CC
B
CC
IN/CC
B
R
R
Reporting entity
Società correlata
R
Società terza
Caso 2
A
C
A
CC
IN/CC
C
Persona fisica
correlata
CC
IN/CC
IN/CC
Caso 3
A
IN/CC
B
B
R
SF
R
C
A
D
CC
R
IN/CC
B
SF
C
CC
B
D
CC
SF
Relazione di
influenza notevole
o di controllo
congiunto
Relazione di
controllo
congiunto
Relazione di stretta
familiarità
R
Si consideri l’attuale definizione (parte sinistra della rappresentazione
grafica).
Facendo riferimento ai casi 1 e 2 e considerando la prospettiva degli
amministratori della reporting entity “R”:
observed, however, that if Entity B is the reporting entity then Entity A is not currently within
the definition of related party of Entity B (in the situation described).
BC9. The Board decided that the possibility of that person influencing transactions is just
as relevant in the financial statements of Entity B. Therefore, the Board proposes to amend the
definition of a related party to ensure that in both sets of financial statements the entities are
defined as related parties». ED 2007, BC8-BC9.
79
Come si osserverà in modo più approfondito nel par. 3.3, le operazioni compiute da “B”
con “A” ricadrebbero nella disciplina prevista dall’art. 2391 del codice civile. La modifica
prospettata dallo IASB porterà, nei casi simili a quello dell’esempio, all’applicazione congiunta
anche delle disposizioni dell’art. 2391-bis.
105
- “A” e “C”, che esercitano controllo congiunto su “R”, sono parti correlate
a “R” ai sensi del criterio a.iii80;
- “B” (sottoposta all’influenza notevole ovvero al controllo congiunto da
parte“A”) non è una parte correlata a “R”(lo sarebbe se fosse soggetta al
controllo da parte di “A”)
Considerando il caso 3:
- “D” e “C” sono parti correlate ai sensi del criterio a.iii;
- “A” è una parte correlata in quanto stretto familiare di “D”;
- “B” non è una parte correlata.
Secondo quanto prospettato dallo IASB nell’ ED 2008, con l’eventuale
entrata in vigore della nuova definizione proposta, in tutti e tre i casi esaminati la
società “B” sarà considerata una parte correlata a “R”81.
80
Come già osservato al par. 2.4.3, si ricorda che la nozione di controllo congiunto su cui
si basa il criterio a.iii dello IAS 24 differisce sotto alcuni aspetti da quella prevista dallo IAS 31
per il trattamento contabile delle joint venture. In particolare, si è sostenuto che anche alcuni
sindacati di voto possano rientrare nella nozione di controllo congiunto prevista al criterio a.iii
dello IAS 24.
81
Cfr. ED 2008, BC12-BC17. In particolare, osserva lo IASB: «In summary, the Board’s
revised proposals would treat two entities as related to each other whenever a person or a third
entity has joint control over one entity and that person (or a close member of that person’s
family) or the third entity has joint control or significant influence over the other entity or
significant voting power in it». Ibidem, BC16. Si noti che, nuovamente, lo IASB fa riferimento
al concetto di «significant voting power», da noi omesso nell’esempio per l’obiettiva difficoltà
di comprenderne il significato nella totale assenza di specificazioni da parte dello IASB.
Guardando agli esempi inseriti nell’ ED 2008, si deduce che solo le persone fisiche possano
esercitare un «significant voting power» (cfr. ED 2008, esempi 1-4, pp.9-11). Al termine del
percorso di ricerca che ha condotto alla stesura del presente lavoro, non è stato possibile
comprendere cosa si intenda con tale espressione.
106
Capitolo 3
La normativa in materia di processo decisionale nelle
operazioni con parti correlate: problematiche applicative
3.1. Considerazioni introduttive
All’art. 2391-bis del codice civile, il legislatore stabilisce i compiti degli
amministratori e dell’organo di controllo in materia di operazioni con parti
correlate compiute dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio1.
In particolare, è compito degli amministratori:
i) stabilire regole che assicurino «la trasparenza e la correttezza sostanziale
e procedurale delle operazioni con parti correlate», compiute «direttamente o per
il tramite di società controllate»; tali regole devono essere adottate secondo i
principi generali definiti dalla Consob2, chiamata dal legislatore a specificare i
seguenti aspetti:
- competenza decisionale delle operazioni;
1
Per un approfondimento degli aspetti giuridici della norma in parola si rinvia a: F.
CHIAPPETTA, Le operazioni con parti correlate: profili sistematici e problematici, dircomm.it,
Rivista diretta da Giovanni Cabras e Paolo Ferro-Luzzi, nov. 2008; S. DODARO, Commento sub
art. 2391 bis, in AA.VV., Codice commentato delle società (a cura di G. Bonfante – D. Corapi
– G. Marziale – R. Rordorf), V. Salafia, Milano, 2007; A. POMELLI, Commento sub art. 2391bis, in A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve al diritto delle società, CEDAM, Padova,
2005; M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma
delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F.
Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005.
2
Pur in assenza di regolamentazione (si veda l’Appendice per gli aspetti essenziali della
proposta di regolamentazione avanzata dalla Consob), si noti che tutti i maggiori gruppi quotati
si sono autonomamente dotati di regole in materia di operazioni con parti correlate.
- motivazione delle operazioni;
- documentazione delle operazioni.
Lo stesso legislatore, inoltre, pur non disponendo una vera e propria
prescrizione normativa, menziona espressamente la possibilità concessa agli
amministratori di farsi assistere, per le operazioni con parti correlate, da esperti
indipendenti, in ragione «della natura, del valore o delle caratteristiche dell'
operazione» da porre in essere.
ii) rendere note nella relazione sulla gestione le regole stabilite.
All’organo di controllo – sia esso il collegio sindacale, il consiglio di
sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione - il legislatore attribuisce
i compiti di:
i) vigilare sull'osservanza delle regole adottate dagli amministratori;
ii) riferire all’assemblea sugli esiti di tale attività, nell’ambito della
relazione di propria competenza.
Nei paragrafi che seguono, nei quali ci sia consentito fare riferimento al
modello tradizionale di amministrazione e controllo, tenuto conto della sua netta
prevalenza tra le imprese italiane, si approfondiscono i fondamentali aspetti delle
regole che devono essere stabilite dai consigli di amministrazione delle società
quotate, alla luce di un quadro normativo che, come già osservato nel secondo
capitolo, presenta un elevato livello di complessità.
In particolare, dopo un approfondimento della nozione di correttezza
sostanziale e procedurale richiamata dall’art. 2391-bis (paragrafo 2), nel presente
capitolo si approfondiscono gli ambiti di sovrapposizione della disciplina sulle
operazioni con parti correlate con le norme in materia di operazioni in cui gli
amministratori detengono un interesse e le operazioni effettuate nell’ambito di un
medesimo contesto di direzione e coordinamento (paragrafo 3), fornendo un
possibile quadro di sintesi della normativa vigente (paragrafo 3.1). Inoltre, nel
quarto paragrafo, si formulano alcuni commenti sul ruolo assegnato al collegio
sindacale dal legislatore.
Infine, dopo una disamina delle disposizioni del codice di autodisciplina
(paragrafo 5), si presentano le principali problematiche applicative della
normativa ai processi decisionali delle grandi imprese, indicando alcune delle
soluzioni sviluppatesi nella prassi (paragrafo 6).
108
3.2.
Le regole stabilite dal consiglio di amministrazione: gli obiettivi
di trasparenza e di correttezza sostanziale e procedurale
Le regole di cui deve dotarsi il consiglio di amministrazione in materia di
operazioni con parti correlate, secondo l’art. 2391-bis, devono garantire il
raggiungimento di due obiettivi:
i) la trasparenza delle operazioni con parti correlate;
ii) la correttezza sostanziale e procedurale delle stesse.
Soffermando brevemente l’attenzione sull’obiettivo di trasparenza, si
ricorda che esso si riferisce al rispetto degli obblighi di informativa esterna
periodica (nelle relazioni finanziarie) e speciale (comunicati e documenti
informativi).
Come già argomentato, nel presente lavoro si è scelto di non approfondire le
tematiche relative all’informativa esterna, tuttavia è bene rimarcare la stretta
correlazione che lega i due obiettivi indicati dal legislatore: la correttezza
gestionale, infatti, è condizione necessaria affinché possa raggiungersi anche
l’obiettivo della trasparenza informativa e quest’ultima, a sua volta, pone potenti
remore ai comportamenti scorretti degli amministratori.
Per quanto concerne le espressioni «correttezza sostanziale» e «correttezza
procedurale», giova sottolineare che esse sono state utilizzate per la prima volta
in Italia dal codice di autodisciplina delle società quotate del 2002, che, all’art.
11.1 stabiliva appunto che: «le operazioni con parti correlate rispettano criteri di
correttezza sostanziale e procedurale». Nei commenti all’articolo, veniva poi
precisato che: «il riferimento alla fairness riflette le migliori pratiche
internazionali, oltre a trovare corrispondenza con la nostra disciplina legislativa
dei conflitti di interesse. Per fairness sostanziale si intende la correttezza
dell’operazione dal punto di vista economico, quando ad esempio il prezzo di
trasferimento di un bene sia allineato con i prezzi di mercato. Per fairness
procedurale si intende il rispetto di procedure che mirano ad assicurare la
correttezza sostanziale dell’operazione»3.
3
COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di
autodisciplina, 2002, art. 11.1.
109
Per comprendere il significato originario di tali espressioni, che il legislatore
ha poi inserito nell’art. 2391-bis, giova osservare che esse si ispirano alle
conclusioni in materia di operazioni in conflitto d’interessi maturate dalla
giurisprudenza e dalla prassi degli Stati Uniti4.
In particolare, nel diritto comune statunitense, la definizione di piena
correttezza (c.d. «entire fairness») si fonda sulla presenza di due condizioni:
i) la correttezza sostanziale (c.d. «substantive fairness» o «fair price»), che
si riferisce alle condizioni contrattuali dell’operazione;
ii) la correttezza procedurale (c.d. «procedural fairness» o «fair dealing»),
inerente le modalità procedurali con cui è stata decisa e realizzata l’operazione.
La «substantive fairness» non consiste solo nella correttezza economica
dell’operazione, valutata rispetto alle normali condizioni di mercato che
sarebbero applicate in assenza di correlazione, ma l’operazione deve altresì
essere «beneficial to the corporation», cioè risultare vantaggiosa per la società.
Come detto, per la sussistenza della entire fairness dell’operazione non è
sufficiente la sua substantive fairness, ma è necessario anche che l’operazione
verifichi la condizione di procedural fairness, la quale, secondo la
giurisprudenza e la prassi americane in materia di conflitti d’interessi degli
amministratori, si fonda sulla valutazione di tre elementi:
- la trasparenza sulle caratteristiche dell’operazione e sugli interessi in
conflitto dell’amministratore;
- la ricorrenza di un’approvazione da parte degli amministratori
indipendenti che siedono nel Board5;
4
Nella trattazione, si fa riferimento alla definizione di fairness contenuta nella section
§8.60(6) del Model Business Corporation Act (MBCA), un modello di legislazione societaria
attualmente adottato ufficialmente da 20 stati americani, che rappresenta anche uno dei più
importanti punti di riferimento per la giurisprudenza degli altri stati. Cfr., anche per il prosieguo,
CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia
di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008, p. 112.
5
Si ricorda che, negli Stati Uniti, la struttura di corporate governance si basa su un
sistema di tipo one-tier, con la presenza di un unico organo, il board of directors, che esercita
sia le funzioni direttive che le funzioni di controllo e al cui interno si distinguono:
- gli executive o inside directors, che occupano generalmente posizioni manageriali
apicali nella società e tra i quali si colloca il c.d. Chief Executive Officer (il vero e proprio capoazienda);
i non-executive o outside directors, che svolgono funzioni di controllo sull’operato del
board, alcuni dei quali, che verificano particolari requisiti, sono definiti independent directors.
110
- il ruolo dell’amministratore in conflitto di interessi nella definizione
dell’operazione.
Quanto a quest’ultimo elemento, la giurisprudenza americana ritiene unfair
l’operazione definita anche con la partecipazione dell’amministratore in conflitto
di interessi alla negoziazione o all’approvazione della stessa, quando sia evidente
che tale partecipazione abbia influenzato gli altri amministratori e inficiato
l’indipendenza anche dell’autorizzazione espressa dagli amministratori
indipendenti.
Nella letteratura economico-aziendale la correttezza gestionale rappresenta
un tema centrale di studio. Seguendo il pensiero del Coda6, la correttezza
gestionale può essere definita, in rapporto di stretta correlazione con la
trasparenza informativa, un vero e proprio valore aziendale, il «cardine di un
orientamento strategico di fondo lungimirante».
Nel declinare i profili di correttezza dei fatti gestionali, il Coda menziona:
- la conformità alla legge, intesa non soltanto sotto il profilo formale, ma
anche sostanziale;
- l’inerenza all’oggetto dell’azienda, requisito disatteso nei casi di patologie
aziendali particolarmente gravi, nelle quali «si vogliono porre in essere
operazioni che non sarebbe pensabile legittimare attraverso delibere di
allargamento dell’oggetto dell’attività aziendale»;
- la rispondenza all’interesse aziendale;
- l’effettività delle prestazioni e la congruità dei prezzi.
Si noti che, quando le operazioni di gestione coinvolgono controparti
correlate sono soprattutto gli ultimi due requisiti di correttezza ad assumere un
particolare rilevo, dal momento che, in tali circostanze, essi possono essere più
facilmente disattesi, tenuto conto dell’assenza della contrapposizione d’interessi
che è tipica delle normali transazioni di mercato.
Per quanto concerne la rispondenza dei fatti gestionali all’interesse
aziendale, la sua verifica passa attraverso:
i) un giudizio di funzionalità e
ii) un giudizio di convenienza.
6
Cfr. V. CODA, Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni
di contesto, in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam,
Padova, 1997, p. 321 e ss.
111
Sotto il primo profilo, la correttezza dei fatti gestionali sussiste se essi sono
funzionali alla missione produttiva dell’azienda. In proposito, si noti che i giudizi
di funzionalità possono essere:
- meramente tecnici, con riferimento a operazioni di gestione corrente, quali
ad esempio l’acquisto di una materia prima o l’assunzione di un collaboratore per
una posizione esecutiva;
- di valutazione strategica, se si riferiscono ad operazioni di straordinaria
amministrazione, quale la cessione di un ramo d’azienda o l’assunzione di un
dirigente di alto livello.
Verificata la funzionalità del fatto gestionale, occorre valutarne la
convenienza economica: esso deve rappresentare la più conveniente tra le
alternative percorribili.
In sintesi, come osservato nel primo capitolo, la rispondenza all’interesse
aziendale viene verificata quando le decisioni sono ispirate al criterio guida
dell’economicità aziendale.
Quanto ai requisiti di correttezza relativi all’effettività delle prestazioni e
alla congruità dei prezzi, essi si riferiscono alle operazioni di scambio, che
vengono disattesi quando la fatturazione avvenga a prezzi diversi da quelli
effettivamente negoziati, ovvero attraverso la fatturazione di quantitativi diversi
da quelli oggetto di scambio.
La violazione dei suddetti principi di correttezza gestionale può comportare
(come nel caso delle false fatturazioni) la produzione di documenti che non
rappresentano fedelmente i fatti gestionali sottostanti. Si evidenzia, in proposito,
come la violazione dei principi di correttezza gestionale possa pregiudicare anche
la trasparenza informativa
Andando a declinare, alla luce di quanto osservato, in cosa consista
l’obiettivo di correttezza sostanziale e procedurale richiesto alle regole stabile
dall’organo amministrativo.
In primo luogo, è necessario che tali regole prevedano presidi idonei ad
impedire il compimento di operazioni che non siano funzionali alla missione
aziendale e che vengano effettuate esclusivamente in funzione dell’esistenza di
un rapporto di correlazione con la controparte, al fine di:
112
- sottrarre risorse all’impresa in favore di economie correlate a chi esercita il
controllo (esempi limite: acquisti di beni e servizi non utili all’impresa al solo
fine di sostenere economicamente una parte correlata, concessione di
finanziamenti o prestazione di garanzie ad imprese correlate in situazione di
irrimediabile dissesto economico-finanziario), ovvero
- manipolare i conti della società (ad esempio, le c.d. round trip transaction,
cioè acquisti e vendite di beni dello stesso tipo al solo fine di aumentare l’entità
dei ricavi, oppure le cessioni di crediti inesigibili o in sofferenza ad una società
veicolo esclusa dal consolidato e residente in un paradiso societario, in cambio di
crediti verso la stessa società veicolo).
In proposito, le regole stabilite dal consiglio dovranno dedicare la massima
attenzione soprattutto alle operazioni con parti correlate che ricadano anche nella
definizione delle c.d. operazioni atipiche o inusuali (stabilita dalla Consob sul
modello della disciplina statunitense), cioè «quelle operazioni che per
significatività/rilevanza, natura delle controparti, oggetto della transazione,
modalità di determinazione del prezzo di trasferimento e tempistica
dell’accadimento (prossimità alla chiusura dell’esercizio) possono dare luogo a
dubbi in ordine: alla correttezza/completezza dell’informazione in bilancio, al
conflitto d’interesse, alla salvaguardia del patrimonio aziendale, alla tutela degli
azionisti di minoranza»7.
7
Cfr. Comunicazione Consob n. 6064293 del 28.7.2006 (in materia di bilancio e relazione
semestrale) e precedente Comunicazione n. 1025564 del 6.4.2001 (in materia di relazione
dell’organo di controllo all’assemblea). Si noti che la medesima definizione è stata riproposta
anche nella bozza di regolamentazione sottoposta a consultazione dalla Consob.
6
Si noti che la stessa Consob, nella proposta di regolamentazione ex 2391-bis pubblicata
nell’aprile 2008 elimina la seconda parte della definizione («che possono dar
luogo…minoranza»), evidenziando che la versione attualmente vigente «comporta, infatti, una
serie di problemi applicativi: in particolare, poiché appare attribuire una valenza negativa a
queste tipologie di operazioni, raramente le società sono portate ad identificare le operazioni
come atipiche e/o inusuali (..)Ciò posto, (…) si sono eliminate le parti della definizione:
- che hanno un contenuto troppo generico o appaiono ridondanti;
- che inducono a ritenere che l’operazioni atipiche debbano necessariamente non essere
“corrette”. Tale nuova definizione avrà rilevanza sia per la nuova disciplina delle operazioni con
parti correlate sia ai fini della disciplina contabile». CONSOB, Disciplina regolamentare di
attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate.
Documento di consultazione, 2008, pp. 64-65.
113
La definizione Consob prende in considerazione alcuni aspetti che, tenendo
conto delle specificità di ogni singola impresa, possono segnalare le operazioni
con parti correlate che non sarebbero effettuate con parti indipendenti:
- significatività/rilevanza (ad esempio, un’operazione di importo
significativamente superiore a quelle dello stesso tipo generalmente concluse
dall’impresa);
- natura delle controparti (ad esempio, l’acquisto di una certa tipologia di
beni o di servizi da un nuovo fornitore che non sia specializzato nella produzione
di quel bene o servizio, la richiesta di un finanziamento ad una società
commerciale);
- oggetto della transazione (ad esempio, per una società non finanziaria
potrebbe considerarsi atipica/inusuale la concessione di crediti finanziari a
medio-lungo termine);
- modalità di determinazione del prezzo di trasferimento (ad esempio, in una
compravendita, pur in presenza di un mercato attivo di riferimento, il contratto
potrebbe prevedere una serie di clausole particolari);
- tempistica dell’accadimento (ad esempio, operazioni compiute
sistematicamente prima delle date di chiusura dei bilanci potrebbero essere prive
di sostanza economica e finalizzate esclusivamente a manipolare i risultati).
Un secondo obiettivo che il sistema di regole stabilite dall’organo
amministrativo deve raggiungere, che si ricollega al giudizio di rispondenza
all’interesse aziendale di cui si è detto in precedenza, è collegato alla cosiddetta
fairness all’operazione, le cui condizioni non dovrebbero discostarsi da quelle
che verrebbero praticate in una medesima operazione caratterizzata dal c.d. arm’s
length character, cioè effettuata con una controparte non correlata all’impresa.
La nozione di arm’s length character di un’operazione si ricollega al
concetto di fair value – caro alla letteratura e alla prassi economica e giuridica di
matrice anglosassone –definibile, mutuando la nozione fornita nei principi
contabili IAS/IFRS, come «il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere
La nuova definizione proposta dalla Consob è la seguente: « le operazioni con
caratteristiche atipiche o inusuali rispetto alla normale gestione d’impresa, per natura della
controparte, oggetto della transazione, modalità di determinazione del prezzo o tempistica
(prossimità della chiusura dell’esercizio sociale)», Proposta nuova lett. p), art. 2, Regolamento
Emittenti, Ibidem, p. 146.
114
scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli
e disponibili».
In proposito, tuttavia, deve sottolinearsi che tale concezione di fairness
nasce in un contesto socio-economico fortemente influenzato dalla presenza di
mercati attivi, liquidi e completi, nei quali il fair value delle risorse scambiate
(siano esse beni, servizi, diritti, risorse finanziarie, ecc.), può essere considerato
alla stregua di un dato, subito disponibile (nel caso di beni quotati) o facilmente
calcolabile mediante il confronto con transazioni comparabili.
Laddove esistano delle condizioni standard di scambio, l’obiettivo di
correttezza sostanziale può effettivamente consistere nel perfetto allineamento ad
esse delle operazioni concluse con parti correlate.
Nella realtà delle imprese, tuttavia, solo un numero molto ristretto di
operazioni (es. compravendita di risorse fungibili o titoli scambiati sul mercato,
concessione di finanziamenti, operazioni che l’impresa conclude abitualmente
anche con parti non correlate e per le quali, pertanto, ha a disposizione
transazioni comparabili, ecc.) possono presentare effettivamente condizioni
standard, mentre, normalmente, le operazioni di gestione presentano delle
condizioni del tutto peculiari (tempi e modalità di svolgimento o di pagamento,
presenza di particolari rischi o di garanzie, …) che impediscono l’individuazione
di un fair value oggettivo. Alcune di esse, peraltro, risultano particolarmente
complesse e sostanzialmente uniche (si pensi, su tutte, alle operazioni di merger
and acquisition).
E’ inoltre fondamentale ricordare che, come già osservato nel primo
capitolo, non é possibile analizzare e valutare il significato economico delle
operazioni di gestione senza considerare l’azienda, nella sua complessa e
dinamica economia. Osserva l’Onida: «nell’economia dell’azienda di produzione
sono in tutto o in parte congiunti – come vedremo – i costi delle svariate
produzioni, sono connessi – o hanno convenienza giudicabile solo nella
connessione – i ricavi delle stesse, e sono quindi avvinti da relazioni di mutua
dipendenza i risultati astrattamente attribuibili a ciascuna produzione. Per questo,
in imprese diverse, anche simili, la convenienza di date produzioni o di dati
prezzi di acquisto di fattori produttivi o di collocamento di prodotti è variamente
sentita, e male amministrerebbe chi credesse semplicisticamente di trasporre da
azienda ad azienda giudizi di convenienza relativi a determinate produzioni, a
dati processi produttivi e a dati prezzi, senza verificare se nel complesso sistema
economico della gestione delle diverse aziende, esista, entro sufficienti limiti, la
115
parità di condizioni che sola potrebbe consentire una non ingannevole
trasposizione dei considerati giudizi di convenienza. In concreto, questa
sufficiente parità di condizioni, rispetto ad aziende pur analoghe o simili, è
tutt’altro che frequente, assai svariate e mutevoli essendo le condizioni
economiche, finanziarie e patrimoniali, passate, presenti o presunte future,
operanti nei diversi momenti della vita di ciascuna azienda: condizioni che
conferiscono a quest’ultima – come già osservammo – unicità oltre che unità,
facendola entità unica e individua in confronto ad ogni altra, e che concorrono a
configurare variamente la convenienza rispetto a date operazioni. Quando si
consideri che ogni operazione d’azienda trae significato economico e caratteri
distintivi anche dal sistema di gestione nel quale si inserisce, si deve dire che
operazioni o produzioni per se stesse formalmente simili, sono in realtà
economicamente diverse, e presentano quindi varia convenienza se attuate in
dissimili sistemi e condizioni di gestione, da aziende diverse, o in diversi
momenti, da una medesima azienda»8.
La valutazione delle condizioni e, più in generale, della convenienza di
un’operazione è possibile solo nell’ottica della complessiva gestione. Ad
esempio, come spesso accade, l’impresa può decidere di stabilire relazioni di
lungo periodo con gli altri soggetti operanti nel sistema ambientale circostante e,
in tali situazioni, una singola operazione di per sé antieconomica potrebbe invece
presentare un’importante valenza strategica in prospettiva successiva, costituendo
il presupposto per una relazione duratura, magari funzionale all’ingresso in un
nuovo mercato.
Si pensi anche agli scambi tra società inserite nello stesso gruppo aziendale
(che rappresentano l’esempio più frequente di operazioni con parti correlate), in
cui possono esistere addirittura società che strutturalmente acquistano fattori
produttivi e cedono prodotti/servizi, sostanzialmente unici, solo all’interno del
gruppo (tra i casi più frequenti, si pensi alle società che utilizzano in licenza il
marchio del gruppo, alle società finanziarie che forniscono servizi di tesoreria
centralizzata, alle società che si limitano alla distribuzione di beni e servizi
prodotti da altre società del gruppo, ecc.).
La definizione di basi il più possibile oggettive dei corrispettivi degli
scambi infragruppo (c.d. transfer pricing) costituisce una tra le più interessanti
problematiche che interessano i gruppi aziendali e assume una rilevanza cruciale
per i gruppi multinazionali, i quali sono soggetti a norme tributarie molto severe,
8
P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino, 1971, p. 308.
116
tese ad impedire il trasferimento di porzioni di reddito imponibile in stati a
fiscalità ridotta o in giurisdizioni dove il gruppo potrebbe vantare uno specifico
interesse9.
Alla luce di quanto osservato, si evidenzia che, generalmente, non è
possibile parlare di vere e proprie «condizioni che verrebbero stabilite in una
transazione tra parti consapevoli e indipendenti».
E’ appena il caso di ricordare, inoltre, soprattutto per le operazioni più
complesse, come la sottoscrizione di accordi strategici pluriennali o
l’acquisizione di complessi aziendali o di partecipazioni azionarie, la
fondamentale differenza che sussiste tra il concetto di valore e il concetto di
prezzo10.
Per chiarire quali obiettivi concreti ponga alle regole stabilite dal consiglio
di amministrazione l’obiettivo della correttezza sostanziale delle operazioni, è
necessario ricordare che la formulazione del giudizio di convenienza economica
si pone al termine di un complessivo processo decisionale, che trova il proprio
fondamento nelle informazioni a disposizione del soggetto che prende la
decisione e che determina il comportamento aziendale.
9
Sul tema delle transazioni infragruppo (intercompany transaction) e dei c.d. prezzi di
trasferimento (transfer price), si rinvia, tra gli altri, a: AA.VV., I prezzi di trasferimento.
Determinanti e metodologie di calcolo, EGEA, Milano, 2002; P. ANDREI, Gruppi aziendali e
politiche dei prezzi di trasferimento, in AA.VV, Le aggregazioni di impresa, Giuffrè, Milano,
1994; M. MIOLA, Trasferimenti patrimoniali infragruppo: profili interni e transnazionali, in P.
BALZARINI-G. CARCANO-G. MUCCIARELLI, Gruppi di società. Atti del Convegno
internazionale di studi. Venezia, 16-17-18 novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996; M. PILATI,
Le politiche dei prezzi di trasferimento. Organizzazione e controllo nei quasi mercati, EGEA,
Milano, 1990.
10
Si riporta quanto osservato dall’Onida a proposito delle transazioni in assoluto più
complesse, cioè i trasferimenti di complessi aziendali in funzionamento: i prezzi di
trasferimento «si formano nella tipica condizione del monopolio bilaterale. Lo scambio infatti,
avviene comunemente tra due monopolisti: di solito il cedente dell’azienda è l’unico offerente
del complesso che un dato compratore avrebbe bisogno o desiderio di acquistare, mentre il
cessionario è spesso l’unico richiedente. Il prezzo si forma tra il valore massimo che il
compratore ritiene conveniente di attribuire all’azienda ed il valore minimo che il venditore è
disposto ad accettare» P. ONIDA, Le dimensioni del capitale d'impresa. Concentrazioni Trasformazioni - Variazioni di capitale, Ristampa seconda edizione emendata, Giuffrè, Milano,
1951, p.185. Sulle differenze tra «prezzo» e «valore», si rinvia, per tutti, a G. ZANDA-M.
LACCHINI-T. ONESTI, La valutazione delle aziende (V ed.), Giappichelli, Torino, 2005, cap. 1.
117
In tale ottica, si ritiene che il criterio della correttezza sostanziale debba
essere interpretato soprattutto in relazione alla qualità e all’efficacia dei processi
di decisione, esecuzione e controllo inerenti le operazioni concluse con parti
correlate.
In tale ottica, il valore delle risorse, dei servizi, delle obbligazioni oggetto
della transazione costituisce solo uno degli elementi informativi (non sempre il
principale) su cui deve basarsi una decisione «corretta» dal punto di vista
sostanziale, sia nei casi in cui tale valore sia un dato desumibile dal mercato, sia
nei casi in cui sia il frutto di procedimenti di valutazione (di fonte interna ovvero
esterna, come nel caso dell’intervento degli esperti indipendenti, richiamato
espressamente dall’art. 2391-bis).
Pertanto, le regole stabilite dal consiglio di amministrazione devono
assicurare che tutte le fasi in cui si può idealmente scomporre il processo
decisionale (individuazione del problema, definizione del problema, sviluppo
delle soluzioni alternative praticabili, individuazione degli scenari e delle
conseguenze associabili a ciascuna alternativa disponibile, scelta dell’alternativa
migliore) siano assistite dalla disponibilità di informazioni che possano
consentire decisioni informate, consapevoli e, dunque, rispondenti al
fondamentale principio della razionalità economica e ispirate al criterio
dell’economicità aziendale.
Rimarcare l’importanza della qualità dei processi di decisione, esecuzione e
controllo consente di mettere in luce il collegamento indissolubile tra i due
obiettivi di correttezza sostanziale e di correttezza procedurale.
In particolare, le regole di «correttezza procedurale» di cui all’art. 2391-bis
c.c. riguardano profili di competenza, di disclosure in merito alle caratteristiche e
ai rischi connessi alle operazioni nonché di motivazione in termini di
convenienza delle stesse per l’emittente. Esse appaiono strettamente funzionali
alla creazione di un contesto idoneo a garantire la «correttezza sostanziale»
dell’attività deliberativa11.
In proposito, si osservi che le regole procedurali adottate dal consiglio di
amministrazione dovrebbero affrontare e risolvere, valutando attentamente il
rapporto tra costi ed efficacia, soprattutto alcuni problemi fondamentali:
11
S. DODARO, Commento sub art. 2391 bis, in AA.VV., Codice commentato delle società
(a cura di G. Bonfante – D. Corapi – G. Marziale – R. Rordorf), V. Salafia, Milano, 2007,
p.511.
118
- le procedure che consentono l’identificazione delle parti correlate, con
particolare riguardo anche alla periodicità con la quale l’identificazione deve
essere ripetuta, tenuto conto che il quadro delle parti correlate può essere in
continuo mutamento, soprattutto nei casi in cui ci sia effettivamente la volontà di
porre in essere operazioni espropriative o manipolative;
- definire i criteri di rilevanza qualitativi e quantitativi che stabiliscano: i) le
operazioni delle quali è sufficiente garantire la tracciabilità al fine di poter
effettuare efficacemente eventuali controlli mirati successivi; ii) le operazioni
delle quali è comunque necessario fornire informazioni al consiglio di
amministrazione, anche se in via successiva al loro compimento; iii) le
operazioni che non possano essere compiute senza debbano essere sottoposte alla
preventiva trattazione in consiglio ed alla deliberazione collegiale;
- garantire alle informazioni e alla documentazione su cui si basano le
decisioni il massimo grado possibile di oggettività e di indipendenza dai soggetti
che esprimono la volontà del gruppo di comando (amministratori delegati e
massimi dirigenti aziendali), che possono facilmente manovrare l’informativa al
fine di rendere ovvia e scontata la decisione.
Da ultimo, si nota che un punto particolarmente delicato dell’art. 2391-bis è
il riferimento alle operazioni compiute «direttamente o per il tramite di società
controllate».
In merito, la dottrina giuridica sostiene che l’operazione realizzata «tramite»
una società controllata, sia soggetta alla disciplina dell’art. 2391-bis c.c., poiché è
idonea a produrre i suoi effetti economici nella sfera della controllante, anche a
seguito di ulteriori atti posti in essere dalla controllata e specificamente diretti a
tale fine. La nozione di operazione compiuta «tramite» controllata, dunque, deve
essere inclusa anche in tutte quelle ipotesi in cui la società controllata non agisce
a favore della controllante in forza di un formale contratto di mandato12.
Secondo tale condivisibile interpretazione, le regole di correttezza e
trasparenza stabilite dalle capogruppo quotate devono necessariamente
coinvolgere anche le società controllate, assumendo la forma di direttive di
gruppo che tutte le società controllate devono rispettare.
12
M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma
delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F.
Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005, p. 528.
119
3.3.
La disciplina sulle operazioni con parti correlate: le operazioni
con interessi degli amministratori e l’attività di direzione e coordinamento
Nel definire le procedure relative alle operazioni con parti correlate, il
consiglio di amministrazione deve tenere conto anche:
i) dei profili di parziale sovrapposizione della normativa in materia di parti
correlate con la disciplina relativa alle operazioni in cui gli amministratori
abbiano un interesse, di cui all’art. 2391 del codice civile;
ii) della speciale disciplina cui sono soggette le operazioni compiute tra
società sottoposte alla medesima attività di direzione e coordinamento, di cui agli
art. 2497 e ss. del codice civile.
Con riferimento al punto i), le due discipline potrebbero trovare contestuale
applicazione quando l’operazione non soltanto fosse conclusa con una parte
correlata, ma, come potrebbe in effetti accadere frequentemente, un
amministratore dovesse anche avere «per conto proprio o di terzi», un «interesse»
nell’operazione, non necessariamente in conflitto con quello della società.
Com’è noto, in tali casi, l’art. 2391, primo e secondo comma, prevede una
serie di obblighi in capo all’amministratore interessato13, di seguito brevemente
compendiati:
13
Art. 2391 Interessi degli amministratori: «1. L’amministratore deve dare notizia agli
altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi,
abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e
la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere
l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico,
deve darne notizia anche alla prima assemblea utile. 2. Nei casi previsti dal precedente comma
la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la
convenienza per la società dell’operazione. 3. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due
precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del
comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le
deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate
dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data;
l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla
deliberazione se sono stati gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso
sono salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della
deliberazione. 4. L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od
omissione. 5. L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla
120
- deve darne notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale
precisando «la natura, i termini, l’origine e la portata» dell’interesse;
- se si tratta di un amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal
compiere l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale;
- in entrambi i casi il consiglio di amministrazione deve adeguatamente
motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.
Sulla correlazione tra le due discipline si condivide l’osservazione del
Ventoruzzo, secondo il quale «non può tuttavia ritenersi che gli ambiti di
applicazione delle due discipline coincidano: possono infatti esservi casi in cui
l’amministratore è portatore di un interesse per conto di un soggetto terzo non
correlato e ai quali dunque si applicherà solo l’art. 2391, e casi nei quali
un’operazione con «parti correlate» non coinvolge gli interessi dei singoli
amministratori e ai quali dunque si applicherà solo l’art. 2391-bis»14.
La procedura definita dal Consiglio di Amministrazione dovrà tenere debito
conto di questo ulteriore elemento di complessità, assicurando
contemporaneamente il rispetto di entrambe le norme e definendo chiaramente i
casi in cui, nel processo decisionale di un’operazione con parti correlate, si dovrà
tenere conto anche delle più stringenti disposizioni previste all’art. 2391.
Assai più complesso è l’impatto sulle procedure in materia di operazioni
con parti correlate della particolare disciplina che riguarda le imprese sottoposte
alla direzione e coordinamento del medesimo soggetto (art. 2497 e ss.)15.
Com’è noto, la disciplina in parola ha dato formalmente atto della
connessione economica esistente tra imprese organizzate in forma di gruppo,
superando il principio della esclusiva rilevanza, per ogni società, del proprio
specifico interesse sociale individuale.
utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie, o opportunità di affari appresi
nell’esercizio del suo incarico».
14
M. VENTORUZZO, Commento sub art. 2391-bis, in AA.VV., Commentario alla riforma
delle società, artt. 2380 – 2396. Amministratori (a cura di P. Marchetti – L. A. Bianchi – F.
Ghezzi – M. Notari), EGEA, Milano, 2005, pp. 524 – 525.
15
Per un approfondimento, si rinvia a: P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei
gruppi societari: principi e problemi, in Rivista delle società, pp. 317-344. Si veda, inoltre: F.
DI LAZZARO, La nuova disciplina dei gruppi di società: il punto di vista dell'aziendalista, in N.
ABRIANI-T. ONESTI, La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto. Atti
del Convegno. Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Quaderni di giurisprudenza commerciale, n.263,
Giuffrè, Milano, 2004.
121
In particolare, l’art. 2497, comma 1, stabilisce che: «le società o gli enti che,
esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono
nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta
gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente
responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla
redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei
creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.
Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato
complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente
eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette».
Con l’introduzione degli artt. 2497 e ss. è stata quindi riconosciuta la
legittimità, alla luce dell'unitario fenomeno d'impresa sottostante, del
coordinamento unitario di più entità dotate di propria individualità giuridica,
stabilendo la responsabilità diretta della controllante verso i soci e i creditori
delle controllate, in caso di abuso.
Inoltre, è stato previsto il diritto di recesso degli azionisti controllati in caso
di mutamento dell’assetto imprenditoriale in cui la società (inserita in un gruppo)
si trova ad operare ovvero nell’ipotesi in cui l’attività di direzione e
coordinamento sia stata esercitata in modo non conforme ai principi di corretta
gestione affermati dall’art. 2497 del codice civile.
Infine, il legislatore ha previsto obblighi stringenti di disclosure connessi
allo status di società soggetta all’altrui direzione e coordinamento:
- nella corrispondenza deve essere indicata la società o l’ente alla cui
direzione e coordinamento la società è sottoposta;
- la condizione di soggezione va iscritta in un’apposita sezione del registro
delle imprese;
- la nota integrativa deve riportare i principali dati di bilancio della
società/ente che esercita la direzione e coordinamento;
- la relazione sulla gestione deve riportare “rapporti intercorsi con chi
esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono
soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa
sociale e sui suoi risultati”;
Per quello che più rileva in questa sede, nel caso in cui un’operazione
avvenga con una parte correlata inserita in un medesimo contesto di direzione e
coordinamento, il processo decisionale può limitarsi al rispetto di quanto previsto
122
all’art. 2497-ter del codice civile, in cui si stabilisce che: «le decisioni delle
società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa
influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale
indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla
decisione».
Pertanto, nel rispetto degli obblighi di trasparenza decisionale – che si
riflettono anche nell’informativa da fornirsi nella relazione sulla gestione l’eventuale emergere di responsabilità in capo al soggetto che esercita la
direzione e coordinamento sarà oggetto di una valutazione complessiva16. Tale
valutazione potrà essere effettuata soltanto successivamente al compimento
dell’operazione, considerata la possibilità, espressamente prevista dal legislatore,
di compiere operazioni dirette alla «integrale eliminazione» degli eventuali danni
cagionati.
16
Cfr. F. CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, Cedam, Padova, 2007,p .238.
123
3.3.1.
Un possibile schema di sintesi della normativa
La figura seguente riassume le diverse casistiche sin qui esaminate, con
riferimento all’insieme delle operazioni aziendali:
Figura 14. Rappresentazione grafica del quadro normativo
Operazioni con parti
correlate (identificate)
Insieme
delle operazioni
5
12
Direzione
e coordinamento
1
Operazioni atipiche
o inusuali
10
Operazioni con
l’interesse di almeno
un amministratore
2
6
9
11
7
3
8
4
Nello schema sono raffigurate:
a) le operazioni svolte nell’ambito di un medesimo contesto di direzione e
coordinamento, soggette alla speciale disciplina fissata agli articoli 2497 e ss. del
codice civile (casi da 1 a 4);
b) le operazioni svolte con parti correlate, identificate in applicazione della
definizione stabilita dal principio contabile IAS 24 e soggette alle disposizioni
dell’art. 2391-bis del codice civile (casi da 1 a 8);
c) le operazioni nelle quali uno degli amministratori dichiari di detenere un
interesse per conto proprio o di terzi e trovino applicazione, pertanto, le
disposizioni di cui all’articolo 2391 del codice civile (casi 3, 4, 7, 8, 10, 11);
d) le operazioni c.d. atipiche o inusuali, per le quali la Consob17 stabilisce
presidi rafforzati in termini di controllo e di trasparenza (casi 2, 3, 6, 7, 9, 10);
17
Il riferimento è alla Comunicazione n. 1025564 trasmessa il 6 aprile 2001 (contenente
lo schema di riferimento per le relazioni del Collegio Sindacale all’Assemblea) e la
Comunicazione n. 6064293 del 28 luglio 2006 (in materia di informativa da fornire nei bilanci
IAS/IFRS). Si veda il precedente paragrafo 2.3.2.
124
e) le operazioni non appartenenti ad alcuna delle casistiche precedenti (caso
12).
La rappresentazione grafica consente di cogliere visivamente alcuni aspetti
particolari della disciplina riferita ai processi deliberativi delle operazioni con
parti correlate.
In particolare, si noti che:
- le regole stabilite dal consiglio di amministrazione in materia di operazioni
con parti correlate devono tenere conto delle diversa disciplina prevista per i casi
da 5 a 8 (operazioni con parti correlate esterne all’ambito di direzione e
coordinamento) e per i casi da 1 a 4 (operazioni con parti correlate ricomprese
nell’ambito di direzione e coordinamento)18;
- le operazioni atipiche o inusuali possono essere compiute sia con parti non
correlate (casi 9 e 10), sia con parti correlate esterne all’ambito di direzione e
coordinamento (casi 7 e 8), sia con parti incluse in esso (casi 3 e 4);
- gli amministratori potrebbero avere un interesse in operazioni compiute sia
con parti non correlate (casi 10 e 11), sia con parti correlate esterne all’ambito di
direzione e coordinamento (casi 6 e 7) 19, sia con parti incluse in esso (casi 2 e 3).
3.4.
Compiti e responsabilità del collegio sindacale
Secondo l’articolo 2391-bis del codice civile, al collegio sindacale vengono
attribuiti due compiti:
i) vigilare sull'osservanza delle regole adottate dagli amministratori;
ii) riferire all’assemblea sugli esiti di tale attività, nell’ambito della
relazione di propria competenza.
Al riguardo, ci si limita ad osservare che il ruolo affidato al collegio
sindacale dalla norma in commento sembrerebbe molto marginale, quasi quello
di un mero «certificatore» del rispetto delle regole adottate dagli amministratori,
indipendentemente dalla loro efficacia sostanziale.
18
Si osservi che l’appartenenza al medesimo ambito di direzione e coordinamento
costituisce condizione sufficiente, ma non necessaria, per l’applicazione della disciplina di cui
all’art. 2391-bis;
19
Si pensi alle operazioni con parti correlate identificate in base al criterio f) dello IAS 24
(cfr. 2.4.7, p. 94 e ss.).
125
A nostro sommesso avviso, invece, il ruolo dell’organo di controllo
dovrebbe ritenersi centrale nel fronteggiare i rischi connessi alle operazioni con
parti correlate, nell’ambito del proprio dovere di vigilanza sulla gestione e di
tutela dell’interesse sociale. Si tenga conto anche che:
- il collegio sindacale assiste a tutte le riunioni del consiglio di
amministrazione e accede alle medesime informazioni disponibili agli
amministratori;
- dispone, inoltre, di ampi poteri di ispezione, alcuni dei quali, a seguito
della legge sul risparmio, possono essere esercitati anche individualmente dai
sindaci;
- è formato esclusivamente da soggetti indipendenti, quantomeno
formalmente;
- i suoi componenti possiedono tipicamente le competenze professionali
necessarie per valutare la razionalità delle decisioni prese dal consiglio (pur non
entrando nel merito delle stesse), con particolare riguardo agli aspetti relativi alla
qualità dell’informazione disponibile;
- i suoi lavori sono guidati da un presidente eletto dalle minoranze, per
definizione le più interessate ad evitare i fenomeni espropriativi compiuti dal
gruppo di comando.
Si sottolinea poi che l’art. 149, lett. c-bis, del D.Lgs. n.58/1998 attribuisce al
collegio sindacale un preciso dovere di vigilanza «sulle modalità di concreta
attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento
redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di
categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi».
Alla luce di tale norma, il collegio sindacale può essere considerato il vero e
proprio garante dell’effettiva applicazione delle regole di best practice contenute
nel codice di autodisciplina delle società quotate (qualora adottato), ed in
particolare di quelle relative alle operazioni con parti correlate, di cui si dirà nel
prossimo paragrafo.
Le osservazioni sin qui formulate, è doveroso precisarlo, si scontrano con
una realtà dei fatti in cui, in un grande numero di casi, i collegi sindacali si
limitano ad un ruolo passivo che finisce per svuotarne totalmente la
fondamentale funzione nell’ambito del sistema dei controlli interni.
126
Prima di passare a trattare le disposizioni contenute nel codice di
autodisciplina in materia di operazioni con parti correlate, vale la pena
sottolineare come la diffusa tendenza ad importare nel nostro ordinamento le
soluzioni di corporate governance dei modelli anglosassoni, nei quali non esiste
un organo analogo al collegio sindacale (si pensi alle difficoltà che si incontrano
persino nel tradurre «collegio sindacale» in lingua inglese), sembrerebbe aver
fatto passare in secondo piano le potenzialità di un organo di controllo che, ormai
liberato degli oneri delle attività di controllo contabile, può dedicare interamente
la propria attività alla vigilanza sul sistema dei controlli interni.
127
3.5.
Le operazioni con parti correlate secondo il codice di
autodisciplina delle società quotate
L’attuale versione del codice di autodisciplina (nel prosieguo anche, più
brevemente, “Codice”) è stata pubblicata nel marzo 2006, aggiornando la
precedente versione del 2002, anche alla luce dell’entrata in vigore delle norme
di corporate governance contenute nella c.d. legge sul risparmio.
Il Codice propone 12 principi di corporate governance, corredati ciascuno
da criteri applicativi e da alcuni commenti, al fine di «contribuire al
mantenimento e al miglioramento di elevati standard qualitativi del nostro
mercato azionario, aumentando il livello di interesse e di fiducia sia da parte di
investitori e intermediari nazionali e internazionali, sia da parte delle aziende che
intendono avvicinarsi al mercato dei capitali»20.
Com’è noto, l’adesione da parte delle società quotate al Codice è volontaria
e si fonda sul principio c.d. di «comply or explain», che si sostanzia nella
redazione periodica di un documento, la c.d. «relazione sul governo societario»,
nella quale ciascuna società che aderisce al Codice fornisce:
- la specificazione di quali raccomandazioni siano state effettivamente
applicate e con quali modalità (laddove il codice preveda più soluzioni
alternative);
- adeguate informazioni in merito ai motivi della mancata o parziale
applicazione di una o più raccomandazioni.
Sul punto, va ricordato (si veda il paragrafo precedente) il dovere di
vigilanza «sulle modalità di concreta attuazione» assegnato all’organo di
controllo dall’art. 149, lett. c) del D.Lgs. 58/1998.
Sin dal suo esordio, l’efficacia del codice di autodisciplina è stata messa in
dubbio da numerose voci critiche21, che ne hanno contestato soprattutto la scarsa
capacità di incidere sulle delicate dinamiche di conflitto d’interessi tipiche delle
grandi imprese quotate.
In proposito, tuttavia, può condividersi che «i codici di autodisciplina hanno
il pregio di (tentare) di indurre comportamenti virtuosi attraverso l’adozione
20
COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, Codice di
autodisciplina, 2006, p. 3.
21
Tra le voci critiche più autorevoli, si veda: G. ROSSI, Le c.d. regole di corporate
governance sono in grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Rivista delle
società, 2001, p. 6 e ss.
128
spontanea di regole, anziché mediante la rigidità dell’imposizione normativa. Ciò
può consentire un adeguamento progressivo, condiviso, non subito e perciò, sul
medio periodo, probabilmente effettivo»22.
Passando ad esaminare le specifiche regole previste dal Codice, si osserva
che le operazioni con parti correlate vengono menzionate già al criterio
applicativo 1.C.1, che si riferisce al ruolo del consiglio di amministrazione. In
particolare, il Codice, stabilisce che l’organo di gestione, in sede collegiale:
- «esamina e approva preventivamente le operazioni dell’emittente e delle
sue controllate, quando tali operazioni abbiano un significativo rilievo strategico,
economico, patrimoniale o finanziario per l’emittente stesso, prestando
particolare attenzione alle situazioni in cui uno o più amministratori siano
portatori di un interesse per conto proprio o di terzi e, più in generale, alle
operazioni con parti correlate»;
- «a tal fine stabilisce criteri generali per individuare le operazioni di
significativo rilievo».
Il Codice dedica alla tematica delle operazioni con parti correlate uno
specifico principio (il principio 9 Interessi degli amministratori e operazioni con
parti correlate), nel quale si afferma che «il consiglio di amministrazione adotta
misure volte ad assicurare che le operazioni nelle quali un amministratore sia
portatore di un interesse, per conto proprio o di terzi, e quelle poste in essere con
parti correlate vengano compiute in modo trasparente e rispettando criteri di
correttezza sostanziale e procedurale». Si noti che tale principio ricalca quanto
previsto dall’art. 2391-bis, trattando congiuntamente le situazioni di operazioni in
cui gli amministratori abbiano un interesse e i casi di correlazione con la
controparte, nonostante, come osservato, possano verificarsi casi in cui deve
applicarsi l’art. 2391 e non l’art. 2391-bis.
Il Codice, nel definire i criteri applicativi di tale principio, affida un ruolo
centrale al comitato di controllo interno23, nell’ipotesi che tale organo, in virtù
della propria composizione, sia in grado di assicurare la dovuta indipendenza di
giudizio rispetto alle tematiche più delicate in termini di possibili conflitti di
interesse.
22
P. MONTALENTI, Corporate Governance, consiglio di amministrazione, sistemi di
controllo interno: spunti per una riflessione, in Ibid., 2002, p. 814.
23
Al comitato di controllo interno è dedicato il principio n. 8 del Codice.
129
Esso, infatti risulta composto di soli consiglieri non esecutivi, la
maggioranza dei quali24 deve essere «indipendente»25, verificando i requisiti di
indipendenza stabiliti al principio 3 Amministratori indipendenti dallo stesso
Codice.
In particolare, il Codice definisce amministratori indipendenti coloro che
«non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con
l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne
attualmente l’autonomia di giudizio», fornendo alcuni esempi (non tassativi) di
situazioni di assenza di indipendenza26.
24
Sulla composizione del comitato, il principio n. 8 precisa che: «se l’emittente è
controllato da altra società quotata, il comitato per il controllo interno è composto
esclusivamente da amministratori indipendenti. Almeno un componente del comitato possiede
una adeguata esperienza in materia contabile e finanziaria, da valutarsi dal consiglio di
amministrazione al momento della nomina».
25
Sugli amministratori indipendenti, si veda: M. BELCREDI, Amministratori indipendenti,
amministratori di minoranza, e dintorni, in Rivista delle società, 2005, p. 853 e ss; F.A.
GRASSINI, C'è un ruolo per gli amministratori indipendenti?, in Mercato concorrenza regole; P.
MONTALENTI, Amministrazione, controllo, minoranze nella legge sul risparmio, in Rivista delle
società, 2006, p. 975 e ss; R. RORDORF, Gli amministratori indipendenti, in Giurisprudenza
commerciale, vol. I, 2007, p. 143 e ss.
26
Precisamente, il criterio 3.C.1 stabilisce che: « Il consiglio di amministrazione valuta
l’indipendenza dei propri componenti non esecutivi avendo riguardo più alla sostanza che alla
forma e tenendo presente che un amministratore non appare, di norma, indipendente nelle
seguenti ipotesi, da considerarsi come non tassative:
a) se, direttamente o indirettamente, anche attraverso società controllate, fiduciari o
interposta persona, controlla l’emittente o è in grado di esercitare su di esso un’influenza
notevole, o partecipa a un patto parasociale attraverso il quale uno o più soggetti possano
esercitare il controllo o un’influenza notevole sull’emittente;
b) se è, o è stato nei precedenti tre esercizi, un esponente di rilievo dell’emittente, di una
sua controllata avente rilevanza strategica o di una società sottoposta a comune controllo con
l’emittente, ovvero di una società o di un ente che, anche insieme con altri attraverso un patto
parasociale, controlla l’emittente o è in grado di esercitare sullo stesso un’influenza notevole;
c) se, direttamente o indirettamente (ad esempio attraverso società controllate o delle quali
sia esponente di rilievo, ovvero in qualità di partner di uno studio professionale o di una società
di consulenza), ha, o ha avuto nell’esercizio precedente, una significativa relazione
commerciale, finanziaria o professionale:
– con l’emittente, una sua controllata, o con alcuno dei relativi esponenti di rilievo;
– con un soggetto che, anche insieme con altri attraverso un patto parasociale, controlla
l’emittente, ovvero – trattandosi di società o ente – con i relativi esponenti di rilievo;
130
L’attribuzione di un ruolo di rilevo al comitato di controllo interno poggia
sull’ipotesi che tale organo, in virtù della propria composizione, sia in grado di
svolgere una fondamentale funzione istruttoria e consultiva nelle operazioni più
delicate sotto il profilo del possibile compimento di atti contrari all’interesse
dell’impresa e dei suoi azionisti27.
Nei criteri applicativi 9.C.1.e 9.C.2, infatti, il Codice stabilisce che:
- «il consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo
interno, stabilisce le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni
poste in essere dall’emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate.
Definisce, in particolare, le specifiche operazioni (ovvero determina i criteri per
individuare le operazioni) che debbono essere approvate previo parere dello
stesso comitato per il controllo interno e/o con l’assistenza di esperti
indipendenti».
ovvero è, o è stato nei precedenti tre esercizi, lavoratore dipendente di uno dei predetti
soggetti;
d) se riceve, o ha ricevuto nei precedenti tre esercizi, dall’emittente o da una società
controllata o controllante una significativa remunerazione aggiuntiva rispetto all’emolumento
“fisso” di amministratore non esecutivo dell’emittente, ivi inclusa la partecipazione a piani di
incentivazione legati alla performance aziendale, anche a base azionaria;
e) se è stato amministratore dell’emittente per più di nove anni negli ultimi dodici anni;
f) se riveste la carica di amministratore esecutivo in un’altra società nella quale un
amministratore esecutivo dell’emittente abbia un incarico di amministratore;
g) se è socio o amministratore di una società o di un’entità appartenente alla rete della
società incaricata della revisione contabile dell’emittente;
h) se è uno stretto familiare di una persona che si trovi in una delle situazioni di cui ai
precedenti punti».
27
Osserva criticamente l’Enriques: «è indubbio che per dimostrare l’indipendenza non
soltanto a parole, bensì nelle best practice, occorre qualcosa di più, e cioè la presenza di qualità
personali, quali l’autonomia di giudizio, il coraggio delle proprie idee, il senso della missione di
tutelare interessi diffusi e dunque mal organizzati nonché sufficiente concern per la propria
reputazione nei confronti del mercato, e in particolare degli investitori istituzionali. E d’altra
parte queste qualità potrebbero persino non bastare: occorreranno persone disposte a uscire
definitivamente dal mercato degli amministratori indipendenti, perché frequentemente esse
pagheranno perlomeno in questo modo la propria opposizione ai soci di controllo; inoltre,
almeno in certi paesi, occorre anche il coraggio di sfidare il rischio di dover pagare
l’indipendenza dimostrata nel consiglio di amministrazione con un cattivo trattamento da parte
della stampa finanziaria, quando questa, a sua volta, non sia sufficientemente indipendente dai
gruppi di comando delle principali società». L. ENRIQUES, Codici di corporate governance,
diritto societario e assetti proprietari: alcune considerazioni preliminari, in Banca Impresa e
Società, 2003, p. 100.
131
- «il consiglio di amministrazione adotta soluzioni operative idonee ad
agevolare l’individuazione ed una adeguata gestione delle situazioni in cui un
amministratore sia portatore di un interesse per conto proprio o di terzi».
Nella commento al principio 9, il Codice suggerisce poi alcune possibili
soluzioni applicative che possono essere considerate nello stabilire le regole ex
2391-bis:
- «la riserva alla competenza del consiglio dell’approvazione delle
operazioni di maggiore rilievo;
- la previsione di un parere preventivo del comitato per il controllo interno;
- l’affidamento delle trattative ad uno o più amministratori indipendenti (o
comunque privi di legami con la parte correlata);
- il ricorso ad esperti indipendenti (eventualmente selezionati da
amministratori indipendenti)».
Il Codice precisa, inoltre, che «la concreta articolazione di questi o analoghi
presidi non può che essere lasciata al potere di autoregolamentazione del
consiglio – sia pure nel rispetto dei principi generali indicati dalla Consob ai
sensi dell’art. 2391-bis cod. civ. – in funzione della tipologia e della rilevanza,
sotto il profilo economico e/o strategico, delle operazioni, nonché della natura ed
estensione delle relazioni esistenti con le controparti».
Sempre nei commenti al Principio 9, il Codice fa un riferimento alla
possibilità di adottare procedure semplificate per quelle operazioni che siano
compiute nell’ambito del medesimo contesto di direzione e coordinamento.
In proposito, il Codice suggerisce che: «per quanto riguarda le operazioni
nelle quali un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse, il
Comitato raccomanda che il consiglio di amministrazione ricerchi soluzioni che
contemperino l’esigenza di trasparenza e correttezza sottesa alle norme di legge
con l’opportunità di non appesantire l’attività dell’organo di gestione con
adempimenti eccessivamente onerosi; ciò, in particolare, nei casi in cui
l’amministratore dell’emittente sia esponente della società o dell’ente che
esercita sull’emittente attività di direzione e coordinamento, tenuto conto che in
tale circostanza gli artt. 2497 ss. cod. civ. prevedono penetranti presidi a tutela
degli azionisti. In generale, nei casi in cui l’amministratore sia portatore di un
interesse in quanto membro dell’organo di amministrazione di una società legata
all’emittente da un rapporto di controllo (o di comune controllo), pare
ammissibile che eventuali obblighi informativi e/o di motivazione relativi ad
operazioni che rientrano nella normale operatività del gruppo siano adempiuti in
132
modo generale e sintetico anche in via preventiva, salva la necessità di
informazioni integrative a fronte di operazioni di particolare rilievo».
Con riferimento alla concreta adozione da parte delle società quotate di
quanto previsto dal codice di autodisciplina, uno studio effettuato sulle relazioni
di governo societario relative all’anno 2008 dall’Assonime ha verificato la
definizione di apposite procedure e la loro articolazione nelle 291 società quotate
italiane.
In particolare, l’Assonime ha constatato che: « In 250 casi (pari all’86% del
totale; erano l’83% nel 2007) le società comunicano di avere adottato procedure
per l’approvazione delle operazioni con parti correlate; la percentuale è intorno al
95% nelle società maggiori (S&P, Midex e Star) e al 75% in quelle minori (Altre
ed Expandi)»28. Per quanto riguarda le società restanti, è ragionevole ipotizzare
che esse si adegueranno alla normativa successivamente all’emanazione del
regolamento da parte della Consob.
28
ASSONIME, Analisi dello stato di attuazione del Codice di Autodisciplina delle società
quotate (Anno 2008), 2009, pp.21-22 e tav. 26 dell’Allegato 2.
133
3.6.
Le regole in materia di operazioni con parti correlate:
principali problematiche applicative e possibili soluzioni
Le regole stabilite dall’organo amministrativo devono raggiungere due
fondamentali obiettivi.
In primo luogo, esse devono essere «efficaci», cioè essere idonee ad
assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale, secondo
quanto espressamente indicato dalle disposizioni normative. In proposito, è
importante che l’organo amministrativo comprenda e condivida lo spirito
informatore delle norme legislative e regolamentari, cercando di definire regole
che ne assicurino il rispetto dal punto di vista sostanziale. Una mera osservanza
formale delle disposizioni normative, infatti, potrebbe facilmente rivelarsi
inefficace, tenuto conto della delicatezza e della complessità della materia.
In secondo luogo, le regole devono essere «efficienti», cioè devono garantire
che l’obiettivo primario dell’efficacia venga raggiunto senza che la gestione risulti
gravata da eccessivi oneri o da inutili complicazioni. Una maggiore efficienza, in
questo senso, è garantita da un sistema di presidi il più possibile «integrati»
nell’infrastruttura organizzativa e fatti propri dalla cultura aziendale e non
semplicemente «aggiunti» ad essa.
Per quanto concerne il livello di dettaglio richiesto alle regole in materia di
operazioni con parti correlate, l’organo amministrativo è chiamato a trovare il
giusto equilibrio tra la formulazione di regole sintetiche, che, ad esempio, si
fondino su linee guida e principi generali, e la definizione di regole maggiormente
analitiche, che tentino di disciplinare in modo dettagliato, per quanto possibile, le
varie situazioni concretamente verificabili.
Entrambe le soluzioni possono presentare vantaggi e svantaggi in termini di
efficacia e di efficienza. Regole maggiormente sintetiche presentano il vantaggio
di una maggiore flessibilità, ma rendono necessaria un’attività interpretativa più o
meno complessa in sede di loro concreta applicazione. La loro efficacia, pertanto,
trova un fondamentale presupposto nell’indipendenza di giudizio dei soggetti
chiamati a interpretarle e ad applicarle. Diversamente, regole caratterizzate da un
più elevato grado di analiticità (che possono assumere la forma di una vera e
propria procedura aziendale o di gruppo), presentano il vantaggio di minimizzare
la discrezionalità in sede applicativa ma possono rischiare di burocratizzare
eccessivamente la gestione, nei casi in cui non siano pienamente ed
efficientemente integrate nel complesso delle altre procedure aziendali.
134
Le specificità di ogni singola impresa (in termini di assetto proprietario,
attività svolta, modello organizzativo, cultura aziendale…) escludono la
possibilità di teorizzare nel dettaglio regole universalmente valide in materia di
operazioni con parti correlate. Tuttavia, è possibile individuare alcune
fondamentali problematiche, comuni a tutte le imprese, che le regole stabilite
dall’organo amministrativo devono senz’altro affrontare e risolvere al fine di
risultare efficaci.
In proposito, nei prossimi paragrafi si svolgono alcune brevi osservazioni,
anche alla luce delle prime soluzioni sviluppate nella pratica dalle principali
società quotate, secondo quanto reso pubblico dalle stesse nella relazione sul
governo societario o con altre modalità.
Al riguardo, va rimarcata l’importanza per le società di fornire al mercato la
più ampia informativa sulle regole adottate. Com’è intuibile, infatti, gli investitori
(attuali e potenziali) tendono a prediligere le imprese dotate, quantomeno sul
piano formale, di regole severe e credibili che, almeno presumibilmente, siano
idonee a garantire la correttezza e la trasparenza delle operazioni con parti
correlate, così contrastando i fenomeni espropriativi operati dal soggetto che
esercita il controllo29. Diversamente, le società che non sottopongono alla
valutazione degli investitori le proprie regole in materia, ovvero quelle che si
limitano a fornire un’informativa generica o parziale che non chiarisce
adeguatamente tutti gli snodi chiave della disciplina, dispongono di una minore
capacità di attirare la fiducia degli investitori.
Le principali problematiche che le regole in materia di operazioni con parti
correlate devono affrontare possono essere ricondotte alle seguenti attività:
1. Attività preliminari:
- mappatura delle controparti correlate;
- identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili) con parti
correlate;
2. Attività relative al processo deliberativo:
- valutazione (preliminare) della rilevanza;
- deliberazione delle operazioni non rilevanti;
29
Si ricordi poi che l’è tenuto a relazionare l’assemblea sull’effettiva applicazione delle
regole adottate.
135
- deliberazione delle operazioni rilevanti;
3. Attività di monitoraggio.
Tra le attività denominate «preliminari» (punto 1) sono incluse tutte le
attività necessarie ad identificare, preliminarmente alla loro effettuazione, le
operazioni alle quali vadano applicati i maggiori presidi in termini di correttezza e
trasparenza richiesti dalla normativa. In proposito, possono distinguersi le
problematiche relative all’individuazione del soggetto delle operazioni (la
mappatura delle parti correlate) e all’oggetto delle stesse (le operazioni da
ritenersi «significative», tenuto conto delle finalità della normativa).
La presenza di regole che garantiscano in modo tempestivo e completo
l’identificazione preliminare delle operazioni con parti correlate costituisce un
presupposto imprescindibile per l’efficacia delle regole riferite al vero e proprio
processo deliberativo. Infatti, qualora l’identificazione preliminare delle
operazioni con parti correlate fosse solo parziale, vi sarebbero operazioni che
sfuggirebbero completamente agli specifici presidi previsti in materia di
correttezza e trasparenza e risulterebbe inevitabilmente pregiudicato, nel suo
complesso, l’obiettivo dell’efficacia.
Venendo alle attività relative al processo deliberativo delle operazioni con
parti correlate (punto 2), al fine di una maggiore efficienza, le regole potranno
prevedere percorsi diversi a seconda della minore o maggiore rilevanza delle
operazioni, la cui valutazione costituisce un’attività cui le regole stabilite
dall’organo amministrativo devono dedicare la massima attenzione. Per le
operazioni significative giudicate non rilevanti, le regole potranno limitarsi alle
problematiche relative alla documentazione delle stesse e alla creazione di un
adeguato flusso informativo periodico successivo alla loro conclusione.
Diversamente, per le operazioni rilevanti, le regole potranno andare a
modificare, anche in modo molto significativo, il processo decisionale seguito per
le operazioni analoghe ma concluse con parti non correlate, intervenendo su tutte
le fasi del processo decisionale:
- chiara esplicitazione delle motivazioni dell’operazione;
- allargamento della base informativa, garantendo il più possibile la
neutralità della stessa rispetto alle istanze del soggetto economico, anche mediante
l’utilizzo di autorevoli fonti esterne di informazione;
136
- esplicitazione delle possibili alternative alla conclusione dell’operazione e
degli scenari associati a ciascuna alternativa;
- esplicitazione dei criteri di valutazione della convenienza dell’operazione,
coinvolgimento nella scelta di un numero più ampio di soggetti ovvero di soggetti
posti ad un livello gerarchico più elevato, delega delle decisioni a soggetti
indipendenti, ecc.
Tra le attività di monitoraggio (punto 3 dello schema precedente), infine,
sono incluse tutte le attività volte a valutare nel tempo l’efficacia e l’efficienza
delle regole stabilite alla luce della loro concreta applicazione, al fine di
evidenziare le eventuali criticità e le aree di possibile miglioramento.
Nei paragrafi che seguono, si enucleano le fondamentali problematiche
relative alle attività considerate e si presentano alcune possibili soluzioni
applicative.
3.6.1.
La mappatura delle parti correlate
La mappatura delle parti correlate è un’attività onerosa e complessa, che
richiede la definizione di un quadro informativo estremamente ampio e che
presenta rilevanti ambiti di discrezionalità.
L’oggetto di tale attività è la creazione, l’aggiornamento periodico e il
mantenimento di un registro delle parti correlate, a disposizione delle strutture
della società e delle società controllate, al fine di consentire loro di identificare le
parti correlate in via preliminare alla conclusione di una qualsiasi operazione con
esse.
Quanto ai soggetti responsabili in concreto della mappatura delle parti
correlate, ferma restando la suprema responsabilità dell’organo amministrativo,
nella pratica si è evidenziata l’opportunità di attribuire tale compito ad un
apposito comitato, formato dai responsabili di alcune aree chiave (internal audit,
area legale, area amministrativa), che disponga delle necessarie risorse e
competenze, nonché di un sufficiente grado di indipendenza di giudizio.
Limitazioni del quadro informativo e ambiti di discrezionalità
137
Per quanto concerne la definizione del quadro informativo, si osserva che il
concreto reperimento delle informazioni necessarie per l’applicazione dei criteri
previsti dallo IAS 24 incontra alcune significative limitazioni.
In proposito, possono distinguersi limitazioni che discendono dalla
comparazione tra l’onerosità e la rilevanza delle informazioni da acquisire e
limitazioni legate a particolari situazioni che impediscono il reperimento delle
informazioni.
Nel primo caso, può parlarsi di limitazioni di tipo «soggettivo», in quanto la
scelta del rapporto tra onerosità e rilevanza delle informazioni è di tipo
discrezionale.
Nel secondo caso, le limitazioni possono definirsi di tipo «oggettivo». Al
riguardo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, si menzionano i casi seguenti:
- presenza, nella catena di controllo della reporting entity, di veicoli
societari che garantiscono l’anonimato dei relativi proprietari;
- esistenza di accordi o patti che garantiscono il controllo o l’esercizio di
un’influenza notevole sulla reporting entity (o sulle società poste lungo la catena
di controllo) e che possono restare del tutto o parzialmente riservati;
- indisponibilità degli individui correlati (in particolare, di quelli identificati
in base ai criteri sub a) a fornire le informazioni relative ai propri stretti familiari.
Ciò considerato, con riferimento all’accessibilità delle informazioni, si
possono distinguere:
i. le informazioni accessibili immediatamente (ad esempio, le informazioni
relative alle società controllate dalla reporting entity);
ii. le informazioni accessibili solo in seguito allo svolgimento di specifiche
attività, la cui onerosità sia ragionevole;
iii. le informazioni non accessibili a causa di limitazioni di carattere
soggettivo (l’onerosità delle attività necessarie al loro reperimento viene
giudicata eccessiva rispetto alla rilevanza delle informazioni acquisibili);
iv. le informazioni non accessibili a causa di limitazioni di carattere
oggettivo.
Sia alle limitazioni di carattere soggettivo, che a quelle di carattere
oggettivo, dovrebbe essere assicurata la massima tracciabilità, documentando
opportunamente (in modo valido, accurato e completo) l’attività svolta e
138
limitazioni incontrate, in modo da consentire in tempi successivi lo svolgimento
di eventuali attività di controllo.
In aggiunta alle limitazioni sinora esaminate, che attengono alla dimensione
spaziale, intesa come accessibilità delle informazioni, la definizione del quadro
informativo incontra ulteriori limitazioni legate alla dimensione temporale e
dovute alla continua mutabilità (almeno potenziale)30 delle relazioni sulle quali si
fondano i criteri di definizioni di parte correlata, cui si contrappone la concreta
impossibilità di un loro continuo monitoraggio.
In proposito, si noti che anche la scelta della periodicità con la quale
aggiornare il quadro informativo ha carattere discrezionale e si basa sul confronto
tra l’onerosità delle attività richieste e il rischio che le informazioni a
disposizione non siano sufficientemente aggiornate31.
Sul punto, in base alle informazioni sulle regole adottate comunicate al
mercato, le società quotate si sono attualmente orientate per una frequenza di
aggiornamento trimestrale, coincidente con le date di redazione dei documenti di
informazione economico-finanziaria.
Focalizzando l’attenzione sugli ambiti di discrezionalità dell’attività di
mappatura delle parti correlate, oltre a quanto sinora evidenziato con riferimento
alle scelte relative all’attività di reperimento delle informazioni, occorre
sottolineare le problematiche che presenta la concreta applicazione dei criteri
definitori forniti nello IAS 24, ai quali fa rinvio la normativa regolamentare.
Richiamando brevemente quanto già in precedenza osservato, altamente
soggettiva può risultare l’individuazione dei dirigenti con responsabilità
strategiche sull’attività della reporting entity (criterio d) e degli stretti familiari
degli individui correlati alla reporting entity (criterio e). Infatti, la definizione dei
concetti di «responsabilità strategiche» e di «stretta familiarità» non si fonda
semplicemente su condizioni di carattere formale oggettivamente riscontrabili,
quali il ruolo ricoperto nella struttura organizzativa o il grado di parentela o di
30
Ad esempio, l’azionista di controllo potrebbe costituire o acquisire nuove società
oppure potrebbero verificarsi significativi avvicendamenti tra le figure dirigenziali chiave, con
l’ingresso di nuovi soggetti in grado influenzare significativamente le attività della società o
delle sue controllate.
31
La misura del rischio in parola può mutare nel tempo. Si pensi ad una società quotata a
controllo familiare il cui controllo venga acquisito da un gruppo multinazionale impegnato
continuamente in frequenti operazioni di merger and acquisition.
139
affinità con un certo individuo, ma necessita di un’accurata valutazione della
natura sostanziale delle relazioni che collegano un determinato individuo alla
reporting entity e ai processi decisionali che ne determinano il comportamento,
siano esse relazioni di tipo diretto (come nel caso dei dirigenti con responsabilità
strategiche), sia di tipo indiretto (come nel caso degli stretti familiari di individui
correlati).
In alcuni casi, inoltre, anche l’applicazione dei criteri sub a) può sollevare
dubbi interpretativi, tenuto conto che le relazioni di controllo, influenza notevole
e controllo congiunto sono definite dallo IAS 24 con riferimento anche a
presupposti di carattere sostanziale. In proposito, notevoli incertezze possono
presentarsi quando si debba valutare se, in presenza di un patto di sindacato a
monte della reporting entity, gli aderenti al patto (tutti o solo alcuni) siano nelle
condizioni di esercitare il controllo congiunto sulla reporting entity e debbano
pertanto essere considerati parti correlate.
E’ appena il caso di osservare che il rimando categorico dell’attuale
normativa regolamentare alle dettagliate definizioni poste dallo IAS 24, consente
di limitare notevolmente la discrezionalità del processo di identificazione delle
parti correlate. Una definizione normativa meno analitica, invece, avrebbe
inevitabilmente l’effetto di ampliare notevolmente gli ambiti di incertezza
applicativa e di correlata discrezionalità.
La presenza di spazi di discrezionalità tanto ampi, ha condotto alcune
società quotate a prevedere, all’interno della propria struttura organizzativa, un
comitato (denominato Advisory Board) con lo specifico compito di
sovraintendere alle attività di mappatura delle parti correlate, nell’ambito di linee
guida indicate dall’organo amministrativo.
Nelle linee guida, di frequente, l’organo amministrativo fornisce alcune
precisazioni alle definizioni fornite dallo IAS 24, adattandole alle specificità
proprie della società, al fine di ridurre, sotto la propria responsabilità, gli ambiti
di discrezionalità applicativa e, generalmente, di ridurre l’onerosità delle attività
di mappatura32.
32
In proposito, deve osservarsi che alcune società modificano anche in modo significativo
le definizioni fornite dallo IAS 24, fornendone una versione riveduta e dalla portata ridotta. Ad
esempio, frequentemente, le definizioni di controllo e di influenza notevole vengono
frequentemente ricondotte a quelle previste dalle norme del codice civile o del TUF; inoltre, se
140
Mettendo a sistema le varie soluzioni sviluppate dalle diverse società,
l’Advisory Board presenta le seguenti caratteristiche:
- è composto dal responsabile della funzione Internal Audit (al fine di
garantire l’opportuna indipendenza alle decisioni), dal responsabile dell’Area
Legale (tenuto conto delle competenze legali necessarie per chiarire la
sussistenza di alcune forme di correlazione) e dal responsabile dell’Area
Amministrativa (che, tra l’altro, accentra generalmente le funzioni relative alla
formalizzazione delle procedure aziendali e di gruppo);
- reperisce le informazioni necessarie utilizzando le strutture e le risorse
assegnate ai propri componenti;
- - nei casi in cui l’individuazione di una parte correlata risulta complessa o
controversa, il comitato può avvalersi dell’opinione di esperti esterni
indipendenti;
- fa riferimento al Comitato di Controllo Interno, cui può sottoporre, se
opportuno, le problematiche di maggiore impatto rilevate nel corso della propria
attività.
Nei casi in cui non sia previsto formalmente un simile organismo, il
compito di mappare le parti correlate ricade sulla funzione amministrativa. In tali
casi, l’attività di monitoraggio successiva svolge un ruolo chiave nel garantire
l’efficacia delle attività svolte, tenuto conto della diretta dipendenza dell’area
amministrativa dagli organi delegati.
Creazione, aggiornamento e mantenimento di un registro delle parti
correlate
Come osservato, la finalità ultima dell’attività di individuazione delle parti
correlate è la creazione, l’aggiornamento periodico e il mantenimento di un
registro delle parti correlate, al quale tutte le strutture della società e delle
la società è controllata dallo Stato (anticipando le innovazioni al principio IAS 24 non ancora
approvate dallo IASB), vengono escluse le società sottoposte a comune controllo, tenuto conto
del loro vastissimo numero.
Vi sono, peraltro, alcuni casi di società che integrano i criteri di definizione ex IAS 24,
includendovi espressamente tutti i soggetti partecipanti ai patti di sindacato e i dirigenti chiave
delle società controllate.
141
controllate possano fare riferimento al fine di accertare, preliminarmente alla
conclusione di un operazione, se la controparte sia correlata.
Nel registro può essere opportuno raccogliere non soltanto i dati
identificativi di certa parte correlata e le ragioni di correlazione, ma anche alcune
informazioni supplementari.
Ad esempio, per le persone giuridiche, potrebbe essere opportuno
raccogliere (se disponibili) anche le informazioni inerenti la data di costituzione
(o dell’ultimo trasferimento di proprietà), l’attività svolta, i fondamentali dati
sulla dimensione aziendale (es. ricavi, totale attività, patrimonio netto, numero di
dipendenti, …), ecc. Per le persone fisiche, potrebbe essere opportuno ottenere,
ad esempio, le informazioni inerenti il titolo di studio posseduto, l’occupazione,
il livello di reddito, ecc.
Tali informazioni supplementari non soltanto potrebbero risultare
particolarmente utili in sede di valutazione della correttezza di una certa
operazione effettivamente conclusa con tali soggetti, ma possono consentire di
suddividere le parti correlate in diverse categorie, alle quali associare gradi di
«rischiosità» diversi e per le quali stabilire presidi di correttezza e trasparenza più
o meno semplificati.
Come si vedrà, infatti, sul giudizio preliminare di rilevanza può incidere
anche la natura della correlazione. Ad esempio, per le operazioni con società
sulle quali si esercita l’attività di direzione e coordinamento potrebbero essere
previste procedure semplificate. Al contrario, procedure più complesse si
potrebbero prevedere per le operazioni con parti correlate di recente costituzione,
con un ammontare di ricavi poco significativo, oppure le cui controparti hanno
sede in paradisi societari o fiscali.
Nel registro può essere utile che siano opportunamente evidenziate le parti
correlate per il tramite degli amministratori della società ai sensi del criterio f)
dello IAS 24, in quanto, per le operazioni concluse con esse, potrebbe valutarsi
l’applicazione delle disposizioni di cui all’art 2391 del codice civile.
Da ultimo, si sottolinea la grande attenzione da dedicare alla riservatezza
delle informazioni conservate nel registro delle parti correlate, anche al fine di
garantire il rispetto delle normative sulla tutela dei dati personali.
3.6.2. L’identificazione preliminare delle operazioni (non trascurabili)
con parti correlate
142
Sul piano teorico, regole efficaci devono assicurare che, preliminarmente
all’effettuazione delle operazioni, sia accertata l’eventuale correlazione della
controparte, in modo tale che sia possibile sottoporre l’operazione stessa agli
opportuni presidi di correttezza e di trasparenza richiesti dalla normativa.
Considerata l’intuibile tempestività richiesta all’attività in commento, è
necessario che l’attività venga svolta direttamente a livello delle funzioni di line,
adattando opportunamente le procedure aziendali inerenti le diverse attività
aziendali. Maggiormente efficaci ed efficienti, nelle accezioni indicate in
precedenza, risulteranno le procedure automatizzate, che limitino al massimo
l’intervento dell’uomo nel processo decisionale.
Guardando alle soluzioni sviluppate dai gruppi quotati, si evidenzia che le
regole dettate dall’organo amministrativo affidano la responsabilità dell’attività
in parola alle direzioni competenti per la particolare tipologia di operazione
(quando l’operazione coinvolge direttamente la società) e agli amministratori
delegati delle società controllate (quando l’operazione coinvolge queste ultime).
In proposito, si osserva che, tenuto conto del numero di operazioni di
gestione effettuate dalle società quotate, sarebbe impensabile che il compimento
di ciascuna di esse fosse subordinato alla preventiva verifica della sussistenza di
un’eventuale correlazione della controparte.
Si pensi, come caso limite, alle vendite effettuate in pubblici esercizi, in cui
il venditore neppure conosce l’identità dei propri clienti. Si pensi, inoltre, ad
operazioni di valore insignificante, per le quali risulterebbe del tutto
antieconomico mantenere traccia di informazioni sulle caratteristiche
dell’operazione.
E’ dunque opportuno che, in questa fase, siano stabilite esplicitamente delle
«soglie di tolleranza», che tengano conto sia degli aspetti quantitativi che degli
aspetti qualitativi delle operazioni e che portino ad escludere lo svolgimento delle
operazioni seguenti per le operazioni che possono senz’altro essere giudicate
«trascurabili».
Al fine di non vanificare l’efficacia della norma, le soglie di tolleranza
dovrebbero essere definite in modo il più possibile oggettivo ed essere
estremamente ridotte sotto il profilo quantitativo. Una possibile soluzione
potrebbe essere quella di ritenere trascurabili le operazioni che rientrano nei
poteri dei responsabili posti ai più bassi livelli dell’organizzazione.
143
3.6.3.
La valutazione preliminare della rilevanza
Una volta identificata una certa operazione con parti correlate, è necessario
valutarne preliminarmente la rilevanza.
La valutazione della rilevanza consiste in un giudizio teso a verificare il
grado di rischio che una particolare decisione possa nuocere in modo più o meno
significativo all’interesse aziendale. Quanto maggiore è la rilevanza
dell’operazione, tanto maggiori i presidi che dovranno essere assicurati al
processo deliberativo.
Il giudizio conduce ad una fondamentale distinzione tra:
- operazioni non rilevanti, che possono subire un processo deliberativo
ordinario, seppure rafforzato in termini di tracciabilità delle decisioni;
- operazioni rilevanti, per le quali si rende necessario rafforzare in modo più
o meno significativo il processo deliberativo.
Come la precedente, anche l’attività in parola è inevitabilmente decentrata
nelle funzioni di line (per le controllate, ne viene generalmente assegnata la
responsabilità all’Amministratore Delegato), che dispongono delle necessarie
competenze tecniche per valutare la rilevanza di una certa operazione, ma non
sono indipendenti.
Per questo motivo, è opportuno che i criteri che definiscono la rilevanza
siano definiti in modo il più possibile oggettivo, lasciando minimi ambiti di
discrezionalità. Inoltre, il giudizio formulato dovrà essere adeguatamente
documentato, in modo da consentire i successivi controlli da parte di organi di
controllo caratterizzati da una maggiore indipendenza (es. internal audit, collegio
sindacale).
Il giudizio di rilevanza si fonda primariamente sugli aspetti quantitativi
dell’operazione, che generalmente sono di più immediata individuazione, ma le
soglie quantitative possono variare in funzione di ulteriori elementi, quali:
- le caratteristiche della controparte e delle relazioni che determinano la
correlazione;
- la natura, l’oggetto e le condizioni dell’operazione.
Guardando all’esperienza dei principali gruppi quotati, tra le operazioni non
rilevanti vengono frequentemente incluse:
144
- le operazioni compiute tra società il cui capitale sia interamente posseduto,
direttamente o indirettamente, dalla società;
- le operazioni il cui corrispettivo sia fissato sulla base di: quotazioni
ufficiali di mercato, tariffe definite da autorità competenti, nonché di listini
interni basati su procedure documentate e verificabili di benchmarking;
- operazioni concluse a condizioni standard o di mercato, cioè quelle
concluse a condizioni analoghe a quelle usualmente praticate nei rapporti con
soggetti che non siano parti correlate;
- siano concluse in esito a una procedura competitiva adeguatamente
documentata e verificabile, a prescindere da limiti di valore o durata.
Inoltre, le regole stabilite dagli organi amministrativi delle società quotate
fanno spesso riferimento alle c.d. operazioni tipiche o usuali, per tali intendendo
quelle che per oggetto o natura risultano coerenti con il core business della
societa (o della controllata interessata a compiere l’operazione) e che non
presentano particolari elementi di criticità connessi alle loro caratteristiche, ai
rischi inerenti alla natura della controparte o al tempo del loro compimento.
In tali casi, si noti che vengono fissate anche delle soglie quantitative, al
superamento delle quali le operazioni vengono comunque definite rilevanti.
3.6.4.
Il processo deliberativo delle operazioni non rilevanti
Per le operazioni non rilevanti non si pone il problema di modificare
sensibilmente il processo decisionale e l’attribuzione dei poteri.
Il processo deliberativo segue l’iter previsto per le analoghe operazioni
compiute con parti non correlate, ma:
- vanno stabiliti maggiori presidi in termini di documentazione e
tracciabilità delle decisioni;
- occorre garantire un flusso informativo successivo a frequenza periodica,
destinato principalmente agli organi di controllo.
Documentazione
La predisposizione di un’adeguata documentazione sul processo decisionale
che ha condotto all’operazione è il fondamentale presupposto per dimostrare, in
145
prospettiva ex post, la correttezza sostanziale e procedurale di una certa
operazione.
Inoltre, costituisce la base informativa necessaria ad adempiere agli obblighi
di trasparenza previsti dalla normativa.
Quanto al contenuto della documentazione, ferma restando l’opportunità di
prevedere quantità variabili di informazioni in base alle caratteristiche
dell’operazione e della controparte, le informazioni da raccogliere dovrebbero
riguardare almeno:
- le parti coinvolte;
- la natura della correlazione;
- le caratteristiche dell’operazione;
- le modalità esecutive;
- i termini temporali;
- le condizioni economiche e i procedimenti valutativi utilizzati per
definirle;
- le motivazioni sottostanti all’operazione, nell’ottica dell’interesse proprio
della società.
La documentazione raccolta, al fine di essere giudicata attendibile, deve
verificare tre requisiti fondamentali di validità, accuratezza e completezza33.
Possono essere distinte tre attività fondamentali, che vengono affidate alla
responsabilità delle strutture amministrative:
- la raccolta della documentazione inerente l’operazione, predisposta
direttamente dalle strutture interessate;
- la predisposizione di ulteriore documentazione di sintesi, secondo
standard predefiniti;
- la conservazione della documentazione per un periodo adeguato (es. 10
anni).
Informativa successiva periodica
33
Cfr. V. CODA, Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni
di contesto, in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Cedam,
Padova, 1997, p. 326-327.
146
Al fine di garantire che anche le operazioni singolarmente non rilevanti
possano essere oggetto di verifiche da parte degli organi di controllo, seppure in
una prospettiva ex post, è opportuno che venga assicurato loro un flusso
informativo periodico, che può sostanziarsi nella produzione, da parte della
struttura amministrativa, di report informativi contraddistinti da un elevato grado
di sintesi.
La finalità di tale attività di reporting, che può assumere una cadenza
trimestrale, allineata alle scadenze previste per la pubblicazione dei documenti di
informativa contabile, è soprattutto quella di mettere in luce le eventuali criticità
e le aree di possibile miglioramento, nonché di evidenziare le operazioni
meritevoli di ulteriori controlli mirati.
In tale ottica, i report dovrebbero essere destinati sia al comitato di controllo
interno, sia al collegio sindacale, nonché al consiglio di amministrazione, che è
responsabile delle regole adottate.
Nei report, per le singole operazioni con parti correlate non rilevanti, ma
superiori a predefinite soglie, potrebbero essere specificati, alla luce anche di
quanto reso noto da alcune società quotate:
- indicazione sintetica del tipo di operazione;
- oggetto e valore;
- data di conclusione del contratto;
- identità della controparte (con alcune precisazioni inerenti il tipo di
correlazione e le altre informazioni che aiutino a chiarire il livello del rischio di
operazioni contrarie all’interesse aziendale).
Inoltre, per ciascuna parte correlata, il report potrebbe riepilogare:
- il complessivo di tutte le operazioni concluse nel periodo di riferimento e
gli effetti sui conti della società;
- le medesime informazioni con riferimento all’avanzamento annuale.
In questo modo, potrebbe ravvisarsi l’opportunità di formalizzare in
contratti quadro le relazioni con le parti correlate con le quali si intrattengono i
maggiori rapporti.
Nei report, inoltre, le operazioni con parti correlate non rilevanti potrebbero
essere aggregate, anziché in base alla controparte, tenendo in considerazione il
tipo di operazione sottostante, al fine di evidenziare l’eventuale opportunità di
prevedere specifiche procedure per particolari operazioni maggiormente
ricorrenti.
147
3.6.5.
Il processo deliberativo delle operazioni rilevanti
Le operazioni giudicate rilevanti sono sottoposte ad un processo
deliberativo modificato rispetto a quello seguito per operazioni analoghe ma
concluse con parti non correlate.
Le modifiche possono riguardare due aspetti fondamentali:
- la competenza decisionale: il processo decisionale può essere affidato a
organi diversi, caratterizzati tipicamente da una maggiore indipendenza di
giudizio;
- la previsione di specifici presidi alle diverse fasi di cui si compone il
processo decisionale, migliorando la qualità della base informativa disponibile e
aumentando la razionalità della scelta.
Una soluzione interessante, tesa a limitare l’intervento di amministratori e
sindaci alle sole operazioni eccezionalmente rilevanti, è quella di costituire
all’interno della società un comitato, composto da alcuni alti dirigenti aziendali,
al quale affidare la preventiva approvazione delle operazioni rilevanti che non
eccedono determinate soglie.
Nelle società che adottano questa soluzione, il comitato, che può riunirsi
con una periodicità certamente maggiore rispetto agli organi sociali, esamina le
informazioni sull’operazione con l’assistenza, in veste di relatore, del
responsabile dell’area operativa competente. Conclusa l’attività istruttoria, il
comitato può decidere, alternativamente di:
- autorizzare l’operazione;
- rimettere la decisione al comitato di controllo interno o al consiglio di
amministrazione.
Quanto alla composizione del comitato, nei casi concreti in cui la soluzione
in parola è
adottata, esso risulta composto dai responsabili dell’area
amministrazione/finanza, dell’area legale e dell’internal audit 34.
34
Si noti che si tratta della medesima composizione dell’Advisory Board descritto al
precedente paragrafo 3.6.1. I due comitati, pertanto, potrebbero coincidere, nonostante tra i
principali gruppi quotati non vi siano casi in cui le regole stabilite dal consiglio di
amministrazione li prevedono entrambi.
148
Più frequente, anche perché in linea con le disposizioni del codice di
autodisciplina, risulta l’affidamento al comitato di controllo interno del compito
di formulare un parere preventivo sulle operazioni rilevanti.
La soluzione in parola è certamente interessante, ma è bene tenere in
considerazione il notevole impegno che potrebbe essere richiesto ai componenti
del comitato di controllo interno, in termini sia di maggiore frequenza delle
riunioni che di documentazione da esaminare.
In tal senso, l’inevitabile sforzo di sintesi delle strutture aziendali potrebbe
non essere sufficiente a garantire un controllo effettivo, laddove il numero di
operazioni rilevanti sottoposte al comitato di controllo interno dovesse essere
eccessivo.
Al fine di risolvere queste problematiche, il comitato di controllo interno
potrebbe delegare un proprio membro, possibilmente indipendente, ad esaminare
approfonditamente una specifica operazione, per poi riferire al comitato riunito in
sede collegiale. La scelta, a tal fine, dell’amministratore nominato dalle
minoranze potrebbe garantire maggiore rigore nell’attività di controllo.
A seguito dell’acquisizione del parere favorevole da parte del comitato di
controllo interno, la vera e propria approvazione dell’operazione può avvenire:
- da parte dell’amministratore delegato, nel caso in cui essa rientri nelle
deleghe attribuite;
- da parte del consiglio di amministrazione in sede collegiale.
E’ da menzionare, infine, la possibilità che il potere decisionale venga
rimesso all’Assemblea, fornendo la possibilità di valutare preventivamente le
operazioni con parti correlate eccezionalmente rilevanti anche alle minoranze
azionarie che non sono in grado di esprimersi negli organi sociali. In certi casi,
ma è una soluzione che difficilmente può trovare applicazione in assenza di
specifiche disposizioni normative, la decisione potrebbe essere rimessa ai soli
detentori del capitale ordinario controllato, senza che l’azionista di controllo
esprima il proprio giudizio (c.d. meccanismo di white wash).
Quanto ai presidi che possano aumentare la razionalità delle diverse fasi di
cui si compone il processo decisionale, incrementando la qualità della base
informativa, possono menzionarsi i seguenti:
- svolgimento di specifiche attività istruttorie tese ad approfondire le
motivazioni dell’operazione (soprattutto quando esse si discostino notevolmente
149
dalla normale operatività aziendale) e a verificare la funzionalità dell’operazione
rispetto alla missione aziendale;
- per le operazioni più complesse (come la sottoscrizione di accordi
pluriennali, partnership, acquisti e cessioni di complessi aziendali, ecc.), garantire
un flusso informativo sull’andamento delle trattative e che non si collochi
temporalmente troppo vicino alla decisione finale;
- diversificazione delle fonti di informazione, garantendo il più possibile la
neutralità delle stesse rispetto alle istanze del soggetto economico, anche mediante
il ricorso ad autorevoli fonti esterne;
- esplicitazione delle possibili alternative alla conclusione dell’operazione e
sviluppo degli scenari associati a ciascuna alternativa praticabile;
- esplicitazione dei criteri di valutazione della convenienza dell’operazione e
delle ipotesi sottostanti, anche con l’intervento di esperti esterni, che dovrebbero
essere scelti dagli amministratori indipendenti, garantendo eventualmente
un’opportuna rotazione.
3.6.6.
Le attività di monitoraggio
Le attività sinora esaminate, cui vanno aggiunte le attività relative alla
produzione dei documenti informativi a valenza esterna, secondo gli obblighi di
informativa periodica e speciale, devono essere adeguatamente affiancate da
un’attività di monitoraggio, complessivamente tesa a verificare:
a) la concreta osservanza delle regole stabilite;
b) l’efficacia delle stesse, intesa come loro effettiva capacità di assicurare
gli obiettivi di correttezza sostanziale e procedurale e di trasparenza;
c) l’efficienza delle regole adottate, al fine di incrementare il grado di
integrazione delle regole nelle procedure aziendali.
Per quanto concerne gli organi deputati all’attività di monitoraggio, come
già osservato, la legge assegna un ruolo fondamentale all’organo di controllo, cui
assegna espressamente il compito di controllare la concreta osservanza delle
regole adottate dall’organo amministrativo.
Nondimeno, l’organo di controllo è tenuto a verificare anche che le regole
siano efficaci, cioè che garantiscano il rispetto della legge da un punto di vista
sostanziale. Il Collegio, infatti, assiste alle riunioni del consiglio e, ove istituito,
del comitato di controllo interno (almeno tramite un proprio rappresentante),
150
potendo disporre delle medesime informazioni dei consiglieri. Senza entrare nel
merito delle decisioni, il suo ruolo gli impone, tra l’altro, di sollevare rilievi, in
sede di discussione e di deliberazione delle operazioni con parti correlate,
sull’effettivo rispetto delle regole stabilite, nonché sulla carenza delle
informazioni poste a supporto della decisione.
Ferma restando la possibilità che l’organo di controllo possa effettuare
direttamente controlli mirati, utilizzando i propri ampi poteri ispettivi, esso potrà
fare ampio affidamento per le attività di monitoraggio alla funzione di Internal
Audit, che dispone delle necessarie strutture e competenze e – nella forma e,
auspicabilmente, anche nella sostanza - dell’indipendenza di giudizio richiesta.
In questo senso, l’organo di controllo potrà attivare opportunamente la
funzione di Internal Audit, richiedendo eventualmente l’effettuazione dei
controlli mirati ritenuti necessari.
Anche indipendentemente dalle istanze dell’organo di controllo, le attività
di monitoraggio sopra definite rientrano certamente nella sfera di competenza
della funzione di Internal Audit35, che dovrà inserire nei propri piani di lavoro
opportune verifiche, ad esempio:
- sulle attività di mappatura delle parti correlate, con particolare attenzione
alla limitazioni incontrate nel processo di raccolta delle informazioni e alle scelte
maggiormente discrezionali;
- sulla corretta applicazione delle soglie di tolleranza e di rilevanza
eventualmente previste;
- sull’accuratezza, validità e completezza della documentazione relativa alle
operazioni non rilevanti, nonché dei report periodici trasmessi agli organi di
amministrazione e controllo;
- sulla qualità, neutralità e tempestività dei flussi informativi relativi alla
deliberazione delle operazioni rilevanti;
- sulle modalità di concreta esecuzione delle deliberazioni, soprattutto nel
caso di contratti quadro o pluriennali.
35
Per un approfondimento, si rinvia a: G. BRUNI, Contabilità per l'alta direzione. Il
processo informativo funzionale alle decisioni di governo d'impresa (seconda edizione
aggiornata), Etas Libri, Milano, 1999, pp. 226-234; G. ZANDA, Sistema di controllo interno e
Internal Auditing. Problemi di struttura e funzionamento, in Rivista Italiana di Ragioneria e di
Economia Aziendalen. 1/2, 2002, n.1/2, 2002.
151
Tra gli strumenti più efficaci in fase di monitoraggio per l’individuazione di
possibili abusi, si segnala l’opportunità di istituire una procedura di raccolta di
segnalazioni anonime, che potrebbe consentire di individuare le operazioni con
parti correlate (e operazioni analoghe) che potrebbero essere sfuggite alle regole
stabilite dall’organo amministrativo.
Inoltre, la funzione Internal Audit potrebbe richiedere ai dirigenti e ai
responsabili chiave di comunicare formalmente, con cadenza periodica, eventuali
informazioni su:
- controparti correlate che non risultino mappate;
- operazioni con parti correlate che non fossero state sottoposte, per
qualsivoglia motivo, ai controlli di correttezza e trasparenza.
Al riguardo deve sottolinearsi che le attività di monitoraggio devono essere
improntate ad uno stile supportivo, teso a diffondere una cultura d’autocontrollo
a tutti i livelli dell’organizzazione, senza prevedere sanzioni eccessive e
atteggiamenti punitivi che alimenterebbero la paura di riconoscere errori e
inadeguatezze del sistema dei controlli36.
L’attività di monitoraggio deve essere rivolta principalmente al
miglioramento delle procedure esistenti, tramite l’identificazione delle eventuali
criticità e delle aree di possibile miglioramento (sia in termini di efficacia che di
efficienza) da portare all’attenzione, oltre che dell’organo di controllo:
- delle strutture da questo eventualmente deputate alla definizione degli
aspetti di maggior dettaglio delle regole e della loro applicazione (es. l’Advisory
Board di cui si è detto), che possono apportare eventuali modifiche alle
procedure seguite al fine di incrementarne l’efficacia e l’efficienza;
- del comitato di controllo interno, ove istituito, per consentirgli un più
consapevole svolgimento del ruolo eventualmente assegnato nel processo
decisionale e, comunque, delle proprie funzioni in materia di sistema dei controlli
interni;
- dell’organo amministrativo, che potrà valutare l’opportunità di apportare
modifiche alle regole stabilite, ovvero di stabilire procedure dettagliate per
particolari operazioni o di sottoscrivere contratti quadro per le operazioni
compiute in modo ricorrente con medesime controparti correlate.
36
Cfr. V. CODA, L'impresa responsabile, in P. MELLA-D. VELO, Creazione di valore,
corporate governance e informativa societaria : scritti in onore di Ferdinando Superti Furga,
Giuffrè, Milano, 2007, p. 356.
152
Appendice
L’evoluzione normativa in corso: la bozza
regolamentazione proposta dalla Consob nel 2008
1.
di
Le linee generali del progetto di riforma
Nell’aprile 2008, la Consob, in esecuzione della delega legislativa di cui
all’art. 2391-bis, ha sottoposto alla consultazione del pubblico una bozza di
regolamentazione estremamente articolata e complessa37, che prevede
l’inserimento nel Regolamento Emittenti di un apposito capo dedicato alle
operazioni rilevanti con «parti correlate» e riguardante sia la disciplina
sull’informativa nei confronti del mercato, sia la fissazione dei principi di
trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale per la realizzazione delle
stesse.
Con riferimento al tema della correttezza procedurale e sostanziale delle
operazioni, è possibile identificare tre fondamentali aree di intervento:
A) la conferma del rimando alla definizione di parte correlata previsto dallo
IAS 24, con la previsione di un obbligo in capo ad alcune categorie di parti
correlate di comunicare alle società soggette all’art. 2391-bis le informazioni
necessarie al fine di consentire l’identificazione di altre parti ad esse correlate;
B) l’individuazione di indici quantitativi per l’identificazione delle c.d.
«operazioni rilevanti», corredati da alcune indicazioni di tipo qualitativo;
C) la centralità del ruolo degli amministratori indipendenti nelle decisioni
concernenti la conclusione delle operazioni con parti correlate.
37
CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in
materia di operazioni con parti correlate. Documento di consultazione, 2008.
153
Da segnalare, inoltre, la proposta di consentire procedure semplificate alla
società di minori dimensioni38 e alle società di recente quotazione39.
A) Nella proposta di regolamentazione, la Consob conferma il rinvio alla
definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24, con la finalità esplicita di
consentire « alle società interessate di individuare un unico perimetro di
«correlazione» rilevante sia per la disciplina contabile che per la disciplina della
trasparenza e della correttezza sostanziale e procedurale»40.
In aggiunta, la Consob ha proposto l’introduzione di una specifica norma41
che richieda alle società di valutare se individuare come parti correlate rilevanti
ai fini della disciplina in esame ulteriori soggetti rispetto a quelli individuati ai
sensi dello IAS 24, tenendo presenti:
- particolari assetti proprietari42;
- eventuali vincoli contrattuali rilevanti ai fini dell'art. 2359, primo comma,
n. 3), del codice civile43;
38
L’indice della dimensione è la capitalizzazione, che non deve superare i 500 milioni di
euro per tre anni consecutivi. Cfr. Art. x.6, c.2 della bozza di articolato.
39
Sono società di recente quotazione «le società con azioni quotate nel periodo compreso
tra la data di inizio delle negoziazioni e la data di approvazione del bilancio relativo al secondo
esercizio successivo a quello di quotazione». Art. x.6, c.3, bozza articolato Consob.
40
Ibidem, p. 59.
41
Cfr. Art. x.1 della bozza di articolato: «Le società valutano se individuare come parti
correlate rilevanti ai fini del presente Capo ulteriori soggetti rispetto a quelli definiti tali ai sensi
del presente regolamento. A tal fine, esse tengono conto, in particolare, degli assetti proprietari,
di eventuali vincoli contrattuali rilevanti ai fini dell'art. 2359, primo comma, n. 3), del codice
civile nonché delle discipline di settore alle stesse eventualmente applicabili in materia di parti
correlate». Ibidem, p. 147.
42
Osserva la Consob: «Una società potrebbe, ad esempio, stabilire che i soggetti che
controllano congiuntamente, tramite patto, una società che esercita un’influenza notevole sulla
quotata, siano soggetti correlati benché non espressamente ricompresi nella definizione IAS. Un
altro esempio potrebbe essere quello di una società con assetti proprietari particolarmente
frammentati che potrebbe decidere di includere tra le parti correlate azionisti con partecipazioni
inferiori alla percentuale che attribuisce l’influenza notevole». Ibidem, p. 60.
43
«Si fa riferimento ai particolari vincoli contrattuali che, ai sensi dell’art. 2359 c.c.,
possono determinare il c.d. controllo esterno di fatto qualora portino ad un’influenza dominante
(ad es. contratti di somministrazione in esclusiva). Si può pensare inoltre a contratti di
finanziamento quando un soggetto è l’unico finanziatore per importi ingenti». Ibdiem, p. 60.
154
- le discipline di settore eventualmente applicabili in materia di parti
correlate44.
Inoltre, l’art. x.2, comma 5, della bozza di articolato stabilisce che: « I
soggetti controllanti e gli altri soggetti indicati nell’articolo 114, comma 5, del
TUF che siano parti correlate delle società, forniscono a queste ultime le
informazioni necessarie al fine di consentire l’identificazione delle parti correlate
ai sensi del comma 1, lettera a)».
Sul punto giova ricordare che, come osservato nel capitolo dedicato
all’individuazione delle parti correlate, le società quotate possono non disporre
delle informazioni necessarie per fare piena luce sugli assetti proprietari delle
società controllanti (specie in presenza di piramidi societarie o di società
fiduciarie) e, ancor di più, sulle relazioni di stretta familiarità degli individui che
vengano identificati come parti correlate ai sensi del criterio a) o come dirigenti
con responsabilità strategiche ai sensi del criterio d) dello IAS 24.
In particolare, secondo l’attuale ordinamento, gli amministratori non
dispongono formalmente di alcun diritto ad accedere a tali informazioni, con
l’effetto che l’attività di individuazione delle parti correlate conduce a risultati
fortemente limitati.
Secondo la nuova disposizione proposta dalla Consob, le società quotate si
verrebbero a trovare nella condizione di poter richiedere le informazioni
necessarie per agevolare l’individuazione delle parti correlate ad un nutrito
numero di soggetti correlati, e precisamente:
i) ai soggetti controllanti;
ii) ai soggetti indicati all’art. 114, quinto comma, del TUF, e cioè (sempre a
condizione che risultino già essere parti correlate ai sensi dello IAS 24):
- agli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine;
- ai componenti degli organi di amministrazione e controllo;
- ai dirigenti;
- ai soggetti che detengono una partecipazione rilevante ai sensi dell'articolo
120 del TUF;
- ai partecipanti a un patto previsto dall'articolo 122 TUF.
44
»Ai sensi di discipline di settore, quali quella bancaria, le società potrebbero essere
tenute ad individuare un “perimetro di correlazione” più ampio rispetto a quello derivante dallo
IAS 24 e, pertanto, ai fini di una semplificazione delle procedure, potrebbero ritenere utile
individuare un unico perimetro conforme ad entrambe le discipline». Ibidem, p. 60.
155
B) Nella disciplina sottoposta a consultazione la Consob propone, sul
modello dell’esperienza di altri paesi (in particolare, delle UK Listing Rules),
alcuni indici di tipo quantitativo per l’identificazione delle «operazioni con parti
correlate» da assoggettare a procedure deliberative più rigorose e a specifici
obblighi di informativa periodica e speciale.
Gli indici di rilevanza identificati dalla Consob sono i seguenti45:
a) Indice di rilevanza del controvalore, pari al rapporto tra il controvalore
dell’operazione e la capitalizzazione media degli ultimi 6 mesi delle azioni della
società46;
b) Indice di rilevanza dell’attivo, pari al rapporto tra il totale attivo
dell’entità oggetto dell’operazione e il totale attivo della società47;
45
Cfr. Ibidem, pp.156-157.
Più in particolare, «se le condizioni economiche dell’operazione sono determinate, il
controvalore dell’operazione è: i) per le componenti in contanti, l’ammontare pagato alla/dalla
controparte contrattuale; ii) per le componenti costituite da strumenti finanziari, il fair value
determinato, alla data dell’operazione, in conformità ai principi contabili internazionali adottati
con Regolamento (CE) n.1606/2002.
Se le condizioni economiche dell’operazione dipendono in tutto o in parte da grandezze
non ancora note, il controvalore dell’operazione è il valore massimo ricevibile o pagabile ai
sensi dell’accordo. Se non è determinato un valore massimo e non è calcolabile nessuno degli
altri indici di rilevanza, l’operazione si considera comunque rilevante.
Nel caso in cui la capitalizzazione non sia calcolabile (ad esempio, nel caso di operazioni
relative a società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante), il denominatore
dell’indice è costituito dal patrimonio netto della società. I dati da utilizzare devono essere tratti
dal più recente stato patrimoniale pubblicato (consolidato, se redatto) dalla società». Ibidem,
Allegato 3I, p. 156.
47
«I dati da utilizzare devono essere tratti dal più recente stato patrimoniale pubblicato
(consolidato, se redatto) dalla società; ove possibile, analoghi dati devono essere utilizzati per la
determinazione del totale dell’attivo dell’entità oggetto dell’operazione.
Per le operazioni di acquisizione e cessione di partecipazioni in società che hanno effetti
sull’area di consolidamento, il valore del numeratore è il totale attivo della partecipata,
indipendentemente dalla percentuale di capitale oggetto di disposizione.
Per le operazioni di acquisizione e cessione di partecipazioni in società che non hanno
effetti sull’area di consolidamento, il valore del numeratore è:
i) in caso di acquisizioni, il controvalore dell’operazione maggiorato delle passività della
società acquisita eventualmente assunte dall’acquirente;
ii) in caso di cessioni, il valore dell’attività ceduta.
46
156
c) Indice di rilevanza degli utili, pari al rapporto tra gli utili ante imposte
attribuibili all’entità oggetto dell’operazione e gli utili ante imposte della
società48;
d) Indice di rilevanza delle passività, pari al rapporto tra il totale delle
passività dell’entità acquisita e il totale attivo della società49;
e) Indice di rilevanza di acquisti e vendite di beni e servizi, pari al rapporto
tra il corrispettivo dell’operazione ed i ricavi della società50.
Le società devono includere tra le operazioni rilevanti quelle in cui almeno
uno dei predetti indici risulti superiore alla soglia del 5%.
In proposito, si noti che la Consob specifica che «anche per evitare elusioni
della disciplina in esame, è inoltre previsto che si debba tener conto
cumulativamente di tutte le operazioni compiute con una stessa parte correlate,
ovvero con soggetti a quest’ultima correlati che risultino a loro volta correlati alla
società, poste in essere in un periodo di dodici mesi»51.
Si noti che la Consob evita espressamente di includere nel novero delle parti
correlate soggetti ulteriori rispetto a quelli individuati applicando la definizione
dello IAS 2452.
Per le operazioni di acquisizione e cessione di altre attività (diverse dall’acquisizione di
una partecipazione), il valore del numeratore è:
i) in caso di acquisizioni, il maggiore tra il controvalore e il valore contabile che verrà
attribuito all’attività;
ii) in caso di cessioni, il valore contabile dell’attività». Ibidem, Allegato 3I, pp. 156-157.
48
«I dati da utilizzare devono essere tratti dall’ultimo bilancio di esercizio pubblicato
(consolidato, se redatto) sia della società sia dell’entità oggetto dell’operazione». Ibidem,
Allegato 3I, p. 157.
49
«I dati da utilizzare devono essere tratti dal più recente stato patrimoniale pubblicato
(consolidato, se redatto) dalla società; ove possibile, analoghi dati devono essere utilizzati per la
determinazione del totale dell’attivo della società o del ramo di azienda acquisiti». Ibidem,
Allegato 3I, p. 157.
50
«I dati da utilizzare devono essere tratti dall’ultimo bilancio di esercizio pubblicato
(consolidato, se redatto) della società». Ibidem, Allegato 3I, p. 157.
51
Ibidem, p. 63.
52
Osserva la Consob: « Tale precisazione è stata introdotta per evitare di allargare la
disciplina, con una sorta di “correlazione di secondo grado” , a soggetti che non siano correlati
alle società secondo la definizione dello IAS 24». Ibidem, nota 49 a p. 63.
157
Inoltre, la soglia del 5% è ridotta all’1% per alcune operazioni considerate
particolarmente a rischio, a causa di particolari caratteristiche dell’assetto
proprietario/di controllo delle società.
Rientrano in tale categoria quelle poste in essere con:
i) i soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento;
ii) le società controllanti quotate;
iii) i soggetti controllanti, qualora la società abbia emesso azioni a voto
limitato o senza diritto di voto, quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il
pubblico in misura rilevante;
iv) i soggetti controllanti, qualora lo statuto della società preveda limiti al
possesso azionario o al diritto di voto;
v) i soggetti correlati a quelli indicati nei punti precedenti, purché risultino a
loro volta correlati alle società.
In aggiunta agli anzidetti criteri di rilevanza quantitativi, nella proposta
della Consob viene indicato che53: «le società, fermi i criteri di tipo quantitativo
(…) individuano altresì criteri di tipo qualitativo per l’identificazione delle
operazioni rilevanti con parti correlate, facendo almeno riferimento:
i) alle operazioni con parti correlate aventi ad oggetto un’attività
immateriale (ad esempio, marchi, brevetti);
ii) alle operazioni con parti correlate atipiche e/o inusuali».
Il riferimento alle operazioni sub i) è motivato dall’intenzione della Consob
di far ricadere nel concetto di rilevanza anche le tipiche operazioni di asset
tunneling54, che prevedono il trasferimento di asset (tipicamente attività
immateriali internamente generate) non rilevabili contabilmente o iscritti a valori
esigui, che presentino invece elevate potenzialità strategiche.
Inoltre, la Consob (punto ii) fa nuovamente riferimento alla categoria delle
operazioni atipiche e/o inusuali, proponendone una nuova semplificata
definizione: «operazioni con caratteristiche atipiche o inusuali rispetto alla
normale gestione d’impresa, per natura della controparte, oggetto della
transazione, modalità di determinazione del prezzo o tempistica (prossimità della
chiusura dell’esercizio sociale)».
53
54
Ibidem, Allegato 3I, p. 157.
Si rimanda al primo capitolo.
158
L’intento della nuova definizione, che nella sostanza non si discosta dalla
precedente, è eliminare le connotazioni negative del concetto di
atipicità/inusualità, sottolineando che anche le operazioni atipiche e inusuali
possono essere «corrette»55.
La Consob, infine, specifica che ciascuna società può decidere di stabilire
soglie di rilevanza quantitativa inferiori e che le procedure possono individuare,
motivandone la scelta, criteri per l’identificazione di ‘operazioni di importo
esiguo’ che sono invece escluse dal novero delle operazioni rilevanti individuate
sulla base dei criteri qualitativi56
C) Una delle scelte di fondo della bozza di regolamentazione Consob è
costituita dall’attribuzione di un ruolo centrale agli amministratori indipendenti
nell’assicurare la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti
correlate.
Secondo la Consob si tratterebbe di una soluzione57:
- coerente con le best practice di matrice anglosassone e con la recente
raccomandazione della Commissione Europea sul ruolo degli amministratori non
esecutivi58;
- allineata alle più recenti riforme del legislatore59 e con i principi del codice
di autodisciplina.
Inoltre la Consob ha sottolineato che, nelle operazioni rilevanti con parti
correlate60:
- gli amministratori indipendenti dovrebbero essere coinvolti nelle trattative
sin dall’inizio, «al fine di consentire loro di acquisire una conoscenza diretta e
55
Si veda la precedente Nota 7 a p. 111.
cfr. art.x.8, comma 2, della proposta di articolato. Ibidem, p. 64.
57
CONSOB, op. cit., pp. 67- 68.
58
Nella Raccomandazione 2005/162/CE del 15 febbraio 2005 sul ruolo degli
amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società
quotate e sui comitati del consiglio di amministrazione o di sorveglianza, la Commissione
Europea ha evidenziato che «è particolarmente importante promuovere» il ruolo degli
amministratori non esecutivi nella risoluzione di situazioni che comportano conflitti d’interessi
«per ridare fiducia nei mercati finanziari».
59
Si noti che questo assunto ha suscitato un notevole numero di critiche in sede di
consultazione.
60
Cfr. Ibidem, pp. 68-69.
56
159
non mediata di tutti gli aspetti rilevanti dell’operazione e di ridurre l’asimmetria
informativa che sussiste tra esecutivi e non esecutivi»;
- è essenziale che gli indipendenti, per poter adempiere ai propri compiti e
poter esprimere un giudizio consapevole, «oltre ad essere soggetti ovviamente
qualificati, abbiano direttamente il potere di scegliere e nominare, a spese della
società, degli esperti indipendenti».
Sulla base di tali considerazioni, in estrema sintesi, la Consob ha proposto61:
- l’introduzione di una definizione di «amministratori indipendenti»
rilevante per il Regolamento Emittenti e mutuata dall’articolo 147- ter, comma 4,
del TUF62;
- che, per le operazioni rilevanti, identificate come tali ai fini della
disciplina di trasparenza, venga attribuito nell’intero processo decisionale un
ruolo determinante ad un comitato di amministratori indipendenti. Tale comitato
dovrebbe avere un potere determinante nella decisione dell’operazione, a meno
che la competenza decisionale sia per legge o previsione statutaria in capo
all’intero consiglio di amministrazione, nel qual caso il comitato dovrebbe
esprimere un parere preventivo sull’operazione. Il comitato dovrebbe inoltre
partecipare attivamente alla conduzione delle trattative e potersi avvalere, a spese
della società, del parere di esperti indipendenti di propria scelta;
- che, per le operazioni con parti correlate diverse da quelle rilevanti, sia
possibile adottare una procedura semplificata, nella quale gli amministratori
indipendenti forniscano un parere preventivo sull’operazione, sempre con la
facoltà di avvalersi del parere indipendente di esperti di loro scelta, ma non
debbano necessariamente prendere parte all’intero processo decisionale;
- che, al fine di non gravare di eccessivi oneri le società con azioni diffuse,
le società di minori dimensioni e le società di recente quotazione, sia prevista per
queste società la possibilità di adottare la procedura semplificata anche per le
operazioni rilevanti;
61
Cfr. Ibidem, pp. 71-73.
Secondo l’art. 2, primo comma, lett. q) della bozza di articolato Consob, devono essere
considerati indipendenti «gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti
per i sindaci dall'articolo 148, comma 3, del Testo unico ovvero, se lo statuto lo prevede, dei
requisiti previsti da codici di comportamento promossi da società di gestione di mercati
regolamentati o da associazioni di categoria».
62
160
- che, per le operazioni con parti correlate la cui competenza decisionale sia
dell’assemblea, le società adottano meccanismi volti ad evitare che la loro
approvazione avvenga con il voto decisivo delle parti correlate o, in alternativa,
che gli amministratori indipendenti abbiano un ruolo determinante
nell’elaborazione della proposta da sottoporre all’assemblea.
Infine, nella bozza di documento sottoposta a consultazione, la Consob ha
previsto che determinate operazioni, sebbene «rilevanti», possano essere escluse
dalle procedure di correttezza di cui sopra.
In particolare, è prevista l’esclusione nei casi di:
i) operazioni con società controllate, anche non al 100%, purché in tali
controllate non vi siano interessi di altre parti correlate (quali, ad esempio,
partecipazioni degli amministratori, ovvero forme di remunerazione legate ai
risultati della controllata gestita da un amministratore che sia anche
amministratore della società controllante)63;
ii) operazioni svolte in attuazione di piani di compensi basati su strumenti
finanziari (piani di stock option e similari) approvati dall’assemblea ai sensi
dell’art. 114-bis del D.Lgs. n. 58/199864;
63
Tale esclusione deriva dall’intento della Consob di non creare un irrigidimento nella
gestione ordinaria, di escludere le operazioni con società controllate che risultano molto
frequenti nell’organizzazione dei gruppi di società e che non presentano particolari profili di
rischio. Cfr. Ibidem, p.77.
64
Ciò in quanto tali piani, oltre all’approvazione assembleare, sono già soggetti alle
regole di trasparenza previste dal combinato disposto dell’art. 114-bis e dell’art. 84-bis del
Regolamento Emittenti. Le società potrebbero, comunque, decidere di non escludere tali
operazioni che possono coinvolgere parti correlate (dirigenti con responsabilità strategiche
secondo la definizione dello IAS 24) dalla disciplina di cui trattasi attribuendo, ad esempio,
nella fase di approvazione della proposta da sottoporre all’assemblea, i compiti previsti per gli
amministratori indipendenti ad un comitato di remunerazione composto da soli indipendenti.
Cfr. Ibidem, p.77.
161
2.
Le principali osservazioni emerse in sede di consultazione:
brevi commenti
Dopo la conclusione del processo di consultazione, la Consob ha pubblicato
sul proprio sito n. 30 documenti contenenti le osservazioni sulla proposta di
regolamentazione formulate da vari soggetti e organizzazioni (accademici, studi
legali, fondi d’investimento, associazioni di categoria, singole società quotate,
…).
Dall’esame delle osservazioni sottoposte alla Consob, si evidenzia una
notevole variabilità nei giudizi formulati dai vari osservatori; in buona sostanza,
tutti gli aspetti chiave della proposta di regolamentazione sono stati oggetto tanto
di vivi apprezzamenti da parte di alcuni ossservatori, quanto di critiche, talvolta
anche aspre, da parte di altri.
Nel presente paragrafo si intende delineare un breve quadro di sintesi delle
osservazioni trasmesse alla Consob con riferimento ai tre aspetti della proposta di
regolamentazione sui quali si è soffermata l’attenzione nei paragrafi precedenti65:
A) la conferma dell’allineamento della normativa alla definizione di parte
correlata fornita dallo IAS 24, pur con la previsione esplicita di poter considerare
ulteriori soggetti nel novero delle parti correlate;
B) la significatività dei criteri quantitativi proposti dalla Consob per la
definizione delle «operazioni rilevanti»;
C) i compiti affidati agli amministratori indipendenti nel processo
decisionale.
Nella tabella seguente, si riepilogano i documenti di commento pubblicati
dalla Consob.
65
Si rimarca la scelta di non trattare nel presente lavoro le tematiche inerenti l’informativa
esterna.
162
Tabella 3. – Documenti di commento alla proposta di regolamentazione Consob
Mittente
Analisi giuridica dell'economia
Dott. E. Di Carlo
Prof. D.U. Santosuosso
Prof. M. Irrera
Prof. M. Stella Richter
Prof. P. Montalenti
Association of British Insurers
Associazione Bancaria Italiana
Ass. Italiana Analisti Finanziari
Ass. Italiana Internal Auditors
Assogestioni
Assonime
Assopopolari
Confindustria
Nedcommunity
Algebris Investments
Fidelity International
Hermes Fund Management LTD
Riskmetrics Group
York Capital Management
Studio Cleary Gottlieb Steen & H.
Studio legale Allen & Overy
Studio legale Biscozzi Nobili
Studio legale Clifford Chance
Studio Negri-Clementi, T., M. & S.
Lottomatica
Telecom
Unicredit
Borsa Italiana
Fiba Cisl
Cat.
AC
AC
AC
AC
AC
AC
ASS
ASS
ASS
ASS
ASS
ASS
ASS
ASS
ASS
F
F
F
F
F
SL
SL
SL
SL
SL
SOC
SOC
SOC
V
V
Naz.
Pagg.
IT
11
IT
9
IT
4
IT
15
IT
5
IT
10
UK
1
IT
32
IT
8
IT
2
IT
4
IT
16
IT
7
IT
20
IT
6
UK
4
UK/USA
3
UK
4
MULTI
5
UK
1
IT
13
IT
3
IT
7
IT
6
IT
9
IT
2
IT
10
IT
8
IT
4
IT
2
TOT
%
IAS24
1
CQ
1
IND
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
9
30%
14
47%
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
21
70%
In particolare, nelle prime quattro colonne sono indicati:
- la persona o l’ente che ha trasmesso le osservazioni;
- la categoria di appartenenza66;
- la nazionalità di riferimento67;
- il numero di pagine di cui si compongono le osservazioni trasmesse68.
66
In proposito, sono state individuate sei categorie: Accademici e simili (AC),
Associazioni di categoria (ASS), Fondi d’investimento e simili (F), Studi legali e simili (SL),
Singole società quotate (SOC), Enti vari (V).
67
Si è osservata una netta prevalenza di mittenti italiani (IT), con alcuni mittenti del
Regno Unito (UK), americani (USA), o multinazionali (MULTI).
68
Non si sono considerate eventuali lettere di accompagnamento.
163
Nelle ultime tre colonne è stato iscritto il numero 1 nei casi in cui il
documento contenga precise critiche69:
- alla scelta di utilizzare la definizione di parte correlata fornita dallo IAS 24
(colonna “IAS);
- ai criteri quantitativi proposti per la definizione di “operazione rilevante”
(colonna “CQ”);
- al ruolo assegnato agli amministratori indipendenti nel processo
decisionale (colonna “IND”).
Le ultime due righe della tabella mostrano, a titolo indicativo, il totale dei
documenti che contengono critiche sulle tre tematiche selezionate e la loro
incidenza sul totale.
Nel prosieguo, si riportano assai brevemente alcune delle critiche più
interessanti formulate alla proposta di regolamentazione Consob, con riferimento
alle tre tematiche considerate:
A) La scelta della Consob di confermare la definizione di parte correlata
fornita dallo IAS 24 è stata oggetto di critiche solo in un numero abbastanza
contenuto di casi (30%) rispetto al totale delle osservazioni pubblicate.
In proposito, sembra plausibile collegare tale circostanza ad un implicito
apprezzamento da parte degli operatori della scelta operata dalla Consob.
Tra le osservazioni più articolate e autorevoli sulla scelta della Consob, si
segnalano:
- quelle dell’Associazione Bancaria Italiana, che ritiene che la nozione
proposta dallo IAS 24 sia eccessivamente ampia rispetto alla finalità della
normativa70;
69
Non sono state considerate le critiche generiche ovvero non pertinenti alle proposte
formulate dalla Consob.
70
Osserva l’ABI: « Pur avendo quindi affermato che l’obiettivo della disciplina delle
operazioni con parti correlate è focalizzato alla risoluzione dei conflitti tra azionisti rilevanti (e
relativo management) e azionisti minoritari, l’articolato proposto non recepisce tale
impostazione, facendo generico riferimento a tutti i soggetti contemplati dallo IAS24. (…) Si
auspica quindi che l’Autorità colga l’occasione – dando attuazione al dettato dell’art. 2391 bis
c.c. – per ritornare sulla definizione di “parti correlate”, non confermando la piena equivalenza
con la disciplina dettata dallo IAS 24, ma elaborandone una più circoscritta che meglio tenga in
conto le finalità della regolamentazione». ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA, Disciplina
164
- sul fronte opposto, le osservazioni di Assogestioni, che condivide
l’adozione della definizione posta dallo IAS 24, ma auspica una più chiara
esplicitazione da parte della Consob dell’inclusione tra le parti correlate dei
soggetti che esercitano il controllo tramite patti parasociali71.
B) I criteri quantitativi proposti dalla Consob hanno sollevato numerose
critiche (presenti nel 47% dei documenti esaminati).
In estrema sintesi, le critiche che ricorrono maggiormente riguardano i
seguenti punti:
- gli indici considerati dalla Consob sono illustrati in modo eccessivamente
sintetico, non sono applicabili a tutte le operazioni e, in sede di concreta
applicazione, potrebbero sollevare problematiche interpretative di rilievo72;
regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con
parti correlate. Position Paper, 2008, pp. 3-4. Dello stesso avviso lo Studio legale Allen &
Overy, pp.2-3.
71
Evidenzia Assogestioni: «La definizione, dettata dal paragrafo 9 dello IAS 24,
considera come correlata all’entità la parte che la controlli congiuntamente (cioè, unitamente ad
altre); e intende il “controllo congiunto” come “la condivisione, stabilita contrattualmente, del
controllo su un’attività economica”. A nostro avviso, tale nozione di controllo congiunto è
idonea a ricomprendere anche il controllo derivante da qualsiasi patto parasociale. In ogni caso,
per esigenze di maggiore chiarezza del precetto e per evitare possibili divergenze
nell’interpretazione di aspetti specifici del paragrafo 9 dello IAS 24, si ritiene opportuno che
l’articolato includa testualmente qualsiasi forma di patto parasociale come strumento idoneo a
integrare una fattispecie di controllo congiunto sull’entità ai sensi dello IAS 24. Del resto, se si
assume che l’obiettivo fondamentale della nuova regolamentazione sia quello di evitare
l’espropriazione degli azionisti di minoranza, occorre che i pattisti in discorso siano
esplicitamente inclusi tra le c.dd. parti correlate così che non possano utilizzare la loro influenza
sulle scelte della società per concludere operazioni a loro esclusivo vantaggio e a detrimento
della società». ASSOGESTIONI, Risposta alla consultazione della Consob circa la disciplina
regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del Codice civile in materia di operazioni con
parti correlate, 2008, p. 4. Osservazioni del tutto analoghe sono formulate dall’Algebris
investments (p.3) e dallo Studio Cleary Gottlieb Steen & Hamilton (p.3),
72
Tra gli altri, Confindustria osserva: «In primo luogo, non è chiaro quali indici di
rilevanza si applichino a ciascuna categoria di operazioni. A titolo esemplificativo, l’indice
dell’attivo sembrerebbe essere riferito alle sole operazioni di acquisizione o cessione di
partecipazioni o di altre attività. Al fine di garantire un’applicazione delle nuove regole ispirata
a criteri di adeguatezza e uniformità, sarebbe opportuno differenziare i singoli indici considerati
a seconda delle diverse tipologie di operazioni. Si segnala, inoltre, come nessuno degli indici
165
- sarebbe opportuno escludere dalla disciplina sulle operazioni rilevanti «le
operazioni svolte a normali condizioni di mercato con società controllate»73;
- partecipano al calcolo della rilevanza tutte le operazioni compiute
nell’arco di 12 mesi con uno stessa parte correlata o con altri soggetti a questa
correlato (che devono però essere parti correlate della società ai sensi dello IAS
24); tuttavia, non viene chiarito come debba calcolarsi il periodo di 12 mesi74;
inoltre, l’applicazione pratica del criterio di «correlazione indiretta» rischia di
essere poco efficace in termini di controllo ed eccessivamente oneroso per
l’impresa75;
- non risulta esplicitato in che modo debba tenersi conto, nel calcolo delle
soglie di rilevanza, delle «operazioni concluse per il tramite di controllate»; in
particolare, non è chiaro se gli indici di rilevanza che si fondano sui dati di
bilancio (indici b,c,d,e) debbano considerare il bilancio separato della controllata
ovvero il bilancio consolidato redatto dalla capogruppo quotata (ove esistente).
previsti sia riferibile in maniera appropriata alle operazioni di finanziamento, rispetto alle quali
dovrebbe rilevare non già l’ammontare massimo dell’importo erogabile, bensì le sole
commissioni corrisposte». CONFINDUSTRIA, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art.
2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni di
Confindustria, 2008, p. 16-17.
73
Osserva l’Assonime: «Anche alla luce dell’esperienza estera e della peculiare struttura
di gruppo delle società quotate italiane, sarebbe auspicabile escludere dall’applicazione della
nuova disciplina tale tipologia di operazioni, sulle quali si potrebbe comunque richiedere una
informativa semestrale, ai sensi dell’art. 154-ter, comma 4, Tuf, eventualmente differenziando il
grado di dettaglio dell’informativa tra operazioni rilevanti e non rilevanti». ASSONIME,
Osservazioni al documento di consultazione in materia di “Disciplina Regolamentare di
attuazione dell’art. 2391-bis c.c. in materia di operazioni con parti correlate”, 2008, p. 3.
Similmente, CONFIDUSTRIA, p.17.
74
In particolare, alcuni osservatori suggeriscono che si possa considerare quale
riferimento l’esercizio sociale, dal momento che risulterebbe molto complesso e oneroso
implementare procedure in grado di calcolare le soglie con riferimento ai 12 mesi antecedenti.
Al riguardo è stato anche osservato che le operazioni più complesse prevedono più fasi
successive e che potrebbe non essere affatto immediato calcolare il periodo di 12 mesi. Si veda,
tra gli altri: ASSONIME, p.5.
75
Così l’Associazione Bancaria Italiana: «si chiede di eliminare dal cumulo le operazioni
con soggetti correlati ad una parte correlata che, a loro volta, siano parti correlate dell’emittente,
atteso che questa “doppia correlazione” appare difficile da verificare (e quindi suscettibile di
non volute omissioni nella segnalazione), nonché ulteriore fonte di costo, a fronte di benefici
non certi in punto di trasparenza e di informativa al pubblico». ABI, p. 5. Nello stesso senso,
CONFINDUSTRIA, p. 9.
166
C) Le osservazioni avanzate dalle associazioni di categoria e dalle diverse
parti chiamate ad esprimersi in merito alla proposta di regolamentazione
elaborata dalla Consob si sono concentrate soprattutto sul ruolo centrale che la
Consob propone di assegnare agli amministratori non esecutivi indipendenti nelle
deliberazioni riguardanti le operazioni con parti correlate maggiormente
significative76.
Anche in questo caso, il quadro delle critiche formulate dagli osservatori
non è affatto uniforme; per gran parte degli aspetti chiave della disciplina
proposta dalla Consob, infatti, sono presenti sia commenti che richiedono un
ruolo ancora maggiore per gli indipendenti, esaltandone il ruolo di garanzia e le
peculiari capacità di formulare giudizi oggettivi, sia osservazioni che contestano,
talvolta in modo anche aspro, la concreta applicabilità dei procedimenti
deliberativi proposti dalla Consob.
Tralasciando le critiche di natura prettamente giuridica, in questa sede ci si
limita a sottolineare una critica di fondo alle proposte formulate dalla Consob,
presente nella gran parte delle osservazioni77.
In particolare, ha destato notevoli dubbi la previsione di un coinvolgimento
diretto e quasi esclusivo degli amministratori indipendenti nella fase istruttoria
delle operazioni più rilevanti, con una partecipazione diretta nelle trattative con la
controparte e con l’attribuzione agli stessi di veri e propri poteri decisionali,
seppure limitati a tali particolari operazioni. Secondo alcuni, infatti, l’attribuzione
agli amministratori indipendenti di poteri decisionali rischierebbe di snaturarne la
76
In proposito, si noti che il 70% dei documenti esaminati (percentuale che arriva al
100% se si escludono i documenti di carattere formale o privi di spunti critici inerenti
specificamente la proposta Consob) contengono delle critiche al ruolo assegnato agli
amministratori indipendenti.
77
Si vedano, in particolare: BORSA ITALIANA, Disciplina regolamentare di attuazione
dell'art. 2391-bis (osservazioni), 2008, p.2-3, M. STELLA RICHTER, Brevi osservazioni sulla
proposta di disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis cod. civ., in materia di
operazioni con parti correlate, 2008; CONFINDUSTRIA, Disciplina regolamentare di attuazione
dell’art. 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni di
Confindustria, 2008, p.3
167
loro fondamentale funzione di controllo e di garanzia, facendoli diventare, anche
se solo per particolari operazioni, veri e propri amministratori esecutivi78.
Ciò considerato, nello scegliere gli amministratori indipendenti, gli azionisti
delle società quotate potrebbero preferire i soggetti dotati di competenze
manageriali e non, come avviene attualmente, figure professionali o accademiche
probabilmente più portate a svolgere funzioni di controllo e di garanzia. In tal
modo, potrebbe venir meno, in seno al consiglio d’amministrazione, quella
diversità di sensibilità e competenze, che, in presenza di un effettivo
coinvolgimento di tutti gli amministratori, può contribuire ad arricchire il
dibattito consiliare e la razionalità delle decisioni che vengono prese.
78
Osserva il Montalenti: « L’amministratore indipendente è figura ancora in cerca
d’identità. La sua configurazione, nel nostro ordinamento, non può derivarsi attraverso
meccaniche trasposizioni di esperienze straniere, ma deve ricostruirsi, in base ai, per il vero
limitati, riferimenti normativi, al Codice di Autodisciplina, best practice e massime di
esperienza. In sintesi si può affermare, a mio parere, che l’amministratore indipendente è
amministratore non esecutivo, privo dei legami indicati dalle norme e dalle previsioni
autoregolamentari, garante del perseguimento dell’interesse sociale, tutore del rispetto delle
regole di correttezza e, in questo quadro, strumento di prevenzione della c.d. estrazione di
benefici privati dal controllo.
Di regola è esperto in discipline tecniche (giuridiche, economiche, finanziarie, etc.); non
è, di regola, – proprio in quanto non esecutivo – specificamente esperto nella conduzione diretta
degli affari; non è – proprio in quanto indipendente – direttamente inserito nella gestione
dell’impresa. (…) l’attribuzione di poteri decisionali agli amministratori indipendenti, li
trasforma – o rischia di trasformarli – in amministratori esecutivi; depotenzia il loro ruolo di
gatekeepers della correttezza per trasformarli in gestori diretti di atti d’impresa di particolare
rilevanza e criticità; rischia di pregiudicare l’interesse della società per una presumibile non
piena conoscenza del merito dell’operazione sia nella fase delle trattative sia nella fase
decisionale». P. MONTALENTI, Proposta di disciplina regolamentare di attuazione dell’art.
2391-bis del cod. civ. in materia di operazioni con parti correlate. Osservazioni., 2008, pp. 2-5.
168
Osservazioni finali
Il presente lavoro ha affrontato il tema del processo decisionale nelle
operazioni con parti correlate da un punto di vista economico-aziendale,
analizzando l’attuale quadro normativo e mettendone in luce le principali
problematiche applicative nella prospettiva delle grandi imprese aperte.
Nel primo capitolo, si è fornito un breve inquadramento concettuale
sull’argomento, mettendone in evidenza i profili di complessità e la centralità
nelle fondamentali dinamiche di corporate governance delle grandi imprese.
La prospettiva di osservazione prescelta è stata l’azienda, intesa quale
sistema all’interno del quale le singole operazioni di gestione si inseriscono e
trovano il proprio significato economico. Si sono ricordati brevemente i profili di
elevata complessità dei processi di decisione, esecuzione e controllo che
determinano il comportamento aziendale, definibili secondo un modello di
razionalità limitata. Particolare enfasi è stata posta sull’importanza chiave delle
informazioni, che costituiscono la materia prima delle decisioni, delle azioni e
dei controlli, nonché sulle dinamiche di conflitto ed equilibrio di interessi che
caratterizzano tutte le decisioni aziendali. Queste ultime, infatti, sono il punto di
convergenza di diversi interessi soggettivi che possono tra loro collimare o essere
in opposizione gli uni agli altri. In proposito, è stato identificato, quale unico
interesse sovraordinato e condivisibile, l’interesse oggettivo dell’azienda al
mantenimento e al miglioramento delle condizioni di equilibrio e alla propria
sopravvivenza nel lungo periodo. Tale interesse superiore definisce il criterio
dell’economicità aziendale, al quale, in un’ottica normativa, il soggetto
economico dell’azienda, che dispone della volontà, delle capacità e del potere di
governarla, dovrebbe ispirare tutte le decisioni aziendali.
In un’ottica positiva, con specifico riferimento alle grandi imprese aperte,
sono state approfondite le dinamiche che possono condurre al compimento di
operazioni che si discostano dal criterio guida dell’economicità aziendale e che si
ispirano, invece, a criteri di economicità superaziendale ovvero alla diretta
soddisfazione dell’utilità personale dei soggetti in grado di orientare le decisioni
dell’impresa. In particolare, si sono approfonditi i rapporti conflittuali tra gli
azionisti-proprietari e gli amministratori-professionisti, tipici delle c.d. imprese
manageriali, e le delicate relazioni tra i detentori del c.d. «capitale di comando» e
del c.d. «capitale controllato», tipiche delle imprese a capitale concentrato.
Proprio nell’ambito di tali dinamiche sono state individuate le ragioni per le
quali la disciplina delle operazioni con parti correlate rappresenta una delle più
rilevanti e prioritarie problematiche di corporate governance. Quando
un’operazione coinvolge due parti correlate, sia la decisione di concludere la
transazione, sia la definizione delle relative condizioni non sono il risultato del
confronto dialettico tra interessi contrapposti, ma dipendono dalla volontà e dagli
interessi dell’unico soggetto in grado di orientare le decisioni dell’una e dell’altra
parte. Pertanto, in assenza di regole, le operazioni con parti correlate possono
costituire uno strumento di abuso facilmente accessibile e difficilmente
controllabile a disposizione di chi governa le imprese, che può utilizzarle al fine
di appropriarsi delle risorse dell’impresa governata o di manipolare artatamente i
documenti di informativa economico-finanziaria.
Chiarite le ragioni che motivano l’emanazione di specifiche norme volte a
diminuire l’efficacia delle operazioni con parti correlate quali strumenti di abuso,
nel secondo capitolo, si è offerto un quadro d’insieme della normativa vigente.
In particolare, si sono distinte le norme che, in un’ottica ex ante, stabiliscono
particolari presidi al processo deliberativo che conduce alle operazioni con parti
correlate e le norme che, in un’ottica ex post, prevedono rafforzati obblighi di
trasparenza informativa su tali operazioni.
Il fondamentale problema della definizione legale di «parte correlata» è stato
oggetto di particolare approfondimento. Si è ritenuta condivisibile la scelta della
Consob di non stabilire una definizione generale e astratta di parte correlata (più
flessibile, ma eccessivamente discrezionale in sede di concreta applicazione),
bensì di indicare dettagliati criteri di identificazione, così limitando al massimo
gli ambiti di discrezionalità delle società destinatarie della normativa. Altrettanto
condivisibile è apparsa la soluzione di allineare la definizione legale di parte
correlata ai criteri forniti dal principio contabile IAS 24, che le società quotate
applicano nella redazione dei propri bilanci.
170
Si è proceduto, anche con l’ausilio di alcuni esempi schematici, ad analizzare
approfonditamente tale definizione, al fine di chiarirne i concreti risvolti
applicativi. Dall’analisi sono emersi numerosi spunti di riflessione, che sono stati
sviluppati successivamente nell’ambito del terzo capitolo. In particolare, si è
osservato che l’identificazione delle parti correlate costituisce un’attività
complessa, che richiede una base informativa estremamente ampia e che presenta
significativi ambiti di discrezionalità. Inoltre, si è evidenziato che è irragionevole
ritenere che una società possa individuare tutte le parti ad essa correlate, dal
momento che non tutte le informazioni necessarie sono accessibili (vincolo
spaziale) e che il quadro delle relazioni che determinano la correlazione è in
continuo mutamento (vincolo temporale).
Il terzo capitolo, infine, ha affrontato le problematiche connesse alla
concreta applicazione delle disposizioni dell’art. 2391-bis del codice civile.
Nella prima parte del capitolo, si è analizzato il complesso quadro
normativo vigente, chiarendone gli ambiti di sovrapposizione con le disposizioni
in materia di operazioni con interessi degli amministratori (art. 2391 c.c.) e con
quelle relative alla direzione e coordinamento di società (artt. 2497 e ss. c.c.).
Particolare attenzione è stata dedicata all’approfondimento delle nozioni di
correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni, richiamate dall’art. 2391bis. Al riguardo, si è fatto riferimento sia a quanto previsto dal diritto comune
statunitense, nel quale tali concetti si sono originariamente sviluppati, sia alla
nozione di correttezza gestionale definita dalla dottrina economico-aziendale.
Richiamando anche quanto osservato nel primo capitolo in merito alla natura
sistemica dell’azienda e delle operazioni di gestione, si è sottolineata l’elevata
complessità e discrezionalità dei giudizi di correttezza, che implicano, soprattutto
per le operazioni di maggiore rilievo, la valutazione non soltanto delle
caratteristiche e delle condizioni della singola operazione, ma anche del
complessivo quadro della gestione in cui essa si inserisce. In tale ottica, si è
affermato che la correttezza di un’operazione con parti correlate dipende
soprattutto dalla tracciabilità e dalla qualità del processo decisionale che conduce
alla sua conclusione.
Dopo una breve disamina delle indicazioni del codice di autodisciplina, nella
seconda parte del terzo capitolo si sono svolte alcune osservazioni sulle
problematiche di concreta applicazione delle disposizioni normative,
171
considerando anche le prime soluzioni sviluppate nella pratica dalle principali
società quotate.
Le attività necessarie ad assicurare la trasparenza e la correttezza delle
operazioni con parti correlate sono state ricondotte a tre fondamentali categorie:
- attività preliminari, necessarie ad identificare, in via antecedente alla loro
effettuazione, le operazioni alle quali si debbano applicare i maggiori presidi di
correttezza e trasparenza richiesti dalla normativa;
- attività relative al processo deliberativo, che prevedono specifici percorsi a
seconda della minore o maggiore rilevanza delle operazioni;
- attività di monitoraggio, volte a valutare nel tempo l’efficacia e l’efficienza
delle regole stabilite, al fine di individuare le eventuali criticità e le aree di
possibile miglioramento.
L’approfondimento dei risvolti applicativi della normativa ha consentito di
evidenziare la complessità e l’onerosità delle attività necessarie ad assicurare la
correttezza e la trasparenza alle operazioni con parti correlate.
Le attività da svolgere, infatti, richiedono il coinvolgimento, in varia
misura, di tutti i livelli dell’organizzazione, non soltanto nell’ambito della
singola società quotata, ma anche delle sue controllate. Tali attività implicano,
pertanto, costi significativi, a fronte dei quali deve essere attentamente valutato il
rischio, sempre presente, che esse si possano rivelare inefficaci, soprattutto
quando chi detiene il potere di governare l’impresa sia animato da intenti
fraudolenti.
In conclusione, il presente lavoro ha confermato la necessità che i processi
decisionali che nelle grandi imprese aperte conducono alla conclusione di
operazioni con parti correlate siano oggetto di specifiche disposizioni normative,
tese a garantire gli obiettivi della correttezza e della trasparenza informativa.
Regole efficaci in materia di operazioni correlate, infatti, soprattutto nelle
grandi imprese a capitale concentrato tipiche del modello capitalistico italiano,
consentono di limitare notevolmente i fenomeni espropriativi, identificabili come
una delle prioritarie problematiche di corporate governance, ma soprattutto
possono consentire di diffondere, nel contesto economico-sociale e nel contesto
organizzativo delle imprese, una maggiore sensibilità alle dinamiche di conflitto
e di equilibrio di interessi che caratterizzano le decisioni aziendali e una
maggiore attenzione agli interessi diversi da quelli del soggetto economico.
172
Per quanto concerne le concrete modalità attraverso le quali assicurare gli
obiettivi di correttezza e di trasparenza, tuttavia, può individuarsi un problema
fondamentale, tuttora ben lontano dall’essere risolto, cioè la definizione dei
soggetti che – nell’ambito dei processi di decisione, esecuzione e controllo che
orientano il comportamento delle grandi imprese – si possano fare concretamente
promotori dell’interesse aziendale contro gli interessi soggettivi – ben più forti e
presidiati – di coloro che detengono il potere di governare le imprese.
Infatti, in assenza di persone che, dotate dei necessari poteri, diano voce,
all’interno delle imprese, all’«unico interesse sovraordinato e condivisibile»,
qualsiasi norma o regola imposta si rivela solo parzialmente efficace, potendo
contribuire soltanto a rendere più difficoltosi i comportamenti contrastanti
all’interesse aziendale.
Le più recenti riforme legislative, guardando ai modelli di governo
societario anglosassoni, sembrano avere identificato tali figure negli
amministratori indipendenti. La Consob ha fatto proprio questo orientamento e,
nella bozza di regolamentazione di cui si è trattato brevemente, ha proposto di
assegnare ad essi un ruolo centrale in materia di correttezza e trasparenza delle
operazioni con parti correlate.
Questa soluzione potrebbe essere efficace, ma necessita di un’evoluzione
culturale purtroppo ancora molto lontana. Guardando agli amministratori
indipendenti che siedono nei consigli di amministrazione delle società quotate,
nonché ai compensi spesso poco più che simbolici che ad essi sono attribuiti,
viene da domandarsi se e fino a che punto gli amministratori indipendenti siano
pronti a ricoprire un ruolo tanto importante e se abbiano piena consapevolezza
dei notevoli sforzi necessari a farsi interpreti dell’interesse aziendale e a
difenderlo con decisione, anche contro gli interessi dell’azionista che li ha
nominati (e che potrebbe non riconfermarli).
173
Appendice normativa
CODICE CIVILE
Art. 2391 - Interessi degli amministratori
[1] L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di
ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione
della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di
amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo
della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia
anche alla prima assemblea utile.
[2] Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di
amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società
dell'operazione.
[3] Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente
articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate
con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime,
qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli
amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data;
l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla
deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo
comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti
compiuti in esecuzione della deliberazione.
[4] L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od
omissione.
[5] L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla
utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi
nell'esercizio del suo incarico.
Art. 2391-bis - Operazioni con parti correlate
[1] Gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio adottano, secondo princìpi generali indicati dalla Consob, regole che
assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con
parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi
assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle
caratteristiche dell'operazione.
[2] I princìpi di cui al primo comma si applicano alle operazioni realizzate direttamente
o per il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di
competenza decisionale, di motivazione e di documentazione. L'organo di controllo
vigila sull'osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella
relazione all'assemblea.
Art. 2427 - Contenuto della nota integrativa
[1] La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni:
(…)
22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del
rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a
tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali
condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere
aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia
necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione
patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società;
[2] Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli
2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento
finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello
e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili
internazionali adottati dall'Unione europea.
Art. 2497 - Responsabilità.
[1] Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società,
agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di
corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente
responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed
al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la
lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità
quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di
direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni
a ciò dirette.
[2] Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del
vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
[3] Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita
l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società
soggetta alla attività di direzione e coordinamento.
[4] Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione
straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante
ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal
commissario straordinario.
Art. 2497-bis - Pubblicità
175
[1] La società deve indicare la società o l'ente alla cui attività di direzione e
coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione,
a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di cui al comma
successivo.
[2] È istituita presso il registro delle imprese apposita sezione nella quale sono indicate
le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi
sono soggette.
[3] Gli amministratori che omettono l'indicazione di cui al comma primo ovvero
l'iscrizione di cui al comma secondo, o le mantengono quando la soggezione è cessata,
sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o
ai terzi.
[4] La società deve esporre, in apposita sezione della nota integrativa, un prospetto
riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio della società o dell'ente che esercita
su di essa l'attività di direzione e coordinamento.
[5] Parimenti, gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti
intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società
che vi sono soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa
sociale e sui suoi risultati.
Art. 2497-ter - Motivazione delle decisioni
[1] Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando
da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale
indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di
esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'articolo 2428.
Art. 2497-quater - Diritto di recesso
[1] Il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento può recedere:
a) quando la società o l'ente che esercita attività di direzione e coordinamento ha
deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale, ovvero
ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale consentendo l'esercizio di attività che
alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della
società soggetta ad attività di direzione e coordinamento;
b) quando a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di
chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'articolo 2497; in tal caso il
diritto di recesso può essere esercitato soltanto per l'intera partecipazione del socio;
c) all'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, quando non si
tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva
un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa
un'offerta pubblica di acquisto.
[2] Si applicano, a seconda dei casi ed in quanto compatibili, le disposizioni previste per
il diritto di recesso del socio nella società per azioni o in quella a responsabilità limitata.
Art. 2497-quinquies - Finanziamenti nell'attività di direzione e coordinamento
[1] Ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e
coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica
l'articolo 2467.
176
Art. 2497-sexies - Presunzioni
[1] Ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che
l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto
al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo
2359.
Art. 2497-septies - Coordinamento fra società.
[1] Le disposizioni del presente capo si applicano altresì alla società o all'ente che, fuori
dalle ipotesi di cui all'articolo 2497-sexies, esercita attività di direzione e coordinamento
di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro
statuti.
DECRETO LEGISLATIVO 24 FEBBRAIO 1998, N. 58
“TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA”
Sezione V - Organi di controllo
Art. 150 - Informazione
[1] Gli amministratori riferiscono tempestivamente, secondo le modalità stabilite dallo
statuto e con periodicità almeno trimestrale, al collegio sindacale sull'attività svolta e
sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate
dalla società o dalle società controllate; in particolare, riferiscono sulle operazioni nelle
quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal
soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento.
(…)
Art. 153 - Obbligo di riferire all'assemblea
[1] Il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza ed il comitato per il controllo sulla
gestione riferiscono sull'attività di vigilanza svolta e sulle omissioni e sui fatti
censurabili rilevati all'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio di esercizio
ovvero ai sensi dell' articolo 2364-bis, comma 2, del codice civile.
[2] Il collegio sindacale può fare proposte all'assemblea in ordine al bilancio e alla sua
approvazione nonché alle materie di propria competenza.
Sezione V-bis - Informazione finanziaria
Art. 154-ter - Relazioni finanziarie
[1] Fermi restando i termini di cui agli articoli 2429 del codice civile e 156, comma 5,
entro centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio gli emittenti quotati aventi l'Italia
come Stato membro d'origine approvano il bilancio d'esercizio e pubblicano la relazione
finanziaria annuale comprendente il bilancio di esercizio, il bilancio consolidato, ove
redatto, la relazione sulla gestione e l'attestazione di cui all'articolo 154-bis, comma 5.
Le relazioni di revisione di cui all'articolo 156 sono pubblicate integralmente insieme
alla relazione finanziaria annuale.
177
[2] Entro sessanta giorni dalla chiusura del primo semestre dell' esercizio, gli emittenti
quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine pubblicano una relazione finanziaria
semestrale comprendente il bilancio semestrale abbreviato, la relazione intermedia sulla
gestione e l'attestazione prevista dall'articolo 154-bis, comma 5. La relazione sul
bilancio semestrale abbreviato della società di revisione, ove redatta, è pubblicata
integralmente entro il medesimo termine.
[3] Il bilancio semestrale abbreviato di cui al comma 2, è redatto in conformità ai
principi contabili internazionali applicabili riconosciuti nella Comunità europea ai sensi
del regolamento (CE) n. 1606/2002. Tale bilancio è redatto in forma consolidata se
l'emittente quotato avente l'Italia come Stato membro d'origine è obbligato a redigere il
bilancio consolidato.
[4] La relazione intermedia sulla gestione contiene almeno riferimenti agli eventi
importanti che si sono verificati nei primi sei mesi dell' esercizio e alla loro incidenza
sul bilancio semestrale abbreviato, unitamente a una descrizione dei principali rischi e
incertezze per i sei mesi restanti dell'esercizio. Per gli emittenti azioni quotate aventi l
'Italia come Stato membro d'origine, la relazione intermedia sulla gestione contiene,
altresì, informazioni sulle operazioni rilevanti con parti correlate.
[5] Gli emittenti azioni quotate aventi l'Italia come Stato membro d' origine pubblicano,
entro quarantacinque giorni dalla chiusura del primo e del terzo trimestre di esercizio,
un resoconto intermedio di gestione che fornisce:
a) una descrizione generale della situazione patrimoniale e dell'andamento economico
dell'emittente e delle sue imprese controllate nel periodo di riferimento;
b) un'illustrazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel
periodo di riferimento e la loro incidenza sulla situazione patrimoniale dell'emittente e
delle sue imprese controllate.
[6] La Consob, in conformità alla disciplina comunitaria, stabilisce con regolamento:
a) le modalità di pubblicazione dei documenti di cui ai commi 1, 2 e 5;
b) i casi di esenzione dall'obbligo di pubblicazione della relazione finanziaria
semestrale;
c) il contenuto delle informazioni sulle operazioni rilevanti con parti correlate di cui al
comma 4;
d) le modalità di applicazione del presente articolo per gli emittenti quote di fondi
chiusi.
(…)
REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO 24 FEBBRAIO 1998, N. 58,
CONCERNENTE LA DISCIPLINA DEGLI EMITTENTI
(ADOTTATO DALLA CONSOB CON DELIBERA N. 11971 DEL 14 MAGGIO 1999)
Art. 2 - Definizioni
[1] Nel presente regolamento si intendono per:
(…)
h) “parti correlate”: i soggetti definiti tali dal principio contabile internazionale
concernente l'informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate, adottato
secondo la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002;
178
Art. 71-bis - Operazioni con parti correlate
[1] In occasione di operazioni con parti correlate, concluse anche per il tramite di
società controllate, che per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di realizzazione
possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o sulla completezza e
correttezza delle informazioni, anche contabili, relative all'emittente, gli emittenti azioni
mettono a disposizione del pubblico un documento informativo redatto in conformità
all'Allegato 3B. Tale obbligo non sussiste se le informazioni sono inserite nel
comunicato eventualmente diffuso secondo le modalità indicate nel Capo I o nel
documento informativo previsto dagli articoli 70 e 71.
[2] Il documento informativo è depositato presso la sede sociale e la società di gestione
del mercato entro quindici giorni dalla conclusione delle operazioni. Del deposito è data
immediata notizia mediante avviso pubblicato su almeno un quotidiano a diffusione
nazionale.
Art. 81 - Relazione finanziaria semestrale
[1] Gli emittenti azioni, ai sensi dell'articolo 154-ter, comma 4, del Testo unico,
forniscono nella relazione intermedia sulla gestione un'informazione analitica:
a)sulle singole operazioni con parti correlate concluse nel periodo di riferimento che
hanno influito in misura rilevante sulla situazione patrimoniale o sui risultati
dell'emittente; e
b) su qualsiasi modifica o sviluppo delle operazioni con parti correlate descritte nelle
precedenti relazioni che potrebbe avere un effetto significativo sulla situazione
patrimoniale o i risultati dell'impresa.
[2] Gli emittenti valori mobiliari mettono a disposizione del pubblico presso la sede
sociale e con le modalità indicate nel Capo I, i documenti previsti nell'articolo 154-ter ,
comma 2, del Testo unico.
Art. 91-bis - Operazioni con parti correlate
[1] Gli emittenti azioni, contestualmente alla diffusione al pubblico, trasmettono alla
Consob il documento informativo predisposto ai sensi dell'articolo 71-bis.
Allegato 3B
Schema N. 4: Documento informativo relativo ad operazioni con parti correlate
Nei casi in cui l’emittente quotato ponga in essere con parti correlate le operazioni
indicate nell’articolo 71-bis del regolamento, il documento informativo deve riportare i
seguenti elementi:
1. Avvertenze
Evidenziare, in sintesi, i rischi connessi ai potenziali conflitti di interesse delle parti
correlate con cui è effettuata l’operazione descritta nel documento informativo.
2. Informazioni relative all’operazione
2.1 Descrizione sintetica delle caratteristiche, modalità, termini e condizioni
dell’operazione.
2.2. Indicazione delle parti correlate con cui l’operazione è stata posta in essere, del
relativo grado di correlazione, della natura e della portata degli interessi di tali parti
nell’operazione.
179
2.3. Indicazione delle motivazioni economiche della società emittente al compimento
dell’operazione.
2.4. Modalità di determinazione del prezzo dell’operazione e valutazioni circa la sua
congruità rispetto ai valori di mercato di operazioni similari. Al riguardo indicare
l’eventuale esistenza di valutazioni svolte da professionisti a supporto della congruità di
tale prezzo e gli esiti finali delle medesime, precisando se dette valutazioni sono state
appositamente commissionate dall’emittente.
2.5. Effetti economici, patrimoniali e finanziari dell’operazione.
2.6. Se l’ammontare dei compensi dei componenti dell’organo di amministrazione
dell’emittente e/o di società da questo controllate è destinato a variare in conseguenza
dell’operazione, dettagliate indicazioni delle variazioni. Se non sono previste modifiche,
inserimento, comunque, di una dichiarazione in tal senso.
2.7. Nel caso di operazioni ove le parti correlate coinvolte siano i componenti degli
organi di amministrazione e di controllo direttori generali e dirigenti dell’emittente,
informazioni relative agli strumenti finanziari dell’emittente medesimo detenuti dai
soggetti sopra individuati e agli interessi di questi ultimi in operazioni straordinarie,
previste dai paragrafi 2.8, 2.9 e 2.10 dello schema n. 1 del prospetto riportato nella parte
terza dell’Allegato 1B del presente regolamento.
180
PRINCIPIO CONTABILE IAS 24
INFORMATIVA DI BILANCIO SULLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE
(ADOTTATO CON REG. CE N. 1126/2008 DEL 3 NOVEMBRE 2008)
FINALITÀ
1. La finalità del presente Principio è di assicurare che il bilancio di un’entità contenga
le informazioni integrative necessarie a evidenziare la possibilità che la sua situazione
patrimoniale-finanziaria ed il suo risultato economico possano essere stati influenzati
dall’esistenza di parti correlate e da operazioni e saldi in essere con tali parti.
(…)
SCOPO DELL’INFORMATIVA DI BILANCIO SULLE OPERAZIONI CON PARTI
CORRELATE
5. I rapporti fra parti correlate sono aspetti ordinari delle attività commerciali e
gestionali. Ad esempio, le entità spesso svolgono una parte delle proprie attività
avvalendosi di società controllate, joint venture e società collegate. In tali circostanze, la
capacità di influire sulle politiche finanziarie e gestionali della partecipata viene
esercitata attraverso il controllo, il controllo congiunto o l’influenza notevole.
6. Un rapporto con una parte correlata può avere un effetto sulla situazione
patrimoniale-finanziaria e sul risultato economico dell’entità. Le parti correlate possono
effettuare operazioni che società indipendenti non effettuerebbero.
Per esempio, un’entità che vende merci alla sua controllante al costo potrebbe non
vendere alle stesse condizioni ad altri clienti. Inoltre, operazioni tra parti correlate
possono non essere effettuate ai medesimi corrispettivi rispetto a quelle intercorrenti tra
parti indipendenti.
7. Il risultato economico e la situazione patrimoniale-finanziaria di un’entità possono
essere influenzati da rapporti con parti correlate anche nel caso in cui non si verifichino
operazioni con le stesse. La semplice esistenza del rapporto può essere sufficiente a
condizionare le operazioni dell’entità con parti terze. Per esempio, una controllata può
interrompere i propri rapporti con una controparte commerciale a partire dal momento
dell’acquisizione da parte della capogruppo di un’altra controllata che svolge la stessa
attività della precedente controparte. In alternativa, una parte può astenersi dal compiere
determinate operazioni a causa dell’influenza notevole di un’altra; per esempio, una
controllata può essere istruita dalla sua controllante a non impegnarsi in attività di
ricerca e sviluppo.
8. Per tali ragioni, la conoscenza di operazioni, saldi e rapporti in essere con parti
correlate può incidere sulla valutazione da parte degli utilizzatori del bilancio delle
attività di un’entità, inclusa sulla valutazione dei rischi e delle opportunità a cui l’entità
va incontro.
DEFINIZIONI
9. I seguenti termini sono usati nel presente Principio con i significati indicati:
Parte correlata Una parte è correlata a un’entità se:
a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte:
181
i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le
entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo);
ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole
su quest’ultima; o
iii) controlla congiuntamente l’entità;
b) la parte è una società collegata (secondo la definizione dello IAS 28 Partecipazioni in
società collegate) dell’entità;
c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (cfr. IAS 31
Partecipazioni in joint venture);
d) la parte è uno dei dirigenti con responsabilità strategiche dell’entità o della sua
controllante;
e) la parte è uno stretto familiare di uno dei soggetti di cui ai punti a) o d);
f) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza
notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali soggetti
detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto; o
g) la parte è un piano per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei
dipendenti dell’entità, o di una qualsiasi altra entità a essa correlata.
Un’operazione con una parte correlata è un trasferimento di risorse, servizi o
obbligazioni fra parti correlate, indipendentemente dal fatto che sia stato pattuito un
corrispettivo.
Si considerano familiari stretti di un soggetto quei familiari che ci si attende possano
influenzare, o essere influenzati da, il soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità.
Essi possono includere:
a) il convivente e i figli del soggetto;
b) i figli del convivente; e
c) le persone a carico del soggetto o del convivente.
La retribuzione comprende tutti i benefici per i dipendenti (come definiti nello IAS 19
Benefici per i dipendenti) inclusi quei benefici per i dipendenti ai quali si applica l’IFRS
2 Pagamenti basati su azioni. I benefici per i dipendenti sono rappresentati da tutte le
forme di emolumenti corrisposti, pagabili o accantonati dall’entità, o per suo conto, a
fronte dei servizi prestati all’entità da un dipendente. Comprendono anche quei
corrispettivi relativi all’entità, pagati per conto di una controllante dell’entità stessa. La
retribuzione include:
a) benefici a breve termine per i dipendenti, quali salari, stipendi e relativi contributi
sociali, pagamento di indennità sostitutive di ferie e di assenze per malattia,
compartecipazione agli utili e incentivazioni (se dovuti entro dodici mesi dalla fine
dell’esercizio) e benefici non monetari (quali assistenza medica, abitazione, auto
aziendale e beni o servizi gratuiti o a costo ridotto) per il personale in servizio;
b) benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro quali pensioni, altri benefici
pensionistici, assicurazioni sulla vita e assistenza sanitaria successive al rapporto di
lavoro;
c) altri benefici a lungo termine per i dipendenti, ivi inclusi permessi o periodi sabbatici
legati all’anzianità di servizio, premi in occasione di anniversari o altri benefici legati
all’anzianità di servizio, indennità per invalidità permanente e, se dovuti dopo dodici
182
mesi o più dalla chiusura dell’esercizio, compartecipazione agli utili, incentivi e
retribuzioni differite;
d) benefici dovuti ai dipendenti per la cessazione del rapporto di lavoro; e
e) pagamenti basati su azioni.
Il controllo è il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali di un’entità al
fine di ottenere benefici dalle sue attività.
Il controllo congiunto è la condivisione, stabilita contrattualmente, del controllo su
un’attività economica.
I dirigenti con responsabilità strategiche sono quei soggetti che hanno il potere e la
responsabilità, direttamente o indirettamente, della pianificazione, della direzione e del
controllo delle attività dell’entità, compresi gli amministratori (esecutivi o meno)
dell’entità stessa.
L’influenza notevole è il potere di partecipare alla determinazione delle politiche
finanziarie e gestionali di un’entità senza averne il controllo. Un’influenza notevole può
essere ottenuta attraverso il possesso di azioni, tramite clausole statutarie o accordi.
10. Nell’esame di ciascun rapporto con parti correlate l’attenzione deve essere rivolta
alla sostanza del rapporto e non semplicemente alla sua forma giuridica.
11. Nel contesto del presente Principio, le seguenti situazioni non rappresentano
necessariamente operazioni con parti correlate:
a) due entità per il solo fatto di avere in comune un amministratore o un altro dirigente
con responsabilità strategiche, nonostante quanto esposto ai punti d) e f) nella
definizione di «parte correlata»;
b) due entità partecipanti, per il solo fatto di detenere il controllo congiunto in una joint
venture;
c) i) finanziatori;
ii) sindacati;
iii) imprese di pubblici servizi; e
iv) agenzie e dipartimenti pubblici,
solo in ragione dei normali rapporti d’affari con l’entità (sebbene essi possano
circoscrivere la libertà di azione dell’entità o partecipare al suo processo decisionale);
d) un cliente, fornitore, franchisor, distributore o agente generale con il quale l’entità
effettua un rilevante volume di affari, unicamente in ragione della dipendenza
economica che ne deriva.
(…)
CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLE SOCIETÀ QUOTATE
MARZO 2006
183
9. Interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate
Principi
9.P.1. Il consiglio di amministrazione adotta misure volte ad assicurare che le
operazioni
nelle quali un amministratore sia portatore di un interesse, per conto proprio o di terzi,
e quelle poste in essere con parti correlate vengano compiute in modo trasparente
e rispettando criteri di correttezza sostanziale e procedurale.
Criteri applicativi
9.C.1. Il consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo interno,
stabilisce le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni poste in essere
dall’emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate. Definisce, in particolare, le
specifiche operazioni (ovvero determina i criteri per individuare le operazioni) che
debbono essere approvate previo parere dello stesso comitato per il controllo interno e/o
con l’assistenza di esperti indipendenti.
9.C.2. Il consiglio di amministrazione adotta soluzioni operative idonee ad agevolare
l’individuazione ed una adeguata gestione delle situazioni in cui un amministratore sia
portatore di un interesse per conto proprio o di terzi.
Commento
Le nuove disposizioni contenute nel codice civile in materia di interessi degli
amministratori e operazioni con parti correlate (artt. 2391 e 2391-bis) dettano una
disciplina puntuale della materia, in buona parte recependo i principi di fondo introdotti
dalla precedente versione del codice di autodisciplina. Nella definizione della best
practice ci si limita quindi a chiarire alcuni aspetti relativi alle modalità di gestione di
dette operazioni.
Innanzitutto il Comitato auspica l’adozione di adeguate pratiche, da parte dell’organo di
gestione, volte a perseguire l’obiettivo, ora espressamente previsto dalla legge, della
correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate.
Il Comitato raccomanda, al riguardo, che il consiglio di amministrazione si avvalga del
supporto del comitato per il controllo interno nel definire le modalità di approvazione e
di esecuzione delle predette operazioni. La prassi, sul punto, ha individuato diverse
tecniche che possono essere utilizzate, anche cumulativamente, per assicurare la
correttezza sostanziale e procedurale di tali operazioni; si segnalano, a titolo indicativo:
la riserva alla competenza del consiglio dell’approvazione delle operazioni di maggiore
rilievo, la previsione di un parere preventivo del comitato per il controllo interno,
l’affidamento delle trattative ad uno o più amministratori indipendenti (o comunque
privi di legami con la parte correlata), il ricorso ad esperti indipendenti (eventualmente
selezionati da amministratori indipendenti). La concreta articolazione di questi o
analoghi presidi non può che essere lasciata al potere di autoregolamentazione del
consiglio – sia pure nel rispetto dei principi generali indicati dalla Consob ai sensi
dell’art. 2391-bis cod. civ. – in funzione della tipologia e della rilevanza, sotto il profilo
economico e/o strategico, delle operazioni, nonché della natura ed estensione delle
relazioni esistenti con le controparti.
184
Per quanto riguarda le operazioni nelle quali un amministratore abbia, per conto proprio
o di terzi, un interesse, il Comitato raccomanda che il consiglio di amministrazione
ricerchi soluzioni che contemperino l’esigenza di trasparenza e correttezza sottesa alle
norme di legge con l’opportunità di non appesantire l’attività dell’organo di gestione
con adempimenti eccessivamente onerosi; ciò, in particolare, nei casi in cui
l’amministratore dell’emittente sia esponente della società o dell’ente che esercita
sull’emittente attività di direzione e coordinamento, tenuto conto che in tale circostanza
gli artt. 2497 ss. cod. civ. prevedono penetranti presidi a tutela degli azionisti.
In generale, nei casi in cui l’amministratore sia portatore di un interesse in quanto
membro dell’organo di amministrazione di una società legata all’emittente da un
rapporto di controllo (o di comune controllo), pare ammissibile che eventuali obblighi
informativi e/o di motivazione relativi ad operazioni che rientrano nella normale
operatività del gruppo siano adempiuti in modo generale e sintetico anche in via
preventiva, salva la necessità di informazioni integrative a fronte di operazioni di
particolare rilievo.
Sempre in tema di gestione delle operazioni regolate dall’art. 2391 cod. civ., si rileva
che nella prassi non sono rari i casi in cui l’amministratore interessato – pur in
mancanza di un vincolo di legge in tal senso – è chiamato ad astenersi dal voto o ad
allontanarsi dalla riunione al momento della discussione e della deliberazione. Questa
soluzione può contribuire ad evitare o ridurre il rischio di alterazione della corretta
formazione della volontà dell’organo di gestione. Peraltro non mancano ipotesi nelle
quali tale rischio non appare rilevante e, al contrario, la stessa partecipazione alla
discussione e il voto dell’amministratore in questione risultano auspicabili, in quanto
elementi di responsabilizzazione in merito a operazioni che proprio l’interessato
potrebbe conoscere meglio degli altri membri del consiglio. In tale prospettiva, la
indicata prassi che contemplasse l’astensione potrebbe altresì attribuire allo stesso
consiglio, alla luce delle specifiche circostanze del caso, la facoltà di disporre
diversamente e così di consentire la partecipazione dell’amministratore interessato alla
discussione e al voto.
185
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