bioetica, bioetiche e biotecnologie

Progetto interdipartimentale di
Bioetica e Biotecnologie avanzate
Modulo I
“BIOETICA, BIOETICHE E
BIOTECNOLOGIE”
Unità 2: Etica e diritto: il biodiritto
Unità 5: La corsa al brevetto
Prof. Marco Marcucci (Scienze giuridiche ed economiche)
a.s. 2016/2017
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Unità 2: Etica e diritto: il biodiritto
1. Definire il biodiritto
E’ possibile dare diverse definizioni della disciplina, a seconda della prospettiva dalla
quale si parte; sinteticamente ma correttamente potremmo definire come “biodiritto”:
1) lo studio sistematico dei principi giuridici che orientano la condotta umana
(individuale e collettiva) nell’area delle scienze della vita e della cura della salute;
2) il settore del diritto che studia i problemi inerenti la tutela della vita fisica ed in
particolare le implicazioni giuridiche delle scienze biomediche;
3) il diritto applicato ai nuovi problemi che si sviluppano alle frontiere della vita;
4) il diritto relativo ai fenomeni della vita organica del corpo, della generazione, dello
sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia e della morte;
5) il diritto della ricerca e della prassi biomedica.
In maniera più esaustiva, il biodiritto è definibile come l’area delle discipline
giuridiche in cui si affrontano i problemi inerenti alla tutela della vita umana e alle
implicazioni giuridiche che derivano dalle scienze mediche e dall’evoluzione
tecnologica che ormai le caratterizza. L’oggetto della materia è, dunque, in continua
evoluzione e segue il ritmo con cui le scienze biomediche progrediscono e fanno sì
che l’inizio, la durata e la fine della vita siano fasi sempre più governate dalle
capacità tecniche dell’uomo. È noto, infatti, che ormai la scienza medica e le sue
applicazioni sull’essere umano consentono di intervenire su processi biologici prima
considerati fissi e immutabili nel tempo e nello spazio. Un fenomeno di tal genere
non ha lasciato indifferenti i giuristi, i quali già da tempo hanno posto in evidenza
come il diritto, a fronte di tale processo evolutivo, per poter meglio comprenderlo,
abbia dovuto individuare nuove definizioni e nuove categorie concettuali, tentando
soluzioni originali ovvero procedendo per via analogica con formule e principi già
propri.
Fatti naturali, afferenti alla sfera della vita umana, ricevono così dal diritto una lettura
diversa da quella che lo stesso diritto aveva sempre dato. Per es., il procedimento di
fecondazione medicalmente assistita, disciplinato dalla l. 40 del 19 febbraio 2004, ha
posto il problema del momento in cui collocare l’inizio della vita umana; la tecnica di
alimentazione e di respirazione artificiali ha posto l’annosa e ancora irrisolta
questione relativa al momento in cui considerare morta una persona che si trovi in
stato di coma o in stato vegetativo permanente o persistente. Caratteristica propria del
b. è che le materie cui si rivolge non possono mai essere riguardate da un solo angolo
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di osservazione; il giurista che si occupi di b. dovrà, infatti, rivolgersi a questa
materia contemporaneamente con l’occhio del civilista, del costituzionalista, del
penalista e di tutte le altre discipline giuridiche che, di volta in volta, sono
richiamabili. Analogamente, il biogiurista non può fare a meno di confrontarsi
con il medico, con il sociologo, con il filosofo e con tutti gli esperti di altre
discipline che potrebbero interagire con lui per una migliore soluzione del
problema di volta in volta affrontato. Il biodiritto, infatti, è materia
necessariamente interdisciplinare e, come tale, coinvolge esperienze e perizie
diverse; è per questo motivo che tutte le questioni che ruotano intorno a esso hanno
come comune denominatore il principio del rispetto della dignità umana e della
salvaguardia della libertà di scelta autoresponsabile della persona che in esse è
coinvolta. Si tratta dei principi cui hanno fatto riferimento gli organi giudicanti nei
già numerosi casi giurisprudenziali che si sono occupati di questioni biogiuridiche;
principi che, data la loro valenza di principi fondamentali dell’ordinamento giuridico,
resteranno punti di riferimento ineludibili.
2. Tra etica e diritto
L’Etica condivide con il Diritto alcune norme fondamentali che tuttavia sono
affermate con modalità differenti pur tendendo al medesimo fine, la pace sociale, e la
Bioetica si coniuga tanto all’Etica che al Diritto stesso. Intendendo il termine Diritto
nel senso generale di Legge o di Legislazione, il Diritto è caratterizzabile come una
relazione normativa fra almeno due soggetti, relazione che attribuisce ad uno dei due
soggetti una pretesa, o un titolo, e all’altro soggetto un obbligo di rispettare tale
pretesa o titolo. Sia l’Etica che il Diritto sono guidati da un insieme di norme che solo
in apparenza sono simili. Infatti, la distinzione sussistente tra la norma etica/morale e
la norma giuridica è molto sottile.
La norma etico/morale vale universalmente e non solo per i cittadini di uno Stato, che
la rispettano per convinzione intima ed educazione ricevuta; la trasgressione alla
norma etico/morale ha infatti una dimensione privata ed individuale; La norma
giuridica, invece, vale per tutti i cittadini di un dato territorio e Stato e prevede una
pena per i trasgressori; la sanzione alla trasgressione èpubblica e prestabilita.
Tuttavia, può esserci sia correlatività che non tra le une e le altre, tra Diritto ed Etica
e viceversa. Non sempre, infatti, obblighi morali ed etici sono riconducibili a obblighi
giuridici, e viceversa; questo, quindi, deve condurre alla conclusione che ottimale
principio morale e relativa azione etica sono quelli conforme al Diritto in cui si è
istituzionalmente inscritti. Può accadere, al contrario, che certe azioni o consuetudini
etiche siano considerate tali pur non essendo iscritte all’interno di una legislazione
che le contempli, ovvero un Diritto rispettivo.
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Dati questi elementi, ecco perché, prima di entrare nel cuore dell’analisi bioetica, è
bene compiere questa ulteriore distinzione: il dibattito contemporaneo sulle questioni
bioetiche è anzitutto un dibattito tra ciò che può essere qualificato da un lato come
etico e dall’altro come giuridico; ovvero, se una questione di bioetica possa essere
riconosciuta altresì come valida in termini giuridici o meno.
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3. Tra bioetica e biodiritto
Al significativo sviluppo conosciuto dalla riflessione bioetica negli ultimi decenni
non è corrisposto un analogo sviluppo della riflessione biogiuridica: gli stessi
tentativi, intrapresi da più parti, per introdurre il termine biodiritto come
necessario pendant del termine bioetica si sono rivelati di fatto fallimentari.
Probabilmente ciò è dovuto alla permanenza, in molti casi, inconsapevole, dell’idea
giuspositivistica, secondo la quale il diritto verrebbe dopo e come tale possederebbe
uno statuto debole e secondario (anche se rispettabile e meritevole di attenzione
scientifica): verrebbe dopo scelte politiche e /o etiche fondamentali, a cui esso
dovrebbe garantire piena e rigorosa operatività sociale. In questa prospettiva
spetterebbe ai soli bioeticisti operare giudizi bioetici fondamentali e spetterebbe ai
giuristi, ove questi giudizi dovessero tradursi in pratiche sociali vincolanti,
individuare le tecniche normative e sanzionatorie adeguate per realizzare questi
obiettivi. In questa prospettiva, quindi, al diritto spetterebbero nei confronti della
bioetica compiti assolutamente strumentali. Il limite di questo modello, peraltro
molto diffuso fattualmente anche se di rado difeso teoricamente, è evidente. Senza
entrare nel merito della riduzione del diritto a strumento, resta il fatto che pensando al
diritto come mero strumento non si coglie la specificità strutturale della strumentalità:
gli strumenti, infatti, quanto più sono complessi (e della complessità del diritto non
c’è chi possa dubitare) non sono mai dotati di una polivalenza indiscriminata, ma
sono prima pensati, poi elaborati, poi utilizzati in funzione della realtà che intende
utilizzarli. Non c’è quindi da meravigliarsi se in questioni bioetiche (e in particolare
biomediche) l’appello al diritto si sia rivelato tante volte sterile o abbia cercato,
propria nella consapevolezza della sua sterilità, di aprirsi strade paragiuridiche e
paragiudiziarie(esemplari le vicende che hanno portato all’istituzione del Tribunale
dei diritti del malato).
4. Diversi paradigmi di riflessione
Come ha giustamente osservato il noto biogiurista D’Agostino, un modo corretto di
impostare la questione è quello di pensare alla bioetica e al biodiritto come a due
sistemi retti da due codici binari diversi, anche se interconnessi e che
corrispondono puntualmente (né potrebbe essere diversamente) ai codici dell’etica da
una parte e del diritto dall’altra: la bioetica risponde al codice bene/male, il
biodiritto al codice giusto/ingiusto. Il codice bene/male ha il suo spazio nella
relazionalità interpersonale, il codice giusto/ingiusto lo ha invece nella relazionalità
socio-istituzionale. Da ciò consegue che non tutte le valutazioni bioetiche possono
tradursi in valutazioni biogiuridiche, ma solo quelle che hanno un impatto sulla
dimensione della socialità istituzionalizzabile (e questo ci spiega perché anche
valutando bioeticamente come “male” l’autodistruzione suicidaria non sia possibile
ottenerne una criminalizzazione giuridica) e ci spiega altresì perché il diritto possa
rendere obbligatorie pratiche sociali di rilievo bioetico (come ad es. le vaccinazioni)
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nel nome di un interesse sociale collettivo, al quale non è detto che corrisponda una
dimensione di “bene” di tipo personale.
Come in bioetica è controversa la determinazione concreta del codice bene/male, così
nel biodiritto non può che essere controversa la determinazione del codice
giusto/ingiusto. Prendendo spunto dalla riflessione di D’Agostino, si possono
individuare quattro paradigmi che si sono affermati in merito, tentando di trovare la
risposta al quesito “cosa è giusto e cosa ingiusto?”: il paradigma liberalista che
riduce il giusto alla promozione dell’autonomia, il paradigma procedurale che riduce
il giusto alla corretta osservanza di protocolli condivisi e il paradigma garantista che
lo vede finalizzato alla tutela dei soggetti deboli, il paradigma solidaristicoche vede
nella massimizzazione del giusto la massimizzazione del bene umano sociale in
generale.
Paradigma liberalista
Il paradigma liberalista ritiene che il sistema giuridico non debba imporre valori ai
consociati, né meno che mai valori non condivisi, ma debba piuttosto operare per
garantire a ciascun consociato la possibilità di maturare la propria autonomia e
gestirla liberamente. L’autonomia, a cui fanno riferimento i fautori di questo modello,
non ha alcun valore intrinseco, né è descrivibile nei suoi contenuti: vale, nei limiti in
cui un soggetto, insindacabilmente, pretenda di farla valere, come manifestazione di
una sua, altrettanto insindacabile, preferenza. Nel biodiritto, questo modello opera
secondo diverse direttrici. In primo luogo esso auspicherà la minimizzazione del
diritto come pratica sociale: l’autonomia possiede infatti la massima capacità
espansiva quanto meno è condizionata da norme e da vincoli sociali. La
giustificazione del diritto risiede, secondo questa prospettiva, fondamentalmente nella
sua capacità di operare mediazioni efficaci tra pretese autonomistiche potenzialmente
conflittuali. Il miglior diritto sarà quindi quello che potrà massimizzare
l’autonomia dei consociati o –se così si preferisce dire- minimizzare i sacrifici in
termini di autonomia richiesti ad ogni consociati per garantire l’autonomia altrui. Il
limite di questo modello sta nella sottile contraddizione che lo pervade. Se il fine del
diritto è garantire l’autonomia e se l’unico limite giustificato all’esercizio
dell’autonomia è il rispetto per l’autonomia altrui, ne segue che il fine reale del
diritto non è garantire l’autonomia dei singoli, ma garantire la possibilità generale
dei singoli di convivere e di convivere in un sistema sociale giusto, che non dia cioè il
potere o il primato ai più forti.
Paradigma procedurale
Il paradigma procedurale non crede alla possibilità di individuare criteri materiali di
giustizia, ma ritiene piuttosto che un sistema giuridico giusto sia un sistema
governato da regole conosciute e condivise da tutti e che quindi è giustificato che
tutti obbligatoriamente rispettino. I limiti di questo modello (il ricordo al quale
peraltro si rivela molto utile in diversi contesti) sono diversi. In primo luogo il
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modello, dando per presupposto che tutti i consociati debbano partecipare
all’elaborazione delle regole sociali, adotta implicitamente l’idea che sia
obiettivamente giusto che nessuno sia escluso da questa elaborazione (dunque esiste–
contro le premesse- almeno un valore materiale di giustizia, cioè l’eguaglianza). La
seconda osservazione è invece di carattere fattuale: il modello dà per presupposto ciò
che è difficile realisticamente presupporre e cioè che le regole sociali siano davvero
prodotte e siano realmente condivise da tutti quei consociati, che sono poi chiamati
a rispettarle (possiamo infatti ipotizzare che nel sistema sociale non possano non
esistere individui, che ad esso sono sì sottoposti, ma che non sono stati consultati per
quel che concerne la sua elaborazione o che non potevano esserlo: minori, incapaci,
ecc.). Il modello infine non tiene conto che molte decisioni di rilievo socioistituzionale, in specie in ambito biogiuridico, coinvolgeranno gli interessi, le
spettanze e soprattutto i diritti delle generazioni future, che per definizioni non
potranno mai essere consultate in merito a scelte che incideranno sulla qualità della
loro vita. Per rispettare questi diritti sarà necessario elaborare criteri materiali e
non meramente procedurali di giustizia.
Paradigma garantista
Il terzo modello vede come compito prioritario del biodiritto la tutela dei soggetti
deboli. Questo modello ha un rilievo particolarissimo, ove si consideri quali e quanti
problemi conturbanti e inediti siano pressoché quotidianamente sollevati dal
progresso della medicina, della biologia e della genetica. Soggetto debole è
primariamente il soggetto malato, al quale la coscienza contemporanea riconosce uno
statuto di tutela particolarissimo, che va al di là di ogni logica di frontiera. Ma è
anche qualunque essere umano, cittadino o straniero, sano o malato, la cui vita possa
essere esposta a rischi, oltre tutto da lui difficilmente calcolabili, dalle nuove
potenzialità di manipolazione genetica, dalla sperimentazione di massa di nuovi
farmaci, dalla stessa strutturazione burocratica dell’assistenza sanitaria moderna. Il
tema della tutela dei soggetti deboli si unisce e si fonde col grande tema, tipicamente
moderno, dell’equità nella salute e richiede l’attivazione di un confronto (ancora agli
inizi) con le dinamiche, anche esse tipicamente moderne, dell’economia.
Paradigma solidaristico
Il quarto modello va letto come una dilatazione del precedente e come una
esplicitazione della logica solidaristica che non solo compare in pressoché tutte le
costituzioni più avanzate del mondo contemporaneo, ma che caratterizza altresì le
missioni umanitarie che costituiscono le espressioni più significative di alcune delle
dinamiche internazionali contemporanee. I doveri di solidarietà sociale, nazionale e
internazionale, possono acquistare carattere giuridicamente vincolante, al di là del
fatto che corrispondano alle autonome volizioni dei singoli, perché coerenti con una
dimensione di bene sociale generale, nazionale e internazionale, che sempre più
appare essenziale alla coscienza contemporanea. Mentre il terzo modello impegna il
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diritto a individuare situazioni di fragilità sociale e a reagire contro di esse, il quarto
modello lo impegna invece a promuovere il bene umano.
Ma come dare contenuti alla categoria bene umano? Sembra che questo modello entri
in una insanabile contraddizione con il diffuso relativismo etico e culturale che
caratterizza il mondo di oggi. Si osservi però che esso non pretende di acquisire
valore normativo nell’esperienza etica, ma esclusivamente nell’esperienza giuridica.
Ciò che assume rilevanza è la possibilità di riconoscere a tutti gli esseri umani gli
stessi diritti di rilievo bioetico.
In questa prospettiva vanno lette le ratifiche che hanno dato valore giuridico alla
grande Convenzione internazionale di bioetica comunemente citata come la
Convenzione di Oviedo. In questa prospettiva vanno letti gli sforzi dell’UNESCO,
che dopo aver approvato l’Universal Declaration on the Human Genome and Human
Rights nel 1997 e l’International Declaration on the Human Genetic Data nel 2003,
ha adottato per acclamazione il 19 ottobre 2005 una grande Dichiarazione
universale sulla bioetica e i diritti dell’uomo, con la speranza di poter, all’inizio
del nuovo millennio, rendere vincolante in tutti i paesi del mondo un codice dei
diritti bioetici fondamentali da riconoscere ad ogni essere umano.
5. Alcune riflessioni finali sul concetto di biodiritto
E’ evidente che la determinazione concreta ed operativa dei diritti può essere
occasione di conflitti ideologici e culturali molto vistosi. Ma non si trascuri il fatto
che la logica dei diritti fondamentali possiede un connotato di particolare rilievo,
quello della universalizzabilità. Non si tratta di un connotato teoreticamente
risolutivo, ma di quanto basta per fornire ai giuristi un criterio utile per
desoggettivizzare e soprattutto denazionalizzare la logica dei diritti umani.
Nella prospettiva dell’universalizzazione, il diritto rivendicato e proclamato da
qualunque essere umano potrà avere un riconoscimento solo se rivendicabile e
proclamabile (in linea di principio) da parte di e per qualunque altro essere
umano. L’universalizzabilità dimostra, nelle cose stesse, l’unità del genere umano ed
è il presupposto per il riconoscimento di una “fraternità biogiuridica”, per giungere
alla quale le forze del diritto – in sé e per sé troppo deboli - hanno bisogno di un
ulteriore supplemento di anima.
Si è aperta quindi per la bioetica un’età dei diritti, nella quale bioeticisti e biogiuristi
non devono farsi trovare impreparati.L’invasione esistenziale della tecno economia
costringe politica e diritto a prendere posizione. Alla biotecnica necessariamente
deve corrispondere il biodiritto, non potendo più stare, il diritto, soltanto entro i
confini del nascere e morire, perché così facendo si sottrarrebbe ad una delle sue
funzioni principali di scienza sociale.
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Unità 5: La corsa al brevetto
Il brevetto è una tutela legale applicabile a invenzioni umane che soddisfino i tre
criteri di novità, di utilità alla risoluzione di un problema e di possibilità
d'applicazione industriale. Il materiale biologico, in quanto esistente in natura,
sembrerebbe quindi non rispondere al primo criterio; tuttavia il primo brevetto di un
essere vivente fu concesso dall'US Patent Office nel 1873 per un ceppo di lievito
responsabile della fermentazione della birra, a titolo di Louis Pasteur.
1. Brevettare materiale biologico
Se il materiale biologico per sé non è brevettabile, così come gli esemplari di esseri
viventi ottenuti mediante riproduzione e incroci selettivi, è tuttavia ritenuto lecito
brevettare parti di organismi viventi opportunamente isolate e riprodotte
sinteticamente, delle quali sia stata indicata l'utilità tecnica. Brevetti celebri sono
quelli dell'Insulina, dell'Adrenalina e dell'Aspirina, basati sulla sintesi di principi
attivi presenti in natura o di ormoni prodotti dal corpo umano.
Lo sviluppo delle biotecnologie e di conseguenza le pressioni delle società operanti
nel settore, hanno fatto sì che nella legislazione di molte nazioni venissero
ulteriormente estesi i criteri di brevettabilità a geni e a piante e animali modificati
geneticamente. Ciò può esser visto come un'estensione del diritto di proprietà
intellettuale a campi del sapere relativamente nuovi, oppure come una grave minaccia
alla biodiversità, al benessere economico di allevatori, coltivatori e cittadini di paesi
in via di sviluppo.
Di fatto i TRIPs, ovvero “Treaties on Right of Intellectual property”, sottoscritti nel
1994, hanno aperto la strada a una serie di provvedimenti in materia, recepiti anche
dall'Unione europea nel 1998.
I TRIPs disciplinano il diritto della proprietà intellettuale all'interno del WTO, ovvero
l'associazione mondiale del commercio.
L'articolo 27 del trips agreement Patentable Subjects Matters, riguarda ciò che non
può beneficiare di brevetti: sono escluse le invenzioni pregiudizievoli all'ordine
pubblico, alla morale e al benessere e alla vita di ambiente, piante, e animali. Nel
paragrafo tre del medesimo articolo, vengono indicate le categorie per le quali i Paesi
membri possono non prevedere brevetti:
•
•
Metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di uomini e animali;
Piante, animali, microrganismi, e in generale procedimenti biologici, che non
siano microbiologici o non biologici finalizzati alla produzione di piante e
animali.
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In particolare, nel paragrafo 3(b) del medesimo articolo viene anche disposta la
protezione sui generis delle specie vegetali da parte dei paesi che non la prevedessero
già per mezzo di brevetti.
Critiche e vuoti legislativi
Il capitolo è stato al centro di un acceso dibattito a causa della labilità della
definizione di tutela sui generis. L'articolo è rimasto invariato, nonostante le proteste
sollevate dall'India e da molti Stati africani che non sono in grado di applicare tali
norme in un campo tanto delicato come quello agroalimentare.
Inoltre i trattati disattendono al Trattato di Rio de Janeiro sulla biodiversità, in
particolare sui temi di biopirateria e libero scambio dell'informazione e della
conoscenza; i TRIPs infatti non prevedono né il consenso della nazione o
dell'individuo dal quale vengono prelevati i campioni usati a fini di ricerca, né
riconoscono il sapere non scientifico, o cosiddetto sapere indigeno.
2. La Dichiarazione di Rio
Sottoscritta nel 1992 dall’UNEP, traccia ventisette principi fondamentali per il
raggiungimento dello sviluppo sostenibile, in particolare per i Paesi in via di
sviluppo.
Il principio 12 dichiara:
Gli Stati dovrebbero cooperare al fine di promuovere un sistema economico
internazionale che porti in tutte le Nazioni crescita economica e sviluppo sostenibile,
in modo da gestire meglio i problemi derivanti dal degrado ambientale. Le misure di
politica commerciale non dovrebbero costituire strumento di discriminazione
arbitraria e ingiustificata o di restrizione dissimulata nel campo del commercio
internazionale.
Notevole importanza viene accordata al ruolo delle comunità e della cittadinanza. In
dettaglio, è riconosciuto il sapere popolare, locale e indigeno come custode di una
vasta ricchezza che rischia di andar perduta, come si evince dal principio 22:
I popoli indigeni, le loro comunità e altre comunità locali rivestono un ruolo
fondamentale nella gestione ambientale e nello sviluppo, in virtù del loro sapere e
delle loro pratiche tradizionali. Le Nazioni dovrebbero riconoscere e sostenere le
loro identità, cultura e interessi, e rendere possibile la loro effettiva partecipazione
al raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Ciò costituisce una presa di posizione contro il fenomeno della biopirateria, per il
quale imprese farmaceutiche, chimiche e agricole ricercano e prelevano materiale
biologico all'estero ai fini della loro attività di ricerca (attività detta in inglese
"bioprospecting") senza informarne le popolazioni della zona interessata né versare
un contributo economico.
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3. La legislazione italiana sulle invenzioni tecnologiche: la Legge 78/2006
E’ stato convertito in legge (Legge 22 Febbraio 2006 n. 78) con alcune marginali
modifiche il decreto-legge10 Gennaio 2006, n. 3 recante l’attuazione della Direttiva
98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. La
legge è in vigore dall’11 Marzo 2006 (pubblicazione provvedimento G.U. n. 58 del
10 Marzo 2006).
In 13 articoli, il decreto legge identifica le proprie finalità ed elenca definizioni
(Art.2), invenzioni brevettabili (Art. 3) ed esclusioni dalla brevettabilità (Art. 4).
Sono definiti gli aspetti procedurali (Art. 5) e le norme su licenze e nullità (Art. 6 e
7), nonché l'estensione e i limiti della tutela brevettuale (Art. 8 e 9). Il decreto legge
comprende inoltre norme sul deposito, accesso e nuovo deposito del materiale
biologico (Art. 10), ed infine sul rapporto annuale al parlamento riguardo
l'applicazione dello stesso decreto legge (Art. 11).
L'Italia ha recepito la direttiva europea nella legge n. 78 del 2006 aggiungendo molte
deroghe ai criteri di brevettabiltà nell'articolo 4.
Oltre a piante e animali ottenuti mediante metodi biologici, e trattamenti terapeutici e
diagnostici per uomini e animali vengono inclusi:
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•
•
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ogni procedimento tecnologico di clonazione umana, qualunque sia la tecnica
impiegata, il massimo stadio di sviluppo programmato dell'organismo clonato e
la finalità della clonazione;
i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere
umano;
ogni utilizzazione di embrioni umani, ivi incluse le linee di cellule staminali
embrionali umane;
i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali, atti a
provocare su questi ultimi sofferenze senza utilità medica sostanziale per
l'essere umano o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti;
le invenzioni riguardanti protocolli di screening genetico, il cui sfruttamento
conduca ad una discriminazione o stigmatizzazione dei soggetti umani su basi
genetiche, patologiche, razziali, etniche, sociali ed economiche, ovvero aventi
finalità eugenetiche e non diagnostiche;
ogni procedimento tecnico che utilizzi cellule embrionali umane.
Oltre a scongiurare la clonazione umana, come la direttiva europea già prevede, la
legge italiana esprime la volontà di tutelare l'embrione umano; sono introdotti vari
provvedimenti atti ad evitare trattamenti o discriminazioni su base eugenetica nei
confronti di persone ed embrioni, ed è esclusa la ricerca su cellule staminali umane
germinali, dette anche cellule staminali.
Nell'articolo 5, par. 2, viene decretato necessario specificare e citare il Paese d'origine
dei campioni biologici necessari allo sviluppo del brevetto, riconoscendo le regole
locali in materia; al paragrafo 3, si obbliga ad allegare dichiarazione di consenso
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informato, in caso di brevetti riguardanti campioni di origine umana (geni, ormoni,
etc) da parte del soggetto che li ha forniti.
La legge stabilisce i casi di esclusione dalla brevettabilità per motivi etici di tutela
dell’essere umano e degli animali, di preservazione dei vegetali e della biodiversità e
di prevenzione di danni ambientali.
Inoltre viene stabilito che per brevettare una sequenza di DNA o una proteina, intera
o parziale, è necessario descriverne concretamente e rivendicarne la funzione e
l’applicazione industriale (Art. 3). Pertanto la mera scoperta di tale sequenza di DNA
o proteina è esclusa dalla brevettabilità.
La gran parte degli articoli riproduce in maniera quasi letterale le disposizioni della
Direttiva 98/44/CE. Si nota tuttavia che la discrezionalità concessa ai paesi membri
dell'Unione Europea è stata utilizzata per introdurre clausole restrittive che
richiamano fortemente la recente Legge n. 40/2004 sulla procreazione assistita. In
quest'ottica si colloca il divieto esplicito all'uso di cellule staminali embrionali e di
protocolli di screening genetico il cui sfuttamento abbia finalità eugenetiche (Art. 4).
La Direttiva 98/44/CE del Parlamento e del Consiglio, relativa alla Protezione delle
invenzioni biotecnologiche è stata approvata dal Parlamento Europeo il 12 Maggio,
1998.
La Direttiva chiarisce che la protezione legale delle invenzioni biotecnologiche non
richiede la creazione di legislazioni separate, ma indica dei principi guida.
L'Art. 3chiarisce la differenza tra invenzioni e scoperte. Un materiale biologico,
isolato dal suo ambiente naturale o prodotto per mezzo di un procedimento tecnico,
può essere brevettabile (a condizione che sia nuovo, inventivo e applicabile
industrialmente) anche se già esistente in natura. Pertanto un materiale biologico che
contenga informazioni genetiche e sia in grado di auto-riprodursi o di essere
riprodotto in un sistema biologico è brevettabile.
L'Art. 5 dichiara che questa regola si applica anche al corpo umano, con la chiara
limitazione che il corpo umano, a qualsiasi stadio del suo sviluppo, così come la mera
scoperta di uno dei suoi elementi, incluso un gene o sue porzioni, non può essere
brevettabile.
L'Art. 6 si riferisce al divieto di brevettabilità di invenzioni che sono contrarie alla
moralità, divieto già compreso nelle leggi brevettuali nazionali. Deve considerarsi
contrario alla moralità, un procedimento per clonare esseri umani, o per modificare
l'identità genetica della linea germinale di esseri umani, o l'uso di embrioni umani a
scopi industriali o commerciali, o un procedimento per modificare l'identità genetica
di animali, che provochino sofferenza a questi, senza alcun sostanziale beneficio
medico per l'uomo o gli animali.
Altri articoli concernono l'ambito di protezione (artt. 8-11), licenze obbligatorie
incrociate (art. 12), e il deposito di materiale biologico secondo il Trattato di
Budapest (artt. 13-14).
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4. Casistica internazionale
Il caso Brustle
Il ricercatore tedesco Oliver Brustle, docente di Neurobiologia ricostruttiva all'Università di Bonn,
nell'anno 1997, brevettò un metodo per curare il Morbo di Parkinson che prevedeva l'utilizzo di
cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, vale a dire circa cinque
giorni dopo la fecondazione, trasformandole in cellule in grado di produrre tessuti nervosi. Dopo
una serie di processi, Brustle, nel 2009, aveva interpellato la Corte di Giustizia europea per
avere una definizione della nozione di “embrione umano”, considerando che per lui gli ovuli
fecondati da meno di cinque giorni, non costituivano un embrione umano.Brustle perse la
causa nel 2011, con la sentenza veniva stabilito che “la nozione di embrione umano comprendeva
gli ovuli umani non fecondati” in quanto “tali ovuli erano tali da dare avvio al processo di sviluppo
di un essere umano”, quindi li rendeva non brevettabili.
La Corte di giustizia UE ha successivamente chiarito che l’art. 6 della Direttiva era da interpretare
così: “costituisce “embrione umano” qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione,
qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula
umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia
stato indotto a dividersi e a svilupparsi”; “spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione
degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di
blastocisti costituisca un “embrione umano” ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c) della direttiva 98/44”. Il
dispositivo precisa anche che: “l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni
umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 riguarda
altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche
o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di
un brevetto”; ed inoltre, “l’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 esclude la brevettabilità di
un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa
distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza,
indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione
dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni
umani”
Secondo la Corte un ovulo umano manipolato ma “non fecondato” può essere brevettato a fini
industriali. “Un organismo non in grado di svilupparsi in essere umano non costituisce un
embrione umano ai sensi della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni
biotecnologiche. Pertanto le utilizzazioni di un organismo del genere a fini industriali o
commerciali possono essere, in linea di principio, oggetto di brevetto”.
Cio' vuol dire che se un ovulo umano che non è mai stato fecondato si sviluppa in laboratorio può
essere utilizzato per scopi commerciali: comprato, venduto, usato per sperimentazioni, per la ricerca
sulle malattie. Fra i precedenti in materia c'è una direttiva comunitaria del 1998 sulla biotecnologia
che definisce le norme riguardanti la brevettabilità di invenzioni biotecnologiche.
Ai sensi della direttiva, il corpo umano, nei vari stadi del suo sviluppo, non può costituire
un'invenzione brevettabile. Mentre, un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente
prodotto mediante un procedimento tecnico, può essere soggetto a tutela brevettuale. Sono
escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine
pubblico o al buon costume. In tale contesto, le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o
commerciali non sono brevettabili.
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Il caso Sidney A. Diamond contro Ananda Mohan Chakrabarty
Nell'anno 1972 l'impresa General Electric presentò presso l'Ufficio Marchi e Brevetti degli Stati
Uniti una domanda di brevetto per proteggere un batterio geneticamente modificato, derivato
dal genene Pseudomonas capace di degradare le molecole del petrolio grezzo. In altre parole si
trattava di un batterio in grado, sulla carta, di bonificare le aree inquinate da idrocarburi.
L'ingegnere genetico che sviluppò l'organismo si chiamava Ananda Mohan Chakrabarty. L'ufficio
brevetti si rifiutò inizialmente di accettare la richiesta sulla concessione i diritti di proprietà
intellettuale sul batterio, sebbene esistesse negli USA una lunga storia di brevetti concessi
riguardanti esseri viventi, affermando che secondo la legge gli esseri viventi non erano brevettabili.
Il primo esempio noto risale al 1873 quando fu concesso a Louis Pasteur un brevetto su di un
processo per la produzione di lievito di birra che nella descrizione includeva il lievito ottenuto
tramite il processo descritto.
A questo primo rifiuto seguì il ricorso d'appello presso Board of Patent Appeals and Interferences,
anch'esso con esito negativo. Quindi la United States Court of Customs and Patent Appeals (CCPA)
stabilì che il fatto che gli organismi siano vivi fosse privo di valore legale ai fini della applicazione
della legge sulla brevettabilità.
La decisione finale, dopo 8 anni di discussioni e sentenze contrastanti, venne dopo la discussione
del caso alla Corte Suprema il 17 marzo1980. Il 16 giugno 1980 fu emesso il verdetto, a
maggioranza di 5 contro 4, che acconsentì alla proprietà intellettuale sul batterio. Il diritto alla
proprietà intellettuale sul batterio venne concessa sulla base dell'interpretazione della sezione 101
della norma US PatentsAct del 1952, che regola la legislazione statunitense sui brevetti, secondo la
quale il brevetto può essere richiesto da qualunque persona che possa avere inventato una
macchina o un procedimento di lavoro, includendo qualsiasi cosa che sia fatta da un uomo sotto il
sole. Nella sua sentenza la corte motivò: Il brevettante ha prodotto un nuovo batterio con caratteri
marcatamente differenti da ogni batterio scoperto in natura, avente una potenzialità per un utilizzo
significativamente utile. La sua scoperta non corrisponde ad un prodotto della natura, ma ad opera
del medesimo, quindi è brevettabile secondo il paragrafo B 101.14. La ratio decidendi della corte
suprema consistette nel riconoscere la rilevanza dell'intervento umano nell'oggetto del brevetto, il
suo non ritrovamento in natura, ed infine i suoi potenziali utilizzi positivi.
La concessione del brevetto, dopo otto anni di conflitti giudiziari, costituì una rivoluzione nella
prassi brevettuale americana e, indirettamente, anche su quella europea.
La sentenza di fatto aprì la possibilità di considerare la vita come servizio e bene commerciabile.
Oggi, a causa di questa sentenza, le società di genomica e di biotecnologie possono brevettare
singoli geni che costituiscono la struttura della mappa umana.
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Altri casi esemplificativi:
Sequenza MO
Il 20 ottobre 1976, John Moore venne splenectomizzato, a causa di una forma di leucemia
(hairycellleukemia) presso l'ospedale della University of California. Nell'agosto 1979, Golde riesce
ad isolare un clone di cellule T, nel marzo 1984 ne chiede ed ottiene il brevetto U.S.A. Patent
4,438,032 e successivamente lo commercializza. La sequenza Mo venne poi venduta alla Sandoz.
Da questo fatto ne emerse una causa legale tra Moore e l'University of California. La sentenza
definitiva dichiarò: - Moore non ha alcun diritto (anche economico) sulle sue cellule eliminate.
- Il medico ha il dovere di informare il paziente dei suoi interessi finanziari.
- La corte ha sostenuto ciò sostenendo che le cellule del sig. Moore non sono più uniche della
formula dell'emoglobina.
Hagahai
Gli Hagahai sono un popolo di cacciatori-raccoglitori che vive nella Papua-Nuova Guinea. Alcune
persone di questa tribù venne in contatto con l'antropologa Carol Jenkins che, in contatto con l'U.S.
National Institutes of Health, trovò che molte persone portavano un virus responsabile di leucemia a
cellule T. Usando il sangue di un soggetto non identificato, stabilirono un clone. Nel marzo 1995 fu
emesso il brevetto USA United States Patent 5,397,696 applies to "a human T-cell line (PNG-1).
Successivamente in seguito alle proteste internazionali il brevetto è stato ritirato.
Oncotopo o topo di Harvard
Trattasi di un topo che fu geneticamente modificato con l'inserimento di un oncogene. Ovviamente
ciò provocò la aumentata sensibilità di questo topo ai tumori, rendendolo adatto al campo della
ricerca.
Nella metà degli anni ottanta furono emessi brevetti in USA, Canada, Europa, Giappone. Dopo
molte controversie il brevetto è stato ammesso in Canada. Dopo molte controversie il brevetto è
stato ammesso in Unione Europea. Il brevetto è stato concesso e scaduto nel 2005. Diversamente da
altri paesi, non vi è stata nessuna corte a decidere della validità del brevetto.
Il fagiolo Enola
Il fagiolo Enola è una varietà del fagiolo giallo messicano, così chiamato dalla moglie dell'uomo
che la brevettò per la sua distinta tonalità di giallo. Il detentore del brevetto successivamente citò un
grande numero di importatori di fagioli gialli messicani con il seguente risultato: “le vendite
all'esportazione crollarono immediatamente di oltre il 90% tra gli importatori che avevano venduto
questi fagioli per anni, causando un danno economico a più di 22000 fattori del nord Messico che
vendevano principalmente questo prodotto”. Una legge ha proceduto a passo di lumaca ed un
appello sarà ascoltato il 16 gennaio 2008. Il 28 aprile 2008 il brevetto è stato rigettato dal U.S.
Patent & Trademark Office di Washington. I possessori del brevetto potranno appellarsi alla corte
federale: I contadini non saranno compensati degli otto anni di impossibilità di coltivare e vendere il
fagiolo Enola.
Il 10 giugno 2009 il tribunale d'Appello della Corte federale degli Stati Uniti, ha negato alcuna
validità al brevetto № 5.894.079, che riguarda appunto questo fagiolo.
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5. Biodiritto e brevettabilità del vivente: prospettive e frontiere future
In virtù del paventato cambio climatico, si stanno brevettando sempre più piante
resistenti al clima più caldo, alla siccità, alla salinizzazione del suolo.
I colossi interessati, appartenenti a quelli dell'agroalimentare e delle sementi,
sono: Monsanto, Bayer, Basf, Syngenta, DuPont. I brevetti rilasciati sono centinaia.
In particolare sono state presentate 532 richieste di brevetti (per un totale di 55
"invenzioni uniche presentati a diversi uffici brevetti") per geni resistenti al clima, in
tutto il mondo. In questo modo, di fronte al possibile caos climatico, le multinazionali
delle sementi stanno cercando di monopolizzare il mercato, cercando anche di
aggirare le cause legali sul bioprospecting:
- producendo direttamente forme di vita in laboratorio, come nel caso
del Mycoplasma laboratorium
- eseguendo Bioprospecting in deep seabed genetic resources (risorse genetiche del
mare profondo), anche per evitare le giurisdizioni nazionali.
Esistono molte controversie per quanto concerne il materiale genetico presente negli
esseri umani, quali ad esempio sequenze di DNA. Le ragioni di questa controversia
sono meno chiare negli USA, il cui processo di brevetto differisce da quello del resto
del mondo.
Molti al di fuori degli USA si stanno sforzando di rivoltare le regole del brevetto per
le Cellule staminali. Nel dicembre 2006 la Germania creò un importante precedente,
con l'annullamento della validità del brevetto sulle Staminali. In linea generale
la European Patent Office ha stabilito che le linee di Staminali non possano essere
brevettate.
La reazione contro la brevettabilità delle staminali sta avvenendo anche in USA, ma
in tono minore. Alcune organizzazioni non profit si sono appellate contro la
brevettabilità delle staminali, comela Foundation for Taxpayer & Consumer Rights e
la Public Patent Foundation e nonché la biologa molecolare Jeanne Loring del
Burnham Institute. Esse stanno combattendo perché le tecniche ed i processi associati
alla scoperta possano essere brevettabili, ma non l'effettivo materiale biologico
stesso.
Il biodirittotra etica e mercato
Sullo scenario della brevettabilità del vivente si fronteggiano, dunque, varie
concezioni che, semplificando, possono aggregarsi intorno a due poli contrapposti.
Da una parte un “polo etico” in cui si coagulano le posizioni che, in nome di
principi di ordine superiore, mirano a bloccare o almeno a limitare lo sviluppo
scientifico e tecnologico nel campo delle biotecnologie e intendono, pertanto,
imporre limiti stringenti, se non addirittura soffocanti, all'utilizzazione dello
strumento brevettuale, scorgendovi un formidabile moltiplicatore di capitali
affluenti verso la ricerca, con quanto ne discende per il miglioramento delle tecniche
di ingegneria genetica in un minor tempo e con maggiore accuratezza. Sul fronte
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opposto si schiera il “polo del mercato”, col supporto di un manipolo tutto
sommato esiguo di scienziati cosiddetti puri e di qualche rappresentante delle
organizzazioni che lottano contro determinate patologie. Ma il mercato, da solo
o quasi, esercita una pressione fortissima. La consapevolezza di aver trovato un
filone aurifero senza pari fomenta le spinte per l'abbattimento di tutte le barriere che
si frappongono al pieno sfruttamento commerciale delle innovazioni biotecnologiche.
D'altronde, gli scienziati puri, impegnati nei loro laboratori ad accrescere il
patrimonio delle conoscenze sui meccanismi che regolano i processi biologici, hanno
bisogno anch'essi del mercato per attingere i fondi occorrenti per le loro costose
ricerche, specie laddove l'intervento statale è carente.
Il ruolo del biogiurista e i condizionamenti dell'etica
L'operatore del diritto ambirebbe a incunearsi nel mezzo di questo conflitto
epocale, per tentare un'impervia opera di mediazione tra posizioni che, per le
forti motivazioni che le sorreggono, rischiano di prendere con estrema facilità la
china dell'estremizzazione. Peraltro, una volta constatato che la disciplina giuridica
del brevetto in effetti non pone preclusioni assolute (dovendo semmai risolvere al suo
interno taluni non insormontabili problemi di coordinamento) e sempre che non si
voglia contestare il fondamento stesso di tale disciplina (il che appare francamente in
controtendenza rispetto all'estensione, anche geografica, operata dall'Accordo TRIP),
ci si rende conto che il ruolo del giurista, specialmente nel contesto europeo, tende a
essere marginalizzato. Non si tratta, infatti, di un conflitto tra posizioni
rappresentative di interessi che necessitano di essere contemperati, in base a
parametri desumibili dall'ordinamento giuridico; coloro i quali si richiamano all'etica
si ispirano dichiaratamente a principi e criteri metagiuridici, che difficilmente si
traducono in regole di diritto, se non in divieti. Pertanto, con la rilevante eccezione
degli Stati Uniti, in cui si assiste non di rado al fenomeno della 'giuridicizzazione'
delle questioni etiche, dibattute con ricchezza di argomentazioni nelle corti di ogni
ordine e grado, il confronto si svolge prevalentemente sul piano della elaborazione
del quadro normativo di riferimento. Proprio in questa fase fa sentire tutto il suo
peso, anche attraverso i comitati istituzionalizzati, la bioetica, con il risultato che
nelle legislazioni vigenti in Europa continuano a prevalere le chiusure sulle
aperture. E quando il legislatore apre spiragli, più o meno consistenti, nella direzione
della concessione del brevetto, la posizione dell'etica riemerge con la creazione di
appositi comitati, ai quali vengono specificamente attribuite funzioni consultive
del Parlamento europeo, ma che verosimilmente sembrano destinate a svolgere
un ruolo di sorveglianza, per evitare che il partito dei “possibilisti della
brevettabilità” prenda il sopravvento assoluto in nome del mercato.
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Riferimenti normativi di orientamento:
CONVENZIONE DI OVIEDO 1997
DICHIARAZIONE DI RIO 1992
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (ONU 1948)
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000, Lisbona)
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA (in prt. ART. 32. La Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti.Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non
per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana.)
Legge 28 marzo 2001, n. 145 ("Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa
per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione
della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a
Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto
di clonazione di esseri umani")
Legge 40 del 19 febbraio 2004 (fecondazione assistita)
Legge 22 Febbraio 2006 n. 78 (attuazione della Direttiva 98/44/CE in materia di protezione
giuridica delle invenzioni biotecnologiche)
Corte Cost. sent. 27/1975
«non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi é già persona, come
la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare»
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BIBLIOSITOGRAFIA ESSENZIALE
Borsellino, P., Bioetica tra “morali” e diritto, Raffaello Cortina Editore 2009
CalcagniC e Cecchi, R.,Deontologia medica. Dalla deontologia ippocratica alla bioetica, Società
Editrice Universo, Roma 2010
Casonato, C., Introduzione al biodiritto, Giappichelli editore, 2012
Cattorini, P. M,. Bioetica, Elsevier, 2011
D´Agostino, F., Bioética. Estudios de filosofía del Derecho, E. Internacionales Universitarias,
Madrid, 2003.
D'Agostino, F., Palazzani, L., Bioetica. Nozioni fondamentali, La Scuola, 2013
Funghi P.e Giunta F. (a cura di), Medicina, bioetica e diritto, ed. Ets, 2005
Sgreccia, E., Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano, 2003.
Vannocchi ,E., Bioetica Bioetiche e Biotecnologie, progetto interdip. Campus da Vinci Umbertide
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Morano, G., in Altalex, 16 febbraio 2011.
Di Lella, F., logica del profitto e dimensione etica nella disciplina della proprietà industriale sulle
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http://www.enciclopediadebioetica.com/index.php/todas-las-voces/178-biodiritto
http://www.unimi.it/cataloghi/comitato_etico/Convenzione_di_Oviedo.pdf
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