La Diagnosi Terapeutica delle disabilità neuropsichiche

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IL BAMBINO DISABILE
(Lecce 10 Dicembre 2005)
La Diagnosi Terapeutica delle disabilità neuropsichiche
Antonino Chindemi - Responsabile U.O di neuropsichiatria In fantile
Ospedale “Miulli” - Acquaviva delle Fonti (Bari)
La “Word commission for cerebral palsy”, nel 1966, ha definito la Paralisi Cerebrale
Infantile (PCI) “turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento” (slide 2) ,
considerandola, pertanto, un esito stabilizzato di un’encefalopatia fissa. Tale definizione
diagnostica indurrebbe a pensare ad una sostanziale staticità e scarsa modificabilità del quadro
clinico, pertanto non sembrerebbe avere molta importanza né la diagnosi precoce, né l’intervento
terapeutico tempestivo. Trattandosi inoltre solo di un problema di postura e movimento, l’unica
risposta clinica sembrerebbe una cinesiterapia, che potremmo anche considerare il più delle volte
palliativa data la prognosi.
Giorgio Sabbadini e altri hanno il merito di aver introdotto nel 1978 nella clinica delle PCI la
distinzione tra segni positivi (spasticità, corea, atetosi, atassia) e di segni negativi (aprassia, agnosia)
(slide 3) dovuti a mancata acquisizione di funzioni neurologiche. Secondo gli autori “i sintomi sono
soltanto in parte lesionali ed in gran parte dipendono dal fatto che sin dall’inizio sono mancati
all’individuo gli strumenti per combatterli; gli strumenti sono i “modelli funzionali” che il soggetto
“non ha acquisito”, sono le “funzioni neurologiche” che normalmente si acquisiscono e si affinano
attraverso l’uso e lo scambio con gli altri e con l’ambiente esterno” (slide 4). Questo contributo
introduce l’idea di una dinamica clinica, di una modificabilità del quadro in funzione degli
interventi riabilitativi e dell’interazione con l’ambiente esterno; inoltre il quadro clinico che deriva
tra segni cerebrolesionali e segni cerebrodisfunzionali non è più limitato soltanto alla turba del
movimento e della postura.
La slide 5 propone i percorsi attraverso i quali una LESIONE CEREBRALE (dato anatomopatologico) diventi
DISABILITÀ (dato clinico). La lesione può produrre una alterazione dei
programmi motori determinando disabilità motoria ed eventualmente deformità: è questo il percorso
più conosciuto. Tuttavia può determinare anche una alterazione delle potenzialità di espressione e
decodificazione e quindi disturbi di comunicazione. Infine spesso interferisce con le capacità di
processare le informazioni sensitive e sensoriali: ne può derivare una distorsione delle esperienze
percettive e un’alterazione del rapporto relazionale con i genitori. Il bambino, già all’inizio ma più
spesso nel corso dell’evoluzione del quadro clinico, oltre ad avere difficoltà motorie, può
manifestare un’intolleranza percettiva, con conseguente difficoltà a vivere il proprio corso e che
talora aumenta proprio con il movimento (può non avere, quindi, come gli altri bambini, il piacere
di muoversi); può non acquisire le strategie più adeguate per comunicare con l’ambiente esterno né
per comprendere i messaggi che l’ambiente gli invia Il risultato finale potrebbe essere uno stato di
APATIA MOTORIA E RELAZIONALE. Se non si comprende la dinamica di tali disturbi si può
contribuire ad accentuare le difficoltà interattive e spingere questi soggetti ad un ulteriore ritiro
relazionale.
Questi elementi rendono più complesso il quadro clinico e inducono ad interpretare i sintomi
della PCI come strategie di adattamento all’ambiente. Già nel 1990 Ferrari (slide 6) ha affermato
che “la Paralisi non é l’espressione diretta della lesione ma é la forma della funzione messa in atto
da un soggetto il cui Sistema Nervoso Centrale é stato leso, in risposta alle richieste ambientali”.
Nel 1997 (slide 7) lo stesso autore sostiene: “Al concetto di paralisi dello sviluppo (semeiotica del
difetto) deve contrapporsi l’immagine di sviluppo della paralisi (semeiotica delle risorse) come
della forma della relazione che l’individuo “comunque” cerca di costruire con il proprio
ambiente”.
Possiamo ora abbandonare il vecchio concetto di esito stabilizzato di encefalopatia fissa, per
approdare finalmente ad una dinamica degli eventi nella quale è possibile inserirsi precocemente
per modificarli, almeno in parte, e creare per il bambino il contesto ottimale per la realizzazione dei
compensi più adeguati possibili nelle diverse situazioni e nei diversi ambienti. Agendo in modo
opportuno e precocemente (slide 17) con una presa in carico che non deve essere solo chinesiterapia
ma anche inserimento sociale (slide 18), è possibile interferire con la storia naturale della malattia,
che, come abbiamo visto, non è diretta soltanto verso la turba permanente della postura e del
movimento, ma può comportare anche altre conseguenze neuropsicologiche e psicologiche fino ad
arrivare alla temibilissima apatia motoria e relazionale.
Assume allora maggior importanza la valutazione funzionale precoce del bambino, che
secondo M. Bottos (2003) (Slide 8) può quindi essere impiegata per scopi diagnostici ma al tempo
stesso fa parte dell’intervento terapeutico. Siamo finalmente al concetto di diagnosi terapeutica,
come conferma la slide 9, che riporta l’affermazione di S.Seligman e al. del 1999 “laddove è
possibile identificare problemi di processazione, spiegarne gli effetti ai bambini e ai loro genitori
può avere un valore terapeutico significativo”.
I dati neurobiologici (slides 10, 11) dimostrano come stimolazioni ottimali (quindi né carenti
ma neanche il cosiddetto bombardamento sensoriale) possono indurre non soltanto un recupero
funzionale, ma anche mutamenti delle caratteristiche e della destinazione d’uso della corteccia
cerebrale, che consentano lo sviluppo di funzioni neurologiche di compenso (per esempio il
bambino affetto da cecità congenita può imparare ad utilizzare i suoi lobi occipitali per orientarsi
nell’ambiente utilizzando gli ultrasuoni attraverso i movimenti del capo).
La creazione delle sinapsi procede rapidamente nel corso dei primi due anni di vita (slide
12) e sono presenti circuiti sinaptici ridondanti, che aspettano di essere stabilizzati dall’esperienza.
L’incontro con l’esperienza consente di acquisire, per un processo di epigenesi, funzioni
neurologiche specifiche della specie. Se in un determinato periodo, diverso a seconda della funzione
neurologica, non arrivano gli stimoli ambientali necessari alla stabilizzazione di determinati circuiti,
quindi a far emergere specifiche competenze, i circuiti labili (sinapsi che aspettano l’esperienza)
vengono eliminati, con un processo paragonabile alla potatura di una pianta detto appunto pruning e
si perdono così delle potenzialità fino ad allora non utilizzate. Questo concetto è ben evidenziato
dallo schema di Changeux del 1983, proposto nella parte destra della slide.
Il vecchio e noto schema di Adriano Milani-Comparetti (slide 13) sullo sviluppo
ontogenetico dei pattern motori è più comprensibile alla luce di questi dati neurobiologici recenti.
Milani distingue:
a)
I Pattern Motori Primari valutabili ecograficamente nel feto dalla 10° alle 20°
settimana, innati, afinalistici.
b)
Gli Automatismi Primari (fetali, neonatali ed extrauterini) epigenetici, che hanno
il compito di far acquisire competenze specifiche della specie, in presenza di una
maturazione del sistema nervoso (quindi solo in determinate epoche dello
sviluppo) e dell’incontro con le richieste dell’ambiente e che quindi determinano
lo sviluppo di competenze specifiche, quali la competenza a nascere. Da un punto
di vista neurobiologico sono sottese verosimilmente dalle sinapsi che aspettano
l’esperienza, che sono geneticamente programmate e che, come si è visto nella
slide precedente, vanno incontro al pruning, se, al momento opportuno, non
incontrano le richieste dell’ambiente.
c)
Gli Automatismi Secondari, che sono acquisiti ed individuo-specifici, possibili in
tutto il corso della vita extrauterina e che consentono gli apprendimenti. Sono
verosimilmente sottesi dalle cosiddette sinapsi che dipendono dall’esperienza,
che non sono geneticamente programmate, non vanno incontro al pruning.
Sono probabilmente espressione clinica di ridondanza funzionale i movimenti spontanei del
neonato e del lattante descritti da Prechtl come General Movements (GMs). Nella parte sinistra
della slide 14 vengono descritti i GMs con carattere writhing che si osservano in lattanti normali di
2-3 mesi e che hanno un carattere contorsivo ed i movimenti con carattere fidgety (irrequietezza)
che sono più distali e che costituiscono il pattern motorio tipico del lattante nel secondo trimestre
del primo anno di vista. Le caratteristiche di entrambi questi pattern sono la variabilità dei
movimenti, l’armonia della loro fluenza ed intensità. Inoltre, essi si interrompono di fronte alla
pregnanza di alcuni stimoli visivi (es. scacchiera) o uditivi o tattili, capaci di attivare l’attenzione
del neonato o del lattante. Nella parte destra della slide vengono invece descritti i GMs anormali,
che sono il meno grave poor repertoire, caratterizzato da povertà, monotonia e scarsa reattività
della motilità spontanea ed il cosiddetto cramped-synchronized, con movimenti stereotipati, rigidi,
tendenti alla simmetria; questi due GMs patologici, ma soprattutto l’ultimo, sono predittivi di
disabilità neuropsichica..
Secondo Touwen (slide 15) La variabilità è caratteristica delle normali funzioni, essa è alla
base dell’adattabilità, la capacità di far fronte alla richieste dell’ambiente. Una diminuzione di
variabilità è spesso il primo o uno dei primi segni riconoscibili di un disturbo dell’organismo. Lo
scopo della valutazione neuropsichica del bambino, in qualunque età, è appunto la ricerca delle sue
libertà di scelte operative che consentano l’elaborazione di adeguate risposte alle richieste
dell’ambiente. La presenza di una ridotte variabilità del repertorio comportamentale, con strategie
ripetitive e stereotipate può essere uno dei primi segni di una disabilità e porre l’indicazione ad una
attenzione maggiore diagnostica finalizzata ad una tempestiva presa in carico.
Il bambino sano è un bambino propositivo. Già negli anni 70 Adriano Milani-Comparetti
(slide 16) ha proposto all’attenzione dei neuropsichiatri infantili, dei pediatri e dei neuroriabilitatori
una contrapposizione tra il cerchio chiuso del riflesso stimolo-risposta e la spirale aperta del dialogo
proposta-controproposta. Questo schema di Milani-Comparetti ha una validità sia da un punto di
vista diagnostico, che da un punto di vista terapeutico. Più v’è una riduzione di variabilità nel
bambino e più il rapporto con lo stesso sembra un cerchio chiuso piuttosto che una spirale aperta;
questa riduzione di strategie variabili del disabile interferisce nella relazione con l’ambiente,
riducendo le sue possibilità di dialogo creativo; spesso è questa riduzione di propositività del
bambino il primo segno rilevato con estremo disagio dalla madre e riferito al medico, che deve
quindi, prima ancora di ricercare i riflessi patologici, valutare attentamente la capacità del bambino
di rispondere alle proposte dell’ambiente, con controproposte adattative. Da un punto di vista
terapeutico, la terapia deve porsi come obiettivo quello di creare un contesto terapeutico che
consenta al bambino di utilizzare al meglio le competenze e di acquisire al meglio le funzioni
neurologiche per trasformare i cerchi quasi chiusi in spirali aperte.
È già stata ribadita l’opportunità di una terapia precoce (slide 17) e dell’isnserimento sociale
del bambino (slide 18).
Con Ferrari (slide 19) si sottolinea che la terapia non deve essere TERAPIA DELLA
LESIONE, in cui di fronte ad una lesione ritenuta riproducibile e costante, si utilizza un METODO
TERAPEUTICO in funzione della lesione, che prevede la riproducibilità e costanza dell’esercizio
terapeutico; il prodotto sarà: VIVERE PER LA TERAPIA. Al contrario la terapia deve essere
PRESA IN CARICODEL BAMBINO CON DISABILIÀ, in cui si utilizza una METODOLOGIA
TERAPEUTICA caratterizzata dalla formulazione formulazione di un progetto terapeutico
individuato non stereotipato caso per caso e individualizzato momento per momento, questa è
TERAPIA PER VIVERE.
Finalmente ricordiamo con Milani Comparetti che È necessario prescrivere terapisti e non
terapie, esperienze e non esercizi. (slide 20).
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