emo(zioni) in musica 34 CIUFFI CORVINI, OCCHI CERULEI E PELLI ANGELICHE, ECCO CHI SONO, COSA FANNO E COSA VUOL DIRE ESSERE UNO DI LORO: DAL PUNK AD OGGI TUTTO CIÒ CHE SI PUÒ SAPERE DEGLI PIÙ EMOZIONALI E EMOTIVI ED EMO E BASTA PROTAGONISTI DELLA MUSICA MONDIALE DI VALENTINA GRISPO Quando la musica non è solo qualcosa da ascoltare con il proprio Ipod, ma diventa un vero e proprio stile di vita, gruppi musicali, melodie e sonorità, influenzano il look ed il modo di essere. Il termine emo è strettamente collegato alle sensazioni e ai sentimenti, all’emotività e alle emozioni. Filo conduttore di quello che è diventato uno stile sempre più diffuso e imitato: la musica. L’Emo-style nasce come risposta al punk già negli anni ’80. Oggi Emo (da emotional) è, nella sua accezione più modaiola, sinonimo di stile e tendenza, ma soprattutto di un’indole sensibile. Abbiamo incontrato Alessandro 18 anni e Clara 19 anni che incarnano il prototipo Emo non solo nello stile, ma soprattutto nel modo di essere. “Tutto è par- tito qualche anno fa”, racconta Alessandro, “non ero più soddisfatto dalle sonorità punk-rock e la scoperta di questo genere ha riempito i miei vuoti al riguardo alle mie esigenze musicali. L’adeguamento del look è stato una conseguenza ispirata dai vari esponenti del genere, non una forzatura”. L’identikit del tipo Emo è standard: ciuffi corvini allungati che nascondono sguardi cerulei ed eternamente malinconici in contrasto con pelli angeliche color bianco latte. Corpi esili accentuati da skinny jeans rigorosamente total black, felpe e tshirt che ricalcano le preferenze musicali. Ai piedi le intramontabili Converse o le storiche Vans slip-on, un must quelle a scacchi. E poi spillette, cinture borchiate e skulls sempre e comunque. “Essere Emo”, dice Clara, “vuol dire sentire il pianto di dolore che esce da una canzone e riuscire a percepirlo sulla propria pelle, non basta indossare una maglia a righe o cambiare taglio di capelli. La moda è una cosa, la musica è un’altra”. E’ contrario anche Alessandro alla commercializzazione dell’Emo: “Per me”, spiega, “essere emo significa addentrarsi psicologicamente all’interno di questo genere musicale e sentire davvero quello che trasmette. Non ha importanza come ti vesti, se vuoi ascoltare questo genere puoi farlo anche senza il bisogno di seguire i dettami della moda”. La tracklist delle loro giornate è scandita da gruppi ben precisi dai My Chemical Romance, ai The used passando per i Matchbook Romance, i Silverstein, gli Underoath, I Finch, senza dimenticare i From first to last, i Fall out boy, i Senses failure ed i Funeral of a friend. Il loro rapporto simbiotico con la musica lo si percepisce a pelle “La musica”, dice Ale accordando la sua chitarra, “è tutta la mia vita. E’ una compagna di viaggio che mi segue ovunque vada, se sono a casa è inevitabile che stia ascoltando o suonando musica, se mi trovo fuori ho sempre con me il mio lettore mp3. Per ogni periodo della nostra vita c’è una colonna sonora”. Non una passeggera tendenza modaiola, quindi, ma uno stile di vita che tocca nel profondo il modo di essere. Chi fa parte della cosiddetta emo generation ci tiene a sottolineare la netta linea di confine che li separa dal punk. “Il punk rock”, spiega Clara, “nasce dal senso di ribellione e spensieratezza e dalla voglia di restare eterni peter pan. L’emo invece tratta temi più riflessivi, per lo più tristi, legati ad un amore finito o al senso di inadeguatezza rispetto al mondo”. Sulla differenza tra i due generi dice la sua anche Alessandro: “Il punk è un genere nato negli anni 70 che trae la sue radici dal rock’n’roll e si presenta con suoni aggressivi e frenetici, l’Emo è decisamente più melodico. Anche per quanto riguarda il look la differenza è sostanziale, nel- l’emo style non vedrete mai abiti strappati, catene e vistose creste colorate, quelle sono caratteristiche dei punk del decennio anni 80”, e sottolinea, “ribadisco comunque che per entrambi i generi ogni esasperazione è sbagliata soprattutto da parte di chi punta esclusivamente sull’abbigliamento, ignorando che oltre al guardaroba c’è molto di più”. Sì, perchè gli eterni tristi dalla spiccata sensibilità, convivono con una solitudine cercata, ma non voluta, alla continua ricerca del loro posto nel mondo, sanno commuoversi senza vergognarsene, si rifugiano nella musica da fare e ascoltare e compongono malinconiche poesie sull’abbandono celebrando l’amore perduto. “La precisa volontà del genere emo”, dice Clara, “è appunto emozionare trasmettendo al contempo strazio e rabbia, basta ascoltare una canzone in cui sia presente lo “screamo” ( da “scream” in inglese urlare ndr) per condividere il dolore cantato dall’artista”. Mettere a nudo la propria anima attraverso una canzone, compenetrarsi nel dolore urlato e nel disagio esistenziale cantato, mostrando al mondo la propria sensibilità, tutto questo è Emo, a prescindere da ogni moda. 35 l’l’espe rtone 36 DI SIMONE ZACCARIA Il sound che dà I brividi Vampiri musicali di tutto il mondo uscite dalle vostre bare e spingete il tasto play del vostro lettore mp3: nel sangue inizia a scorrere l’emo. Originariamente il termine emo è stato associato alla scena musicale di Washington DC della metà degli anni ’80, quando bands come Embrace e Rites of Spring si distaccano dalla cruda e dissacrante realtà musicale punk e hardcore per sperimentare un nuovo genere, l’emocore (emotional hardcore), tentando di conciliare suoni e testi allo scopo di emozionare. Già intorno ai primi anni ’90 la scena emo si allarga, contando epigoni a San Diego intorno all’etichetta ‘Gravity Records’ e a New York dove i club cult ABC No Rio e CBGB ospitano bands emo come Rorschach, Native Nod, Merel e 1.6 Band. Con lo scioglimento della maggior parte di questi gruppi si chiude la prima ondata di emocore che nel frattempo ha comunque trovato il tempo e il modo di influenzare la scena musicale dando vita a nuove contaminazioni come ad esempio quello del sound dei californiani Samian e Jawbreaker che uniscono l’emo al pop punk e i canadesi No means No che alternano ritmiche rock aggressive a cantati melodici. Il 1994 è un anno importante perché vede crescere il fenomeno emo grazie a gruppi come Fugazi e Sunny Day Real Estate che suscitano molto interesse con l’album Diary e che iniziano a sfruttare Internet per incontrare il grande pubblico. Questo è anche il periodo in cui l’emocore si divide in due filoni, l’ “hardcore emo“ e l’ “indie emo“. A quest’ultimo appartengono Jimmy Eat World, di Phoenix, i primi punk rockers contaminati dall’emocore ad essere prodotti da una major, la Capital Records (1996). Dal 1994 al 2000 il filone indie emo cresce e si diffonde nei vari stati tanto da indurre le major a tentare di sfruttare la crescente popolarità di questo genere proponendo contratti e imbrigliando le bands, tentativi falliti grazie al progressivo allontanamento dei vari gruppi dalle originali sonorità emo. Da una parte ciò ha salvaguardato l’indipendenza di gruppi come Sunny Day Real Estate, The promise Ring e The Get Up The Kids, dall’altra ha determinato la fine della corrente indie e quindi di tutta la scena emo ‘underground’ . La longevità del termine emo alla fine degli anni ’90 lo si deve in massima parte ai Jimmy Eat World e a gruppi come i Dashboard Confessional i cui sound, nonostante segnino la definitiva lontananza dall’emo delle origini, continuano a creare proseliti e a incontrare il gusto del grande pubblico. L’apertura al mainstream ha generato una moltitudine di bands a cui il termine emo, così come era stato concepito inizialmente, non sarebbe il caso di associare: Brand New, Funeral for a Friend, Alexinofire, Something Corporate, The Starting Line, A Static Lullaby e altri. Tuttavia ad oggi è impossibile distinguere tra chi è emo e chi non lo è proprio perché è la stessa cultura popolare ad aver confuso negli anni i protagonisti di questo genere grazie all’azione di sabotaggio dei veri gruppi emo, tenacemente affezionati alla propria indipendenza. E’ arrivata l’alba carissimi emolettori. Vi suggerisco di tornare nel buio delle vostre bare, diversamente rovinerete quel fantastico pallore che vi rende tanto affascinanti. kool faces DI JOYCE Vanessa 18 anni, Faleria (VT) (ex) I.S.I.S.S. G. Colasanti Qualche tempo fa mi vestivo genere hip-hop, ora sono cambiata e preferisco toppini e jeans stretti da poter mettere negli stivali. Ora non seguo assolutamente nessuna moda a differenza di quando ero un’anima hiphop. Non saprei proprio darmi un’etichetta d’abbigliamento, sono abbastanza “country”. Di giorno mi metto i pantaloni neri con una minigonna jeans sovrapposta e sempre gli stivali, sopra magliettine leggere con colori accesi. La sera non cambio molto l’abbigliamento, però curo l’acconciatura e i particolari..ad esempio con orecchini.. Non potrei mai rinunciare al mio giubbetto jeans..non potrei neanche fare a meno degli anelli che mi ha regalato il mio ragazzo. 38 DUE VULCANI DI CREATIVITÀ QUESTO MESE SU TRIBU: LA SIMO E LA VANE NON LA MANDANO A DIRE. UNA È UNA DECISA SEXY-NOIR, L’ALTRA UNA CAMALEONTICA COUNTRY-GIRL, NOSTALGICA DELL’HIP-HOP Simona 19 anni, Roma (ex) I.S.I.S.S. G. Colasanti Il mio stile è particolare, preciso nei limiti. Amo le magliette e le felpe stile american ma alla fine vesto quello che mi piace davvero.Non sto mai ore davanti all’armadio senza decidermi. Non appartengo ad alcuna tribù, non le sento adatte a me che invece preferisco spaziare tra gli stili senza costrizioni. Non indosso niente di particolarmente esagerato ma mi piace sentirmi bene con quello che ho addosso anche se però la sera quando esco, a seconda di dove mi porta il bel fusto qui a fianco, Antonello, che è il mio migliore amico, decido di essere una persona seria ed elegante.. Non uscirei mai senza il mio anello e un bel paio di scarpe, che sono la chicca decisiva per lo stile di una persona. l’espe rtone stile secondo Vanessa e Simona lo DI VALENTINA GRISPO 39 Passare ai raggi X il look di qualcuno non è facile come si possa credere. Dietro la scelta di ogni capo c’è un microcosmo di gusti e preferenze che solo chi li indossa può spiegare esaustivamente. E’ vero però che l’osservazione attenta dei dettagli di un look è uno degli hobby più praticati e persino materia di studio sociologico. Per questo, anche stavolta, proveremo a scansionare le mìse di due ragazze, Simona e Vanessa. I punti in comune tra i due generi proposti sono direttamente proporzionali ai dettagli che ne personalizzano lo stile. Partiamo dalla più appariscente, Vanessa. Impossibile non notarla con un colore di capelli rosso fiore di zenzero, chiaro sintomo di una personalità divertente e giocosa, che ricorda una Geri Halliwell vecchia maniera, irresistibile, determinata e aggressiva. Fedele ai recenti diktat imposti dai blasonati coiffeur da passerella, Vanessa sfoggia una frangia extralong che copre la fronte in maniera compatta e supera le sopracciglia sfiorando le palpebre. Il suo viso ovale è molto versatile e si presta bene per divertenti esperimenti con gli stili più disparati. La fronte spaziosa crea un gradevole effetto d’insieme spettinato, ma comunque regolare. In tinta con i capelli rosso fuoco, la maglia dolcevita che tuttavia avremmo preferito senza la stampa floreale che rimanda alla celebre (e fin troppo inflazionata) margherita macro del brand Guru. La giacca in denim è arricchita da stringhe in camoscio che ricordano un look vagamente country che rispecchia quanto Vanessa dichiara descrivendo il suo stile. Nei pantaloni, ampi con grandi tasche basse e cerniere, e nelle comode sneakers sportive, c’è un richiamo all’anima hip hop che ha caratterizzato il suo style e che adesso permane nel suo guardaroba pur non appartenendole più. Un dettaglio da non trascurare è la borsa in pvc con inserto in eco pelliccia, sintomo di un trend invernale che ha visto impazzare questa stagione il fur style. Noi, da bravi animalisti promuoviamo esclusivamente quelle sintetiche! Se Vanessa punta al colore della passione, Simona si mantiene sul passepartout senza tempo: il classico nero. Nera la maglia in lycra con scollatura strategica a goccia, nera la giacca in velluto a costine, corta e sciancrata e nera anche la cintura in tela. L’effetto del monobottone, però, non si sposa, a nostro parere, con la linea sago- mata della giacca che crea un effetto poco piacevole alla silhouette. Simona propone una versione inedita in denim lavaggio chiarissimo del classico cargo pant portato ampio, come Vanessa, e basso in vita. Tasche e cinghie sono in contrasto con la giacca, capo classico, ma si legano alle sneakers per un look che punta sull’effetto stretch sopra e sporty sotto. A differenza di Vanessa, Simona sfoggia degli appariscenti monili. Come gli orecchini modello chandelier che rimandano a culture orientali e tratti esotici. A completare la sua mìse ci pensa una pochette monogrammata, inseparabile amica, come lei stessa dichiara, non solo di stile, ma soprattutto di praticità. kool visualz THE JEAN-MICHEL BASQUIAT SHOW LA TRIENNALE DI MILANO DAL 20 SETTEMBRE 2006 AL 28 GENNAIO 2007 DI GIANLUCA VITIELLO ‘The Jean-Michel Basquiat Show’ è il titolo della mostra che si tiene fino al 28 gennaio alla Triennale di Milano. Una vasta documentazione fotografica e una sezione video, con molti materiali inediti, documentano il lavoro dell’artista e il contesto in cui è nata e si è sviluppata la sua arte: la New York degli anni Ottanta. Protagonista emblematico della s c e n a n e w y o rc h e s e d e g l i a n n i ’80, Basquiat è uno degli artisti più popolari dei nostri tempi. Ancora oggi, a quasi venti anni dalla morte, avvenuta quando non era ancora ventottenne nell’agosto del 1988, i suoi lavori e il suo linguaggio continuano ad affascinare il pubblico di tutto il mondo. L’ a t t i v i t à a r t i s t i c a d i B a s q u i a t prende forma nell’arco di soli 10 anni, dal 1978 al 1988. In questo breve periodo la sua febbrile attività lo ha portato a produrre un grande numero di opere sempre caratterizzate da un segno che lo ha reso uno dei grandi testimoni della sua epoca. Le opere sono esposte secondo un percorso che consentirà l’ap- profondimento di alcune delle tematiche care all’artista tra cui: l’uso ricorrente della parola sin dalla sua attività come graffitista ‘sui generis’, quando firmava SAMO i suoi aforismi e le sue brevi poesie sui muri di Downtown; il forte legame con il mondo della musica; le sue radici afroamericane; la costante ricerca di un’identità nei numerosi autoritratti che svelano fragilità e ambizioni, il desiderio di riconoscimento e la fama travolgente; la scena artistica degli anni ’80 e la profonda amicizia con Andy Warhol. L’allestimento delle opere consente ai visitatori della mostra di entrare a far parte di un mondo che oscilla tra infanzia e perdita dell’innocenza, di godere dello slancio vitale che anima il gesto e l’uso del colore, e di comprendere al tempo stesso l’orrore e la sofferenza contenuti nei segni, nelle parole e nelle forme. Tutto ciò attraverso i materiali poveri che Basquiat utilizza fin dalle prime esperienze di street art, stabilendo un legame profondo con il mondo della strada, un ponte tra quella vita da ‘refusè’ che lui, giovane nero di estrazione borghese, aveva deliberatamente cercato, e la nuova dimensione di agio e fama cui la sua arte e le leggi del mercato dell’arte lo hanno condotto. All’interno del percorso espositivo è previsto l’allestimento di una sezione fotografica con contributi di alcuni dei più famosi fotografi che hanno documentato la vita e il lavoro di Basquiat. Evento speciale è la proiezione del film ‘Downtown ‘81’ in cui Basquiat interpreta se stesso e di cui ha prodotto le musiche. Il film racconta la giornata di un artista underground newyorchese, documentando l’effervescenza culturale e creativa della New York degli anni ’80. 40 kool visualz A CURA DI OMBRETTA MOTTADELLI 1) PIUMINO in nylon lucido, multitasche e zippato. Con collo, fascia in vita e polsi in maglia a costine Fay SFRECCIARE SOTTOZERO PEZZI SUPERTECNICI PER GODERSI AL MEGLIO LA SETTIMANA BIANCA PROTEGGENDOSI DAL FREDDO INVERNALE E AUMENTANDO LA RESA SU PISTA 2) EDIZIONE LIMITATA per la slitta da competizione professionale personalizzata con i colori del BMW Sauber F1 team 1 3) SCI per il puri freeride per infinite discese su pendii vergini sulla e nella neve alta e polverosa. Perfetto per per il galleggiamento su neve fresca. Modello Watea di Fisher 6 3 8 4) MODELLO THRAMA dim matic con banda elastica regolabile e logo a contrasto e lenti antiappannamento BRIKO 5) SCARPONI da sci modello Attiva Ert con scarpa interna in tessuto termoisolante, ergonomici per professsionisti della neve Tecnica 6) DOPOSCI per camminare nella neve alta senza pericolo di bagnarsi i piedi, in gomma stringato con eco-fur interna ed esterna Najoleari 7) FRONTE E RETRO del paio di guanti tribute in tessuto tecnico con disegno stampato per gli amanti dello snowboard Billabong 8) TESSUTO HIDRANEK FLORIDA per i pantaloni imbottiti strutturati in funzione di un uso tecnico intenso, taglio curvo per aggevolare il movimento Aesse Canadiens 9) CASCO Rn’s 500 limited. Sistema air cooling per una ventilazione ottimale, paraorecchie morbidi per un maggior confort e per non limitare la capacità uditiva Quechua 4 2 9 5 7 41 news by art kitchen DI ART-KITCHEN WEB 2.0 POSTER Utilizzando la pixel art (stile artistico che si rifà alle grafiche dei videogiochi 80’s) il collettivo Eboy hello. eboy.com (4 giovani designer di Berlino) ha realizzato questo poster. Inserendo i vari topic, web-site propri della rivoluzione del Web 2.0 ne da un’immagine urbana che ben le si addice (per un approfondimento si veda www.wikipedia.org e precisamente (http://www.wikipedia. org/wiki/Web_2.0) Ottimo regalo per i patiti di Internet A LOT OF WHEELS, A LOT OF FUN Un numero impressionante di ruote (ben quattordici!) per questo skate. Frontside e backside proprio come uno snowboard, scivolare tra una curva e l’altra su discese d’asfalto. Possibilità nuove di affrontare ostacoli urbani. Nato dalla creatività di Mike Evers e Maaike Simonian www.mikeandmaaike.com (gli stessi che hanno disegnato l’X-box) è acquistabile su internet: www.flowlab.com 42 DAN WITZ Storico artista di street art americano, capace di creare opere in acrilico fotorealistiche di piccole dimensioni, cammei d’arte che, sebbene la loro misura ridotta, spiccano tra grandi scritte, stencil e tag. Aguzzate lo sguardo. CUSTOMIZE YOUR SHOES Rendere le sneakers opere uniche. Ottimo proposito per questo collettivo italiano. Basta mandare via e-mail un disegno, un progetto, un concept, scegliere il modello di scarpa e in 15, 20 giorni la propria scarpa personalizzata è pronta. Tutto fatto a mano. www.rockn.it ALTA FEDELTA’ Nick Hornby Edizioni Guanda DI SIMONA MASTRANGELO top of the trip GLI OASIS E IL BRIT-POP. COME SENTIRSI VIVI NEGLI ANNI ‘90 Luca Bonanni Edizioni Ferdinando Lo Vecchio T utti i fan degli Oasis, ma anche gli amanti della musica in generale e ancor più quelli del rock, troveranno il libro di Luca Bonanni estremamente interessante e puntuale. Il rock, nato negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, vive una felicissima stagione con i complessi beat inglesi dei primi anni Sessanta che possono vantare un successo e una diffusione planetari. Parliamo dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who. All’inizio degli anni Novanta, dopo esperienze di vario genere, con l’esplosione del brit-pop, l’Inghilterra può festeggiare la rinascita del rock britannico e il ritorno ai fasti del passato. Nel 1989 l’album di debutto degli Stone Roses si impone per l’inedita ricerca di attualizzazione e modernizzazione delle melodie dei Beatles che lo contraddistingue. Proprio un concerto degli Stone Roses sarà un’esperienza così folgorante per Liam Gallagher da fargli provare il desiderio irresistibile di far parte di una band. Dopo una breve panoramica su alcuni gruppi inglesi che hanno contribuito al solidificarsi del nascente brit-pop come i Ride o i Charlatans, si passa ad analizzare, con grande perizia, il fenomeno Oasis. Frammenti delle biografie dei fratelli Gallagher vengono incastonati qui e lì per scavare più a fondo nella natura dei testi delle canzoni. La vita difficile nel grigio- re di Manchester, il rapporto pessimo con un padre violento, le difficoltà economiche, sono tutte componenti che lasciano un segno nella musica della band inglese. Noel, chitarrista e autore di quasi tutte le melodie e i testi, individua molto presto nella musica una via di fuga; Liam, il cantante, ci mette qualche anno in più. L’incontro tra la voce dell’uno e il talento dell’altro produce nel ’94 lo splendido disco Definitely maybe che vola rapidamente in cima alle classifiche della Gran Bretagna. In poco tempo gli Oasis diventano il gruppo rock inglese più popolare degli anni Novanta. Ogni album prodotto dalla band viene descritto attraverso un’attenta analisi dei pezzi che lo compongono centrata sulle melodie e sui testi, di cui sono citati, in originale e in traduzione, i passi più significativi. Nella sezione finale del libro, chiusa l’ampia parte dedicata agli Oasis, c’è ancora spazio per le altre band protagoniste del brit-pop, dai Pulp ai Verve, passando per i Blur e i Radiohead. La competenza con cui Luca Bonanni descrive la scena musicale inglese è quella di un addetto ai lavori, ma il tono è quello appassionato e caldo di un grande amante del rock che vive visceralmente la sua passione e vuole che altri la condividano. Se il fine è quello di fissare sulla pagina scritta qualcosa che brucia dentro, il linguaggio utilizzato si caratterizza per un’originalità, una freschezza e un’immediatezza che consentono anche ai profani che vi si avvicinano per la prima volta di rimanere affascinati dall’universo musicale inglese. “Le cinque migliori <<canzone 1- lato A>> di tutti i tempi? <<Janie Jones>>, dei Clash, da The Clash; <<Thunder Road>>, di Bruce Springsteen, da Born to run; <<Smells like teen spirits>>, dei Nirvana, da Nevermind; <<Let’s get it on>>, di Marvin Gaye, da Let’s get it on; <<Return of the grievous angel>>, di Gram Parsons, da Grievous Angel.” Rob Fleming, il protagonista del romanzo, è prima di tutto un appassionato di musica. Londinese, ultratrentenne, gestisce un negozio di dischi insieme a Dick e Barry, due tipi stravaganti che condividono con lui la pessima abitudine di maltrattare i clienti che abbiano gusti musicali dissimili dai loro. Oltre a questo, spendono moltissimo tempo a stilare classifiche di ogni sorta: top five musicali (tanto di moda, ultimamente), sul cinema e su cose inerenti la vita privata. Rob è stato mollato di recente da Laura, la sua ultima fidanzata, e cerca di fare chiarezza nella sua vita ripercorrendo le tappe più significative delle sue storie sentimentali e riflettendo su cosa ci sia di sbagliato in lui e nelle persone che lo circondano. Al riparo delle pile di cd che invadono ogni spazio abitabile che lo circondi, Rob continua a comportarsi da eterno adolescente e fa fatica ad assumersi delle responsabilità. Lunghe riflessioni volte all’autoanalisi si alternano, con sapiente equilibrio, a dialoghi, scene e situazioni della vita di tutti i giorni tratteggiati con profondità ed ironia. . MOSCHE A HOLLYWOOD Alessandro Fabbri Edizioni minimum fax M 43 osche a Hollywood è il romanzo d’esordio di un giovane scrittore di Ravenna cresciuto a telefilm americani. L’America, il grande sogno, viene smitizzata attraverso uno sguardo disincantato e ironico che dà corpo a luoghi comuni solidi e autentici come esperienze reali. Los Angeles è una città decadente, in cui vecchi divi del cinema imbracciano fucili e fanno fuoco sulle lettere della scritta Hollywood perché la trovano volgare, scaduta. In questo universo impazzito si muovono Luca e la sua fidanzata, Chiara. Lui sogna di trasferirsi in California e scrivere un soggetto per un film. Viaggiano attraverso le strade desertiche della Valle della Morte finché si imbattono in due tizi poco raccomandabili che portano con sé una grande borsa verde, raccontano di aver avuto un guasto alla macchina e chiedono loro un passaggio. Di qui inizia una serie rocambolesca di colpi di scena, imprevisti e peripezie che si affastellano tra inseguimenti e sparatorie: Chiara viene rapita dai due autostoppisti e Luca, per riaverla, dovrà portare fino a Los Angeles, superando svariati posti di blocco, la misteriosa borsa verde. Il suo contenuto? Sette milioni di dollari, il frutto di una rapina. Una trama avvincente, costruita in modo da tenere il lettore con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina.