“Diritto” è un termine usato negli stati moderni per indicare in genere

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INTRODUZIONE
“Diritto” è un termine usato negli stati moderni per indicare in genere un insieme di norme
(contenute in un testo ufficiale) applicate imparzialmente da giudici dello stato a singole
controversie con lo scopo di mantenere la pace sociale; il rispetto delle decisioni dei
giudici è garantito dalla minaccia dell’uso della forza da parte dello stato.
La storia mostra che anche le società primitive, cioè prive di un’autorità centralizzata
al di sopra dei gruppi familiari, conobbero varie tecniche per risolvere le liti e
assicurare un’ordinata convivenza. In particolare, per le liti di carattere privato si
affidarono alla tecnica della mediazione, prevedendo cioè che un intermediario
convincesse i litiganti a riconciliarsi oppure che le parti in lite si rivolgessero a un
arbitro, rimettendo a questi il giudizio circa chi avesse ragione e chi torto. Nel caso in
cui la lite non avesse carattere strettamente privato ma fosse derivata da
un’aggressione fisica o da un furto contro la proprietà, le società senza stato
tendevano a risolvere la questione affidandosi al principio della vendetta.La vendetta è
l’aspetto più caratteristico del diritto arcaico e delle società tribali. La vittima di
un’offesa aveva il dovere di vendicarsi ma doveva farlo nel rispetto di alcune regole
fondamentali: la vendetta deve essere proporzionata al torto subito (“occhio per
occhio, dente per dente”) e deve essere compiuta a danno del colpevole oppure
anche contro gli appartenenti al suo clan.Con la trasformazione delle società tribali in
confederazioni territoriali e l’avvento di un’autorità centrale (dal 2000 a.C. in poi) si
affermarono quindi istituzioni giuridiche assai più simili a quelle dello stato moderno.
L’esempio storico più significativo di graduale evoluzione dal diritto di una società
tribale al diritto di uno stato territoriale è certamente il diritto romano, al quale si è
ispirata la maggior parte degli ordinamenti giuridici del mondo.Fino al VII secolo a. C.
il diritto romano era un diritto trasmesso oralmente e la società viveva nel rispetto
delle consuetudini; il diritto aveva carattere religioso e la sua interpretazione era
affidata a sacerdoti chiamati pontefici provenienti dalla classe patrizia.Nel V secolo
a.C., a seguito della rivolta minacciata dalle classi più povere che si sentivano
discriminate dai pontefici, fu allora emanato un codice di leggi scritte, la legge delle XII
tavole. Anche se si trattò in realtà di una raccolta di consuetudini già esistenti, fu
comunque importante perché per la prima volta affermò il valore di un diritto scritto
accessibile a tutti.L’idea romana di un diritto formulato per iscritto in una lingua
accessibile a tutti, in stile semplice e chiaro, attraversò tutto il Medioevo, il
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Rinascimento e l’Illuminismo per giungere in Italia in età comunale; arrivando a
costituire il modello delle codificazioni ottocentesche del diritto civile. Nel XIX secolo in
Europa occidentale s’assistette quindi a una decisiva trasformazione nel processo di
formazione del diritto: il potere generale di emanare le leggi venne infatti affidato ai
parlamenti che andavano costituendosi nei vari stati. Tale potere divenne sempre più
ampio, arrivando a incontrare una sola limitazione, cioè che le norme emanate non
fossero in contrasto con la costituzione, informando di sé anche i sistemi legislativi di
oggi.
Nel diritto moderno e contemporaneo, un importante compito spetta comunque anche ai
giudici: in alcuni casi la legge scritta, formulata in termini generali, non offre infatti
soluzioni adeguate per decidere tra due litiganti chi abbia ragione e chi torto e il giudice
deve allora costruire una norma per risolvere il singolo caso. Questa norma non ha il
valore di una legge ma in alcuni ordinamenti essa influenza le decisioni successive di
altri giudici in casi simili.
Diversa è stata l’evoluzione del diritto angloamericano. Prima della conquista normanna
(1066) l’Inghilterra era una società priva di un potere centrale; furono i sovrani
anglonormanni a creare un sistema di corti centralizzate, che decidevano in base alle
consuetudini comuni conosciute con il nome di diritto comune, e sulle quali è andato
costruendosi l’ordinamento giudiziario britannico.
La base dell’odierno common law è il principio secondo il quale il giudice di oggi è
vincolato dalle decisioni prese dai suoi predecessori; il common law si è quindi formato
come diritto creato dai giudici in contrapposizione al sistema che è invece il diritto
europeo continentale, radicato nella tradizione del diritto romano e rinnovato dalle
moderne codificazioni.
Il common law è decisivo anche nel guidare l’interpretazione e l’applicazione del nuovo
diritto legislativo, formatosi in Inghilterra per l’intervento del Parlamento a partire dalla
Rivoluzione industriale, quando fu avvertita la necessità di un diritto certo e accessibile
a tutti.
Il diritto romano
Tutto quello che sappiamo lo dobbiamo a storici romani in particolare Tito Livio e
Dionisio di Alicarnasso. Abbiamo poi alcuni ritrovamenti archeologici e possiamo rifarci
anche alla toponomastica. I romani avevano la tendenza a far risalire indietro nel tempo
le istituzioni più importanti, per darvi maggior prestigio; questo avviene anche con
istituzioni di periodo repubblicano; questo ad esempio è il caso di condanna a morte,
dove si poteva fare appello al popolo (provocatio ad popolum).
Monarchia
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Roma sorge improvvisamente dal nulla: Romolo (re Albano) dopo essersi allontanato
da Albalonga fonda dal nulla questa nuova città: la fonda nel 754 sul Palatino, riunisce
intorno a sé tutti coloro che non si trovano bene ad Albalonga e tutti coloro che non
possono/vogliono abitare nelle altre città del Lazio. Raggiunto un certo numero di
popolazione, prende 100 fra i più importanti cittadini di Roma e fonda il Senato: i
senatori verranno detti “patres” e daranno origine ai patrizi. Dopo di che Romolo
cercherà moglie (ratto delle Sabine). La città si amplia e Romolo sarà costretto a dare
origine alle curie: dividerà la popolazione in 30 zone e quindi in 30 curie: ogni curia avrà
un decurione a capo di essa: queste curie saranno rappresentate e daranno origine ai
comizi curiati. Sicuramente non si può pensare che Roma sia nata dal nulla: intorno
all’anno 1000 popolazioni indo-europee hanno occupato il Lazio nella zona fra il Tevere
e i colli Albani (latini): intorno all’anno 1000 popolazioni di origine ariana hanno
raggiunto l’Italia (Sabini). I latini erano inceneritori (bruciavano i loro morti): i Sabini
erano inumatori (seppellivano i loro morti). Intorno all’VIII secolo sono giunti gli etruschi:
alcuni villaggi basati sull’agricoltura, altri sulla pastorizia. Dopo varie lotte è nata
l’esigenza di stabilità; quindi una popolazione che derivava da 3 diversi ceppi ha dato
origine ad una civitas. Questo non è sicuramente avvenuto nel 754; probabilmente
intorno all’VIII IX secolo. Già i romani avevano poche notizie certe del periodo: avevano
notizia dell’esistenza di 7 re. Nel 509 era stata fondata la repubblica; la vita media di un
regno era di 35 anni e quindi avevano calcolato da qui la data di fondazione.
Sicuramente Roma all’inizio è governata da un re; il re deve mantenere la pace fra la
popolazione e la divinità. I romani sono molto religiosi. Derivante da questo potere è
quello militare: il re romano ha una potestas vastissima: oltre che a comandare il popolo
decide se e quando è giusto stipulare un’alleanza o attaccare un nemico, se e quando
combattere. Questo potere è di origine divina, perché secondo i romani il re decide in
base a segni, agli “auguria” e agli auspicia”.
Poteri amministrativi che si visualizzano nell’amministrare la giustizia. Il re è colui che
conosce le leggi di tutte le comunità che si sono riunite e hanno fondato una civitas: è
colui al quale i cittadini si devono rivolgere per avere giustizia. Nello svolgere questo
suo compito dà origine alle leges reges. Gran parte della dottrina ritiene che in realtà
siano vere e proprie leggi e che fosse compito dei comizi curiati emanare leggi: in realtà
non è così: non sono altro che ordinanze del rex che decide la singola controversia:
queste leggi avranno poi valore di precedente e costituiranno una norma di diritto che
tutti i consociati dovranno rispettare. Non può però fare tutto da solo: necessita di alcuni
ausiliari; per quanto riguarda i compiti militari sarà aiutato dal magister popolus e dal
magister equitum. Il primo ha il compito di radunare il popolo atto alle armi: è un
sottoposto del rex e ha il potere di sostituirlo in guerra quando il re è occupato a Roma
in questioni politiche; il secondo ha il compito di radunare la cavalleria e di comandarla.
Alla morte di Romolo si pone il problema di chi succederà al trono. I senatori non
riescono a mettersi d’accordo. Viene fondato l’inter-regnum; si decide che vengano
nominati 10 senatori, ognuno dei quali detiene il potere per 5 giorni alternativamente in
attesa che giungano segni divini che disignino un nuovo re. Questo interregno dura un
anno. La plebe comincia ad essere insoddisfatta e minaccia una sommossa.: quindi il
senato affida ai comizi il compito di scegliere il re, anche se questi deve essere
approvato dal senato. La plebe sceglie di rifarsi al senato che nomina Numa Pompilio
che con una lex curiata de imperio viene approvato dai comizi. Così approvato Numa
Pompilio deve sottoporsi alla inauguratio ossia all’approvazione della divinità e poi
assume il potere. Il re è elettivo: sappiamo che esiste un periodo, detto inter-regnum in
cui c’è latitanza di potere. Sappiamo che i comizi hanno il potere di nominare il re e di
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dargli tutti i poteri tramite la lex curiata de Imperio. Sappiamo che il senato ha funzioni
consultive e deliberative e che esistono cerimonie religiose per dare valore al re
(inauguratio). Il re era elettivo. Nel momento in cui moriva un re scattava l’inter-regnum.
I comizi hanno il compito, tramite lex curiatia de imperio di dare potere al re: anche se
non si tratta tanto di una legge quanto di un’approvazione del popolo. Il senato avrà il
compito di fare la creatio e a volte di fare il nuovo re. Tutto questo è dimostrato dalla
presenza nel calendario romano della sigla Q.R.C.F. (24 marzo e 24 maggio) (quando
rex comitiavit fas) (i fas sono i giorni fasti in presenza dei comizi). Mentre Romolo era
un re guerriero che si dedicava a guerre di conquista, Numa si dedicò a culti e leggi.
Vennero introdotti i mos majorum e il rispetto dei culti; grazie a Numa vennero istituiti i
collegi dei pontefici, degli auguri e quelli dei fezziali. Il re non poteva dedicarsi a questa
attività sempre, era quindi necessaria l’istituzione di collegi per le leggi e i culti, fra i
quali il collegio dei pontefici, che raccoglieva le leggi, ne tramandava notizia e aiutava i
privati cittadini nel caso di controversie. A questi vanno affidata la memoria dei mores
majorum, cioè l’unico vero diritto che i romani conoscevano in questo primo periodo.
Qualsiasi privato cittadino che volesse conoscere le leggi doveva rivolgersi ai pontefici:
per questo i 5 pontefici a turno erano a disposizione per agere, cavere, rispondere. Cioè
davano ai privati responsi su questioni di diritto; suggerivano ai privati come comportarsi
per porre in essere negozi giuridici. Ai pontefici ci si rivolgeva anche per le prescrizioni
dei riti sacri. I fezzaioli invece avevano il compito di occuparsi dei rapporti internazionali;
spettava a loro decidere eventuali trattati con città; stabilire se tali trattati erano equi o
iniqui. Se era stato rispettato. Se e con chi bisognava combattere, cioè se era il caso di
fare una guerra giusta. Inoltre a loro spettava la dichiarazione di guerra secondo il rito
dovuto. Il feriale doveva rivolgersi al suo corrispondente nemico e fare la dichiarazione
di guerra. Solo dopo questa dichiarazione e dopo la formale risposta poteva iniziare la
battaglia. Sempre secondo Livio sappiamo che fu introdotto il collegio degli auguri.
Questo collegio doveva interpretare i segni che la divinità dava. A seconda
dell’interpretazione si avevano gli “auguria” o gli “auspicia”. I secondi li traevano i
magistrati (cioè il re) e consistevano nel cercare di capire come andrà un singolo atto
che si sta per compiere. Gli auguria sono più complessi e riguardano il destino o “di
tutta la popolazione” o la vita dello stesso rex e avendo ripercussione su tutta la
popolazione possono essere letti solo da poche persone selezionate (collegio degli
auguri: 5 membri vitalizi che custodiscono in segreto il modo di interpretare gli auspicia).
L’amministrazione dello stato
Vige sempre il principio di ubi societas ibi ius: regole per pacifica convivenza. Questa
collettività decide di darsi un capo e sceglie la forma costituzionale più opportuna e dà
origine alla monarchia. Sceglie un rex secondo un modello elettivo. Alla morte del re
inizia l’inter-regnum, si convocano i comizi e il senato ratifica la scelta degli stessi. Dopo
di che avviene l’inauguratio. Al re vengono poi attribuiti poteri particolari. Il re ha funzioni
religiose politico/amministrative e militari. Deve scegliere l’organizzazione migliore della
città ed è giudice supremo. Ha anche poteri di coercitivo, ossia di polizia. Spetta al re
mantenere la pace e ha il compito di far arrestare, fustigare e di erogare le multe. Ha
poi il potere religioso. Nelle sue funzioni religiose si fa aiutare da collegi sacerdotali, dei
feriali, auguri, e dai pontefici. Quest’ultimo è il più importante perché deve controllare
che sia mantenuta la pace e il rispetto delle leggi. Determinando il “fas” ed il “ius” questi
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ha già la funzione della interpretatio. I pontefici sono gli unici che conoscono i mores
ossia le norme che regolavano le comunità pre-civiche che hanno anticipato Roma. I
privati devono necessariamente rifarsi ai pontefici. I pontefici possono anche creare una
nuova norma giuridica senza violare i fas (ossia le regole divine). Accanto ai pontefici
c’è il collegio degli auguri: e poi il collegio dei feziali che ha il compito di controllare le
relazioni internazionali. Accanto a questi tre collegi vi è un collegio solo femminile, che è
quello delle vestali, che soprattutto in età arcaica ha grande importanza. Vesta è una
divinità che presiede la pace domestica e familiare. Viene quindi istituito questo collegio
e le vestali sono sacerdotesse della divinità: queste devono essere vergini, scelte fra le
fanciulle patrizie con un’età fra i 6 e i 12 anni. La carica dura 30 anni. Hanno tre compiti:
mantenere vivo il fuoco di Vesta; devono provvedere alla pulizia del tempio e devono
preparare la “mola salsa” (farina e acqua che servivano per i riti sacrificali). Le donne
che diventavano vestali uscivano dalla patrias potestas del pater familias e acquistano
capacità giuridica: ma erano soggette al pontefice massimo. Le vestali che compivano
atti impuri erano soggette a pene quali la vivisepoltura.
Livio menziona subito il senato e i comizi. Dal punto di vista costituzionale Roma ha già
tre organi: re, senato e comizi. La tradizione ci dice che da subito furono scelti 100
patres.questi erano i capi delle gentes o delle familiare che si erano unite per dar vita
alla civitas. Le gentes sono famiglie allargate che pretendono di avere un unico avo in
comune, cioè un’unica stirpe ed un unico nome familiare. I capi di queste famiglie e
delle gentes formano il collegio dei senatori. Questi hanno tre compiti: inter-regnum,
l’auctoritas, consultum. L’altro grande potere è l’auctoritas, che consiste nel potere del
senato nell’approvazione dei comizi. In questo caso l’auctoritas si esplica in due modi:
lex curiatia de imperio e la adrogatio (adozione di un pater familias da parte di un altro
pater familias).
Il consultum sono consulti che il senato da al re; il re ogni volta che prende una
decisione deve presentarsi al senato per averne l’approvazione. Non si rivolgerà al
senato solo per decisioni repentine in campo militare. Accanto al senato ci sono i
comizi, cioè l’assemblea popolare. In età regia i comizi sono comizi curiati. Questa
assemblea nasce dalla divisione territoriale che avviene alle origini; 3 tribù, Ramnes,
Tities, Luceres. Ramnes sono gli abitanti del palatino, il cui nome forse deriva da
romolo. La seconda sono i Tities, di origine sabina, abitanti il campidoglio. I Luceres
sono di origine etrusca. Questi vengono poi divisi in 30 curies (unione di uomini).
Ognuna delle 3 tribù dà origine a 10 curie. A capo di ogni curia c’era un curio che aveva
il compito di radunare le curie. Solo patrizi formavano le curie. La divisione in curie ha
importanza amministrativa, perché dalle curie nasce l’esercito. Ogni curia deve fornire
all’esercito 10 cavalieri e 100 fanti. Ha funzioni politiche durante i comizi curiati. Queste
funzioni sono: convocato dall’inter-rex deve fare la nomina del nuovo re o quando si
riunisce per la lex curiatia de imperio. Può essere riunito dal re una volta al mese
perché davanti ai comizi il re deve presentare il calendario (basato sulle fasi lunari) che
stabilisce i giorni fasti e i giorni nefasti. Giorni nei quali si può chiedere giustizia,
feste,…Nei giorni nefasti al contrario non si può far niente. Oltre a questo il re convoca
giudizi anche per rendere partecipe l’assemblea popolare delle sue decisioni. I comizi
saranno poi convocati anche per giudizi che riguardano la vita privata del re: hanno un
duplice servizio. Funzioni deliberative o di testimoni. Deliberative quando decideranno
per la adrogatio. Le deliberazioni potevano avvenire solo il 24 marzo e il 24 maggio.
Solo due volte l’anno potevano essere convocati i comizi con funzione di testimoni. Non
si parla in questo caso di comizi curiati bensì di comizi calati. Gli atti solenni che
causano la convocazione dei comizi curiati sono la inauguratio, testamentum, calati
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comiti, detestatio sacrorum. Quando un pater familias decide di abbandonare la propria
gens deve dichiarare pubblicamente che intende abbandonare i numi di quella gens
(detestatio sacrorum). L’inauguratio è la presa degli auspici per il re. Testamentum
calati comiti che è l’unica forma di testamento dell’età arcaica. Doveva indicare
pubblicamente chi doveva succedergli alla morte. Questo atto doveva essere compiuto
davanti ai comizi curiati.
Le fonti di produzione di età regia sono i mores: le leggi rege sono fonti di diritto, ma
non sono leggi in senso tecnico. Norme di diritto criminale e privato e amministrativo.
Erano previsti degli obblighi sia personali che patrimoniali (numera e vectigalia). Norme
di diritto criminale: il crimine sono tutti gli atti lesivi della comunità; sia che la offendesse
direttamente sia che offendesse un singolo individuo che colpisce la comunità. Le
norme del diritto privato: riguardano la patria potestas, il dominius, l’esecuzione
personale e il testamento. Distinguono i beni di primaria importanza (res mancipi) e gli
schiavi. Sono norme che regolano anche il trasferimento di proprietà. Ci sono norme
che riguardano l’esecuzione personale, cioè norme che riguardano il debitore
insolvente. Principio partes secante: uccidevano il debitore e ne dividevano i pezzi fra i
creditori.
Testamento: deve lasciare il patrimonio agli eredi legittimi. Se non ha eredi diretti e non
fa adrogatio si ricorre al testamento. Patrizi sono i senatori e i loro discendenti, gli altri
sono plebei, secondo Livio.
Patrizi sarebbero coloro che con la forza e per primi hanno acquistato un pezzo di terra
nella civitas. Plebei sarebbero coloro che meno forti non sono riusciti ad acquistare una
propria terra e hanno dovuto usare la terra altrui.
Fino alla fondazione vi era una zona destinata a raccogliere coloro che chiedevano
protezione alla nuova civitas: tutti coloro che avevano compiuti atti illegittimi nella
comunità di appartenenza o che erano in disaccordo con i loro capi erano accolti a
Roma. Sembra che la distinzione nasca da questo asilium. Patrizi sarebbero le prime
tre tribù: plebei quelli che hanno chiesto asilo politico a Roma. Nella Roma regia c’erano
anche i “clientes” ossia persone che necessitavano di protezione e la chiedevano ai
patrizi. Questi clienti ricevevano vantaggi ma avevano anche numerosissimi doveri nei
confronti dei loro patroni. Dovevano aiutare i patroni nella dote della figlia, dovevano
pagare i debiti del patrono o il riscatto nel caso in cui il patrono fosse stato fatto
prigioniero in guerra. Dovevano rispettare la buona fede e dovevano sopportare pene
cruente nel caso mancassero la parola data. I plebei sono un ordine di cittadini: il ceto
sociale meno forte, meno ricco e con nomi meno altisonanti, senza eponimi (cioè non
avevano discendenti illustri). Patrizi e plebei non potevano sposarsi fra loro. Pastorizi,
agricoltura, anche se molto limitata. Conoscevano solo la produzione di cereali, in
particolare del farro. Il fatto che l’economia si basasse su pastorizia e agricoltura fa si
che sorgano numerose punizioni legate alla coltivazione dei cereali (tipo: furto notturno
di messi).
Fase della monarchia etrusca. Livio traccia un racconto piuttosto attendibile; l’ultimo re
latino è Anco Marzio, durante il suo regno nuova gente arriva a Roma, fra cui
Lucumone. Di origine greca si trasferisce a Tarquinia, dove diventa ricco ma non ha
possibilità di carriera. Si trasferisce quindi con Tanatillia a Roma. Giunto alle porte di
Roma si ha il primo prodigio: un’aquila ruba il copricapo a Lucumone e dopo aver
volteggiato per un po’ glielo restituisce. Tanatillia, di origine etrusca, capisce che questo
è un segno divino e che Lucumone diventerà importante. Lucumone diventa talmente
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amico del re da diventare tutore dei figli del re. Acquisisce un nome romano, Tarquinio
Prisco. Alla morte di Anco Marzio decide di far radunare i comizi curiati per indire le
elezioni. Indotto il comizio Tarquinio allontana da Roma i due figli di Anco marzio e si fa
eleggere Re. Chiede l’inauguratio. Una volta diventato re cerca di stringere alleanze con
forze minori della popolazione, con coloro che non sono patrizi e per fare questo amplia
il senato: lo espande a 300 elementi. I nuovi senatori vengono definiti senatori delle
genti minori. Provengono probabilmente dalla classe plebea. Decide poi di allargare
Roma: durante una guerra di conquista si rende conto che un esercito di fanti non può
riportare grandi vittorie. Aumenta così il numero delle centurie e dei cavalieri. Torna a
Roma e istituisce dei giochi che verranno celebrati nel circo massimo; se dedica poi alle
alleanze e alla lega latina. Durante il suo regno Tanatillia assiste ad un altro prodigio.
Nella reggia c’è la culla di un fanciullo, figlio di una schiava, e la testa del piccolo prende
fuoco. Quando il bambino si risveglia il fuoco cessa. Da qui capisce che il fanciullo è
destinato a subentrare a Tarquinio Prisco. Questo è Servio Tullio. I figli di Anco Marzio
non hanno mai perdonato al loro tutore di averli privati del potere. Nel momento in cui si
rendono conto che il futuro re sarà il figlio di una schiava ordiscono una congiura che
riesce. Due privati cittadini riescono ad uccidere Tarquinio Prisco. Tanatillia con
l’astuzia riesce a risolvere il problema. Finge che il marito non sia morto e davanti ai
comizi proclama che il re sarà sostituito da Servio Tulio fino alla guarigione del re. E più
tardi con l’aiuto dell’esercito si impone come re. Dopo alcune guerre di conquista Servio
Tullio si occuperà della sistemazione della popolazione. Darà origine ad un censimento
e sarà divisa in classi di reddito. Si avranno 5 classi: 40 centurie di seniores e 40
centurie di juniores; poi 10 centurie di seniores e 10 centurie di juniores; poi 15 centurie
di seniores e 15 di juniores. Poi ci saranno 18 centurie di cavalieri, 4 centurie di artigiani
e musici e infine un’ultima centuria caratterizzata dai nullatenenti. Dividerà poi il
territorio in tribù: 4 tribù urbane e successivamente alcune tribù rustiche. Dopo
quest’opera di censimento si darà all’opera muraria e cingerà Roma delle mura
serviane. Istituirà il Pomerium, zona esterna alle mura nella quale non si potrà tenere
alcuna riunione politica. Ma la sete di potere fa si che questo re provochi inimicizie.
Questo ad opera dei due figli di Tarquinio Prisco, che decidono di regnare. Dopo una
serie di congiure i due riescono ad uccidere Servio Tullio. Sale al trono Tarquinio il
superbo. Superbo per una serie di atti, fra i quali il divieto di sepoltura del suocero (lui
sposa la figlia dell’ex-re). Poi incarica di costruire la Cloaca maxima non agli schiavi ma
ai nullatenenti, che non gradiscono questo fatto (dopo averne iniziata la costruzione
alcuni si impiccano. Questo non permette all’anima di tornare alla terra e l’anima
vagherà tra i vivi per infastidirli). Essendo stato il primo re ad aver ottenuto il potere con
un colpo di stato, non ascolterà il senato e vi toglierà potere, mutando gli equilibri fra le
forze romane. Ha però ampliato il territorio romano e stabilito alleanze con popolazioni
vicine. Durante una di queste battaglie si verifica un episodio che induce la popolazione
a porre fine alla monarchia. Tre cittadini romani nell’accampamento discutono sulla virtù
delle loro mogli: e scommettono che le stesse sono a casa a divertirsi e non li
aspettano. Collatino invece dice che sua moglie Lucrezia è a casa ad aspettare. E
verificano che è così, solo Lucrezia è a casa. Il figlio di Tarquinio il superbo decide di
scoprire quanto sia virtuosa Lucrezia e decide di prenderla con la forza. Lucrezia
manda a chiamare sia il padre che il marito e dopo aver raccontato il fatto si uccide.
Collatino è accompagnato da Giulio Bruto, nipote del re: Giulio Bruto approfitta
dell’accaduto e cerca di togliere potere al re. Fa convocare i comizi dove narra
l’accaduto suscitando l’azione popolare. Tarquinio il superbo e il suo seguito vengono
eliminati: 509 a.C. I comizi curiati nominano due consoli e nasce così la repubblica
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romana. I poteri del rex cambiano: il re etrusco è un comandante militare, dedito alle
armi e si dedica principalmente alla guerra delegando gli altri poteri. Non si parla più di
potestas ma di imperio. Il potere fondamentale del re è basato sulla forza e sulla guerra.
Il potere dei consoli è quindi di derivazione etrusca. I littori (coloro che devono portare le
insegne prima del re e poi dei consoli). Imperium perché contrariamente al re latino il re
etrusco si autocrea: diventa il capo dello stato perché lo vuole, non nasce da
un’investitura. Basato sulla forza e comando militare perché non ha bisogno della
inauguratio. E questo fa si che il re non sia più il supremo capo spirituale, tanto è vero
che già in questo periodo viene introdotto il rex sacrificorum, cioè si occupa dei sacrifici.
Anche l’elezione del re cambia: in età etrusca non abbiamo più l’inter-regnum, la
convocazione dei comizi per la nomina e non c’è più l’auctoritas da parte del senato. Si
cambia completamente il modo di investitura, non più elettiva ma previa designazione
del precedente re. Il re delega in particolare per quanto concerne l’amministrazione
della giustizia: in campo criminale acquistano potere i diumviri perduellionis e questores
parricidi. I primi giudicano il reato di perduellio, i secondi sono preposti al reato di
parricidio. Gli unici casi in cui il re svolge l’attività di magistrato sono quelli militari. Il re
etrusco reprime i reati militari. Per quanto riguarda la giustizia civile si fa aiutare da
judices, due, preposti ad aiutare il re e sono i precursori dei consoli. Viene poi istituito il
praefectus urbi. Questi ha gli stessi poteri che ha in campo militare il magister populi
(ausiliario del re in guerra). Anche il capo amministrativo delega; istituisce i tribuni erari,
cioè magistrati che hanno il compito di esigere le tasse e sono due per ogni centuria.
Anche il senato è diverso: per composizione, non più 200 ma 300 senatori, di cui 100
appartenenti ai nuove famiglie e non più ai patrizi. Non può più influire sulla nomina del
re e soprattutto il re etrusco non consulterà mai il senato. Eventualmente un parere lo
chiederà al popolo. Vede aumentare il suo potere anche grazie alla nuova divisione
della popolazione. Per la prima volta viene fatto il censimento della popolazione.
Bisognava censire la ricchezza dei singoli cittadini per collocarli nelle varie classi. Le
classi di censo erano 5, accanto alle quali c’era quella dei cavalieri e quella degli
artigiani e dei nullatenenti. Questa divisione ha due risvolti fondamentali: sia dal punto
di vista dell’esercito sia da quello politico. Già in quest’ultimo periodo perdono
importanza i comizi curiati sostituiti dai comizi centuriati. Cambia il sistema di voto. Si
passa da una riunione del popolo costituito da patrizi ad una riunione costituita dai
ricchi. Si vota per centurie, per classi. Prima vota la prima classe, poi quella dei
cavalieri; se queste due non raggiungono un accordo vengono interpellate le altre 4
classi. Se neanche così si giunge ad un accordo solo allora la classe dei nullatenenti
potrà votare. In realtà si passa dal comando dei patrizi a quello della classe più potente.
La monarchia etrusca si caratterizza anche per la divisione in tribù: tre già esistevano ai
tempi di Romolo; verrà poi istituita una quarta tribù; in età etrusca tribù sono solo
circoscrizioni territoriali. Roma viene divisa in età etrusca in 4 circoscrizioni, Palatina,
Collina, Suburbana, Esquilina. Si osserva il domicilio delle persone per stabilire a quale
tribù appartengano. Vengono poi istituite le tribù rustiche: qui l’appartenenza viene data
in base ai possedimenti, non al domicilio. Coloro che non hanno terreno appartengono
alle tribù urbane, anche se non hanno territori.
Sono prima di tutto distretti di leva: da ogni tribù vengono assoldati i militari. In ogni tribù
vengono riscosse le tasse, che in questa fase non vengono riscosse in base ai redditi
ma all’estensione della proprietà terriera. Questo comporta un tipo diverso di economia:
può coltivare di più: non coltiva solo cereali ma anche vite e ulivo, che impara a
conoscere grazie agli etruschi. Cambia l’economia perché cambia le alleanze con i
sabini e gli etruschi. Questo comporta che Roma diventi città dedita ai traffici
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commerciali. È di questo periodo il primo trattato commerciale fra Roma e Cartagine.
Roma si basa anche sull’artigianato. I re etruschi si dedicano alla costruzione di grandi
opere: vengono fatti arrivare in città esperti, che fanno conoscere l’artigianato ai romani.
La lega latina: Roma è costituita sostanzialmente da latini ed è circondata da
popolazioni latine. Ha l’esigenza di allearsi con queste genti per far fronte alle invasioni
degli etruschi. Viene quindi istituita la lega latina che in caso di necessità combattono il
comune nemico etrusco. Accanto ad essa i romani pongono trattati di non belligeranza
con le popolazioni sabine.
Si trasforma la repubblica dopo l’episodio di Lucrezia. Scacciarono i tiranni e fecero
giuramento per far si che a Roma non ci fosse più la monarchia. Questo è un episodio
didattico e fantasioso. Il senso è che la virtù delle matrone non può essere violata; nel
caso contrario viene offesa la stessa civitas. Deve essere accolto il racconto che pone
la cacciata dei re come un fatto improvviso. Una volta si credeva che il passaggio sia
stato lento e graduale e la prova era nel rex sacrorum; ma ritrovamenti degli ultimo anni
hanno dato prova di un colpo di stato improvviso. In realtà il rex sacrorum nasce in età
etrusca e non repubblicana: aveva poteri militari e politici e poi diventa capo religioso
fino all’età repubblicana. Quali sono i motivi che hanno portato alla rivolta? I rex
avevano dato importanza al popolo, ai plebei, ed avevano tolto il potere al senato. Sono
quindi i patrizi a promuovere la rivolta. Non condividono che gli etrusci vogliano
espandersi nelle città latine circostanti. Ma non solo vogliono cacciare il re etrusco, ma
l’intero potere monarchico. Come in molte altre città stato si passa da un regime
monarchico a quello repubblicano aristocratico. Si passa ad una repubblica con al
potere 2 magistrati e che possono con l’intercessio paralizzare le decisioni del collega.
Secondo la tradizione i primi due magistrati furono due consoli (il nome deriva dal fatto
che si consultavano). Alcuni hanno sostenuto che i primo magistrati furono due consoli:
altri che fossero due pretori: altri che fossero addirittura tre pretori, ma quest’ultima
viene scartata. Vi è stato ancora che ha ritenuto che i primi due fossero stati il magister
popolum e il magister equitum che avevano compiti diversi: il primo più poteri del
secondo. Sostanzialmente si ritiene che i magistrati fossero due e poca importanza
aveva che fossero consoli o pretori. Nella fase che va dal 509 al 451 i poteri dei consoli:
in questo periodo i consoli per tutta la loro durata (1 anno) godevano di pieni poteri ed
esercitavano la magistratura senza dover tener conto dei loro atti ad alcuno. Avevano
una loro guardia del corpo, i littori, che dovevano portare i fasci littori, simbolo
dell’imperium. I consoli avevano il potere di convocare l’esercito, il senato, di presiedere
alle assemblee popolari, ossia ai comizi. Avevano il supremo potere di controllo sulla
civitas, ad eccezione di quello religioso. Esercitavano le funzioni che aveva il rex.
Avevano quindi una sorta di “re provvisori” ed entrambi avevano lo stesso potere.
Spesso accadeva che i due consoli si dividessero l’amministrazione del paese (uno si
occupava solo della giustizia e del potere nella città, l’altro dell’esercito). Cioè avevano il
potere assoluto di guerra e quello amministrativo e politico. Nel caso di conflitti fra i
consoli questi detenevano i poteri a giorni o mesi alterni. Nel caso particolare nel quale
il comando dovesse andare nelle mani di una sola persona, questi cedevano il potere
ad un “dictator”. Questo veniva nominato dal senato. Era quindi un magistrato
straordinario e non poteva rimanere in carica più di sei mesi. Alla fine il dittatore
restituiva i poteri ai consoli. E questo è provato dai fasti consolari. I consoli erano
affiancati da altri magistrati che aumentavano via via che la civitas si espande. Già da
qui possiamo vedere che Roma è caratterizzata da lotte con le popolazioni confinanti e
9
da lotte interne (patrizi e plebei). Soprattutto dopo che il potere viene preso solo ed
esclusivamente dalla classe patrizia). Roma si trova ad affrontare tre problemi: gli
etruschi che tentano di riconquistare Roma. Dalle popolazioni appenniniche, Equi,
Volsci, Sabini che tentano di raggiungere il mare per avere terreni più fertili. E lotte con
altre città latine che non sopportano l’egemonia romana su di loro. Alla fine Roma
sopravvive ma il suo potere diminuisce, i suoi territori pure e questo con grave danno
per i plebei e per tutta l’economia.
I tarquini cercano di tornare a Roma e chiedono aiuto a Porsenna con una guerra: la
prima è una vittoria per Porsenna che imporrà leggi a Roma, fra le quali il non utilizzo di
armi in ferro in battaglia. I romani si alleano con il re di Cuma per cambiare le cose e
riescono ad eliminare il pericolo etrusco nel 504 con la battaglia di Ariccia. Sconfitto il
pericolo etrusco questi passano ad occuparsi delle città latine. Inizia una guerra che
termina presso il lago Regillio con una grande vittoria romana. La prova che non fu una
vittoria grandiosa ci è data dal foedus cassianum, nel quale Roma decide di allearsi con
le altre città latine. Roma sarebbe stata la città egemone nell’alleanza, ma in realtà non
è così: questo infatti è il primo patto paritario. Tutte le città latine si riunivano una volta
all’anno sotto il monte albano per decidere quale fra le città avrebbe avuto il comando
dell’esercito confederato. L’alleanza è necessaria perché è un pericolo comune. Le
battaglie dureranno dal 493 al 430, anno in cui la lega latina riesce a sconfiggere queste
popolazioni e a spingerle nel loro territorio. Sono sempre più frequenti le lotte fra patrizi
e plebei. Questi chiedono il riconoscimento dei loro diritto politici e leggi favorevoli sui
crediti: questo perché i latifondisti patrizi avevano grandi terreni, i plebei piccole terre. E
in guerra erano i plebei a ricevere maggiori danni. Questo porterà alla prima
seccessione della plebe sul Monte Aventino. Tutta la plebe si raduna per costituire una
collettività a sé stante, capeggiata da due militum, due capi delle centurie e si danno
propri organi. Nasce il tribunato della plebe, che verrà poi riconosciuto come
magistratura di tutta la civitas. Costituisce poi i concilia plebis, che sono assemblee con
funzioni deliberative e riguardano l’intera categoria dei plebei. Sempre in questo periodo
i plebei si danno le leges sacrate. Sono leggi con le quali si stabilisce la nomina dei
tribuni, ma contengono anche qualcosa di più forte. I plebei giurano che i loro tribuni
dovranno essere intoccabili e che quindi se un patrizio non rispetterà un tribuno, questi
sarà difeso dai plebei fino alla morte. La lotta continua fino a che nel 451 i plebei non
riescono ad ottenere la costituzione dei decemviri le legibus scribundis. È una
magistratura mista fra plebei e patrizi. Nasce perché i plebei vogliono certezza del
diritto. Vogliono che il diritto divenga diritto scritto e che tutti possano conoscere il
contenuto normativo. Tutti temevano infatti che i pontefici, essendo patrizi, mutassero le
regole a loro piacimento. Il primo decemvirato dura un anno. Nel 450 viene istituito il
secondo decemvirato legislativo. Il senato in età etrusca aveva perso i suoi poteri. Nella
repubblica riprende potere. Quindi il senato è composto solo da patrizi: inoltre come
succedeva nella fase della monarchia i senatori sono solo i patres familias che hanno
dato vita alla civitas. Nelle mani del senato ci sono grandissimi e illimitati poteri. Il
senato ha l’auctoritas: tutte le decisioni prese dai comizi per essere valide devono
essere ratificate dal senato, così come le decisioni dei magistrati. I senatori poi sono gli
unici a conoscere il diritto costituzionale dello stato romano. I senatori sono i custodi di
queste norme consuetudinarie. I senatori hanno il potere del consultum, cioè potere di
dare dei consulti al magistrato o ai comizi. E manterranno l’interregno. Spetterà quindi
al senato eleggere i magistrati: e il senato presiederà i comizi, togliendovi quindi potere.
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Comizi curiati – comizi centuriati e le dodici tavole
Nelle dodici tavole verranno stabilite le loro funzioni. Per ora sono solo assemblee della
popolazione. Accanto a senato e comizi abbiamo il dittatore. Una volta eletto deve
necessariamente eleggere un magister equitum, cioè un suo subalterno che lo aiuti nel
pericolo e nella gravità. Il dictator non può andare a cavallo e presiede la cavalleria. I
questori invece hanno funzioni ausiliarie dei consoli e hanno il compito di esaminare le
finanze dello stato. I loro campi sono però determinati in un periodo successivo.
Le dodici tavole.
Sono il primo codice scritto del mondo occidentale. Unico codice scritto fino all’età
giustinianea. I decemviri hanno il compito di redigere un testo normativo che deve
divenire scritto e certo. Prima di occuparsi delle dodici tavole sarebbero andati in Grecia
presso Solone per studiare le leggi della sua città. In realtà si fermarono in Magna
Grascia. Durano in carica due anni e poi vengono cacciati a furor di popolo. Uno dei
decemviri attende alla virtù di una donna romana. In realtà furono scacciati per altri
motivi: patrizi e plebei, che formano i decemviri, cercano una mediazione, ma il tentativo
non riesce. I plebei ritengono che i patrizi abbiano imposto norme inique. I patrizi invece
dicono di aver concesso fin troppo. E vengono scacciati quando la loro opera è ormai
completa nelle dodici tavole.
Si occupano di processo: le prime tre tavole si occupano di processo, poi di famiglia; di
successioni; la 6-7 di proprietà quiritaria; 8-9 di diritto penale; 10 diritto sacro; 11 diritto
penale; 12 diritto pubblico. In realtà non contengono un gruppo organico di norme. Ci
sono riferimenti specifici ai casi concreti. È un diritto casistica, che analizza il caso
concreto. Le 12 tavole nascono da una decisione vincolante fra due ordine: sono una
decisione autoritaria, cioè imposta. Sono ius legitimum. Contengono leggi che
trasformano il diritto scritto in quello consuetudinario. Leggi che fissano i mores. La
maggior parte delle dodici tavole trasforma in scritto norme consuetudinarie.
Nel 451 a seguito delle richieste dei plebei, volte a volere una legge scritta, viene
istituita una magistratura straordinaria e viene istituito il decemvirato legislativo. A
questo collegio dei magistrati viene affidato il compito di mettere per iscritto tutte le
norme fino ad allora esistenti. L’incarico è annuale. Al termine del primo anno il lavoro
non è ancora stato portato a termine e c’è la nomina di un secondo decemvirato,
formato ancora da patrizi e plebei e deve completare l’opera iniziata. Questi però
crearono due tavole inique, cioè due tavole in cui sono contenute norme contrarie alla
plebe. Questo fa si che il popolo provochi una sommossa. Il lavoro è comunque già
stato finito e le dodici tavole sono redatte e affisse nel foro. Rimangono affisse finché i
Galli non incendiano Roma. Le notizie delle dodici tavole e la trascrizione dei precetti ci
viene da Cicerone e Gaio. Le XII tavole sono la prima fonte autoritativa romana.
Nascono da un accordo fra patrizi e plebei e hanno uguale importanza per i due ordini.
Essendo norme autoritative per le tavole si parla di jus legitum e le legge rogate, che
vengono proposte da un magistrato e approvate dai comizi centuriati. Le XII tavole
contengono le varie norme derivano dalle antiche leges rege e dagli antichi mores.
Quando parliamo di XII tavole parliamo o di codice decemvirale o legge delle XII tavole.
Codice non nel senso moderno della parola (cioè non una raccolta di norme rivolte ad
un solo argomento). Raccolta organica di varie norme aventi diverso contenuto. Parlare
di un’unica legge è sbagliato, bisogna parlare di legge delle dodici tavole. Leggi quindi
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nel senso di norme giuridiche. Le XII tavole sono divise in 4: quelle che fissano i mores,
leggi che riproducono leggi regie, leggi di età decemvirale di provenienza ellenica, leggi
create ex novo dai decemviri. Leggi che fissano i mores: la maggior parte dei precetti
mette per iscritto i mores majorum. Che ne siano presenti tanto è testimoniato da alcuni
giuristi di età classica, da Ulpiano che nel commentare il jus civile ci dice che la norma
in base alla quale il prodigo per espressa disposizione delle dodici tavole necessita di
un curatore. Analoga disposizione per quanto riguarda il pazzo. Che nascano dai mores
è provato anche dal linguaggio (il diritto romano è casistico, analizza i singoli casi; ma
anche il diritto romano evolve, e i precetti non solo nascono dal caso concreto, ma
cercano anche di creare precetti di portata più generale. In tutte le pronunce concrete il
precetto si apre con una clausola condizionale. Nel caso si tratti di un precetto più
moderno si usa una relativa, “quis”). Molto interessanti sono i precetti 12-13 della tavola
8. Questi dimostrano la loro provenienza dai mores perché trattano il diritto penale.
Roma considera la vendetta privata autorizzata. Ben presto questa vendetta non può
più essere applicata: i primi mores che riguardano il diritto penale stabiliscono una
limitazione a questa libertà di vendetta, dimostrata dai precetti 12 e 13. Si tratta di due
casi gravi di furto. Si prevede che nel caso in cui avvenga un furto notturno, l’offeso sia
legittimato ad uccidere il ladro. Analoga situazione nel caso in cui avvenga un furto
diurno a mano armata. In questo caso è perciò necessario chiamare a raccolta i vicini
per dimostrare che si tratta di un atto giusto. Altro precetto importante è la legge del
taglione. Si parla poi di leggi di origine regia: le XII tavole recepiscono queste leggi. La
ricezione è confermata dalla tavola VIII, precetto 8: Numa elaborò un precetto evoluto.
Previde la distinzione fra atto volontario e atto involontario. Statuò che nel caso in cui
qualcuno avesse ucciso involontariamente, non avrebbe potuto essere ucciso dalla
famiglia dell’offeso. Il colpevole doveva però sacrificare un capro. Le XII tavole hanno
recepito questa norma e l’hanno applicata.
Abbiamo poi le leggi suggerite da modelli ellenici. Grazie a questo influsso i decemviri
su materie complesse recepiscono le norme di Solone (fu il primo a dare una
legislazione molto ampia alla polis di Atene: legislazione che non si esprimeva su casi
concreti). Roma in certi settori recepisce queste norme, in particolare per quello che
riguarda i confini: per evitare che i patrizi privino i plebei della loro terra, questi ultimi
necessitano di una legge chiara e precisa sui confini. Ricorrono così alla legge di
Solone.
Ci sono poi le leggi create dai decemviri. Il diritto romano è caratterizzato per il rispetto
del diritto antico ma anche da un rinnovamento del diritto mediante l’introduzione di
precetti nuovi sotto la parvenza di antichi precetti. Con questa funzione i decemviri
possono introdurre nuove norme. L’esempio più importante è costituito dal precetto due
della tavola 9. il primo esempio di provocatio ad popolum è contenuta in questo precetto
delle XII tavole, dove viene stabilito che la morte di un cittadino può essere decisa solo
davanti al giudice centuriato.
Cacciati i decemviri nel 449 vengono restaurate le antiche funzioni repubblicane e
vengono eletti i consoli (Valerio Potito e Orazio Barbato). Nel corso del loro anno di
carica prenderanno moto provvedimenti conservativi, ma anche provvedimenti
favorevoli alla plebe e che permetteranno alla plebe la lotta per la parificazione dei due
ordini. Lotta che terminerà con le leggi Luciniae Sextie (377). Ma i primi passi per
giungere a questa legge finale sono fatti da Valerio e Orazio con le leggi Valerie e
Orazie. Vengono denominate così con un termine improprio: non emaneranno vere e
proprie leggi, ma provvedimenti approvati mediante auctoritas dal senato. Il primo di
questi provvedimenti è la lex de plebiscitis. Secondo Livio questa legge sarebbe la
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legge che prevede la parificazione tra plebisciti e leggi, cioè sarebbe la legge che ha
permesso di ritenere i plebisciti con valore vincolante di legge sia per i patrizi che per i
plebei. In realtà siamo di fronte ad un’anticipazione annalistica. Prima di avere una
parificazione si dovrà aspettare il 287 a.C. Questa legge prevedeva il riconoscimento
dei tribuni plebis come magistrati dello stato romano. È quindi una prima conquista dei
plebei. Accanto a questa lex viene posta in essere la prima lex de provocatione, che
prende in considerazione dal punto di vista sostanziale e processuale la provocatio ad
popolum. Questa legge impone al magistrato di rimettere davanti ai comizi il cittadino
romano che a seguito di una condanna corporale e capitale chieda che la condanna
venga presa in esame dai comizi centuriati. Si tratta di una legge perfetta, perché dopo
aver stabilito il precetto, pone una sanzione a carico del magistrato che non rispetti il
precetto. La sanzione consiste nel dichiarare il magistrato “sacer”, espulso dalla
comunità e abbandonato al suo destino. L’altra disposizione contenuta nelle leggi di
Valerio e Orazio è la legge sulla potestà tribunizia. Quando i plebei si sono radunati
sull’Aventino avevano dichiarato che i loro tribuni sarebbero dovuti essere inviolabili.
Con questa legge viene sancita l’inviolabilità dei tribuni per legge. Nessuno può violare i
tribuni, pena la consecratio. Anche in questo caso una legge perfetta. Che non
rispetterà i tribuni potrà essere ucciso impunemente. I beni dell’offensore vengono
confiscati e messi all’incanto (cioè venduti). Il ricavato andrà ad accrescere il patrimonio
di Cerere, Libero e Libera (divinità plebee). Le leggi Valerie Orazie prevedono poi
un’altra norma. Vengono istituiti gli edili plebei, cioè una nuova magistratura alla quale
viene affidato il compito di osservare i senatus consulti. Tutto questo segna un primo
passo verso l’equiparazione fra i due ordini. Ancora più importante è quello che
succede nel 445; prima era vietato che patrizi e plebei potessero contrarre matrimonio. I
plebei riescono a far ratificare una norma che prevede l’abolizione dei divieto. Fra la
possibilità di diventare consoli e quella di sposarsi fra plebei e patrizi e patrizi scelgono
di concedere quest’ultimo. Questo comporterà che un plebeo possa seguire i culti
familiari dei patrizi. Alle massime cariche magistrali possono partecipare solo quelli che
seguono i sacra patrizi, che permettono di trarre gli auspici e possono solo questi
diventare consoli. I consoli devono necessariamente poter trarre gli auspici: possono
trarre gli auspici coloro che partecipano ai sacra e ai culti patrizi. La plebe però non è
ancora contento e vuole accedere al consolato. Nel 443 viene istituita quindi una nuova
magistratura, vengono istituiti i tribuni militari con potestà consolare. Le fonti ci dicono
che questa magistratura nasce per due esigenze: per le richieste dei plebei di accedere
al consolato e per le continue guerre contemporanee che Roma continua in questo
periodo a porre in essere. I due consoli non possono da soli far fronte a tutte queste
esigenze: vengono perciò creati i tribuni. La loro esistenza è provata dai fasti consolari.
Fra il 444 e il 367 vediamo alternarsi i tribuni militari e i due consoli. La loro creazione
completava alcune esigenze: i consoli a volte sono tre, altre quattro, a volte sei, a
seconda dell’esigenza che si ha a Roma. E non deve stupire il fatto che il primo tribuno
plebeo venga eletto solo nel 400. Un conto è il riconoscimento di un diritto nei confronti
della plebe e un conto è il potere della plebe (per diventare magistrato ci vuole una
campagna elettorale e nel 444 la plebe non ne aveva la forza).
441-450 decemviri le gibus scribundis
449 leggi valerie orazie
a) lex de plebisicitis
b) lex de provocatione
c) lex de tribunizia protestate
d) lex de senatus consoltum custodia
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445 Abolizione del divieto di connubio
Continuano le lotte tra plebei e patrizi
Dopo l’istituzione dei tribuni militum viene istituita la censura. Fino a quel momento il
compito del censimento era dato ai consoli, che ora non ne avevano più il tempo.
Necessità accompagnata anche dal fatto che i comizi più importanti erano quelli
centuriati, che dividevano la popolazione per censo, per collocare le persone nelle varie
classi. Stranamente i plebei non chiedono un censore e vengono così eletti due censori
patrizi. Le lotte però continuano e nel 421 i plebei riescono ad ottenere che i questori
diventino quattro. Accanto ai questori aerari vengono istituiti altre due questori con
funzioni militari. Il raddoppiamento del numero di magistrati permette alla plebe di
accedere alla questura, ma il primo questore plebeo lo abbiamo solo nel 409. Le lotte
continuano ancora fino al 367 e un’importante conquista è quella del 394. Finalmente
Roma riesce a debellare Veio e procede col solito metodo di annessione tipica dell’età
regia: porta tutta la popolazione di Veio a Roma e proclama terreno pubblico la città di
Veio. La plebe chiede l’assegnazione della terra e ottiene l’attribuzione di questa terra
(7 iugeri per ogni pater familias plebeo). La plebe ritiene di essere ad un passo dal
consolato. Ma i patrizi non vogliono ammettere al consolato la plebe. Vengono nominati
tribuni della plebe Licinio e Sextio. Secondo la tradizione questi due bloccano la vita
politica di Roma per 10 anni (dal 377 al 367) con la loro “intercessio”. Sicuramente per
alcuni anni la vita politica è interrotta: i patrizi nel 368 eleggono Furio Camillo dittatore e
questi si oppone alla plebe. Costretto ad abdicare è rieletto (in spregio alla norma che
non vuole la rielezione del magistrato) e decide di cedere alla plebe. Concede la
possibilità di accedere al consolato: a questo proposito si parla di leges Licinae Sextiae.
Anche in questo caso non si tratta di una proposta dei consoli non ratificata dai comizi
ma dal senato e in più non c’è bisogno di una vera e propria legge, perché grazie al
connubio i plebei sono ammessi per diritto ai culti e possono trarre gli auspici. Questo
accordo non riconosce solo la possibilità ai plebei di ambire al consolato, ma favorisce i
plebei in più modi. Tra le altre cose favorisce la “rogatio de aere alieno” (proposta che
riguarda il denaro altrui). Consiste nel diritto dell’anotocismo: cioè della capitalizzazione
degli interessi (non posso cumulare la somma prestata agli interessi). Ottengono inoltre
la possibilità di ritornare il denaro in rate, in un tempo massimo di tre anni.
La seconda legge fondamentale per i plebei è la rogatio de modo agrorum: legge che
riguarda la modalità di distribuzione della terra. Il possesso dell’ager pubblico era
concessa fino al 377 solo ai patrizi. Ora invece anche i plebei possono sfruttare l’ager
pubblicus: viene poi stabilito il massimo che ognuno può avere, un massimo che è
stabilito in 500 iugeri. La più importante legge è comunque la rogatio de consule
plebeio: cioè la “legge” che permette ai plebei di accedere al consolato. Collegata a
questa è l’istituzione della pretura, ossia il praetor urbanus che è considerato collega
minore dei consoli, ha il compito di ius dicere (rogatio de ius dicere). Al pretore viene
affidata la giurisdizione civile nell’urbe, dove dobbiamo intendere non solo Roma, ma il
territorio fino a 1000 passi dalla mura. In questo caso per la prima volta un’acquisizione
di diritto dei plebei diventa un’acquisizione di fatto. Finalmente si ha una parificazione
quasi totale degli ordini. Questa via apre le strade per quelle cariche che ancora non
potevano essere fatte da un plebeo: nel 366 sono ammessi alla dittatura, nel 351 alla
censura, nel 348 entrambi i consoli possono essere plebei. Nel 337 i plebei possono
essere pretori. Nel 300 i plebei sono ammessi ai collegi sacerdotali, quindi troviamo sia
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pontefici sia auguri plebei. Inizia la laicizzazione del diritto. Il primo pontefice plebeo
viene eletto nel 254 con Tiberio Coruncanio. Nel 287 con la legge Ortensia si raggiunge
la prima parificazione fra plebisciti e leggi. Le norme che nascevano per nome dei
concilia plebis prendevano il nome di plebisciti. Il primo passo fu fatto al 449 con le leggi
Valerie Orazie. Nel 339 lex pubblilia philonis che prevede la validità dei plebisciti previa
ratifica (auctoritas) del senato. La prima legge che in realtà è di un plebiscito è la legge
aquilia sul danno. Queste leggi segnano il passaggio ad un assetto costituzionale
maturo: finalmente la repubblica viene caratterizzata in tutti i suoi elementi. Non si tratta
più di norme consuetudinarie dirette dai patrizi, ma l’ordinamento giuridico romano
fonda nel diritto immutabile la sua esistenza. La lotta comporta il venir meno dei vecchi
capisaldi della classe patrizia, soprattutto l’abolizione dei poteri dei patrizi è data dal
riconoscimento ai plebei. Questo comporta l’evoluzione del sistema romano, tanto che
Polibio dice che la costituzione romana è ad un livello evoluto e riesce a riassumere in
sé i tre sistemi di Aristotele (monarchia, oligarchia, democrazia). Secondo Polibio in
Roma questi tre sistemi convivono. I magistrati rappresentano la monarchia. Il regime
oligarchico è rappresentato dal senato che ha il compito di sorvegliare sulle attività
poste in essere dai magistrati e dai comizi. La democrazia è data dalle assemblee
popolari. I magistrati fondano il loro potere sul popolo (in quanto sono eletti). Anche il
senato deriva i suoi poteri dal popolo. A partire dal 367 saranno senatori solo ed
esclusivamente gli ex magistrati. I comizi si autolegittimano. Per questo si parla di una
Roma retta da una sovranità popolare. Ma il popolo ha le sue rappresentanze nei
comizi: il che comporta che sui comizi ci sia un controllo da parte del senato. C’è quindi
un reciproco controllo fra patrizi e senatori (S.P.Q.R. senatus popolusque romanus). Il
potere è quindi retto dal popolo e dal senato. In realtà Roma è dominata da
un’oligarchia a base timocratica. Oligarchia perché il rapporto popolo-senato fa si che al
timocratica). La timocrazia sta alla base anche dei comizi. La cittadinanza viene divisa
in classi di reddito e poi c’è la votazione. Roma caput mundi: la politica è comunque
espansionistica e avvantaggia tutta la cittadinanza. Questo porterà al dominio secolare
di Roma
Assemblee popolari, magistrature e senato
Iniziamo con l’occuparci delle magistrature: è caratterizzata da 5 casi: elettività,
temporaneità, responsabilità, gratuità e collegialità.
1) Elettività. Il termine magistratus nasce da magister populi (comandante militare). I
romani ritengono di poter dire che il loro magistrati sono comandanti militari e hanno
bisogno dell’imperium (supremo comando militare). Ma i magistrati necessitano anche
dell’approvazione popolare. Per questo i magistrati devono essere eletti secondo un
principio avanzato e democratico. Il magistrato in carica convoca i comizi e da luogo
alla cranio, nel senso che propone ai comizi un elenco di candidati che devo avere
determinati requisiti. In particolare devono aver prestato il servizio militare per almeno
10 anni. A questo punto i comizi scelgono il candidato che dovrà ricoprire la carica.
Scelto il candidato questo deve fare un solenne giuramento alla fides, deve giurare il
rispetto della buona fede verso la repubblica. Dopo il giuramento il magistrato uscente
deve dichiarare che alla fine dell’anno lascerà la carica. Questo per garantire che i
magistrati vengono eletti secondo il volere del popolo. Fino al 300 i magistrati hanno
l’imperium, ossia la facoltà di gestire poteri e funzioni in modo discrezionale. I magistrati
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muniti di imperium hanno una serie di poteri vastissimi. I poteri finanziari e di leva, poi
hanno il potere di convocare i comizi e di chiedere ai comizi dei pareri “ius agendi cum
populo”. Hanno poi il potere di convocare il senato e di chiedere pareri al senato “ius
agendi com patribus”. Hanno la coercitio, cioè il potere di emanare ordini e obbligare chi
ha ricevuto questi ordini di obbedirli e di punire che non li eseguisse. Hanno poi iuris
dictio, ossia la capacità di regolare i rapporti coi cittadini e di fare processi. Si tratta
dunque di poteri enormi. Ecco perché nasce l’intercessio (diritto di veto). Questi due
poteri sono legati alla collegialità: ogni magistratura deve essere caratterizzata da
almeno due magistrati. L’unica magistratura non collegiale è la pretura. Ed è strano che
il pretore che ha l’imperium non sia accompagnato da un altro magistrato: il motivo è
semplice. Il pretore nasce come collega dei consoli. Quindi in realtà il pretore non è
magistrato senza collegialità, in quanto sono colleghi i due consoli, che possono porre
l’intercessio nei confronti del pretore. I magistrati che hanno imperium sono I consoli, il
dittatore, il pretore, i tribuni militari con potestà consolari e i decemviri legibus
scribundis. Anche ai censori in un momento successivo viene data una sorta di
imperium. Le altre cariche non hanno imperium ma potestas.
I poteri
Si vuole contrapporre il servizio democratico a quello monarchico. Questo si manifesta
in particolare per i magistrati cum imperium (imperium che affonda le sue origini nel
potere militare – imperium militarae). Imperium esercitato prevalentemente nella città –
imperium domi. C’è differenza fra i due imperium, perché i consoli hanno l’imperium
maggiore, cioè tutti e due gli imperium. È assolutamente necessario che esistano delle
garanzie verso i cittadini, per fa si che questo imperium non venga usato in danno agli
stessi cittadini.
L’imperium militiate rischia infatti di essere abusato, e per questo motivo c’è un limite: la
prima garanzia è la delimitazione dell’esercizio di questo potere dal punto di vista
territoriale. Il potere militare può essere usato solo fuori dal “pomerium” (cioè fuori da
Roma). Il console non può portare l’esercito entro il pomerium. La seconda garantigia
consiste nel fatto che il console quando sta in città in forza della sua coercitivo non può
condannare a morte arbitrariamente un cittadino romano (provocatio ad popolum). Altra
caratteristica tipica è la collegialità: il requisito tipico nasce dall’evitare il ritorno al potere
regio. Ogni magistrato ha un potere intero. Il console ha potere infinito, non si dividono
sostanzialmente i poteri. Per questo motivo viene introdotta l’intercessio, cioè il diritto di
veto. Un collega può paralizzare l’altro collega. L’intercessio esiste anche tra
magistratura maggiore e inferiore. Inferiori sono l’edilità curile e la questura. Tutte le
altre sono magistrature superiori (consolato, censura, pretura) ordinarie. I magistrati
maggiori possono controllare l’operato dei minori ponendo l’intercessio. I consolo sono
coloro che detengono l’imperium maggiore, potranno proporre l’intercessio nei confronti
del pretore. I tribuni della plebe potranno proporre intercessio contro le decisioni di
qualsiasi altro magistrato romano. Questo non vale per le magistrature straordinarie
(anche perché nascono per far fronte ad un pericolo imminente). Secondo alcuni la
responsabilità è connessa al fatto che le magistrature durano un anno e quindi
sarebbero legate alla temporaneità. Il magistrato alla fine della carica deve
necessariamente rispondere del suo operato. Temporaneità significa che il magistrato
deve rimanere in carica solo per un tempo fissato legislativamente. Questo fa si che vi
siano connesse altre due garantige. È vietata l’iterazione della magistratura (cioè è
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vietato rieleggere lo stesso magistrato per la stessa carica per l’anno successivo). È
vietato anche il cumulo di magistrature. Le cariche magistrali non possono essere
cumulate. Tra una carica e l’altra devono passare almeno due anni. Per essere
nominato nuovamente questore deve aspettare dieci anni. La provocatio ad popolum
viene concessa anche contro la coercitio del pontefice massimo. Anche il pontefice
massimo ha un imperium, imperium domi: per questo ha anche la coercitio, cioè il
potere di condannare a morte chi non seguirà i suoi ordini, a cui poterà essere
affiancata la provocatio con un unico limite, le vestali. Un'altra caratteristica della
magistratura è la gratuitià: tutti coloro che vogliono svolgere il cursus honorum non solo
non prendono stipendio ma devono anche spendere per mantenere la carica (gli edili
curuli ad esempio devono organizzare i giochi e lo devono fare spendendo del loro).
Magistrati sine imperium sono i magistrati indicati come minori: questi avranno la
potestas, cioè un potere limitato e funzioni specifiche e limitate. Magistrature
straordinarie sono la dittatura, il magister equitum, i decemviri e i tribuni militari con
potestà consolare.
Magistrature plebee sono i tribuni della plebe e gli edili della plebe.
I magistrati maggiori vengono eletti dai comizi centuriati. I magistrati minori vengono
eletti dai comizi tributi. Esiste poi un'altra garantigia, il iustitium. In casi particolari di lutto
cittadino e di giochi è necessario sospendere tutte le magistrature ordinarie e
straordinarie. Le magistrature straordinarie sono i tribuni militum consolari protestate e il
magister equitum. I tribuni militum sono nati da esigenze di guerra: sono quindi
magistrati straordinari con imperium militiate e domi, sostituiscono i consoli nel periodo i
cui due magistrati supremi non riescono a far fronte alle esigenze della civitas. I tribuni
militum poi scompariranno e diventeranno i compagni dei consoli. Altra magistratura
straordinaria è il decemvirato legislativo, che durerà solo due anni.
Magistrature straordinarie che si ripetono spesso sono la dittatura e il magister equitum.
Il primo è un magistrato straordinario supremo: ha quindi sia imperium militiate che
domi. Non incontra alcun tipo di limite; non è possibile ricorrere alla provocatio ad
popolum e all’interecessio. Il dittatore dura al massimo sei mesi, oppure può rimanere in
carica solo per risolvere il problema per il quale è stato nominato. Il dittatore è nominato
dai consoli. Se la carica dei consoli dura meno di sei mesi, il dittatore allo scadere della
dei consoli. Il magister equitum ha solo l’imperium militarae e ha la funzione di aiutare il
dittatore e deve guidare la cavalleria. Nel momento della crisi della repubblica ci
saranno dittatori che sconvolgeranno il significato della dittatura.
Il consolato,la censura e l’edilità curule
IL consolato è una magistratura straordinaria suprema con imperium majus (imperium
domi e militiate). I consoli hanno ampissimi poteri. Per quanto riguarda l’imperium
militiate il console deve condurre la guerra, ha i compiti di leva. Hanno poi la coercitio
assoluta sui militari (in tempo di guerra i consoli possono commettere ed eseguire
condanne a morte per i soldati, senza che questi possano proporre una revisione della
condanna). Hanno il potere di convocare i comizi, di proporre ai comizi delle leggi (in
agendi cum populo). Hanno il potere di convocare il senato di fare proposte al senato
stesso (ius agendi cum patribus). E hanno la iuris dictio, cioè la giurisdizione civile.
Incontrano i limiti della provocatio e dell’intercessio. Un console ha l’intercessio, i tribuni
hanno l’intercessio nei confronti di entrambi i consoli. La pretura è una magistratura
ordinaria cum imperio, non collegiale. Il pretore ha la iuris dictio, ossia la giurisdizione
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civile a Roma fino a 1000 passi dalle mura cittadine. Ha poi il ius edicendi, cioè il potere
di emanare editti e quindi di emanare programmi giurisdizionali per il sua anno di carica.
Il pretore ha inoltre l’imperium cioè poteri discrezionali sostanzialmente illimitati, che
applicherà al suo campo specifico. Questo comporterà specificatamente la possibilità di
creare autonome azioni in campo processuale che non siano previste né dai mores né
dalle leggi. C’è quindi distinzione fra giudizi legittimi e giudizi che nascono dalla volontà
del pretore. Altra magistratura importante è la censura: i censori sono magistrati ordinari
maggiori che hanno l’imperium, ma particolare e limitato. Spetta ai censori stabilire quali
fra gli ex magistrati potranno entrare in senato e quali personaggi romani potranno
rivestire la magistratura secondo il loro insindacabile giudizio. Non rispondono a
nessuno degli altri magistrati romani. Sono nominati ogni cinque anni, durano in carica
18 mesi al termine dei quali devono fare una lustratio (cioè un rito sacrificale che
indicava il termine della loro carica e che sanciva il fatto che per altri cinque anni non ci
sarebbero stati altri censori). Hanno il compito primario di fare il censimento. Compete
poi loro la nota censoria. Compete ai censori verificare la moralità dei cittadini romani.
Se scoprivano che alcuni cittadini non avevano rispettato il buon costume emettevano
una nota censoria, esposta nel foro, in cui indicavano che il cittadino tale non aveva
rispettato il buon costume. Questo comportava che il cittadino in questione fosse
spostato ad una classe di censo inferiore. I censori potevano anche togliere
completamente i diritti politici al cittadino romano. Analogo discorso valeva per i senatori
e con una sudicio de moribus espellevano dal senato colui che non aveva rispettato il
buon costume.
Un’altra magistratura (seppur minore) è la edilità curule. Questi sono forniti solo di
potestas, ma a loro vengono affidati compiti particolari (la cura dei giochi) come la cura
dei mercati. Tutte le contrattazioni avvenivano nel mercato. Questi avevano il compito di
emanare editti per regolare il mercato e anche gli edili avevano ius edicendi. Anche gli
edili aiutano il pretore nello ius honorarium; grazie all’attività degli edili noi oggi abbiamo
due azioni legate alla compravendita.
Avendo ius edicendi e controllo dei mercati avevano una limitata coercitio. Quindi
potevano irrogare delle multe e soprattutto potevano porre in essere la pognoris capio
(espropriavano i beni).
La questura: nascono in età regia (questori parricidi). Ora nascono i questori erari, che
devono sorvegliare la finanza pubblica. Il numero dei questori raddoppia e in parte a
quelli urbani nascono questori con funzioni militari. Devono sorvegliare l’erario. I
questori sorvegliano e amministrano la finanza pubblica: i primi quella politica, gli altri
due la cassa che serviva con funzioni di guerra.
I tribuni della plebe e gli edili plebei
Le due magistrature plebee sono i tribuni della plebe e gli edili plebei. I tribuni nascono
con la prima seccessione dei plebei.: nascono e prendono il nome di tribuni in quanto
sono tribuni militari. Nati con la funzione di aiutare la plebe, il loro primo compito è
l’auxilium plebis, per poter aiutare la popolazione più debole e in quanto magistrati
eccezionali, questi sono muniti dell’intercessio. Diritto di veto che verrà istituzionalizzato
nel 449 con le leggi valigerie orazie. Intercessio assoluta significa che i tribuni della
plebe possono opporre il diritto di veto ad ogni magistrato della civitas (escluso il
dittatore) e probabilmente non può essere opposto neppure ai censori. Hanno
intercessio anche fra colleghi (come in tutte le magistrature collegiali). Data la loro
origine particolare, accanto all’intercessio i tribuni hanno la summa potestas cercendi
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(cioè la massima potestà coerciva): questo significa che i tribuni possono mettere a
morte chiunque senza che quest’ultimo possa provocare; possono arrestare i cittadini
compresi i consoli e possono erogare le multe. A partire dal III secolo a.C hanno il
potere di far parte del Senato e in casi eccezionali di convocare il Senato stesso. I
tribuni sono dieci, vengono eletti dai concilia plebis tributa, durano un anno e non
possono più essere rieletti. Abbiamo poi gli edili plebei: sono stati istituiti nel periodo
delle leggi valerie orazie (449 a.C) e hanno il compito di custodire i “senatus consulti”
nel tempio di Cerere. Col passare del tempo i poteri si ampliano e assumono fra i loro
compiti i compiti che spettano ai questori e agli edili curuli (limitatamente alla plebe;
hanno potere di polizia e sorveglianza dei mercati e quartieri plebei) e poi controllano la
finanza (cssa) plebea.
Il senato, comizi e elezioni
Cardine della costituzione romana è il senato: in questo periodo si presenta
sostanzialmente diverso, soprattutto dal punto di vista della costituzione. Prima ne
facevano parte solo i “patres”: successivamente sotto Tarquinio Prisco vengono
aggiunti i patres delle nuove genti. Nella fase repubblicana il numero rimane di 300
(fissato da Tarquinio Prisco) ma cambia la composizione e soprattutto il modi in cui si
entra in Senato. All’inizio vi si entra per cooptazione (lo scelgono gli altri senatori). Dopo
il 367 i senatori vengono eletti. Ai censori spetta il compito di eleggere i senatori.
Questa lectio senatus segue norme molto rigide (per garantire il rispetto della
repubblica). I censori ogni cinque anni devono porre in essere il iudicium de moribus
(cioè verificare il comportamento dei senatori). Fatto ciò i censori dovranno ricomporre il
senato e l’elezione segue un ordine preciso. Vengono eletti i senatori, gli ex censori, gli
ex dittatori, gli ex consoli, gli ex pretori e se ancora mancheranno si passerà agli ex edili
curuli, gli ex tribuni della plebe, gli ex edili della plebe, gli ex magister equitum e infine
gli ex questori. Se neppure ora si sarà integrato il numero dei senatori i censori sono
autorizzati ad eleggere privati cittadini particolarmente meritevoli. Questo ordine è
importante perché il senato vota nell’ordine che abbiamo visto. Il rappresentante del
senato (princeps senatus) è l’ex censore patrizio più anziano. Il potere di convocare il
senato spetta al magistrato munito di imperium. Quando il magistrato convoca il senato
deve stilare un ordine del giorno (luogo e giorno un cui il senato si deve riunire e i punti
in discussione). In senato si può radunare sia dentro che fuori pomerium, mai
comunque oltre i 1000 passi da Roma. Una volta convocati i senatori sanno già di cosa
di parlerà e dopo una breve presentazione ci sarà una discussione ed entro la sera
dovrà essere emanato il suo senato consulto. Se la questione è delicata i primi che
avranno la parola porteranno avanti per molto tempo la loro orazione, per far si che
rimanga meno tempo per discutere i pareri opposti, in modo che parlino sempre gli
stessi e che la decisione rispecchi il volere di questo gruppo. La funzione principale
nella quale il senato è convocato è l’interregno (usato quando verranno a mancare
entrambi i consoli, prima che ne siano eletti i successori). Ad intervallo di cinque giorni i
senatori detengono il potere fino all’elezione dei nuovi consoli. L’altro potere
fondamentale del senato è l’auctoritas. Già in età regia il senato ratificava le decisioni
dei comizi centuriati e del re. Questa auctoritas ora riguarda decisioni prese dai comizi.
Tutte le volte che i comizi deliberano il senato deve ratificare (i comizi hanno tre compiti:
legislativi, elettorali, giudiziari in materie criminali. L’auctoritas del senato consiste nel
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ratificare uno di questi tre casi). Sostanzialmente questa auctoritas è un sindacato di
legittimità costituzionale.
I senatori avrebbero il compito di verificare gli atti dei comizi e di approvarli se legittimi e
non approvarli.
L’auctoritas del senato diverrà infatti non più successiva ma preventiva (proprio per
evitare questi vizi). Il senato ratificherà la proposta di legge che solo successivamente
sarà presentata ai comizi. Oltre all’auctoritas anche in età repubblicana il senato teneva
senatu consulti (cioè pareri): spesso in molte materie risultava necessario chiedere
l’opinione del senato. I magistrati in queste materie devono chiedere il parere al senato:
questo parere non è giuridicamente vincolante (non c’è obbligo per il magistrato di
rispettarlo) ma lo è politicamente. Tanto è vero che già in età repubblicana Cicerone fa
riferimento al senato consulti come provvedimenti che producono ius civile. Spettava al
senato decidere quali e se erigere templi; spettava al senato decidere sui collegi
sacerdotali. Il senato incideva nell’ambito del diritto internazionale romano. Erano i
senatori che decidevano ambascerie e decidevano se mandare ambascerie.
Decidevano loro possibili trattati. Altro campo è quello militare: prima di indire una
guerra bisognava sentire e rispettare l’opinione del senato. Il senato influenzava le
decisioni legislative con la sua auctoritas e perché chiedeva ai magistrati di far proposte
ai comizi. E ancora in campo giudiziario: il senato infatti poteva sostituire il magistrato
giusdicente nel caso in cui si trattasse di giudizio criminale a sfondo politico o poteva
dettare norme procedurali particolari. Questa attività la svolgerà con l’espandersi delle
province.
In età repubblicana abbiamo tre o quattro assemblee popolari: permangono ancora i
comizi curiati centuriati, concilia plebis tribut (concili della plebe) e i comizi tributi.
I romani nel corso della loro storia sono caratterizzati dal rispetto formale delle istituzioni
e i comizi curiati ne sono il tipico prodotto. In questa età i comizi curiati sono svestiti
della maggior parte delle loro funzioni. Hanno solo e semplicemente la possibilità di
emanare la lex curiata de imperio. In età repubblicana queste lex deve ancora essere
emanata ma è solo una formalità, perché agiscono per l’elezione dei magistrati i comizi
centuriati. Accanto a questa funzione, ai comizi vengono lasciate funzioni sul diritto
privato che avevano già in età regia: spetta ai comizi curiati l’inauguratio del rex
sacrorum. Spetta a loro la abrogatio, la destatio sacrorum. Spetta a loro essere
testimoni nell’ambito del testamento, ma anche in ambito privato perdono valore. Alla
fine della repubblica i comizi curiati non si riuniscono più; abbiamo la visione dei
rappresentanti delle trenta curie che occupano le funzioni che svolgeranno i comizi.
Questo perché i più importanti comizi erano quelli centuriati. I comizi centuriati nascono
sotto Servio Tullio dividendo la popolazione in centurie e facendo il censimento per la
prima volta. Nati solo con funzioni militari diventano un’assemblea politica. Ma la vera
assemblea con compiti fondamentali si ha in età repubblicana. Centuria significa
manipolo di 100 uomini e ha anche un significato territoriale. Ogni volte che Roma si
espandeva verso terre confinanti, il territorio veniva diviso in quattro parti. Una linea da
nord a sud e una da est a ovest, in modo da tracciare le strade principali: i quattro
quadrati sono chiamati centurie. I comizi nascono secondo una divisione per territorio e
gruppi. Le centurie sono 193 in età repubblicana raggruppate in classi. Ogni centuria è
una unità di voto. C’è una classe costituita da 18 centurie di cavalieri. La composizione
è importante perché a seconda delle composizioni delle centurie si vota. Prima le 18
centurie dei cavalieri (le prime sei composte solo da patrizi). Una prima classe nella
quale sono riunite 80 centurie. Seconda, terza e quarta classe composte d a20 centurie:
quinta classe composta di 30 centurie. E poi 5 centurie di inermi, cioè composte da tutta
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la popolazione che non aveva il minimo di ricchezza richiesto per far parte della quinta
classe. Inizialmente si stabilisce la classe di censo sulla base della proprietà terriera.
Successivamente proprio in base al reddito patrimoniale possiamo vedere come
l’assemblea venisse convocata: i comizi potevano essere convocati solo dai magistrati
cum imperio. Quegli stessi magistrati eletti dai comizi (console, dittatore, pretore). In
realtà il pretore li convoca solo in caso giudiziario.
Anche i censori possono convocare i comizi, ma solo quando bisogna disporre le liste
del caso. Nel caso in cui i comizi vengono convocati da due magistrati
contemporaneamente, vale la convocazione del magistrato più alto in grado.
La convocazione segue regole precise per garantire il rispetto della costituzione. Il
magistrato che intende convocare i comizi deve emettere un editto nel quale indica
giorno e ora nel quale si raduneranno, il luogo e soprattutto l’ordine del giorno. Dovrà
indicare se l’indizione dei comizi avviene per scopo legislativo oppure per scopo
elettorale, oppure a scopo giudiziario. In quest’ultimo caso nell’editto il magistrato dovrà
indicare i nomi dei presunti rei, le imputazioni a carico dei soggetti e le pene che si
intendono irrogare. Tra il giorno in cui viene fatta la convocazione e l giorno in cui si
radunano i comizi devono passare o 30 giorni liberi o 3 mercati (24 giorni).
Il magistrato ricorre ai comizi attraverso un editto. Questo editto deve essere pubblicato
nel foro. Questo editto viene scritto su tabulae dealbate; erano importanti perché
permettevano al cittadino di conoscere l’editto. La corruzione delle tavole era punita.
L’annuncio conteneva il giorno in cui si dovevano radunare, il luogo e la proposta che il
magistrato avrebbe fatto davanti ai comizi. I comizi possono essere convocati per una
legge, per l’elezione dei magistrati e per giudicare crimini commessi da cittadini romani.
Quindi possono essere convocati in veste di provocatio ad popolum: nel caso in cui
vengano convocati per scopo legislativo deve esserci anche la promulgatio, cioè il testo
di legge che il magistrato intende sottoporre ai giudizi. Per promulgazione noi facciamo
riferimento ad un testo di camera o senato messo sulla gazzetta ufficiale. La
promulgazione era l’atto attraverso il quale il magistrato rendeva dotto il popolo sulla
legge. Tra il giorno di pubblicazione dell’editto e la convocazione passavano 24/30
giorni. Il motivo per cui doveva intercorrere tempo era determinato dal fatto che una
volta riuniti i comizi, la votazione poteva essere solo un si o un no. Quindi tra il giorno
della pubblicazione e le riunioni doveva esserci un tempo per pensare alla legge o alle
candidature o sulle pene e sui crimini commessi. Dopo la pubblicazione dell’editto
c’erano riunioni formali o contiones. Si riunivano nel foro, esponevano la legge e chi
sosteneva il magistrato cercava di persuadere il popolo in favore della legge o in
sfavore.
Dopo queste riunioni il magistrato si faceva un’idea su come sarebbe andata poi la
votazione. Intanto poteva proporre emendamenti o se era convinto del contrario si
arrivava alla vera e propria convocazione. Il magistrato la notte prima della votazione
doveva produrre gli auspici, ossia se il giorno successivo sarebbe stato positivo per
tenere la riunione. In caso positivo un araldo chiamava a raccolta il popolo che si riuniva
nel luogo fissato. Il luogo di ritrovo dei comizi centuriati non poteva mai essere
all’interno del pomerium. Solitamente il luogo era il campo marzio e non potevano mai
riunirsi in castris, negli accampamenti. La riunione dei comizi rientrava nell’imperium
militiate, diverso da quello politico. Riunitisi fuori dal pomerium inizia la vera e propria
riunione (riunione di tutti gli uomini atti alle armi). Riuniti i comizi l’araldo deve ricordare i
motivi della convocazione. A questo punto inizia la votazione vera e propria: vengono
stabiliti dei luoghi dove le centurie si devono radunare. Riunito il primo gruppo ad una
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ad una le persone sono chiamate ad iscrivere il proprio voto: ognuno deve dire la sua
opinione. Il voto deve essere espresso davanti agli scrutinatori, è orale e deve essere
segnato su apposite tavole. Nel caso invece di elezione diranno “dico…” e il nome del
candidato. Nel caso di processo diremo a (per absolvo) e c (condamno). Una volta che
tutta la centuria ha votato si stabilisce il voto di quella singola unità di voto. Gli
scrutinatori stabiliscono qual è la maggioranza di quella centuria. Subito dopo votano le
80 centurie della seconda classe. Se si è già raggiunta la maggioranza non si chiamano
le altre centurie. Questo modo di votare è considerato poco democratico soprattutto
perché il voto palese dei primi può influenzare la votazione dei secondi (in età
monarchica c’erano rapporti di clientela; la clientela resiste anche in età repubblicana.
Votando in modo palese i loro protettori sanno come i loro clienti hanno votato e sanno
se concedere ancora favori ai loro clienti). Essendoci scrutatori che devono segnare la
votazione è facile che si sviluppino dei brogli. Questo fa si che le classi meno abbienti
chiedano e ottengano leggi che modifichino l’ordine del votare. Questo farà si che il voto
sia per iscritto, non orale: vengono istituite le urne dove il cittadino depone la sua
votazione. Le sigle verranno utilizzate per segnare sulle schede il proprio parere. I
clienti possono a questo punto promettere ai loro protettori un certo voto e poi votare
come loro credono: libertà di voto e tentativo di dare sicurezza al voto. La legge era
quindi approvata o il magistrato eletto. Nel caso della legge il testo veniva affisso nel
foro, perché questa fosse conosciuta da tutti (non per pubblicazione). A Roma era
immediatamente efficace per tutti e la pubblicazione ne dava solo conoscenza a tutti. Ai
comizi centuriati spettavano dunque tre funzioni: elettorale, legislativa e criminale. I
censori centuriati in età repubblicana votano due tipi di leggi: de bello indicendo e la
legge de protestate censoria. I comizi votano una legge che riguardi la guerra e
approvano sempre anche la legge che dà potere ai censori. Le altre leggi sono invece
approvate dai concilia plebis tributi. Oltre ai comizi centuriati abbiamo i concilia plebis
tributa. Questi sono le riunioni della plebe. Prendono il nome di concilia proprio per
distinguere i due tipi di assemblee; comizi indica la riunione di tutta la popolazione
romana (patrizi e plebei) mentre concilium indica una parte sola della popolazione.
Assemblee che assumono importanza dopo la lex ortensia (287) anno in cui si
stabilisce che i plebisciti hanno valore vincolante per tutta la popolazione.
Contrariamente ai comizi questi si riuniscono in tribù. I distretti diventano 35 (4 tribù
urbane e 31 rustiche). L’assegnazione di un individuo ad una tribù urbana piuttosto che
rustica dipende dal possedere terra. Tribù urbane sono costituite da gente che non ha
terreno o lo ha solo nella civitas. Gli altri faranno parte delle tribù rustiche, a seconda di
dove si trovino i loro territori. I concili vengono convocati dai tribuni della plebe: hanno
tre funzioni. Funzioni elettorali, legislativa e criminale. Criminali in quanto spetta a loro
decidere se effettivamente possono irrogare le multe irrogate dagli edili plebei nello
svolgimento delle loro funzioni di polizia nei mercati e quartieri plebei. Hanno funzioni
elettorali in quanto devono eleggere i tribuni della plebe e gli edili della plebe. Hanno
funzioni legislative perché devono votare i plebisciti ossia le norme della plebe stessa e
soprattutto perché votano i plebisciti che hanno valore per tutta la civitas. In questo
caso chi propone la legge sarà il tribuno (uno dei dieci tribuni). Fatta la proposta i
concilia dovranno votare per tribù: ogni tribù formerà una unità di voto, ma su base più
democratica. Tutti coloro che appartengono ad una tribù votano insieme ed esprimono il
voto senza essere influenzati dalle votazioni delle precedenti tribù. In più sarà un voto
democratico perché non c’è una distribuzione timocratica: il voto delle centurie già di
per sé costituisce la maggioranza, qui no. Nei concilia plebis alle tribù appartengono sia
i ricchi che i poveri e tutti hanno lo stesso tipo di voto. In questa assemblea si vota in
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modo più democratico. La scelta di una legge è caratterizzata dal fatto che le tribù
rustiche sono più di quelle urbane e il parere di quelle rustiche avrà più importanza.
Stessa situazione nei comizia tributa, che è la quarta assemblea presente a Roma.
Nessuno sa con certezza cosa fossero. C’è chi sostiene che dopo il 287 siano
scomparsi i concilia plebis e che questi li abbiano sostituiti, c’è chi dice che siano esistiti
tutti e due e che abbiano preso nomi differenti a seconda di chi li convocasse. Se era un
tribuno, concilia plebis, se era un altro magistrato comitiva tributa. Le fonti però parlano
di tutte e due le assemblee, di concilia plebis e comizi tributi. Quindi i concilia tributi
hanno aperto la strada per i comizia tributi. Roma ha 4 tipi di assemblee: i comizi tributi
sono quelli convocati più frequentemente. Anch’essi hanno funzioni determinate
elettorali e legislative. Elettorali perché spetta ai comizi tributi l’elezione di magistrati
minori (edili curuli e questori sono eletti dai comizi tributi). Funzione legislativa perché le
leggi rogate vengono decise dai comizi tributi; decisi per tribù perché è più facile
giungere ad una decisione. Inoltre questi comizi possono essere convocati a Roma. Nei
concilia saranno votati leggi del diritto privato, nei comizi tributa si tratterà di diritto
pubblico. Questi sono gli organi fondamentali su cui si basa Roma. Il nexio quando una
persona in prestito, molto spesso a garanzia del prestito dava la propria persona.
Esistendo questo nexio, si verificavano degli abusi. Legge peteia papiria vieterà poi
questo. C’era un accordo fra i tre organi che dominava la civitas: senato, magistrato,
consoli, comizi. Non poteva diventare schiavo a Roma un cittadino romano. Quando
una persona commette un delitto può passare nella famiglia dell’offeso non vome nexia,
né come schiavo, ma per pagare il suo debito. Questa situazione di concordia civium fa
si che Roma non si preoccupi più delle lotte interne fra patrizi e plebei. Roma può
dedicarsi all’espansione e comincia così la serie di guerre che portano Roma a
diventare la più grande potenza di tutti i tempi, a conquistare l’Italia e gran parte dei
territori sul Mediterraneo. Roma si espande ma è pur sempre una civitas, una piccola
città stato. Deve quindi affrontare i problemi che riguardano il controllo delle terre
conquistate. Roma rimane una civitas: non vuole abbandonare questa forma di
governo. Deve trovare un modo che le permetta di dominare le popolazioni e deve
comunque rimanere città stato. Risolve il problema in due modi: con dei foedera
(trattati) e poi procedendo con annessioni. Per i trattati darà vita a trattati equi o iniqui a
seconda del fatto che le città si siano più o meno difese strenuamente. I trattati vengono
usati per le zone più vicine, per quelle più lontane si ricorre a strumenti quali le
annessioni, che sono di tre tipi: i municipi, le colonie e le province. Municipi e colonie
verranno creati in Italia fino alla Gallia, mentre province i territori d’oltre mare coprese le
nostre attuali isole (Sicilia e Sardegna).
L’espansione di Roma
Roma si espande nel mediterraneo arrivando ad avere il dominio su gran parte del
mondo conosciuto. Roma però è una città stato, non hanno una concezione chiara dello
stato, capiscono una forma politica che si basi su senato, magistrati e assemblee
popolari. Nel momento in cui inizia a conquistare deve trovare forme che le permettano
di mantenere la forma di polis. Deve trovare una soluzione e lo fa ricorrendo al sistema
federativo e della annessione territoriale. Federativo per le zone più vicine a Roma,
l’annessione per le isole e gli altri possedimenti. Usa delle finzioni per mantenere la sua
identità di città stato. Dopo aver conquistato le popolazioni limitrofe pone trattati: equi o
iniqui. Fa ricorso a quelli equi quando la popolazione assoggettata non si è dimostrata
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particolarmente battagliera nei confronti di Roma. In realtà questi trattati permettono di
mantenere indipendenza amministrativa, giudiziaria, politica aggiungendo come
clausola che gli unici nemici siano quelli comuni di Roma; impongono poi come clausola
che devono aiutare Roma in qualsiasi caso, dare uomini a Roma in caso di guerra e
fornire aiuti economici. Può però mantenere la sua individualità. Questo modo di
annessione comporta un primo problema a livello giuridico. Viene sancito il principio
della personalità del diritto, che è un contrasto con la territorialità del diritto. Chiunque si
trovi in un territorio deve essere assoggettato alle norme di quel territorio. Roma invece
ponendo in essere i trattati applica il proprio diritto ovunque esso si trovi. Accanto ai
trattati equi Roma pone in essere i trattati iniqui (Roma sarà egemone) ma in più non
potranno utilizzare il loro diritto, dovranno sottostare a dei magistrati romani. Questo
sistema funziona solo per le popolazioni limitrofe. Roma darà poi origine alla
annessione territoriale. Se la popolazione conquistata ha combattuto strenuamente
Roma conquista il territorio, lo trasforma in ager pubblicus e toglie ogni diritto agli
abitanti che diventano i famosi pregrini dediciti. A volte però la difesa non è così strenua
territorio, riconosce però una certa autonomia amministrativa alla popolazione
stazionata sul territorio e vi concede anche privilegi: distingue due municipi. Quello di
cittadini, che hanno tutti i diritti dei cittadini romani e il municipio senza suffragio, dove i
cittadini non hanno diritto di voto: possono continuare ad autogestirsi nel loro territorio
ma per le cause più importanti devono sottostare ad un pretore. Oltre ai municipi i
romani costituiscono delle colonie, conquistano il territorio, lo annettono e pongono in
queste zone dei cittadini che fondano la colonia per controllare il territorio.
Roma continua ad espandersi e si sposta in africa e oltre. Deve necessariamente
escogitare un nuovo sistema e nascono le province. I territori oltremare sono tutti
province romane. Roma manda un suo console (magistrato con imperium) che domina
con la forza la zona conquistata (all’inizio saranno consoli poi proconsoli) ognuno
secondo la propria provincia (area di influenza del magistrato sulla quale il magistrato
può esercitare il suo imperium). In questi territori Roma si comporta come i sovrani di
origine greca. Gli abitanti avevano il possesso della terra ma dovevano pagare un
canone per coltivare la terra, che era tutta e solamente del popolo romano (civitas
romana). Coloro che si trovavano nella zona conquistata hanno il possesso ma devono
pagare un canone (per questo si pala di proprietà provinciale). Lasciano alle popolazioni
conquistate la possibilità di gestire i rapporti fra di loro secondo il loro diritto. Questo
modo di espandersi crea problemi dal punto di vista giuridico. Uno nasce dal fatto che
sempre più stranieri giungono a Roma, perché è diventata ricca. Roma per conquistare
le isole ha dovuto diventare una stato che usa le navi, che ha quindi rapporti
commerciali e marittimi con popolazioni nuove: popolazioni di cultura e civiltà
completamente diversa il sistema della ius civile non è più sufficiente. Al cittadino greco
non può essere sottoposto alla ius civile o al processo leges actiones: bisogna trovare
una soluzione. Uno dei primi che cerca di risolvere questi problemi è il pretore; ma in
realtà l’unico pretore è quello urbano. È quindi necessario istituire un altro pretore,
quello peregrino (222 a.C): ha la giurisdizione sugli stranieri che si trovavano a Roma e
ha giurisdizione per i rapporti fra cittadini romani e peregrini. Questo non basta ancora.
Bisogna che questo magistrato sia anche elastico, abbia cioè cognizioni giuridiche
ampie, che esulino dal solo diritto romano. Introduce il criterio della buonafede, rispetto
della parola data, e diventa il criterio fondamentale per i rapporti fra romano e peregrino.
Questo porterà alla nascita dei contratti consensuali. Questa operazione del pretore
prende il nome di ius gentium, che trova il suo valore nel fatto che il pretore si è reso
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conto che esistono determinati rapporti fra persone che sono uguali in tutto il mondo
conosciuto. Nascono compravendita, locuzione, condizione, contratto, società,
mandato. Ma il pretore si trova di fronte ad altri problemi. Anche dal punti di vista
processuale devono essere introdotte modifiche. Ben presto però anche il pretore
urbano si rende conto che determinati negozi possono essere posti in essere anche fra
due cittadini romani e anche nel tribunale del pretore urbano vengono introdotti nuovi
sistemi. Il problema è che il pretore ha funzioni giurisdizionali ma è comunque un
magistrato, non un esperto di diritto. Per questo deve chiedere aiuto a chi conosce il
diritto; deve rivolgersi a dei giuristi (una volta erano i pontefici). Accanto al pretore ci
sarà la figura dei giurisperiti.
Le fonti di produzione
Le fonti di produzione dell’età repubblicana sono le leggi, i senato consulti, le sentenza,
l’autorità dei giuristi, gli editti dei magistrati, le consuetudini e l’equità. In età
repubblicana fonti di produzione sono ancora i mores, le leggi (in senso tecnico, cioè
legge rogata, proposta dal magistrato ai comizi e approvata dai comizi), il plebiscito,
senato consulti.
Il senato consulti è fonte di produzione perché spesso le decisioni del senato
nascevano da una richiesta specifica fatta dal magistrato al senato. Queste decisioni
venivano pubblicate e il popolo riteneva di seguire quanto deciso del senato consulto.
L’autorità dei giuristi è l’interpretatio prudentium. Ci sono giuristi laici conoscitori del
diritto che vengono interpellati dal pretore o dai privati per esprimere un parere su un
caso concreto. Possono essere interpellati anche diversi giuristi. Quando si forma una
comune opinione il parere del senato consulto ha parere vincolante. L’editto del
magistrato: all’inizio dell’anno in carica deve proclamare il suo programma e deve
affiggerlo nel foro. È poi obbligato a rispettarlo. Le sue promesse sono vincolanti.
L’editto del magistrato ha forza vincolante e diventa fonte di produzione del diritto.
L’equità in realtà non è fonte di diritto, è un criterio con i quali giuristi e pretori devono
giudicare. La legge: è un comando generale che viene dal popolo per mezzo del
magistrato. È un comando generale ma è anche un impegno formale di tutti i cittadini
romani. Quando i comizi approvano una legge questa è formata da tre punti:
Primo c’è il magistrato; il titolo; c’è l’indicazione del luogo in cui si è tenuta la riunione
dei comizi, il nome della tribù prescelta e degli appartenenti a quella tribù; la richiesta
del magistrato. Secondo c’è la rogatio del magistrato, che è il testo della legge. Terzo
tutte le leggi finiscono poi con una sancito, clausola sanzionatoria di tre tipi. Ogni legge
si chiude dicendo che tale legge deve essere rispettata. Legge perfette, quasi perfette e
imperfette. Se nella sancito è prevista la nullità assoluta di tutti gli atti fatti contro la
legge, parleremo di legge perfetta. Se la legge è perfetta ci sarà anche una punizione
per chi non la rispetterà. Ci sarà anche una regola nella quale si dirà che in quella
materia non operano più le leggi precedenti. Se la legge è quasi perfetta non sarà
contemplata la nullità assoluta degli atti. Nelle leggi imperfette ci sarà solo la
disposizione che annullerà le altre leggi anteriori.
I culti religiosi e la donna
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Abolizione dei culti bacchici punendo tutti coloro che vi partecipavano e assistevano.
Viene dato ai consoli un potere extra-ordinem: non c’è possibilità per il condannato di
provocare ad popolum. A partire dal III secolo a.C la condizione delle donne romane ha
subito peggioramenti; nelle campagne abbiamo il ritorno al latifondismo, le contadine
sono dipendenti del proprietario del feudo. In città abbiamo una legge che impedisce
alle donne di possedere più di un certo numero di gioielli. Lex voconia: stabilisce in 200
mila assi il limite delle somme che le donne possono ereditare. A Roma non ci sono
uomini (a causa delle guerre di conquista); esse si dedicano ai culti bacchici (riservati
inizialmente solo alle donne); con l’intervento di Agna Papulla (sacerdotessa campana)
vengono estesi anche agli schiavi e agli uomini.
I riti si svolgono in un bosco sacro a Stimula (dea della follia) e sono caratterizzati da
orgie, vino e accoppiamenti di vario genere. Le donne si giustificano dicendo che sono
preda di stimula
nella vita quotidiana sono repressi. La donna si sposava per interesse e per dare figli
legittimi. (Seneca: è disdicevole amare la propria moglie, bisogna solo rispettarla). La
passione solo con concubine. Le donne si dedicheranno ai veneficia (avvelenamenti)
per liberarsi da mariti scomodi.
Senatoconsulto de bacchanalibus nel 186 a.C. è un superprocesso pubblico alle donne:
2000 donne vengono tutte condannate a morte. L’esecuzione non è pubblica ma in
casa. Fra le 2000 vi è la moglie di un console condannata perché aveva avvelenato
marito e aver dato al figlio di primo letto la possibilità di accedere al consolato.
Gli editti
Gli editti possono essere fatti da: edili curuli, governatori provinciali, pretori. Necessità di
dare vita a nuovi negozia (come quelli di ius civile) per rapporti fra peregrini e romani.
Buona fede: i nuovi negozi si pongono sulla parola data (anche se a volte viene
rispettata, altre volte no). I peregrini non comprendono i certa verba. Il pretore deve
introdurre delle azioni che permettano la tutela giuridica delle situazioni che si basano
sulla buonafede. Inizialmente il pretore analizza singolarmente i casi che gli vengono
proposti e se rileva che è necessaria tutela gli concede un’azione in cui saranno
contenute le indicazioni di massima a cui dovrà attenersi lo iudex privato per emettere
la sentenza. Ma le richieste ai pretori aumentano: egli darà degli editti (programmi di
massima) indicando dall’inizio dell’anno in carica quali sono le situazioni che intende
proteggere e quali azioni concedere con la possibilità di concedere nuovi strumenti di
tutela per nuovi casi. Un tipico esempio di azione è quella concessa nella
compravendita. Ampia discrezionalità al giudice privato (deve prendere in
considerazione tutte le circostanze del caso). Non è necessario che il convenuto
inserisca delle esceptiones perché già compete al iudex verificarlo. Questo sistema
viene presto utilizzato anche dal pretore urbano (editti con azioni più libere rispetto alle
legis actiones. Viene emanata una lex che dà possibilità ai cittadini di scegliere quale
tipo di processo vuole intentare (lex aebutia).
Nasce il ius honorarium: quella parte del diritto di Roma da cui nascono le nuove norme
giuridiche, nuovi istituti no vincolati al rigido formalismo del ius civile. (perché il pretore
urbano concedendo nuove azioni, riconosce nuovi diritti e obblighi). Inizialmente i casi
richiesti al pretore urbano sono pochi, poi aumentarono. Editti del pretore urbanus; fa il
suo programma, enuncia pubblicamente i mezzi processuali ed extra-processuali che
intende concedere ai cittadini. Editto perpetuo per distinguerlo dall’editto stretto o
repentino (per una singola azione). La validità del programma dell’editto è un anno. Il
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successore ha la possibilità di confermare (ciò che accade più spesso) o revocare le
decisioni prese precedentemente.
Il pretor deve richiamare le norme di ius civile indicando una formula tipo; per ogni tipo
di negozio giuridico si enuncia la struttura dell’azione che nasce da quella situazione. La
formula è data secondo processo formulare. Esempio: per le XII tavole eredi del pater
familias sono i figli che ereditano se non c’è espressa disederazione. Se però il pater
familias non cita uno dei figli, il disederedato ha il diritto di proporre querela in officiosi
testamenti che con il processo formulare è un’azione più semplice senza il ricorso al
giuramento.
La nuova organizzazione e le sue conseguenze
Si ha un’opera di laicizzazione del diritto che avviene per opera di Appio Claudio Ceco
(de usurpationibus): l’opera di Gneo Slavio che pubblica il calendario giudiziario e il
formulario per le leggi actiones; poi c’è Tiberio che dà responsi pubblici.
Da questo momento la conoscenza del diritto non è più concentrata nella mani di pochi
e inizia lo studio della giurisprudenza come ars. Alla luce di questa nuova concezione
iniziano le opere di commento alle XII tavole, che si basano su un’interpretazione delle
norme; tripartita (primo commentario alle norme). Nella prima parte sono riportate le
norme, nella seconda sono interpretate e nella terza parte ci sono i formulari. Da questo
momento inizia l’interpretazione di tutto lo ius civile (mores, XII tavole, leggi comiziali e
dei plebisciti). Magno Manlio, Publio Muzio Scevola ricorrono al metodo didattico; e
partendo dal caso concreto applicano la dialettica e creano nuovi concetti. Da questo
momento si parla di giurisprudenza come forza creatrice di diritto. Si parla qui di ius
contro versus. Abbiamo visto che c’erano due pareri: quello di bruto e degli altri giuristi.
Questo voleva dire che un caso concreto era stato risolto in due modi. Questo modo di
creare diritto si perfeziona sempre più e fanno ricorso all’analogia e all’equità. Sempre
da questo momento nascono gli editti e i magistrati hanno bisogno di consultarsi con i
giurespediti. In più i pareri richiesti ai giuristi si fanno sempre più numerosi, perché i
contatti fra romani e stranieri sono sempre più numerosi. Questo ricorso ai pareri fa
nascere generi nuovi; nascono le prime raccolte di responsa, di questiones. Per la
prima volta sorgono i digesta (ordinare); per la prima volta nascono opere che ordinano
tutti i responsi per materia seguendo l’editto del pretore. Vi sono poi dei commentari
all’editto del pretore e dei commentari sulle XII tavole. Gli ultimi giuristi dell’età
repubblicana danno nuovi pareri, una forma ai pareri. Dal caso concreto danno la
soluzione specifica e delineano ulteriori ipotesi per analogia. Così il diritto romano
riuniva il ius. L’interpretatio diventa fonte di produzione del diritto. I romani sostengono
che i giuristi non creano nulla di nuovo, ma realizzano quelle norme che sono nel diritto
a livello latente.
Accanto all’interpretatio Cicerone ci parla delle sentenze dei giudici privati. Cicerone ce
ne parla perché creano diritto in modo indiretto. Quano un iudex privatus dà una nuova
sentenza che interpreta una norma già esistente, questa interpretazione diventa prassi
e diventerà una nuova norma giuridica. Nel ’93 a.C Curio era stato citato in giudizio
dagli eredi ex lege di un certo Caponio. Caponio aveva scelto come erede pupillare
Curio se il figlio di Caponio non avesse raggiunto la maggiore età. Morto Caponio senza
figli Curio si impossessa delle cose. Gli eredi chiedono giudizio, perché nel caso non
fosse nato nessun figlio, il diritto indicava come eredi gli eredi ex lege. Vinse Curio e per
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la prima volta fu introdotto l’aspetto della volontarietà. Nei casi di atti di ultima volontà
prevale sempre la volontà del testatore. Questa norma diventa norma giuridica.
L’ultimo elemento è l’equità, che è un principio riformatore di tutta la realtà romana.
Criterio rispettato per creare nuove norme. Dall’esame delle affermazioni possiamo
trarre un bilancio. Abbiamo fonti in senso tecnico e fonti di produzione in via indiretta.
Sono fonti di produzione tecniche i mores, la legge delle XII tavole, le leggi comiziali, i
plebiscita, l’interpretatio prudentum e gli editti dei magistrati. Sono fonti di produzione
indirette i senatus consulta e le sentenze dei giudici privati. Dal punto di vista storico
Roma è rimasta all’espansione fino al Mediterraneo, Roma ha cercato comunque di
rimanere città stato. È ricorsa a foedera e annessioni. Questo ha portato Roma a
diventare un impero, dall’altra ha creato notevoli problemi interni. Gli uomini per anni si
sono dedicati alle guerre, trascurando Roma. Questo ha provocato impoverimento delle
campagne; il fenomeno del latifondismo tornò a farsi vedere. Le persone più ricche vista
la mancanza di uomini con la forza hanno tolto alle donne i pochi appezzamenti di
terreno dei cittadini. Ha fatto uso indiscriminato degli schiavi, che se da un lato avevano
grandi conoscenze tecniche per operazioni importanti (banchieri, medici) dall’altro ha
fatto si che lo schiavo diventasse una res scambiabile. Questo uso indiscriminato ha
portato all’impoverimento della classe medio bassa e ha aperto la strada per una nuova
e profonda crisi sociale, sconfinata nel continuo flusso a Roma di gente affamata.
Questo stato di degrado è quello che ha visto Tiberio Gracco: tornato in città dopo un
viaggio in Toscana, Tiberio si è fatto eleggere tribuno per dare vita ad una riforma
agraria. Prima cosa che fece fu di far votare la prima legge agraria, che chiedeva
l’applicazione della legge “de modo agrorum” che era una delle leggi Luciniae Sextiae.
Questa stabiliva un limite di 500 jugeri di terra. Chiede un correttivo, chiedendo che il
limite preveda l’assegnazione di 250 jugeri al primo dei figli, e 250 al secondo, in modo
che ogni famiglia potesse avere 1000 jugeri. Tutta la terra eccedente deve essere
confiscata e ridistribuita fra coloro che hanno meno di 1000 jugeri. Per questo Tiberio
Gracco nomina un triumvirato, per scoprire la quantità di terra di ciascuna famiglia e
ridistribuire gli eccessi e risolvere eventuali problemi. Questa legge viene approvata, ma
la legge non piace alla nobilitas, che tenta di eliminare il potere di Tiberio istigando
tramite l’intercessio l’opera di Tiberio. Questo tentativo fallisce. Nel frattempo muore
Attalo re di Pergamo e lascia tutto il suo regno al popolo romano. Attalo era legato alla
famiglia dei Gracchi, e Tiberio chiede che il tesoro di Attalo venga distribuito fra i poveri
romani. Questa nuova iniziativa non piace alla nobilità. Il senato decide di votare il
senatus consultum ultimum, che viene usato per la prima volta e consiste nell’abolizione
totale delle garanzie istituzionali, con l’incarico ai consoli, in forza del loro imperium
militare, di eliminare il nemico della civitas. Uno dei consoli non accetta e non vuole
uccidere Tiberio. L’ultimo espediente riesce: il pontefice massimo, in forza di una norma
desueta ma mai abolita arma un gruppo di cittadini che devono combattere contro il
nemico pubblico. Si ha uno scontro fra fazioni diverse in cui Tiberio Gracco muore. Il
movimento della plebe però non cede. E dopo 10 anni riesce ad avere un nuovo capo
carismatico, Caio Gracco. La fazione dei popolari ha un nuovo capo: si fa eleggere
tribuno della plebe e cerca di portare a termine l’opera del fratello, con un nuovo
triumvirato. Emana poi una serie di leggi che servono ad aiutare la classe meno
abbiente: fa approvare una legge frumentaria, che preveda la distribuzione gratuita al
popolo di olio e frumento. Fa votare poi una legge che è lex Acilio rapetundarum, che
toglie potere ai senatori di decidere su azioni che riguardano il malgoverno dei
governatori provinciali. Fa poi votare una legge sul diritto di vita e di morte per i cittadini
romani. Una legge che prevede la possibilità per il cittadino romano condannato a morte
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di scegliere l’esilio. Anche in questo caso il senato comincia ad osteggiare Caio Gracco,
ma questi ha creato una forza politica coerente ed omogenea che lo sostiene. Prima
che il senato possa operare fa approvare una legge contro l’iterazione del tribunato
(cioè lo stesso tribuno poteva essere rieletto). Ma in questa politica si inserisce un
evento imprevedibile: gli italici, privi della cittadinanza romana, avanzano delle pretese.
Caio Gracco fa una nuova proposta: chiede che venga cocnessa ai latini la cittadinanza
romana e agli italici gli ius latii (diritti di tutti i latini). Una parte della plebe viene
fomentata dicendo che se questa proposta verrà approvata la plebe sarà danneggiata.
Ci sarà quindi divisione fra la stessa plebe. Lotta che finisce in un tumulto nel quale
muore Caio Gracco. La strada aperta da Caio porta al costituirsi a Roma di due nuove
fazioni: populares da una parte e optimates dall’altra. Populares sono coloro che stanno
dalla parte dei ceti meno abbienti. Gli optimates rappresentano la nobilitas, cioè la
classe patrizia e dei più ricchi. Da questo momento gli anni della repubblica saranno
caratterizzati dalla lotta fra questi due partiti. Sarà il primo passo verso la caduta
definitiva del regime repubblicano. In questo clima si inserisce la figura di un homo
novus, Mario. Nel momento in cui i romani si trovano a combattere contro Giugurta, re
della Numibia, mandano un uomo forte come comandante militare. E dopo aver eletto
console Mario, lo mandano a combattere Giugurta. Mario torna vincitore e forte di
questo suo nuovo potere introduce due nuove innovazioni. Nella costituzione, perché
istituisce un esercito di volontari. L’esercito è ora costituito da soldati pagati e possono
spartirsi il bottino di guerra e hanno diritto ad avere delle terre. I soldati non sono più
mossi da senso civico, ma dal desiderio di soldi, ricchezza e dal rispetto per il loro
comandante. Mario fa poi votare un’altra legge agraria. Una legge che prevede che le
nuove terre conquistate siano anzitutto assegnate ai veterani e poi se ne rimane,
spartita fra gli altri cittadini romani. In questa operazione è aiutato da Silla. Mentre Mario
rappresenta il partito dei popolari, Silla è l’uomo degli optimates. E gli ottimati
approfittando di una battaglia fuori Roma di Mario danno il consolato a Silla e ordinano
a Mario di consegnare le legioni. Mario però forte dell’appoggio dei suoi veterani non
accetta e per la prima volta entra a Roma un console con le legioni. Si ha lo scontro
diretto fra due fazioni. Nello scontro esce vincitore Silla e istituisce per la prima volta
una dittatura senza termine. Prende la scusa di dare nuove leggi alla repubblica e una
nuova costituzione. Diventa dictatura le gibus scribundis e rei pubblicae costituende”.
Forte di questo potere abolisce alcune garanzie. Elimina la possibilità per i tribuni di fare
intercessio. Toglie ai concilia plebis tributa la possibilità di fare plebisciti con valore di
legge. È il capo assoluto dello stato. Dà vita a numerose proscrizioni. Dà potere al
senato aumentando a 600 il numero di senatori e facendo eleggere come senatori solo
ed esclusivamente persone del suo partito. Questo per riportare al vecchio splendore
senato e nobilitas. Tanto che nel 79 a.C, una volta che ritiene di aver concluso la sua
opera, si ritira dalla vita politica e riesce a vivere ancora un anno giusto per veder
crollare tutto quello che aveva posto in essere. Vengono restaurate le antiche garanzie
istituzionali che però non sono quelle del III, II secolo, perché nel frattempo c’è stata
anche la guerra italica che si conclude con la concessione della cittadinanza romana
agli italici, cambiando la configurazione della civitas, facendo crollare il modello della
città stato. Si va sempre più verso un impero guidato da un uomo solo e porteranno al
principato tre figure; Pompeo, Cesare e Ottaviano.
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Pompeo, Cesare e Ottaviano
Nonostante il grande sforzo di Silla, subito dopo il suo ritiro il suo operato va in frantumi.
Si ritorna ad un assetto simile a quello antecedente alle lotte civili. Obiettivo è far
prevalere l’interesse personale. Caduto l’astro di Silla nasce quello di Pompeo,
sostenuto dagli ottimati. Diventa console nel 70 e poi princeps rei publicae. Una volta
divenuto princps rei publicae gli viene data la potestà proconsolare e poi l’imperium su
tutte le province romane. Vengono cos’ create nuove magistrature e in più si danno
poteri enormi ed illimitati ad un unico soggetto. Questo fa si che gli animi dei romani si
preparino gradualmente al cambio istituzionale. Nel 52 gli viene affidato il consolato
sine collega; soprattutto emerge e spicca la figura di Cesare. Sarà lui che preparerà il
terreno definitivo per il nuovo assetto costituzionale. Cesare nel 60 a.C insieme a
Pompeo e Crasso dà vita al primo triumvirato. Primo triumvirato che è solo un accordo
privato fra cittadini per la spartizione del potere. Subito dopo, nel 59 a.C Cesare viene
eletto console e propone subito una serie di leggi, dette leggi Giulie nella quali una è
particolarmente importante. Una nuova legge agraria. È la prima legge agraria che si
preoccupa veramente dell’economia rurale e contadina. Cesare per la prima volta si
occupa della terra. Dopo aver fatto votare questo gruppo di leggi, i tre uomini del
triumvirato si spartiscono le aree di competenza. Cesare viene mandato in Gallia a
combattere Cibri e Teutoni; Pompeo in Spagna e Crasso in Siria per sconfiggere i Parti.
I due personaggi forti sono però Cesare e Pompeo. Quando nel 53 Crasso muore
durante una delle battaglie la lotta fra Pompeo e Cesare si verifica sia sul piano politico
che militare. Pompeo si trova a Roma, è rappresentante della nobilitas e forte del loro
appoggio fa votare una legge, che impedisce a coloro che sono fuori da Roma di
postulare le magistrature. Come conseguenza viene chiesto a Cesare di restituire le
legioni e l’imperium. Cesare si sente offeso e quindi nel 49 varca il Rubiconde e dichiara
guerra a Pompeo e agli optimates che Pompeo rappresenta. Nel 48 nella battaglia di
Farsalo Cesare sconfigge definitivamente Pompeo e rientra a Roma come uomo forte e
incontrastato e inizia la sua politica di restaurazione di una monarchia di tipo ellenistico.
Basa il suo regime da un lato sul terrore (proscrizioni) e sulla clemenza rivolta verso gli
ex pompeiani che hanno deciso di redimersi. Si fa poi nominare console, poi dittatore; si
fa concedere l’inviolabilità tribunizia pur senza essere tribuno. Si fa assegnare una
dittatura per 10 anni. Fa istituire una nuova legislatura che è molto simile alla censura e
infine si fa dichiarare dittatore a vita. Esautora i poteri del senato e delle magistrature.
Porta a 900 i senatori e fa eleggere in senato tutti gli uomini nuovi (che appartengono
alle province, quindi ai peregrini). Poi nello stesso anno nomina più coppie di consoli,
per trasformale il consolato in una carica onorifica. Dal punto di vista legislativo dà un
codice scritto di leggi, immutabile. Questo corpo di leggi che non verrà finito nasce per
togliere potere ai giuristi e ai magistrati. Si fa poi conferire l’imperium a vita e fa in modo
che sia trasmissibile per via ereditaria. Fa poi un testamento, per assicurare la sua
successione: nomina suo figlio Ottaviano erede universale. L’unica prerogativa che gli
manca è il rapporto con la divinità, cioè di essere diventato monarca per potere divino.
Già aveva convinto la popolazione di essere discendente di Enea. Prima di farsi
divinizzare vuole però sconfiggere definitivamente i Parti. Il suo intento non riesce. Il
senato per scongiurare questa trasformazione arma la mano ad alcuni congiurati e alle
idi di marzo del 44 viene ucciso. La monarchia di tipo ellenistico non prenderà quindi
corpo, ma la costituzione del nuovo sistema è il modello seguito poi anche da
Napoleone e dal Kaieser. Dopo le idi di marzo eredi politici di Cesare sono due suoi
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fedelissimi generali, Antonio e Lepido. Già si pone il problema di chi si affermerà, ma la
situazione si complica perché l’eredità dovrà essere trasmessa al figlio adottivo di
Cesare, Ottaviano. Ottaviano è però il più intelligente dei tre, e nonostante la giovane
età riesce nello stesso tempo a non scontentare il senato e a non creare dissidi fra
Antonio e Lepido. Dà vita al secondo triumvirato, ma mentre il primo era in accordo fra
privati, il secondo è una vera e propria magistratura. Tramite un plebiscito i tre uomini
vengono istituiti triumviri rei publicae costituende. Nel 43 vengono insigniti di questo
potere. Dure cinque anni, con lo scopo di riformare la costituzione repubblicana. In
realtà i tre triumviri non portano avanti questo compito se non per ottenere più potere. Si
spartiscono le aree di influenza. A Lepido viene dato solo il governo delle province
d’Africa. Ad Antonio tutte le province d’oriente e ad Ottaviano tutte quelle d’occidente
compresa Rima. Conclusosi il primo triumvirato nel 37 a.C si dà vita ad una riconferma
del triumvirato con effetti retroattivi. Ottaviano comincia a diventare impaziente e fa
pressione su Lepido: nel 36 toglie a Lepido le province d’Africa dandogli solo il ruolo di
pontefice massimo. Ottaviano si fa poi riconoscere l’inviolabilità tribunizia. Intanto in
oriente Antonio non combatte e si occupa di Cleopatra: questo fa si che Ottaviano
faccia un’altra manovra: fa testamento e il suo testamento è conservato dalle vestali. Fa
rubare il testamento dalle vestali e ne dà pubblica lettura. Antonio nel suo testamento
ha lasciato come eredi i figli avuti da Cleopatra. In forza di questo testamento Ottaviano
manipola la realtà facendo passare la voce che vuole Antonio intenzionato a creare un
regno con capitale Alessandria. Questo provoca la reazione delle province occidentali e
di Roma. Le province giurano fedeltà al loro comandante e gli prestano tutto il
necessario per combattere il nemico. Ottaviano è legittimato a muovere guerra contro il
nemico. Ma Ottaviano agisce d’astuzia. Non fa dichiarare guerra contro Antonio, non
vuole una guerra civile. Fa dichiarare guerra a Cleopatra, all’Egitto. Farà fare questa
dichiarazione ai feriali e nel 31 a.C con la battaglia di Azio Ottaviano sconfiggerà
definitivamente il nemico. Antonio e Cleopatra si suicidano e l’Egitto diventa una
provincia romana. Ottaviano è solo, padrone incontrastato della civitas romana e inizia
la sua opera di trasformazione del sistema costituzionale. Lo fa in tre fasi. La prima va
dalla battaglia di Azio al 28 a.C, dove sulla base delle macerie di Roma sconvolta dalle
guerre civili deve fondarsi e ricostruirsi e attiva una politica per consolidare i confini
dell’impero romano. Poi dal 27 al 23 trasforma il regime repubblicano, e lo trasforma
dall’interno. Fa che tutto rimanga inalterato nella forma ma che cambi nella sostanza.
Formalmente non c’è alcuna differenza ma in realtà è tutto modificato. Poi c’è la fase
dal 23 al 235, fase del principato. Nel 42 è stata emanata una legge che prevedeva che
anche le donne romane dovessero pagare le tasse, dei tributi a scopi bellici. Questo
provocò una reazione, determinata da un motivo pratico. Le donne erano escluse dalla
vita politica quindi non capivano perché non partecipando alla civitas dovessero pagare
dei tributi. Approvata questa legge le donne cercarono un oratore che patrocinasse la
loro causa, ma non trovarono nessuno. Quindi una di loro, Ortensia, la figlia di Ortensio
Ortalo (uno dei più grandi oratori romani) si recò dai triumviri sostenendo questa causa
con un’orazione semplice ma persuasiva: noi paghiamo le tasse solo se siamo
ammesse ai diritti politci. La motivazione delle donne, che si concluse con l’esenzione
del pagamento, è una motivazione utilizzata sia nel 1770 (rivolta del te) sia nel 1775
(rivoluzione americana). Questo ha fatto si che gli uomini romani si accorgessero del
vuoto legislativo dato dal fatto che nessuno vietava alle donne di fungere da avvocato.
Fino a quel momento il rispetto della pudicizia non aveva fatto notare la cosa. Questo
vuoto doveva essere colmato e fu fatto il divieto di postulare pro aliis e il divieto per le
donne di ricoprire uffici pubblici. Le donne romane non potranno mai essere curatrici, fu
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vietato dalla legge. C’è una prima fase nella quale Ottaviano cerca di ricostruire Roma;
riappacifica l’impero sedendo le rivolte delle popolazioni conquistate, sia le guerre
interne, sia sconfiggendo i pirati. Dopo aver sedato queste rivolte Ottaviano si dedica
alla trasformazione del regime, che avviene in modo graduale. Sappiamo ciò tramite la
lex gestae devii augusti (la sua autobiografia). Essendo stato nominato princeps
senatus convoca il senato perché approvi ciò che lui vuole. Fa approvare questo senato
consulto che ha forza di legge e che attribuisce poteri ad Ottaviano.
Giustiniano
Nel 527 Giustiniano sale al potere nell’impero romano d’oriente. Si trova in un regno
estremamente ellenizzato, di cultura greca. Gli intenti di Giustiniano sono di far rivivere
l’impero romano, sia dal punto di vista territoriale che del diritto. Dal punto di vista del
diritto dà vigore al diritto romano. Dal punto di vista militare riconquista l’Africa, Spagna
e l’Italia. Dal punto di vista legislativo inizia un’opera, il corpus iuris civilis. Grande opera
legislativa che si compone di 4 parti. Una prima parte è il primo codice, cioè una
raccolta di leggi. Una volta raccolte si dedica agli iura ed emana il digesto. Emana poi le
istituzioni, manuale per la didattica, aborga il primo codice e lo sostituisce con un
secondo codice a noi pervenuto, e poi inizia la stesura delle novellae istitutiones.
Appena salito al potere giustiniano si rende conto che c’è un gran numero di
costituzioni: elegge quindi una commissione con il compito di raccogliere tutte le
costituzioni appartenenti al codice gregoriano e di includervi anche le costituzioni
successive. Questo lavoro deve essere fatto attraverso direttive particolari. Emana una
prima costituzione, nella quale da compiti alla commissione; questa costituzione è haec
quae necessarie emanata nel 528. con questa costituzione Giustiniano impartisce
direttive: ordina di eliminare le costituzioni inutili, le contraddizioni delle varie costituzioni
e di attuare modifiche alle costituzioni. In meno di un anno la commissione termina il
lavoro e nel 529 viene emanata una costituzione che dà vigore al codice, C.Summa rei
publicae. Giustiniano ribadisce le costituzioni dei suoi predecessori (in tutte le
costituzioni c’è sempre un richiamo a Dio e alla provvidenza). Giustiniano decide di
raccogliere la giurisprudenza classica in un’unica opera: questa decisione è presa per
trasformare l’opera della giurisprudenza classica in diritto vigente. La commissione si
allarga e vengono emanate una serie di costituzioni per impartire le direttive necessarie
per dare vita a questa nuova opera, il digesto (o pandette). Emana quindi 50
costituzioni, ed emana poi la costituzione con la quale formalmente predispone la
costituzione di una nuova opera, deo autore, riassumendo le 50 costituzioni (raccolgono
tutti gli originali e i loro commenti e li esaminano. Fatto questo ai compilatori viene dato
il potere di eliminare tutto quello che è inutile. Compito di modificare e correggere tutto
quello che non va, aggiungere ai testi classici frasi o istituti che si sono aggiunti poi).
Giustiniano da la possibilità di applicare delle interpolazioni. Dice anche come dovrà
essere formulato questo testo: formato da 50 libri divisi in titoli, a loro volta divisi in
frammenti. Poi i medioevali hanno diviso i frammenti in paragrafi (principium il primo,
1,2,3,4…i successivi). Dà un’altra direttiva, cioè raccoglie per argomento il materiale e
ogni titolo conterrà una serie di frammenti che riguarda un aspetto particolare di
quell’argomento. Questo ha fatto si che uno stesso passo fosse inserito in momenti
diversi: si parla in questo caso di leges geminatae. Un’altra indicazione è quella di
lasciare sempre la paternità del frammento, ossia il nome del giurista da cui è tratto il
frammento. Nel digesto sono presenti 39 giuristi. La prevalenza dei passi è per Ulpiano:
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almeno un terzo dell’opera. Questo lavoro viene fatto in meno di tre anni, tanto che nel
533 viene emanata la Tanta (o Dedoken). La prima teoria è quella del Blume: i
compilatori giustinianei avrebbero diviso il amteirale in 4 masse: una conteneva gli scritti
dei giuristi classici che commentassero lo ius civile. Una seconda massa che contiene
opere di commento all’editto. Una terza che contiene opere di commento all’opera di
Papiniano. E una quarta, detta appendice, che contiene tutto quello che non poteva
essere contenuto nelle altre 3 masse. La commissione si sarebbe poi divisa, in modo di
curare ciascuna una massa. E alle fine si sarebbe data origine ai 50 libri. C’è un’ipotesi
che parla dei pre-digesta i compilatori avrebbero preso dalle opere già esistenti in cui
autori post-classici avevano già raccolto le opere di giurisprudenza ancora vigenti. I
compilatori dovevano quindi solo correggere quest’opera per dare origine al nuovo
codice. Sicuramente hanno diviso l’opera in masse, ma non si sono divisi in sottocommissioni, ognuno si occupava di un argomento. Ogni compilatore si occupava di
certi argomenti. Fatto questo lavoro avrebbero poi creato il digesto. Giustiniano ritiene
che le istituzioni di Gaio siano superate: decide quindi di dare incarico ad una
commissione di compilare un nuovo manuale di istituzioni privato. Non è un puro e
semplice manuale, ma sono manuale e legge: con la costitutio imperatoriam
maiestatem pubblica questo nuovo manuale. Nelle istituzioni giustinianee non sono
contenuti solo passi di Gaio, ma di altri, fra cui Ulpiano e Fiorentino. La modifica
principale sta nel fatto che contrariamente al digesto non c’è alcun cenno sui nomi dei
giuristi: sono scritte in prima persona. Essendo un manuale per studenti riguarda il
diritto vigente. Giustiniano, con una costituzione, la Omnem, crea una riforma
universitaria. Gli studenti devono studiare le istituzioni di Giustiniano al primo anno e poi
le altre opere del corpus iuris civilis. Abroga poi il primo codice e ne emana un
successivo, la constitutio cordi, che emanava un nuovo codice. Ha dato vita quindi alla
raccolta delle novelle. Le modifiche apportate riguardano anche le vecchie costituzioni.
Giustiniano ha poi vietato di commentare la sua opera, quindi digesto, codex e
istituzioni. Ma il divieto non fu poi rispettato.
Le novellae sono iniziate dopo la pubblicazione del secondo codice. Ogni sei mesi le
costituzioni dell’imperatore venivano emanate per esigere le novellae costitutiones. Ma
nessuno raccolse tutte le novellae, nessuno si dedicò alla raccolta; ci furono solamente
raccolte private, fra cui quella Epitane Iuliani, di 122 novellae e l’Autenticum, che ne
conta 128.
Diritto criminale
I romani distinguono tra crimina e delicata: questi portano a conseguenze particolari. I
delicata sono sanzionati con la vendetta privata. I crimina sono puniti dallo stato con il
potere/dovere di sanzionare gli specifici crimini. I romano non distinguevano i crimini, li
raggruppavano a seconda dalla sanzione comminata. Vengono distinti tre tipi di
supplizio. Una prima categoria detta scelus espiabile. Qui rientrano gli illeciti puniti con
un “piaculum”. Una seconda categoria riguarda i crimini puniti con la sacertà, che
comporta la consecratio del colpevole. Questa sanzione riguarda gli atti illeciti che
minano la pace con la divinità. Vi è poi una terza categoria, che vengono puniti con la
pena di morte. La pena di morte aveva triplice funzione e a seconda del delitto veniva
utilizzata. Funzione espiativi; doveva lavare l’onta e l’inimicizia creata fra uomini e
divinità offesa. Funzione di castigo, all’interno delle casa da parte del pater familias e
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comminata dal rex. E poi funzione di vendetta privata, pubblica. Vediamo ora i reati per
cui è richiesto il “piaculum”: si tratta di reati che offendono la famiglia. Prima di tutto
commette tale reato la concubina che si reca all’altare di Giunone a pregare e tocca
l’altare (questo perché Giunone rappresenta la moglie legittima e il suo altare può
essere toccato solo da moglie legittima). Per espiare la sua colpa deve sacrificare un
agnello alla divinità. Altro reato è commesso dalla vedeva che si risposa prima della fine
dell’anno di lutto. Deve sacrificare alla divinità una mucca gravida. Un altro reato che
deve essere pagato è quello del marito che ripudia la moglie senza giustificato motivo
(legittimato solo se la donna ha bevuto vino o se commette adulterio). Deve fare
un’offerta alla divinità e l’altra metà alla moglie ripudiata. Quindi si parla di morte civile.
Ci sono poi i crimini che vengono puniti con la sacertà. Primo la violazione dei confini
(che erano sacri). I confini potevano essere modificati solo tramite un cerimoniale
religioso anticipato dagli auspicia. Per quanto riguarda i confini pubblici non si potevano
restringere le mura della città, solo allargare. Questo fa si che chi viola i confini mini la
pace sociale fra le comunità e la divinità preposta ai confini. Un altro reato in questo
modo espiabile è quello del figlio che percuote il genitore. Il pater familias percosso
deve porre in essere la “ploratio”, cioè deve urlare a gran voce per farsi sentire dai
vicini, che possano eventualmente testimoniare in un processo. Inoltre i romani
credevano nella magio e la ploratio aveva quindi funzione di maledire il soggetto che
percuoteva il pater familias. Un altro caso punito con la sacertà è il caso di colui che
espone il figlio deforme senza aver chiamato a raccolta i 5 vicini; se non li chiama a
raccolta viene punito. In questo caso non solo consecratio capitis ma anche bonorum. Il
soggetto viene espulso dalla civitas, viene allontanato dalle mura e consacrato alla
divinità che ha offeso. Uscito dalle mura il soggetto non è più protetto e chiunque può
ucciderlo impunemente, ma lo stato non punisce l’uccisore. Ci sono poi crimini puniti
con la pena di morte. Pena di morte con funzione espiativi. Sicuramente il crimine più
grave è la perduellio, reato di alto tradimento delle istituzioni rege. Usurpazione dei
poteri del rex o del pater familias. In questo caso abbiamo l’applicazione della lex
orrendi carminis: secondo tale legge il colpevole di perduellio doveva essere sospeso
ad un albero infelice con il volto coperto. Una teoria dice che questa consisteva
nell’impiccagione, un’altra nella crocifissione (esclusa perché la legge fa riferimento alla
corda, che non viene utilizzata nella crocifissione. Questa consisteva nel legare a due
pali il condannato e lasciarlo morire di stenti e a seguito dei morsi delle bestie. Questa,
di origine greca viene apprezzata dai romani, che frustano il condannato e poi lo
inchiodano alla croce). (le pene di morte variavano anche a seconda del soggetto che
avesse commesso il delitto). Un’ultima teoria parla della fustigazione a morte. Veniva
legato ad un palo, coperto sul volto e frustato fino alla morte. Doveva essere legato ad
un albero infelice (alberi che non producevano frutto o alberi che erano diventati infelice
a causa dell’impiccagione di qualcuno). Altro reato punito in questo modo era il caso si
furto notturno di messi. Colui che rubava dal campo del vicino le messi pronunciando
parole magiche doveva soggiacere alla suspendio, ossia fustigazione a morte legato ad
un albero che si trovava nel bosco sacro di Cerere.
Un altro reato punito così è l’unione sessuale con una vestale. Se scoperti la vestale
veniva vivisepolta e il suo amante punito con la sospensione all’albero infelice. Oltre alla
pena di morte espiativa è la precipitazione dalla rupe Torpea (questa era la figlia del
custode della città e fece entrare Tito Tazio in città: compiuto tradimento ma non
perduellio. La punizione le è stata inflitta da Tito Tazio che l’ha gettata dalla rupe). Tutti
coloro che si macchiano di tradimento grave subiscono la pena della precipitazione.
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Un altro modo di messa a morte è la pena ullei, cioè la pena del sacco. Coloro che si
macchiavano di parricidio. Commetteva parricidio anche colui che uccideva un patrizio
(non solo un parente). La pena espiativi comminata ai parricidi era particolarmente
cruenta e particolare: doveva indossare zoccoli di legno, per non contaminare la
collettività; doveva avere un cappuccio, per non farsi vedere. Doveva essere chiuso in
un sacco insieme ad alcuni animali (cane, gallo, vipera, scimmia). E poi viene gettato
nel Tevere. Il cane perché era considerato feroce, nemico dell’uomo. Il gallo, anzi il
cappone che essendo castrato è più cattivo: vipera, perché i figli della vipera se non
riescono ad uscire uccidono la madre; scimmia perché è simile all’uomo e perché ama i
suoi piccoli al punto che spesso li soffoca in un abbraccio mortale.
La pena di morte
Pena di morte come castigo si divide in castigo inflitto nelle case e castigo inflitto in
città. Quello nelle case è caratterizzato del problema su come regolare il potere
coercitivo del pater familias. Come regolare dunque questo potere punitivo? Essendo il
potere punitivo del pater familias più antico di quello coercitivo dello stato ha deciso di
lasciare al pater familias il potere di punire, se punire i sottoposti o delegare alla civitas
il compito di mettere a morte i propri sottoposti. La civitas non sembra preoccupata di
stabilire in quali casi il pater familias possa uccidere: esistono però la legge di Romolo,
nella quale viene stabilito che il marito può uccidere la moglie se adultera o ubriaca. Il
problema è capire come mai la civitas che ha deciso di non stabilire un catalogo di reati
abbia evidenziato i casi nel quale il marito possa uccidere la moglie (l’unico matrimonio
possibile è quello in cui la donna esce dalla patria potestas del padre per entrare in
quella del marito o del padre del marito). Stabilisce questi casi perché la donna non
perde completamente i legami con la vecchia famiglia tanto che il pater familias della
figlia può decidere di uccidere la figlia adultera e di sciogliere il matrimonio. Il pater
familias della donna può scegliere quindi di sciogliere il vincolo. Per evitare i conflitti fra
le due parti Romolo statuisce espressamente i casi nei quali il marito può uccidere la
moglie. Può uccidere la figlia anche se non si sposa vergine.
Morte di inedia, vivisepoltura. Analoga sorte spetta alle vestali (il loro capo, colui che
svolge il ruolo di pater familias e il pontefice massimo) contrariamente alle donne
comuni la vivisepoltura delle vestali, queste sono accompagnate da segni esteriori. La
vestale macchiata da questa colpa deve essere alla luce di tutto il popolo, che deve
essere informato. La donna romana può trovare la morte anche tramite il loqueum, cioè
morte per strangolamento, che era considerato un privilegio riservato ad alcune
categorie di persone, donne e uomini particolarmente valorosi, o se per motivi politici
non fosse stata possibile l’esecuzione pubblica dell’uomo. La morte più utilizzata è
comunque la morte per inedia, che è considerata morte dolce, non cruenta. Ma il
castigo nelle case non viene irrogato solo alle donne, ma anche nei confronti dei figli
familias. Mentre nel caso delle figlie la situazione è più semplice, ora le cose si
complicano, perché esistono due tipi di capacità giuridica; di diritto privato e pubblico.
Privato è riservato al pater familias, pubblico tale che tutti coloro che hanno raggiunto la
maggiore età possono rivestire cariche pubbliche. I romani risolvono il problema
dicendo che vale lo ius puniendi del pater familias, che ha priorità in quanto più antico.
A questo punto il pater familias può comunque decidere di affidare la questione allo
stato. Il figlio di famiglia viene ucciso a frustate se la punizione è eseguita a casa. La
punizione da parte della civitas: che il re possa castigare è provato dal fatto che il re
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essendo sommo magistrato ha potere di coercitio e l’applica nei confronti dei cittadini
per reati particolari. L’applica nei casi di reati militari principalmente nel caso di prodigio
(tradimento col nemico), diserzione, defezione di un alleato, codardia, sedizione,
passaggio al nemico. In tutti questi casi il re castiga facendo ricorso alla decapitazione
con la scure. Ricorre a questo metodo perché le insegne del suo potere (fasci littori)
rappresentano una scure e delle verghe: quindi ricorre al mezzo che simboleggia il suo
potere. La decapitazione infatti è preceduta da fustigazione, che ha funzione di pena
accessoria. Il condannato dopo essere stato fustigato deve camminare per le vie più
popolari della città e subire la passeggiata ignominiosa. La decapitazione con la scure è
però un tipico supplizio regio, perché simboleggia il potere regale. L’ultimo caso infatti
avviene nel primo anno della repubblica (i figli di Bruto si erano macchiati di un tentativo
di restaurazione della tirannide etrusca e vengono condannati a morte; Bruto può
decidere in qualità di pater familias se affidare il compito allo stato, cioè metterli a morte
pubblicamente. Ritenendo la colpa grave e che potesse servire da deterrente li fa
condannare pubblicamente, e vi deve assistere in qualità di console. Questa è l’ultima
messa a morte per decapitazione). Altro esempio è quello che il re, come sommo
sacerdote, infligge agli appartenenti al collegio sacerdotale che si siano macchiati di ius
sacrum. Li castiga ricorrendo alla pena del sacco, che assolve a duplice funzione
perché da un lato è castigo imposto dal re dall’altro è pena espiatoria.
Pena di morte come vendetta: pubblica o privata utilizzata dalla civitas come pena della
civitas stessa. Vendetta pubblica; lo stato funge da vendicatore pubblico dell’offesa
subita. Un caso è quello di Mezio Fufezio. Tullio Ostillio aveva deciso di allearsi con
Albalonga, con Mezio Fufezio, che aveva garantito a Roma il suo appoggio. Questo
però dopo essersi alleato con Roma si allea con le popolazioni nemiche di Roma: ma
Tullio scopre l’inganno e dopo aver sconfitto le popolazioni limitrofe, senza far capire
nulla invita Mezio e i suoi comandanti per festeggiare la vittoria. Tullio rivela poi di aver
scoperto l’inganno e che lo lascerebbe in vita se avesse imparato dalla cosa; ma
conoscendolo lo castiga. Il supplizio applicato consiste nel legare braccia e gambe a
quattro cavalli. Punizione cittadina: la civitas ad un certo punto si rende conto che
lasciare alla vendetta privata la punizione di alcuni comportamenti può sfociare in una
catena di vendette; deve quindi regolamentarle stabilendo i reati in cui è possibile farsi
vendetta da sé. Prende i vendicatori dei soggetti autorizzati a farsi vendetta evitando la
formazione di nuove catene.
Nel caso dell’omicidio volontario, Lo stato autorizza i parenti della vittima a farsi
giustizia. Da Numa in avanti si conosce la distinzione fra omicidio volontario e
involontario. Nel caso di omicidio involontario colui che ha compiuto il gesto può pagare
il fio sacrificando un animale /duplice funzione: il sacrificio deve lavare l’offesa che la
famiglia ha subito e di pena peculiaria). Il cittadino è autorizzato a farsi vendetta nel
caso in cui subisca furto notturno. Furto diurno compiuto a mano armata. Il soggetto che
subisce il furto non può uccidere il ladro senza aver chiamato i vicini. C’è anche un caso
di vendetta autorizzata che riguarda un delitto, cioè legge del taglione applicata in caso
di iniuria, ossia offesa fisica. Rottura di un arto, di un osso, percosse lievi. Nel primo
caso aveva da parte della famiglia offesa l’autorizzazione statale al ricorso alla legge
del taglione. La legge si limitava a stabilire che ci fosse proporzione fra offesa e
reazione. Stabiliva anche un principio tipico anche del nostro procedimento giuridico
che riguarda la legittima difesa. In tutti questi casi i crimina vengono puniti con pene
severissime. Il re giudicava i crimina. Re che però non sempre riusciva a giudicare da
solo, perché diventavano sempre più numerosi. Quindi la necessità di creare ausiliari
che lo aiutassero nel giudicare reati particolari. Vengono istituiti i diumviri perduellionis e
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i questores parricidi (giudicano i casi di omicidio). Questi avevano ampi poteri e
dovevano verificare se l’omicidio era stato compiuto dal soggetto indagato. I diumviri
giudicavano solo in caso di perduellio fragrante. Re diumviri e questori dovevano
svolgere il processo davanti al popolo riunito. L’unico caso senza popolo era quello per
reati compiuti da appartenenti ai collegi sacerdotali, che giudicava in qualità di sommo
sacerdote.
Un quadro sul diritto criminale
Il diritto criminale in età repubblicana: bisogna dividere l’età in due fasi: dalla nascita
della repubblica fino al II secolo. Poi dal III secolo fino all’avvento di Augusto. Abbiamo
un lento passaggio, graduale. A partire dal III secolo i romano cominciano a dividere i
crimini secondo le varie fattispecie e stabiliscono pena determinate per ogni tipo di
reato con un’unica differenza, perché i soggetti non sono uguali davanti alla legge:
uomini (cittadini romani), donne e schiavi. Il reato a seconda della classe comporta
pene differenti. L’età regia dal punto di vista criminale si distingue tra atti illeciti presi in
considerazione in quanto lesivi dell’autorità: quindi il diritto criminale statale dell’età
regia sul compito di perseguire i reati della pax deorum per gli altri atti o lascia al singolo
la vendetta specificando i limiti che il pater familias incontra nella possibilità di punire i
sottoposti. In epoca successiva si assiste ad una laicizzazione del diritto criminale.
Questo accade per il diritto sostanziale e processuale. E a partire dai primi anni dell’età
repubblicana che si può parlare di diritto criminale e diritto processuale criminale.
Innanzitutto le XII tavole riprendono alcuni reati già tipici dell’età regia: accanto a questi
crimina troviamo anche crimini nuovi, creati dai decemviri o se si tratta di crimini di cui
non c’è pervenuta traccia prima. Primo reato è quello di colui che patrono o cliente non
rispetta i doveri legati a questo rapporto. Secondo i romani il rapporto di patronato si
basava sulla fiducia ed era analogo a quello fra genitori e figli. Chi non lo rispettava
violava la pace con la divinità. Analoghi doveri aveva il patrono nei confronti del cliente.
Nel caso in cui venissero violati questi doveri, ci sarebbe stata la consecratio ma non
solo consecratio capitisi, ma anche la consecratio di tutto il suo patrimonio. Le XII tavole
prendono in considerazione altri precetti: il primo reato magico introdotto consiste nel
danneggiare le messi tramite la pronuncia di parole magiche. La pena era la suspensio
a Cerere. Altro reato di questo tipo è il reato di colui che fa pascolare il proprio gregge
nel campo del vicino. In questo caso la suspensio a Cerere. Altri reati: il reato che si
attua mediante “accentare” e “malum carmen incantare”. Malocchio contro colui che gli
ha fatto un torto. Colui che fa malocchio deve portarsi davanti alla porta del suo nemico
e pronunciare parole magiche per far aprire le porte e far cadere la maledizione. Il
malum carmen incantare consiste nell’incantare con parole un persona con parole
magiche volte al malocchio ma accompagnate da gesti particolari. Colui che poneva in
essere questo reato era armato di una frusta e oltre a pronunciare parole magiche
doveva picchiare il suolo facendo una sorte di minaccia verso l’obiettivo del malocchio.
La punizione era purificativi, suspensio o caduta dalla rupe. Un reato nuovo è il reato di
incendio. Per la prima volta viene previsto questo crimine. L’incendio della case e dei
covoni appoggiati alla casa o nel suo terreno. La pena in questo caso era il
contrappasso, cioè la pena corrispondente al rogo, al corrispettivo del danno fatto.
L’incendiario previa fustigazione viene affisso ad un palo e bruciato vivo. Prima di
fissarlo i romani fanno indossare al condannato una tunica impregnata di pece o zolfo
(la morte sul rogo viene inflitta in particolare in età imperiale e viene il dubbio che
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questa sia una giustificazione per permettere il rogo in età imperiale). Il rogo è pena
antichissima: è conosciuta fin da età antichissima (Muzio aveva giurato che avrebbe
ucciso Porsenna e aveva tentato ciò. Porsenna cattura Muzio e il piano non riesce. Per
dimostrare il valore dei romani e che non era una semplice minaccia quella verso
Porsenna decide quindi di far accendere un braciere e di porre la mano sopra al
braciere. Se la mano non si fosse bruciata Porsenna sarebbe stato ucciso in poco
tempo, se invece fosse bruciata si sarebbe vista la perseveranza romana. Da lì Muzio
Scevola, che vuol dire Muzio il mancino). Non solo: i romani e alcuni tribuni della plebe
ricorrono al rogo per uccidere i colleghi che hanno tradito la fiducia della plebe.
Sicuramente i romani conoscevano la pena del fuoco e la usavano spesso (è pena
espiativi perché i covoni sono dedicati a Cerere). Venivano chiamati ambusti, quando
non potevano essere condannati o assolti. Quando un giudice privato si trova in
situazione tale che le prove legali testimoniano la colpevolezza del soggetto e prove
dimostrano la sua correttezza il giudice può dichiararsi incapace di giudicare. Nel
campo criminale il giudice dichiara gli imputati “ambusti”. Le persone così assolte hanno
problemi con la collettività perché possono incorrere nel biasimo della collettività (questi
casi erano frequenti quando le persone compivano vendetta). Viene introdotto il reato
del giudice che non autorizzato si pone in collusione con una delle parti in causa. La
pena per questo reato è la precipitazione dalla rupe; pena laica perché non c’è alcuna
divinità offesa. Viene perseguito per non aver prestato fede ai suoi doveri. La sua pena
deve essere esemplare. Viene introdotto un altro reato, colui che confone le prove in un
processo per vincere la causa. La pena è solo pecuniare. Sono poi previsti altri reati. La
falsa testimonianza: colui che compie falsa testimonianza compie reato grave, che
comporta l’impossibilità di chiamare testimoni in un eventuale futuro giudizio che lo
vedrà come parte e nel divieto di fare testamento. Altro reato compiuto da colui che si
rifiuta di testimoniare. Originariamente chi si rifiutava di testimoniare viene precipitato
dalla rupe, poi invece con una pena pecuniaria. Dopo l’emanazione delle XII tavole la
punizione consiste in denaro. Le XII tavole non si limitano a ribadire i reati: stabiliscono
ulteriori limiti che riguardano la vendetta privata, nuovi limiti sempre più rigorosi. Qui si
pone un problema perché nonostante il diritto sancisca dei limiti alla vendetta privata la
collettività ha visione completamente diversa, soprattutto per quanto riguarda i reati
sessuali. Fino ad Augusto nessuna norma punisce l’uomo che violenta/possiede una
donna protetta; ma questo non vuol dire che restasse impunito, perché era legittimata la
vendetta e a nessuno importava di questa vendetta. Quando si ribadisce che la
vendetta si può effettuare solo per i casi consentiti dalla legge ora ci si può vendicare
sull’amante della donna, anche se la vendetta continua, senza però ricorrere alla morte
ma con pene alternative forse più gravi per l’offensore. Gli adulteri vengono puniti con la
pena del rafano o del muggile. La prima è una pianta piccante; mentre il muggine è
un’anguilla di mare. La pena consiste nella sodomizzazione. Oppure gli tagliavano le
orecchie.
Il diritto romano criminale è quel complesso di norme che lo stato pone in essere per
tutelare interessi superiori, della collettività e prevedono sempre una sanzione affittiva.
Questo succede anche nel nostro diritto moderno. In un ordinamento giuridico avanzato
devono esistere norme penali scritte, che siano conoscibili da tutti i consociati.
L’ignoranza della norma penale non scusa. Un altro elemento di un diritto criminale
evoluto è il fatto che debba esistere un nesso di causalità (a seguito di un’azione deve
verificarsi un evento; solo se a seguito si verifica l’evento esiste il nesso di causalità).
Altro elemento tipico del nostro ordinamento giuridico è il fatto che il soggetto agente
deve essere consapevole di quello che sta facendo. Deve cioè esistere sempre un
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criterio di imputabilità. Questo precetto esiste già nella legge delle XII tavole. Prima
delle XII tavole non importava che il soggetto fosse consapevole di quello che stava
facendo: l’importante era la connessione diretta fra azione ed evento che è sufficiente
per integrare il reato. Nelle XII tavole non rimane traccia per alcuni diritti privati (tipo
legge del taglione, per il fatto che ci sia stato danno deve esserci punizione). L’elemento
più importante è sicuramente l’imputabilità (elemento soggettivo del reato). La colpa si
ha nel caso in cui una persona pur consapevole che una certa azione sia rischiosa,
confidando nelle proprie capacità la esegue. Si parla di negligenza. Abbiamo tracce di
questa concezione nelle XII tavole. Una legge di Numa stabiliva che rispondeva di
omicidio colui che commetteva un omicidio coscientemente (questa legge era
necessaria per le vendette, per evitare il formarsi di continue catene). Numa afferma
anche che se viene commesso un omicidio senza volontarietà, l’omicida dovrà
sacrificare un animale. Chi uccide volontariamente un uomo può essere parimenti
ucciso. Altrimenti non è possibile la vendetta. Le XII tavole prendono i due precetti di
Numa e sulla base di questi precetti ampliano la sfera dei crimini che sono dolosi e
colposi. Questa operazione non viene fatta in modo generale. Non possono essere solo
dolosi e colposi perché alcuni reati esistono solo se c’è dolo e poi perché le XII tavole si
occupano di alcuni atti lesivi, non di tutti. Gli altri sono affidati alla vendetta privata.
Distinzione solo per i reati più gravi. Altro caso: incendio voluto o non voluto. Azione
compiuta con dolo (coscienza e volontà) e caso in cui per negligenza o impudenza
(colpa) accada senza che sia voluto. Imputabilità non vuole solo dire distinzione fra dolo
e colpa: implica possibilità di rendersi conto di cosa si sta facendo. Io posso essere
imputabile solo se mi rendo conto di ciò che sto facendo, se sono in grado di intendere
e volere. Sono imputabili solo coloro che sono capaci di agire. Non sono imputabili i
pazzi e i minori (sotto i 10 anni).
Nel diritto romano questo è stabilito per legge.
Le pene per i minori
Per i minori che si trovano dopo i 10 anni hanno già capacità di discernere e devono
essere puniti, ma non con la stessa pena con cui viene punito il soggetto adulto. Si
distingue chi commette reato in base a due precetti: se il soggetto è pubere viene
sospeso a Cerere, se invece è impubere spetta al pretore decidere se l’impubere ha
capito ciò che stava facendo. Lo può far fustigare come castigo e condanna gli aventi
potestà ad una pena pecuniaria. L’altro caso è quello di furto manifesto; nelle XII tavole
per il delitto di furto c’è ancora confusione. In alcuni casi i romani considerano furto
come crimine, in altri come delitto. Circostanze aggravanti di un reato: tutte le volte che
sottrae un bene appartenente ad altre persone contro la volontà del proprietario
commetto furto. Ci sono circostanze che possono rendere più grave l’atto illecito: la
violenza è la circostanza aggravante del reato. Distinguevano fra reato base
considerato delitto e reato evoluto definito crimine. Il furto manifesto viene punito dalle
XII tavole ma con distinzione: se si tratta di ladro libero, di impubere, di schiavo.
Spetterà al magistrato l’analisi dell’impubere. Lo schiavo viene precipitato dalla rupe.
L’impubere entra nella famiglia del derubato come schiavo, vi rimarrà per ripagare la
pena ma in realtà diventa schiavo (per i romani erano adulti che era in grado di
procreare, quindi erano impuberi adulti). Distinguevano in infanzia minor e maior. Tutti
coloro che sono nell’infanzia minor (tipo 8 anni) non sono imputabili. Se hanno età
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compresa tra gli 8-12 sono imputabili ma hanno una pena più lieve di quella data al
soggetto adulto.
Reato perfetto o tentativo di reato perfetto
Altra concezione tipica dei paese europei è stabilire distinzione fra reato perfetto e
tentativo solo di reato perfetto. Cambia il concetto di pena: non ci può essere spazio per
la punizione di un tentativo di delitto, perché non c’è alcuna vendetta; esisterà quando
la pena sarà usata come deterrente per correggere e scoraggiare eventuali tentativi.
Questo non significa che non punissero i tentativi: li punivano come se fossero stati atti
perfetti. Esimenti da reato: questa azione è antigiuridica ma per circostanze particolari
io ho compiuto questo atto illecito in circostanze che giustificano il reato (legittima
difesa; conoscono il concetto di legittima difesa e parecchi casi di omicidio legittimo).
L’onore della famiglia è un valore talmente alto che determinati soggetti della famiglia
sono autorizzati alla vendetta. Stessa cosa nel caso di furto notturno o di furto diurno a
mano armata. L’uccisione del ladro è legittima difesa. La cosa è giustificata dalla paura
per l’azione del ladro. In questo periodo i romani giustificano un altro caso, il consenso
dell’avente diritto. Colui che commette atto illecito con il consenso dell’avente diritto non
è punito.
Magistrati e leggi varie
Bisogna stabilire norme processuali per stabilire chi deve eseguire la punizione e in
quali forme e modi bisogna accertare se la persona è colpevole o no del reato. I primi
magistrati romani nascevano dall’imperium del re etrusco. Avendo l’imperium questi
avevano anche la coercitio, che consisteva nella possibilità di irrogare
discrezionalmente multe, pene detentive e pene di morte. Lo stato quindi affida ai
magistrati il compito di perseguire tutti coloro che trasgrediscono ai precetti stabiliti. Ma
il magistrato applica le varie regole in modo discrezionale. Questo fa si che i magistrati
incorrano in problemi legati alla lotta fra patrizi e plebei. I magistrati si vedranno opporre
l’intercessio da parte dei tribuni. Viene posto così un primo principio in base al quale i
magistrati per evitare il veto dei tribuni, prima di irrogare definitivamente le pene di
morte chiederanno consiglio al senato, o concedono al condannato la possibilità di
andare in esilio. Accanto a questo c’è la lotta fra patrizi e plebei, che fa si che si ponga
un precetto in forza del quale nessuno può essere messo a morte se non previo
giudizio dei comizi centuriati. Non solo vengono tutelati i plebei, come in questo caso,
ma anche i patrizi. Nelle XII tavole viene fatto un precetto in tutela dei plebei (in forza
del quale la pena di morte deve essere irrogata dai comizi centuriati) e in tutela di patrizi
(nessuno può essere messo a morte senza un processo fatto da un organo riconosciuto
dalla civitas; i tribuni non erano ancora riconosciuti dalla civitas, quindi i patrizi erano
protetti contro di loro). C’è poi una norma, la provocatio ad popolum. Secondo una
legge, il cittadino condannato a morte in forza della coercitio del senato poteva fare
appello ai comizi perché rivedessero questa condanna a morte. Subito dopo
l’emanazione delle XII tavole una delle leggi Valerie Orazie stabilisce e ribadisce il
divieto per il magistrato di mettere a morte il cittadino che ha provocato. Questa
stabilisce che a partire dal 449 non possono essere istituite magistrature esenti da
provocazione. La dichiarazione di sacertà implicava l’allontanamento dalla comunità e
la possibilità di essere uccisi. Quindi i patrizi che non avevano rispettato i tribuni
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venivano uccisi liberamente dai tribuni. La punizione consisteva nella precipitazione
dalla rupe, anche perché non è ancora pena istituzionalizzata ma è anche molto
religiosa, e non cruenta. Il primo episodio di precipitazione ad opera dei tribuni è del
491. In questo periodo c’era stata una forte carestia e i plebei avevano chiesto a
Coriolano di discutere su derrate alimentari gratuite. Coriolano si era rifiutato di
presentarsi davanti ai tribuni e a seguito di ciò Coriolano era stato dichiarato sacer e fu
stabilito che fosse buttato dalla rupe. Noi abbiamo una coercitio magistrale. Il magistrato
ha il potere di emanare ordinanze e di far eseguire i propri ordini e di dare pene si
questi non vengono eseguiti. Per limitare il potere viene stabilita la possibilità di
provocare ad popolum. Accanto a questo principio c’è quello in base al quale nessuno
potrà essere condannato senza regolare processo. Esistono tutte e tre queste norme.
Nel caso in cui il magistrato nell’anno di carica irroghi in forza della sua coercitio una
pena di morte senza rispettare la norma decemvirale, il cittadino condannato può
rivolgersi ai comizi per chiedere giustizia.
Quando il magistrato applica la pena di morte in potere della sua coercitio lo fa per il
suo potere di polizia. La coercitio incontra limiti: rientrando nell’imperium la provocatio
vale solo domi, nell’urbe. Si può provocare solo se si sta in città o non oltre i 1000 passi
dalla città. Fuori dal pomerium vige l’imperium militare e il condannato non può fare
nulla. Ci sono poi limiti soggettivi, cioè donne, schiavi, stranieri non possono provocare.
Incontra limiti per il tipo di reati. Siamo in un’epoca in cui dopo l’introduzione della
repubblica c’è stata divisione dei poteri. Il magistrato è sommo magistrato, non capo
religioso della civitas. Quindi un limite della provocatio riguarda i reati compiuti dagli
appartenenti ai collegi sacerdotali. C’è poi un altro gruppo di reati, esenzione della
provocatio per reati di tipo diverso: per chi tradisce la patria (perduellio, prodigo) non
potrà provocare. Il problema è che i tribuni hanno la summa coercendi potestas che
comporta la possibilità di mettere a morte chiunque e quindi il precetto voluto dai patrizi
è volto a limitare questa “potenza” dei tribuni: per questo deve esserci processo. I
comizi sono competenti in tre casi: legislativo elettorale e giudiziario. Stessa procedura
per la convocazione dei comizi con funzione legislativa. Un magistrato convoca i comizi
facendo un ordine del giorno, stabilendo che è il reo o presunto tale e indicando i capi
d’imputazione. Dopo la convocazione ci sono delle contiones, cioè riunioni che seguono
la convocazione e precedono i comizi. Ci sono tre riunioni, dette udienze, nel corso
delle quali il magistrato che ritiene si sia compiuto un illecito svolge la sua accusa. Il
magistrato fa valere le proprie ragioni, spiega le prove a carico dell’imputato, viene poi
data parola all’imputato che si deve difendere solo o con l’avvocato; vengono sentite le
prove in favore dell’indiziato e poi il magistrato emana un decreto, che può essere di
proscioglimento o di condanna. Se sarà prosciolto la quarta udienza non si terrà. Se
sarà condannato si passerà alla quarta udienza, riunione dei comizi che dovranno
esprimere il loro voto. Il processo si divide in due fasi: anquisitio che è la fase istruttoria,
divisa in tre: accusa difesa testimoni e prove pro e contro imputato. Nel caso in cui sia
condannato si passa alla seconda fase, dove i comizi esprimono il loro voto, quindi
giudicano sulla colpevolezza o innocenza e votano nei modi che consociamo. Dapprima
oralmente e poi su tavolette. Alla fine si stabilisce se è stato condannato oppure no: se
è condannato sarà condannato a morte.
Alcuni dicono decapitazione con scure, ma è stata tralasciata (cavallo d’ottobre: a
Roma veniva fatta una cerimonia durante la quale venivano decapitati dei cavalli: testa
e coda erano affissi nella reggia in onore a Marte). La teoria che trova fondamento è
un’altra: potevano applicare l’interditio aqua et igni: in forza di questo principio spesso i
condannati a morte avevano la possibilità dell’esilio.
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Il condannato dal magistrato provocava e dava impulso al processo comiziale, con
un’unica differenza: in questo caso si aveva una sorta di appello. Doveva giudicare se
comminare o no la pena di morte a colui che era già stato condannato dal magistrato.
Per questo lo si può considerare un appello, ma non propriamente; infatti si trattava di
una condanna emessa in forza delle coercitio, quindi non è un vero appello. I comizi
però non sospendevano la condanna a morte, davano la possibilità dell’esilio. Il
condannato veniva poi affidato ad un carnefice, di solito uno schiavo, che doveva
eseguire la sentenza. Preposti alla sorveglianza erano degli ausiliari dei consoli, “tresbiri
nocturni” (preposti anche alla sorveglianza delle carceri). In questa fase promuovevano
giudizio i magistrati, in particolare i questori, i diumviri perduellionis, e tribuni della plebe
e gli edili. I questori in età regia giudicavano i casi di parricidio, poi in età repubblicana
fanno processi nei casi di reati comuni e i rei omicidi. In realtà i questori iniziarono ben
pochi processi per alcuni motivi: spesso la carcerazione preventiva durava così a lungo
che l’imputato non riusciva a vedere il processo. In più le fonti non riportano molti casi di
reati comuni (per scarso interesse) e poi perché dopo le XII tavole avranno competenza
criminale soprattutto i tribuni della plebe. Accanto ai questori c’erano i diumviri
perduellionis, vi erano poi i tribuni della plebe. Dopo le XII tavole i tribuni non erano più
organi rivoluzionari ma riconosciuti come organi cittadini in forza delle leggi Valerie;
inizialmente trattano casi di perduellio. Questo ebbe riflesso sul diritto sostanziale. La
perduellio era un reato legato all’abuso d’ufficio. Questo fa si che i tribuni allarghino a
loro piacimento i confini di questo reato. Viene presa in considerazione la “adfectatio
regni” o tentativo di instaurazione della tirannide. I casi dei magistrati che non avevano
prestato fede al giuramento: in questi casi si aveva perduellio. Un caso eccletante è
quello di Manlio Capitolio. Questi era uno di quelli che aveva salvato Roma
dall’invasione dei Galli. Forte del successo cercava di avere sempre più potere,
facendosi amici i plebei, tanto che pagava per i plebei i debiti. Tanto che quando accusò
ingiustamente i patrizi di essersi impadroniti del tesoro dei Galli non subì alcun
processo. Questo suo crescente potere cominciò a preoccupare patrizi e plebei e per
questo fu accusato di “adfectatio regni”. Capitolio viene punito per il solo tentativo di
restaurare la tirannide con la suspensio. I tribuni della plebe non hanno confidenza solo
con i reati capitali: restavano comunque i rappresentanti della plebe e gli resta la facoltà
di irrogare multe. I tribuni possono fare ciò davanti ai concilia plebis. Accanto ai tribuni
della plebe ci sono altri due magistrati che possono intentare processi: gli edili plebis e
poi gli edili curuli. Gli edili potevano intentare dei processi ma non processi capitali: solo
processi multatici, in particolare casi di usure, usurpazione di terreno pubblico (la lex de
modo agrorum aveva stabilito la divisione del terreno pubblico e chi non rispettava la
divisione era multato) usurpazione di pascolo pubblico e tutti gli atti che intentavano alla
pudicizia, cioè attentavano al decoro della persona, al buon costume e alla sfera
sessuale privata di una persona. Venivano perseguiti quindi i casi di stupro, incesto,
pederastia. Questi reati prima erano puniti nelle case, ora vengono attratti dal diritto
sostanziale. Gli edili giudicano i casi di stupro delle matrone, delle mater familias. La
pederastia viene punita perché il fanciullo (impubere) nonè in grado di decidere;
attentare alla pudicizia di un fanciullo maschio è reato. Edili poi che sono competenti a
giudicare nei casi di reati compiuti da donne. Mentre fino al II secolo a.C non si hanno
notizia di processi pubblici alle donne, ora ci sono processi pubblici che riguardano
donne, che comunque vengono giustiziate solo non pubblicamente. In questo caso
possono agire anche per reati che riguardano la pena di morte. Si tratta di un tipico
processo inquisitorio. È il magistrato che inizia il processo e che convoca l’imputato:
decide se accettare dei garanti per l’imputato o se porre in carcere l’imputato in attesa
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di processo. Dopo le XII tavole altre leggi limitano la coercitio dei magistrati. Subito
dopo il 449 a.C vengono emanate due leggi, legge Tarpeia e legge Sextia che
prevedono la possibilità di provocare anche nel caso in cui il magistrato in forza della
coercitio abbia comminato una pena pecuniaria superiore ai 3020 assi. Accanto a
questa legge viene emanata una nuova lex Valeria de provocatione. Questo perché le
leggi precedenti erano imperfette. Il magistrato che viola il divieto è considerato
improbo, con una sanzione di ordine morale di rilevanza solo per i censori. Alcuni anni
dopo vengono emanate altre tre leggi che restringono il potere di coercitio, le leggi
porce. Una prima è stata proposta da Catone, ed è chiamata legge porcia de tergo
civium. I cittadini romano possono provocare contro la condanna che prevede la
fustigazione. Questa legge prevede anche la possibilità di provocare nel caso in cui sia
il comandante militare che punisce così i suoi soldati. Ma i comandanti aggirano
l’ostacolo frustandoli con bastoni e non con verghe/fruste. Non possono proporre la
provocatio determinate categorie di persone considerate disdicevoli, attori, mimi, i
gladiatori di professione: tutti coloro che esercitano professioni che fanno divertire gli
altri. Una successiva legge estende la possibilità di provocare oltre i 1000 passi. La
terza legge prevede espressamente che il magistrato che non ha rispettato la richiesta
di provocatio venga messo a morte. Fino all’emanazione delle leggi perciò il pontefice
massimo non incontra limiti nelle sue pene: dopo le leggi i membri del collegio
sacerdotale possono provocare contro al pontefice. A questo punto noi abbiamo una
panoramica tale per cui tutti i processi criminali sembrano svolgersi davanti al popolo
riunito; oppure davanti ai concilia plebis, o ancora processi davanti ai comizi tributi nel
caso di multe. Comizi tributi nel caso di processi multatici intentati dagli edili curuli.
Secondo alcuni studiosi in realtà anche in caso di processi con pena di morte non si
andava davanti ai comizi. Teoria che non può essere condivisa. Molti reati comuni non
erano perseguiti secondo le forme del processo criminale. Il furto, le ingiurie, i casi di
danneggiamento: erano delitti privati risolti secondo il processo civile. C’erano poi una
serie di altri reati comuni, reati di strada, compiuti da balordi/sbandati. Per tutti questi
atti competenti erano i trensviri capitalis. A partire dal III secolo a.C questi ausiliari
diventano magistrati istituzionalizzati con specifici compiti di polizia e da trensviri
notturni diventano capitalis. Le fonti dicono che spesso le persone giravano di notte per
Roma ed era frequentissimo che si incontrassero ubriachi. Era frequente che uomini
importanti si coprissero il capo e compissero vari reati. Devono sorvegliare per vedere
cosa succede nella città e punire i trasgressori. Viene affidato il potere di castigatio.
Scoperto un individuo che commette un reato minore hanno il potere di infliggere
sanzioni, fustigatio o carcerazione. La fustigatio in questo caso non ammette
provocatio. Non può perché si tratta di un potere amministrativo, di polizia. I tremviri
capitalis avevano anche compiti di polizia giudiziaria (indagini preliminari). Dovevano
raccogliere le prove a carico di un imputato. Tutte le volte in cui un magistrato
dell’accusa lo riteneva indispensabile, dava ai tremiviri l’ordine di raccogliere le prove.
Se non si trovavano prove archiviavano. L’altra scrematura è costituita dal fatto che
spesso gli imputati morivano in carcere perché i tremviri capitalis nel momento in cui
giungeva loro la notizia del reato incarceravano il sospetto: questi stava in prigione fino
all’inizio del processo, senza limite di tempo. Quindi nel caso di reati comuni spesso il
secondo sospettato rimaneva in carcere per tempo lunghissimo. E ciò è attestato dalle
fonti. Nevio è un poeta che aveva scritto componimenti satirici contro i Metalli e lo
avevano minacciato di un grandissimo male; lo avevano accusato di ingiurie gravi.
Nevio era stato condotto in carcere e vi era rimasto per così tanto tempo da riuscire a
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scrivere due poemi. Poi un tribuno della plebe intercesse per lui con la conseguenza
che potè uscire dal carcere andando però in esilio.
Non solo nel caso di processi con pena capitale ci sono processi, ma anche nel caso di
multe. Le leggi Valerie non sono vere e proprie leggi, sono un accordo fra patrizi e
plebei: in più la legge Valeria de provocatione non riguarda solo il diritto di provocare.
La legge ribadisce il diritto di provocare chi era già stato affermato prima e vieta di
istituire nuove magistrature esenti da provocatio. Risolve due problemi: ribadisce il
diritto di provocare e il divieto di istituire magistrature esenti da provocatio. Nasce per
tutelare gli interessi della plebe. È prevista la sanzione della sacertà nel caso in cui sia
istituito un nuovo magistrato senza limite della provocatio. In più sarà dichiarato sacer il
magistrato che non rispetta la provocatio. Questo sistema funziona fino al II secolo a.C
dopo di che nascono problemi; è il periodo in cui Roma si espande. Un altro problema è
costituito dal fatto che in città ci sono grandi masse di proletari che si prestano a
clientelarismi. L’accusato riesce a pagare la massa plebea e a corromperla in modo da
condizionare il voto. Oltre a ciò il diritto sostanziale si evolve e le fattispecie prese in
considerazione aumentano e diventano sempre più complesse. Quindi una giuria dei
comizi non è più in grado di giudicare esattamente: non ha le cognizioni per stabilire se
una persona è colpevole o innocente. È necessario trovare un rimedio. Interviene il
senato che istituisce delle corti di giustizia straordinarie: in forza di un senato-consulto
stabilisce e istituisce delle questioni con funzione giudicante su determinati e specifici
reati. ex: vengono fatte delle delazioni in cui privati cittadini si rivolgono al senato
accusando determinati soggetti di aver compiuto alcuni reati gravi. Se viene accertato
istituisce una apposita corte con il compito di verificare la sussistenza del reato ed
eventualmente irrogare la sanzione. Incarica un pretore di istituire una giuria che
giudichi sul caso specifico. Il primo esempio è quello che nasce a seguito del culto dei
baccanali. Istituisce un’apposita corte per perseguire coloro che seguivano i culti
bacchici e di condannare a morte i colpevoli. Corte straordinaria i cui giudici avevano il
compito non solo di conoscere ma anche di statuere irrogando la pena. Coloro che
irrogavano la pena lo facevano in forza di un atto legislativo. Conseguentemente i
condannati non potevano provocare ad popolum (non potevano provocare perché la
condanna era inflitta in forza di iuris dictio, quindi le sentenze capitali erano
inappellabili). Queste corti iniziano ad essere istituite per giudicare i casi di reati di
masse: queste nuove corti si occupano di sedizioni, rivolte, associazioni a delinquere e
venefici di massa. Il reato di massa è un problema di concorso di persone in reato.
Devono riuscire a capire quando c’è complicità morale e quando c’è complicità
materiale. Il problema riguarda l’irrogazione della pena. I romani riescono già a
distinguere fra concorso morale e materiale, quindi fra colui che è il mandante e colui
che è il mero esecutore materiale. Hanno però problemi per l’irrogazione della pena.
Tanto che in molti testi giuridici sia per quanto riguarda concorso di crimini che di delitti
si pone il problema di distinguere la figura che ha poi il problema della pena da dare.
Queste corti vengono istituite dal senato: ma questa è usurpazione, perché il senato
non ha il potere di emanare una legge, quindi di istituire queste corti. Nonostante ciò
nessun atto viene mosso contro di loro, perché curano reati di massa che minacciano
l’intera civitas. Il fatto che non ci siano opposizioni non significa che vengano sempre
istituite dal senato: successivamente sono istituite in forza di plebisciti. Sicuramente
offrono maggiore sicurezza per l’imputato, perché si basano su un sistema accusatorio
e non inquisitorio. E questo sembra fornire le maggiori garanzie all’imputato. Non è più
un magistrato che fa da pubblica accusa, può essere un qualunque cittadino a fare da
delatore. Un nuovo processo con garanzie per l’imputato. Dal 149 a.C iniziano ad
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essere istituite le questioni perpetue, cioè queste corti permanenti di giustizia che
seguono le regole delle vecchie corti straordinarie. Sono sempre istituite mediante
legge che determino i reati per i quali la corte è competente, qual è la procedura da
seguire, come deve essere nominata la giuria e qual è specificamente la pena prevista
per quei particolari tipi di reato di competenza della corte. A questo punto a seguito
della condanna a morte di un cittadino senza provocatio è pienamente legittimo. Ecco
perché Cicerone non parla di provocatio ad popolum: i congiurati sono sottoposti al
giudizio di una corte permanente e non possono provocare.
In questo periodo è rispettato maggiormente l’imputato perché il processo inizia a
seguito di un’accusa, emessa da un qualunque cittadino; venivano prese in
considerazione solo le accuse mosse da delatori che fossero notoriamente persone
oneste e di un certo principio. Anche se i delatori venivano pagati una volta stabilito che
l’accusa era vera, come premio per il servizio reso allo stato. Se ci sono gli estremi per
procedere allora inizia il processo: il magistrato pubblicamente afferma che inizia il
processo a seguito di questa accusa il delatore però non può essere anonimo, deve
comparire in giudizio. Le due parti, accusato e accusatore devono esporre le loro
ragioni, le testimonianze. Le parti o i loro avvocati che sono principalmente degli oratori
mettono in evidenza tutto ciò che potrà essere utile ad una parte o all’altra. Stessa cosa
con i testimoni: li interrogano facendo in modo che dicano alla giuria ciò che è più
conveniente. Quindi più bravo è l’oratore più possibilità di successo avrà la parte
rappresentata dall’oratore. Alla fine il presidente della giuria si rivolge ai giurati
chiedendo se il processo è sufficientemente istruito. Se più di un terzo lo ritiene
sufficientemente istruito si va al voto, altrimenti la causa si rimette in istruttoria per un
supplemento di indagine. Vota con il sistema delle tavolette poste nell’urna. A-assolve
C-condanna. Le corti devono semplicemente stabilire se l’imputato è colpevole o
innocente, non sulla sua messa a morte. Questo processo dovrebbe assicurare
maggiori garanzie, ma in realtà protegge solo chi è in grado di avere come difensore un
grande oratore.
Il processo comiziale e condanne
Il processo comiziale è inquisitorio, quindi è un processo che inizia e riceve impulso a
seguito dell’attività di un organo pubblico. Nel processo inquisitorio la pubblica accusa è
sempre un organo pubblico che informa dell’esistenza di notizie riguardanti un certo
reato e dà impulso a tutto il processo. Nel processo accusatorio (o delle questioni
perpetue) l’accusa è sempre mossa da un privato cittadino il quale non si deve limitare
a dar vita al processo ma deve attivarsi per dare impulso al processo stesso.
L’accusatore non solo accusa ma svolge anche le attività necessarie per la
prosecuzione del processo: se manca il processo si estingue. Nel processo comiziale
hanno competenza ad instaurare l’accusa i questori per l’omicidio, il parricidio e i reati
comuni gravi che comportino come sanzione la pena capitale. Sono ancora competenti i
diumviri perduellionis solo nel caso di perduellio fragrante. Promuovono l’accusa i
tribuni della plebe per tutti i reati politici comportanti la pena capitale. Sono sempre
competenti i tribuni per i reati politici comportanti una pena pecuniaria. A seconda però
del tempo di sanzione, nel caso dei tribuni sono competenti due giudici diversi: i tribuni
sono competenti per i reati politici. I tribuni promuovono l’accusa davanti ai comizi
centuriati per reati politici comportanti pena capitale. Promuovono l’accusa davanti ai
concilia plebis nel caso di reati politici multatici. Inizialmente solo gli edili plebei poi i
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curuli hanno competenza a muovere accusa nei reati comuni comportanti una sanzione
che sfocia in una multa. Se si tratta di tribuni plebei il processo si terrà davanti ai
concilia plebis, se si tratta di edili curuli il processo si svolgerà davanti ai comizi tributi.
Nel caso del processo delle questioni perpetue il quibis de populo (il privato) che muove
l’accusa può o denunciare o querelare. Se il privato ha solo visto il compimento di un
atto illecito deve denunciare. Se è la persona offesa dal reato proporrà una querela. Nel
caso del processo comiziale la garanzia per l’imputato è costituita dal fatto che l’ultima
decisione spetta al popolo. Nel caso delle questiones la garanzia è costituita dal fatto
che si tratta di tribunali permanenti istituiti legislativamente (in forza di legge comiziale o
plebiscito). La legge che li istituisce indica anche quali reati e qual è la pena prevista
per quel reato o per quelle categorie di reati. Le questiones perpetue valgono solo fino a
1000 passi dal pomerio. Per quanto riguarda municipi e colonie dell’Italia, erano istituite
apposite questiones che ricalcavano i tribunali di Roma. Il problema è la pena. Mentre i
testi epigrafici ci dicono che esistevano delle questioni non ci dicono nulla riguardo la
possibilità di irrogare la pena di morte al cittadino romano che si trovi nella colonia.
L’unica testimonianza è una tavoletta contenente il testo di una lex locationis, cioè una
legge che si occupava dell’appalto dei servizi funebri. Alcuni autori hanno ritenuto che i
magistrati potessero condannare a morte i cittadini romani ricorrendo a qualsiasi tipo di
supplizio. Secondo un’altra parte i supplizi inflitti sono solo inflitti a schiavi e stranieri.
Oltre ai servizi funebri curavano anche le esecuzioni capitali. Quando lo schiavo viene
punito il dominus può scegliere se irrogare la pena in casa o se rivolgersi agli
appaltatori. Se si rivolge alla copertura dovrà pagare. Se invece non sarà stato il
dominus a stabilire la messa a morte, gli appaltatori dovranno provvedere a loro spese.
La pena di morte sono la crocifissione e il rogo. Vengono istituite apposite gare di
appalto perché non avendo un carnefice al quale rivolgersi devono rivolgersi a queste
cooperative. Se condannano un cittadino devono inviarlo a Roma per l’esecuzione,
mentre possono mettere a morte schiavi e stranieri. La situazione per il cittadino
romano è peggiore nelle province. I cittadini romani potevano tranquillamente provocare
ad popolum e quindi avevano la possibilità di chiedere di essere messi a Roma per
rivolgersi ai comizi centuriati per la revisione della condanna. Le questioni perpetue
sono giunte nelle province solo in età imperiale. Fino al 6 a.C nelle province esisteva
solo il governatore che giudicava in forza della coercitio con il limite della provocatio.
L’imperium militare comprendeva anche lo ius gladii, cioè il diritto di uccidere che
spesso il magistrato utilizzava per punire i cittadini romani. Le pena della prima età
repubblicana sono le solite. Dopo il III secolo nasce l’idea secondo la quale il cittadino
romano non può essere messo a morte, cioè può essere condannato ma la sentenza
non viene eseguita. In sostituzione c’è l’esilio. Il cittadino romano lascia Roma.
L’interditio aqua et ignii causa la confisca dei suoi beni e non può più tornare in patria.
Se torna chiunque è autorizzato a porre in essere un omicidio legittimo. Questa prassi
alternativa diventa sempre più utilizzata tanto che Silla prevede che l’interditio sia una
misura di messa a morte (muori civilmente). Vengono distinti i reati contro la pubblica
amministrazione: il tipico reato è il crimen peculatos, cioè il crimine di peculato.
Commette peculato colui che sottrae o utilizza beni dello stato. Appropriazione o abuso
di reato pubblico. La pena prevista è pecuniaria. Un altro crimine è il sacrilegium, che si
differenzia perché è una sottrazione e un indebito uso di res sacri, cioè di beni destinati
alle divinità. La pena è l’interditio aqua et igni.
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Reati politici
Il primo è il crimen repetundem. È il crimine che compie il magistrato provinciale
abusando della sua carica a danno dei provinciali che consiste nell’arricchimento del
magistrato (l’odierno reato di concussione). È reato proprio. Proprio quando è compiuto
da un determinato tipo di persone. Spesso i governatori provinciali, si arricchivano a
danno delle popolazioni, chiedendo tasse non dovute o soldi per favori. La pena è
pecuniaria. Inizialmente pari solo al valore dell’arricchimento, successivamente in un
multiplo. Questo reato comporta anche una pena accessoria, l’interdizione dai pubblici
uffici e consisteva nell’impossibilità di gerire qualsiasi tipo di carica per 10 anni dopo la
condanna. Un altro reato politico era il crimen ambitus, o brogli elettorali. Nel momento
in cui si stava per arrivare ad elezioni politiche corrompevano i votanti o pagavano delle
persone che andassero a sentire i loro comizi elettorali: questo serviva per dare
l’impressione di popolarità. Anche in questo caso la pena è pecuniaria ed è prevista una
pena accessoria che consiste nell’interdizione dai pubblici uffici. Inizialmente perpetua
successivamente decennale. Un altro reato politico ampliamente utilizzato era il crimen
maiestatis, o di lesa maestà. Ogni atto che ledesse la maestas del popolo romano era
punito: era un reato senza confini, perché comprendeva ogni atto voluto dalla fazione al
potere. Abbiamo poi dei crimini comuni, contro la persona: primo il crimen omicidi, cioè
l’omicidio che non intende solo l’omicidio comune ma anche il parricidio, le uccisioni di
massa. Venivano puniti anche i tentativi di veneficio e la pena era quella capitale. Vi
erano poi il crimen iniuniarum, il crimine di ingiuria. L’ingiuria era ed è delitto privato. A
partire da Silla particolari forme di ingiurie diventano crimini: le ingiurie maggiori, quelle
pubbliche che offendono la persona diventano crimen. Spetterà al soggetto offeso
scegliere quale azione seguire: se processo privato davanti al pretore oppure processo
pubblico, querelando davanti alla questio competente. Vi è una concorrenza di azioni,
concorrenza elettiva e non comulativa (sceglie o l’una o l’altra). Ci sono poi altri reati: il
crimen calunniae. È grave perché costituisce una garanzia per l’imputato quando a
seguito di un’accusa per un reato colui che è stato accusato viene assolto. Tizio assolto
potrà agire nei suoi confronti a titolo di calunnia. La pena è pecuniaria.
Altri reati
Il bene protetto nel caso della calunnia è l’amministrazione della giustizia. Un soggetto
che con dolo accusi ingiustamente un soggetto compie iniuria. È calunnia il caso in cui il
soggetto abbia anche preordinato le prove contro l’accusato. Competente a giudicare è
la stessa questio competente per il reato contro cui è stata emessa la falsa accusa. Nel
corso del processo emerge che l’accusa è infondata e che l’accusa è mossa
ingiustamente. Inizia quindi nella stessa questio in processo contro il calunniatore.
Accanto alla pena pecuniaria si trova anche una pena accessoria: si marchia a fuoco
sulla fronte del calunniatore una K. Sicuramente peregrini e schiavi l’hanno subita, i
cittadini romani no. Per i cittadini romani ci si limitava all’infamia, che comportava la
perdita dei diritti politici e civili. Altro reato è la prevaricazione, che è il reato che compie
colui che accusato in un processo si accorda con l’accusatore per desistere dall’accusa.
Vengono puniti allo stesso titolo l’accusatore e l’accusato. La pena è la stessa del reato
di calunnia. Quindi pecuniaria e infamia o marchio. L’ultimo reato previsto è la
corruzione del magistrato. L’accusato collude con il magistrato. Si accorda, paga il
magistrato affinché si pervenga ad una assoluzione. Tipico reato doloso. La pena
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prevista è la stessa pena che avrebbe dovuto essere irrogata all’accusato. Reati contro
la pace sociale: sono due. La vis publica e la vis privata, cioè la violenza privata. La
prima si integra tutte le volte in cui con la violenza si inibisca l’attività di persone ce
rivestono cariche pubbliche. Si avrà questo crimine quando non si permetto lo
svolgimento regolare di una seduta del senato ad esempio. Rientra anche l’ipotesi del
deambulare cum telo, nel passeggiare armati. Rientra questo perché coloro che
portavano armi a Roma lo facevano per attentare le pubbliche funzioni di magistrati o
senato. Tanto che una delle accuse emesse ai catilinari fu proprio quella di vis publica.
La vis privata riguarda violenza volta ad impedire l’attività verso privati cittadini. La pena
si differenzia proprio in funzione della diversa gravità del reato: la vis publica causa
l’interditio aqua et igni, l’altra consiste nella confisca di un terzo del patrimonio del
colpevole. Il condannato sia per i crimini che per i delicata deve sempre pagare: la
differenza sta che nel caso delle multe irrogate come sanzione per un crimine la somma
va nelle tasche del privato. I reati contro la fede pubblica sono due. Falso testamento e
un falso nummario. Il primo è caratterizzato da un testamento eseguito in un certo
modo; tutto quello che è filosoficazione di un testamento è considerato crimine. Crimen
falsi sarà considerato sia l’alterazione del testamento sia la modifica di qualche segno
esteriore che costituisce elemento di validità del testamento stesso. La pena è l’esilio
perpetuo. Il secondo è la falsificazione delle monete. Quindi rientravano in questo
crimine le adulterazioni delle monete. La pena era l’esilio.
Augusto
Quando Augusto sale al potere stabilisce criteri rigorosi per la forma in atto: nel 17 a.C
emana una lex iulia iudiciorum privatorum che riguardi i giudizi pubblici e precisa i
processi per le questioni perpetue. In particolare stabilisce che il privato cittadino che
voglia promuovere l’accusa deve farlo tramite libello, cioè tramite atto scritto che deve
essere necessariamente firmato. Il privato cittadino non può più promuovere accusa
oralmente, ma deve presentare al presidente della giuria la sua istanza. A questo punto
il presidente della giuria verificata la regolarità dell’istanza iscriverà la stessa a ruolo
inserendo il nome dell’accusato nel registro degli indagati. A questo punto inizia la fase
procedurale. Ma Augusto non si limita ad emanare una legge, ma modifica anche alcuni
aspetti del diritto sostanziale: precisa alcuni aspetti di reati già presi in considerazione,
in particolare provvede ad integrare il reato di maiestas. Oltre a tutti gli atti lesivi della
maiestas diventano reati anche quelli che offendono la persona del princeps, quindi casi
cui vengono ad esempio rovinate le statue dell’imperatore, o se non si vuole
riconoscere nel principe la somma divinità. Ancora rientrano i casi di adulterio e stupro
delle donne di casa imperiale. Precisa poi i casi di ambitus, di broglio elettorale,
prevedendo l’ipotesi aggravante. È previsto l’esilio in caso in cui uomini armati
intimoriscano i votanti. Introduce poi due nuovi questiones, due nuove categorie di
crimini. Con la lex iulia de adulteriis coercendi. Augusto ritiene delitto pubblico il reato di
adulterio.
L’adulterio
L’adulterio era sia l’unione di una donna sposata con un uomo sia lo stupro, ma inteso
non con violenza, ma unione di una donna non sposata prima del matrimonio. Lo stupro
con violenza era un’ipotesi aggravata. Ma lo stupro riguardava anche l’unione sessuale
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con un fanciullo. Un’altra forma particolare è l’unione sessuale tra maschi. Prevede
anche lo stupro con schiavi (in questo caso il bene protetto era la forza lavoro). Dovrà
perseguire chi commette delitto, ma la competenza riguarda il giudice civile. Lo schiavo
pur sapendo di non doversi unire con uno estraneo alla famiglia si è lasciato
corrompere. Il lenocinio è lo sfruttamento della prostituzione. Sono considerati sfruttatori
coloro che non denunciano l’adulterio o lo stupro, quindi lenone sarà il marito della
donna, che deve se scopre gli adulteri in fragranza ucciderli, e comunque intentare
l’accusa. Se non lo fa si macchia di lenocinio; così come se non ripudia la moglie. Nel
caso in cui la persona offesa dal reato non intenti l’azione, un qualunque privato
cittadino può proporre l’accusa. Quindi si ha un diritto d’accusa preferenziale (padre o
marito) e quello di un privato cittadino. L’azione si prescrive al massimo dopo quattro
mesi dalla scoperta del crimine. L’altro crimine introdotto è quello della lex ammona,
che riguarda i danni arrecati alle derrate dello stato. Qui rientra anche l’ipotesi del
problema del cartello, riguardante derrate alimentari. Si costituiva un crimen; questi
venivano perseguiti e la pena era pecuniaria.
L’incesto
Il termine incesto ha un duplice significato: uno ampio e uno tecnico giuridico. Deriva da
non-castum, quindi tutti gli atti contro il buon costume. In senso tecnico l’incesto è
l’unione sessuale posta in essere fra due persone di sesso diverso legate fra loro da
rapporto di consanguineità o di affinità. L’incesto è legato quindi hai divieti matrimoniali.
La condotta di questo reato è l’unione sessuale fra persone di sesso diverso: in più
sono indicate le persone con le quali si compie incesto; consanguigni, cioè parenti in
linea retta e collaterale (collaterali: fratelli, cugini). I gradi parentela variano col tempo.
L’unione sessuale fra affini viene punita (parenti di un coniuge con l’altro coniuge).
Erano protette determinate donne: quindi si aveva incesto nel caso in cui la donna fosse
sposata (che era anche adulterio) e nel caso in cui una donna non sposata entrasse a
far parte di quel gruppo di donne protette. Non era integrato il reato fra zio e attrice (che
fosse sua parente). La pena prevista era la relegatio, cioè la relegazione in un’isola.
Accanto a questa era stabilita una pena accessoria: alla donna veniva tolto metà del
patrimonio ricevuto in dono e un terzo del patrimonio parafernali, all’uomo metà del
patrimonio. Questa pena poteva essere temporanea. Essendo provvedimento non
assoluto non comportava la perdita dei diritti civili.
Un nuovo tipo di processo, la cognitio extra ordinem e il
principe
Caratterizzata da tre organi competenti in materia criminale: il principe, i funzionari
imperiali e il senato. Bisogna creare corti di giustizia che permettano al principe di
ingerirsi come e quando vuole. Nel momento in cui nasce il principato nascono i
funzionari imperiali (carica ambita dal punto di vista economico e di carriera). Le
persone più colte e preparate iniziarono questa attività a discapito della carriera dei
giudici. Quindi i giudici non saranno così preparati come in precedenza. Un altro
problema è determinato dal fatto che dal punto di vista sostanziale la giurisprudenza si
è evoluta: riesce a stabilire che ci devono essere pene diverse a seconda della
partecipazione al reato. Ha poi concepito l’esistenza di un concorso di reati, concetto in
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base al quale mediante un’unica azione è possibile ledere più norme giuridiche. Si ha
concorso formale di reati e bisogna graduare la pena. Io pongo in essere reati distinti.
Quando viene concepita questa possibilità le pene vengono inasprite. Concorso
materiale si ha quando un soggetto per raggiungere uno scopo compie più atti. Era
necessario stabilire una graduazione delle pene. Il rigido schema delle pene per ogni
reato deve essere superato. Questa evoluzione porta al superamento del sistema tipico
delle questioni. I romani individuano poi un altro criterio, la valutazione della pericolosità
del reo: più sarà pericoloso più la pena sarà severa. Questo non è possibile nell’ambito
delle questioni perpetue, che nascono da una legge che stabilisce per ciascun reato
una pena fissa. È quindi necessario che nascano nuove norme. La nascita di questi
nuovi organi non è causato solo da motivi politici, ma anche dall’evoluzione di quelli
criminali. Il primo organo che giudicherà le questioni extra-ordinem sarà il principe. Il
principe funge da giudice non solo per espressa richiesta del privato, ma anche per sua
decisione. In diritto criminale il principe agisce non solo per esplicita richiesta del
cittadino ma anche quando riteneva opportuno; e lo fa in base alla sua auctoritas. Il
fondamento giuridico del principe è la sua auctoritas, ossia dove per la collettività un
suo intervento può essere utile. Non giudica però mai da solo. Il principe è sempre
aiutato da un consilium, che fino ad Adriano sarà composto di volta in volta da persone
scelte specificatamente dall’imperatore fra i suoi amici conoscitori del diritto. Dopo
Adriano questo consilium sarà stabile e formato da giuristi di chiara fama. Il principe può
giudicare su qualsiasi tipo di reato, in particolare su reati di lesa maestà. Avocando a sé
molto spesso processi che sarebbero di competenza del senato (caso tipico è il
processo a Ovidio. Ovidio viene processato per lesa maestà. Non si capisce
esattamente cosa abbia fatto. Si sa però che il suo reato non è stato posto in essere
con dolo, quindi non l’ha compiuto volontariamente, né per colpa dovuta a negligenza.
Si tratta di colpa lata. Questo ci permette di capire che il criterio di imputabilità è molto
graduato. Ovidio si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ha visto
qualcosa che non doveva vedere; la nipote di Augusto che recitava/o insieme ad un
uomo. Questo ha fatto si che qualcuno conoscesse il reato compiuto da una delle
donne dell’imperatore. Augusto dice che si è comportata così dopo aver letto l’ars
amatoria di Ovidio. Una sorta di corruzione indiretta quindi. Il processo dovrebbe
avvenire davanti al senato, Augusto però avoca a sé il potere di giudicare e di porre in
essere questo processo. Una deroga quindi alle normali regole. Ulteriore deroga: nel
caso di lesa maestà per persone di rango elevato la pena è la deportatio e i suoi beni
non cambiano di proprietà. Non è privato dei diritti civili e politici. Una sorte di deroga
alla pena ordinaria. C’è quindi una graduazione della pena. Altra cosa che apprendiamo
che pur essendoci delle competenze per materia il principe può avocare a sé un
giudizio criminale. Il principe poi è anche in grado di giudicare il grado di appello (così
come nel processo privato). Giudica solo nel caso in cui non sia stato giudice di primo
grado, e giudica in particolare le sentenze dei governatori provinciali.
I funzionari imperiali e vari tipi di processo
Accanto alla cognitio criminis la cognizione ordinaria spetta ai funzionari imperiali. Sono
l’organo competente ordinario. Quando scompaiono definitivamente le “questioni”, sono
competenti anche per i reati che una volta erano di stretta competenza delle questioni.
Questo processo davanti ai funzionari imperiali è inquisitorio. Ma in maniera diversa da
quello dei comizi. Il funzionario imperiale dà impulso al processo, promuove l’accusa.
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Ma la notizia del reato può essere o di cognizione diretta, o nasce da informazioni
dell’ausiliario imperiale, oppure attraverso i delatori. Delatori che in questo periodo non
hanno più compito di promuovere l’accusa e di dare impulso al processo, hanno
semplicemente compito di dare notizia del reato. Questo non significa che la delazione
potesse essere anonima. Il delatore doveva comunque fare la sua denuncia per iscritto
e se era infondata poteva agire in un processo di calunnia. Il funzionario doveva
esaminare prima di tutto la presenza di indizi gravi che permettessero l’inizio del
processo. Se c’erano iniziava il processo e spettava al funzionario l’obbligo di
raccogliere le prove. Questi aveva anche il potere di interrogare i testimoni sotto tortura.
Poi emana la sentenza discrezionalmente e stabilisce la pena più adeguata al caso
specifico o concreto. Nel momento in cui il tribunale trova un’argomentazione
dettagliata, il funzionario addetto entro 100 Km dalla città il processo è dato al prefectus
urbis. Stessa cosa nell’ambito criminale. Fino ad arrivare ad un’argomentazione
competa e dettagliata del processo. Questo fine alla fine del II secolo, dove nascono
competenze determinate o regole stabili, fra cui la competenza specifica del prefectus
urbis per crimini compiuti a Roma e a 100 Km da Roma. In Italia invece è competente il
prefetto del pretorio. Il problema è diverso nelle province. Sicuramente competente è il
governatore provinciale, ma il processo ha un iter leggermente diverso. Ancora in età
del principato esiste la provocatio ad popolum; il cittadino romano può chiedere di
essere condotto a Roma e può chiedere di essere giudicato a Roma. Nel momento in
cui scompare questa provocatio scompaiono le guarantige concesse ai cittadini romani
che vivono nelle province: la cittadinanza viene estesa a sempre più soggetti e diviene
impossibile mandare a Roma tutti i cittadini che vogliono rivedere la sentenza. Viene
concessa al governatore la facoltà, la ius gladii, cioè diritto di mettere a morte con la
spada. Gli imperatori conferiscono ai governatori il diritto di processare e mettere a
morte i cittadini romani residenti nelle province. Questa ius gladii all’inizio viene
concessa come diritti a tutti i governatori delle province senatorie e a partire dal II
secolo ormai è diritto di tutti i governatori provinciali. Altro organo competente a
giudicare è il senato, “cognitio senatus”. La competenza a maggior ragione è estesa al
senato in età imperiale. Questo perché il princeps senatus è l’imperatore. A partire
dall’età del principato il senato ha giurisdizione criminale, ma ha competenza sia per
materia sia per determinate categorie sociali. È competente in materia criminale, nei
casi di crimina repetundarum (concussione) ed è competente nei casi di reati più gravi
di lesa maestà. Per quanto riguarda le persone il senato giudica qualsiasi tipo di reato
compiuto dai senatori o dagli appartenenti all’ordine senatorio. Erano analizzati dal
senato perché essendo persone in vista i processi dovevano essere svolti non
pubblicamente. I senatori saranno puniti severamente, salvi i casi di intervento del
princeps.
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Indice
ll diritto Romano………………………………………....….…….p.1
L’amministrazione dello stato……………………………...….….p.4
Comizi Curiati - Comizi centuriati e le XII tavole…….…..….….p.15
Continuano le lotte tra plebei e patrizi………………….….…….p.20
Assemblee popolari, magistrature e senato……………...….……p.23
I poteri…………………………………………………..…..……p.24
Il consolato, la censura e l’edilità curule………………..….….…p.27
I tribuni della plebe e gli edili plebei………………………...…..p.28
Senato,comizi e elezioni………………………………….--....….p.29
L’espansione di Roma………….………………………….…..…p.37
Le fonti di produzione………………………….………….….….p.40
I culti religiosi e la donna…………………………………….......p.41
Gli editti……………………………………….………...….…....p.42
La nuova organizzazione e le sue conseguenze……...…….….....p.43
Pompeo,Cesare e Ottaviano…………………………….……......p.48
Giustiniano…………………………………………………….....p.52
Diritto criminale……………………………………………….....p.54
La pena di morte…………………………………….……….…...p.57
Un quadro sul diritto…………………………………..……….…p.60
Le pene per i minori………………………………………..……..p.65
Reato perfetto e tentativo di reato perfetto……….…….….……..p.65
Magistrati e leggi varie…………………………….……..……....p.66
Il processo criminale e condanne…………..……….……….…....p.75
Reati politici…………………………………………...…….……p.77
Altri reati…………………………………………….………..…..p.78
Augusto……………………………………………...…………....p.80
L’adulterio…………………………………………..……….…....p.80
L’incesto……………………………………………………...…...p.81
Nuovo tipo di processo,la cognitio extra ordinem e il principe..…p.82
I funzionari imperiali e vari tipi di processo………………….…..p.84
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