Floriana Brugioni La perdita perinatale Quaderni del Laboratorio Montessori N. 1 - febbraio 2016 ISSN: 1974-8787 © 2016 Floriana Brugioni LA PERDITA PERINATALE Colui che è atteso, poiché è atteso, è già presente (Pauline Réage) Abstract: Il tasso di mortalità infantile è un indice statistico che si utilizza nell’epidemiologia e nella demografia per calcolare il tasso di mortalità dei nati vivi entro il primo anno di vita. All’interno del tasso di mortalità infantile possiamo fare un’ulteriore differenziazione: il tasso di mortalità postnatale, la mortalità tra il periodo neonatale (dal 29 giorno di vita) e il compimento del primo anno; e il tasso di mortalità neonatale, la mortalità entro i primi 28 giorni di vita. Solitamente si tende a pensare che maggiore è il tempo passato accanto a un figlio, maggiore sarà il dolore provato per la sua perdita e più complicato sarà il processo di lutto per l’elaborazione della stessa. Ogni anno sono stimati 4 milioni di decessi in epoca neonatale, a fronte degli stessi ogni anno vengono stimate 3,2 milioni di morti nel primo trimestre di gravidanza (Baronciani & co., 2008). Nel 2011 sono nati 546.607 bambini, tra questi 1.463 è il numero dei nati morti, quindi il tasso di natimortalità corrispondente è pari a 2,70 nati morti ogni 1.000 nati. Di questi 1.463 bambini nati morti solamente per il 22,8% è stato possibile determinare il decesso, all’interno di questa percentuale nel 49% dei casi il motivo non viene indicato e nel 28% viene indicata una causa errata (Ravaldi, 2015). Il presente articolo nasce come spunto di riflessione per un tipo di perdita che non rientra in quelle descritte precedentemente: la perdita perinatale. La perdita perinatale Con “perdita perinatale” intendiamo la perdita di un figlio nel periodo che va dalla 27 settimana di gestazione ai 7 giorni dopo il parto. Essa si estende all’aborto spontaneo, all’interruzione terapeutica di gravidanza, alla morte in utero di uno dei gemelli nel caso di gravidanze multiple, … All’interno della nostra società è largamente presente e diffusa l’erronea convinzione che la perdita di un figlio che non si conosceva, che ancora non si è tenuto in braccio, accarezzato e coccolato, abbia meno impatto rispetto alla perdita di un figlio conosciuto in questo senso, di conseguenza, minore è la durata della gravidanza minore è l’impatto e il dolore sulla coppia che si trova a vivere questa perdita. Quello che manca è la consapevolezza che ogni gravidanza per la madre e il padre è parte di loro, essa infatti ha un impatto non solo sul singolo ma anche sulla coppia. La sofferenza per la perdita di un bambino non dipende dal tempo passato con lui o dalla durata della gravidanza, infatti più è intenso il legame con il bambino maggiore sarà la sofferenza. Quando la gravidanza, quindi il processo che porta alla nascita e alla vita, si interrompe improvvisamente quello che si vive è un non evento che porta con sé un’enorme confusione, infatti con la morte perinatale vita e morte si fondono, si deve affrontare un nascere per morire, una morte prima della nascita. Al mondo esterno di questo bambino non è rimasto niente e il dolore per questo sconosciuto resta qualcosa di incomprensibile, la famiglia di questi bambini apparentemente sconosciuti però li ha sentiti, amati e accolti al suo interno ben prima della nascita. La perdita perinatale resta un evento inaspettato e, anche se è presente una precedente diagnosi di morte, dobbiamo tenere a mente che il processo di lutto inizia nel momento della comunicazione della diagnosi e che resta un evento non contemplato nel percorso di vita della coppia, nessun genitore d’altronde è mai preparato a perdere suo figlio. Paradossalmente la nostra epoca sta affrontando numerosissimi tabù, alcuni sono stati scardinati, per altri si sta lavorando, ma l’evento morte resta qualcosa di innominabile, in special modo la perdita di un figlio. Nel corso della nostra storia nelle varie culture troviamo numerose credenze e riti riguardo la morte. Credenze e riti hanno un ruolo molto importante, che oggi sempre più stiamo perdendo, essi servono ad affrontare la paura e la disorganizzazione conseguente l’evento morte. Thomas (1976) ci dice: “Tra tutti gli esseri viventi, l'uomo [ è ] la sola specie per la quale la morte biologica, fatto di natura, si trova continuamente superata dalla morte come fatto di cultura”. […] Il piccolo principe ritornò l'indomani. “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti”. “Che cos'è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata” disse la volpe. “Un rito è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora diversa dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”. […] Estratto da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry I riti hanno sempre accompagnato i momenti di passaggio nell’arco della nostra vita, ci aiutano ad affrontare lo sconvolgimento delle fasi della nostra esistenza facendoci sentire vicini agli altri grazie alla condivisione. Basti pensare alle difficoltà che affrontano oggi le coppie durante la gravidanza, oramai la coppia non è più immersa in relazioni familiari o amicali che le permettono di contare sull’esperienza di madri, zie, nonne, amiche. Di conseguenza tutti questi grandi cambiamenti, non solo corporei, vengono affrontati in solitudine. Vediamo perciò la grande influenza socio-culturale che fa consumare il lutto in solitudine. Il lutto, dal latino luctus che significa pianto, è la reazione emotiva conseguente la perdita di una persona cara, come è normale che sia dopo aver amato qualcuno, nel momento della perdita proviamo sofferenza per la sua mancanza. Il lutto è una risposta naturale di fronte all’esperienza della perdita, è una ferita che si può rimarginare grazie al processo di elaborazione. Cosa rappresenta la perdita perinatale La perdita perinatale quindi necessita di essere vista per quello che effettivamente è, ovvero un lutto a tutti gli effetti e come tale dobbiamo impegnarci per la sua risoluzione. Come addetti ai lavori la prima cosa che possiamo fare è prendere coscienza dell’impatto che ha sulla coppia, sia a livello individuale che diadico. Essa rappresenta un trauma psichico di grande entità e come per gli altri lutti ha bisogno di tempo e risorse. La perdita perinatale rappresenta un lutto a più livelli: Per il bambino, fisicamente, verso il quale i genitori con il tempo andavano via via costruendo un legame sempre più intenso Per la propria capacità generativa, l’evento viene vissuto come una ferita narcisistica, c’è la convinzione di non essere riusciti a creare la vita ma, anzi, di aver creato la morte. Non si perde solamente fisicamente il bambino, lo si perde anche a livello simbolico perché ogni bambino è unico e ha un’importanza e un significato irripetibili. Si perdono anche le aspettative, le certezze “cosa mai avrebbe fatto quel bambino, ho fatto tutti gli esami e preso le accortezze suggerite dal medico” … Un proverbio spagnolo dice “un lutto di cui non si parla è un lutto che non guarisce”, elaborare un lutto vuol dire riorganizzare la propria vita e permettersi un progressivo riadattamento psico-sociale, per poterlo fare è necessario che venga concesso il tempo per soffrire, si può dire che l’elaborazione del lutto avviene con l’interiorizzazione della relazione della persona che abbiamo perso. Il lutto perinatale quindi necessita di un suo spazio, di suoi modi, di suoi tempi e della ricerca delle risorse necessarie per poterlo affrontare. Se esso non viene adeguatamente affrontato può degenerare in “lutto complicato”, Horowitz (1986) ci mostra come il lutto sia una delle condizioni di vita più stressanti e come essa abbia numerose ripercussioni sul piano psichico e somatico, il processo della sua elaborazione attraversa gradualmente delle fasi di adattamento alla perdita (intensa protesta, rifiuto, elaborazione e completamento). Criteri diagnostici per il Complicated Grief Disorder (“lutto complicato” o “disturbo da sofferenza prolungata”) A. Criterio evento: lutto o perdita (di un altro emotivamente significativo). B. Distress da separazione: la persona deve sperimentare, giornalmente o con un’intensità tale da essere vissuta come stressante o invalidante, almeno 1 fra 3 seguenti sintomi: 1. pensieri intrusivi relativi alla relazione perduta; 2. intensa sensazione di dolore emotivo, pena, sofferenza derivata dalla perdita della relazione; 3. desiderare intensamente il ritorno della persona che è venuta a mancare. C. Sintomi cognitivi, emozionali, e comportamentali: la persona deve presentare, con una frequenza quotidiana e con un’intensità tale da essere vissuta come stressante o invalidante, almeno 5 sei seguenti sintomi: 1. confusione rispetto al proprio ruolo nella vita o diminuito senso di sé (es. sentire che una parte di se è morta); 2. difficoltà nell’accettare la perdita subita; 3. evitamento dei ricordi riferiti alla veridicità dell’esperienza della perdita; 4. impossibilità a credere negli altri dopo la perdita; 5. amarezza o rabbia relativa alla perdita; 6. difficoltà nel portare avanti la propria vita (es: farsi nuovi amici, perseguire interessi…); 7. assenza di emozioni dopo la perdita; 8. sentire che la vita è vuota, priva di significato, non realizzata 9. sentirsi scioccato, cristallizzato, sospeso, svuotato. D. Durata: almeno 6 mesi dall’inizio del distress da separazione. E. Criterio di danno: il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in alte aree importanti di vita (es. responsabilità domestiche quali cucinare, fare lavori di manutenzione) F. Relazione con altri disturbi mentali: Deve essere esclusa la possibilità che tali effetti siano determinati da una condizione psicologica pre-esistente o da una condizione medica intercorrente e che i sintomi non possono essere spiegati come un disturbo depressivo maggiore, come un disturbo d’ansia generalizzato o come un disturbo post traumatico da stress. Tratto da Horowitz et al. (2009) Il lutto complicato è una deviazione della normale esperienza di lutto in cui la risposta emotiva va cronicizzandosi creando difficoltà alla riorganizzazione esistenziale dell’individuo. L’intervento degli operatori si rende necessario per andare a evitare le conseguenze del lutto complicato che possono andare a influenzare i rapporti all’interno della famiglia (ad esempio con il partner) e con i futuri altri figli. Dal momento della diagnosi al parto Non si diviene genitori al momento del parto. Il bambino è presente nelle menti e nella vita dei genitori molto prima della sua nascita, come dice la poetessa e scrittrice russa Marina Ivanovna Cvetaeva “Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento. Ci sono gravidanze che durano anni di speranza, eternità di disperazione”, divenire genitori rappresenta un processo e durante la gravidanza vediamo che il legame di attaccamento inizia già a formarsi, molti autori hanno affrontato questa tematica. Nel 1975 la Rubin descrisse i compiti della gravidanza come un impegno della donna verso il feto nel realizzare un passaggio sicuro attraverso le fasi della gravidanza fino al parto, assicurarsi che il bambino sia accettato dalle persone significative della famiglia, sviluppare un legame affettivo verso il feto ed essere in grado di fare dono di sé al bambino. Nel 1981 la Cranley definì il costrutto dell’attaccamento materno-fetale come “la misura in cui la donna manifesta comportamenti che rappresentano interazione e coinvolgimento affettivo verso il bambino che attende”. La sua ipotesi era che la qualità dell’investimento affettivo prenatale potesse influire sui processi della gravidanza, sulla relazione di attaccamento genitori-bambino e sullo sviluppo psichico infantile, da allora numerose sono state le ricerche svolte sul ruolo di alcuni fattori sullo sviluppo dell’attaccamento prenatale. Lo stesso Winnicott (1958) reputò importante la fase prenatale dato che riteneva la scoperta della gravidanza l’inizio della formazione del coinvolgimento verso il proprio bambino. Possiamo quindi comprendere con facilità come dal momento della pianificazione del bambino fino al momento della sua nascita la madre, così come il padre, attraversi delle fasi in cui sempre più va definendosi questo nuovo legame di attaccamento. Sicuramente tra madre e padre troviamo una grande differenza nella percezione della gravidanza e del bambino, per il padre il primo segno di attaccamento è più facile che compaia con i primi movimenti fetali, ai padri infatti viene a mancare una componente fisica della gravidanza essa perciò per loro è un processo più complesso e mentale, c’è quindi una differenza di tempi tra il padre e la madre. Al momento della diagnosi (che può essere al momento dell’ecografia comunicando la morte intrauterina, una diagnosi di incompatibilità con la vita al momento della nascita, una malformazione, …) il rapporto genitore-bambino stava già prendendo forma all’interno di ognuno dei genitori e quando viene comunicata la diagnosi sicuramente le convinzioni che sembrano permeare la nostra società riguardanti il poco investimento affettivo su questa nuova vita vengono meno. Con la diagnosi vengono cancellate tutte le aspettative verso il futuro, tutti i progetti, le speranze. La notizia ha una portata enorme per i genitori che in questo primo momento vivono una fase di shock, la notizia è così devastante da non poter essere compresa subito, spesso si accompagna alla negazione dell’evento (“deve esserci un errore”) e a reazioni automatiche, i genitori spesso riportano di essersi sentiti degli automi, in effetti l’organismo prova a gestire il trauma che si trova a vivere ricorrendo a un restringimento parziale della coscienza creando una barriera tra sé e il mondo. La prima reazione è sgomento, incredulità, smarrimento, una forte confusione e disorientamento, la coppia si trova a vivere uno stato di profonda disorganizzazione psichica, queste sensazioni li accompagneranno a lungo in questi primi giorni in cui cercheranno di realizzare una nuova realtà che violentemente si è affacciata su di loro. Quello che serve in questo momento è tempo, ascolto e partecipazione. La coppia va supportata nella ricerca delle proprie risorse per far fronte all’evento nel rispetto dei loro modi e dei loro tempi. È importante che vivano le loro emozioni, negarle non le fa scomparire, vivere le emozioni, anche se negative, ci permette di superarle. Non ci sono formule magiche per comunicare un evento di questa entità, sicuramente ciò che può fare l’operatore è essere chiaro, semplice, partecipe ed empatico. I genitori a distanza di molti anni ricordano come è stata comunicata loro la morte del loro bambino. Serve quindi preparazione nel personale a contatto con le coppie che possa fornire informazioni utili su cosa sta accadendo e che possa fornire supporto nelle fasi successive alla diagnosi. Spesso l’équipe, a scopo difensivo, mette in atto un mero tecnicismo che va delineandosi con freddezza e distacco, fare frequentemente esperienza di morte porta noi stessi a rivedere il nostro vissuto in relazione al lutto, questo può portare l’operatore a fuggire non solo mentalmente ma anche fisicamente (ad esempio andando via dopo aver svolto un’ecografia senza rivolgere parola alla coppia). Va tenuto a mente che con la malpractise si aggiunge un trauma al trauma. Nella fase immediatamente successiva alla comunicazione della diagnosi, caratterizzata da un profondo senso di shock, è importante offrire sostegno e continuità alla coppia, il ruolo dell’operatore (competente) è fondamentale nelle prime fasi poiché va a ridurre l’impatto traumatico dell’evento. Questo sostegno dovrebbe attraversare tutto il percorso di elaborazione, quindi dal momento della diagnosi, al parto, alle dimissioni, considerando l’importanza di incontri successivi alle dimissioni e non dimenticando la coppia, ma possibilmente seguendola anche durante le successive gravidanze. Potrebbe accadere che la coppia debba compiere una scelta, se interrompere la gravidanza (se si è all’interno del periodo concesso) o se aspettare il corso degli eventi. Anche qui si ricorda come sia importante per la coppia compiere una scelta consapevole insieme. La possibilità di affrontare emozioni e vissuti aiuta la coppia a scegliere il più serenamente possibile. Se la scelta della coppia vira per l’interruzione di gravidanza va ricordato che a seconda dell’età gestazionale l’interruzione della gravidanza prevede diverse modalità: entro la 13° settimana l’intervento consiste nell’interruzione dello sviluppo dell’embrione/feto e nella sua rimozione dall’utero; nelle settimane successive si indurrà il parto durante il quale la madre sarà vigile e parteciperà con il suo corpo al parto, qui va messo in risalto il ruolo fondamentale dell’équipe. Se invece si vuole aspettare il corso naturale degli eventi bisognerebbe dare valore alle cure palliative. I genitori in questa situazione vivono numerosi dubbi “quanto vivrà? Come andrà il parto? Il bambino soffrirà?” Per entrambe le scelte vige la regola, per gli operatori, di prestare ascolto ai bisogni dei genitori, di non forzare verso una scelta piuttosto che verso l’altra, ma ACCOMPAGNARLI in questo percorso. L’incontro con il bambino Dalla diagnosi al ricovero, dall’induzione al travaglio, arriviamo al momento del parto. Il momento dell’incontro con il proprio bambino è l’incontro atteso da tutta la gravidanza, e sia che il bambino nasca vivo o morto l’incontro con lui è sempre e comunque importante. Nell’attesa del parto alcuni genitori pianificano il tempo che potranno passare con il loro bambino. Si può partire dalla scelta del parto naturale o cesareo, a seconda della volontà materna di essere più o meno vigile al momento della nascita, mentre il padre può pensare se tagliare il cordone ombelicale. Assieme potranno decidere come costruire i momenti da passare tutti e tre insieme magari abbracciandolo, coccolandolo, vestendolo, nutrendolo, costruire dei ricordi tramite fotografie, farlo conoscere ad amici e parenti. Se la coppia è credente di può organizzare il Battesimo o svolgere i rituali previsti dalla propria religione. Anche qui le coppie compiono le loro scelte in maniera del tutto personale, ci sono coppie che vogliono programmare tutto prima così da poter passare i momenti che gli saranno concessi con il loro bambino senza dover pensare al dopo, altre coppie non vogliono pensare a nulla se non al bambino e a tutto il resto penseranno dopo la morte. Alcuni genitori, sapendo della presenza di malformazioni fisiche nel loro bambino, possono avere timore di questo primo incontro, l’operatore in questo caso descriverà onestamente l’aspetto del bambino e accompagnerà la coppia in questo incontro (se si ritiene utile si possono prendere delle accortezze, come il coprire determinate zone ad esempio con un cappellino, per poi lasciare ai genitori la scelta di scoprirlo o meno) ricordando che ogni bambino agli occhi dei propri genitori è il più bello tra tutti. Nel momento del parto bisognerebbe evitare domande riguardanti il dopo, ci sarà tempo per poterlo fare se non lo si è fatto prima. Adesso la donna è concentrata sul suo corpo che sta facendo nasce il suo bambino. Nel post-parto sarebbe opportuno riaccompagnare la madre in camera lontano dal nido o da altre mamme che hanno appena partorito, bisogna rendere possibile al padre la vicinanza con la propria compagna. Come è stato detto la genitorialità è un percorso, non uno status che si acquisisce al momento del parto, nel caso della morte del proprio bambino in epoca perinatale è importante per noi operatori sapere che i genitori hanno la necessità di portare a termine il percorso della genitorialità con QUEL bambino. Alla coppia serve poter dare un volto a chi è stato tanto atteso. Se è vero che l’elaborazione inizia con il riconoscimento della perdita della persona cara, sappiamo anche che l’elaborazione è resa meno difficoltosa dalla presenza di ricordi con la persona perduta, disporre di ricordi è una parte fondamentale nel lutto, non averne vuol dire aumentare il vuoto. Serve mostrare rispetto per il bambino, ad esempio nelle manovre, nel chiamarlo per nome, portare rispetto a lui vuol dire portare rispetto ai genitori. Alcune coppie non vogliono vedere il bambino per il timore di soffrire troppo, come operatori non dobbiamo premere verso una scelta piuttosto che un’altra, ma accompagnare in un percorso di consapevolezza. Nel caso di una morte in utero se l’incontro avviene nei primi 30 minuti dal parto l’esperienza è percepita dai genitori come gradevole per via del calore che il corpo ancora mantiene. Se la coppia continua a esprimere il desiderio di non vedere il bambino lo si sistemerà in una culla in una stanza tranquilla così se i genitori cambieranno idea sapranno dove trovarlo. Ai genitori va data la possibilità di stare in un luogo tranquillo all’interno del quale potersi prendere cura del proprio bambino, ad esempio mettendogli i vestitini comprati per l’occasione, scattando foto, tenere una ciocca di capelli, saperne il peso e l’altezza, …. Se i genitori decidessero di non vedere il bambino il personale medico dovrebbe comunque raccogliere dei ricordi da conservare in una cartella, potrebbe accadere, anche a distanza di tempo, che i genitori esprimano il desiderio di avere qualcosa appartenente al loro bambino. Al momento dell’incontro servirebbe far capire ai genitori che quello è il loro bambino ed è importante farli sentire liberi di scegliere i ricordi che vorranno andare a creare di quei momenti passati assieme a lui. La cosa importante in questo momento è amare il proprio bambino, e se si trova in fase terminale i genitori devono avere l’opportunità di stargli accanto fino alla fine. Ai genitori deve essere chiaro che in quei momenti hanno la possibilità di baciare, accarezzare, prendere in braccio il bambino e se vogliono possono farlo conoscere agli altri parenti e ai fratellini se ci sono. Il rientro a casa Al momento della dimissione il processo del lutto continuerà, i genitori dovranno tornare alle loro attività e si troveranno a dover affrontare la morte del proprio bambino nei vari ambiti della loro vita (lavoro, amici, conoscenze, …). L’ultimo addio è al momento del funerale e prima del rito i genitori avranno vegliato sul loro bambino nella camera mortuaria. A questo riguardo si ricorda quanto sia importante creare dei ricordi nei giorni precedenti, capita infatti che le uniche foto che i genitori hanno del loro bambino siano all’interno della bara, associando quindi tutto ciò che il bambino rappresenta per loro all’idea della morte, questo anche a distanza di anni provoca una profonda sofferenza nei genitori. Norme sulla sepoltura dei bambini morti in utero in Italia Gli operatori devono esserne a conoscenza per poter offrire ai genitori questa opportunità, che così non saranno privati di un luogo fisico dal quale iniziare il processo di lutto. In Italia ci sono norme che definiscono la sepoltura dei bambini: Art. 74 del Regio Decreto 09.07.1939 n.1238. Prevede la sepoltura del bambino nato morto (bambini che hanno superato le 28 settimane di gestazione al momento del parto) indipendentemente se la morte è avvenuta in utero o successivamente al parto (nel secondo caso va indicata la causa di morte) D.P.R. 10/09/1990 n.285, art. 7. È prevista la sepoltura dei bambini morti in utero aventi un’età gestazionale inferiore alle 28 settimane, i permessi di trasposto e seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale (ASL). La domanda di seppellimento deve essere effettuata entro 24 ore dall’evento. Innanzitutto vanno ricordati gli esami necessari da effettuare a seconda delle situazioni specifiche (presenza di complicazioni, patologia materna, …) Alcuni autori hanno affrontato la durata del lutto perinatale, per alcuni dura dai 6 mesi ai 2 anni, altri sostengono che nell’arco di 3 anni sia possibile tornare a un livello di funzionamento precedente la perdita. Io credo che trattandosi di un lutto esso abbia un peso che varia da individuo a individuo, non serva fare riferimento alla possibile durata del dolore, si potrebbe finire in un terreno rischioso (ad esempio “il mio dolore è durato meno, vorrà forse dire che non ho voluto così bene al mio bambino?” rischiando di finire schiacciati dal senso di colpa), l’importante è essere consapevoli di quello che proviamo e, per quanto difficile possa essere, cercare di affrontarlo. Quello che la coppia dovrebbe sapere rientrando a casa potrebbe essere riassunto brevemente così: - Le emozioni verranno a galla, importante sarà viverle, condividerle e cercare di nominarle - Condividere con il partner il proprio stato d’animo, la propria tristezza, senso di colpa, e tutte le emozioni che vi troverete a vivere in questo periodo così difficile - A livello individuale e di coppia è necessario prendersi i propri tempi e i propri spazi - È un momento delicato nelle vostre vite, potrebbe affacciarsi la necessità di rivolgersi a un esperto per ricevere sostegno, non c’è nulla di male in questo - Nell’arco di un paio di mesi potrebbe essere effettuata una visita ginecologica - Il corpo ha memoria della gravidanza, il seno ad esempio sarà pronta per nutrire, questo potrebbe portare con sé molta rabbia; possono riproporsi i vissuti della gravidanza, alcune donne sentono scalciare il bambino o lo sentono piangere, molte donne riportano quella che viene definita “sindrome delle braccia vuote”, una sensazione sgradevole e dolorosa alle braccia. A questo punto cosa accade nella coppia? Uno spazio particolare, nel momento del rientro a casa, è da dedicare alla coppia che ha come arduo compito la propria riorganizzazione. Abbiamo già detto che nella percezione della gravidanza sono presenti delle differenze tra la madre e il padre, nel caso della perdita perinatale sembrerebbe che la più grande differenza tra i due genitori sia sempre sui tempi, il padre, a differenza della madre, ha avuto meno occasioni per sentire veramente questo bambino (specie se la perdita avviene prima della possibilità di sentire i suoi primi movimenti all’interno della pancia), il quadro che si va delineando è più o meno il seguente: per la madre si tratta della perdita di un caro, per il padre si tratta di un evento triste. Questo è un momento molto delicato per tutte le coppie che si ritrovano in questa situazioni, c’è chi ne esce più forte di prima, c’è chi si allontana arrivando a separarsi. Di solito l’uomo si preoccupa dello stato emotivo della donna mettendo le sue reazioni emotive da parte, spesso la donna ha più propensione al dialogo mentre l’uomo si rifugia nel lavoro. Nell’elaborazione del lutto la possibilità di parlarne, la presenza di memorie, il percepire la perdita come reale, questi sono aspetti che permettono un percorso meno complicato, nel lutto perinatale spesso sono negati andando ad aggravare la situazione. Adesso è importante per la coppia comunicare le proprie emozioni e il proprio dolore, se la coppia non riesce in questo molto spesso la donna penserà che quel bambino per il compagno non abbia significato la stessa cosa, non abbia avuto lo stesso valore, di contro il compagno continuerà a non affrontare l’argomento e a tacere il suo dolore, da qui possono nascere molte incomprensioni che possono portare all’allontanamento. Entrambi devono sapere che serve molta pazienza per affrontare tutto questo e che molto probabilmente si trovano a vivere una delle prove più difficili nella vita di una coppia. Poter parlare delle proprie emozioni e dei propri vissuti, nel rispetto dei modi e dei tempi dell’altro, ha un effetto opposto, permette di riavvicinarsi. Uno sguardo agli altri bambini I bambini devono sapere perché le persone intorno a loro sono tristi, devono poter capire perché anche loro sono tristi ora che il fratellino/sorellina non arriverà più. Le domande che possono porci sono diverse, alcune possono essere: morirò anche io? Moriranno anche i miei genitori? Quello che è successo è successo per colpa mia? È normale che in gravidanza il bambino abbia provato gelosia o manifestato aggressività verso il futuro fratellino, il bambino può pensare che l’effetto di questa sua gelosia possa avere avuto conseguenze così nefaste da portare alla perdita del bambino. Ci si chiede come parlare dell’accaduto ai bambini, dobbiamo abbandonare l’idea che i bambini non capiscano, i bambini capiscono molto bene ciò che li circonda, anche per quanto riguarda lo stato emotivo delle persone intorno a loro. Con la loro innocenza ci pongono domande più o meno dirette e da parte del mondo adulto, che dovrebbe tutelarli sempre e comunque, è giusto che ricevano delle risposte, risposte fatte di parole semplice cercate apposta per loro. Le gravidanze successive Un esempio della malpractise è rappresentato dal suggerimento dei medici di riprovare immediatamente dopo la perdita ad avere un altro bambino. Sappiamo che questo consiglio nuoce sotto molteplici aspetti, infatti la gravidanza successiva al lutto è associata ad alti livelli di ansia ed è comune la situazione in cui si verifica una sovrapposizione della gravidanza. Non bisogna avere fretta di mettere al mondo un’altra vita, bisogna concedersi il tempo per elaborare il lutto, alcuni autori consigliano di aspettare almeno 1 anno, ma anche qui vanno tenute a mente le differenze di ognuno di noi, qualcuno potrebbe aver bisogno di più tempo. Per poter affrontare una gravidanza dopo una perdita come questa serve elaborare il proprio lutto ed essere passati dalla disorganizzazione che l’evento ha creato a una riorganizzazione psichica che renda possibile per i genitori il dispiegarsi di una relazione con il bambino che possa essere libera dai condizionamenti del passato. In letteratura sono definiti “figli di rimpiazzo” i bambini nati per riempire il vuoto lasciato dalla morte. Queste situazioni portano con sé un altro rischio psicopatologico, infatti si può andare incontro a una forte idealizzazione del bambino morto che può essere proiettata sul bambino in arrivo. Numerosi studi rivelano una correlazione con disturbi riguardanti lo sviluppo cognitivo, l’area comportamentale e lo stile di attaccamento. Ogni bambino che non può essere vissuto dai propri genitori ha il diritto di essere ricordato, ogni bambino che nasce ha il diritto di essere trattato nella sua unicità. Conclusioni Per i genitori il loro bambino non è rimpiazzabile, può capitare che l’elaborazione possa essere ostacolata perché associata al dimenticare il bambino e i genitori hanno paura di dimenticarlo, hanno paura di dimenticare la sofferenza perché la sofferenza li lega a lui. Elaborare un lutto non vuol dire dimenticare, vuol dire riporre al giusto posto l’amore provato. I bambini persi non sono persi per i loro genitori che li terranno sempre nei ricordi e nel cuore. Approfondimenti Per approfondire si consigliano le associazioni internazionali come la International Stillbirth Alliance e la Stillbirth and Neonatal Death Society e il sito www.babyloss.it. Per gli operatori del settore si consiglia la lettura dei 20 passi della d.ssa Ravaldi. BIBLIOGRAFIA Baronciani, D., & co. (2008). La natimortalità: audit clinico e miglioramento della pratica assistenziale. http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1390_allegato.pdf Cranley, M. S. (1981). Development of a tool for the measurement of maternal attachment during pregnancy. In Nursing research, 30, pp. 281-284. Horowitz, M. J. (1986). Stress response syndromes. 2nd ed. Northvale, NJ: Aronson. Prigerson, H. G., Horowitz, M. J., Jacobs, S. C., et al. (2009). Prolonged Grief Disorder: Psychometric Validation of Criteria Proposed for DSM-V and ICD-11. PLoS Med 6(8). Ravaldi, C. (2015). Dovremmo parlare di sicurezza del parto, partendo dai casi di morte perinatale. http://www.huffingtonpost.it/claudia-ravaldi/sicurezza-del-parto-partendo-morteperinatale_b_7816276.html Rubin, R. (1975). Maternal tasks in pregnancy. In Maternal Child Nursing, 4, pp.143-153. Thomas, L.V. (1976). Antropologia della morte. Milano, Garzanti. Winnicott, D.W. (1958). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Tr. It. Martinelli, Firenze, 1975.