Dati sensibili e sanità. Studio Ocse. Se la privacy diventa un problema per i sistemi sanitari 4 APR - In molti i paesi è impossibile o molto complesso raccogliere dati sanitari. Questo rende più difficile monitorare l’efficienza del servizio e migliorare l’assistenza. È possibile un diverso equilibrio tra informazione e privacy? Se lo è chiesto l'Ocse nella sua ultima pubblicazione. Possibilità enormi possono derivare dallo sviluppo di database con le informazioni sanitarie su pazienti e trattamenti: migliorare l’efficienza e la sicurezza, rimettere le persone al centro della cura, promuovere innovazione e sviluppo, nonché – spesso – far risparmiare le istituzioni. Tuttavia, per raccogliere i dati al meglio c’è bisogno di alcuni accorgimenti, primo tra tutti quello di tutelare la privacy dei pazienti stessi. Il sottile equilibrio tra la garanzia dell’anonimità dei dati sensibili e quello della libertà di accesso ai dati è oggetto dell’ultima pubblicazione dell’Ocse, dal titolo “Strengthening Health Information Infrastructure For Health Care Quality Governance”, la cui versione preliminare è disponibile online. Per comprendere il livello qualitativo dei sistemi sanitari e delle loro performance bisogna infatti avere l’abilità non solo di monitorare la salute di ogni paziente nel tempo – come cambia a seconda dei trattamenti, quando migliora o peggiora – ma anche quella di capire in che modo i risultati sono distribuiti tra i diversi gruppi all’interno della popolazione. Questo lavoro ha bisogno di pochi prerequisiti, ma importantissimi. Prima di tutto dipende dalla capacità di raccogliere e catalogare i dati dei singoli pazienti per l’intera popolazione, o quantomeno per un suo campione rappresentativo. In secondo luogo, si basa sull’abilità di seguire i pazienti lungo tutto il percorso diagnostico e di cura, in modo da acquisire dati sia sulle reazioni ai farmaci che su eventuali errori dei medici o nel passaggio da uno specialista all’altro, o – nel caso il paziente muoia – se c’è stato un trattamento inefficace e perché. In altre parole c’è bisogno che i diversi database siano collegati tra loro, solo in questo modo i dati possono essere usati per migliorare effettivamente la cura e la sicurezza dei pazienti, nonché per sviluppare linee guida sempre più appropriate e utilizzare le risorse in maniera sempre migliore. Se alcune nazioni dell’Ocse sono riuscite a permettere l’uso di dati sanitari a questo scopo, in altre alcune leggi – seppure con le migliori intenzioni, quelle di evitare il cattivo uso di queste informazioni – pur di preservare la privacy dei pazienti hanno di fatto ridotto il potenziale dei dati a disposizione. La conseguenza di ciò è una grande differenza prima di tutto nei risultati scientifici delle diverse nazioni, ma anche nell’abilità di monitorare e migliorare l’assistenza e le cure. La metà delle nazioni che fanno parte dell’Ocse ha infatti già da anni programmi regolari di monitoraggio della qualità del sistema sanitario, mentre l’altra metà sta cominciando solo ora a usare i dati relativi alle cartelle elettroniche o dai centri di cura. In particolare, le differenze tra i paesi sono relative ad alcuni casi “limite”: quelli in cui bisogna effettuare un’eccezione al consenso informato, ad esempio nelle occasioni in cui avere un consenso è impossibile o molto costoso; quelli in cui bisogna condividere con altre nazioni i dati dei pazienti; o ancora i progetti che necessitano largo accesso ai dati. Il consenso informato è diventato infatti il pilastro per proteggere i pazienti nel caso di ricerche cliniche, ma prevedono l’abilità di indicare chiaramente a ogni partecipante a quale scopo verranno usati i suoi dati, il che è semplice solo nel caso in cui lo studio in questione è piuttosto specifico, ad esempio un trial o un’indagine. Ma un problema ancor più ampio sussiste ad esempio quando si vogliono sviluppare studi internazionali, che vogliono mettere a confronto la qualità dei sistemi sanitari e delle cure nei diversi paesi. “In questi casi, infatti, è importante ridurre le differenze nei modi con cui si difende la privacy dei pazienti”, spiegano dall’Ocse. Sebbene la direttiva europea che protegge i dati sensibili dei pazienti (EU Data Protection Directive 95/46/EC) dia una struttura di lavoro comune, la libertà data ai paesi europei su come e quando applicare, limitare o estendere le regole sulla questione è piuttosto ampia. Così diverse nazioni europee – tra cui anche l’Italia – hanno deciso che l’approvazione all’uso dei dati sia gestita in maniera piuttosto restrittiva da un Garante della Privacy, e che l’approvazione all’uso senza consenso sia data solo in casi particolari. Ciò, ad esempio, può rendere complicata l’istituzione di Registri Nazionali delle malattie, che invece sono uno strumento utilissimo nell’assistenza. In molti altri paesi, come Francia, Svezia, Danimarca, Finlandia e Gran Bretagna, le leggi sono meno restrittive, ed esistono casi (comunque rigorosamente regolamentati) in cui è più semplice ottenere dati sensibili senza consenso informato del paziente. Al di fuori dell’Unione europea la situazione è altrettanto spezzettata, talvolta anche all’interno degli stessi stati: è il caso, ad esempio, di tutti gli stati federali (Stati Uniti e Canada in primis), nei quali la legislazione è formata da una complessa rete di norme a livelli diversi, nazionale, statale, provinciale, locale. In ogni caso, specifica l’Ocse, il quadro internazionale dei prossimi cinque anni risulta piuttosto promettente, sia in termini di numero di nazioni che intendono implementare un piano di registrazione elettronica dei pazienti, sia in termini di numero di paesi che riterranno tali dati utili al monitoraggio della qualità dei sistemi sanitari, sia in termini di numero di casi in cui si riuscirà a mettere in connessione database diversi già esistenti. In questo modo, secondo gli esperti dell’Ocse si riuscirà a generare evidenze che potrebbero portare al miglioramento della qualità della vita della popolazione in generale, della cura e dell’assistenza. “Nonostante questo rimangono delle differenze considerevoli, e in qualche misura preoccupanti, rispetto a quanto questi dati saranno effettivamente utilizzati per il benessere della società”, riportano le conclusioni della pubblicazione. “Il ruolo dell’Ocse nei prossimi anni sarà dunque quello di continuare a supportare il rafforzamento delle infrastrutture informative dei diversi sistemi sanitari, in modo che i dati possano essere raccolti e sfruttati al meglio, sempre nel rispetto della privacy dei pazienti. Per fare ciò, però, le diverse nazioni dovranno fare uno sforzo per superare gli ostacoli che pone un uso dei dati rispettoso del paziente”.