INDICE INTRODUZIONE…………………………………………………...3 CAPITOLO I: L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA DISCIPLINA DEGLI ENTI PUBBLICI 1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO…………………...9 1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE PUBBLICO E LA POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI…………………………………………………….17 1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA……….28 1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI………………………………..33 CAPITOLO II: LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI PUBBLICI 2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE……………………………………………….42 2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI……………….53 2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI…………..57 2.4) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI AUTARCHICI…………………………………………………………...75 CAPITOLO III: IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI 3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI……...…79 3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI……………………………………..88 3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI…………………………………98 1 3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI………………………………………………………………109 CAPITOLO IV: IL CONTROLLO SUGLI ENTI PUBBLICI SOVVENZIONATI DALLO STATO E IL CONTROLLO SULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATO PARTECIPA AL CAPITALE 4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA…………………………………..125 4.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI………..…134 4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI….……148 4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI………....153 CONCLUSIONI…………………………………………………..160 BIBLIOGRAFIA………………………………………………….163 2 INTRODUZIONE Nel presente lavoro cercheremo di ricostruire un quadro normativo, giurisprudenziale e dottrinario completo in merito alla gestione ed al controllo degli enti pubblici finanziati dallo Stato. All’indomani dell’entrata in vigore della l. cost.n. 3 del 2001, il primo interrogativo che si pose agli interpreti e alle stesse istituzioni a proposito di controlli sugli enti locali riguardò la portata dell’abrogazione dell’art. 130 Cost. Ci si chiese se l’art. 9, secondo comma, l.cost. n. 3 del 2001, col limitarsi a disporne la soppressione, determinasse del pari l’immediata abrogazione della legislazione attuativa. Venne ad esempio sostenuto che il controllo sugli atti non assurgeva più “a dignità costituzionale”, essendo previsto solo a livello di legislazione ordinaria, il che costituiva il primo passo per l’abrogazione della relativa normativa1. 1 A. ZUCCHETTI, Spunti di riflessione sul sistema dei controlli, in Dipartimento giuridico-politico dell’Università di Milano, Incontri di studio n. 5, Problemi del federalismo, Milano, 2001, 438. 3 La tesi avrebbe potuto giustificarsi se l’art. 130 fosse stato abrogato tacitamente o implicitamente ai sensi dell’art. 15 disp.prel.cod.civ., giacché in tal caso sarebbe stato almeno possibile ipotizzare un’abrogazione parziale, e dunque una sopravvivenza, per qualche profilo, dell’istituto del controllo preventivo sugli atti degli enti locali. Ma la soppressione dell’art. 130 è stata come si è detto esplicita, anche se non accompagnata, a differenza della corrispondente disposizione del d.d.l. Amato-D’Alema, dalla espressa sottrazione degli atti degli enti locali a “controlli preventivi esterni di legittimità o di merito”. A questo punto, occorreva solo fare ricorso a criteri pacificamente accolti di risoluzione delle antinomie, alla cui stregua la previgente legislazione attuativa dell’art. 130 Cost., statale e regionale, doveva ritenersi abrogata2. Gli orientamenti espressi in sede istituzionale sono stati univoci in tal senso. Il Ministro per gli affari regionali, con nota del 5 dicembre 2001, ha 2 G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti e sistema delle autonomie (territoriali) dopo la riforma del Titolo V, Intervento alla Tavola rotonda su Coordinamento della finanza pubblica e sistema delle autonomie: attualità del ruolo della Corte dei Conti, Roma, 4.12.2002, ed E. GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi e la scomparsa della figura del commissario del governo, in T.Groppi-M.Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, II ed., Giappichelli, 2003, 229, con indicazione della dottrina favorevole a tale ipotesi. Secondo F. PINTO, Diritto degli enti locali, I, Giappichelli, 2003, 375, le leggi regionali attuative dell’art. 130 Cost. avrebbero dovuto ritenersi affette da illegittimità costituzionale, poiché l’abrogazione opererebbe solo tra fonti collocate sullo stesso piano gerarchico. Ma a partire dal dibattito sul trattamento giurisdizionale delle leggi anteriori alla Costituzione, risolto dalla Corte nella sua prima pronuncia con una scelta non obbligata (sent.n. 1 del 1956), è noto come l’antinomia tra fonte di grado inferiore e fonte sovraordinata sopravvenuta possa comporsi alla stregua del criterio cronologico non meno che del criterio gerarchico; inoltre, l’ipotesi dell’illegittimità costituzionale sopravvenuta dovrebbe comunque riferirsi, in primo luogo, alla disposizione di legge statale che nell’istituire i Comitati Regionali di Controllo attribuiva taluni ambiti di disciplina alle leggi regionali (art. 128 d.lg. n. 267 del 2000 (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)). 4 subito preso atto della cessazione dell’operatività dei controlli previsti dall’art. 130 Cost. In seguito la Corte costituzionale ha incidentalmente rilevato, in almeno due occasioni, la medesima circostanza (sentt.nn. 106 del 2002 e 43 del 2004). Infine, nella sua Relazione finale del 6 febbraio 2004, il Comitato di indirizzo e coordinamento tecnico-scientifico per l’attuazione della delega ex articolo 2 legge n. 131/2003 (Comitato Vari) ha osservato come “L’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione, facendo venir meno l’organo regionale di controllo sugli atti degli enti locali, ha travolto necessariamente anche la disciplina attuativa contenuta nel T.U.E.L., con riferimento alle competenze di detto organo; disciplina attuativa ritenuta, infatti, immediatamente inefficace, proprio perché incompatibile con l’attuale normativa costituzionale”. Ben più complesso appare il compito di individuare le tipologie di controlli costituzionalmente ammissibili sugli enti locali. Il diritto costituzionale vigente prevede ormai espressamente il solo controllo sostitutivo del Governo nelle fattispecie e secondo i princìpi enunciati dall’art. 120, secondo comma, nonché, implicitamente anche se con certezza, il controllo sugli “organi di governo” attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p). Per il resto la Costituzione tace: se ne deve desumere la tassatività delle tipologie di controllo ivi previste? La risposta affermativa è stata desunta dal principio, che l’art. 114 Cost. avrebbe sancito, che “l’amministrazione italiana è ormai in gran parte una amministrazione autonoma”, per cui i condizionamenti esterni all’esercizio delle funzioni degli enti autonomi sarebbero da “riconoscere solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito 5 richiamo”: se si fosse seguito tale principio, si soggiunge, “sarebbe apparso subito chiaro che eliminate le ragioni di specifica compressione dell’autonomia legate al controllo preventivo sugli atti delle Regioni e degli enti locali, quest’ultima non poteva che riespandersi recuperando per intero la propria ampiezza e dunque rispondendo della legittimità dei propri provvedimenti nella sede più naturale, quella della giurisdizione”3. Le stesse forme di controllo esterno sui risultati delle politiche pubbliche intestate alla Corte dei conti dalla l.n. 20 del 1994 dovrebbero restarne travolte, vista anche la difficoltà di concepire, in un sistema nel quale il pluralismo paritario sancito dall’art. 114 Cost. si ispira al principio di differenziazione dell’art. 118 Cost., un unico soggetto in grado di garantire il buon andamento dei pubblici uffici; in questa prospettiva residuerebbero soltanto, alla luce dell’art. 119, i controlli della Corte dei conti finalizzati a garantire l’equilibrio della finanza pubblica4. Altri studiosi hanno invece fatto notare come il nuovo Titolo V non abbia fatto venir meno l’univoco indirizzo della giurisprudenza costituzionale che ammetteva forme di controllo sugli enti locali e sulle amministrazioni regionali ulteriori rispetto a quelle testualmente previste dalla Costituzione, purché “sia rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi 3 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà e sistema delle amministrazioni pubbliche, in Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale. Atti dell’VIII Convegno Nazionale di Studi regionali, Consiglio Regionale della Liguria, 25-26 gennaio 2002, Maggioli, 2002, 95. 4 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96. 6 costituzionalmente tutelati” (sent. n. 29 del 1995, che richiama, fra le altre, sentt.nn. 219 del 1984, 452 del 1989)5. La seconda ipotesi pare maggiormente persuasiva. Non si tratta di scegliere fra una lettura della legislazione e degli indirizzi giurisprudenziali anteriori alla luce del nuovo Titolo V o viceversa6, risultando ben chiaro che i termini del procedimento interpretativo non vanno invertiti. Ciò che piuttosto è in discussione è il significato stesso del potenziamento delle autonomie territoriali operato dal nuovo Titolo V. Il problema della compatibilità della disciplina delle forme di controllo anteriormente previste con le disposizioni della l.cost. n. 3 del 2001 può esaurirsi nella trattazione del profilo formale con riguardo alla disposta abrogazione dell’art.130 Cost., ma richiede una rilettura di ordine sistematico ove si discuta di tipologie di controllo non espressamente previste nemmeno dal vecchio testo, e tuttavia ad esso riconducibili in via interpretativa. Si tratterà di accertare, in particolare, in cosa consista l’autonomia riconosciuta agli enti locali dal nuovo Titolo V rispetto a controlli esterni che traggano fondamento da princìpi costituzionali il cui vigore è rimasto immutato, a partire da quelli affermati negli artt. 97 ed 81, non meno che dalle nuove regole sulla finanza degli enti autonomi fissate dall’art. 119. 5 A. CORPACI, Revisione del titolo V della parte II della Costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, 2001, e R. BIN, La funzione amministrativa, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Bologna, 14.1.2002, Milano, 2002, 125. 6 Come ritiene M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96. 7 L’ammissibilità dei soli controlli interni, oltre a quelli sulla finanza, presuppone una visione ‘insulare’ dell’autonomia, che non pare corrispondere alla nuova configurazione costituzionale degli enti locali. La quale ha sì accentuato, per taluni aspetti, gli elementi di garanzia, ma senza per ciò perdere di vista il momento relazionale, come dimostra la stessa enunciazione dell’art. 114 là dove annovera Comuni, Province e Città metropolitane fra gli enti di cui la Repubblica è costituita, e che anche per questo verso costituisce una “positiva eco” dell’art. 5 Cost. (sent.n. 106 del 2002). Quanto al principio di differenziazione, sono anch’io persuaso che esso non abbia finora avuto, né in dottrina né tantomeno nella giurisprudenza costituzionale, tutta l’attenzione che avrebbe meritato quale cardine di una visione specularmente opposta al rovinoso culto per l’uniformità che ha da sempre caratterizzato disciplina e modus operandi delle autonomie locali. Ma esso va riferito all’organizzazione amministrativa, non ai risultati dell’azione, i quali possono e debbono formare oggetto di controllo alla stregua di standard uniformi, pur se opportunamente calibrati anche sulla base delle diverse realtà territoriali. Questo è un punto qualificante del riassestamento del rapporto fra i princìpi di eguaglianza e unità ed il principio di differenziazione: ad organizzazioni diverse debbono corrispondere standard uniformi sui risultati dell’azione e dei servizi pubblici, così come, per altro verso, la “determinazione” con legge di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non significa “gestione” centralizzata, ma autonoma e perciò anche differenziata, di quei livelli, salva la sostituzione in caso di loro mancata tutela (cfr. artt. 117, secondo comma lett. m) e art. 120, secondo comma). In linea di principio, l’attribuzione della funzione di controllo esterno sulla gestione degli enti locali a un organo unico come la Corte dei conti, che sempre più la normazione positiva ha caratterizzato come organo della 8 Repubblica nella pregnante accezione dell’art. 1147, facendole perdere i residui connotati di organo ausiliario del Governo centrale, non solo non contrasta ma è complementare con il potenziamento delle autonomie locali e con il principio di differenziazione. Nel prosieguo approfondiremo i succitati argomento cercando di condurre un indagine partendo innanzitutto dalla identificazione di tali enti, per poi passare alla gestione ed al controllo degli enti locali e concludendo, infine, la nostra trattazione con un capitolo dedicato agli enti pubblici sovvenzionati dallo Stato ed alle società a partecipazione statale. 7 Nello stesso senso G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti, cit., e F. STADERINI, Il controllo sulle Regioni e gli enti locali nel nuovo sistema costituzionale italiano, in Quaderni regionali, 2003, 846. 9 CAPITOLO I L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA DISCIPLINA DEGLI ENTI PUBBLICI 1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO Prima di entrare nel vivo dell’argomento oggetto del presente lavoro, ovvero la gestione ed il controllo finanziario degli enti finanziati dallo stato, si rende opportuno, per non dire necessario, una identificazione di quelli che sono gli enti pubblici. Come è noto, l’organizzazione pubblica nel suo complesso consta di una pluralità di organizzazioni, in genere dotate di propria personalità giuridica, e come tali idonee ad essere titolari di poteri amministrativi. Per Amministrazioni pubbliche (in senso soggettivo) possono intendersi gli apparati che svolgono le attività che costituiscono l’Amministrazione pubblica in senso oggettivo, cioè le attività svolte nell’interesse dei cittadini, in attuazione dell’indirizzo degli apparati politici 10 e nel rispetto di specifici principi costituzionali e di una articolata disciplina che ne costituisce svolgimento8. Una elencazione abbastanza esaustiva delle pubbliche Amministrazioni nel nostro ordinamento è quella contenuta nell’art. 1, comma 2, del D. Lgs.vo 30 marzo 2001 n. 165, recante “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, laddove, nel dichiarato fine di disciplinare “l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, si precisa che “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”. Come si vede, si tratta di una elencazione di una serie di figure soggettive previste dal sistema, nell’ambito della quale si fa un generico riferimento, tra l’altro, a “tutti gli enti pubblici non economici”, la cui individuazione dovrebbe essere effettuata dall’ordinamento positivo. Il problema dell’individuazione dell’ente pubblico da parte dell’interprete non dovrebbe quindi sorgere nelle ipotesi in cui sia il diritto positivo ad affermare espressamente la natura giuridica di un soggetto. 8Cfr. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, Bologna, 2000, p. 225. 11 Tuttavia, neppure la qualificazione operata dalla legge risulta sempre decisiva, tanto è vero che Corte Cost., 28 dicembre 1993 n. 4669, ha dichiarato la spettanza alla Corte dei Conti del potere di controllo sulla gestione finanziaria delle società per azioni costituite a seguito di trasformazione di enti pubblici economici (Iri, Ina, Eni, Enel), fino a quando sussista una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario. Vale a dire che la pubblicità, che è il naturale presupposto del controllo della Corte dei Conti (la quale, ex art. 100 Cost., “partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”), permane anche in presenza di una persona giuridica formalmente privata. In quel caso, la cui soluzione è risultata poi determinante per lo sviluppo successivo in tema di responsabilità erariale, il problema si poneva per l’applicazione della L. 21 marzo 1958 n. 259, relativa alla “partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, il cui art. 12 dispone che “il controllo previsto dall'art. 100 della Costituzione sulla gestione finanziaria degli enti pubblici ai quali l'Amministrazione dello Stato o un'azienda autonoma statale contribuisca con apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria, è esercitato…da un magistrato della Corte dei conti, nominato dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione”. In sostanza, la Corte Costituzionale ha dovuto risolvere la questione se gli enti, sebbene privatizzati, nella loro forma giuridica possano essere ancora oggetto di quel controllo previsto dalla citata norma del 1958 per gli 9 In Cons. Stato, 1993, II, 2116. 12 “enti pubblici”, precisando a tal fine che “le ragioni che stanno alla base del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti pubblici economici sottoposti a trasformazione non possono…considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, ove a tale mutamento formale non faccia seguito anche una modifica di carattere sostanziale nell'imputazione del patrimonio (ora trasformato in capitale azionario) tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità dello Stato”10. Per quanto riguarda poi il dato letterale, la Corte rileva che “se é vero che l'art. 12 della legge n. 259 riferisce il controllo in questione agli "enti pubblici", é anche vero che la disposizione espressa con tale articolo non può non richiedere un'interpretazione adeguata al dettato costituzionale, anche in relazione alla funzione propria di questo tipo di controllo ed alla evoluzione subita, rispetto al tempo dell'enunciazione della norma, dalla 10Per una ricostruzione del problema in esame, vedi C. JAMBRENGHI, Azione ordinaria di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici, in Atti del LI convegno di studi di Scienza dell’Amministrazione (Varenna, settembre 2005) su Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile ad un decennio dalle riforme, Milano, 2006. A proposito dei danni arrecati al patrimonio di enti pubblici vedi anche S. BUSCEMA, Funzioni di controllo e di giurisdizione. La giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa e contabile, in Atti del convegno internazionale di studi su “La Corte dei Conti nei paesi del Mediterraneo. Funzioni giurisdizionali in materia di contabilità pubblica” (Agrigento, 16 e 17 aprile 2004), Verona, 2005, 24: “le norme civilistiche sulla responsabilità (artt. da 2392 a 2395) trovano applicazione anche nei confronti di amministratori e di dirigenti che gestiscono le azioni di società formalmente privatistiche. Il mancato esercizio dell’azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario fa scattare il meccanismo della responsabilità per danno derivante al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico, dinanzi alla Corte dei Conti in sede giurisdizionale. Occorre constatare che tale meccanismo è stato furbescamente raggirato – con l’avallo della classe politica – con la creazione di s.p.a. con la partecipazione dominante di società a loro volta create dallo Stato o da altri enti comunitari”. Vedi anche M. OREFICE, Percorsi del controllo (dal controllo di legittimità sugli atti alle diverse e più recenti forme di controllo sulla gestione), Roma, 2003, 156 e passim. 13 stessa nozione di ente pubblico”. Inoltre, “l'art.100, secondo comma, della Costituzione, pur rinviando alla legge ordinaria la determinazione dei casi e delle forme del controllo, riferisce il controllo stesso agli "enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria", senza porre distinzione alcuna tra enti pubblici ed enti privati”. Ed è la stessa Corte a ricordare come “la stessa dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato si sia andata, di recente, tanto in sede normativa che giurisprudenziale, sempre più stemperando: e questo in relazione, da un lato, all'impiego crescente dello strumento della società per azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico (…); dall'altro, agli indirizzi emersi in sede di normazione comunitaria, favorevoli all'adozione di una nozione sostanziale di impresa pubblica (art.2 direttiva CEE n. 80/723, in tema di trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche; art. 1 direttiva CEE n. 90/531, in tema di procedure di appalto degli enti erogatori di servizi)”. E oltre al fatto che “le società per azioni derivate dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici conservano connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica, quali quelle, ad esempio, che si collegano alla assunzione della veste di concessionarie necessarie di tutte le attività in precedenza attribuite o riservate agli enti originari o che mantengono alle nuove società le attribuzioni in materia di dichiarazione di pubblica utilità e di necessità ed urgenza già spettanti agli stessi enti (…)”, un elemento nel senso sostenuto dalla Corte è dato infine dalla “natura di "diritto speciale" che va riconosciuta a dette società e che viene a emergere dal complesso della disciplina adottata al fine di regolare il processo di "privatizzazione": natura che risulta connotata…sia dalla costituzione che dalla struttura e dalla gestione delle nuove società e che viene a specificarsi attraverso la previsione di norme particolari – differenziate da quelle proprie del regime tipico delle società per azioni – sia in tema di determinazione del capitale sociale (…), sia in tema di esercizio dei diritti dell'azionista (spettanti al 14 Ministro del tesoro, ma previa intesa con altri Ministri…), sia infine, in tema di patti sociali, poteri speciali, clausole di gradimento, modifiche statutarie, quorum deliberativi nelle assemblee, limiti al possesso di quote azionarie da parte dei terzi acquirenti (…)”; senza considerare “il vincolo esterno connesso al fatto che i ricavi derivanti dalla cessione dei cespiti da dismettere vanno destinati alla riduzione del debito pubblico (…)”11. Ma come non lo è quando un ente viene espressamente definito privato, la qualificazione operata dalla legge non risulta decisiva neppure nei casi in cui di un ente viene sancita la pubblicità12. 11 F. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, IV ed., I, Milano, 2005, 705, ribadisce che “la disciplina dettata per tali enti si caratterizza per la previsione di regole di funzionamento che, se da un lato costituiscono una consistente alterazione del modello societario tipico, comportando una compressione della autonomia funzionale degli organismi societari, dall’altro, rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicistica dell’ente societario”. A. VIRGILIO, Il regime dei beni, in Atti del convegno di studi su “Le società pubbliche”, (Firenze, 20 maggio 2005), in Giust. amm., 21 ss. – rileva come nelle privatizzazioni, sia solo formali che sostanziali, così come nelle privatizzazioni nel settore dei pubblici servizi (pagg. 60 s.s.), “anche sotto il profilo del regime dei beni la situazione, dal punto di vista sostanziale, rimane tutto sommato immutata. Invero, i beni destinati al pubblico servizio e già qualificati come demaniali o patrimoniali indisponibili, continuano per lo più, e non di rado per legge, a restare assoggettati alla medesima destinazione pubblica malgrado sia mutata la veste giuridica del proprietario che, a seconda dei casi, passa da un soggetto pubblico (Stato o altro ente pubblico territoriale o non) ad un soggetto, almeno nella forma, privato. Peraltro, come già accennato, sulle società pubbliche erogatrici di servizi succedute agli enti di gestione (o scorporate dai vari Ministeri) e sul regime dei beni strumentali da esse possedute o ad esse attribuite in seguito alla privatizzazione (anche se solo formale) incide profondamente il diritto comunitario e, in particolare, due principi”, di cui “il primo è la liberalizzazione dei pubblici servizi e la conseguente libertà di concorrenza e di stabilimento, ed il secondo è il divieto di aiuti di Stato”. Per Corso, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 156, “quelle che comunemente vengono chiamate società a partecipazione pubblica non sono una terza specie di enti pubblici: sono invece società per azioni nelle quali azionista, unico, di maggioranza o di minoranza, è l’ente pubblico. Si tratta, cioè, di una species del genus società per azioni (di diritto privato)”. 15 Il carattere sostanziale della distinzione tra enti pubblici ed enti privati, con la possibilità quindi del contrasto con tale carattere della qualificazione che eventualmente la norma dia dell’ente in modo esplicito, emerge infatti anche da Corte Cost., 7 aprile 1988 n. 39613, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della L. 17 luglio 1890 n. 6972 ("Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza" – IPAB), nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano i requisiti di un'istituzione privata. Emerge quindi che ente pubblico è quello che, al di là della definizione normativa, possa comunque essere ritenuto tale14, nel senso che le definizioni legislative non vincolano l’interprete, il quale dovrà determinare la natura dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione, 12 V. OTTAVIANO, Ente pubblico, in Enc dir., XIV, 1965, precisa che “poiché la pubblicità è relativa ad una certa regolamentazione, la dichiarazione della natura pubblica di un ente che sia in contrasto con la disciplina in effetti disposta, da sola non sarebbe sufficiente a farlo qualificare pubblico. Normalmente, però, con il dichiarare che un ente è pubblico il legislatore intende indicare la regolamentazione pubblica che vuole applicare all'ente, sicché tale dichiarazione vale come espressione riassuntiva di siffatta normativa”. 13 In Foro Amm., 1988, 3141. 14 Cfr. E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, 2006, p. 71. 16 per cui la stessa qualificazione esplicita è irrilevante se in contrasto con l’effettiva natura15. Ma l’ordinamento non sempre afferma esplicitamente la natura pubblica di un soggetto, facendo sorgere così il problema di stabilire, a fronte di determinate figure soggettive, se esse siano ascrivibili al genere degli enti pubblici ovvero delle persone giuridiche private; oppure, in altri casi, di stabilire, a fronte di determinate figure soggettive, certamente di 15 Cfr. G. VIRGA, Diritto Amministrativo, I principi, Milano, 1989, p. 14; V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in V. CERULLI IRELLI – MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, 1994, p. 89 – ribadisce che “non basta una mera disposizione del legislatore per dire che un ente è pubblico. Ovvero, la disposizione del legislatore che attribuisce o che nega la pubblicità di un ente può essere ritenuta a sua volta illegittima, sotto il profilo costituzionale ovvero comunitario”. Per Cass., sez. Un., ord. 22 dicembre 2003 n. 19667, in Foro amm. – CdS, 2004, 685, “sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa,…anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile), essendo irrilevante il fatto che detti enti – soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura – perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato” (nella specie, il giudizio di responsabilità per danno erariale era stato promosso nei confronti del presidente e degli altri componenti del consiglio di amministrazione nonché di dipendenti di un consorzio comprensoriale per la gestione di opere acquedottistiche – istituito tra vari comuni ai sensi dell'art. 25 L. n. 142/90 – per fatti attinenti allo svolgimento di un'operazione finanziaria dell'ente, e dunque all'attività imprenditoriale dello stesso). Cass. sez. Un., 26 febbraio 2004 n. 3899, in Foro amm. – CdS, 2004, 375, va ancora oltre, affermando che “l'affidamento, da parte di un Comune (nella specie: quello di Milano) ad un ente privato esterno (nella specie, una società per azioni, avente un capitale detenuto in misura assolutamente maggioritaria dallo stesso Comune), della gestione del servizio relativo agli impianti e all'esercizio dei mercati annonari all'ingrosso, integra una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto privato controllato nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica, conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando, in contrario, nè la natura privatistica dell'ente stesso, nè la natura privatistica dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto in questione”. Per Cass., Sez. Un., 2 luglio 2004 n. 12192, in Foro it., 2006, 1518, “spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in ordine all’accertamento della responsabilità degli agenti contabili (nella specie, una società per azioni e una società a responsabilità limitata) in relazione ai danni da essi prodotti ad un ente locale (il Comune di Roma) per la gestione della sosta a pagamento sul suolo comunale e dei parcheggi a pagamento”. 17 carattere pubblico, se esse siano ascrivibili al genere degli enti pubblici non economici (perché per quelli economici la disciplina applicabile è diversa, ed è riconducibile quasi interamente all’area del diritto privato). In questi casi si pone cioè il problema di individuare il carattere, pubblico o privato, economico o non economico, di una singola figura soggettiva. Ora, “l’identificazione in concreto dell'ente pubblico (la predicabilità in concreto di un determinato ente come pubblico), laddove incerta, deve essere fatta analizzando la disciplina giuridica propria di esso (gli elementi di disciplina certi); ricavando da questi elementi, in base a parametri normativi predeterminati, l'essere pubblico dell'ente; ciò da cui a sua volta deriva l'applicabilità all'ente stesso di altri elementi di disciplina, che viceversa sono incerti e che sono quelli propri degli enti pubblici in quanto tali. …Ma se si scende al concreto e si vede come avviene questa identificazione, cioè si scende all'applicazione in concreto di questo procedimento interpretativo, ci si scontra con una difficoltà assai grave: che non risultano positivamente stabiliti questi "parametri normativi predeterminati" in base ai quali interpretare gli elementi di disciplina certi propri di un ente come quelli tali da designarne la pubblicità. Con altre parole, si può dire che non esistono parametri predeterminati”16. 16 Così V. CERULLI IRELLIi, Ente pubblico, cit., p. 87, il quale (pag. 85, nota 2) rileva anche che “la nozione di “ente pubblico” come nozione unitaria (come quella che designa una serie di fattispecie accomunate da una disciplina generale) è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, pur supportata da una produzione dottrinale assai nota”. 18 Rinviando ad un paragrafo successivo l’esame dei criteri che è possibile utilizzare per rilevare la pubblicità di un ente, è intanto necessario precisare che la qualificazione di un ente come pubblico è importante perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo, anche se poi la presenza di qualcuna di tali conseguenze è spesso considerata come indice rivelatore della pubblicità, per cui vi è una certa sovrapposizione tra presupposti e conseguenze. Alle Amministrazioni pubbliche, infatti, si applica in via generale una disciplina del tutto propria, che non trova invece applicazione alle figure riconducibili al diritto privato, nel senso che “esistono norme, o complessi normativi, alcuni di rilevante spessore, la cui applicazione agli "enti pubblici" è espressamente prevista da norme dell’ordinamento positivo ovvero da principi giurisprudenziali ormai consolidati”17. In primo luogo, la qualificazione di un apparato organizzativo come Amministrazione pubblica comporta, in generale, che è destinatario dell’insieme di norme che possono considerarsi svolgimento di quegli specifici principi costituzionali che fondano il diritto amministrativo, e che hanno come riferimento il fatto che il compito di ogni Amministrazione pubblica è la realizzazione di pubblici interessi18. In dottrina si è effettuata una classificazione in categorie, avente carattere descrittivo, degli istituti 17 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., P. 85. 18 Cfr. D. SORACE, op.cit., p. 226, il quale cita l’art. 11 del cod.civ., ai sensi del quale “gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”. 19 positivi, a cui si farà di seguito riferimento citandone alcuni, che formano la disciplina generale degli enti pubblici19. 1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE PUBBLICO E LA POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI Così, la prima categoria comprende i c.d. “istituti di deminutio della capacità”, che comportano l’incapacità in capo all’ente a porre in essere determinati atti, ovvero obblighi di compiere determinati atti od operazioni, in deroga al diritto comune20. Tra questi istituti uno dei più importanti (tanto da essere considerato il carattere più qualificante del regime degli enti pubblici) è la perdita della capacità di disporre di sé stessa da parte della preesistente organizzazione, cioè l’indisponibilità della propria esistenza. Tale carattere necessario dell'ente pubblico comporta innanzitutto l’impossibilità per l’ente di autoscioglimento, o di decisione autonoma di privatizzazione, come l’impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione. Indisponibilità della 19 Per tale classificazione vedi V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., p. 90 ss. 20 Vedi ad es. gli artt. 203, 204 e 207, D. Lgs. 207/2000, relativi rispettivamente alle regole da rispettare, da parte degli enti locali, per il ricorso all’indebitamento, per assumere direttamente mutui, per rilasciare fideiussioni a favore “di aziende da essi dipendenti, da consorzi cui partecipano nonché dalle comunità montane di cui fanno parte”. 20 propria esistenza che è soltanto una conseguenza della doverosità del perseguimento dell’interesse pubblico, perché l’ente pubblico è istituito con quella che viene definita una precisa “vocazione” allo svolgimento di una specifica attività di rilevanza collettiva21. Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto di determinate norme per quanto riguarda redazione del bilancio, utilizzo dei mezzi finanziari, assunzione di personale. La loro attività deve conformarsi alle norme del D. Lgs.vo n. 165/2001, recante “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, per quanto riguarda l’organizzazione degli uffici e i rapporti di impiego. Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio con un ente pubblico sono soggette ad un particolare regime di responsabilità penale, civile ed amministrativa, e sono tenute al rispetto del segreto d’ufficio22. Per esse sono spesso poste specifiche incompatibilità, la cui previsione è tipica dell’esistenza di funzioni pubbliche delicate, che il legislatore vuole salvaguardare, nel loro svolgimento, da interferenze e attività che potrebbero farle deviare dal rispetto delle norme e dei principi costituzionali che governano ogni attività amministrativa. Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alle pubbliche Amministrazioni, e alcuni loro beni sono soggetti ad un regime speciale. Anche l’attività posta in essere utilizzando gli strumenti del diritto privato è disciplinata da regole speciali, finalizzate ad assicurare che la 21 Cfr. E. CASETTA, op.cit., p. 71, il quale rileva anche che “l’interesse è pubblico non già perché ontologicamente si possa qualificare come tale, ma in quanto la legge, accertato che esso ha una dimensione collettiva, l’abbia imputato ad una persona giuridica, tenuta giuridicamente a perseguirlo: di qui il riconoscimento della <<pubblicità>> di quella persona giuridica”. 21 scelta del contraente avvenga nel rispetto dei principi di imparzialità e di economicità. Nella seconda categoria rientrano i c.d. “istituti di privilegio”, che sottraggono l’ente all’applicazione di determinate norme di diritto comune, in genere poste a tutela dei terzi, e finalizzate a consentire all’ente determinate facoltà derogatorie rispetto alla normativa comune23. Vi rientra perciò la sottrazione al regime fallimentare, stabilita per gli enti pubblici che esercitano attività di impresa (art. 2221 c.c.; art. 1 R.D. 16 marzo 1942 n. 267 – L. fallim.). 22 Infatti, Cass. pen, sez. V, 14 aprile 1980, in Cass. pen., 1981, 1541, dopo aver precisato che “Il momento di individuazione della natura pubblica di un ente non va ricercato negli scopi da esso perseguiti (dal momento che mentre alcuni enti privati perseguono finalità cui tende lo Stato stesso, come quelle relative all'istruzione e al credito, quest'ultimo, a sua volta, interviene frequentemente in concorrenza con i privati in attività di natura privatistica, come nel campo dell'economia e della produzione), ma nel regime giuridico dello stesso nonché nella sua collocazione istituzionale in seno all'organizzazione statale, come organo ausiliario necessario al raggiungimento di finalità di interesse generale e, in quanto tale, dotato di poteri e prerogative analoghi a quelli dello Stato e assoggettato ad un intenso sistema di controlli pubblici”, conclude che “I caratteri sopra indicati si riscontrano negli automobil clubs provinciali, ai quali pertanto deve riconoscersi la natura di enti pubblici”, con la conseguenza che “i funzionari di tali enti sono pubblici ufficiali e pubblici gli atti da essi posti in essere nell'esercizio delle loro funzioni”. 23 Per una panoramica dei privilegi e delle limitazioni degli enti pubblici nel diritto positivo, vedi G. ROSSI, Ente pubblico, in Enc. Giur. Treccani, Milano, XII, 1989, 12 s.s., il quale rileva (pag. 14) che sussistono “aspetti non marginali che danno corpo ad uno status pubblicistico connesso alla qualificazione pubblica degli enti, rendendo tutt’altro che evanescente la nozione di enti pubblici e che inducono quindi a ribadire la permanente necessità di una riflessione sulle ragioni della natura pubblica degli enti”. 22 Ai beni dell’ente, in quanto destinati ad una funzione o servizio pubblico o alla stessa sua sede, non trovano applicazione tutti quegli istituti di diritto comune che ne comportino la sottrazione alla destinazione stessa, e in particolare l’esecuzione forzata da parte dei creditori24. Tale conclusione viene tratta, innanzitutto, dall’art. 4 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, ai sensi del quale “quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'Autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio”, e “l'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti Autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”. Tale disposizione va poi integrata dal successivo art. 5, secondo cui “in questo, come in ogni altro caso, le Autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi” (la c.d. disapplicazione)25. La norma è stata sempre intesa in modo estensivo dalla giurisprudenza, come impediente, più in generale, il sindacato e l’ingerenza del giudice ordinario sull’esercizio della discrezionalità amministrativa26. 24 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2000 n. 14847, in Giust. civ. Mass., 2000, 2341: “Sia le somme di denaro che i crediti dello Stato sono pignorabili, ad eccezione di quelle somme di denaro che abbiano già ricevuto, per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, una precisa e concreta destinazione ad un pubblico servizio, ossia all'esercizio di una determinata attività rivolta, direttamente o strumentalmente, all'attuazione di una funzione istituzionale della p.a., con l'erogazione della spesa per le strutture necessarie all'esercizio di quell'attività. Solo in tal caso, infatti, le somme di denaro ed i crediti dell'Amministrazione diventano indisponibili e non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828 c.c.), e, quindi, sono impignorabili per il soddisfacimento dei crediti di terzi verso l' Amministrazione”. 23 Inoltre, l’art. 828 cod. civ., relativo alla “condizione giuridica dei beni patrimoniali”, al comma 2 dispone che “i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”, e il successivo art. 830, relativo ai “beni degli enti pubblici non territoriali”, al comma 2 dispone che “ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 828”. La possibilità di ottenere coattivamente quanto dovuto, in caso di inadempimento di una pubblica Amministrazione, anche laddove possibile incontra comunque delle limitazioni. Infatti, l’art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito in L. 28 febbraio 1997 n. 30, relativo alla “esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni”, dispone, al comma 1, che “le amministrazioni 25 Per un esame dei rapporti tra i due articoli, e dei poteri del giudice ordinario nei confronti delle pubbliche Amministrazioni, sia consentito rinviare a G. TREBASTONI, La disapplicazione nel processo amministrativo, in Foro amm., 2000, p. 689 ss., nonché a G. TREBASTONI, La tutela giurisdizionale dei dipendenti di pubbliche Amministrazioni, Torino, 2006, 105 ss. 26 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. un., 19 agosto 2002 n. 12244, in Giust. civ., 2003, I, 1582, secondo cui “l'esperibilità di un'azione possessoria nei confronti della p.a. è condizionata al presupposto che quest'ultima abbia agito "iure privatorum", ovvero abbia posto in essere un'attività "sine titulo", mentre, ogni qualvolta il comportamento dell'amministrazione si risolva nell'attuazione di una pubblica potestà ovvero di un atto amministrativo (sia pur viziato), la tutela possessoria è inammissibile perché, essendo funzionale al ripristino della situazione modificata o turbata dall'attività denunziata, si attuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, nell'elidere gli effetti dell'azione amministrativa, violerebbe il divieto imposto al giudice ordinario dall'art. 4 L. n. 2248 del 1865 24 dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”27. Di rilievo è anche l’art. 159 (“norme sulle esecuzioni nei confronti degli enti locali”), del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che: 1) “Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa”. 2) “Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi 27 Corte Cost., 30 dicembre 1998 n. 463, in Giust. civ., 1999, I, 1277, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità di tale disposizione, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 81 Cost. Il divieto di notificare l’atto di precetto – introdotto dal comma 3 dell'art. 44 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2003 n. 326 – trova la sua ratio nella circostanza di fatto che, nella prassi, i creditori, anche prima della scadenza dei 120 giorni, procedevano a notificare anche atto di precetto, con conseguente aggravio di spese per le Amministrazioni. C’è da rilevare che se il creditore, contestualmente al titolo esecutivo, notificava all’Amministrazione anche l’atto di precetto, si trovava nell’impossibilità di avviare concretamente l’esecuzione forzata. Infatti, l’art. 481 c.p.c. dispone che “il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione”. E come precisato, l’esecuzione non può appunto più iniziare prima che siano trascorsi centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo. Quindi il creditore deve opportunamente notificare previamente quest’ultimo, per notificare solo in un secondo momento l’atto di precetto; e se questo viene notificato una volta già decorsi i centoventi giorni, deve anche assegnare l’ulteriore termine di almeno dieci giorni per adempiere, come previsto dall’art. 482 c.p.c. 25 successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali indispensabili”. 3) “Per l'operatività dei limiti all'esecuzione forzata di cui al comma 2 occorre che l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità”. 4) “Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all'attività del tesoriere”28. L’art. 27, comma 13, L. 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria 2002), dispone che “non sono soggette ad esecuzione forzata le somme di competenza degli enti locali a titolo di addizionale comunale e provinciale 28 Ma Corte Cost., 18 giugno 2003 n. 211, in Foro amm. – CdS, 2003, 1823, ha dichiarato l'illegittimità del citato art. 159, commi 2, 3 e 4, nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell'organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell'ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso. Sulla scia di tale pronuncia, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 4 novembre 2005 n. 2003, in Giust. amm., ha affermato che “poiché il comma 5 del medesimo art. 159 dispone che i provvedimenti adottati dai commissari ad acta nominati in sede di giudizio di ottemperanza devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria “e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”, è evidente che il venir meno del vincolo alla disponibilità di quelle somme deciso dalla Corte Costituzionale – nel caso in cui l’Ente abbia emesso mandati di pagamento “a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso” – non può non valere anche per i commissari ad acta, i quali devono quindi preliminarmente verificare se l’Ente abbia rispettato le rigorose procedure previste dalla legge, prima di seguire qualsiasi altra alternativa. Nel caso invece in cui tali procedure non siano state rispettate, e non siano disponibili altre somme, ne consegue che potranno essere utilizzate, al fine dell’esecuzione del giudicato, anche quelle destinate al pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso, ed all’espletamento dei servizi locali indispensabili”. Corte Cost, 27 marzo 2003 n. 83, in Foro amm. – CdS, 2003, 850, ha comunque dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del citato art. 159, nella parte in cui non ammette procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai loro tesorieri, “in quanto deve escludersi che la disposizione censurata, che si limita a fissare una semplice modalità dell'azione esecutiva, evidentemente funzionale all'esigenza di imprimere una specifica destinazione alle risorse finanziarie dell'ente locale a tutela dell'interesse pubblico, sia di per sé lesiva del diritto di agire in giudizio e del principio di eguaglianza”. 26 all'IRPEF disponibili sulle contabilità speciali di girofondi intestate al Ministero dell'interno. Gli atti di sequestro e pignoramento eventualmente effettuati su tali somme non hanno effetto e non comportano vincoli sulla disponibilità delle somme”. Ancora, l’art. 1 del D.L. 25 maggio 1994 n. 313, conv. in L. 22 luglio 1994 n. 460, di “disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza”, dispone (comma 1) che “i fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza, nonché le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli enti militari, destinati a servizi e finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica, nonché al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrato, non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile (provvedimenti in materia di separazione dei coniugi), nonché dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180”. Inoltre (comma 3), “non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello Stato a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime nè sospendono l'accreditamento di somme nelle contabilità speciali intestate alle prefetture 27 ed alle direzioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari delegati degli enti militari”29. Una importante deroga alla normativa comune si ha, per gli enti pubblici, anche in materia di cessione di crediti. Secondo la disciplina dettata dall’art. 1260 del codice civile, infatti, “il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione”. Già l’art. 70, comma 3, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 (“disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”), disponeva invece che “per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti”, dovessero “essere osservate le disposizioni dell'art. 9, allegato E , della legge 20 marzo 1865, n. 2248 e degli articoli 351 e 355, allegato F , della legge medesima”. Tale art. 9 disponeva che “sul prezzo dei contratti in corso non potrà aver effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione se non vi aderisca l'amministrazione interessata”. 29 Corte Cost., 9 ottobre 1998 n. 350, in Cons. St., 1998, II, 1429, ha dichiarato infondata, con riferimento agli art. 3, 24, 25, 28, e 113 Cost., la questione di legittimità costituzionale del citato art. 1, comma 3, “in quanto la disciplina stabilita per i pignoramenti sulle contabilità speciali non configura una procedura tale da determinare l'impignorabilità dei fondi assegnati alle prefetture, ma tende invece ad adeguare la procedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondi stessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a servizi qualificati dalla legge come essenziali. Pertanto risulta giustificata la normativa secondo la quale il pignoramento deve essere notificato al funzionario direttamente responsabile della gestione contabile dei fondi e in grado di conoscere l'ammontare, la disponibilità, i vincoli di destinazione e le cause d'impignorabilità”. 28 Da ultimo, il D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”), all’art. 117, relativo appunto alla “cessione dei crediti derivanti dal contratto”, al comma 1 dispone che “le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui al presente codice, ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi di progettazione. Le cessioni di crediti possono essere effettuate a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e 29 creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto 30 di crediti di impresa”30. Inoltre, “ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici” (comma 2), “le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quindici giorni dalla notifica della cessione” (comma 3), “le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione” (comma 4), ed infine “in ogni caso l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato” (comma 5). È indubbio che alle pubbliche Amministrazioni sono comunque conservate alcune posizioni di privilegio anche per quanto riguarda le obbligazioni pecuniarie che le riguardino, in generale. E questo sia se si trovino a rivestire i panni del debitore che quelli del creditore. Come debitore, infatti, si afferma ancora che “il principio espresso dall'art. 1194, c.c., secondo il quale i pagamenti parziali si imputano prima agli interessi e poi al capitale, è di dubbia applicazione nei confronti della pubblica amministrazione, attesa la particolarità del suo procedimento contabile, e, 31 comunque, si applica solo per i pagamenti spontanei e non per quelli coattivi, come quelli imposti da un giudicato”31. La giurisprudenza ha tradizionalmente richiesto, al fine di riconoscere gli interessi moratori, una previa messa in mora, o una domanda giudiziale, affermandosi che, “con riguardo ai debiti pecuniari delle p.a., per i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al 30 La citata legge 52/91, di “disciplina della cessione dei crediti di impresa”, regolamenta una serie di aspetti, tra cui la “cessione di crediti futuri e di crediti in massa” (art. 3: “1. I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno. 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. 3. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. La cessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3”), la “garanzia di solvenza” (art. 4: “1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia”), “l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi” (art. 5: “1. Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall'articolo 7, comma 1. 2. È fatta salva per il cessionario la facoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile. 3. È fatta salva l'efficacia liberatoria secondo le norme del codice civile dei pagamenti eseguiti dal debitore a terzi”), la “revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto” (art. 6: “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto alla revocatoria prevista dall'articolo 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 . Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il curatore trovi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario che abbia rinunciato alla garanzia prevista dall'articolo 4”), il “fallimento del cedente” (art. 7: “1. L'efficacia della cessione verso i terzi prevista dall'articolo 5, comma 1, non è opponibile al fallimento del cedente, se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell'anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto. 2. Il curatore del fallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa. 3. In caso di recesso il 32 principio di cui all'art. 1182, comma 3, c.c.32, che i pagamenti si effettuano presso gli uffici di tesoreria dell'amministrazione debitrice, la natura "querable" dell'obbligazione comporta che il ritardo del pagamento non determina automaticamente gli effetti della mora ex re ai sensi dell'art. 1219, commi 2 e 3, c.c., occorrendo invece la costituzione in mora mediante intimazione scritta di cui all'art. 1219 cit., affinché sorga la responsabilità da tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori e di risarcimento dell'eventuale maggior danno”33. Si ritiene inapplicabile alle pubbliche Amministrazioni l’art. 1181 c.c. (“il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente”), cosicché il creditore privato non può rifiutare un adempimento parziale di una di esse, il che può avvenire quando in bilancio non sia stanziata una somma sufficiente a pagare l’intero debito. Gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la riscossione delle entrate patrimoniali, come quelle previste dal R.D. 14 aprile 1910 n. 639 (T.U. delle disposizioni di legge relative alla procedura curatore deve restituire al cessionario il corrispettivo pagato dal cessionario al cedente per le cessioni previste nel comma 2”). 31 Cfr. Cons. St., sez. IV, 15 aprile 1997 n. 399, in Foro Amm., 1997, 1069. 32 “L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza”. 33 coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici), che consentono alle pubbliche Amministrazioni di avvalersi di strumenti privilegiati di riscossione coattiva che, anziché realizzarsi mediante procedure giurisdizionali, si fondano su atti delle Amministrazioni stesse (le c.d. ingiunzioni fiscali) 34. 33 Così Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1997 n. 2804, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 497. Ma vedi Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 1998 n. 876, in Foro Amm., 1998, 1380: “le regole del diritto privato sull'esatto adempimento delle obbligazioni si applicano ai debiti di ogni natura dell'amministrazione pubblica. Pertanto l'eventuale esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica, l'incertezza sul quantum delle somme da corrispondere o sull'identificazione dell'amministrazione debitrice non giustificano la deroga al principio della responsabilità del debitore per l'inesatto o tardivo adempimento della prestazione, né a quello che fa decorrere gli interessi dal giorno della costituzione in mora…”. Ora, per quanto riguarda il termine dell’adempimento in generale, la disciplina del procedimento contabile contenuta nel D.P.R. 20 aprile 1994 n. 367, Regolamento recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, stabilisce, all’art. 7, che i pagamenti avvengano “nel tempo stabilito dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti amministrativi generali”, con la conseguenza, affermata in dottrina, che, “in ogni caso, alla scadenza del termine per il pagamento, il credito liquido si deve quindi ritenere senz’altro esigibile”: E. CASETTA, op. cit., 644. Ma vedi ora il D. Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, di “attuazione della Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Tale decreto, nel prevedere, all’art. 1, che le disposizioni in esso contenute “si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale”, precisa, all’art. 2, lett. a), che per transazioni commerciali debbano intendersi “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”. E dopo avere stabilito, all’art. 3, che “il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, dispone, all’art. 4, commi 1 e 2, che “gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento” (cioè il termine stabilito in contratto) e anche che ciò avviene “automaticamente, senza che sia necessaria la costituzione in mora”. Sull’argomento sia consentito rinviare a G. TREBASTONI, Pagamenti delle pubbliche Amministrazioni e rispetto dei termini, in Foro amm. – CdS, 2003, 3493. 34 Altra regola peculiare è quella relativa alla possibilità, riconosciuta a favore degli enti pubblici, ma non dei privati nei loro confronti, di operare compensazioni tra propri crediti e debiti35. 34 Sull’argomento sia consentito rinviare a G. TREBASTONI, Ripetizione di aiuti comunitari e riscossione privilegiata (nota a Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2001 n. 2599), in Foro amministrativo – CdS, 2002, 1524. L’art. 2 del citato R.D. dispone che “il procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell'ordine, emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta”. Come specificato dal successivo art. 3, “entro trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione, il debitore può contro di questa produrre ricorso od opposizione avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale del luogo, in cui ha sede l'ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma del Codice di procedura civile”. Lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dal R.D. 639/1910 è comunemente ritenuto applicabile “non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della Pubblica Amministrazione”: così Cass. Sez. I, 15 giugno 2000 n. 8162, in Giust. civ. Mass., 2000, 1306. Il presupposto fondamentale richiesto è però “che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell'amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, e riconoscendosi all'amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo”: Cass. Sez. I, 15 giugno 2000 n. 8162, cit. Una caratteristica fondamentale della c.d. “ingiunzione fiscale” è che essa cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, e proprio per tale inscindibile cumulo “non può essere scissa e distinta in un titolo esecutivo e in un atto di precetto, ciascuno di essi regolato dalle norme del codice di procedura civile che lo riguardano, sicché alla stessa non può essere riferito ed applicato l'art. 481 cod. proc. civ., sulla cessazione dell'efficacia del precetto per il decorso del termine di 90 giorni dalla sua notifica senza che sia stata iniziata l'esecuzione”. 35 Strettamente legato a tale profilo, sebbene inserito in una concezione ormai normativamente superata di Amministrazione dello Stato unitariamente considerata, è l’istituto del c.d. fermo amministrativo, disciplinato dall’art. 69 della legge di contabilità 35 1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA La terza categoria di istituti positivi che formano la disciplina generale degli enti pubblici è una specificazione della precedente, cioè di quella relativa agli istituti di privilegio, perché attiene alla titolarità, in capo all’ente, di poteri amministrativi in senso tecnico (anche se, come si è già detto, l’espressa attribuzione legislativa di poteri amministrativi è considerata uno dei sintomi di pubblicità dell’ente, qualora sia incerta)36. Come in giurisprudenza si è sempre precisato, in ogni caso tutti gli enti pubblici, in quanto tali, sono titolari di un minimo di poteri amministrativi37, e in particolare della potestà statutaria38. Soltanto gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia autoritativa sul piano dell’ordinamento generale, impugnabili dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440). Secondo tale disposizione, qualora un'amministrazione dello Stato (non quindi una pubblica Amministrazione qualsiasi) – che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso soggetti che vantino crediti nei confronti di altre amministrazioni – richieda a queste ultime la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo. Dopo l’accertamento dell’esistenza del debito nei confronti del terzo, da parte dell’Amministrazione, con provvedimento definitivo potrà avvenire l’effettivo incameramento delle somme dovute dallo Stato al terzo, e la compensazione legale dei debiti con i crediti dello Stato. Come precisato in giurisprudenza, “il provvedimento di fermo amministrativo ha natura cautelare ed è assistito, per definizione, da motivi di urgenza, in quanto rivolto a sospendere, in presenza di ragioni di credito, eventuali pagamenti dovuti, la cui mancata erogazione, altrimenti, sarebbe ascritta a mora dell’amministrazione debitrice; proprio per la sua natura cautelare e intrinsecamente provvisoria, può essere adottato non solo quando il diritto di credito a cautela del quale è disposto sia già definitivamente accertato, ma anche quando il credito sia contestato, ma sia ragionevole ritenerne l’esistenza, posto che suo presupposto normativo…è la mera <<ragione di credito>> e non la provata esistenza del credito stesso”: così Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2002 n. 1909, in Foro amm. CDS, 2002, p. 965. 36 dinanzi al giudice amministrativo, e soltanto ad essi è riconosciuta la potestà di autotutela, intesa come il potere di risolvere un conflitto di interessi (vedi l’autotutela demaniale), e di sindacare la validità di propri atti, con l’emanazione di provvedimenti di secondo grado. E gli atti attraverso i quali l’ente provvede alla propria organizzazione, ed esercita la propria attività, sono considerati veri e propri atti amministrativi, in quanto tali soggetti alla disciplina generale sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso, di cui alla L. 7 agosto 1990 n. 241, ed alla giurisdizione del giudice amministrativo. Per i soggetti formalmente privati (enti pubblici privatizzati, società miste, ecc.) tale principio vale, quanto meno, per quella parte di attività con 36 Sulle società per azioni a cui “partecipano lo Stato o gli enti pubblici” in G. AULETTA – N. SALANITRO, Diritto commerciale, XIV ed., Milano, 2003, 261 ss. – nell’esaminare le particolarità di tale disciplina (potere esclusivo di nomina e revoca di amministratori, potere di esprimere il gradimento all’acquisizione di partecipazioni rilevanti ai fini del controllo della società, potere di veto all’adozione di delibere di scioglimento o fusione della società, ecc.), si rileva che “anche tali società rimangono di natura privata, ma poiché alla disciplina di diritto comune sono apportate alcune deroghe, le società con partecipazione pubblica vengono anche definite <<società di diritto speciale>>”. 37 Cfr., ex multis, Cons. St., Ad. Pl., 7 luglio 1975 n. 5. 38 V. OTTAVIANO, op. cit., rileva che “un ente che sia dotato di poteri pubblici è pubblico. Non vale però la proposizione inversa, giacché…la attività dell'ente può essere regolata come compiuta nell'esercizio di un compito pubblico anche se svolta verso i terzi nelle forme del diritto privato”. 37 la quale l’ente realizzi pubblici interessi. Ed infatti, l’art. 1 della L. 241/90, al comma 1-ter – aggiunto dall'art. 1 L. 11 febbraio 2005 n. 15 – dispone che “i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1”, ai sensi del quale “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni 38 che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell'ordinamento comunitario”39. Il successivo art. 22, poi, nel fornire la definizione di pubblica amministrazione, al fine dell’esercizio del diritto di accesso, precisa che per «pubblica amministrazione» si intende “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”. 39 Vedi T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 febbraio 2005 n. 145, in Foro amm. – T.A.R., 2005, 2, 557, per la precisazione che “la natura giuridica dell'ente resistente (nella fattispecie, società consortile a partecipazione pubblica minoritaria, avente personalità giuridica di diritto privato) non implica, di per sè, l'impossibilità di qualificare i relativi atti come provvedimenti amministrativi; pertanto, gli atti con i quali i gruppi di Azione Locale (cosiddetti Gal), incaricati di gestire sovvenzioni pubbliche da concedere ai destinatari finali del finanziamento, procedono, attraverso un procedimento di evidenza pubblica, all'individuazione delle proposte progettuali più vantaggiose, costituiscono esercizio di funzioni oggettivamente pubblicistiche, per cui sono soggetti alla giurisdizione del g.a.”. Per T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 6 agosto 2002 n. 7010, in Foro amm. – T.A.R., 2002, 2532, gli atti delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e della Rete Ferroviaria Italiana sono soggettivamente ed oggettivamente amministrativi, “perché, nonostante la veste solo formalmente privatistica, tali società sono concessionarie "ex lege" della gestione del servizio di trasporto ferroviario e quindi sostituto ed organo indiretto della p.a.”. Interessanti le considerazioni di A. ROMANO, Relazione al convegno di studi su “Le nuove regole dell’azione amministrativa” (Catania, 11 e 12 novembre 2005), Catania, 2006, 16 – il quale evidenzia che le regole cui sono assoggettate le pubbliche Amministrazioni hanno “una precisa ragion d'essere e quindi, una radice comune. Conseguono, cioè, da un principio di base: l'attività dell'amministrazione che ne è oggetto, deve considerarsi permeata intrinsecamente dalla sua funzionalizzazione a fini collettivi; solo da questo punto di vista, mi pare, si può comprendere perché la vincolino, e in che modo, sul fondamento del principio di legittimità. Quindi, la disposizione che sottopone quell'azione di tali soggetti privati, in tale loro ruolo, alle medesime regole che le amministrazioni devono osservare quando agiscano anzitutto pubblicisticamente, ha un chiaro presupposto: che anche questa azione debba considerarsi del pari così funzionalizzata. È abbastanza generalmente accettato, e da tempo, che così accada, quando tali soggetti privati operino esercitando capacità pubblicistiche: che, come è tradizionalmente risaputo, possono essere attribuite, per esempio, ai concessionari di funzioni pubbliche, sia pure entro certi limiti e con certi caratteri. Ma, ora, si deve precisare: la medesima funzionalizzazione deve essere rilevata pure in quella attività amministrativa che quei soggetti privati medesimi esercitino con la loro capacità di diritto comune. Certo, è assai problematico distinguere e delimitare questa attività così funzionalizzata di tali soggetti, dall'altra che per loro è generalmente connaturata, che funzionalizzata non è, che è da loro liberamente determinata secondo i loro personalissimi scopi e valutazioni. Ma che la prima esista pare indubbio”. 39 Anche al fine dell’applicazione della normativa in materia di appalti, i soggetti privati sono ormai equiparati ai soggetti pubblici. Ed infatti, l’art. 3 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), dopo aver premesso, al comma 3, che “i «contratti» o i «contratti pubblici» sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori”, ai commi 29 e 31 precisa che “gli «enti aggiudicatori»…comprendono le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti”, e che “gli «altri soggetti aggiudicatori»,…sono i soggetti privati tenuti all’osservanza delle disposizioni del presente codice”. In base allo stesso criterio, l’art. 244 del medesimo Codice ha disposto che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”40. 40 Per un esame delle problematiche legate all’applicazione di tale normativa, riproduttiva della norma di cui all’art. 6 L. 205/2000, vedi R. DE NICTOLIS, Affidamenti di lavori, servizi e forniture, in Caringella-Garofoli, Trattato di Giustizia Amministrativa, Il riparto di giurisdizione, Milano, 2005, vol. I, 823 ss. 40 Gli enti pubblici sono poi soggetti all’applicazione della normativa in materia di semplificazione amministrativa, di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), il cui art. 2 dispone che le norme del testo unico “disciplinano la formazione, il rilascio, la tenuta e la conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione; disciplinano altresì la produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l'utenza, e ai privati che vi consentono”. Si pone ad esempio il problema se anche alcuni enti privati possano essere ritenuti equiparabili, al fine dell’applicazione della citata normativa, “agli organi della pubblica amministrazione”, ai quali possono essere prodotti atti e documenti ai sensi del citato DPR. Infatti, anche l’art. 19 di tale DPR, relativo alle “modalità alternative all'autenticazione di copie”, prevede che “la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà di cui all'articolo 47 può riguardare anche il fatto che la copia di un atto o di un documento conservato o rilasciato da una pubblica amministrazione…sono conformi all'originale”. In base allo stesso criterio prima enunciato, è da ritenere che anche quegli enti privati che svolgano attività di pubblico interesse siano soggetti all’applicazione di quella normativa, e, almeno da quel punto di vista, debbano essere considerati “organi della pubblica amministrazione”, con la duplice conseguenza che, da una parte, tali enti sono tenuti a consentire ai privati la presentazione di dichiarazioni sostitutive e, dall’altra, che i privati stessi, ad esempio in sede di partecipazione ad una gara d’appalto, possono attestare con propria dichiarazione sostitutiva la conformità all’originale anche di copie o di documenti rilasciati da quegli enti41. 41 Infine, come quarta categoria di istituti positivi attinenti alla disciplina generale degli enti pubblici, vengono individuati i c.d. istituti di ingerenza, inerenti alla soggezione ad altri poteri amministrativi di cui altri enti sono titolari. Gli enti pubblici sono infatti soggetti a particolari rapporti o relazioni (con lo Stato, la Regione, ecc.), la cui intensità (strumentalità, dipendenza, ecc.) varia in relazione all’autonomia dell’ente. Tra questi emerge il potere, ritenuto dalla giurisprudenza di portata generale, di annullamento degli atti amministrativi, ad opera dell’ente titolare del potere di vigilanza, e il c.d. potere di annullamento straordinario. Infatti, anche dopo le modifiche al titolo V della Costituzione, resta salvo quanto previsto dall'art. 2, comma 3, lett. p) della L. 23 agosto 1988 n. 400, ai sensi del quale il Consiglio dei Ministri mantiene il potere di annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi di qualsiasi Amministrazione42, previo parere del Consiglio di Stato43. 41 Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 23 febbraio 2006 n. 265, in Foro amm. T.A.R., 2006, p. 764, che ammette la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva, al posto dell'attestazione rilasciata da una Società di Attestazione (SOA), in un caso in cui la commissione aveva escluso dalla gara la ricorrente proprio per non aver prodotto l'attestazione, nonostante né il bando né il disciplinare di gara contenessero alcun divieto espresso di sostituire la predetta attestazione con una dichiarazione sostitutiva. Cfr. anche Id., 5 ottobre 2006 n. 16178 (a proposito della presentazione della copia dell’attestazione), e Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2003 n. 6280, in Servizi pubbl. e appalti, 2004, 180. 42 Anche degli enti locali, visto che l’art. 138 del D. Lgs. N. 267/2000 (T.U. enti locali) lo fa salvo. 42 1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI Al fine di affrontare il discorso relativo al modo di individuare un ente pubblico, sembrano ancora attuali le considerazioni di Federico Cammeo, secondo cui “persona giuridica pubblica è quella che ha per scopo l’esecuzione di una pubblica funzione”, con la precisazione che “pubblica funzione, positivamente parlando dal punto di vista giuridico, è il dispiegamento di attività per soddisfare bisogni sentiti da una pluralità di persone che il diritto reputa in un determinato momento storico e in determinate contingenze debba esercitarsi dallo Stato o direttamente o indirettamente a mezzo di altra personalità” 44. È certamente curioso il fatto che già quasi un secolo addietro lo stesso Cammeo potesse rilevare che “non vi è un tipo speciale e fisso di persona giuridica pubblica”, e che “è impossibile determinare a priori quali sono funzioni pubbliche e quali no per desumere direttamente dalla natura della funzione la natura dell’ente”45. 43 Corte Cost. 21 aprile 1989 n. 229, in Rass. Avv. Stato, I, 15, ha dichiarato incostituzionale la disposizione citata, nella parte in cui prevede l'adozione da parte del Consiglio dei Ministri delle determinazioni concernenti l'annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome. 44 F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d. (ma 1910), p. 650. 45 Cfr. F. CAMMEO, op. cit., 651. 43 La difficoltà di definire l’ente pubblico deriva dal fatto che l’articolazione della sfera pubblica non consente più di definire il “pubblico” come concetto omogeneo, perché non esiste, in effetti, un solo modo di essere “pubblico”, in quanto un soggetto pubblico può essere manifestazione di un ente territoriale o di un corpo sociale diverso, e può esercitare o meno poteri autoritativi46. “Ma dappoichè dalla natura intrinseca della funzione esercitata non si può desumere se essa sia pubblica o no, e d'altro canto è dalla natura della funzione che si caratterizza l'organo, per non cadere in una petizione di principio, bisogna dedurre da un qualche dato estrinseco la natura della funzione. Questo dato è l'obbligo della persona giuridica verso lo stato o altra persona giuridica pubblica di adempiere il proprio scopo, obbligo che deve essere inerente alla stessa natura dell'ente, cioè nascere dalla sua stessa costituzione indipendentemente da un successivo e speciale vincolo giuridico e deve esser fondato sopra una norma di legge scritta o di consuetudine avente forza di legge. Ma siccome quest'obbligo non è formulato espressamente così bisogna desumerlo anch'esso da altri dati estrinseci”47. Vale a dire che occorre individuare diverse radici della natura pubblica degli enti, e soprattutto compiere analisi dei diversi tipi, anziché forzarli in un unico schema, che risulterebbe poco rappresentativo48. 46 Cfr. G. ROSSI, Introduzione al Diritto Amministrativo, Torino, 2000, 201. 47 Così F. CAMMEO, op. cit., p. 652. 44 Il problema che allora si pone, e la cui soluzione è variata storicamente, è quello di stabilire quali possono essere considerati gli elementi di disciplina, cioè gli istituti positivi, sintomatici della pubblicità di un ente. Come evidenziato in dottrina, si è passati nel tempo da una concezione sostanzialistica di tali elementi sintomatici (individuati ad esempio nella circostanza che alla persona giuridica fossero attribuiti dalla legge poteri amministrativi in senso tecnico, o comunque compiti specifici di cura di interessi pubblici), ad una concezione che, senza abbandonare la prima, si presenta più formale e organizzatoria di tali indici esteriori (individuati nella disciplina organizzativa concernente la persona giuridica, e quindi, ad esempio, nel potere di nomina o revoca degli amministratori, nel potere di controllo sul funzionamento degli organi o sulla legittimità di certi atti, la previsione di finanziamenti stabili, ecc.)49. Avendo però presente, come peraltro da più parti è stato sottolineato, che di tali indici esteriori, utilizzati in dottrina e giurisprudenza per riconoscere un ente pubblico, nessuno può essere ritenuto, da solo, sufficiente, mentre invece essi vengono ritenuti idonei ove considerati nel loro complesso, cioè combinati tra loro50. 48Cfr. M.S. GIANNINI, Il problema dell’assetto e della tipizzazione degli enti pubblici nell’attuale momento, in Riordinamento degli enti pubblici e funzioni delle loro Avvocature, Napoli, 1974, p. 43. 49 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Corso di Diritto Amministrativo, Torino, 2001, p. 116. 50 Per V. OTTAVIANO, op. cit., tali indici “rivelano la natura pubblica dell'ente solo se ne dimostrano il dovere istituzionale di agire per la cura di un interesse collettivo”. Cfr., nell’ottica 45 Ed infatti, in giurisprudenza si trova precisato che la natura pubblica di una persona giuridica dipende dall’inquadramento istituzionale della stessa nell’apparato organizzativo della p.A., cioè dal rapporto in cui tale soggetto di diritto, in conseguenza dell’attività espletata, viene a trovarsi rispetto allo Stato o all’ente territoriale di riferimento; pertanto, la qualificazione di un ente come pubblico o privato, allorché la sua natura non sia dichiarata espressamente, costituisce il risultato di una ricerca ermeneutica che ha per oggetto le norme legislative, regolamentari e statutarie51. esposta nel testo, quanto precisato da Cons. St., sez. VI, 25 maggio 1979 n. 384, in Riv. amm. R. It., 1979, p. 643: “Il perseguimento di finalità e di interessi pubblici, da un lato, e la sottoposizione ai poteri di direttiva e di controllo da parte di Enti pubblici, dall'altro, non costituiscono, di per sé, elementi a cui sia necessariamente collegabile la pubblicità del soggetto, com'è dimostrato da una vastissima serie di Istituti (taluni dei quali come i Partiti ed i Sindacati, esercitano addirittura funzioni di rilevanza costituzionale), di cui è concordemente ammessa la natura privata”; per cui “al fine di affermare la natura pubblica di un Ente non è sufficiente il collegamento dell'Ente stesso con un Ente pubblico esponenziale del sistema organizzatorio di cui esso fa parte, ma è richiesta un'indagine specifica, intesa ad accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali che costituiscono gli indici necessari della pubblicità”. In termini analoghi Cass. civ., sez. lav., 2 dicembre 1977 n. 5245, in Riv. amm. R. It., 1978, 618: “I caratteri distintivi dell'ente pubblico non stanno nelle finalità da esso perseguite, dal momento che alcuni enti, sicuramente privati, perseguono finalità a cui tende lo Stato stesso mentre quest'ultimo svolge anche attività privatistiche, ma sono dati in modo preminente dalla titolarità di pubblici poteri, di autoorganizzazione, di certificazione e di autotutela, dalla operatività necessaria, ossia dall'impossibilità che i suoi compiti vengano espletati da altri soggetti che non siano altri enti pubblici ad essi preposti, e dall'impossibilità che l'ente stesso fallisca o si estingua per propria volontà, nonché dal controllo e dall'ingerenza dello Stato o di altri enti pubblici sulla formazione della sua volontà”. Il concetto è ribadito da Cass. civ., sez. un., 19 luglio 1982 n. 4212, in Giust. civ. Mass., 1982: “la natura pubblicistica o privatistica dell'attività di un ente pubblico deve essere desunta, più che dalla correlazione o meno con le finalità istituzionali dell'ente, dal tipo di organizzazione con cui essa viene esplicata, dovendosi qualificare attività pubblicistica quella che si svolga utilizzando un'organizzazione improntata a criteri pubblicistici, indipendentemente dalla sua correlazione con il fine primario o con un fine strumentale e secondario del medesimo ente, mentre deve qualificarsi privatistica l'attività che, pur se diretta al perseguimento di una finalità istituzionale, si svolga mediante un'organizzazione improntata a criteri di economicità, cioè tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi”. 51 Così Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 1973 n. 397. Anche T.A.R. Lombardia, 15 luglio 1981 n. 796, in Tributi, 1981, p. 819, afferma che “nei casi in cui sia difficile accertare la natura – pubblica o privata – di un ente, diviene decisivo l'aspetto formale attinente al regime delle norme, di diritto pubblico o privato, in cui l'ente, in virtù degli atti che ne disciplinano l'attività, è tenuto a operare”. Vedi anche A.M. SANDULLI, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, pp. 193-194: “l’elemento al quale occorre rifarsi per stabilire, nei casi dubbi (e cioè nei casi in cui un ente non sia definito pubblico, direttamente o indirettamente, dalle leggi), se si sia in presenza di un ente 46 Tenendo presente che deve dirsi comunque pubblico un ente tutte le volte che dalla ricostruzione sistematica della sua disciplina legislativa risulti che le situazioni giuridiche che l’ordinamento gli attribuisce, e la sua stessa soggettività che tale ordinamento istituisce o riconosce, siano causate, o improntate al principio di necessaria funzionalità dell’attività amministrativa rispetto ai fini pubblici che la legge gli impone di perseguire. Mentre non può che dirsi privato, viceversa, un ente per il quale una tale funzionalizzazione non sia riscontrabile52. pubblico, non può essere cercato tanto negli interessi (generalmente collettivi, ma non sempre propri dell’Ente superiore, Stato o Regione, legittimato ad istituire un tale ente) che l’ente persegue, quanto nel regime (trattamento) che ai singoli enti faccia il diritto positivo (e cioè nell’aspetto formale). Ciò che occorre determinare è unicamente se l’ente del quale si tratti sia collocato dall’ordinamento in una posizione giuridica particolare, differenziata da quella propria dei soggetti di diritto comune, o, meglio, se l’ente sia assoggettato ad un regime giuridico il quale gli conferisca poteri e prerogative di diritto pubblico, che in qualche modo lo assimilino a quelli degli enti che sicuramente hanno natura pubblica, facendone perciò un «pubblico potere». La peculiarità di tale posizione fatta agli enti pubblici trova la sua ragion essere nel fatto che essi, nel perseguire i propri fini, soddisfano interessi che stanno particolarmente a cuore all’ordinamento generale, e anzi talvolta hanno per compito addirittura la cura di interessi propri dell’Ente superiore, Stato o Regione (enti strumentali). È infatti appunto in considerazione di tali circostanze che l’ordinamento fa, di tali enti, dei soggetti pubblici, inserendoli così nel sistema delle pubbliche Amministrazioni. Il momento di individuazione della categoria degli enti pubblici va perciò cercato in elementi estrinseci e formali: e precisamente proprio nel regime giuridico, e nell’inserimento istituzionale degli enti stessi nell’organizzazione amministrativa pubblica, che può avere carattere multiforme, per cui si parla di atipicità degli enti pubblici e della loro capacità giuridica”. A proposito degli orientamenti giurisprudenziali in materia di indici di riconoscibilità di un ente pubblico vedi anche B. MOLLICA, Gli enti pubblici non economici, in Falcone-Pozzi (a cura di), Il Diritto Amministrativo nella giurisprudenza, I, Torino, 1998, 183. 52 A. VIRGILIO, op.cit., p. 86, cita la Patrimonio dello Stato s.p.a., costituita – ex art. 7, 1° comma, D.L. 63/2002, conv. in L. 15 giugno 2002 n. 112 – allo scopo di “valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato”: “società formalmente privata, ma sostanzialmente pubblica con funzioni tipiche di ente strumentale, poiché il capitale non può essere che pubblico ed opera secondo direttive ministeriali previa delibera del CIPE”. 47 Necessaria funzionalità del suo essere e del suo agire, con riferimento ai valori di cui all’art. 97 Cost., che impedisce all’Amministrazione, anche all’interno dei limiti con i quali l’ordinamento generale le attribuisce i poteri, di esercitarli in modo libero, nel senso nel quale i privati possono esplicare liberamente la loro capacità negoziale, perché quel principio le impone di esercitare tali poteri per il perseguimento dei fini per i quali l’ordinamento generale glieli ha attribuiti53. Precisazione, questa, che vale anche per tutte le ipotesi in cui non di veri e propri poteri si tratti, ma di svolgere l’attività per la quale l’ente è stato previsto. Infatti, come si crede di aver già precisato, la mancata attribuzione ad un ente di poteri pubblicistici non esclude affatto che, ciò nonostante, esso debba essere così qualificato, perché quel che è essenziale, per la sua pubblicità, è appunto tale sua funzionalizzazione, che non deve inerire necessariamente a poteri pubblicistici. Sembra quindi cogliere nel segno la tesi secondo cui, anziché ricostruire una figura unitaria di ente pubblico, deve piuttosto individuarsi il minimo comune denominatore delle varie figure pubbliche, cioè il criterio base sottostante alle diverse qualificazioni pubblicistiche54, individuabile, per ciascuna figura giuridica pubblica, nella valutazione, da parte dell’ente di riferimento (Stato o Regione), della necessità dell’esistenza di tale figura, nel senso che va considerato pubblico l'ente la cui esistenza è considerata 53 Cfr. A. ROMANO, Introduzione, in Mazzarolli, Pericu, A. ROMANO, Roversi Monaco, Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, III ed., Bologna, 2001, 55 ss., p. 276. 54 Cfr. G. ROSSI, Introduzione, cit., 203. 48 necessaria dall’ente territoriale, che vi intrattiene quindi rapporti connessi a tale valutazione. Le valutazioni circa il carattere necessario dell'ente hanno, ovviamente, carattere politico e quindi sono non solo storicamente determinate ma anche variabili, in connessione ai diversi indirizzi politici. Le finalità che portano alla istituzione di enti pubblici, o al conferimento della natura giuridica pubblica a organismi già esistenti, possono essere le più varie, e vanno dalla volontà di disporre di un organismo volto a realizzare gli stessi fini che potrebbero essere perseguiti dall’Amministrazione diretta, ma che si ritiene preferibile realizzare con strumenti organizzativi più flessibili, fino alla volontà di tutelare interessi che non sono propri dell'ente territoriale ma ai quali si ritiene di dover accordare una tutela rafforzata. È chiaro che tale valutazione dell'ente territoriale non è effettuata discrezionalmente dagli amministratori dell'ente, ma è manifestata con atto normativo. È infine da sottolineare come l’individuazione formale dell'ente pubblico nel nostro ordinamento sia in parte superata, o comunque ridotta ad una rilevanza molto inferiore, a fronte della nozione di origine comunitaria, ma pienamente accolta nell'ordinamento nazionale, degli “organismi di diritto pubblico”, “istituiti per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, e avente personalità giuridica e la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico” [cfr. art. 3, commi 25 e 26, D. Lgs.vo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), laddove, nel definire le «amministrazioni aggiudicatrici», tali organismi sono equiparati alle amministrazioni dello Stato, agli enti 49 pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, alle associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti]55. Ora, mentre in ambito nazionale si è tradizionalmente tentato di elaborare, nei termini sopra evidenziati, una concezione tendenzialmente unitaria di soggetto pubblico, nell’ordinamento comunitario, invece, la nozione di soggetto pubblico non è intesa come categoria unitaria. Come è stato infatti rilevato56, “al contrario, per affermazione della stessa Corte di Giustizia, tale nozione viene elaborata settore per settore, tanto sul piano normativo quanto nell'interpretazione giurisprudenziale, adattandola, quindi, alle esigenze sottese alla normativa delle singole materie nelle quali il riferimento al soggetto pubblico è necessario ed obbligato, sì da estenderne o ridurne, caso per caso, l’ampiezza”. Così, ad esempio, al fine di stabilire l'ambito di operatività della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (ex art. 39, par. 4, relativo al potere degli Stati membri di riservare ai propri cittadini gli impieghi nella “pubblica amministrazione”, e art. 45, par. 1, del Trattato CE, che prevede una deroga alla libertà di 55 Cfr., ex multis, Corte giustizia CE, sez. VI, 15 maggio 2003 n. 214, in Foro amm. – CdS, 2003, 1489: “il carattere privatistico di un organismo non costituisce motivo per escludere la qualificazione dello stesso come amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell'art. 1 lett. b) delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 e, pertanto, dell'art. 1 n. 1 della direttiva 89/665. L'effetto utile della direttiva 89/665 non sarebbe preservato qualora l'applicazione della relativa disciplina potesse essere esclusa con riferimento a quegli organismi che, in base alla disciplina nazionale, sono costituiti e regolati nelle forme e secondo il regime del diritto privato”. Per un esame della nozione di organismo pubblico vedi F. CARINGELLA, Corso, cit., p. 801 ss. 56 Cfr. F. CARINGELLA, op.ult.cit., p. 798 s.s. 50 stabilimento quando l’attività comporti l’<<esercizio anche occasionale di pubblici poteri>>), il giudice comunitario ha sostenuto in modo restrittivo che la nozione di pubblica amministrazione debba essere elaborata ricorrendo ai criteri della “partecipazione diretta o indiretta all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche”57. Mentre allo scopo di individuare gli apparati degli ordinamenti dei singoli Stati membri nei cui confronti devono considerarsi operanti gli obblighi e i divieti previsti dal diritto comunitario, in modo da poter imputare ai relativi Stati di appartenenza le eventuali violazioni commesse, si è affermato, più genericamente, “che fa comunque parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli”58. L’accennata evoluzione, registrabile nell’ordinamento italiano, sia del concetto di ente pubblico che della stessa tipologia di enti considerabili quali soggetti pubblici, nonché il modo in cui è intesa nell’ordinamento comunitario la nozione di “pubblico potere” o di “pubblica 57 Cfr., ex multis, Corte Giust. CE, 30 maggio 1989, causa C-33/88, in Racc., 1989, 1591. 58 Così Corte Giust. CE, 12 luglio 1990 n. 188, causa C-188/89, in Dir. lav., 1991, II, 44. Vedi anche Cass. Civ., sez. III, 23 gennaio 2002 n. 752, in Giur. it., 2002, 1273. 51 amministrazione”, consentono di individuare, in entrambi gli ambiti normativi, un minimo comune denominatore, costituito dalla visione sostanzialistica del fenomeno: nel senso che all’individuazione dei soggetti pubblici non si procede con riferimento a precisi criteri formali di definizione, bensì sulla base di parametri di tipo sostanziale, dati in particolare, per quanto riguarda l’ambito comunitario, dalla sottoposizione del soggetto ad un controllo pubblico, di carattere funzionale o strutturale, e per l’ordinamento nazionale dalla funzionalizzazione dell’attività della persona giuridica alla realizzazione di finalità di interesse generale e dall’inquadramento istituzionale della stessa, sebbene in senso lato, in quello che una volta, quando era ancora possibile una concezione unitaria di pubblica Amministrazione, poteva essere definito l’apparato organizzativo della p.A., che adesso si estrinseca in una tipologia diversificata sia dei soggetti (pubblici e privati) che del modo di realizzare interessi pubblici. E anche quando nella realizzazione di tali interessi sono coinvolti soggetti formalmente privati, questi sono ormai ritenuti obbligati, in quanto “preposti all'esercizio di attività amministrative”, a perseguire “i fini determinati dalla legge”, ed a conformare la propria azione a “criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza”, nonché ai “princìpi dell'ordinamento comunitario”59 (art. 1 L. 241/90). 59 Cioè i principi di imparzialità, partecipazione, diritto di accesso, obbligo di motivazione, risarcibilità dei danni prodotti dall’amministrazione, termine ragionevole nel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, proporzionalità, legittima aspettativa. 52 CAPITOLO II LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI PUBBLICI 2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE 53 Nel presente capitolo tratteremo della gestione degli enti locali finanziati dallo Stato, un argomento che per essere compreso al meglio necessita di una introduzione riguardante il c.d. “principio di sussidiarietà” apportata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, in quanto ciò ha comportato uno stravolgimento degli assetti anche dal punto di vista economico e finanziario, avendo le regioni assunto decisamente una maggiore autonomia. Del principio di sussidiarietà la Costituzione italiana60 fa uso in tre diversi contesti: ai fini della distribuzione delle funzioni amministrative tra i livelli di governo territoriale e i relativi enti, nei quali si articola la Repubblica61; come principio ispiratore delle attività dei pubblici poteri (gli enti del governo territoriale nei quali si articola la Repubblica) intese a favorire lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei cittadini, singoli ed associati62; come principio che, unitamente al principio di leale collaborazione, deve essere seguito nell’esercizio dei poteri 60 Alla luce delle modifiche del 2001, v. legge cost. n.3 del 2001. 61 La distribuzione delle competenze deve avvenire sulla base del principio di sussidiarietà unitariamente ai principi di differenziazione ed adeguatezza, v. art.118, comma 1, Cost. 62 V. art.118 , comma 4, Cost. 54 sostitutivi da parte del Governo nei confronti degli enti territoriali e deve essere rispettato dal legislatore nel dettare la disciplina di detti poteri63. In tutti questi contesti, come si vede, il principio di sussidiarietà viene ad incidere sulla dislocazione o sull’esercizio della funzione amministrativa o comunque sullo svolgimento di attività di carattere amministrativo. Mentre è assente ogni menzione del principio stesso nella disciplina costituzionale dell’attività normativa, sia legislativa che regolamentare quale contemplata dall’art.117. Ciò almeno stando alla lettera del testo. Invero, come si vedrà nei paragrafi successivi, il principio viene ad incidere anche sull’esercizio della funzione normativa, in virtù della stretta connessione tra le due funzioni64. Il principio di sussidiarietà, nella sua accezione originaria e a prescindere dalle diverse applicazioni positive, esprime due concetti, l’uno palese, dal significato stesso dell’espressione letterale, e l’altro dal primo presupposto. Un’organizzazione di governo, è legittimata, e nello stesso tempo tenuta, a intervenire con la sua azione, in ausilio, o in favore, di un’altra, evidentemente dotata di minore capacità di governo, in generale ovvero con riferimento a circostanze contingenti, in quanto non sufficientemente dotata di mezzi o di dimensione organizzativa; pur in settori di attività che sarebbero di competenza di quest’ultima. Il principio così formulato presuppone che l’ente, l’organizzazione di governo inferiore (subsidiata) abbia una vasta sfera di azione, in principio estesa a far fronte 63 V. art. 120, comma 2, Cost. 64 Sul punto cfr. Corte cost. sent. n. 303 del 2003. 55 ad ogni esigenza della propria comunità di riferimento, restando confinata, appunto, l’azione dell’ente superiore al subsidio di essa, laddove necessario. Insomma, il principio di sussidiarietà trova la sua ragione di essere in una concezione della società in quanto tale e del suo sistema di governo, intesa a valorizzare al massimo, le autonome capacità di governo delle articolazioni organizzative della società stessa, operanti sul territorio e nella vita di relazione, di fronte allo Stato, o comunque alle organizzazioni superiori di governo. Due significati, dunque, contiene nella sua accezione originaria il principio di sussidiarietà, un significato negativo, nella parte in cui limita l’azione delle organizzazioni di governo maggiori, di livello superiore, e segnatamente dello Stato, nei confronti delle organizzazioni minori e delle stesse autonome organizzazioni sociali. E un significato positivo, laddove consente e in qualche misura impone, alle organizzazioni di governo di livello superiore di intervenire con la propria azione in favore e a sostegno delle organizzazioni minori. Spesso, il significato negativo del principio tende a prevalere nell’accezione corrente e nelle stesse applicazioni legislative, venendo a configurare il principio di sussidiarietà come una sorta di nuova declinazione del vecchio principio del decentramento65. E nella stessa formulazione del principio, nei documenti del magistero ecclesiastico, tende a prevalere l’accezione negativa, quella del limite, piuttosto che l’accezione positiva, quella del necessario intervento delle organizzazioni maggiori in favore delle minori, ovvero delle articolazioni proprie della vita sociale: “Non è lecito sottrarre ai privati per affidarlo alla comunità ciò che essi possono compiere con le proprie iniziative e con la propria industria, così è un’ingiustizia, un grave danno e un turbamento 65 V. CERULLI IRELLI, Art. 8 Attuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo in Legge La Loggia a cura di C. Cittadino, cit. 2003 56 del giusto ordine attribuire ad una società maggiore e più elevata quello che possono compiere e produrre le comunità minori e inferiori. Infatti, qualsiasi opera sociale in forza della sua natura deve aiutare i membri del corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli”66. Il principio, come si vede, anche nella sua accezione originaria, opera egualmente tanto sul versante delle organizzazioni pubbliche, nei rapporti tra quelle centrali e quelle locali (e perciò esso è direttamente correlato con quelli di decentramento e di autonomia locale già fissati dall’art. 5, Cost.) sia nei rapporti tra organizzazioni pubbliche e ambito di azione riservato ai cittadini e alle loro organizzazioni o formazioni sociali (in ciò esso si correla al principio personalistico già fissato dall’art. 2, Cost.)67. E perciò, nel primo senso, che con terminologia alquanto impropria viene definito come sussidiarietà verticale, il principio si oppone a quello di accentramento, proprio dell’organizzazione pubblica nella prima lunga fase di formazione dello Stato moderno68; mentre nella seconda accezione, che con terminologia altrettanto impropria viene denominata come sussidiarietà orizzontale, il principio si oppone a quello panpubblicistico che a sua volta ha dominato a lungo nell’esperienza positiva dello Stato moderno, sino a tempi 66 Pio XI, Quadragesimo anno, 1931 67 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, in Riv. It. Dir. pubbl. Com., 2/1997, 603 e ss. 68 A. D’ANDREA, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, in Ius, 2/2000, p. 228. 57 recentissimi, attraverso l’idea che a ogni esigenza o bisogno di carattere collettivo, cui far fronte con attività di interesse generale, amministrazione, dovesse provvedere lo Stato o comunque di una organizzazione pubblica. L’affermazione del principio porta a ribaltare questa idea, consentendo e anzi favorendo e auspicando, che ad attività di interesse generale, alla cura di bisogni collettivi, provvedano anche direttamente i cittadini, con loro proprie iniziative, dotandosi dell’organizzazione e dei mezzi adeguati e usufruendo, laddove è possibile o necessario, dell’aiuto, del subsidio appunto, delle organizzazioni pubbliche, nel loro agire. In questa accezione, come si vede, il principio viene a inserirsi nei rapporti tra pubblico e privato, se si vuole, per dirla con Giannini, nella dialettica tra autorità e libertà. Tradotto il principio sul versante dell’amministrazione pubblica, esso dà luogo dunque, ad una riaffermazione, più forte, dei principi di decentramento e di autonomia locale, già presenti nel nostro sistema costituzionale, tuttavia fortemente innovativi rispetto all’ordinamento precostituzionale, da una parte; e dall’altra, rende flessibili i rapporti tra organizzazioni pubbliche, dal punto di vista funzionale, pur nell’ambito di delimitazioni di competenze stabilite dalla legge in base ai principi costituzionali. Nell’ambito dell’amministrazione pubblica il principio è strettamente connesso a quelli di differenziazione e adeguatezza, da una parte (art. 118) e a quello di leale cooperazione, dall’altra (art. 120). Sul versante dei rapporti tra amministrazione pubblica e iniziativa privata, tra pubblico e privato se si vuole, il principio opera come quello inteso a valorizzare la sfera privata, laddove questa si possa proficuamente esercitare nell’interesse generale, salvo l’intervento pubblico a subsidio di essa; e opera perciò, a sua volta, come quello inteso a contenere l’espansione della sfera pubblica, la presenza del pubblico, sia sul versante organizzativo che su quello funzionale, laddove essa è necessaria, a contenerne perciò la pervasività, che aveva caratterizzato un lungo periodo della nostra esperienza. Il 58 principio presenta nella sua accezione originaria un significato e una valenza fondamentalmente unitaria e trova invero nei fondamentali documenti pontifici, che ne costituiscono la più alta formulazione, una espressione unitaria: lo Stato, per dirla in breve, è tenuto a limitare la sua azione per favorire l’autonoma espressione dei corpi sociali nella cura dei loro propri interessi, sia che si tratti dei corpi sociali che si identificano in comunità territoriali dotate di proprie organizzazioni di carattere pubblico, i comuni, le province; sia che si tratti di corpi sociali espressione diretta della società civile aventi carattere privatistico non collegati direttamente alla sfera pubblica, che si fanno carico da sé medesimi della cura dei propri interessi, anche nell’esercizio di quei doveri di solidarietà richiamati dall’art. 2 della Costituzione. Limitazione dello Stato in favore dei corpi minori, dunque, ma obbligo dello Stato di intervenire a favore di essi laddove sia necessario. Tuttavia, questo significato unitario, questo concetto si potrebbe dire del principio di sussidiarietà nella sua accezione originaria, si articola poi sul piano positivo in una serie di norme e di applicazioni differenti, incidendo in maniera differente su molteplici istituti positivi; ciò che ne rende necessaria una trattazione differenziata. Sebbene la nascita delle Regioni coincida, almeno sotto il profilo formale, con l’approvazione della Costituzione Repubblicana del 1948, il dibattito giuridico sull’autonomia e sul decentramento italiano ha radici risalenti addirittura all’unificazione del Regno. Già insigni giuristi come Gioberti e Cattaneo avevano immaginato una soluzione federale o confederale che tenesse in considerazione le caratteristiche del territorio italiano, da sempre caratterizzato dalla profonda differenziazione storica di popoli, tradizione e realtà locali particolari69. 69 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, Torino, 2009, p. 44 e ss. 59 Duranti i lavori dell’Assemblea costituente le Regioni venivano definite come enti autarchici (cioè capaci di svolgere attività proprie per il conseguimento dei propri fini), autonomi (cioè dotati, nell’ambito delle competenze loro attribuite, del potere legislativo), rappresentativi di interessi locali e muniti di <<sufficiente>> autonomia finanziaria. A partire da queste caratteristiche comuni – e distinguendo gli enti regionali a statuto speciale (dotati di una più estesa autonomia) da quelli a statuto ordinario, la Commissione si preoccupò di elaborare un progetto che riconoscesse alle Regioni autonomia statuaria, legislativa, amministrativa e finanziaria. L’idea portante dell’intero progetto fu quella di coniugare il valore costituzionale del principio autonomistico con quello dell’unità del territorio nazionale. Anche in Italia, dunque, l’architettura costituzionale dello Stato regionale si articola attorno ad una norma per certi aspetti contraddittoria, che tenta di far coesistere un certo grado di indivisibilità dell’ordinamento con l’esigenza di valorizzare il più possibile le realtà territoriali di cui esso si compone. Una contraddizione, questa, che ha condizionato la lenta attuazione del regionalismo italiano costituendo il punto di riferimento di tutte le riforme che, nel corso degli anni, hanno provato a risolvere l’irriducibile tensione tra unità e differenziazione, tra indivisibilità e decentramento70. L’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 non poteva da sola avviare il complicato processo di riorganizzazione dello Stato prospettato dall’art. 5 Cost. e – più ampiamente – dalle norme contenute nel Titolo V della Carta fondamentale. Per completare il progetto, infatti, era necessaria l’approvazione di una serie di leggi che provvedessero alla organizzazione e alla elezione dei Consigli regionali, al riordino delle funzioni statali e 70 S. BARTOLE, Riflessioni sulla comparsa nell'ordinamento italiano del principio di sussidiarietà, in Studium juris, 1999. 60 amministrative attribuite agli enti regionali, alla definizione dei rapporti finanziari tra questi e lo Stato centrale. A tal fine, i Costituenti stabilirono nella VIII disposizione transitoria e finale il termine di un anno per la creazione dei Consigli regionali, ma, nonostante le buone intenzioni, l’attuazione del regionalismo italiano subì gravi ritardi, e il termine contenuto in Costituzione fu dapprima prorogato, poi semplicemente ignorato. Così, mentre gli statuti delle Regioni speciali furono quasi tutti approvati dalla stessa Assemblea costituente, l’istituzione delle Regioni ordinarie si fece attendere per oltre vent’anni e, solo a partire dagli anni Settanta, la riforma regionalista voluta dai padri costituenti cominciò lentamente ad essere attuata. Molteplici furono le ragioni di questo ritardo, tra cui l’esigenza di ricostruire un Paese gravemente colpito dal conflitto mondiale e la necessità di rilanciare l’economia nazionale facilitarono l’espandersi di un assetto istituzionale fortemente centralizzato, in cui gli organi burocratici e amministrativi dello Stato esercitavano un potere forte e compatto71. Così, sul versante delle Regioni ad autonomia differenziata <<le norme attuative degli statuti trasferirono alle Regioni funzioni molto ridotte e condizionate, nel loro concreto esercizio, dallo Stato>>. Infatti, la legge n. 62 del 1953 disciplinò <<in maniera assai dettagliata il contenuto degli statuti>>, e subordinò l’esercizio delle funzioni legislative alla approvazione, da parte del Parlamento, di apposite “leggi-cornice” che determinassero i principi fondamentali di ciascuna delle materie affidate alla competenza concorrente Stato-Regioni72. 71 G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, I ed., Torino, 2007. 72 P. CARETTI, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell'ordinamento comunitario e sul piano dell'ordinamento nazionale, Milano, 1996. 61 Originariamente, e secondo quanto emerge dai lavori dell’Assemblea costituente, le Regioni avrebbero dovuto avere tre tipi di potestà legislativa; una primaria, esercitabile nei limiti dei principi generali dell’ordinamento e degli interessi nazionali, una concorrente o ripartita con lo Stato, una meramente integrativa e attuativa delle leggi statali. Secondo la formulazione originaria dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa spetta, di regola allo Stato, tranne che in alcune materie (rigorosamente elencate dallo stesso articolo della Costituzione) in cui la Regione <<emana norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato e sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni>>. Questa scelta ha fatto sì che non vi sia alcuna materia in cui il legislatore statale è privo di competenza, potendo egli sempre intervenire a statuire i principi fondamentali73. Il primo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni fu disposto dai decreti delegati approvati nel 1972, che operarono numerosi “ritagli” all’interno delle materie di competenza regionale e furono giustificati sulla base della rilevanza degli interessi nazionali riguardanti tali materie; la Corte costituzionale, dal canto suo, contribuì a avallare una lettura restrittiva del sistema. Il modesto trasferimento di funzioni disposto dai decreti del 1972 fu giudicato inconsistente dallo stesso Parlamento che pochi anni più tardi, conferì al Governo l’incarico di approvare un nuovo decreto legislativo per completare il progetto regionalista74. Tuttavia anche 73 V. ONIDA, Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2002, Milano, 2003. 62 questo secondo decentramento75 risultò inconsistente e la sua portata fu, comunque, decisamente limitata. Durante gli ani Settanta e Ottanta la situazione del regionalismo italiano rimase così sospesa in un limbo di sostanziale ineffettività. Si era venuta a costituire una situazione controproducente per l’intero apparato pubblico che, a causa dell’istituzione degli enti regionali, veniva appesantito da nuovi (e costosi) organi incapaci però di affermarsi come efficaci livelli di governo. Queste contraddizioni emersero in tutta la loro portata all’inizio degli anni Novanta. In tutta Europa, infatti (anche in conseguenza dell’accelerazione del processo di integrazione voluto dal Trattato di Maastricht) pressioni e stimoli per una riforma degli assetti tra centro e periferia avevano animato il dibattito politico in molti Stati Membri. Il sempre maggiore rafforzamento delle istituzioni europee portarono così <<alla progressiva erosione della sovranità degli Stati membri, aprendo spazi per il coinvolgimento attivo dei governi subnazionali, chiamati, ad esempio, a dare attuazione delle politiche e delle direttive europee>>76. In Italia, inoltre, la crisi politica conseguente al crollo della prima Repubblica aveva generato un diffuso malcontento popolare per le istituzioni e un 74 D. Lgs. n. 616 del 1977. 75 A. RUGGERI – C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2002. 76 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, op. cit., p. 44 e ss. 63 desiderio di riforma complessiva dell’ordinamento in cui trovarono spazio anche le istanze regionaliste. A partire dalla metà degli anni Novanta furono istituite le Commissioni bicamerali ad hoc, in un ampio progetto di riforma della seconda parte della Costituzione. Dapprima la Commissione De Mita-Iotti77, poi la Commissione D’Alema78 provarono, senza successo, ad ideare progetti di riforma dell’ordinamento. Tuttavia i lavori della Commissione D’Alema ebbero il pregio di portare all’attenzione delle istituzioni il principio di sussidiarietà, ovvero di quel criterio di ripartizione delle funzioni che influenzerà, di lì a poco, il modello di decentramento adottato dalle leggi Bassanini prima, e dalla riforma costituzionale del 2001 poi. In realtà il successo della sussidiarietà in Italia era iniziato, almeno a livello dottrinale, già qualche anno prima, in conseguenza dell’approvazione del Trattato di Maastricht. Inoltre, secondo parte della dottrina, l’impianto della Costituzione del ’48 già riconosceva implicitamente tale principio in alcuni suoi articoli; la struttura dell’art. 5 Cost., infatti, indicherebbe una <<logica sussidiaria>> che orienta i rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali minori, <<esprimendo non solo una decisione di preferenza in favore di tali autonomie, ma anche il proposito che le competenze originariamente loro accordate fossero destinate ad ampliarsi per effetto degli interventi del legislatore ispirati al principio della 77 Legge cost. n. 1 del 1993. 78 Legge cost. n. 1 del 1997. 64 promozione>>79. Solo con l’approvazione della legge Bassanini80 la sussidiarietà è stata introdotta in modo significativo nell’ordinamento giuridico italiano, infatti viene utilizzata come principio cardine della riforma, e viene recepita nella sua duplice dimensione, verticale e orizzontale81. Da questo momento in poi il ricorso alla sussidiarietà è divenuto sempre più diffuso82. Tutte queste norme, ed in particolare la legge Bassasini, sono state la risposta ad una domanda di cambiamento fortemente condivisa dalla realtà sociale e politica italiana, che avrebbe portato di lì a poco a riscrivere le norme contenute nel Titolo V della Costituzione. La stagione delle riforme costituzionali si aprì nel 1999 con l’approvazione della legge cost. 22 novembre, n. 1 , cui fece seguito la legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2., attraverso la quale il legislatore si preoccupò di ampliare la potestà statuaria delle Regioni italiane sia dal 79 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, op. cit., 603 e ss. 80 L. n. 59 del15 marzo 1997 (c.d. legge Bassanini). 81 Cfr. A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Padova, 2003. 82 In tal senso meritato di essere ricordati: il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (cfr. D.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, art. 3); la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. n. 328 del 8 novembre 2000). 65 punto di vista formale che sostanziale. Qualche tempo dopo ci si è preoccupati di completare la riforma del Titolo V con l’approvazione della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Se il primo intervento si era limitato a ridisegnare la disciplina dei rapporti politici tra organi regionali, la legge n. 3/2001 ha modificato profondamente il riparto di competenze fra Stato e Regioni, ampliando l’autonomia non solo politica ma anche legislativa, amministrativa e (almeno sulla carta) finanziaria delle Regioni italiane. Tale riforma è senza dubbio rivoluzionaria, in quanto ha segnato il superamento del modello ideato dalla Assemblea costituente83, discostandosene profondamente e dando un ruolo fondamentale al principio di sussidiarietà. In questa prospettiva, il nuovo art. 11484 pone per la prima volta le diverse autonomie territoriali sullo stesso piano85. L’art. 117, invece, viene “capovolto” rispetto a quello precedente, in quanto quest’ultimo conferisce una potestà legislativa allo Stato in merito a materie elencante tassativamente ed alle Regione in via residuale (il vecchio art. 117 prevedeva il contrario). Ciò sta a significare che il nuovo sistema attribuisce una generale e più consistente potestà legislativa alle Regioni. 83 Cfr. A. D’ATENA, op. cit., 603 e ss. 84 Art. 114 Cost.: <<la Repubblica è costituita da Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato>>. 85 M. OLIVETTI, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, 2001. 66 L’art. 118, invece, in linea con la riforma Bassanini, abbandona il parallelismo tra funzioni amministrative e legislative e riconosce sia la dimensione verticale che quella orizzontale. In merito alla dimensione verticale, l’art. 118 valorizza i livelli di governo più prossimi ai cittadini, stabilendo che le funzioni amministrative siano attribuite ai Comuni, e che solo per esigenze di carattere unitario esse possano essere avocate in sussidiarietà dai livelli di governo superiori86. Anche la dimensione orizzontale del principio ha trovato esplicito riconoscimento nel nuovo assetto costituzionale, impegnando tutti i livelli di governo del territorio a favorire <<l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale>>87. Merita un cenno, infine, la nuova disciplina contenuta nel nuovo art. 119 Cost., che garantisce alle Regioni e agli enti locali (almeno in via di principio) un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa>> che si esprime attraverso la possibilità di istituire <<tributi propri>> e di ottenere <<conpartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio>>. 2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI 86 D. D'ALESSANDRO, Sussidiarietà solidarietà e azione amministrativa, Napoli, 2004. 87 Art. 118, comma 4. 67 La legge dello Stato si preoccupa di uniformare gli ordinamenti contabili regionali, almeno a livello di impostazioni fondamentali, lasciando all’autonomia organizzativa delle singole regioni di adottare, sulla base dei rispettivi statuti ed altri atti normativi, il necessario completamento. Attualmente la materia è oggetto del decreto legislativo 28 marzo 2000 n. 76, contenente i “Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugtno 1999, n. 208”88. Dall’esame della suddetta legge si evince la conformazione della disciplina de qua con quella omologa dello Stato. Il consiglio regionale approva ogni anno con leggi – nell’ambito di una manovra complessiva e comunque nei modi e nei termini previsti dallo statuto e dalle leggi regionali – il bilancio annuale di previsione e il bilancio pluriennale. L’esercizio provvisorio del bilancio può essere autorizzato, nei modi, nei termini e con gli effetti previsti dagli statuti e dalle leggi regionali, e non può protrarsi, comunque, oltre i quattro mesi. Le impostazioni delle previsioni di entrata e di spesa del bilancio della regione si ispirano al metodo della programmazione finanziaria. A tale fine la regione adotta ogni anno, insieme al bilancio annuale, un bilancio pluriennale, le cui previsioni assumono come termini di riferimento quelli della programmazione regionale e comunque di durata non superiore al quinquennio. Il bilancio pluriennale è allegato al bilancio annuale. La regione può altresì adottare, in connessione con le esigenze derivanti dallo sviluppo della fiscalità regionale, una propria legge 88 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2009, pp. 220 e ss. 68 finanziaria, contenente il quadro di riferimento finanziario per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Essa contiene esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziaria con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale ed è disciplinata con legge regionale, in coerenza con quanto previsto dall’art. 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Il bilancio pluriennale indica, per ciascuna ripartizione dell’entrata e della spesa, oltre la quota relativa all’esercizio iniziale, quella relativa all’esercizio successivo89. L’adozione del bilancio pluriennale non comporta autorizzazione a riscuotere le entrate, né ad eseguire le spese in esso contemplate. Tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo, dallo Stato alla regione confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni, salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni amministrative a norma dell’articolo 118, secondo comma, della Costituzione, nonché di assegnazioni vincolate per calamità naturali e per interventi di interesse nazionale. In tale ultimo caso la regione ha facoltà di stanziare e di erogare somme eccedenti quelle assegnate dallo Stato, ferme, nel caso di delega, le disposizioni delle leggi statali che disciplinano le relative funzioni. 89 Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., pp. 220 e ss.: Esso è elaborato con riferimento alla programmazione regionale e rappresenta il quadro delle risorse che la regione prevede di acquisire e di impiegare nel periodo considerato, esponendo separatamente l’andamento delle entrate e delle spese in base alla legislazione statale e regionale in vigore (bilancio pluriennale a legislazione vigente) e le previsioni sull’andamento delle entrate e delle spese tenendo conto degli effetti dei previsti nuovi interventi legislativi (bilancio pluriennale programmatico). Il bilancio pluriennale a legislazione vigente costituisce sede per il riscontro della copertura finanziaria di nuove o maggiori spese stabilite da leggi della regione a carico di esercizi futuri. 69 Le previsioni di bilancio annuale della regione sono formulate in termini di competenza e di cassa ed articolate, per l’entrata e per la spesa, in unità previsionali di base. Queste ultime sono determinate con riferimento ad aree omogenee di attività, anche a carattere strumentale, in cui si articolano le competenze delle regioni. Le contabilità speciali sono articolate in capitolo sia quanto all’entrata che alla spesa. Per ogni unità previsionale di base sono indicati (art. 4, comma 3): a( l’ammontare presunto dei residui attivi o passivi alla chiusura dell’esercizio precedente a quello cui il bilancio si riferisce; b) l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare o delle spese di cui si autorizza l’impegno nell’esercizio cui il bilancio si riferisce; l’ammontare delle entrate che si prevede di riscuotere o delle spese di cui si autorizza il pagamento del medesimo esercizio, senza distinzioni fra riscossioni e pagamenti in conto competenza e in conto residui. L’eventuale saldo finanziario, positivo o negativo, presunto, al termine dell’esercizio precedente è iscritto fra le entrate o le spese di cui alla lettera b), del comma 3, mentre l’ammontare presunto della giacenza di cassa all’inizio dell’esercizio cui il bilancio si riferisce è iscritto fra le entrate di cui alla lettera c) del comma 3. Anche per le regioni è previsto un bilancio analitico per capitoli. Infatti in apposito allegato al bilancio le unità previsionali di base sono ripartite in capitoli ai fini della gestione; nello stesso allegato sono altresì indicati, disaggregati per capitolo, i contenuti di ciascuna unità previsionale di base e il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale della spesa, con l’evidenziazione delle relative disposizioni legislative. I capitoli sono determinati in relazione al rispettivo oggetto per l’entrata e secondo l’oggetto e il contenuto economico e funzionale per la spesa. Formano oggetto di specifica approvazione del consiglio regionale le previsioni di cui ai commi 1, 2, 3, lettera a), b), e c), e dei commi 4 e d. le contabilità speciali sono approvate nel loro complesso. 70 Gli stanziamenti di spesa di competenza sono esclusivamente in relazione alle esigenze funzionali determinati ed agli obiettivi concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio, restando esclusa ogni quantificazione basata sul criterio della spesa storica incrementale. Il quadro generale riassuntivo del bilancio riporta, distintamente per titoli e funzioni e per funzioni-obiettivo, rispettivamente, i totali delle entrate e delle spese. Nel bilancio generale sono iscritti fondi di riserva (art. 13)90, nonché possono essere iscritti uno o più fondi speciali, destinati a far fronte agli oneri derivanti da provvedimenti legislativi regionali che si perfezionano dopo l’approvazione del bilancio (art. 14). Entro il 30 giugno di ogni anno poi la regione approva, con legge, l’assestamento del bilancio, mediante il quale si provvede all’aggiornamento delle previsioni iniziali (art. 15). La legge di approvazione del bilancio regionale può autorizzare variazioni al bilancio medesimo, da apportare nel corso dell’esercizio mediante provvedimenti amministrativi, per l’istruzione di nuove unità previsionali di entrata, per l’iscrizione di entrate derivanti da assegnazioni vincolate a scopi specifici da parte dello Stato e dell’Unione europea, nonché per l’iscrizione delle relative spese, quando queste siano tassativamente regolate dalla legislazione in vigore (art. 16). Contestualmente all’approvazione della legge di bilancio o dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio, la giunta regionale provvede a ripartire le unità previsionali di base per capitoli ai fini della gestione e 90 a) un fondo di riserva per spese obbligatorie dipendenti dalla legislazione in vigore; b) un fondo di riserva per le spese impreviste; c) il fondo di riserva per le autorizzazioni di cassa (Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 222). 71 rendicontazione e ad assegnare ai dirigenti titolari dei centri di responsabilità amministrativa le risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi individuati per gli interventi, i programmi e i progetti finanziati nell’ambito dello stato di previsione delle spese. Vengono affermati i principi di equilibrio del bilancio (art. 5), in quanto il totale dei pagamenti autorizzati non può essere superiore al totale delle entrate di cui si prevede la riscossione sommato alla presunta giacenza iniziale di cassa91, nonché, in analogia allo Stato, quelli dell’annualità del bilancio (art. 6), dell’universalità ed integrità (art. 7). La legge regionale stabilisce le modalità e determina le competenze per la gestione delle spese, in modo da assicurare adeguati controlli anche a carattere economico-finanziario nell’ambito di ciascuna unità operativa di un servizio, di un settore o di un programma o progetti della regione (art. 20). La legge statale uniforma le procedure di gestione del bilancio regionale a quelle dello Stato, per quanto riguarda i procedimenti dell’entrata e della spesa, nonché dei residui. Le regioni, sulla base delle norme dei rispettivi statuti, assicurano l’autonomia contabile del consiglio regionale, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853, ferma la competenza regolamentare interna attribuita al consiglio medesimo (art. 30). 91 Il totale delle spese di cui si autorizza l’impegno può essere superiore al totale delle entrate che si prevede di accertare nel medesimo esercizio, purché il relativo disavanzo sia coperto da mutui e altre forme di indebitamento autorizzati con la legge di approvazione del bilancio nei limiti di cui all’articolo 23. 72 2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI Il bilancio dell’ente locale è un bilancio pubblico previsionale finanziario. Esso – strumento essenziale per i processi di programmazione, previsione, gestione e rendicontazione – tende a fornire informazioni in merito ai programmi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed all’andamento dell’ente a favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica, sociale ed economico-finanziaria (art. 13 del D.P.R. n. 170/2006). Quindi, il bilancio – già istituto giuscontabile per la gestione e controllo dei mezzi finanziari da utilizzare per l’esercizio di pubbliche funzioni tese al raggiungimento dei pubblici fini ovvero di interessi generali – è ormai inteso come fondamentale strumento di programmazione. Esso così è divenuto “sistema”92 di atti ed insieme di metodologie di rappresentazione in termini descrittivi, finanziari, economici e contabili delle attività e finalità contenute nella programmazione, i cui obiettivi sono stati tradotti in termini economici attraverso le entrate e le spese riportate nell’elaborato contabile93. 92 Così M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 225. 93 <<Il sistema di bilancio di un Ente locale è composto da una serie di documenti che tendono ad evidenziare da un lato la necessità di una accurata programmazione pluriennale e di una previsione annuale, sia in termini di competenza che in termini di cassa, dall’altro l’importanza della presenza di un articolato conto consuntivo, dal quale si possa prendere visione dei risultati dell’azione amministrativa effettuata dall’Ente, confrontati, per evidenziarne gli scostamenti, con i valori delle corrispondenti voci del bilancio pluriennale e di quello preventivo annuale. Il tutto deve realizzarsi, oltre che nell’ottica finanziaria, anche in quella economica, per far si che anche negli Enti locali 73 In tal modo il bilancio di previsione, nel complesso dei suoi atti, è il frutto del programma politico-amministrativo dell’amministrazione. Detto programma ha invero ad oggetto il complesso coordinato di attività, anche normative, relative alle opere da realizzare, e di interventi diretti ed indiretti, non necessariamente solo finanziari, per il raggiungimento di un fine prestabilito, nel più vasto piano generale di sviluppo dell’ente, secondo le indicazioni dell’articolo 151 T.U. 267 (può essere compreso all’interno di una sola delle funzioni dell’ente, ma può anche estendersi a più funzioni); esso: a) esprime in termini finanziari le decisioni di politica generale e di politica economica adottate dagli organi rappresentativi; b) fissa i limiti dell’attività di gestione entro i quali gli organi esecutivi possono operare, secondo l’autorizzazione contenuta nella deliberazione di bilancio; c) predetermina razionalmente tutte le operazioni finanziarie occorrenti per conseguire tutte le finalità di interesse pubblico94. Tutto l’insieme degli atti della manovra finanziaria deve riguardare il disegno di sviluppo della comunità locale, non escluso, ma piuttosto come ultimo fine, il miglioramento della qualità della vita e quindi il buon rendimento del danaro pubblico. Appare evidente come “il sistema bilancio”, cioè il complesso degli atti costituenti il bilancio di previsione e quelli costituenti il rendiconto, vengano adottate (e con la legge n. 142/90 si gettano delle basi affinché ciò diventi un obbligo vero e proprio) le più importanti tecniche di controllo di gestione per realizzare un sempre più valido ed oculato utilizzo delle risorse a disposizione>>. F. ZORZET – P. PADRINI, Il bilancio degli enti locali, EBC, 1991. 94 V. RUSSO, L’ordinamento contabile degli enti locali, Apollonio – ICA. 74 rappresenti lo strumento: a) di attività gestoria intesa ad acquisire le risorse economiche da erogare per la produzione di beni e servizi di utilità pubblica; b) di programmazione della attività che gli organi deliberativi prevedono di svolgere nel breve o medio periodo in relazione agli obiettivi di politica generale dell’ente; c) di rappresentazione delle funzioni dell’organo volitivo95. Si è così costretti a fare i conti con la realtà, ovvero a partire dal debito pubblico e, attraverso le spese consolidate, giungere alla definizione delle risorse pubbliche attivabili nel periodo considerato. Il complesso degli interventi operanti attraverso la programmazione e la conseguente manovra finanziaria – paragonabile alla legge finanziaria dello Stato – fa sì che essa incida sulla situazione esistente, proiettandola verso il futuro. La programmazione e la susseguente manovra finanziaria hanno la capacità di modificare la corrente politica delle entrate e delle spese, cancellando le relative decisioni precedentemente assunte, incidendo in tal modo sui contenuti del bilancio di previsione con decisioni che condizionano l’andamento finanziario, indicando i programmi e progetti che possono essere finanziati. In tal modo, con un unico atto legislativo, vengono modificate decisioni di entrata e di spesa già assunte dall’ordinamento. Per assicurare il rispetto in itinere di quanto già oggetto degli atti di bilancio, è previsto che il regolamento di contabilità individui i casi di inammissibilità e di improcedibilità delle deliberazioni di Consiglio e di Giunta che non sono coerenti con le previsioni ed i programmi, di cui alla relazione previsionale e programmatica. 95 V. RUSSO, op. cit. 75 La manovra di bilancio rende possibile la modifica, attraverso l’approvazione di un unico atto, delle correnti decisioni di entrata e di spesa, disponendo nel contempo di un sicuro collegamento tra programmazione e bilancio – in quanto i programmi debbono essere recepiti dal bilancio ed in esso tradotti in meri dati numerici –, atto obbligatorio la cui mancata adozione comporta (con le procedure di legge) lo scioglimento del Consiglio Comunale. Un problema connesso all’introduzione della relazione previsionale e programmatica e, quindi, alla creazione del sistema di atti, riguardo la modificabilità del suo contenuto necessario nel corso dell’anno e la connessa procedura, in mancanza di una specifica disposizione – anche se comunque tutti i cambiamenti devono conseguenzialmente essere inseriti nel bilancio annuale ed in quello pluriennale. Nulla impedisce in corso d’esercizio di adottare un intervento talmente consistente da costituire una nuova vera e propria manovra finanziaria. Va, inoltre, osservato, che modifiche alla programmazione globale o settoriale dell’ente comporta necessariamente la correzione degli strumenti contabili96. Il legislatore delegato, con D.P.R. 12 aprile 2006 n. 170, nel procedere all’armonizzazione dei bilanci pubblici97, a proposito degli enti locali, al capo III ha dettato la normativa circa la programmazione finanziaria, la 96 Il ricorso alla variazione di bilancio sic et simpliciter senza l’adeguamento della relazione programmatica non appare ammissibile, oltre che corretto, specie se avviene con il ricorso a delibere d’urgenza da parte dell’esecutivo, eludendo il dibattito politico, stante l’espresso dettato del comma 8 dell’art. 175 T.U.E.L. L’adozione di deliberati d’urgenza, ove vengano utilizzati ai fini di modificare i contenuti necessari della relazione programmatica (quindi della programmazione) appare illegittima in quanto essi sono parte integrante del “sistema di bilancio”, sistema modificabile solo con atto consiliare. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 228. 97 La delega al Governo è stata conferita dall’art. 1, co. 4, legge 5 giugno 2003, n. 131. 76 rendicontazione ed i principi di bilancio. La disciplina non è del tutto innovativa, anche perché il suddetto provvedimento legislativo aveva i limiti posti dalla delega, scontentando chi si aspettava delle novità profonde; essa precisa, però, che il bilancio è costituito non da un mero documento contabile, ma da un sistema di atti tra loro collegati da un nesso di interdipendenza e di coerenza interna. Gli articoli 13 e 14 del D.P.R. n. 170/2006, superano la laconica ed irreale formulazione degli articoli 150 e 151 del T.U. n. 267/2000 98, prevedono che il sistema di bilancio degli enti locali è lo strumento essenziale per il processo di programmazione, previsione, gestione e rendicontazione e che le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in merito ai programmi in corso di realizzazione, all’andamento dell’ente a favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica, sociale ed economico-finanziaria, nonché in merito ai programmi futuri. Conseguentemente , gli atti di programmazione e previsione hanno valenza pluriennale/annuale e devono essere tra loro coerenti e interdipendenti. Gli atti della programmazione di mandato99 sono costituiti dalle linee programmatiche e dal piano generale di sviluppo. La manovra si articola poi in termini economico-finanziari mediante i bilanci di previsione 98 Legge 5 giugno 203 n. 131 art. 1 comma 4. In sede di prima applicazione, per orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, attenendosi ai principi della esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità e indicando, in ciascun decreto, gli ambiti normativi che non vi sono compresi. 77 (pluriennale ed annuale) e la relazione previsionale programmatica annuale e pluriennale. Gli enti locali sono tenuti a deliberare annualmente il bilancio finanziario di previsione per l’anno successivo nel rispetto dei principi di unità, coerenza, annualità, universalità, integrità, veridicità, attendibilità e pubblicità. Esso è deliberato in pareggio finanziario complessivo, nel senso che le previsioni di spesa corrente, sommate alle quote di capitale (delle rate di ammortamento dei mutui-prestiti obbligazionari-aperture di credito), non possono essere complessivamente superiori alle previsioni delle entrate correnti. Il bilancio di previsione è costituito dai seguenti atti: – Linee programmatiche per azioni e progetti; – Piano generale di sviluppo; – Relazione previsionale programmatica; – Bilancio di previsione annuale; – Bilancio di previsione pluriennale. Del bilancio di previsione fanno parte gli allegati (obbligatori)100 di cui all’art. 172 T.U.E.L. Il potere di iniziativa per predisporre gli atti di bilancio e presentarli al Consiglio ai fini dell’esame e dell’approvazione spetta alla Giunta101, cui 99 Di fatto, benché nel D.Lgs n. 170/2006 si parli di programmazione di mandato, questa è impedita dalla disposizione che prevede che il bilancio pluriennale e la relazione hanno riguardo ad un arco temporale triennale e comunque pari a quello stabilito dalla regione di appartenenza. 100 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 229. 78 incombe l’onere di far redigere la proposta di bilancio nel pieno rispetto dei principi contabili102. La relazione previsionale e programmatica, introdotta nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1-quater comma 3 del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131, e confermata dai commi 2 e 3 dell’art. 55 della legge n. 142/90, è attualmente disciplinata dall’art. 170 T.U.E.L. Tali disposizioni, però, non hanno stabilito modelli standard per la redazione di questo strumento di determinazione degli obiettivi che l’ente intende perseguire; obiettivi che si traducono in termini numerici nei singoli capitoli del bilancio annuale e nelle previsioni del bilancio pluriennale. A tale relazione – relativa ad un periodo pari a quello del bilancio pluriennale –, che è allegata al bilancio annuale di previsione, però non è riconosciuto il giusto valore di atto presupposto ed indispensabile per la elaborazione del bilancio stesso. 101 Articolo 174 co. 1. Lo schema di bilancio annuale di previsione, la relazione previsionale e programmatica e lo schema di bilancio pluriennale sono predisposti dall’organo esecutivo e da questo presentati all’organo consiliare unitamente agli allegati ed alla relazione dell’organo di revisione. 102 C. Conti, sez. II, 19/06/1996, n. 36/A, che ha ravvisato la responsabilità dei componenti della giunta i quali, nel predisporre lo schema di bilancio dell’ente, sottostimano le necessità per fronteggiare le spese (prevedendo stanziamenti meramente simbolici o palesemente insufficienti), mantenendo, poi, un comportamento inerte di fronte ad un fenomeno debitorio in crescita dando luogo a debiti fuori bilancio. Ad analoga responsabilità può invero dar luogo la sovrastima ingiustificata di entrate o, peggio, la previsione di entrate fittizie. 79 Essa ha contenuto programmatico e finanziario, ed illustra le caratteristiche generali della popolazione, del territorio, dell’economia insediata e dei servizi dell’ente, precisandone le risorse (umane, strumentali, tecnologiche e finanziarie). Comprende, per la parte entrata, una valutazione generale sui mezzi finanziari, individuando le fonti di finanziamento ed evidenziando l’andamento storico degli stessi coi relativi vincoli. Per la parte spesa è redatta per programmi indicati nel bilancio annuale e nel bilancio pluriennale, rilevando l’entità e l’incidenza percentuale della previsione con riferimento alla spesa corrente consolidata, a quella di sviluppo ed a quella di investimento. Per ciascun programma viene specificata la finalità che si intende conseguire e le risorse umane e strumentali ad esso destinate, distintamente per ciascuno degli esercizi in cui si articola il programma stesso, ed è data specifica motivazione delle scelte adottate. La funzione della relazione previsionale e programmatica è quella di fornire la motivata dimostrazione delle variazioni intervenute rispetto all’esercizio precedente, fornendo adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni annuali e pluriennali con gli strumenti urbanistici PRG, Piani esecutivi, PPA103. La relazione ed i bilanci di previsione degli enti locali devono, infine, tener conto (nel rispetto del T.U. n. 267) delle leggi della regione di appartenenza, per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni delegate, in modo tale da consentirne il controllo sulla destinazione dei fondi assegnati e 103 È contenuta una verifica della quantità e qualità delle aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie – ai sensi delle leggi n. 167/1962, n. 865/1971, e n. 457/1978, – che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie, stabilendone contestualmente il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato. La relazione indica anche gli obiettivi che si intendono raggiungere, sia in termini di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio. 80 l’omogeneità delle classificazioni delle poste di bilancio con quelle del bilancio regionale. L’attuazione dei programmi approvati dal consiglio dell’ente e racchiusi nella relazione previsionale e programmatica, e tradotti in termini numerici nei bilanci di previsione (annuale e pluriennale), è attribuita dalla legge ai responsabili dei servizi o dirigenti. Pertanto, sulla base del bilancio di previsione, l’organo esecutivo ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il piano esecutivo ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il piano esecutivo di gestione (P.E.G.), determinando gli obiettivi della gestione ed affidando ai dirigenti (o responsabili dei servizi) i reparti organizzativi (semplici o complessi), composti da persone e mezzi strumentali, nonché i mezzi finanziari, specificati negli interventi assegnati. Il vigente ordinamento offre uno schema di relazione previsionale e programmatica e stabilisce il suo contenuto104. La relazione previsionale e programmatica deve, inoltre, fornire adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni (annuali e pluriennali) con riguardo a dati aspetti105. La relazione, infine, deve dare atto della reale situazione economica (di deficitarietà strutturale o meno) secondo parametri stabiliti dal Ministro dell’Interno e che si è tenuto conto del tasso di inflazione programmato. Dall’esame degli articoli 169, 170, 171, 172 e 174 T.U.E.L., e degli articoli 13 e 14 D.P.R. n. 170/2006 risulta che: – gli enti locali deliberano 104 Poiché la relazione dovrà indicare (in termini di economicità, efficienza ed efficacia) gli obiettivi che devono essere soddisfatti e raggiunti, coloro che sono preposti alla gestione (dirigenza o responsabili dei servizi) vengono responsabilizzati per il raggiungimento degli obiettivi; raggiungimento che giustifica l’attribuzione e pagamento della retribuzione accessoria ed eventuale. 81 annualmente il bilancio di previsione finanziario, redatto in termini di competenza, per l’anno successivo, osservando i già indicati principi di unità, annualità, universalità, integrità, veridicità, pareggio finanziario106 e pubblicità, previsti dall’art. 151 T.U. n. 267/2000, ed i principi di attendibilità e coerenza previsti dall’art. 14 D.P.R. n. 170/2006; – l’unità temporale della gestione è l’anno finanziario, che inizia l’1 gennaio e termina il 31 dicembre dello stesso anno; – è vietata la gestione di entrate e di spese che non siano iscritte in bilancio107; il bilancio di previsione deve essere redatto nel rispetto dei principi sopra riportati, ed ogni previsione deve essere sostenuta da analisi riferite ad un adeguato arco di tempo o, in mancanza, da altri idonei parametri di riferimento, per cui ogni scostamento dalla previsione dell’anno precedente dev’essere giustificato; – il bilancio di 105 Agli strumenti urbanistici e coi relativi piani di attuazione; al programma triennale dei lavori pubblici di cui ala legge 11 febbraio 1994 n. 109; alla verifica della quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie, che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; a quanto deliberato, per l’esercizio successivo, in materia di tariffe, aliquote d’imposta ed eventuali maggiori detrazioni, di variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, dei tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi. 106 La salvaguardia degli equilibri di bilancio è disciplinata dall’art. 194 T.U. 267/2000, che va correlato ai commi 4 e 6 dell’art. 153. 107 Il riconoscimento della legittimità ed il pagamento di debiti fuori bilancio può aver luogo solo nei casi e con la procedura di cui all’art. 194 T.U. 267/2000. 82 previsione annuale ha carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, fatta eccezione per i servizi per conto di terzi; – il bilancio di previsione annuale assicura il finanziamento degli impegni pluriennali assunti nel corso degli esercizi precedenti; – i documenti di bilancio devono essere redatti in modo da consentirne la lettura per programmi108, servizi ed interventi; – la parte spesa deve essere leggibile anche per programmi, dei quali va fatta analitica illustrazione in apposito quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e programmatica, con l’indicazione delle scelte gestionali. Al fine della verifica della coerenza dell’azione amministrativa nel suo complesso, al bilancio di previsione sono allegati alcuni documenti109. Dai punti che precedono risulta che il bilancio di previsione non è un mero documento contabile, ma è costituito invero da un complesso di atti, tutti finalizzati ad un unico scopo: l’ordinato e programmato svolgimento della vita amministrativa per lo sviluppo della comunità nel suo complesso. Si avverte, allora, come la programmazione dell’ente locale non è un momento dell’attività locale, ma un metodo di governo della comunità rappresentata, governo che coinvolge tutta la comunità e tutti gli aspetti della vita cittadina. Per quanto riguarda più particolarmente il comune, esso deve essere dotato di: – piano regolatore generale per la gestione del territorio; – Programma Pluriennale di attuazione (P.P.A.) per lo sviluppo ed attuazione 108 V. art. 165 comma 7 T.U.E.L. 109 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 233. 83 del P.R.G.; – Programmazione commerciale; – Programmazione esercizi pubblici; – Piano degli insediamenti produttivi. Senza i suindicati strumenti (specialmente in assenza di P.R.G.)110 non è possibile infatti redigere un programma politico-amministrativo né tanto meno le linee programmatiche (altrimenti dette strategiche) relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato111. Del resto tutti i suindicati atti sono legati all’identico fine dell’ordinato sviluppo della comunità insediata sul territorio considerato112. Per dare effettivo impulso e concretizzare quanto indicato negli atti di programmazione, l’ente deve dotarsi degli strumenti giuridici, nonché di risorse umane e finanziarie, programmando (prima ancora delle opere e lavori pubblici) l’assunzione del personale occorrente, per il tempo che si prevede di utilizzarlo. 110 V. a sua conferma il contenuto del P.R.G. ex art. 7 legge 17 agosto 1942 n. 1150. 111 Art. 46 comma 3 T.U.E.L. Entro il termine fissato dallo statuto, il sindaco o il presidente della provincia, sentita la Giunta, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato. 112 Ad esempio: gli artt. 13della legge n. 426/1971 (abrogata dal D.Lgs n. 114/1998) stabilivano il raccordo tra programmazione urbanistica e programmazione commerciale. 84 Il bilancio di previsione pluriennale è stato introdotto nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1 del D.P.R. 19 giugno 1979 n. 421113, come un allegato al bilancio annuale di previsione. Solo con l’art. 13 del D.Lgs. n. 170/2006 è stato affermato il concetto di sistema di bilancio114, correlando tra loro gli atti contabili e dichiarando che il sistema di bilancio è strumento di programmazione. Il bilancio pluriennale deve essere redatto tenendo conto delle linee programmatiche, del piano generale di sviluppo e degli indirizzi programmatici indicati nella relazione previsionale e programmatica. Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale – che per il primo anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza – hanno 113 Art. 1 comma 1 D.P.R. 421/1979. 114 Sistema della programmazione finanziaria e della rendicontazione: 1. Il sistema di bilancio degli enti locali costituisce lo strumento essenziale per il processo di programmazione, previsione, gestione e rendicontazione. Le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in merito ai programmi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed all'andamento dell'ente a favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica, sociale ed economico-finanziaria. 2. I documenti di programmazione e previsione hanno valenza pluriennale ed annuale ed i loro contenuti programmatici e contabili sono coerenti e interdipendenti. 3. Gli strumenti della programmazione di mandato sono costituiti dalle linee programmatiche per azioni e progetti e dal piano generale di sviluppo. 4. Il bilancio di previsione e' composto dalla relazione previsionale e programmatica, dal bilancio annuale e dal bilancio pluriennale ed e' deliberato entro il 31 dicembre dell'anno precedente quello cui si riferisce. 5. Sulla base del bilancio di previsione annuale, deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, ove previsto, il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi. 85 carattere autorizzatorio115, costituendo il limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione. Il bilancio pluriennale, in coerenza con i vincoli della programmazione, deve recepire i contenuti del programma che il governo locale intende realizzare nel triennio di riferimento116. Il bilancio pluriennale per la parte di spesa è redatto per programmi titoli, servizi ed interventi, ed indica per ciascuno l’ammontare delle spese correnti di gestione consolidate e di sviluppo, anche derivanti dall’attuazione degli investimenti, nonché le spese di investimento ad esso destinate, distintamente per ognuno degli anni considerati. Tutto ciò in applicazione del principio che le spese in conto capitale possono trovare il loro finanziamento nella contrazione di mutui e che le spese con le quali si finanzia la spesa corrente (che è rigida e non crea ricchezza) non possono essere più finanziate con mutuo a pareggio, ma solo con il coacervo delle entrate117. 115 Art. 171 comma 4 T.U.E.L. Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale, che per il primo anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza, hanno carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione. 116 Quindi la redazione del bilancio pluriennale necessariamente presuppone l’esistenza di una precisa volontà politica di attuazione di un programma (inteso in senso lato), il quale deve essere chiaro, ma non può essere preciso e stabile, in quanto le sue previsioni sono necessariamente soggette a variazioni dipendenti dall’ampio margine di incertezza dovuto all’adattamento della programmazione ai fatti intervenienti in itinere, ma, d’altro canto, sono autorizzatorie di spesa nei limiti degli stanziamenti. 117 Va tenuto presente che le cifre riportate nel bilancio pluriennale sono indicative (anche se autorizzatorie – come già detto – nei limiti della previsione legislativa) e 86 Il bilancio di previsione pluriennale118 ha assunto, a partire dalla riforma del 1990, un ruolo decisivo nella programmazione dell’ente locale, giacché riassume in sé l’intera manovra finanziaria, superando nel contempo l’erronea convinzione di un inutile allargamento del novero degli atti contabili. La verità è che ci si avvia dal 1990 a considerare l’intervento pubblico nel suo complesso, a partire dai soggetti minori che sono invero i più vicini alla comunità. la legge, inoltre, ha posto in capo al consiglio dell’ente l’obbligo di verifica annuale – salva diversa periodicità prevista dal regolamento di contabilità dell’ente –, dello stato di attuazione dei programmi, contestualmente alla verifica degli equilibri di bilancio119. Quindi con delibera consiliare occorre provvedere: 1) alla ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi; 2) alla verifica circa la permanenza degli equilibri generali di bilancio; 3) all’adozione, in caso di accertamento devono essere adeguati annualmente. 118 Ciò in ragione delle sue caratteristiche di atto con aggiornamento a cadenza almeno annuale, obbligatorio e necessario per legge, per il ruolo che esso ha nel processo di attuazione del programma del governo locale, ed unito funzionalmente in unicum inscindibile previsionale-annuale-pluriennale-relazione programmatica (alla cui approvazione quest’ultima è preordinata, costituendo la giustificazione in relazione ad ogni singola posta allocata nei due bilanci. 119 V. art. 193 T.U.E.L. Salvaguardia degli equilibri di bilancio. 87 negativo, dei provvedimenti necessari al ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio (riconoscibili o nei limiti della riconoscibilità) o dell’eventuale disavanzo di amministrazione prevedibile in base ai dati della gestione finanziaria, che siano stati comunicati, ripristinando, così, il pareggio. A supporto di tale attività è funzionale il controllo di gestione. La mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio – la cui necessità sia stata evidenziata in sede di verifica dello stato di attuazione dei 88 programmi o di controllo di gestione o altrimenti – provoca la sanzione 89 dello scioglimento del consiglio, e, quindi, dell’intera amministrazione120. La verifica più pregnante dell’azione amministrativa dovrebbe essere effettuata, in sede di rendiconto, dalla giunta. Per una corretta attività gestionale e per evitare la creazione di debiti fuori bilancio la legge, dopo aver stabilito le regole per l’assunzione di impegni e per l’effettuazione di spese (Parte II Titolo III Capo II T.U. n. 267/2000 ed art. 20 D.lgs. n. 170/2000), ha dettato le regole per la salvaguardia degli equilibri di bilancio (artt. 193 e 194 T.U. n. 267/200), introducendo stabilmente nell’ordinamento contabile locale l’istituto del riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ponendo a carico del consiglio comunale o provinciale l’obbligo di ristabilire il riequilibrio di bilancio, procedendo prioritariamente alla spesa in considerazione ed al riconoscimento dei debiti fuori bilancio. Con l’espressione di debito fuori bilancio,m <<che è sicuramente ellittica, devono intendersi quei residui passivi di fatto che derivano da impegni assunti irritualmente (cioè senza deliberazione dell’organo collegiale e/o oltre il limite dell’autorizzazione a spendere contenuta e quantificata nel bilancio di previsione) oppure impegni effettivamente tali in senso giuridico (ma non contabile) in quanto atti ad esporre l’ente 90 all’azione vittoriosa del creditore>>121. Quanto alla genesi, i debiti fuori bilancio erano sin dall’origine individuati in <<puri fatti (ad esempio produttori di danno e quindi del debito di risarcimento) o di pronunce giudiziarie, anche se sommarie (decreto ingiuntivo) o non definitive (sentenze non passate in giudicato)>>, riconoscendo, poi, che solo in alcuni casi può sussistere la discrezionalità <<in ordine alla riconoscibilità di un 120 L’art. 193 TUEL impone che l'intera gestione contabile degli enti locali sia ispirata al mantenimento degli equilibri inizialmente fissati dal consiglio in sede di approvazione del bilancio di previsione incentrato sul pareggio finanziario e sull'equilibrio economico. Nello specifico, si tratta di verificare che gli accertamenti delle risorse iscritte nei primi tre titoli delle entrate siano sufficienti a finanziare le spese correnti e le quote di capitale per rimborso di prestiti impegnate o da impegnarsi al titolo terzo della spesa e che il finanziamento degli investimenti iscritti al titolo secondo della spesa siano effettivamente finanziati con le entrate specifiche (avanzo di gestione, mutui, prestiti, conferimenti per trasferimenti in c/capitale) che si erano ipotizzate in preventivo e che le medesime si siano effettivamente concretizzate o realizzate. Ai fini del mantenimento degli equilibri generali di bilancio durante la gestione, l’attuale ordinamento finanziario e contabile, accanto alla scadenza del 30 settembre e relativa alla salvaguardia degli equilibri di bilancio, prevede un secondo momento di verifica che, disciplinato dal comma 8 dell’articolo 175 del Tuel, impone al Consiglio comunale di deliberare, entro il 30 novembre di ciascun anno, una variazione di assestamento generale di tutte le voci di entrata e di spesa, compreso il fondo di riserva. L’assestamento generale del bilancio rappresenta un momento importante della gestione finanziaria dell’ente perché consente di realizzare le ultime verifiche di bilancio e, nel caso di necessità, di porre in essere le dovute manovre correttive sull’andamento finanziario della gestione, in relazione alle indicazioni fornite dai vari responsabili dei servizi e dal responsabile del servizio finanziario dell’ente. L’assestamento costituisce un bilancio di verifica della gestione, contenente anche una previsione delle entrate e delle spese proiettate al 31 dicembre. Per quanto riguarda le entrate, in sede di assestamento si provvederà ad iscrivere in bilancio una nuova tipologia di risorsa non prevista in sede di predisposizione del bilancio di previsione. Infatti non occorre procedere a variazioni nel caso di maggiori accertamenti rispetto a quelli previsti, atteso che l’ordinamento finanziario e contabile non impone per le entrate alcun limite alla loro contabilizzazione. A differenza delle entrate, la variazione di assestamento sarà necessaria per far fronte a nuove o maggiori spese, dal momento che la previsione aggiornata del bilancio di previsione il limite invalicabile per l’assunzione degli impegni di spesa. Le nuove e/o maggiori spese troveranno copertura finanziaria nell’accertamento di nuove entrate o in una revisione degli interventi di spesa, anche se nella pratica quotidiana è alquanto difficile “sottrarre” risorse ai responsabili che pur di mantenere intatti i propri stanziamenti non esitano a determinare i cosiddetti “impegni generici” o “impegni di massima”. Nelle valutazioni da farsi in sede di assestamento generale, occorre prestare particolare attenzione al fondo di riserva il cui stanziamento dovrà essere tale da garantire l’ente dal verificarsi, nel mese di dicembre, di eventi non prevedibili che potrebbero compromettere il buon esito della gestione. Infatti dopo il 30 novembre l’amministrazione può disporre unicamente delle variazioni al piano esecutivo di gestione, entro il 15 dicembre e, dei prelevamenti dal fondo di riserva, entro il 31 dicembre. Il fondo di riserva ha la natura di accantonamento di risorse per dare elasticità alla gestione dell'ente locale in relazione al carattere autorizzatorio dei bilanci di previsione. Le cause economiche che giustificano la formazione del fondo di riserva vanno individuate nella possibilità che nel corso della gestione "si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le dotazioni degli interventi di spesa corrente si rilevino insufficienti" (art. 166, d.lgs. n.267/2000). Il DPR 421/79 prevedeva l'iscrizione in bilancio di tre fondi di riserva:1) il fondo di riserva ordinario, per integrare stanziamenti di spesa che nel corso della gestione si fossero resi insufficienti. Esso veniva utilizzato attraverso prelevamenti in favore di altri capitoli iscritti in 91 determinato debito fuori bilancio>>, ovvero che in alcuni casi il riconoscimento era atto dovuto122. La figura del debito fuori bilancio è stata, poi, introdotta nell’ordinamento giuridico dall’art. 24 L. aprile 1989 n. 144 , il quale dispone che << … i comuni e le Comunità montane provvedono, 123 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, all’accertamento dei debiti fuori bilancio bilancio e la detta utilizzazione era consentita sino alla data di chiusura dell'esercizio; 2) il fondo di riserva per spese impreviste, da utilizzare esclusivamente per l'istituzione di nuovi capitoli relativi a spese aventi carattere di assoluta necessità e che non si sarebbero potuti prorogare senza evidente detrimento di pubblici servizi o senza danno patrimoniale per l'ente. Anche per detto fondo era consentita l'utilizzazione entro il termine temporale del 31 dicembre e il fondo stesso non poteva essere imputato direttamente, ma solo stornato. 3) il fondo di riserva di cassa, anch'esso rientrante nel termine temporale del 31 dicembre, per integrare l'eventuale insufficienza di stanziamenti di spesa del bilancio di cassa. Con il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, il fondo di riserva di cassa è stato abolito in seguito all'abolizione del bilancio di cassa. Inoltre, in luogo del fondo ordinario e di quello per spese impreviste, viene previsto un unico fondo di riserva, per il quale è mantenuto il limite di importo massimo nella medesima misura del 2% delle spese correnti ed è aggiunto, però, anche un limite di importo minimo nella misura dello 0.30% delle stesse spese. Il fondo può essere utilizzato soltanto al fine di prelevare le relative disponibilità e di stornarle su altri stanziamenti di bilancio: questa caratteristica è implicita nella natura del fondo, poiché si tratta di un accantonamento di risorse su cui non possono essere imputati atti di spesa. Generalmente, il fondo di riserva viene utilizzato per: - integrazione degli interventi iscritti nella parte corrente del bilancio, allorché si dimostrino insufficienti; finanziamento di esigenze straordinarie di spesa: maggiori o nuovi interventi da collocare in bilancio, sia di parte corrente che in conto capitale. Il fondo è stanziato nella parte corrente del bilancio, ed in particolare costituisce oggetto di un apposito intervento iscritto tra le "funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo" e, nell'ambito di queste, tra gli stanziamenti degli "altri servizi generali". Si tratta del servizio con codifica "0108" che prevede anche l'intervento per il "Fondo svalutazione crediti". Tale servizio si risolve in un centro solamente contabile, di imputazione transitoria di voci di spesa che non sono associabili in bilancio ai singoli servizi. A consuntivo il "fondo di riserva" non apparirà poiché verrà stornato a favore di altri interventi, o costituirà un’economia di spesa, concorrendo alla formazione del risultato contabile di amministrazione. Le variazioni al bilancio sono di competenza dell’organo consiliare e possono essere deliberate, come detto, non oltre il 30 novembre di ciascun anno. Per effetto dell’articolo 42, comma 4, TUEL le variazioni di bilancio possono essere altresì adottate, nel rispetto di determinate norme giuscontabili, anche dalla Giunta. Infatti, l’organo esecutivo può variare il bilancio di previsione e i suoi allegati soltanto in via d’urgenza e salvo ratifica, a pena di decadenza, da parte dell’organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31 dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. In caso di mancata o parziale ratifica del provvedimento di variazione adottato dall’organo esecutivo, l’organo consiliare è tenuto ad adottare, nei successivi trenta giorni e comunque sempre entro il 31 dicembre dell’esercizio in corso, i provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata. La competenza a deliberare la variazione generale di assestamento è del consiglio e si ritiene che la stessa non possa essere adottata come "qualunque variazione" dall'organo esecutivo in via d'urgenza. L'atto di assestamento riguarda l'impostazione definitiva del bilancio di previsione annuale del quale attua la verifica generale di tutte le voci di entrata e di uscita: si inserisce nel processo di controllo e di verifica di stretta competenza consiliare che si è svolto nel corso dell'esercizio e che si conclude con l'adozione dell'assestamento finale di bilancio. L'organo competente a utilizzare il fondo di riserva è la Giunta che, ai sensi dell’art. 176 TUEL, può deliberare i prelevamenti dal fondo di 92 esistenti alla predetta data e, con deliberazioni dei rispettivi consigli, provvedono al relativo riconoscimento>> e che << … con la deliberazione suddetta il consiglio indica i mezzi di copertura della spesa ed impegna in bilancio i fondi necessari>>. Una prima riflessione è che il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, al momento della sua introduzione, costituiva un istituto temporaneo, cioè riserva entro il 31 dicembre dell’anno in corso. Tuttavia, l'organo esecutivo deve portare a conoscenza del Consiglio le variazioni avvenute, nei tempi stabiliti dal regolamento di contabilità. Da un punto di vista operativo, l'eventuale sovrastima di entrate o sottostima di spese, cioè in presenza di minori entrate o maggiori spese, la gestione corrente presumibilmente chiuderà con un disavanzo di competenza, che inciderà negativamente sul risultato complessivo di amministrazione. Dal punto di vista della gestione dei residui dovrà appurarsi che i residui attivi conservati non riguardino crediti di dubbia esigibilità o di difficile esazione, si valutino contemporaneamente le ragioni del loro mantenimento ed il loro grado di realizzazione, stimandone i tempi. L'eventuale insussistenza di residui attivi, infatti, inciderà negativamente sulla gestione dei residui con influenza sul risultato contabile di amministrazione. Riguardo alle regole contabili da rispettare in fase di variazione del bilancio, alle province, ai comuni, alle città metropolitane e alle unioni di comuni è fatto divieto di effettuare prelievi dagli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli quarto e quinto, al fine di aumentare gli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi tre titoli. Per le comunità montane, invece, sono vietati i prelievi dagli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli terzo e quarto per aumentare gli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi due titoli. Sono vietati, altresì, gli spostamenti di dotazioni dai capitoli iscritti nei servizi per conto di terzi in favore di altre parti del bilancio e gli spostamenti di somme tra residui e competenza. 121 C. Conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30. 122 Ibidem 123 Art. 24 Riconoscimento dei debiti fuori bilancio. 93 limitato nel tempo, previsto per ricondurre tutte le spese effettuate dagli enti locali territoriali nell’alveo del bilancio, sanando le spese aventi requisiti di riconoscibilità, che costituivano dei <<residui passivi di fatto>>, causati dal <<mancato rispetto in passato delle regole, giuridiche in genere e giuscontabili in particolare, proprie della gestione degli enti locali>>124. I comuni e le province, in applicazione delle disposizioni della citata disposizione di cui all’art. 24, avrebbero dovuto provvedere al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ove gli stessi avessero avuto i requisiti della riconoscibilità. Quindi, si era alla presenza di un vero e proprio dovere giuridico consistente nell’obbligo di procedere all’accertamento delle spese prive di copertura finanziaria, della loro presa in considerazione, del riscontro dell’esistenza dei requisiti per la loro riconoscibilità e nel conclusivo obbligo di riconoscerli (ovvero di imputarli all’ente), indicando le relative fonti di finanziamento125. Successivamente, il termine di scadenza per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio veniva più volta126, e con varie giustificazioni, prorogato, sino alla definitiva introduzione in modo stabile nell’ordinamento degli enti locali dell’istituto del riconoscimento dei debiti 124 C. conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30 125 Tutto questo era il frutto della politica legislativa riconducibile al decreto legge 1 luglio 1986, n. 318, dettato per il <<ripanamento bilanci deficitari e mutui agli enti locali>>, convertito in legge 9 agosto 1986 n. 4888, che introduceva l’art. 1-bis controllo della gestione. 94 fuori bilancio con l’art. 37 del decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, la cui lettera e) del primo comma, che originariamente prevedeva il riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti <<da fatti e provvedimenti ai quali non hanno concorso, in alcuna fase, interventi o decisioni di amministratori, funzionari o dipendenti dell’ente>>, veniva sostituita, consentendosi il riconoscimento di debiti fuori bilanci derivanti da <<acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza>>. In definitiva, mentre originariamente il Legislatore consentiva che potessero essere riconosciuti dall’amministrazione locale i debiti fuori bilancio per i quali non era ipotizzabile una responsabilità da parte di funzionari e/o amministratori nell’ordinazione della spesa in violazione delle norme giuscontabili che regolano l’impegno di spesa, quella successiva, recependo gli indirizzi giurisprudenziali in materia di responsabilità per danno patrimoniale, conferiva la facoltà agli enti locali di riconoscere i debiti fuori bilancio derivanti da <<acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento…>>. Veniva, così, modificata la disposizione di cui all’articolo 35 circa la non imputabilità all’ente dell’obbligazione scaturente da impegno di spesa 126 Ai sensi dell’art. 2 D.L. 25 maggio 1996 n. 287, non convertito ma fatto salvo, quanto agli effetti, dall’art. 1 comma 169 l. 23 dicembre 1996 n. 662, gli enti locali potevano provvedere sino al 31 dicembre 1996 al riconoscimento e finanziamento, ai sensi dell’art. 37 D.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77, dei debiti fuori bilanci maturati anteriormente al 13 giugno 1990, la cui conoscenza, riferita sia al “quantum” che all’”an”, sia intervenuta dopo il 15 luglio 1991 (T.A.R. Sardegna 30 maggio 97 n. 691). 95 assunto irritualmente per la parte del debito non riconoscibile, nei limiti suindicati. L’innovazione è stata di grande momento, in quanto ha permesso di sanare permanentemente i debiti fuori bilancio, ponendo la parte non riconoscibile del debito a carico di chi avesse reso possibile la formazione dell’obbligazione, intercorrendo il rapporto obbligatorio tra il privato creditore e il soggetto della P.A., che avesse agito in violazione delle disposizioni normative concernenti l’effettuazione delle spese dell’ente locale. Quindi, nell’ipotesi di cui alla lettera e) la violazione degli obblighi ex art. 35 è un presupposto e non più un limite al riconoscimento del debito. Del resto, nonostante le norme cogenti in materia di procedura di spesa, la formazione dei debiti fuori bilancio ancora resta una realtà patologica nella vita dell’ente locale, per cui è necessario adottare tutti gli accorgimenti affinché non si verifichi. Con la riformulazione della lettera e) del comma 1, dell’articolo 37 si è recepita soprattutto l’elaborazione giurisprudenziale della Corte dei conti, ma anche del giudice ordinario, sicché per gli enti locali territoriali è divenuto essenziale il momento dell’accertamento del debito fuori bilancio; infatti il riconoscimento presuppone la dimostrazione dell’effettiva utilità che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui, che non è circoscritta al’arricchimento, inteso soltanto come accrescimento patrimoniale, potendo consistere anche in un risparmio di spesa127, tenendo comunque conto di tutti i vantaggi che l’ente ha ricevuto dal comportamento irrituale. 127 Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 luglio 1996, n. 6332. 96 2.4) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI AUTARCHICI La ripartizione di base tra gli enti pubblici è tra autarchici ed economici, che si riferiscono allo svolgimento di attività amministrativa o imprenditoriale con applicazione di formazione diversa. Gli enti autarchici a loro volta si distinguono in territoriali – quali regioni, province, città metropolitane e comuni – e non territoriali, a seconda che il territorio sia considerato o meno elemento costitutivo dell’ente. Questi ultimi si distinguono poi in enti istituzionali – quali l’INPS, l’INPDAP, ecc. – e associativi – quali il CONI, gli ordini ed i collegi professionali, ecc. –, a seconda che prevalga nella loro struttura l’elemento patrimoniale o personale. Va osservato che gli enti pubblici non territoriali si trovano tutti in situazione di correlazione di vario grado e tipo con lo Stato o altro ente territoriale in modo da realizzare il collegamento anche indiretto con le varie comunità. Sotto tale profilo si possono distinguere enti indipendenti, strumentali ed ausiliari. I primi sono centri di riferimento di interessi di gruppi che esistono nella collettività e per il loro rilievo generale sono elevati al rango di enti pubblici, quali gli ordini ed i collegi professionali128. Gli enti strumentali sono quelli che esercitano funzioni e servizi rientranti tra quelli propri di altri enti, in genere territoriali, quali l’INPS, Università degli studi, Istituti statali di istruzione, gli enti subregionali, le 128 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1979, pp. 186 e ss. 97 aziende municipalizzate, gli enti economici gestori di servizi, ecc.: si tratta del fenomeno del decentramento autarchico129. Gli enti ausiliari, invece, sono quelli che svolgono compiti di enti pubblici territoriali, ancorché ne completino l’azione, affiancandosi ad essa o integrandola: si tratta del fenomeno del policentrismo autarchico130, che comprende le Università non statali, gli Istituti di credito di diritto pubblico e alcuni enti economici. Per porre ordine nel variegato panorama dell’entificazione pubblica a livello nazionale, è intervenuta la legge 20 marzo 1975, n, 70, che ha tra l’altro individuato vari tipi di ente pubblico131 relativamente ai quali ha inteso fissare alcune disposizioni comuni, che sono espressamente escluse per altri. Al fine di uniformare l’ordinamento finanziario e contabile degli enti pubblici nazionali, di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, il regolamento contenuto nel D.P.R. 27 febbraio 2003 n. 97 pone principi e disposizioni di 129 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, p. 186. 130 A.M. SANDULLI, op. cit., p. 186. 131 Enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza, enti di assistenza generica, enti di promozione economica, enti preposti a servizi di pubblico interesse, enti scientifici di ricerca e sperimentazione e enti culturali e di promozione artistica. 98 massima, che però possono essere integrati con regolamenti degli enti stessi, in ragione dell’assetto dimensionale ed organizzativo132. Viene affermata chiaramente la separazione tra direzione politica e di controllo, da un lato, e attuazione della programmazione e gestione delle risorse, dall’altro. L’assetto organizzativo dell’ente si compone di centri di responsabilità, determinati con riferimento ad aree omogenee di attività, anche di carattere strumentale, inerenti alle competenze istituzionali, cui è preposto un dirigente o altro funzionario. Il titolare del centro di responsabilità è responsabile della gestione e dei risultati derivanti dall’impiego delle risorse umane, finanziarie e strumentali assegnategli. Il processo di pianificazione, programmazione e budget si articola nei seguenti documenti: – la relazione programmatica, redatta ogni anno dall’organo di vertice, descrive le linee strategiche dell’ente da intraprendere o sviluppare in un arco temporale definito (normalmente coincidente con la durata del mandato); – il bilancio pluriennale, con caratteristiche analoghe a quello dello Stato; – il bilancio di previsione, predisposto dal direttore generale, è deliberato dal precedente cui il bilancio stesso si riferisce, salvo diverso termine previsto da norme di legge o di statuto; quindi è approvato, salvo diverso termine previsto da norme di legge o di statuto; quindi è approvato, salva diversa disposizione normativa, dall’amministrazione vigilante, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze. Esso, nel rispetto dei principi previsti per il bilancio dello Stato, è 132 Il regolamento di contabilità, deliberato dall’organo di vertice, è trasmesso all’amministrazione vigilante e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. 99 composto dai seguenti documenti: a) il preventivo finanziario133, b) il quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria, c) il preventivo economico134. Ad esso sono poi collegati: a) il bilancio pluriennale, b) la relazione programmatica, c) la tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione, d) la relazione del collegio dei revisori dei conti; –la tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione, – il budget (finanziario ed economico) dei centri di responsabilità di 1° livello. Deve essere utilizzata altresì la contabilità analitica, la quale – in uno con la contabilità generale – costituisce il sistema informativo aziendale135. Gli enti pubblici di piccole dimensioni hanno la facoltà di redigere il bilancio di previsione ed il rendiconto generale in forma abbreviata (art. 48), quando nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi 133 Il preventivo finanziario, in particolare, si distingue in “decisionale” e “gestionale” ed è formulato in termini di competenza e di cassa. Esso si articola, per le entrate e per le uscite, in centri di responsabilità di 1° livello, stabiliti in modo che a ciascun centro corrisponda un unico responsabile con incarico dirigenziale, o funzionario, cui è affidata la relativa gestione. 134 Il preventivo economico, invece, è costituito dalla somma dei budget economici dei centri di responsabilità di 1° livello, che a loro volta sono elaborati come sintesi dei budget economici di tutti i centri di responsabilità ad essi subordinati. 135 Essa mira essenzialmente ad orientare le decisioni aziendali secondo criteri di convenienza economica, assicurando che le risorse siano impiegate in maniera efficiente ed efficace per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, anche attraverso l’analisi degli scostamenti tra obiettivi fissati in sede di programmazione e risultati conseguiti. 100 consecutivi, non superano due dei seguenti parametri dimensionali, desunti dagli ultimi rendiconti generali approvati, ossia a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale136, b) totale delle entrate accertate, con esclusione delle partite di giro137, c) dipendenti in servizio al 31 dicembre di ciascun anno considerato138. Se per il secondo esercizio consecutivo vengono superati due dei suddetti limiti, gli enti devono redigere il bilancio in forma ordinaria. Il bilancio di previsione in forma abbreviata – redatto in guisa da rendere praticabile il monitoraggio, la verifica ed il consolidamento dei conti pubblici – si compone, in particolare, dei seguenti tre documenti: a) preventivo finanziario gestionale; b) quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria; c) preventivo economico in forma abbreviata. Quanto agli enti subregionali, la normativa concernente le gestioni finanziarie è contenuta nella legislazione regionale e nei relativi statuti, non trovando applicazione diretta quella surriferita. I bilanci di essi sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e 136 Nella fattispecie 2,5 milioni di euro. 137 1 milione di euro. 138 25 unità. 101 dalle leggi regionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione139. CAPITOLO III IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI 3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI Il termine controllo è stato usato sia dal legislatore che in dottrina per indicare attività eterogenee, così che a rigore non appare possibile individuare una funzione di controllo come tale, con peculiari caratteri distintivi140. La stessa nozione di controllo sulla pubblica amministrazione, se finora è stata intesa, in conformità al significato etimologico del termine (dal francese contre rôle), come ricomprendente qualsiasi attività di riscontro o vigilanza attuata alla stregua di un precedente parametro di 139 Cfr. D.Lgs. n. 76/2000, art. 12 “Bilanci degli enti dipendenti dalla regione e spese degli enti locali”: 1. I bilanci degli enti e degli organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dalla regione sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e dalle leggi regionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione. 2. Nei bilanci degli enti e degli organismi di cui al comma 1, le spese sono classificate e ripartite in conformità quanto disposto nell'articolo 10. 3. La legge regionale detta norme per assicurare, in relazione alle funzioni delegate dalle regioni agli enti locali, la possibilità del controllo regionale sulla destinazione dei fondi a tale fine assegnati dalle regioni agli enti locali. 102 valutazione ed in vista di una possibile misura sanzionatoria, viene sempre più spesso estesa fino ad includere le fattispecie concettualmente diverse del controllo-direzione o indirizzo, in cui la verificazione funzionale all’esercizio della potestà di direzione. Sono principalmente le esigenze provocate dalle tecniche contemporanee d’amministrazione (gestione per obiettivi, sistemi di programmazione di bilancio, ecc.) mutuate dal management privato, a far assumere al controllo questo nuovo contenuto, che si caratterizza come attività rivolta a confrontare i risultati di una gestione con gli obiettivi prefissati, il tutto in un processo continuo che permetta di tener conto di questi risultati per raggiustare i programmi in funzione delle possibilità e delle circostanze sopravvenute141. Ma è stata anche l’inidoneità dei controlli tradizionali, sprofondati nel formalismo e divenuti incompatibili per la loro lentezza con le esigenze di un’amministrazione moderna, a spingere alla ricerca di nuovi sistemi di controllo e a tentare, pur tra gli inevitabili insuccessi, il trapianto di tecniche ideate per operare in contesti organizzativi ben diversi. Fondamentale classificazione dei controlli sull’amministrazione statale è quella che distingue i controlli interni, che l’amministrazione – intesa sia come singolo ministero che come potere esecutivo nel suo 140 Sul concetto di controllo v. M.S. GIANNINI, Controllo: nozione e problemi, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1974, p. 1264 e ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Il controllo di legittimità, Padova, 1984; F. GARRI, La tipologia dei controlli e il problema del loro coordinamento, in Foro Amm., 1986, p. 1978. 141 Sul punto v. O. SEPE, L’efficienza dell’azione amministrativa, Milano, 1975, p. 181 e ss. 103 complesso – esercita su se stessa, dai controlli esterni, provenienti da organismi ad essa estranei. Tra i controlli interni, all’inizio ha avuto la maggiore diffusione il controllo c.d. gerarchico: costituisce attributo tipico dei poteri di supremazia gerarchica quello di controllare l’azione dei subordinati per garantire il miglior funzionamento dei servizi. Spesso nell’esercizio di questa funzione l’autorità gerarchicamente sovraordinata gode dell’ausilio di appositi corpi ispettivi – quali si riscontrano, ad esempio, nell’amministrazione della pubblica istruzione o delle finanze – incaricati di compiere accertamenti in loco. Un’altra forma di controllo interno da tempo radicatasi nella nostra esperienza istituzionale è quello di bilancio; esso è stato introdotto in molti ordinamenti simili al nostro nel periodo storico tra le due guerre mondiali, con la finalità essenziale di porre un freno alla spesa pubblica, limitando l’autonomia di spesa dei singoli ministri a favore di uno di loro preposto ad una amministrazione finanziaria (del bilancio, delle finanze o del tesoro). Questo controllo si esercita primariamente nella formazione del bilancio, prima che sia sottoposto al parlamento. Negli ultimi anni il nostro ordinamento ha conosciuto un’ulteriore - e più ampia e generalizzata – forma di controllo interno, di tipo gestionale, esercitato da ogni amministrazione al proprio interno; tale ultima forma di controllo interno è stata, da ultimo, sistemata e regolamentata dal D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 286. In seguito all’entrata in vigore di detta normativa, tutte le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia, devono dotarsi di <<strumenti adeguati a: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l'efficacia, efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione); c) valutare le prestazioni del personale con 104 qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d) valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico)>> (art. 1 del D.Lgs. in esame)142. I controlli esterni si presentano in forme e con caratteri diversi a seconda dei soggetti che li pongono in essere. Rientra tra questi, in primo luogo, il controllo esercitato dal parlamento, mediante l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi dello Stato e gli altri strumenti, propri del sindacato parlamentare (inchieste, interrogazioni, interpellanze, ecc.) rivolti a condizionare l’azione del governo ed a rendere operante la sua responsabilità politica. Esterno è, poi, naturalmente anche il controllo esercitato dagli organi giurisdizionali, sia ordinari che amministrativi; esso si esercita attraverso la risoluzione di controversie tra l’amministrazione e gli amministrati e può comportare l’annullamento o la disapplicazione di atti amministrativi lesivi di diritti o interessi legittimi degli stessi. Infine, controllo esterno è (in moltissimi Stati) quello esercitato dalla corte dei conti, che rappresenta, ovunque sia stata prevista, anche se con le inevitabili diversità nelle modalità di funzionamento e nella collocazione istituzionale e configurazione giuridica, il massimo organo di controllo della pubblica amministrazione. Nell’ambito dei controlli esterni fondamentale è la distinzione tra controlli sugli atti e controlli sugli organi o le persone: nel primo caso 142 Vedasi, amplius, sull’argomento, AA. VV., Controlli, strategici, controlli direzionali e controlli di valutazione. Prime riflessioni sul decreto legislativo n. 286 del 1999, Atti del convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 1999, a cura della corte dei conti-Seminario permanente sui controlli, Roma, 2001. 105 oggetto del riesame sono i singoli atti compiuti dall’organo; nel secondo è il comportamento delle persone fisiche preposte agli uffici o la condotta dell’organo come tale che viene fatta oggetto del sindacato. I controlli sugli atti mirano ad evitare la formazione o l’efficacia di atti illegittimi o inopportuni; i controlli sugli organi mirano ad influenzare il comportamento degli amministratori titolari degli organi, cui può accadere di essere sospesi, rimossi o (per gli organi collegiali) sottoposti a scioglimento da parte del soggetto controllante. I controlli sugli atti a loro volta, si possono distinguere in: – preventivi; – successivi; – di legittimità; – di merito. Preventivi sono i controlli che vengono esercitati prima che l’atto sia formato o dopo la formazione dell’atto stesso, ma prima della sua esecuzione. Successivi sono i controlli che intervengono dopo che l’atto ha già dispiegato in tutto o in parte i suoi effetti e mirano ad impedirne, eventualmente, l’ulteriore produzione143. La distinzione tra controlli di legittimità e di merito attiene invece alla diversità del parametro alla cui stregua è operato il riesame dell’atto da parte dell’organo di controllo: nel primo caso tale parametro è costituito dalle norme di legge o di regolamento; nel secondo da criteri di opportunità o di buona amministrazione. All’assoluta oggettività del primo parametro fa riscontro la parziale soggettività del secondo, che lo stesso controllore contribuisce a formulare. In altri termini: – il controllo di legittimità mira ad accertare la presenza nell’atto di vizi di legittimità, che si riassumono nella formula della <<violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere>>; – il controllo di merito comporta un’indagine più penetrante, in quanto 143 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., Padova, 2009, p. 266 e ss. 106 estesa ad accertare, oltre ai vizi suddetti, anche quelli desumibili dalla semplice inopportunità o idoneità dell’atto. La sospensione, la rimozione e lo scioglimento sono, come abbiamo visto, le più importanti manifestazioni del controllo sugli organi, dobbiamo ora accennare ai principali provvedimenti cui dà luogo l’esercizio del controllo sugli atti144. Innanzitutto, le autorizzazioni e le operazioni, che sono entrambe espressione di un controllo preventivo al merito. Le differenze, peraltro, tra i due atti, almeno in teoria (la pratica ci offre anche esempi di autorizzazioni ex post, concesse in sanatoria, sono nette: mentre l’autorizzazione, infatti, rimuove un limite posto da una norma giuridica all’esercizio di un potere, con l’approvazione, invece, si attribuisce efficacia ad un atto già compiuto e perfetto, ma inefficace. Il carattere preventivo dell’autorizzazione deriva dal fatto che precede il realizzarsi dell’atto, in quanto rientra tra i presupposti oggettivi del suo procedimento di formazione: l’approvazione, invece, costituisce un controllo preventivo perché precede e condiziona l’esecuzione dell’atto. Altro atto di controllo è il visto: esso aveva natura non diversa dall’approvazione nei casi in cui era attribuito alla competenza del prefetto ed esteso al merito; è espressione, invece, di un controllo di sola legittimità il visto della corte dei conti sugli atti del governo. Da ricordare, infine, l’annullamento, che rappresenta lo strumento per l’esercizio del controllo generale di legittimità sugli atti degli enti locali. Una posizione a sé stante riveste il controllo sostitutivo, che consegue alla inerzia, alla impossibilità di funzionare o al cattivo funzionamento dell’organo controllato e comporta la sostituzione dell’organo di controllo o 144 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267 e ss. 107 di un suo delegato (commissario) nel compimento di uno o più atti di competenza dell’organo controllato e nell’esercizio esclusivo di tutte le sue attribuzioni. Quando la sostituzione è parziale e si concreta nell’esclusione della legitimatio agendum dell’organo controllato, il controllo sostitutivo viene fatto rientrare tra i controlli sugli atti; oggetto del controllo consideratosi, anziché un atto positivo, l’omissione di un atto obbligatorio. La sostituzione totale, che comporta la esclusione della legitimatio ad officium dei titolari degli organi ordinari sostituiti da organi straordinari, più che un nuovo controllo rappresenta l’effetto da organi straordinari, più che un nuovo controllo rappresenta l’effetto dell’intervenuto esercizio del controllo sulle persone. Ritornando all’argomento oggetto di trattazione, possiamo dire che, la Costituzione Repubblicana, prima della recente riforma costituzionale (l. cost. n.3/2001145) disciplinava i controlli sugli atti degli enti locali minori nell’art. 130 – ora abrogato dall’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – che così recitava: <<Un organo della regione, costituito nei modi stabiliti dalla legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito nella forma richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione>>. Tra le più importanti caratteristiche di tale sistema costituzionale vi era l’attribuzione del controllo ad <<un organo della regione>>146. 145 Supra, Cap. II, par. 1. 146 108 Al riguardo, va evidenziato che la dottrina tradizionale aveva sempre concepito il controllo sugli enti pubblici in genere ed enti locali in particolare come tipica funzione statale. Questa opinione dottrinale conseguiva logicamente alla concezione che si aveva della natura dello Stato e degli enti pubblici: lo Stato, personificazione dell’ordinamento giuridico e solo soggetto abilitato a qualificare tutto ciò che esiste nel suo ambito; gli enti pubblici, individuabili come tali proprio in forza della particolare relazione in cui si trovano con lo Stato. Ente pubblico, in particolare – secondo la dottrina dominante quando è entrata in vigore la Costituzione – è l’ente che persegue fini che sono propri anche dello Stato, così che nel suo agire cura contemporaneamente il proprio interesse e l’interesse statuale147. Ne consegue che lo Stato non può restare indifferente sia all’an che al quomodo dell’azione degli enti pubblici e risulta chiara, allora, la titolarità, da parte dello Stato, di più o meno ampi poteri di controllo, rivolti a garantirlo dell’esercizio, legittimo ed opportuno, dei suoi compiti da parte dell’ente pubblico. attraverso il controllo lo Stato recepisce nel suo ordinamento gli atti degli enti locali, Sul sistema costituzionale dei controlli sugli enti locali: T. MIELE, Il sistema dei controlli da parte degli organi regionali sui comuni e sulle province, in Nuova rassegna, 1965, p. 3049; F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e l’ordinamento regionale, in Riv. amm., 1956, p. 242; D. SERRANI, Il controllo delle regioni sugli enti locali, in Foro amm., 1971, III, 44; M. SCUDIERO, I controlli sulle regioni, sulle province e sui comuni nell’ordinamento costituzionale italiano, Napoli, 1964; U. DE SIERVO, Tensioni e tendenze sui controlli sugli enti locali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, p. 1053; G. SPERANZA, Ricognizione dei controlli sugli elementi locali nelle regioni a statuto ordinario, in Foro amm., 1973, II, p. 38; A.M. SANDULLI, I controlli sugli enti territoriali nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, p. 575, L.A. MAZZAROLLI, I controlli sugli atti degli enti locali, in Dir. e soc., 1979, n.1. 147 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 268. 109 cioè, attribuisce loro l’idoneità ad esplicare i propri effetti come atti dell’amministrazione statale148. Secondo questa dottrina, l’assegnazione alla regione del controllo sugli enti locali operata dall’art. 130 Cost., rappresentava <<una deviazione dai principi>>, una stortura logico-giuridica, tale da obbligare l’interprete a considerare questa funzione, nonostante la dizione costituzionale, come funzione statale esercitata dalla regione149. La funzione di controllo sugli enti locali, in quanto tipica funzione statale, non poteva – secondo questa opinione dottrinale – essere esercitata dalla regione se non per conto e nell’interesse dello Stato, ad evitare l’errore dell’interprete di considerare gli enti locali minori come enti dipendenti dalla regione. Peraltro, la tesi ora esposta, anche se autorevole non è condivisa da altra parte della dottrina150. In effetti, il costituente operò una scelta, per quanto rivoluzionaria potesse apparire, a ragion veduta: dalla relazione, infatti, all’assemblea costituente della commissione per la riforma dell’amministrazione (di cui era autorevole membro lo Zanobini) è 148 Su questo punto si veda l’analisi di G. BERTI, La responsabilità pubblica (Costituzione e Amministrazione), Padova, 1997, p. 5 e ss. 149 Così T. MIELE, op. cit., p. 3501 e ss.; v. anche A. ZENOBINI, La norma della Costituzione intorno ai controlli sugli enti locali, In scritti vari di diritto pubblico,Milano, 1955, p. 397. 150 Contra F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 269 e ss. 110 possibile notare come la tesi della statualità del controllo, accanto a quella della sua necessità, sia stata chiaramente prospettata al costituente, ma non incontrò il favore dell’apposita Sottocommissione dell’assemblea, presso la quale l’unica alternativa avanzata al controllo della regione fu quella dell’autocontrollo degli enti locali. È quindi necessario pensare che la scelta a suo tempo operata con l’art. 130 Cost. si giustificasse col nuovo disegno costituzionale circa la posizione e i rapporti reciproci dello Stato e degli alti enti pubblici, disegno che aveva il suo punto di forza nella solenne proclamazione delle autonomie locali, contenuta nell’art. 5. Ad un sistema politico caratterizzato da uno Stato accentratore al quale si affiancavano enti ausiliari, strumento per un’amministrazione statale indiretta, la Costituzione Repubblicana ha sostituito cioè un ordinamento pluralistico, in cui nell’ambito della <<Repubblica, una e indivisibile >>, trovano posto, accanto allo stato, gli enti comunitari locali, la cui autonomia, preesistente nella realtà sociale, viene riconosciuta e non creata dallo Stato. Ma qual’era, allora, il significato concreto dell’attribuzione del controllo ad un “organo della regione”? Innanzitutto, tale organo doveva avere sede presso l’amministrazione regionale ed avvalersi, per i servizi ausiliari ed esecutivi e per l’attività istruttoria, di un apparato burocratico fornito dalla regione; secondariamente la costituzione formale dell’organo andava riservata ad un atto della regione; infine doveva anche escludersi che l’organo di controllo potesse essere composto in prevalenza da elementi designati dallo Statopersona. La regionalità dell’organo, in altri termini, era da riferire soltanto ad aspetti organizzativi e strutturali, mentre sotto il profilo funzionale l’organo doveva godere di piena indipendenza dalla regione ed a tal fine si 111 suggeriva, ad es., di estrarne i componenti da categorie espressione dello Stato-comunità, cioè tra i magistrati151. L’altra innovazione più saliente, dopo quella relativa alla titolarità della funzione, risultante dall’art. 130 Cost., concerneva il modo in cui veniva formulato il controllo di merito. Analogamente a quanto prescriveva L’art. 125 per il controllo sulle regioni (norma anch’essa abrogata dall’art. 9 L. Cost. 2/2001, cit.), la norma in esame prevedeva la possibilità che anche sugli enti locali minori venisse esercitato un controllo di merito e, anziché lasciare alla piena discrezionalità del legislatore ordinario di disciplinare i modi di esercizio, stabiliva direttamente che esso dovesse aver luogo nella <<forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione>>. Il controllo di merito, quale era esercitato dallo Stato nel sistema dei controlli precostituzionali, era infatti lesivo della autonomia degli enti locali, comportando nella sostanza uno spostamento dell’ordine formale delle competenze; per questo in seno all’assemblea costituente si era manifestata una forte opposizione alla permanenza di questo controllo di merito, che poté, invece, essere superata attraverso l’adozione della formula della richiesta di riesame. Tale istituto consisteva in un invito alla rimeditazione della deliberazione adottata che l’organo di controllo rivolgeva all’ente controllato, accompagnando la sua richiesta con l’esposizione dei motivi e delle considerazioni alla luce dei quali non si giustificava la scelta operata dall’ente. Nella sostanza si trattava di una forma di collaborazione svolta allo scopo di rendere possibile all’ente locale di assolvere meglio ai suoi compiti; tutto ciò nel pieno rispetto 151 A.M. SANDULLI, I controlli, op. cit., p. 583. 112 dell’autonomia dell’ente che restava libero di insistere nel proprio convincimento e di portare ad esecuzione il proprio deliberato. La stessa dottrina152 è dell’avviso che, così configurato, il controllo di merito avesse una sua giustificazione nei confronti degli enti locali di piccola dimensione (quanto a popolazione e a rilevanza degli interessi curati); nei confronti degli enti locali di piccola dimensione153; nei confronti degli enti più importanti, forniti di rappresentanze politico-amministrative più selezionate e dotati di apparati burocratici più efficienti, era invece assai difficile che l’organo di controllo potesse prospettare considerazioni e argomentazioni sfuggite all’esame dell’organo deliberante. Ad ogni buon conto la norma costituzionale rimetteva alla discrezionalità del legislatore non soltanto individuare gli atti da sottoporre al controllo di merito, ma anche decidere se applicare o meno questo ulteriore controllo, oltre quello di legittimità. 3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI In attuazione dell’art. 130 della Costituzione fu emanata la legge Scelba154, n. 62 del 1953, la quale ha dettato, al capo III, una serie di disposizioni rivolte a disciplinare l’esercizio dei controlli sugli atti delle province, dei comuni e dei consorzi. 152 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 271 e ss. 153 Relativamente alla popolazione e alla rilevanza degli interessi curati. 113 L’art. 55 di detta legge prevedeva l’istituzione nel capoluogo di ogni regione di un comitato per il controllo sulla provincia, composto: 1) da tre esperti nelle discipline amministrative, eletti dal consiglio regionale; 2) da un membro nominato dal commissario del governo; 3) da un giudice del tribunale regionale amministrativo, designato dal presidente dello stesso tribunale. Il comitato era formalmente costituito con atto del presidente della giunta regionale e durava in carica quanto il consiglio regionale (cioè 5 anni, salvo il caso di anticipato scioglimento del consiglio stesso ai sensi dell’art. 126 della Costituzione). Secondo l’articolo 56 della Legge n. 62 del 1953 spettava allo statuto regionale stabilire se il controllo sugli atti dei comuni dovesse essere esercitato dallo stesso comitato incaricato del controllo sulle province ovvero svolgersi in forma decentrata nei capoluoghi di provincia. Questa seconda soluzione comportava la costituzione di speciali sezioni del comitato. Lo statuto regionale poteva anche prevedere che talune sezioni esplicassero le loro funzioni nei capoluoghi (od in alcuni di essi) dei circondari. Circa l’oggetto del controllo in questione, l’art. 59 della legge n. 62 del 1953 stabiliva che il controllo di legittimità dovesse essere esercitato nei confronti degli stessi atti già sottoposti, nel regime precostituzionale, al 154 Mario Scelba (Caltagirone, 5 settembre 1901 – Roma, 29 ottobre 1991) è stato un politico italiano, presidente del Consiglio dei ministri italiano dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955. Membro della prima ora del Partito Popolare. Con le elezioni del 1948 diventò deputato al Parlamento Italiano. Fu ministro dell'interno dal 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953 (dall'11 luglio al 18 settembre 1952 si fece sostituire da Giuseppe Spataro perché colpito da malattia), dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955 e dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1961; fu Presidente del Consiglio dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955. 114 controllo prefettizio. Ed aggiungeva, disciplinando il procedimento di controllo, che <<l’annullamento delle deliberazioni illegittime deve essere pronunciato entro venti giorni dal ricevimento dei processi verbali, con ordinanza motivata in cui venga enunciato il vizio di legittimità riscontrato nella deliberazione>>. <<Il termine suddetto>> – proseguiva la norma – <<rimane sospeso se, prima della scadenza, l’organo di controllo chieda chiarimenti o elementi integrativi di giudizio alla provincia od al comune. In tal caso, la deliberazione diviene esecutiva se l’organo di controllo non ne pronuncia l’annullamento entro 20 giorni dal ricevimento delle controdeduzioni della provincia e del comune>>. Disciplinava invece il controllo di merito sugli enti locali l’art. 60 della Legge n. 62 del 1953. La legge di riforma del 1990 disciplinava i controlli sugli atti nel capo XII, artt. 41-50, norme successivamente modificate dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha totalmente abrogato gli artt. 45, 46 e 48, concernenti, rispettivamente, l’oggetto, il procedimento di controllo e il potere sostitutivo. Il legislatore del ’90 preferì muoversi su un piano di razionalizzazione più che di natura rispetto al precedente sistema; in genere la nuova disciplina sembrò soprattutto preoccuparsi di correggere gli aspetti più marcatamente criticati ed ormai insostenibili del vecchio regime, con interventi di razionalizzazione ma in una linea di sostanziale continuità dell’indirizzo precedente. In particolare, per quel che riguarda l’oggetto del controllo, l’abrogato art. 45 della l. 142, sotto il titolo <<deliberazioni soggette al controllo preventivo di legittimità>>, individuava l’oggetto del controllo in misura assai più ridotta che nel passato ed in forme diversificate, che comprendevano sia un controllo necessario che uno eventuale, da esercitarsi a seguito di iniziativa esterna all’organo di controllo. 115 Il controllo necessario riguardava tutte le deliberazioni del consiglio, che nel nuovo ordinamento è <<l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente locale>> ed ha competenze, come si è visto, per gli atti normativi, di indirizzo e programmatici nonché per alcuni atti di natura più direttamente gestionale ritenuti particolarmente importanti. L’istituto del controllo eventuale, la cui introduzione era stata largamente auspicata nel dibattito politico-dottrinale precedente alla riforma per ragioni soprattutto di snellezza operativa, rappresentava una novità assoluta nell’ordinamento comunale e provinciale ed aveva caratteri peculiari che lo differenziavano anche da precedenti modelli in vigore per altri enti. Esso non era successivo ma preventivo, e, soprattutto, la sua attivazione non era rimessa all’iniziativa del controllore (né di altri soggetti estranei all’amministrazione locale), ma dagli stessi amministratori secondo una articolata modulazione di interventi155. Era, innanzitutto, previsto che, a richiesta di un terzo o un quinto dei consiglieri, fatta entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, in forma scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate, dovessero essere sottoposte al controllo le deliberazioni della giunta rientranti nelle seguenti materie: a) acquisti, alienazioni, appalti ed in generale tutti i contratti; b) contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a dipendenti o a terzi; c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale (art. 45, comma 2). In secondo luogo, sempre su richiesta scritta e motivata dello stesso numero di consiglieri, qualsiasi deliberazione della giunta, a prescindere dal suo oggetto, doveva essere sottoposta al controllo qualora se ne contestasse 155 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 274. 116 la legittimità sotto il profilo dell’incompetenza o del contrasto con atti fondamentali del consiglio )art. 45, comma 4). Infine su iniziativa dell’organo consiglio, e non più soltanto di un certo numero di suoi componenti, poteva essere sottoposta al controllo qualsiasi deliberazione della giunta, senza preclusioni né con riguardo all’oggetto né ai vizi di legittimità rilevabili (art. 45, comma 1). Come accennato, la legge n. 127 del 1997 ha innovato notevolmente la materia. In particolare, disponeva l’art. 17, comma 33 della succitata norma: <<il controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti locali si esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile, sui bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, sul rendiconto della gestione>>. Accanto a questo controllo, che doveva essere necessariamente esercitato perché condizionava gli atti ad esso soggetti, la normativa in esame, nel comma successivo, prevedeva anche un controllo eventuale sulle deliberazioni della giunta subordinando alla sua iniziativa ed anch’esso preventivo. Infine era prevista un’altra forma di controllo eventuale, con caratteristiche diverse per l’oggetto e, soprattutto per il soggetto ed il procedimento di controllo156. La suddetta normativa sul controllo preventivo aveva carattere generale e non escludeva che per fattispecie particolari potessero coesistere discipline specifiche: così la nomina di un commissario ad acta a cura del prefetto era (ed è tuttora) prevista da diverse leggi di settore oltre che da altri articoli della l. 142/90 (cfr. artt. 36, comma 4 e 38, comma 7). Controlli 156 Cfr. F. STDERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 442 e ss. 117 sostitutivi sono stati anche introdotti per casi particolari da leggi regionali di conferimento di funzioni ex D.lgs. n. 112/1998. Il controllo di merito, quale previsto dalla Costituzione e disciplinato dalla l. n. 62 del 1953, rappresentava una forma di collaborazione, offerta nei modi più rispettosi dell’altrui potere decisionale, al solo scopo di rendere possibile all’ente locale di assolvere meglio ai suoi compiti. La normativa innanzi descritta è stata trasfusa nel T.U. n. 267/2000 con pochissime modifiche; le relative norme sono contenute nel capo I (articoli da 124 a 140) del titolo VI del T.U., dedicato appunto ai controlli. Le norme suddette hanno sostanzialmente confermato la previgente struttura del controllo preventivo di legittimità su atti, limitandosi più che altro a dare sistemazione organica ad una normativa frammentaria e frutto di una stratificazione decennale157. In sintesi, il sistema dei controlli sugli atti delineato dal Testo Unico comprende, in primo luogo, il controllo necessario di cui all’art. 126 del T.U., che così recita al primo comma: <<Il controllo preventivo di legittimità di cui all’art. 130 della Costituzione sugli atti degli enti locali si esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile dello stesso consiglio, sui bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal consiglio, sul rendiconto della gestione, secondo le disposizioni del presente Testo Unico>>. Si noti che, tra gli atti da sottoporre a controllo preventivo di legittimità, vi sono i regolamenti di competenza del consiglio, con esclusione di quelli riguardanti l’autonomia organizzativa e contabile del 157 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 277 e ss. 118 consiglio medesimo. Analogamente, è precisato che vanno sottoposte a controllo le delibere di variazione di bilancio, predisposte dalla giunta, solo però se ratificate dal consiglio. L’art. 127 del T.U. prevede le due tipologie di controllo eventuale, quello su iniziativa della giunta (comma 3) o dei consiglieri (commi 1 e 2). In tale ultimo caso, precisa la norma che il controllo è esercitato dal difensore civico comunale o provinciale solo se istituito, altrimenti opera il 119 Co.Re.Co.158 (insomma, non si dà più per scontata, a differenza di quanto riteneva l’art. 17, comma 39 dalla l. 127/97, l’istituzione del difensore civico da parte dei comuni o delle province). L’art. 135, comma 2 del T.U. regolamenta infine – l’ipotesi di richiesta di controllo preventivo su atti da parte del prefetto, nei casi di rischi di infiltrazioni di tipo mafioso. In sostanza, il prefetto può chiedere che siano sottoposte al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni degli enti 158 CORECO, sigla che sta per Comitato regionale di controllo, erano, uno per ogni regione italiana, gli enti di controllo dell'amministrazione e della contabilità delle regioni; sono stati aboliti nel 2001 per effetto della L. cost. 18-10-2001, n. 3. Il CORECO, che era un organo istituzionale e non politico, si occupava di accertare anche l'efficienza e la qualità dell'attività dell'ente territoriale. Il Coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo coordinava, a livello nazionale, l'azione dei Comitati regionali. Sebbene non avesse carattere costituzionale, come i CORECO, ma fosse solo un'associazione senza personalità giuridica, di fatto assicurava un orientamento uniforme dei CO.RE.CO. Attraverso corsi di aggiornamento, elaborati tecnicogiurici e conferenze tenute in ogni parte d'Italia, il Coordinamento Nazionale dei Coreco forniva ai singoli Comitati regionali un concreto supporto utile e prezioso per lo svolgimento delle loro funzioni istituzionali. Presidente del Coordinamento Nazionale dei Coreco era il prof.avv. Franco BALLI di Bologna, componenti il direttivo nazionale erano l'avv. Giorgio Bortone, l'avv.Alfredo Lonoce, l'avv. Lorenzoni, l'avv.Modesti ed il dott.Punzi. L'associazione del Coordinamento Nazionale dei Coreco non è stata mai sciolta, ma ha sospeso ogni attività alla fine del 2002 dopo che, a seguito della entrata in vigore della revisione della Costituzione, che aveva abrogato l'art.130 (norma da cui derivava la valenza costituzionale degli organi di controllo) molte regioni hanno sciolto i vari comitati di controllo. Il 16 gennaio del 2002 il Senato della Repubblica, nell'ambito dei lavori di revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, in sede di audizione, ascoltò i componenti del Coordinamento Nazionale dei Comitati di Controllo. È visionabile in appresso il resoconto stenografico dell'audizione. Nonostante il segnale l'allarme lanciato in quella sede dai membri che rappresentavano il Direttivo del Coordinamento Nazionale di Controllo, i quali ribadirono la necessità dei controlli sulla legittimità degli atti degli Enti Locali, il legislatore regionale eliminò totalmente ogni forma di controllo affidato ad un organo terzo ed imparziale, conferendo, in nome del principio dell'autonomia, ogni potere di controllo residuale all'interno degli stessi uffici regionali, provinciali e comunali, con la conseguenza di far coincidere la figura del controllato con quella del controllore. In Europa, invece, in stati federali, quali l'Austria, la Germania e la Spagna, i controlli esterni da parte di organi terzi ed imparziali continuano ad esistere, garantendo il corretto impiego delle risorse economiche e che gli atti della pubblica amministrazione rispondano sempre ai requisiti dell'economia, dell'efficienza e dell'economicità. L'art. 41 terzo comma della Costituzione italiana prevede che "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Con l'abrogazione dei Co.re.co. è sostanzialmente rimasta priva di controllo l’attività economica delle amministrazioni locali, ormai in continua espansione. 120 locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generali a tutti i contratti; le predette deliberazioni sono comunicate al prefetto e contestualmente all’affissione all’albo. Il problema della permanenza e dell’estensione dei controlli esterni di legittimità è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale, iniziato già alcuni decenni orsono. La commissione parlamentare per le riforme costituzionali, di cui alla legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, incaricata di mettere a punto il nuovo testo della parte seconda della Costituzione, esprimeva una chiara opzione per l’abolizione di ogni forma di controllo preventivo di legittimità e di merito sugli atti e per il mantenimento di un limitato controllo successivo sulla gestione; più in particolare essa prevedeva, all’ultimo comma del riformulato art. 56 Cost., che <<gli atti dei comuni, delle province e delle regioni non sono sottoposti a controlli preventivi di legittimità o di merito>> e puntualizzava, al secondo comma dell’art. 83, che <<la corte dei conti è organo di controllo dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle camere e alle Assemblee regionali sul risultato del controllo eseguito nonché sulla gestione finanziaria del bilancio dello Stato e delle regioni>>159. La tematica dei controlli esterni è stata poi ripresa in esame in occasione della riforma introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 159 Come noto, i lavori della cennata commissione parlamentare non hanno avuto seguito. 121 2001, n. 3. Tale ultima normativa ha sancito, al comma e dell’art. 9, l’abrogazione degli articoli 125, primo comma, e 130 della Costituzione, cioè delle norme che prevedevano, rispettivamente, l’esercizio da parte di organi dello Stato e delle regioni del controllo di legittimità sugli atti delle amministrazioni regionali e degli enti locali. Fra l’abolizione espressa dei controlli di legittimità e di merito sugli atti e l’abrogazione delle norme che tali controlli prevedevano sul sistema delle autonomie territoriali, il legislatore costituzionale si è quindi orientato per quest’ultima soluzione. Si è molto discusso su quali fossero le conseguenze pratiche della modifica costituzionale in esame. Così, per alcuni le leggi ordinarie che hanno disciplinato i controlli sugli atti delle regioni e degli enti locali nonché istituito organi chiamati in concreto ad esercitare le relative funzioni si atteggerebbero come norme di attuazione del dettato costituzionale, per cui, una volta travolto quest’ultimo, cadrebbero, sia pure in via di interpretazione, con effetti preclusivi della reiterazione dei controlli stessi. Da parte di altri si è invece argomentato come il nuovo assetto costituzionale non possa comportare alcuna implicita abrogazione delle norme in materia, che resteranno allora in vigore, in attesa o che intervenga una esplicita pronuncia da parte del giudice delle leggi, a seguito di giudizio incidentale di legittimità costituzionale, ovvero dello stesso legislatore. In particolare, si è fatto notare che l’abrogazione per incompatibilità di una norma può avvenire, nel nostro ordinamento, solo per l’insanabile ed esplicito contrasto con altra norma e non già per il suo contrasto con 122 principi costituzionali, non essendo ammesso il sindacato diffuso da parte dell’interprete160. Sul piano concreto, è accaduto che, dopo l’entrata in vigore delle nuove norme costituzionali, alcune regioni (ad es. la Campania ed il Veneto) hanno immediatamente approvato delibere di presa d’atto della cessazione dell’attività del Co.Re.Co., mentre in altre si continuava a sottoporre gli atti degli organi secondo la disciplina del T.U. 267/2001. Per porre fine a tale situazione di vero e proprio caos normativo, il 7 novembre 2001 è stata raggiunta un’intesa di massima tra governo, regioni ed autonomia locali, in base alla quale si è preso atto che i controlli già previsti dagli abrogati articoli 125 primo comma e 130 della Costituzione sono cessati a decorrere dall’entrata in vigore della Legge costituzionale n. 3/2001 e che pertanto, dal 19 novembre 2001, le amministrazioni regionali e locali non sarebbero più tenute a trasmettere i loro atti amministrativi agli organi statali e regionali di controllo. Dei contenuti di una tale intesa, illustrata dal ministro per gli affari generali, il consiglio dei ministri ha successivamente preso atto nella seduta del 21 novembre 2001161. Gli orientamenti espressi in sede politica hanno trovato immediato riscontro nella pratica e sono stati recepiti in alcune leggi regionali 160 In tal senso G. VIRGA, i nuovi principi costituzionali non possono abrogare per implicito le disposizioni di legge previgenti, in www.giust.it, n.10/2001; T. MIELE, La riforma costituzionale del titolo V della seconda parte della Costituzione: gli effetti sull’ordinamento, in www.giust.it, n. 11/2001 e, infine, G. DE MARTIN, Primi elementi di lettura della riforma del titolo V della Costituzione, in www.amministrazioneincammino.luiss.it/riforma/commenti/costituzioneV_10.ht e E. BALBONI, Le garanzie esterne per la sana gestione finanziaria, in Autonomie locali, garanzie di legalità e sana gestione (a cura di DE MARTIN), Roma, 2005, p. 67. 123 intervenute in materia162 e, sia pure incidentalmente, anche in alcune sentenze della Corte costituzionale.163 Problema diverso e più delicato è quello concernente gli effetti dell’abrogazione dell’art. 130 Cost. nei confronti dei controlli sugli atti degli enti locali delle regioni a statuto speciale. Al riguardo occorre tener presente, da un lato, che queste regioni godono di competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e, dall’altro, che la norma transitoria di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 prevede l’applicazione, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, anche alle regioni a statuto speciale (e province di Trento e Bolzano) delle nuove disposizioni che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle cedenti. 161 La vicenda ha interessato anche i mass-media, specie la stampa specializzata. Vedansi, tra i tanti, Stop immediato ai controlli sugli atti di comuni e province, in Il sole-24 ore del 10/11/2001; Al capolinea i controlli sui comuni, in Italia oggi del 10/11/2001; Enti nel caos dopo la fine dei controlli, in Italia oggi del 16/11/2001; Corte dei conti e Co.Re.Co. non controllano più ma manca l’alternativa, in Il Piccolo del 28/11/2001. 162 Si vedano, tra le prime, la Legge reg. Toscana 2 gennaio 2002, n. 2, e Lombardia 9 maggio 2002, n. 8. 163 Si vedano le sentenze n. 106 del 2002 e n. 43 del 2004. Per la dottrina, tra gli altri: E. GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi e la scomparsa della figura del Commissario del governo, op. cit., p. 229; F. PINTO, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 375; S. RODRIGUEZ, I controlli sugli atti degli enti locali nel mutato assetto costituzionale, in Giur. It., 2004, p. 1296; C. PINELLI, Quali controlli per gli enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2005, n. 1-2, p. 165. 124 Allo stato va rilevato che la Corte costituzionale in due sentenze, la n. 202 del 2005, relativa alla Regione Sardegna, e la n. 203 sempre del 2005, relativa alla Regione Friuli-Venezia Giulia, ha dichiarato inammissibili questioni di costituzionalità sul punto proposte senza operare alcun riferimento ai parametri statutari sulla esclusiva competenza legislativa nella materia. 3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI Nell’ordinamento precostituzionale erano previsti per antica tradizione legislativa controlli repressivi sui principali organi comunali e provinciali, rivolti a privarli, in presenza di motivi di ordine pubblico o per persistenti violazioni di legge, della loro legitimatio ad ufficium con la nomina di un commissario. L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, con l’ampio riconoscimento delle autonomie locali, ha fatto sorgere dubbi sulla legittimità costituzionale di tale disciplina, che il legislatore ordinario non si era curato di abrogare e neppure in qualche misura di modificare in occasione della riforma dei controlli sugli atti attuata con la legge Scelba n. 62 del 1953. Le perplessità sollevate riguardavano sia la compatibilità di tali controlli con l’autonomia comunale e provinciale sia, in via subordinata, la titolarità statale o regionale dei controlli medesimi164. 164 Cfr. F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e l’ordinamento regionale, op. cit., p. 243. 125 La Costituzione del 1948 si limitò a prevedere, attribuendolo ad un organo della regione, il controllo sugli atti degli enti locali, senza disporre nulla riguardo agli organi. Parimenti, la Legge n. 62 del 1953 non dettò una nuova disciplina sui controlli sulle persone, lasciando inalterata la normativa di cui al T.U. del 1915. Nella legge di riforma n. 142 del 1990, la materia del controllo sugli organi era disciplinata da due articoli, 39 e 40, di un apposito capo, l’XI; peraltro riguardavano la materia anche altre norme collocate in altri capi e principalmente gli articoli 38 (che prevedeva un potere ispettivo e un potere di sostituzione del prefetto al sindaco nell’adempimento dei compiti quale ufficiale di governo); 49 (che estendeva ad altri enti locali i controlli, anche sugli organi, previsti per i comuni e province) e 64, in tema di abrogazione di norme, che faceva sopravvivere l’art. 19 del T.U. comunale e provinciale del 1934. La disciplina in esame – la quale riproduceva quella precedente contenuta nel T.U. comunale e provinciale del 1915 (modificato con R.D. n. 2839 del 1923)165 – non è stata sostanzialmente modificata dalle riforme degli anni successivi, venendo trasferita pressoché identica nel Testo Unico del 2000. Le prime ipotesi di scioglimento previste dall’art. 141, comma primo, lettera a) del Testo Unico, hanno come causa: <<atti contrari alla Costituzione>>, <<gravi e persistenti violazioni di legge>> e <<gravi motivi di ordine pubblico>>. Ciò che accomuna queste ipotesi, elencate insieme nel testo normativo, è l’esercizio di un’attività contraria alle regole 165 Una circostanziata illustrazione di questa normativa era contenuta nella circolare del ministro dell’interno n. 17102/127/I del 7 giugno 1990. I dottrina, si veda l’accurata trattazione di C. GELATI, I controlli sugli organi degli enti locali, in Nuova Rassegna, 1998, 1. 126 poste dall’ordinamento da parte di organi in grado di funzionare normalmente. Gli atti contrari alla Costituzione rappresentano il comportamento più spiccatamente irregolare degli amministratori locali, trattasi di una causa di scioglimento non prevista espressamente dal precedente ordinamento, ma che la Costituzione individua direttamente quale causa di analogo intervento sui consigli regionali. Ed in effetti, questa condotta illegittima, da intendersi soprattutto come grave sconfinamento dal proprio ambito costituzionale di competenza, è più facilmente configurabile per le regioni che non per le minori amministrazioni locali. Le gravi e persistenti violazioni di legge rappresentano un’ipotesi di scioglimento già prevista dalla precedente disciplina del 1915; la nuova formulazione, peraltro, si differenzia per la qualificazione come gravi delle violazioni di legge e per la mancata espressa previsione del previo esperimento della diffida a provvedere. La prima innovazione non fa che richiamare giustamente l’orientamento giurisprudenziale e la prassi prevalente, che richiedeva la violazione di norme non solo vincolanti, operanti, cioè, al di fuori dell’ambito della libera scelta e discrezionalità che riguarda gli enti autonomi, ma anche di un certo rilievo politico-amministrativo. La seconda innovazione è invece soltanto apparente: in effetti la previa diffida rappresenta lo strumento ordinario per accertare formalmente la persistenza della violazione di legge; oltre a ciò, si può anche pensare che corrisponda ad un principio generale in materia di procedimenti sanzionatori166167. 166 Per la giurisprudenza in materia, vedasi C. Stato, sezione I, parere n. 550 del 19 aprile 1989. 127 I gravi motivi di ordine pubblico ripetono integralmente la precedente ipotesi di scioglimento, sulla quale è intervenuta un’antica ed ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale che conserva quindi attualità. Al riguardo, è opportuno ricordare che per la Corte costituzionale è necessario far riferimento alla nozione di ordine pubblico quale sicurezza e quiete pubblica, con esclusione di ogni più lata accezione che consenta di ricomprendere anche fattispecie di cattivo funzionamento degli organi168. Ed il consiglio di Stato, a sua volta, ha avuto occasione di precisare che non può giustificare da solo lo scioglimento una situazione di grave attrito 167 Nell'espletamento della sua funzione consultiva, il Consiglio di Stato fornisce pareri preventivi circa la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoli ministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni. I pareri possono essere facoltativi o obbligatori. I pareri facoltativi possono essere richiesti dalla Pubblica Amministrazione, nel caso lo ritenga opportuno. Essi non sono mai vincolanti: l'Amministrazione richiedente, può sempre discostarsi dandone motivazione. Sono sempre facoltativi i pareri richiesti dalle Regioni. In altri casi la Pubblica Amministrazione deve richiedere un parere al Consiglio di Stato. Si parla allora di pareri obbligatori. Ai sensi della L. 127/97, il parere del Consiglio è obbligatorio per: l'emanazione di atti normativi (regolamenti) del Governo o dei singoli ministeri; l'emanazione dei testi unici; la decisione sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; l'approvazione degli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti dai Ministeri. La stessa legge 127/97 ha abrogato ogni diversa disposizione legislativa che preveda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria, tenendo fermo il combinato disposto dell'articolo 2, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 33 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054. I pareri obbligatori si distinguono, inoltre, in vincolanti o non vincolanti, a seconda che l'Amministrazione richiedente, in sede di emanazione dell'atto per il quale è stato emesso il parere, sia tenuta o meno a seguirli. 168 Cfr. C. Cost., 11 luglio 1961, n. 40, in Giur. cost., 1961, p. 935. 128 verificatasi tra consiglieri169; né un qualsiasi altro comportamento che non si traduca in grave pregiudizio alla tranquillità e sicurezza della collettività170. Va evidenziato, in proposito, come anche il legislatore, proprio ultimamente, nel D.Lgs. n. 112 del 1998, abbia dettato un ampio concetto di ordine pubblico, indicato come <<il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni>> (art. 159). Le ulteriori ipotesi di scioglimento previste dal primo comma dell’art. 141, alla lettera b), attendono alla impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi per: 1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia; 2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia; cessazione dalla carica per dimissioni contestuali (ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente), della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia; riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio. 169 Cfr. C. Stato, 15 gennaio 1957, n. 2247, in Corr. amm., 1959, n. 1104. 170 Cfr. C. Stato, 9 ottobre 1956, n. 1705. Cfr., inoltre, sempre in ordine allo scioglimento per gravi motivi di ordine pubblico, C. Stato, sezione IV, 29 gennaio 1958, n. 85; IDEM, 28 giugno 1988, n. 554. 129 Nel precedente ordinamento queste fattispecie non erano espressamente previste, ma la giurisprudenza le faceva rientrare nella persistente violazione di legge171. L’ultima ipotesi di scioglimento prevista dalla norma in esame (art. 141, lett. c)) è costituita dalla mancata approvazione del bilancio. Nel precedente regime già si era interpretato l’art. 323 del T.U. del 1915 nel senso che ricomprendesse tra le fattispecie di persistente inosservanza di legge anche la mancata approvazione del bilancio, naturalmente previa diffida e assegnazione di un termine per provvedere172. Successivamente è intervenuto il legislatore, con l’art. 4 della legge 22 dicembre 1969, n. 964, a indicare in modo esplicito tale ipotesi come causa di scioglimento. Ora la norma in esame riconferma la stessa disposizione, aggiungendo una opportuna disciplina puntuale, che accoglie anche l’insegnamento giurisprudenziale in materia. Il comma 2 dell’art. 141 dispone, infatti, che, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso, e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l’organo regionale 171 V. C. Stato, parere 21 febbraio 1961, n. 249 e dec. 29 gennaio 1964, n. 86, in Il consiglio di Stato nel quinquennio 1961-1965, Roma, 1969, vol. II, p. 283. Più recentemente si veda T.A.R. Campania, 21 novembre 1995, n. 708, che esclude dall’ordinamento pubblico la tutela del buon funzionamento e del prestigio degli organi elettivi. 172 Cfr. C. Stato, 26 aprile 1961, n. 263, in Riv. amm., 1961, p. 572. 130 di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto, che inizia la procedura per lo scioglimento dei consiglio. Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’interno (art. 141, comma 1, cit.). il decreto di scioglimento è accompagnato da una relazione del ministro sui motivi del provvedimento e di esso è data immediata comunicazione al parlamento (art. 146, comma 6). Con il decreto di scioglimento viene nominato un commissario, che provvede alla gestione temporanea dell’ente; il rinnovo del consiglio deve avere luogo con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge. A tale ultimo proposito, si ricorda che la L. 120/ 1993 prevedeva l’accorpamento dei turni elettorali in due turni l’anno, mentre la legge 23 aprile 1999, n. 120 ha introdotto un turno unico previsto tra il 15 aprile e il 15 giugno. Non si fa, invece, luogo alla nomina del commissario in caso di scioglimento per impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia (ossia per le ipotesi di cessazione non volontaria, di cui alla lettera b) dell’art. 141; in tal caso consiglio e giunta rimangono in carica e le funzioni del sindaco/presidente sono esercitate dal vice. Questa differenziazione tra cause di cessazione volontaria e involontaria, in relazione all’effetto consequenziale dell’assunzione della gestione provvisoria, trova la sua spiegazione nell’intento di evitare manovre politiche all’insaputa degli elettori (es. patteggiamento di una staffetta nella carica tra due diversi aspiranti) favorite dalla maggior durata della gestione provvisoria, che potrebbe raggiungere e superare l’anno. Come effetto dello scioglimento tutti i consiglieri cessano dalla carica, restando il commissario unico amministratore con le attribuzioni 131 espressamente conferitegli. È, però, previsto che i consiglieri cessati possano conservare gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti, cioè quelle cariche presso enti o istituzioni diverse dal comune o provincia che ricoprono in conseguenza di designazione di questi enti (art. 141, comma 5). Possono ricorrere al T.A.R. per motivi di legittimità i consiglieri appartenenti al disciolto consiglio, lesi nel loro diritto all’ufficio; no è invece consentito il ricorso del consiglio stesso, che ha cessato di esistere, né di privati cittadini, che sarebbero carenti del necessario diretto interesse. Secondo un’antica giurisprudenza del consiglio di Stato non sarebbero impugnabili gli atti di scioglimento motivati con ragioni di ordine pubblico, ma non sembra che tale indirizzo possa essere mantenuto nel vigente ordinamento costituzionale173. Con decreto del ministro dell’interno, il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono essere rimossi dalle loro cariche, per atti contrari alla Costituzione e per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico (art. 142 T.U.). La nuova disciplina non prevede la pubblicazione del decreto di rimozione sulla Gazzetta ufficiale, né la sua comunicazione al parlamento; c’è da chiedersi se questo regime formale, che, come per lo scioglimento, corrisponde ad un’antica tradizione legislativa che si ricollega ai principi 173 In tal senso A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1982, vol. I, p. 479 e M. SCUDIERO, I controlli sulle regioni sulle province e sui comuni nell’ordinamento costituzionale, Napoli, 1963, p. 232 e ss. Per una rassegna della giurisprudenza sull’argomento, vedasi L. VANDELLI, in AA. VV., Controlli – Commento al T.U. sull’ordinamento delle autonomie locali, vol. 6, Rimini, 2001, p. 212. 132 propri del sistema di governo parlamentare, non possa ritenersi ugualmente ancora in vigore. Il provvedimento di rimozione, come quello di scioglimento, deve essere adeguatamente motivato e contenere l’indicazione dei fatti concreti e obiettivi, che legittimano la sanzione174; è stata, peraltro, consentita anche una motivazione ob relationem, mediante riferimento alla proposta175. Contro il decreto di rimozione l’interessato può ricorrere alla giustizia amministrativa, quale che sia, secondo la giurisprudenza più recente, il motivo a base del provvedimento (anche l’ordine pubblico). Nell’attesa che si concluda l’iter procedimentale, non semplice, necessario per l’emanazione, con decreto del Capo dello Stato, dei provvedimenti di scioglimento e rimozione, sono previste dalla normativa apposite misure cautelari, che ricalcano quelle già in vigore. In particolare, in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, sempre che ricorrano motivi di grave e urgente necessità, può sospendere per un periodo non superiore a novanta giorni i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per l’amministrazione provvisoria dell’ente (art. 141, comma 7). Analogamente, per le stesse ragioni di urgente e grave necessità, possono essere sospesi dal prefetto gli amministratori nei cui confronti si è iniziato il procedimento per la rimozione (art. 142, comma 2). Data la sua 174 Cfr. C. Stato, 7 giugno 1952, n. 905, in Riv. amm., 1952. p. 1510 e 8 marzo 1955, n. 157, in Corr. amm., 1955, p. 111. 175 Cfr. C. Stato, 17 ottobre 1952, n. 1170, in Riv. amm., 1953, p. 342. 133 natura cautelare il decreto prefettizio di sospensione deve durare solo il tempo necessario a provvedere in via definitiva; ove, entro limiti di tempo ragionevoli, e comunque abbastanza brevi, non sia intervenuto il provvedimento di rimozione, il sindaco sospeso deve essere reintegrato176. Contro decreto di sospensione è ammesso il ricorso al T.A.R.177 Oltre nei casi e per i motivi ora visti, un generale potere di intervento sulle amministrazioni locali – peraltro, più di ordine organizzatorio che repressivo178 – appartiene al prefetto ai sensi dell’art. 19 del T.U. del 1934 (così come modificato dalla legge 8 marzo 1949, n. 277). Secondo questa norma, infatti, egli può inviare <<appositi commissari presso le amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali… per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per qualsiasi ragione, funzionare>>. Ai sensi dell’art. 273, comma 5 del T.U. 267/2000, la norma continuerà ad applicarsi – nonostante l’intervenuta abrogazione del R.D. n. 383/1934 ai sensi del successivo art. 274, lett. a) – fino all’entrata in vigore di specifica disposizione in materia, nei limiti della sua compatibilità con 176 Cfr. C. Stato, 23 ottobre 1963, n. 624, in Mass. amm., 1953, II, p. 385. 177 La giurisprudenza ha riconosciuto la sospensione di un sindaco che aveva dato segni di alienazione mentale (C. Stato, 8 febbraio 1952, n. 148, in Nuova Rass., 1953, p. 145). 178 Così A.M. SANDULLI, op. cit., p. 480. 134 l’ordinamento vigente. In precedenza la Corte costituzionale aveva ritenuto che non fosse venuto meno con l’entrata in funzione degli organi di controllo regionali, cui invece è stato devoluto, come si è visto, il controllo sostitutivo per omissioni di atti obbligatori, già attribuito anch’esso ai prefetti. Come ricorda la circolare ministeriale del 7 giugno 1990 la norma in esame continuerà, in particolar, ad essere applicata nelle ipotesi di cui all’art. 85 del D.P.R. n. 570 del 1960 (annullamento delle elezioni, mancanza di candidature, nullità delle elezioni per partecipazione ad esse di un numero di elettori inferiore alla metà degli iscritti). L’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, nel testo novellato dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16, dettava una serie di restrizioni al diritto di elettorato passivo e più genericamente alla capacità della previsione della delinquenza di tipo mafioso per assicurare la trasparenza nella pubblica amministrazione. Il fatto impeditivo dell’assunzione e/o esercizio del mandato era individuato, di volta in volta, in atti che rappresentano fasi diverse del processo penale e che, quindi, presentano diversa gravità, quali il rinvio a giudizio per i delitti di associazione di tipo mafioso e concernenti il traffico di stupefacenti e la condanna anche non definitiva per i reati contro la P.A.; viene, infine, ritenuta sufficiente l’applicazione anche provvisoria di una misura di prevenzione per appartenenza ad associazione mafiosa. Successivamente, con il D.L: 31 maggio 1991, n. 164 (legge conv. n. 221/1991) veniva inserito nella l. n. 55 del ’90 l’art. 15-bis, che disciplinava lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. I fatti posti a base dello scioglimento, diversi da quelli previsti dall’art. 39 della legge 142/90, erano individuati dal legislatore in collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o in altre forme di condizionamento che compromettono l’imparzialità degli organi eletti e il 135 buon andamento delle amministrazioni locali ovvero arrechino grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. La disciplina speciale in questione è stata recepita dal nuovo ordinamento nell’art. 143 del T.U. Prevede la norma che, oltre ai casi di scioglimento che potremmo definire ordinario, di cui all’art. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati dal prefetto, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi delle stesse affidati ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. In tali casi lo scioglimento del consigli comunale o provinciale comporta (a differenza dell’ipotesi ordinario di scioglimento, di cui all’art. 141, appena ricordato) la cessazione della carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte – anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti – nonché di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte. Le stessa procedura di scioglimento risulta essere aggravata rispetto a quella dettata per le ipotesi ordinarie, con intento garantistico in rapporto all’eccezionalità dell’intervento, il quale, similmente ad altri previsti dalla legislazione antimafia, potrebbe prestarsi ad uso distorto e repressivo dall’autonomia locale. Oltre al decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro dell’Interno si richiede, infatti, la deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è anche prescritta la comunicazione alle due camere. L’amministrazione straordinaria è poi affidata ad una commissione composta da tre membri scelti tra funzionari dello Stato e magistrati, che resta in carica per un periodo da dodici a diciotto mesi, più il tempo 136 occorrente per il rinnovo degli organi che deve avvenire nei novanta giorni successivi (art. 146). La normativa illustrata (che prevede altresì la sospensione a cura del prefetto in attesa del decreto di scioglimento) trova applicazione anche nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, di consorzi, unioni di comuni, comunità montane, aziende municipalizzate e consigli circoscrizionali (art. 146)179. La nuova disciplina del Titolo V della Costituzione, mentre ha fatto venir meno, con l’abrogazione dell’art. 130, il tradizionale controllo sugli atti degli locali180, nulla dice in ordine al controllo sugli organi, per cui potrebbe sembrare giustificato dubitare della compatibilità con il nuovo ordinamento dei precedenti controlli prefettizi. Ma, a prescindere da ogni ulteriore argomento, per risolvere affermativamente il quesito basta la considerazione della permanenza, anche nell’attuale quadro costituzionale riformato, dell’art. 126, che prevede, al primo comma (nel testo riformato dalla l. cost. n. 1 del ’99), lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del presidente della giunta, per <<atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge>>, nonché <<per ragioni di sicurezza nazionale>>. È fuor di dubbio che, almeno entro questi limiti, sia legittima, se non altro per il pari livello di autonomia riconosciuta dall’art. 114, la previsione di controlli sugli organi anche degli enti locali e la competenza legislativa 179 Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 290 e ss. 180 V. par. 2. 137 esclusiva dello Stato in tema di organi di governo, ex art. 117, secondo comma, lett. p), rappresenta lo strumento corretto per intervenire. Oltre ai controlli sugli organi il precedente ordinamento prevedeva vari controlli sostitutivi. Tra questi particolare importanza, per il suo carattere generalizzato e l’antica origine, rivestiva l’annullamento d’ufficio in ogni tempo degli atti illegittimi da parte del Governo, sentito il Consiglio di Stato. La Corte costituzionale181 ne aveva dichiarato l’illegittimità per quanto riguardava gli atti amministrativi regionali, ma si era ritenuto potesse ancora essere mantenuto per gli enti locali ed era recepito, nella formulazione tradizionale, a tutela dell’unità dell’ordinamento, dall’art. 138 del T.U. n. 267/2000. La recente riforma costituzionale, particolarmente con l’equiparazione tra gli enti territoriali posta dall’art. 114, ha alimentato i dubbi della dottrina sulla costituzionalità di questa norma, di cui, peraltro, il Governo ha continuato a far applicazione con il conforto consultivo del Consiglio di Stato. La riforma costituzionale ha anche inciso sui poteri sostitutivi in caso di mancata approvazione nei termini del bilancio. Come si è visto182 l’art. 142, comma 2 del T.U. sugli enti locali assegnava all’organo regionale di controllo il potere di nominare il commissario ad acta per provvedere in via sostitutiva. Il venir meno del Co.Re.Co, dopo l’abrogazione dell’art. 130 Cost., ha provocato un intervento legislativo d’urgenza (D.L. 29 febbraio 181 C. Cost., sent. n. 229 del 1989. 182 Vedi supra 138 2002, n. 13) che, limitatamente al bilancio degli enti locali per il 2002, ha trasferito al Prefetto la competenza per la nomina del commissario e tale disposizione è stata mantenuta anche per gli anni successivi fino al 2005, estendendo la procedura anche nell’ipotesi di scioglimento per mancata adozione di provvedimenti di riequilibrio di cui all’art. 193 del T.U. predetto. 3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI La nozione tradizionale del controllo sulla pubblica amministrazione, quale verificazione della legittimità e, talvolta, della opportunità di singoli atti, alla stregua di un persistente parametro di valutazione ed in vista di una misura sanzionatoria, è entrata in crisi un po’ dovunque, fin dall’immediato dopoguerra, tra gli Stati più evoluti183. Anche in Italia già da qualche decennio si è sviluppato un vasto movimento di opinione rivolto all’introduzione nell’ambito dell’amministrazione statale, sulla base delle esperienze già maturate all’estero, di controlli di efficienza del tipo di quelli in vigore nelle organizzazioni private. Il sistema di controlli sui ministeri è rimasto sostanzialmente, fino al 1993, quello introdotto dalla legge 14 agosto 1862, n. 800; imperniato sulla Corte dei conti, la quale doveva apporre il suo visto di legittimità su tutti i decreti del Capo dello Stato e su tutti gli atti di spesa, al di sopra di un certo 183 Cfr. F. STADERINI, La riforma dei controlli nella pubblica amministrazione, Padova, 1985, cap. I. 139 limite (quasi irrisorio) di valore, perché diventassero efficaci. Questo ordinamento ha subìto nel tempo solo marginali modifiche: l’unica innovazione di rilievo è stata l’istituzione con R.D. 28 gennaio 1923, n. 126, del controllo delle Ragionerie centrali, incardinate nell’ambito della Ragioneria Generale dello Stato. Alla base del sistema in discorso sta la natura meramente cartolare del controllo, che si svolge unicamente su singoli atti amministrativi. Ciò comporta che la situazione presa in esame dal controllore – e confrontata col parametro normativo – non è necessariamente quella reale, ma soltanto quella che emerge dai documenti che la rappresentano; documenti che generalmente provengono dalla stessa amministrazione controllata e possono entro certi limiti anche essere adattati a fornire la rappresentazione che più serve. Tutto questo spiega perché sia potuto accadere che procedimenti amministrativi sfociati in giudizi penali, che hanno accertato responsabilità, provocando clamorose reazioni nell’opinione pubblica, non abbiano dato luogo a rilievi in sede di controllo di legittimità, essendo risultati i relativi atti, nella loro consistenza cartolare, ineccepibili. Ma, oltre ad essere scarsamente efficace, tale sistema comporta anche costi notevolissimi, sia in termini di spesa per il funzionamento degli apparati di controllo, sia in termini di rallentamento dei tempi, già di per sé assai lunghi, dell’azione amministrativa. Ecco, quindi, l’esigenza di controlli-impulso, rivolti a favorire il conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposto ai controllifreno, che tendono a disincentivare l’azione, avendo di mira soltanto gli atti positivi o, al più, le omissioni di atti obbligatori. Con riguardo a questa nuova forma di sindacato, si parla di controllo sulla gestione o di gestione per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta una gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati 140 (o dalle operazioni compiute), ma anche da quelli omessi e, soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti. L’espressione controllo sulla gestione (o controllo di gestione) assume due diversi significati negli orientamenti dottrinali: se ne parla, da un lato, per individuare un’attività di valutazione critica dell’azione amministrativa già espletata, al fine di informare dall’esterno o, comunque, da una posizione neutrale l’organo competente a fissare gli obiettivi e disciplinare le modalità principali per il loro conseguimento; dall’altro essa è anche usata per indicare quella funzione che si svolge all’interno dell’amministrazione controllata, in posizione di compartecipazione e corresponsabilità, al fine di dirigere e indirizzare l’attività amministrativa, durante il suo svolgimento (ed è forse più corretto limitare a queste ipotesi la dizione controllo di gestione). Passiamo ora ad analizzare, in conclusione di capitolo, il centrale ruolo che occupa la Corte dei conti all’interno del sistema di controllo degli enti locali. L’abrogazione degli artt. 125 e 130 della Costituzione ad opera della legge costituzionale n. 3/2001 non ha coinvolto il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, attribuito alla Corte dei conti dall'art. 3 della legge 14 gennaio 1994 n. 20. Tale impostazione è stata – oltre che condivisa pressoché unanimemente dalla dottrina, come sopra accennato – pienamente recepita dalla legge n. 131/2003. Ai temi del controllo sono dedicati i commi 7, 8 e 9 dell’art. 7 della legge. Il settimo comma dell'articolo 7 affida alla Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, i compiti di verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e 141 regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. La Corte dei conti è cioè chiamata a verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e regioni, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. In particolare, alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti è conferito il compito di verificare, “… nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione”: – il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi regionali di principio e di programma; – la sana gestione finanziaria degli enti locali; – il funzionamento dei controlli interni. La relazione governativa al d.d.l. precisa in proposito che le Sezioni regionali di controllo dovranno assolvere tali funzioni in coerenza con le disposizioni vigenti (identificate appunto nel già ricordato articoli 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e nell’art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51184). Il successivo comma 8 consente, poi, a ciascuna regione di richiedere ulteriori forme di collaborazione alla Sezione di controllo, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica; analoghe richieste potranno poi essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito, anche da comuni, province e Città metropolitane. Tale facoltà è stata esercitata da alcune amministrazioni regionali, talché sono state concluse vere e proprie convenzioni tra le singole sezioni regionali della Corte dei conti e la regione185. 184 Norma istitutiva, presso la Corte dei conti, della Sezione enti locali. 142 È stata inoltre prevista, dal comma 9 dell’art. 7, la possibilità che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate con componenti designati dalle regioni e dagli enti locali, nella misura di due componenti aggiuntivi per ciascuna Sezione, dei quali uno designato dal consiglio regionale e l'altro dal Consiglio delle autonomie locali186 oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal presidente del Consiglio regionale, su indicazione delle associazioni rappresentative dei comuni e delle province a livello regionale. I predetti componenti dovranno essere scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica cinque anni e non sono riconfermabili. Lo status dei predetti componenti è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della regione. Quest’ultima previsione, successivamente abrogata dall’art. 3, c. 61, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), è stata di recente reinserita con l’art. 11, comma 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15 (che ha 185 Vedasi, in proposito, la convenzione del 27 marzo 2007 della Sezione di controllo EmiliaRomagna con il Presidente Regione Emilia-Romagna e Coopresidente Conferenza Regione Autonomie Locali dell’Emilia-Romagna, sulle attività di collaborazione in merito all’esercizio della funzione di controllo. Più in generale, si osserva che le modalità attraverso le quali tali forme di collaborazione possono realizzarsi non sono state dalla legge tipizzate e potrebbero, in teoria, consistere in un’ampia gamma di attività, che vanno da referti su temi specifici e dalla richiesta di audizione di magistrati della Sezione presso l’organo consiliare, fino alla previsione di forme di certificazione della affidabilità dei bilanci. 186 Quest'ultimo organo è stato espressamente previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha sul punto novellato l'articolo 123, ultimo comma della Costituzione (art. 7 della legge cost. n. 3): "In ogni regione, lo statuto disciplina il consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la regione e gli enti locali". 143 aggiunto a tal fine un apposito comma 8-bis all’art. 7 della legge n. 131/2003). La Corte, dunque, opera in ciascuna regione, mediante proprie articolazioni decentrate (le Sezioni regionali di controllo), come organo sia dello Stato che della regione stessa e delle altre autonomie locali. L’appartenenza delle Sezioni allo stesso organo, pur nella sua complessità, consente lo stesso approccio culturale e professionale nelle diverse realtà territoriali e, quindi, identico metro di giudizio, particolarmente prezioso nell’esercizio di un’attività, comprendente valutazioni, sul buon andamento e la sana gestione amministrativa, largamente discrezionali e soggettive. Sarà, inoltre, molto più facile ed efficace il coordinamento, così come il confronto di esperienze e lo scambio di opinioni; al riguardo sono già stati disciplinati appositi procedimenti e strutture di coordinamento in sede di autorganizzazione della Corte, proprio allo scopo di rendere compatibile l’autonomia delle singole Sezioni con l’esigenza di parametri comuni, tecniche e criteri operativi conformi. La Corte dei conti può poi, in tal modo, svolgere un ruolo propulsivo nell'affermazione di una convinta “coscienza finanziaria” da parte di tutti i soggetti chiamati al risanamento dei conti pubblici; contribuire alla costruzione di nuovi strumenti procedurali che assicurino governabilità al bilancio; concorrere alla definizione di criteri di monitoraggio dei fatti finanziari sulla base di parametri definiti, anche a livello europeo, e diretti ad assicurare trasparenza alle gestioni finanziarie, nonché il controllo dei comportamenti incoerenti e devianti degli agenti responsabili delle gestioni finanziarie187. 187 A. VILLA, La verifica dell’equilibrio complessivo della finanza pubblica: evoluzione delle attribuzioni della Corte dei conti, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 386 e segg.. 144 Per quanto attiene, in particolare, al controllo sulla gestione, che comprende anche la verifica del funzionamento dei servizi di controllo interno, esso si esplica, quanto alle regioni, in analisi dirette a verificare il perseguimento degli obiettivi posti sia dalle leggi regionali di principio e di programma (la più importante delle quali è sicuramente la legge di bilancio) sia dalle leggi statali che abbiano uguale valenza. Quanto agli enti locali, il controllo demandato alle Sezioni regionali è diretto a verificare la correttezza della gestione finanziaria, sotto il profilo dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa dell’ente. E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nella già più volte ricordata sentenza n. 29 del 1995, che – nel dichiarare compatibile con l’autonomia delle regioni tale tipo di controllo – ha tratteggiato le sue caratteristiche essenziali, ponendo in particolare l’accento sulla natura collaborativa di tale controllo, in quanto appunto ”… posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate, e precisamente volto a garantire che ogni settore della Pubblica amministrazione risponda effettivamente al modello ideale tracciato dall’art. 97 della Costituzione, quello di un apparato pubblico realmente operante sulla base dei principi di legalità, imparzialità ed efficienza”. Natura collaborativa del controllo vuol dire che le finalità di tale funzione non sono censorie, ma dirette essenzialmente a rendere edotta l’amministrazione controllata del suo eventuale malfunzionamento e a stimolare doverose correzioni della sua azione (art. 4, comma 6° della L. n. 20 del 1994). La Corte dei conti, cioè, deve sicuramente accertare non solo quali illegittimità inficino le gestioni e quali siano le irregolarità riscontrate, ma anche se gli obiettivi indicati dalla legge siano stati raggiunti attraverso un’azione amministrativa efficiente ed efficace, da valutarsi sulla base dei dati obiettivi dei modi, dei tempi e dei costi, posti a raffronto comparativo. 145 Da un controllo di tale tipo le amministrazioni devono allora attendersi stimoli a promuovere misure autocorrettive, quando dal referto ricevuto siano emerse deficienze gestionali o malfunzionamenti dei controlli interni abbisognevoli di messa a punto: una funzione, quindi, essenzialmente collaborativa al servizio della comunità, che ha diritto di essere informata da un organo imparziale su come le risorse pubbliche siano state utilizzate dai propri rappresentanti, nella cura degli interessi pubblici cui sono preposti. Lo stesso passaggio istituzionale da sistemi elettorali proporzionali a quelli maggioritari, implica una maggiore esigenza di un organo indipendente che informi i cittadini in modo imparziale su come le risorse sono state gestite188. Le indagini delle Sezioni, secondo i caratteri propri del controllo collaborativo sulla gestione, non hanno immediati effetti sanzionatori né producono alcuna conseguenza negativa a carico degli amministratori e funzionari responsabili della gestione controllata; l’incidenza del controllo è soltanto indiretta ed è legata ai successivi interventi che saranno attuati dagli organi di governo e dalle assemblee elettive, destinatari delle informative della Sezione di controllo. Insomma, la motivata denuncia di eventuali illegittimità o irregolarità procedurali, di condotte inefficienti o antieconomiche, accompagnate anche da raccomandazioni e, ove possibile, suggerimenti e proposte, dovrebbe favorire, nella logica del sistema, processi virtuosi di autocorrezione di prassi e procedure. A questo scopo, è prassi della Corte dei conti favorire e promuovere analisi comparative su fenomeni gestionali comuni (es., sui trasporti locali, la sanità, gli acquisti di beni e servizi, etc.). 188 Cfr. F. PITERA’, Evoluzione dei controlli negli enti territoriali in attuazione del nuovo titolo V della Costituzione, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 385. Vedasi anche, sul tema, F. TROMBETTA, Vincoli comunitari e controlli: legge costituzionale n. 3/2001, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 6/2002, pag. 1451 e segg.. 146 Il monitoraggio della finanza pubblica, il controllo del rispetto dei vincoli costituzionali e degli standard europei rappresentano i momenti nei quali ricomporre, sulla base di criteri differenziati rispetto le singole ed eterogenee gestioni esaminate, ad unità gli esiti gestionali degli enti chiamati a condividere gli obiettivi di contenimento del disavanzo e nei quali adoperarsi in vista della salvaguardia dell'equilibrio finanziario complessivo. In tal senso, il controllo unitario esercitato dalla Corte dei conti non contrasta con la sua diffusione strutturale sul territorio, ma anzi rende più agevole la definizione di criteri di monitoraggio e controllo diversificati in funzione delle singole gestioni esaminate. La stessa presenza di professionalità ulteriori rispetto a quelle “interne”, rappresentate dagli esponenti delle realtà locali, dovrebbe poi scongiurare il rischio di definire un sistema disordinato (con riferimento ai soggetti intestatari, alle tecniche di misurazione e controllo, all'oggetto e agli esiti dell’attività di controllo) che potrebbe comportare lacune o duplicazioni nei programmi e nelle attività di valutazione. L’importanza e la centralità di una tale funzione di verifica e monitoraggio da parte della Corte, è stata tenuta particolarmente presente dal Legislatore anche dopo il 2003, ed ha formato oggetto di recenti interventi normativi, finalizzati appunto a rendere maggiormente efficace tale attività. Si ricordano, a tale proposito, tra gli ultimi, l’art. 1, commi da 166 a 173 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), l’art. 3, commi da 53 a 65 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 147 (legge finanziaria per il 2008) e l’art. 11 della recentissima legge 4 marzo 2009, n. 15189. La natura collaborativa del controllo esterno sulla gestione trova corrispondenza, dal versante delle amministrazioni interessate, nel preciso dovere di cooperazione da parte di queste ultime; dovere che risulta connaturale allo stesso potere di accertamento intestato alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994190. Tale collaborazione dovrà sostanziarsi tanto nella fase istruttoria, quanto in quella successiva alla presentazione del referto della Corte dei conti: ed infatti, all’esito di detto referto, in capo alle amministrazioni sorge il preciso obbligo di comunicare alla Corte dei conti, e agli organi elettivi, 189 Si riportano i commi 2 e 3 della norma: “[2.] La Corte dei conti, anche a richiesta delle competenti Commissioni parlamentari, può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento. Ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme, nazionali o comunitarie, ovvero da direttive del Governo, la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause e provvede, con decreto motivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darne comunicazione, anche con strumenti telematici idonei allo scopo, al Ministro competente. Questi, con decreto da comunicare al Parlamento e alla presidenza della Corte, sulla base delle proprie valutazioni, anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensione dell’impegno di somme stanziate sui pertinenti capitoli di spesa. Qualora emergano rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, nell’erogazione di contributi ovvero nel trasferimento di fondi, la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause, e provvede, con decreto motivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darne comunicazione al Ministro competente. Entro sessanta giorni l’amministrazione competente adotta i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti, ferma restando la facoltà del Ministro, con proprio decreto da comunicare alla presidenza della Corte, di sospendere il termine stesso per il tempo ritenuto necessario ovvero di comunicare, al Parlamento ed alla presidenza della Corte, le ragioni che impediscono di ottemperare ai rilievi formulati dalla Corte. [3.] Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di cui all’articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, previo concerto con il Presidente della Corte, possono fare applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo nei confronti delle gestioni pubbliche regionali o degli enti locali. In tal caso la facoltà attribuita al Ministro competente si intende attribuita ai rispettivi organi di governo e l’obbligo di riferire al Parlamento è da adempiere nei confronti delle rispettive Assemblee elettive.” 190 Anche tale aspetto è stato a suo tempo evidenziato dalla sentenza n. 29/1995 della Corte Costituzionale. 148 le misure conseguenzialmente adottate (art. 3, comma 6, della legge n. 20/1994, cit.). E proprio tale fase del procedimento di controllo sulla gestione rappresenterà, in prospettiva, il banco di prova della validità del controllo stesso; a tale proposito, anzi, la dottrina e gli stessi operatori dovrebbero, in futuro, focalizzare la rispettiva attenzione sull’evoluzione e maturazione dei processi di autocorrezione da parte delle pp.aa., valutando in tale ottica la misura in cui l’attività valutativa è riuscita a raggiungere i fini assegnati. L’art. 7, comma 8 della L. n. 131 del 2003, appena ricordato, prevede che le Regioni, ma anche «comuni, province e città metropolitane, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito» possano rivolgere richieste di pareri sulle materie di contabilità pubblica alla Sezione regionale del controllo della Corte dei conti. Tale funzione trova un lontano precedente nell’art. 13 del r.d. 9 febbraio 1939, n. 273, che intesta alle Sezioni riunite della Corte dei conti la competenza a pronunciarsi, in via preventiva, rispetto ai disegni di legge riguardanti l’ordinamento della Corte stessa. La competenza intestata alla Corte dei conti dall’art. 7 della l. n. 131 del 2003, appare eccentrica rispetto alle attività di controllo, rientrando, semmai, all’interno della funzione collaborativa191. Sebbene sia la consulenza che il controllo siano ispirati al principio del buon andamento dell’amministrazione, la Corte dei conti ha tratteggiato con cura i confini di tale competenza, al fine di evitare pericolose interferenze con le tradizionali funzioni di controllo e giurisdizione. L’incapacità del Consiglio delle autonomie di ergersi ad effettivo rappresentante della amministrazioni locali, ha indotto la Corte dei conti a 191 A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, Milano 2008, pag. 1067. 149 fare a meno di tale filtro, talché si è instaurato un rapporto diretto con le amministrazioni locali. Tale situazione ha indotto la Sezione delle autonomie a delineare le caratteristiche dell’istituto, individuando i soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di parere, la collocazione del parere all’interno dell’iter procedimentale e ciò che debba intendersi per ‘‘materia di contabilità pubblica’’192. La legittimazione a presentare la richiesta di parere e` stata intestata in capo al vertice politico (Sindaco o Presidente della provincia): tale scelta ha inteso evitare che la richiesta di parere in materia di contabilità pubblica possa integrare un elemento di dialettica con l’apparato burocratico. L’attività consultiva strumentalizzazioni, potrebbe talché la infatti agevolmente presentazione da parte piegarsi del a legale rappresentante dell’ente integra presupposto di ammissibilità. Conseguentemente sono state dichiarate inammissibili per difetto di legittimazione soggettiva le richieste formulate dal Vice Sindaco (deliberazione Sez. Piemonte n. 8 del 2007); dagli assessori comunali (deliberazione Sez. Piemonte, n. 17 del 2005); dai Consiglieri comunali (deliberazione Sez. Campania, n. 4 del 2006), dal capogruppo consiliare (deliberazione Sez. Basilicata, n. 6 del 2006) o dal Collegio dei revisori (deliberazione Sez. Campania, n. 3 del 2004). La Corte dei conti ha altresì circoscritto la platea degli enti legittimati ad avanzare istanze di pareri ai soggetti espressamente individuati dalla disposizione normativa. Si è così ritenuta inammissibile la richiesta avanzata da parte delle Comunità montane o dai Consigli delle autonomie locali, ritenendosi legittimati a chiedere pareri “… solo gli enti espressamente indicati nella 192 25 26 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 27 aprile 2004. 150 norma, la cui elencazione va ritenuta tassativa, in quanto riproduce letteralmente quella dell’articolo 114 della Costituzione, di cui l’art. 7, comma 8, della L. n. 131/2003 costituisce attuazione”193. La disposizione normativa non ha assegnato una generalizzata competenza consultiva, cosicché la Corte dei conti può legittimamente pronunciarsi solo nell’ambito delle questioni inerenti la ‘‘contabilità pubblica’’. Sebbene la Corte dei conti abbia affermato che ‘‘i pareri dovrebbero concentrarsi preferibilmente su atti generali, atti o schemi di atti di normazione primaria (leggi, statuti) o secondaria (regolamenti, circolari), o inerenti all’interpretazione di norme vigenti; o a soluzioni tecniche rivolte ad assicurare la necessaria armonizzazione nella compilazione dei bilanci e dei rendiconti; la preventiva valutazione di formulari o scritture contabili che gli enti intendessero adottare’’194, le amministrazioni hanno avanzato richieste di pareri di ogni genere. Cosı` anche se la materia della contabilità pubblica e` stata definita come “l’attivita` finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziariacontabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli” (Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 2006, n. 5), le amministrazioni hanno sollecitato 193 27 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 17 dicembre 2007, n. 13. 194 28 Corte dei conti, Sez. Aut., Coordinamento delle Sezioni regionali di controllo, Rassegna dell’attività consultiva delle Sezioni regionali di controllo anno 2007, in www.corteconti.it 151 pronunce anche su materie ritenute estranee come il pubblico impiego (deliberazioni della Sez. Basilicata, n. 8 del 2007, Sez. Emilia-Romagna, n. 41 del 2007; Sez. Lombardia n. 41 del 2007; Sez. Marche, nn. 53-55 del 2007; Sez. Puglia n. 3 del 2007; Sez Sardegna n. 5 del2007 e Sez. Veneto, nn. 13-17 e 19 del 2007); la contrattazione collettiva (deliberazione Sez. Toscana, n. 5 del 2007; sez. Veneto n. 10 del 2007), la pensionistica (deliberazione Sez. Campania, n. 6 del 2005), gli emolumenti al personale (deliberazione Sez. Sardegna, nn. 7-10 del 2007) e le indennità di funzioni degli amministratori locali (deliberazione Sez. Puglia n. 6 del 2007 e Sez. Sardegna n. 8 del 2007), ovvero i lavori pubblici (deliberazione Sez. Molise, n. 33 del 2007; Sez. Sardegna, n. 5 del 2007). Ciò ha comportato che, nel 2007, su 263 pareri resi dalle sezioni della Corte dei conti, le dichiarazioni di inammissibilità o di non ritualità delle richieste siano state 133 (ossia il oltre il 50,%)195. Sotto il profilo procedimentale, la Corte dei conti ha precisato che la richiesta di parere non può riguardare un provvedimento già formalmente adottato, atteso che, altrimenti, la funzione consultiva si tradurrebbe in un’istanza di riesame della legittimità. La funzione collaborativa impone, invece, che il parere sia prodromico alla scelta discrezionale, in quanto diretto a corroborare l’organo di amministrazione attiva (deliberazione Sez. Basilicata, nn. 12,13 e 18 del 2007; Sez. Campania, nn. 2 e 13 del 2007; Sez. Lombardia, n. 34 del 2007; Sez. Riunite Sicilia, n. 10 del 2007; Sez. Toscana, n. 12 del 2007 e Sez. Veneto, n. 7 del 2007). Particolare attenzione è stata posta alle possibili interferenze con l’attività giurisdizionale. Il rischio paventato e` quello di un uso strumentale della funzione consultiva, finalizzata ad influenzare l’atteggiamento processuale, ovvero le decisioni delle sezioni giurisdizionali. Da qui la 195 A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, op. cit., pag. 1067. 152 dichiarazione di inammissibilita` in merito a “… quesiti che implichino valutazioni di comportamenti amministrativi oggetto di eventuali iniziative giudiziarie proprie della Procura regionale o di altri giudici al fine di evitare che i pareri stessi prefigurino soluzioni non conciliabili con successive pronunce sia della sezione giurisdizionale che della sezione di controllo”. La Corte dei conti ha provveduto immediatamente ad adeguare la propria organizzazione ai nuovi compiti ad essa assegnati dalla legge 131/2003, sopra tutto nell’ottica di garantire efficaci strumenti di raccordo dell’attività di controllo finanziario di competenza di ciascuna Sezione regionale, con quelle funzioni, da svolgersi a livello centrale, di referto generale sull’intera finanza regionale e locale di cui è destinatario il Parlamento e che debbono necessariamente avvalersi dei risultati delle analisi finanziarie effettuate nelle sedi periferiche. L’esigenza prioritaria è così apparsa quella di individuare uno strumento organizzativo in grado di assicurare un coordinamento agevole ed efficace e nello stesso tempo rispettoso dell’autonomia delle singole Sezioni regionali di controllo; un coordinamento tale, cioè, da consentire la definizione di metodologie e di linee comuni di indirizzo nel controllo successivo sulla gestione, per poter effettuare quei raffronti e quelle comparazioni che contraddistinguono le indagini comuni a più Sezioni. E’ stata in tal modo istituita, con la deliberazione delle Sezioni riunite n. 2/DEL/2003 del 3 luglio 2003 (assunta nell’esercizio del potere regolamentare riconosciuto alla Corte dei conti dall’art. 3 del D.Lgs. n. 286/1999, cit.) un’apposita Sezione delle autonomie. La nuova Sezione delle autonomie, definita come “espressione delle Sezioni regionali di controllo” dovrà, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, riferire al Parlamento, almeno una volta l’anno, sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città 153 metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche sulla base dell’attività svolta dalle Sezioni regionali. Infine, essa deve esaminare, ai fini del coordinamento, ogni tema e questione che rivesta interesse generale o che riguardi le indagini comparative su aspetti gestionali comuni a più Sezioni. La Sezione delle autonomie è presieduta dal presidente della Corte dei conti ed è composta da due presidenti di Sezione che lo coadiuvano, nonché dai presidenti delle Sezioni regionali di controllo e dai magistrati già facenti parte della precedente, analoga articolazione della Corte; l’Organo di autogoverno della magistratura contabile (il Consiglio di presidenza) individua, sulla base di criteri predeterminati, un magistrato in servizio presso ciascuna Sezione regionale di controllo quale supplente del presidente ai fini della partecipazione al collegio. Il presidente della Sezione delle autonomie, per l’esame di specifiche questioni che involgono anche le competenze di altre Sezioni di controllo, può infine invitare a partecipare alle adunanze i presidenti delle Sezioni di volta in volta interessati ai temi da trattare. La Sezione delle autonomie si avvale di un servizio di supporto, cui è assegnato personale amministrativo, che svolge compiti di collaborazione e istruttori, anche nel settore delle analisi tecnico-economiche, esecutivi e di segreteria. Al servizio sono assegnati dirigenti il cui numero e posizione funzionale sono definiti con decreto del presidente della Corte dei conti, sentito il segretario generale. Il servizio è organizzato per la ricezione, la verifica e l’elaborazione dei dati trasmessi su supporto elettronico e il loro inserimento nel sistema conoscitivo di finanza delle autonomie, a disposizione delle Sezioni regionali di controllo. La particolare composizione della Sezione delle autonomie – è presieduta dal presidente della Corte e ne fanno parte tutti i presidenti delle Sezioni regionali di controllo – consente appunto di qualificare l’organo 154 come espressione di tutte le Sezioni regionali, così che le funzioni di coordinamento assumano, in tale sede, una valenza che non nasce dalla gerarchia di rapporti, ma da scelte condivise per una migliore finalità dei compiti da svolgersi nelle sedi sia centrali che periferiche196. Una simile rimodulazione dell’assetto istituzionale, che si riflette nella stessa rivisitazione della formula strutturale ed organizzativa rappresenta, al momento, in piena conformità alle scelte attuative operate dal legislatore ordinario con la legge n. 131/2003, il giusto punto di composizione tra la conservazione di un modello unitario di Corte dei conti e le istanze, sempre più incalzanti, dell’emergente Stato delle autonomie197. CAPITOLO IV IL CONTROLLO SUGLI ENTI PUBBLICI SOVVENZIONATI DALLO STATO E IL CONTROLLO SULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATO PARTECIPA AL CAPITALE. 4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA 196 F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267. Vedasi poi, per un primo commento della deliberazione n. 2/2003, E. RACCA, Sezione delle autonomie più forte. La svolta nel segno dell’efficienza, in Guida agli enti locali – Il sole 24 ore, n. 31/2003, pag. 47 e seg.. 197 G. GINESTRA, Le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dopo la legge 5 giugno 2003, n. 131, in Diritto & diritti (www.diritto.it/articoli/amministrativo/ginestra.htm). 155 Scorrendo la “Dichiarazione di Lima sui principi guida del controllo delle finanze pubbliche”, elaborata nel 1977 dall’ INTOSAI, Organizzazione Internazionale delle Istituzioni Superiori di Controllo, alla Sezione 24, del paragrafo VII, rubricata “Controllo degli enti sovvenzionati”198, si legge che: ”L’Istituzione superiore di controllo deve essere autorizzata a controllare l’impiego dei fondi forniti da sovvenzioni pubbliche. Quando le sovvenzioni sono particolarmente elevate, sia come valore assoluto sia in relazione alle entrate e al capitale dell’ente, il controllo può, se così stabilito, essere esteso fino ad includere l’intera gestione finanziaria dell’organismo sovvenzionato.” Nello stesso documento, alla sezione 23, rubricata “Controllo delle imprese a partecipazione statale”, si legge: “L’espansione dell’attività economica dello Stato determina di frequente la costituzione di imprese regolate dal diritto privato. Anche queste imprese devono essere sottoposte al controllo delle Istituzioni superiori di controllo, qualora vi sia una rilevante partecipazione statale – specialmente quando la partecipazione è maggioritaria – o qualora si concretizzi una influenza dominante dello Stato. Il controllo a posteriori costituisce la forma di controllo più appropriata; tale controllo concerne gli aspetti dell’economicità, dell’efficienza, e dell’efficacia. Le relazioni presentate al Parlamento ed all’opinione pubblica su queste imprese devono osservare le limitazioni richieste dalla tutela del segreto commerciale e industriale.” È sembrato opportuno riportare, in via introduttiva all’argomento in esame, queste due disposizioni, riferite ai principi internazionali in materia 198 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ) ,in Riv. C. conti, n. 3/96, pag. 277 ss. e n.4/96, pag. 268 ss. 156 di controllo per sottolineare l’importanza e l’attualità del tema, anche in rapporto alla disciplina vigente nel nostro Paese. In Italia, il controllo sulla gestione finanziaria degli enti199 a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria è esercitato dalla Corte dei conti a mezzo della “Sezione del controllo Enti ”, istituita ai sensi dell’art. 9 della legge 21 marzo 1958 n. 259200. Questa attribuzione della Corte dei conti si ricollega direttamente alla Costituzione, che all’art. 100 prescrive che “La Corte dei conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguit0”. Pertanto la legge 21 marzo 1958 n. 259 ( così come la successiva conferma di tale funzione fatta salva dall’art. 3, comma 7, della legge di riforma generale dei controlli affidati alla Corte, legge 14 gennaio 1994 numero 20) costituisce, oltre dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione , attuazione del dettato costituzionale. La legge n. 259 del ‘58 contiene la disciplina, le condizioni e le modalità di esercizio del controllo sulla gestione finanziaria degli enti pubblici e privati “a valenza nazionale”201 da parte della nuova Sezione, 199 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, Bologna 1991. 200 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, in Riv. C. conti “, n. 1/2002, pag. 311 e ss. 201 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è 157 contestualmente istituita ed individuata dall’ordinamento per riferire al Parlamento circa l’esito dei controlli eseguiti su questi enti che richiedono una contribuzione dello Stato in via ordinaria. La successiva legge n. 20 del 1994, relativa alla riforma generale dell’attività di controllo della Corte dei conti202, ha inoltre attribuito a questa stessa Sezione il controllo su tutti gli altri enti nazionali non rientranti nell'area applicativa della menzionata legge 259 del 1958 e non riconducibili nel novero delle pubbliche amministrazioni non statali. Per gli enti ai quali lo Stato contribuisce “in via ordinaria”, è previsto l’affidamento alla Corte dei conti di un controllo di tipo referente, vale a dire che riferisce (in questo caso, al Parlamento) sull’andamento delle loro gestioni. Si tratta degli enti che godono di contribuzione periodica a carico dello Stato, degli enti che si finanziano con imposte, contributi, tasse che sono autorizzati ad imporre, degli enti che godono di un apporto al patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione di garanzia, nonché delle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni con capitale in maggioranza pubblico. Una prima questione riguarda, dunque, la preliminare individuazione dei soggetti sottoposti a tale forma di controllo della Corte dei conti203. Tra esercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 202 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss. 203 M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli enti 158 l’altro, l’art. 13 della legge 259/58 ne esclude l’applicazione alle Regioni, alle Province, ai Comuni, alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modificazioni, ed agli Istituti di credito sottoposti a vigilanza dell'Ispettorato del credito. Gli enti, oltre ad una prima elencazione contenuta in allegati alla legge 259/58, distintamente per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art . 2 e per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art. 12, vengono individuati per legge o mediante decreto governativo di assoggettamento emesso anche su segnalazione della stessa Corte dei conti. Ad esempio, nel 2004, sono state trasformate in enti pubblici economici le stazioni sperimentali dell'industria, che sono state trasferite nell'area applicativa della legge 259 del 1958, nel novero degli enti assoggettati al controllo. Attualmente, sono sottoposte al controllo per specifico disposto normativo ed a seguito di decreto governativo, le singole gestioni di circa 360 enti, (la delibera n.4 del 27 febbraio 2006 indica in 333 gli enti controllati in base alla legge 259/58 e 31 in base alla legge 20/94: il totale è variabile in relazione anche ai provvedimenti di assoggettamento governativi) spesso – come precisato dalla stessa Sezione controllo enti nelle proprie delibere – aventi natura e forme eterogenee e con differenziata disciplina ordinamentale , che possono essere raggruppati , in una prima approssimazione, nelle seguenti categorie: enti previdenziali, enti di assistenza e protezione sociale, enti che svolgono attività di impresa, enti di studio, insegnamento, prestazione d’arte, enti di incentivazione, regolazione ,enti di ricerca enti portuali, enti operanti sul territorio. L’art. 2 della legge n. 259 del 1958, al fine di stabilire quali siano gli enti a contribuzione ordinaria, assume che devono essere considerate pubblici, luglio-agosto 2003. 159 contribuzioni ordinarie: – i contributi che, con qualsiasi denominazione, una pubblica amministrazione o un’azienda autonoma statale (questo tipo di organizzazione, peraltro, non è più attuale) abbia assunto a proprio carico, con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente, o che da oltre un biennio siano iscritti nel suo bilancio; – le imposte, tasse e contributi che con carattere di continuità gli enti siano autorizzati ad imporre o che siano comunque ad essi devoluti. L’esistenza delle contribuzioni statali ordinarie sopradescritte rappresenta, dunque, il fondamento del controllo ex lege n. 259 del 1958 e il riferimento per la individuazione dei soggetti che debbono esservi sottoposti. La legge definisce, inoltre, all’art. 3 quali siano le forme di contribuzioni escluse perché troppo tenui o perché l’ente rivesta esclusivamente carattere locale (art. 3, comma due:” Dal controllo sono esclusi gli enti d'interesse esclusivamente locale e quelli per i quali la contribuzione dello Stato sia di particolare tenuità, in relazione alla natura dell'ente ed alla sua consistenza patrimoniale e finanziaria, nonché gli enti ai quali la contribuzione dello Stato sia stata concessa in applicazione di provvedimenti legislativi di carattere generale); all’art 4, definisce la natura consuntiva del controllo (“Gli enti sottoposti alla disciplina della presente legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si riferiscono. Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio”); agli art 5 e 6 prevede l’obbligo di fornire alla Corte204 tutte le informazioni 204 160 da essa ritenute necessarie (di cui le principali vengono indicate nella determinazione che viene adottata dalla Sezione a seguito dell’emanazione del decreto di sottoposizione a controllo per gli enti ex art. 2 ovvero a seguito della previsione normativa per gli enti ex art. 12 della legge medesima) e quale sia la forma in cui avviene il “controllo cartolare”. La Sezione di controllo, in sede istruttoria, può comunque richiedere agli enti controllati e ai ministeri competenti, informazioni, notizie, atti e documenti concernenti le gestioni finanziarie. In ogni caso, la giurisprudenza della Corte ritiene ammissibile il ricorso anche ai più penetranti strumenti istruttori di cui alla legge n. 20 del ’94. Il risultato del controllo eseguito va poi comunicato entro sei mesi dalla presentazione dei conti alle Presidenze della Camera dei Deputati e del Senato, per l’esame, da parte delle Commissioni competenti per materia, secondo le disposizioni dei rispettivi regolamenti parlamentari, delle relazioni della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato con la possibilità anche per le Commissioni delle Camere di richiedere alla Corte ulteriori informazioni ed elementi di giudizio. La legge, inoltre, prevede all’art. 8 la possibilità di segnalare specifici rilievi al Ministro del Tesoro ( allora così denominato, oggi è il Ministero dell’economia e delle finanze) ed a quello competente. Questa disposizione abilita la Corte dei conti ad effettuare su singoli atti rilievi che, pur non influendo sulla relativa efficacia, generano un onere di conformazione da parte degli enti destinatari e stimolano opportune iniziative degli organi di vigilanza ed era stata in un primo tempo abrogata dal primo comma dell’art. 3 del d.lgs. n. 286 del 1999 e poi ripristinata dalla Corte costituzionale. R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, in Riv. C. conti, n. 4/89. 161 La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 139 del 17 maggio 2001, ha accolto il ricorso della Corte dei conti per violazione, tra l’altro, degli articoli 76 e 100 della Costituzione, annullando la norma che abrogava l’art. 8 della legge n. 259 del ‘58, rilevando che “L’estraneità della materia del controllo sugli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria alla delega conferita con l’art. 11, comma 1, lettera c), risulta confermata dai principi e dai criteri direttivi, previsti in materia dall’art. 17 della stessa legge, che contiene tutte previsioni che, all’evidenza, non possono che riguardare “le amministrazioni" in senso proprio e che risulterebbero incongrue se riferite indifferenziatamente alla categoria degli enti cui lo Stato contribuisce invia ordinaria, enti che non fanno di per sé parte della pubblica amministrazione e costituiscono un genus che comprende le più svariate tipologie”. (L’abrogazione dell'art. 8, l. 21 marzo 1958, n. 259 era avvenuta ad opera del primo comma dell’art.3 del D.Lgs 30 luglio 1999 n.286 ““Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della l. 15 marzo 1997, n. 59”, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, ha dichiarato che non spetta al Governo adottare tale disposizione e per conseguenza la ha annullata). Nei confronti degli enti che rientrano nella categoria di cui al predetto art. 2, la Sezione esercita il controllo in maniera “indiretta”. Il controllo svolto dalla Corte dei conti sugli enti si articola, infatti, in due distinte tipologie: – la prima, prevede l’affidamento dell’istruttoria e la redazione del referto ad un magistrato della Sezione, il quale si avvale dei poteri previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 259 del’58 nei confronti dell’amministrazione interessate o degli organi di vigilanza e revisione; il referto verrà poi discusso e sarà da approvarsi in sede collegiale da parte della Sezione. – la seconda (la cd. forma “diretta”) prevede la 162 partecipazione di un magistrato delegato al controllo, alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione dell’ente ( ex art. 12 della legge n. 259 del ‘58 )205. È bene ribadire, ad ogni buon conto, che la diversità nel modulo di controllo adottato (art. 2 o art. 12) non comporta una diversità o alternatività dello stesso: in entrambi i casi il controllo, che è sia di legittimità che di merito, è concomitante, cioè si svolge nel corso della gestione dell’ente, e ha per oggetto l’intera gestione finanziaria e amministrativa dell’ente stesso. Il controllo sugli enti sovvenzionati differisce sia dal controllo di legittimità - preventivo o successivo - su atti, sia dal controllo sulla gestione, essendo partecipe dei caratteri sia dell’uno che dell’altro. Al termine di ogni esercizio finanziario la Corte dei conti206 adotta una pronuncia nella quale svolge le proprie valutazioni sulla gestione finanziaria dell’ente controllato. La relazione viene inviata al Parlamento per l’esercizio del suo controllo politico finanziario; la relazione viene anche inviata all’ente controllato ed ai Ministeri vigilanti per far loro adottare i provvedimenti necessari a rimuovere le eventuali irregolarità contabili, amministrative e gestionali riscontrate. 205 Va detto, peraltro, che si trovano nella dottrina e nella giurisprudenza indicazioni contrastanti nel definire ora “diretta” ora “indiretta” ciascuna delle due forme di controllo ex art . 2 ed ex art. 12. 206 M. CIACCIA , Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, op. cit. 163 Questo tipo di controllo referente spetta unitariamente alla Sezione enti della Corte di conti che lo esercita nel suo naturale circuito istituzionale con Governo e Parlamento. Va aggiunto che Il controllo in forma di referto al Parlamento, trova anche un adeguato riscontro, come accennato in precedenza, nella previsione nei regolamenti della Camera dei deputati e del Senato dell’esame delle relazioni inviate dalla Corte, da svolgersi da parte delle Commissioni competenti per materia. Nella forma di controllo ex art. 2, 3 e 6 della legge n. 259 del ’58) gli enti hanno l’obbligo di inviare i conti consuntivi e i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla loro approvazione ed, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario al quale si riferiscono. Attualmente, gli enti sottoposti a tale forma di controllo sono oltre duecento, tra i quali si annoverano: le Ferrovie dello Stato s.p.a, la RAIradiotelevisione italiana, il C.N.R. – Consiglio nazionale delle ricerche, l’A.C.I. – Automobil club italiano, il CONI – Comitato olimpico nazionale, l’ AS.I.- Agenzia spaziale italiana, l’E.N.A.V.- Ente nazionale per l’assistenza al volo, l’E.N.A.C. – Ente nazionale per l’aviazione civile, l’E.N.E.A.,– Ente nazionale per l’energia e l’ambiente, le autorità portuali, i consigli di diversi ordini professionali, etc. per citare quelli di maggior rilievo. L’altra forma di controllo esercitata dalla Corte207 (quella “ex articolo 12”) è riservata ad un’altra categoria di enti, individuata dalla legge n. 259 207 R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, op. cit. 164 del ‘58, ed è quella degli enti nei confronti dei quali lo Stato contribuisce con apporti di patrimonio in capitale o di servizi o di beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria. Nei loro confronti il controllo di cui all’art. 100 della Costituzione è esercitato, oltre che con l'invio dei consuntivi e dei bilanci, mediante la presenza diretta di un magistrato della Corte, legittimato ad assistere alle sedute degli organi di amministrazione o di revisione. Tale magistrato è designato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti (organo di autogoverno dei magistrati contabili, assimilabile al Consiglio Superiore della Magistratura, dei magistrati ordinari) e nominato dal Presidente della Corte stessa. Attualmente, gli enti sottoposti a controllo, ex art.12, sono circa sessanta, tra cui vanno menzionati, fra quelli più noti per la loro rilevanza: l’I.N.P.S- Istituto nazionale della previdenza sociale , l'I.N.P.D.A.P- Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, l’I.N.A.I.L - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali , l’ISTAT- Istituto centrale di statistica, l’ANAS- Azienda autonoma per le strade statali, l’ENEL s.p.a, l’ENI s.pa. Dunque, riassuntivamente su questo punto, se l’ente pubblico o privato fruisce di contribuzioni continuative o periodiche, il controllo è meramente cartolare in base all’ art. 2, sugli atti trasmessi dall’ente alla Corte. Se invece l’ente è destinatario di un “apporto al patrimonio” o di”garanzie finanziarie”, il controllo avviene, ex art. 12 della legge n. 259 del ‘58, ad opera di un magistrato della Sezione di controllo, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione, quali sono il consiglio di amministrazione e i collegi sindacali o di revisione. La legge 20 del 1994 ha confermato, come già accennato, all’art. 3 settimo comma, la persistenza di tale forma di controllo sugli enti di cui alla legge 259 del ‘58 ed anzi le Sezioni riunite della Corte dei conti nella deliberazione n. 2 del 18 gennaio 1995 , hanno ulteriormente affermato che 165 spetta alla Sezione controllo enti il controllo sugli enti pubblici, ”nei modi, nei tempi e nelle forme da essa determinati, sugli enti pubblici non economici nazionali, vale a dire tutti quegli enti pubblici che ovunque abbiano la sede non perseguono fini racchiusi in un particolare ambito territoriale, non hanno la cura degli interessi di popolazioni locali e non traggano sostegno da finanze locali”. 4.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI Attraverso l’esame delle delibere di programma della Sezione controllo enti, della Corte, si possono ricostruire i principali temi di discussione in dottrina e giurisprudenza e ripercorrere le connesse vicende legislative che hanno portato, ad esempio, alla riorganizzazione di numerose categorie di enti pubblici e che hanno coinvolto, di riflesso, anche le competenze della Corte dei conti208 nella materia. Un primo impulso per il riordino degli enti pubblici , si è avuto con la legge 15 marzo 1997 n 59 ( di delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), con la previsione209 della soppressione o della fusione di enti ovvero della 208 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss. 209 v. art. 11 166 trasformazione in enti economici o società di diritto privato, al fine di razionalizzare e qualificare le risorse pubbliche utilizzate (“…riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni, controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano, anche all'estero, nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale … riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche ... riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonché gli organismi operanti nel settore stesso .. “210). Per taluni enti (C.N.R. - Consiglio nazionale delle ricerche; E.N.E.A. – Ente per le nuove tecnologie l’energia e l’ambiente; A.S.I. – Agenzia spaziale italiana; I.N.A.F.- istituto nazionale di astrofisica ) nel 1999 , con una serie di decreti legislativi (nn.19, 27 e 36 del 30 gennaio 1999 e n. 296 del 23 luglio 1999) veniva infatti disposto un controllo della Corte211 limitato al solo esame dei conti consuntivi , vale a dire, senza l’esame della regolarità contabile, finalizzato alla sola relazione annuale al Parlamento. Si è trattato in tal caso di un indirizzo legislativo che ha inteso parificare i 210 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 211 R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, op. cit. 167 grandi enti di ricerca al trattamento riservato alle autonomie universitarie. Tale indirizzo subiva successivamente un ripensamento con i decreti legislativi del 4 giugno 2003 (nn. 127 ” riordino del Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.)”, 128 “riordino dell'Agenzia spaziale italiana (A.S.I.) e 138 – “riordino dell'Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) e n. 257 del 3 settembre 2003 (“riordino della disciplina dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente – E.N.E.A., a norma dell' art .1 della legge 6 luglio 2002, n. 137” di delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici). Ma più rilevante, per le conseguenze che successivamente determinarono un conflitto fra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Corte dei conti, (poi risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 466 del 17-28 dicembre 1993) era stata la vicenda legislativa conseguente alla trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA ed ENEL, avvenuta in base alla disposizione dell’art. 15 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modifiche dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, che sottraeva alla Corte dei conti il controllo su tali enti, poiché i magistrati non venivano invitati a partecipare alla sedute dei consigli di amministrazione e il Ministro del tesoro , unitamente alla Presidenza del consiglio ritenne che le nuove società non rientrassero nel rapporto con lo Stato, presupposto del controllo della Corte. La Corte costituzionale ritenne invece , nella sentenza n. 466 del 1993, che alla Corte dei conti continuasse a rimanere assegnato il controllo su tali società, fino a che permaneva una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato nel capitale azionario. D’altra parte, come è stato precisato, “non è….. la veste formale dell’organismo di diritto pubblico (s.p.a.) che può escludere il controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 100 della Costituzione, giacché è la natura sostanziale dell’organismo che deve essere analizzata ed i modi di contribuzione da parte dello Stato alla sua 168 gestione”. L’elemento formale della semplice trasformazione degli enti pubblici in enti pubblici economici non veniva, dunque, ritenuto dalla Corte costituzionale sufficiente a determinare l’estinzione del controllo finanziario dello Stato perché soltanto una modifica di carattere sostanziale nell’imputazione, tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità dello Stato, avrebbe potuto determinare l’eliminazione di tale forma di controllo. La Corte costituzionale ha precisato:”…Il controllo in questione verrà, invece, a perdere la propria ragione d'essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento in cui il processo di "privatizzazione", attraverso l'effettiva "dismissione" delle quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto connotati sostanziali, tali da de terminare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica”. Inoltre, “la “semplice trasformazione degli enti pubblici economici di cui all’art. 15 della legge n. 359 del 1992 non può essere, infatti, ritenuto motivo sufficiente a determinare l’estinzione del controllo finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti” in quanto soltanto laddove al mutamento formale “faccia seguito anche una modifica di carattere sostanziale nell’imputazione del patrimonio (….) tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità dello Stato” possono venire meno le ragioni che sono alla base del controllo in questione siccome disciplinato dall’art. 12 della L. n. 259 del 1958 che risulta incluso nell’ambito della sfera disciplinata dall’art. 100, secondo comma, della Costituzione”. D’altra parte, la pronuncia della Corte Costituzionale risulta in linea con quanto dalla stessa precedentemente affermato circa ”la funzione propria del controllo previsto dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione, che é stata da questa Corte collegata all'interesse preminente dello Stato (costituzionalmente rilevante per l'art. 100 Cost.) che siano soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento" 169 (sent. n. 35 del 1962)212. Ora, é proprio la considerazione di tale finalità primaria che può giustificare la permanenza del controllo in questione anche nei confronti delle nuove società, se e fino a quando la gestione delle stesse resti nella disponibilità dello Stato e sia suscettibile, di conseguenza, di incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale “. Nel caso degli enti di ricerca C.N.R., A.S.I., E.N.E.A., la Corte costituzionale213 aveva poi dichiarato non spettare alla Corte dei conti il controllo su di essi nella forma diversa da quella prevista dai decreti legislativi del 1999, che prevedono il controllo solo sui conti consuntivi, con esclusione, quindi, del controllo di regolarità amministrativo-contabile e sui singoli atti di gestione, finalizzandolo invece al referto al Parlamento. La Corte costituzionale, infatti, aveva ancorato tale controllo ai principi di cui all’ art. 3, sesto comma, della legge n. 20 del 1994 (di riforma generale dei controlli della Corte dei conti) adeguando ad essa il controllo della Sezione enti. Il ripristino del controllo della legge n. 259/1958 sui grandi enti di ricerca, per l’E.N.E.A., veniva poi disposto nella forma più incisiva di cui all’art. 12 della legge stessa. La sentenza della Corte costituzionale n. 457 del 14-23 dicembre 1999, ribadiva l’ambito di discrezionalità del legislatore ordinario con riferimento anche all’art. 100, comma 2, della Costituzione – sia pure con taluni limiti – Ha ritenuto, infatti, la Corte costituzionale che – poiché la determinazione dei casi e delle forme di partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato 212 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.. 213 C. Cost., sent. n. 457 del 14-23 dicembre 1999. 170 contribuisce in via ordinaria è rimessa alla legge – “le norme dei decreti legislativi in questione ( …) rappresentano per l’appunto una forma possibile della partecipazione al controllo che la Costituzione rimette alle discrezionali determinazioni legislative (…) che (…) costituisce un legittimo svolgimento del rinvio che l’art. 100, secondo comma, fa alla legge la quale non può incontrare un suo limite nelle disposizioni dettate dalla L. n. 259 del 1958 le quali non possono condizionare scelte legislative successive le quali, in attuazione anch’esse dell’art. 100, secondo comma, della Costituzione, in generale o con riferimento a casi particolari, ridefiniscono i casi e le forme del controllo”. La stessa Corte, peraltro, ha fatto richiamo all’applicabilità dei principi della legge n. 20 del 1994 ed al controllo della Corte dei conti europea . In particolare, quanto agli ulteriori rapporti di collaborazione da instaurarsi con le amministrazioni interessate circa l’invio delle relazioni della Corte, la formulazione in qualsiasi momento delle sue osservazioni, la comunicazione alla Corte stessa delle misure conseguenzialmente adottate dalle amministrazioni (cfr. il sesto comma dell’art. 3 della legge n. 20 del ‘94), essi hanno una loro autonoma ragion d'essere rispetto alla relazione al Parlamento e configurano, nell'insieme, un sistema non privo di una propria logica (si veda, per la Corte dei conti europea, l'analogo sistema previsto dall'art. 248, par. 4, del Trattato della Comunità Europea). Non essendo incisi dalle norme dei decreti legislativi, – secondo la Corte costituzionale – tali rapporti restano pertanto salvi, in forza del richiamo fatto dall'art. 14 della legge n. 59 del 1997 allo stesso comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20. Va ricordato peraltro, che anche nella sentenza n. 29 del 1995 (divenuta famosa e citata più volte in diversi contesti riguardanti il controllo delle Corte dei conti in generale) , la Corte costituzionale aveva più volte posto in rilievo i nuovi principi di collaborazione del controllo (ivi definito, 171 appunto, “collaborativo”) della Corte dei conti214 e delle caratteristiche del controllo sulla gestione, finalizzato ad una visione complessiva degli andamenti e degli impieghi delle risorse pubbliche in riferimento ai principi del buon andamento, indicato nella Costituzione, dell’ efficacia, dell’ efficienza e dell’economicità della azione amministrativa. Dalla giurisprudenza formatasi sulla attività della Sezione enti, si rileva come l’affermata legittimità costituzionale del controllo sulla gestione delle pubbliche amministrazioni svolto dalla Corte dei conti215, (di cui alla citata sentenza n.29 del 1995 e alla n. 470 del 1997, entrambe della Corte costituzionale) che prescinde dal decreto governativo di individuazione dell’ente, abbia tuttavia lasciato irrisolto il problema dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di controllo. In particolare nella sentenza n. 470 del 1997, la Corte costituzionale aveva dichiarato infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sollevata dalla Corte di Cassazione con ordinanze emesse a seguito di ricorsi per regolamento preventivo di giurisdizione, proposti dalla Federazione nazionale dell'Ordine dei farmacisti italiani, dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri, dal Consiglio nazionale degli ingegneri, dal Consiglio nazionale del notariato, dal Consiglio nazionale 214 M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, op. cit. 215 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss. 172 degli architetti e dal Consiglio nazionale forense, nell'ambito di giudizi pendenti innanzi al TAR Lazio per l'annullamento della determinazione n. 43 del 20 luglio 1995, con la quale la Sezione controllo enti della Corte dei conti aveva sottoposto gli enti menzionati ai riscontri di cui alla legge 20 del ’94 nella parte in cui affida alla Corte dei conti l'individuazione (non automatica e caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di criteri valutativi) degli enti assoggettabili al controllo, per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione. Secondo la Cassazione, suscitava perplessità il fatto che non fosse stato esteso, al più ampio ambito di controllo contemplato dalla citata legge n. 20 del 1994, il procedimento già previsto dalla legge n. 259 del 1958 per l'individuazione degli enti da assoggettare alle verifiche della Corte dei conti, secondo un meccanismo affidato all'autorità di governo ed espresso nella forma del decreto presidenziale. che l'individuazione degli enti assoggettabili a controllo avvenga sulla base di un'attività "non automatica e caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di criteri valutativi" e quindi, in definitiva, attraverso una procedura non conforme all'art. 100 della Costituzione. Inoltre, secondo la ricorrente, la procedura apprestata dalla disposizione censurata faceva sì che il provvedimento di individuazione venisse attratto nella sfera di insindacabilità che caratterizza gli atti di controllo della Corte dei conti216, con conseguente vanificazione di ogni garanzia giurisdizionale nei confronti degli enti assoggettati al controllo stesso,contrariamente a quanto disposto dagli articoli 103 e 113 della Costituzione. 216 R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, op. cit. 173 Sul primo punto, la Corte costituzionale osservò che la disposizione denunciata non prefigurava, in realtà, nessuna specifica procedura, “limitandosi ad enunciare un criterio generale che, facendo leva sulla nozione di pubblica amministrazione, è di per sé sufficiente a definire l'ambito delle competenze affidate alla Corte, alla stregua del potere proprio di ciascun organo dotato di garanzie procedimentali di accertare le situazioni che, in base alla legge, costituiscono il presupposto per l'esercizio delle sue funzioni”217. D'altro canto è fondatamente da escludere che le modalità stabilite dalla legge n. 259 del 1958, per l'individuazione degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, costituiscano un modello di riferimento costituzionalmente obbligato anche per il controllo previsto dalla disposizione dell'art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 e che l'istituto qui in esame, “lungi dal ricollegarsi all'art.100 della Costituzione, si pone, in effetti, come espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore ordinario. A sostegno del denunciato vizio dell'art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, non pare, dunque, possibile argomentare dal controllo contemplato dalla legge n. 259 del 1958 che, pur introducendo fondamentali innovazioni, è venuta a ricalcare, quanto alle modalità di individuazione degli enti e alla imputazione della funzione, le linee ispiratrici di un ordinamento (legge 19 gennaio 1939, n. 129; regio decreto 8 aprile 1939, n. 720 e regio decreto 30 marzo 1942, n. 442) in base al quale, già prima della Costituzione, la Corte dei conti concorreva alla funzione di controllo su enti individuati da un provvedimento del Ministro delle finanze (art. 1 del menzionato regio decreto n. 720 del 1939), previo accertamento delle condizioni stabilite dalla legge”. La legge n. 259 del 1958 – in attuazione dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, 217 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit. 174 secondo il quale la Corte dei conti "partecipa nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge al controllo sulla gestione finanziaria" dei c.d. enti sovvenzionati dallo Stato – prevede, come presupposto per l'assoggettamento a controllo, l'esistenza della c.d. contribuzione statale ordinaria (intendendosi per tale, l'assegnazione di contributi corrisposti con carattere di periodicità ovvero la fruizione, con carattere di continuità, da parte degli enti, di imposte, tasse e contributi, ai sensi di quanto contemplato dall'art. 2, ovvero, ancora, l'apporto al patrimonio in capitale da parte dello Stato, giusta l'art. 12) e, al tempo stesso, l'assenza di ipotesi configurate come ostative (art. 3, secondo comma), quali quelle di enti di "interesse esclusivamente locale" ovvero di enti destinatari di contribuzioni di "particolare tenuità", "in relazione alla natura dell'ente ed alla sua consistenza patrimoniale e finanziaria". La varietà e molteplicità di situazioni considerate giustifica, perciò, sempre secondo la Corte costituzionale - la previsione, da parte del primo comma del medesimo art. 3 della legge n. 259 del 1958, di una specifica procedura di ricognizione e valutazione che si conclude con un apposito decreto, mentre analoga necessità non si riscontra per l'individuazione degli enti soggetti al controllo previsto dalla disposizione denunciata, risultando quest'ultimo subordinato al solo presupposto della riconducibilità dei medesimi enti alla nozione generale di pubblica amministrazione218. Circa la questione della presunta insindacabilità delle determinazioni della Corte dei conti219, sì da non consentire agli enti stessi alcun rimedio giurisdizionale contro l'illegittimo assoggettamento a controllo, la Corte costituzionale ebbe inoltre ad affermare che: “dal richiamo fatto 218 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 175 dall'ordinanza stessa a quella giurisprudenza che ha ritenuto gli atti della Corte dei conti non impugnabili in via giurisdizionale, non può farsi discendere il corollario dell'insindacabilità anche della verifica delle condizioni e dei presupposti di esistenza del potere esercitato. Ne discende che le determinazioni della Corte dei conti, in ordine all'individuazione degli enti da assoggettare a controllo, non escludono, per gli enti stessi, la garanzia della tutela innanzi al giudice (art. 24 della Costituzione), restando, perciò, in discussione non già l'an, ma solo il quomodo di detta tutela e, quindi, un problema di interpretazione della normativa vigente, la cui soluzione, ovviamente, esula dall'oggetto del presente giudizio. Anche sotto questo profilo la questione è da ritenere, dunque, infondata, non essendo dato scorgere nella disposizione denunciata alcun vulnus del diritto di agire in giudizio, da reputarsi comunque garantito”. La questione dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di controllo costituisce tuttora oggetto di attenzione e di approfondimento da parte della Sezione controllo enti , poiché per gli enti è spesso incerta la natura giuridica pubblica, cosicché le iniziative di estensione dei programmi di controllo rimangono esposte al rischio di possibile impugnazione. In particolare per gli ordini e collegi professionali dopo la pronuncia della Corte di Cassazione che ha attribuito la competenza giudice ordinario, sono intervenute sentenze di merito che hanno fermato la legittimità delle determinazioni adottate dalla Sezione controllo enti della Corte dei conti220. Con riguardo agli effettivi destinatari del controllo, l'incompleta adozione dei prescritti decreti governativi di assoggettamento – si legge nelle recenti delibere di programma della Sezione enti – continua tuttavia ad 219 R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, op. cit. 176 escludere dal controllo e dal conseguente referto al Parlamento numerose gestioni sovvenzionate dallo Stato, fra le quali alcune importanti imprese pubbliche che manifestano un ulteriore sviluppo e spesso assumono la forma di società partecipate in tutto in parte comunque posizione dominante dallo Stato. A tale proposito, i più recenti documenti della Sezione hanno ripetutamente sottolineato l'esigenza , per un compiuto esercizio del controllo finanziario di propria competenza, di una aggiornata generale ricognizione da parte del Governo e l’adozione dei richiesti decreti da parte della Presidenza del Consiglio ed il previo sollecito esercizio del potere – dovere di proposta, spettante ai Dicasteri vigilanti o titolari dei diritti di azionista e quindi, principalmente, al Ministero dell’economia e delle finanze, per le società in mano pubblica, per l’assoggettamento al controllo delle gestioni sovvenzionate di più rilevante impatto sulle finanze pubbliche da individuare sulla base di predeterminati parametri obiettivi. L’esigenza del controllo e del referto della Corte, funzionali al compiuto esercizio del controllo politico e finanziario spettante al Parlamento, è risultata evidenziata , del resto, anche nei resoconti delle Camere (ad esempio, in particolare con riguardo alla “Sviluppo Italia” s.p.a. ed al vasto “arcipelago” delle sue partecipate) dove viene sottolineato che restano ancora sottratte al controllo ed al conseguente referto al Parlamento, numerose gestioni sovvenzionate dallo Stato e, in particolare, talune importanti "imprese pubbliche". Negli stessi documenti programmatici della Sezione del controllo è stato altresì rammentato come, nell’ambito del progressivo processo di 220 Cass. civ., Sez. Un., 9 agosto 1996, n. 7327. Afferma la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in sede di regolamento di giurisdizione per la Società italiana autori ed editori per un diritto soggettivo dell'ente a non veder compressa la propria sfera giuridica nell’ambito del controllo sulla gestione della Corte dei Conti. 177 entificazione, siano state ricondotte nell’area di applicazione della legge n. 259/1958, gestioni statali in precedenza rientranti in quella della legge n. 20/1994: ad esempio, la Cassa depositi e prestiti, in base ad espresse e dirette disposizioni legislative e l’Agenzia del demanio, in esito all’esplicita attribuzione legislativa della natura di ente pubblico economico; l’Istituto superiore di sanità e l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, mediante specifici decreti governativi di assoggettamento. Significativa, al riguardo è stata, ad esempio, la vicenda della costituzione di Ferrovie dello Stato S.p.A. derivata dalla scissione parziale della società per azioni subentrata all’Ente pubblico Ferrovie quale nuova Capogruppo del settore ferroviario. La Sezione controllo enti, assunse la determinazione n. 28 del 30 aprile 2004 – ai fini dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui alla legge n. 259 del 1958 – dando formalmente atto al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’economia e delle finanze della sussistenza delle condizioni per l’assoggettamento di Ferrovie dello Stato s.p.a. al controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259 del 1958, con permanenza del controllo previsto dall’art. 19 della legge 17 maggio 1985, n. 210, sul “nucleo” residuo della precedente Capogruppo, e cioè su Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. Non essendo stato emesso, fino al febbraio 2006 dalla Presidenza del Consiglio il richiesto provvedimento dichiarativo dell’assoggettamento, la Corte ha riferito sulla gestione di Ferrovie dello Stato s.p.a. per gli esercizi 2003 e 2004 con le modalità precedenti, in attuazione degli articoli da 5 a 9 della legge 21 marzo 1958, n. 259 e con ampi riferimenti alla gestione del Gruppo, sulla base dei dati del bilancio consolidato. L’elenco degli enti sottoposti a controllo subisce di anno in anno delle variazioni: ad esempio, a seguito delle trasformazioni in enti pubblici 178 economici delle stazioni sperimentali per l’industria, tali soggetti si sono aggiunti ai ricordati precedenti221. Nei casi in cui sono consentite comparazioni, i referti riguardano congiuntamente una pluralità di enti, ricompresi in una medesima categoria: enti lirici; stazioni sperimentali dell’industria; enti parchi nazionali; enti di sperimentazione agricola; automobil club nazionale e locali; consorzi fluviali; società di navigazione di preminente interesse nazionale; associazioni combattentistiche; casse militari di assistenza e previdenza. Sempre dalle delibere della Sezione si ricava come nel sistema dei controlli, quello sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati abbia assunto una connotazione particolare rispetto a quello preventivo, su singoli atti tassativamente individuati ed a quello successivo, sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, di tipo generalizzato, che postula un esercizio selettivo e secondo criteri previamente definiti222. Il controllo della legge n. 259 del’58 resta infatti preordinato ad assicurare, anche nel corso dell’esercizio, una compiuta azione di verifica su particolari gestioni sovvenzionate, che vengono – di volta in volta – singolarmente individuate, in ragione del loro impatto sulle finanze pubbliche e che si svolge con continuità, nella permanenza dei prescritti requisiti. 221 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit. 222 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 179 Deve pertanto ribadirsi che la funzione programmatoria della Sezione della Corte223 per l’attuazione della legge non ha la finalità – propria del controllo generalizzato – di selezionare gli stessi soggetti destinatari e le singole aree di volta in volta prescelte, ma piuttosto quella di identificare, nell’ambito dell’indeclinabile attività di controllo sulla intera gestione di ciascun ente, materie, temi e aspetti, sui quali focalizzare specifiche analisi e verifiche. Resta quindi fondamentale obiettivo prioritario la produzione di referti tempestivi ed attuali , sino a poter comprendere i preconsuntivi e le situazioni trimestrali di esercizio che evidenzino sinteticamente i profili di maggiore criticità emersi nell’attività di controllo, nonché le più rilevanti e significative valutazioni, sui risultati programmati ed effettivamente conseguiti, sulle principali voci di costo e sugli equilibri di bilancio, sul funzionamento dei controlli interni e sulle misure conseguenziali comunicate ed adottate in esito alle osservazioni della Corte dei conti. La programmazione, d’altra parte, si rende indispensabile considerato che, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, le verifiche della Corte dei conti non possono estendersi sulla generalità delle amministrazioni dovendosi, quindi, operare necessariamente controlli “a campione”. La Sezione controllo enti svolge , come detto, anche il controllo generale e per programmi, di cui alla legge n.20 del 1994 ex art. 3, comma 4, su enti pubblici selezionati in sede di programmazione annuale,diversi da quelli soggetti a contribuzione ordinaria dello Stato sulla gestione degli enti pubblici nazionali non rientranti nell’area applicativa della legge n. 259 del 1958, fatta eccezione per gli organismi facenti parte delle strutture ministeriali e delle Autorità indipendenti. 223 M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, op. cit. 180 Da tale orientamento non può farsi derivare una estensione generalizzata a tutte le amministrazioni del modello di controllo in argomento. La legge 20 del ‘94, e in particolare la disposizione dell’ art. 3, comma terzo (“ Le Sezioni riunite della Corte dei conti possono, con deliberazione motivata, stabilire che singoli atti di notevole rilievo finanziario, individuati per categorie ed amministrazioni statali, siano sottoposti all'esame della Corte per un periodo determinato. La Corte può chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla loro ricezione, ferma rimanendone l'esecutività. Le amministrazioni trasmettono gli atti adottati a seguito del riesame alla Corte dei conti, che ove rilevi illegittimità, ne dà avviso al Ministro”) va comunque coordinata con la legge 259 del 1958 . La Sezione competente ha indirizzato negli anni scorsi questi controlli su tre categorie di enti: stazioni sperimentali dell’industria; istituti culturali di livello nazionale; ordini e collegi professionali. Tra gli aspetti generali oggetto di indagine da parte della Sezione, comuni a diverse categorie di enti si segnalano: la funzionalità complessiva e quella delle principali articolazioni organizzative; gli esiti dei processi di razionalizzazione degli organi e degli apparati; la costituzione di strutture unitarie, per un più coordinato ed efficiente svolgimento di funzioni e servizi comuni a più enti; lo sviluppo della informatizzazione e dell’innovazione tecnologica e le risorse ad esso dedicate; le iniziative di esternalizzazione dei servizi, anche attraverso società partecipate e la comparazione dei relativi costi e benefici; la rilevazione dei costi del personale e del lavoro, e di quelli di formazione, nonché del loro andamento; il ricorso ad incarichi esterni, verificandone anche il rispetto dei tetti di spesa e dei prescritti requisiti di conferimento ed esecuzione; il contenimento delle spese per acquisti di beni e servizi e di quelle per i consumi intermedi, e la verifica dei tetti di spesa per autovetture, relazioni pubbliche e rappresentanza; il grado di conformazione ai principi 181 desumibili dal D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286 (sui controlli interni), le modalità applicative e le risultanze conseguite; l’applicazione dei principi di riforma in materia contabile e di bilanci; il tasso di copertura, mediante la politica tariffaria, dei costi dei servizi finali resi all’utenza. 4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI. Per riprendere il problema accennato in precedenza dell’ambito soggettivo dei destinatari, soprattutto quando manchi una espressa qualificazione normativa che riguardi anche il livello nazionale e cercare di chiarire, poi, quale sia l’ampiezza dell’espressione “amministrazioni pubbliche” di cui all’ art 3 comma terzo, va ricordato che il riferimento alle “pubbliche amministrazioni” è contenuto in numerose leggi e disposizioni e una definizione legislativa è rinvenibile nel decreto legislativo del 3 febbraio 1993 n. 29 (ora sostituito dal d.lgs 30 marzo 2001, n. 165). All’art. 2 primo comma, si legge(va): “ Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le 182 aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.” (ora vedasi comunque, il secondo comma dell’art. 1, del d.lgs n. 165 del 2001: ” Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”). Le Sezioni riunite della Corte dei conti224, nella deliberazione n. 2 del gennaio 1995 oltre a delineare il procedimento per la formazione del programma di controllo e i criteri di riferimento, hanno elencato i soggetti che rientrano nella categoria delle amministrazioni pubbliche ai fini del controllo, facendo ricorso alla definizione di cui al D.Lgs n. 29 del ‘93, tuttavia, restringendone l’utilizzabilità, nel senso di escludere che potessero considerarsi ai fini dell’applicabilità della legge n.20 del ‘94, le amministrazioni regionali “espunte normativamente” dalla categoria generale delle amministrazioni pubbliche ed assoggettate ad un particolare controllo, che tenga conto dell'ampia autonomia costituzionalmente attribuita alle regioni (quello della verifica dei risultati degli obiettivi 224 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss. 183 stabiliti dalle leggi regionali di piano e di programma : quinto comma dell’art. 3)225. Sempre le Sezioni riunite della Corte dei conti chiarirono che “amministrazione pubblica” non è sinonimo di “amministrazione statale” sia perché nel comma quarto dell’art. 3 della legge n. 20 del ’94 si fa riferimento esplicito alle amministrazioni statali e nel comma quinto a quelle regionali , differenziando queste ed escludendole dalla categoria delle pubbliche amministrazioni ai fini del controllo , sia per la ratio della norma, dal momento che il legislatore ha voluto chiaramente espandere il controllo successivo a tutte le gestioni “ i cui risultati possano incidere direttamente sulla finanza pubblica e indirettamente sull’economia nazionale”, mentre quando ha inteso limitare l’ambito di applicazione ha distinto specificamente le amministrazioni statali. Con riguardo agli enti pubblici, in particolare agli enti pubblici non statali, non di rilievo nazionale la citata delibera n.2 del’ 95 delle Sezioni riunite individuava i criteri permanenti per individuare la competenza delle strutture della Corte dei conti226 a svolgere il relativo controllo sulla gestione, nell'elemento del territorio e in quello della “strumentalità finanziaria” rispetto all’ ente territoriale che definisce programmi di attività e che ha poteri di vigilanza (Regione , Province o Comune) . La competenza a svolgere il controllo da parte della Corte, veniva individuata nelle (allora) Delegazioni regionali (ora Sezioni regionali di controllo) con 225 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit. 226 R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, op. cit. 184 funzioni anche di collaborazione con le Sezioni riunite della Corte che riferiscono al Parlamento nazionale e alla (allora) Sezione Enti locali (ora Sezione delle Autonomie) per quegli enti che “gravitano nell'ambito di legge territoriale locale e che perseguono anche con le sovvenzioni quest'ultimo lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali” . Con riguardo alle società costituite o partecipate prevalentemente da regioni ed enti locali ed aventi scopi sociali di carattere spiccatamente territoriale, le quali non beneficino in genere ordinariamente ed in modo diretto di contributi statali, le Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede di controllo, deliberazione n. 16/01 del 26 luglio 2001 hanno successivamente affermato che il controllo su queste società può essere esercitato esclusivamente in via indiretta, sulla base delle norme della legge n. 20/1994227. Vi provvederanno, pertanto, la Sezione delle Autonomie e le Sezioni regionali nei rispettivi ambiti di competenza, nel contesto dei controlli ad esse spettanti sulle amministrazioni pubbliche territoriali e limitatamente a quegli aspetti delle gestioni societarie, che hanno impatto sugli equilibri di bilancio degli enti regionali e locali e concorrono a determinarne le politiche di settore. Interessanti sono alcune notazioni generali sul sistema delle Autorità portuali, per i risvolti in ordine all’avvenuto assoggettamento al controllo della Corte dei conti (da parte della Sezione enti). L’art. 105, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle 227 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 185 Regioni ed agli enti locali, ha sancito espressa deroga a detto conferimento in ordine alle attribuzioni proprie delle Autorità portuali che, dunque, continuano ad esercitarle in materia sia portuale sia di amministrazione del demanio marittimo. Da tale disposto è derivata la prosecuzione dei controlli sulle Autorità portuali da parte delle Amministrazioni statali, come definiti dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nonché da parte della Corte dei conti, secondo le modalità dell’art. 8 bis della legge 27 febbraio 1998, n. 30 sulle autorità portuali, ai sensi dell’art. 6, quarto comma, della legge n. 84/1994, nel testo sostituito dall’art. 8 bis, lettera c), della legge n. 30/1998, secondo il quale la Corte dei conti esercita il controllo sui rendiconti della gestione finanziaria. Le altre leggi principali che hanno innovato il sistema sono: il decreto legge 21 ottobre 1996, n. 535, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647 e il decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla già citata legge 27 febbraio 1998, n. 30. Da tale quadro normativo discende per le Autorità portuali la compresenza di una duplice natura. La prima, prevalente, deriva dai poteri pubblicistici di regolamentazione e di controllo delle attività di impresa nell’ambito portuale, volta ad assicurare l’assoluta neutralità e la parità tra le imprese impegnate nelle operazioni portuali; esse infatti vigilano sull’applicazione della legislazione comunitaria e nazionale in materia di concorrenza intervenendo, nei confronti dei concessionari o dei soggetti autorizzati, per imporne il rispetto pena la decadenza o la revoca. La seconda consente loro, come detto, di esercitare direttamente o indirettamente attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati. Si verifica, pertanto, la singolare contitolarità di dette ultime attività economico-commerciali con le funzioni autoritative e di garanzia. Sulla natura giuridica delle Autorità portuali il Consiglio di Stato (Sez. III, n.1641/02 del 9 luglio 2002) ha avuto modo di affermare che “la 186 prevalenza nell’organizzazione di un Ente delle attività destinate a soddisfare bisogni di carattere industriale o commerciale non preclude la sua qualificazione come organismo di diritto pubblico, quando ne sussistano altre in relazione alle quali ricorrano i requisiti stabiliti dalla normativa comunitaria per tale qualificazione”, e che “la circostanza che le Autorità portuali, oltre allo svolgimento delle funzioni istituzionali, percepiscano anche compensi da terzi per servizi resi, non trasforma la loro natura di organismi di diritto pubblico, atteso che i relativi proventi rappresentano soltanto un mezzo per concorrere al finanziamento degli oneri sostenuti per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, affinché non ricadano interamente sull’erario e non già un utile di impresa”228. Anche la Commissione europea , ha rilevato che in molti casi le Autorità esercitano una doppia funzione, e cioè quella di ente gestore del porto e quella di fornitore di servizi portuali. Per tali ipotesi, nelle quali l’Autorità portuale operi sul piano commerciale, la Commissione – pur senza voler restringere le funzioni di gestione di cui le Autorità sono titolari – ha evidenziato la necessità che la stessa non occupi una posizione privilegiata nei confronti degli altri fornitori di servizi. 4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI Si può affermare – traendo spunto dalla delibera programmatica della Sezione enti – che nel sistema dei controlli, quello della legge 259 del ‘58 si posiziona ormai come strumento intermedio tra il controllo di legittimità sui singoli atti e quello successivo sulla gestione di tipo generale e per 228 R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit. 187 programmi e settori di attività preordinato ad assicurare un'azione di verifica, continuativa e compiuta, su ciascuna delle gestione sovvenzionate, previamente individuate singolarmente o a volte per categoria in ragione del impatto sulla finanza pubblica. In proposito, è significativo richiamare il ripristino del controllo della legge 259 del ‘58 sui grandi enti di ricerca: in particolare, sulla questione che esso viene disposto direttamente dal legislatore (ad esempio, col decreto legislativo 3 settembre 2003, n. 257) nella più incisiva forma prevista dall'articolo 12 della legge 259 del ’58. Una pari significatività assume, inoltre, lo spostamento dall'area applicativa della legge 20 del ‘94 a quella della legge 259 del ‘58 operato per la “Cassa depositi e prestiti” a causa della sua trasformazione in società per azioni ( in base all’art. 5 comma 17 – relativamente al controllo della Corte dei conti229 – del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito dalla legge 24 novembre 2003 , n. 326 ) e attraverso altri decreti governativi per l'Istituto superiore di sanità e per l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Per l'attuazione della legge 259 del ’58 la determinazione annuale degli indirizzi di programma del controllo – come si legge nelle delibere di programma della Sezione controlli enti – “si atteggia di conseguenza non tanto quale autolimite quanto piuttosto quale mezzo per individuare le materie interne e gli aspetti delle singole gestioni sui quali focalizzare analisi e verifiche”. L'attività di controllo da svolgere da parte della Corte dei conti230 deve mantenere quindi tra gli obiettivi prioritari quello di rendere un referto sempre più aggiornato al Parlamento , che evidenzi sinteticamente per ciascuno degli enti controllati “i profili gestionali di maggiore criticità ed 229 G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss. 188 attualità sino ai dati di preconsuntivo , delle situazioni trimestrali dell'esercizio in corso e le più importanti e significative valutazioni sui risultati conseguiti, sui costi, sul funzionamento dei controlli interni e sulle misure consequenziali comunicate da adottare in essi dall'osservazione della Corte dei conti”. Sia nella sentenza n. 457 del 23 dicembre 1999, che nella sentenza n. 466 del 28 dicembre 1993, la Corte costituzionale ha ritenuto che la Corte dei conti nell’esercizio della funzione di controllo sugli enti, rappresentata dal Presidente della Corte dei conti, sia potere dello Stato legittimato a sollevare conflitto di attribuzione con gli altri poteri dello Stato. Va ricordato, altresì, che importanti innovazioni sono state recate dal decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003 n. 97 sulla nuova disciplina concernente l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e dalle norme di riforma del diritto societario (iniziata con la legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 e i dd.lgs 5 e 6 del 17 gennaio 2003 e proseguita col d.lgs 30 dicembre 2003 n.394 e col d.lgs 28 febbraio 2005 n. 38). Va inoltre ricordato il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che reca la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300 e delle associazioni non riconosciute, come conseguenza di determinate categorie di reato poste in essere nel loro interesse o a loro vantaggio da persone fisiche facenti parte degli stessi enti in posizione apicale o subordinata, attribuendo il potere di accertamento della responsabilità stessa al giudice penale, con profili che potrebbero 230 M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, op. cit. 189 rifluire anche in ipotesi di danno erariale – di competenza della giurisdizione contabile della Corte dei conti – quali l'irrogazione di una sanzione pecuniaria, che ne riduca sensibilmente le risorse finanziarie, compromettendone il funzionamento o l’esistenza231. In tal modo, si giustifica anche per la Sezione controllo enti della Corte dei conti , l'esigenza di vigilare attentamente sulle modalità di applicazione delle disposizioni recate dal citato decreto, in particolare sull'applicazione delle disposizioni rivolte alla prevenzione dei reati, all'esonero dalla responsabilità amministrativa ed alla riduzione degli effetti sanzionati. Vanno, per completezza , ricordate anche le seguenti norme modificate o contenute nei commi 172 e 173 della legge n. 266 del 2005: – art 3 comma 6 legge n. 20 del ’94, modificato dal comma 172 dell’art.1 della legge n. 266 del 2005:” La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate.” – comma 173 dell’ art. 1 della legge n. 266 del 2005:” Gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 (si tratta di spese per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, sostenute dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e 231 A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss. 190 successive modificazioni, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati e di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, nonché di spese per indennità, compensi, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di consulenza, e i contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.” Altro tema d’indagine in ambito societario è costituito dalla nuova disciplina sulla tutela del risparmio (di cui alla legge 28 dicembre 2005, n. 262) che prevede – tra l’altro – un maggiore spazio alla rappresentanza delle minoranze nel collegio dei sindaci; l’istituzione della figura del dirigente responsabile della redazione dei documenti contabili societari; la rotazione dei responsabili della revisione e alcuni divieti per lo svolgimento di altri servizi professionali, nonché alcune limitazioni al cumulo degli incarichi di amministrazione e controllo. A fronte del descritto assetto ordinamentale, in continua trasformazione, i principali parametri di riferimento del controllo che viene svolto a campione in relazione alle concrete disponibilità della Sezione, sono, comunque, tuttora identificabili: nelle norme nazionali ed in quelle comunitarie sugli equilibri di bilancio, sulla concorrenza, sugli aiuti di Stato ed in materia di appalti; nelle disposizioni generali e settoriali e negli strumenti programmatici governativi, volti a contenere indebitamento e debito ed a riqualificare la spesa del settore pubblico; nelle norme di riforma e di razionalizzazione degli enti pubblici e delle loro strutture organizzative ed in quelle dirette, sia ad introdurre una generalizzata applicazione della contabilità economico analitica, sia ad elevare il livello qualitativo dei prodotti e servizi finali resi all'utenza. Fermo restando il controllo sul rispetto degli indicati parametri, oltre ai più generali riscontri di legalità e sulla regolarità delle procedure amministrative e contabili ed alle valutazioni di attendibilità e di affidabilità dei bilanci, da potenziare e 191 sviluppare con metodologia a campione , le indagini – si legge sempre nelle delibere programmatiche della Sezione – “saranno focalizzate sulla corrispondenza dei risultati agli obblighi normativi ed alle linee programmatiche, accertando il grado di realizzazione delle "missioni" assegnate a ciascun Ente. Nei casi ove sia possibile e ritenuto significativo, verranno implementate analisi comparative e relazioni unitarie su più enti, applicando indicatori di misurazione delle attività o dei prodotti ( output ) o delle realizzazioni o di impatto (outcome)”. Conclusivamente, si può anche affermare che sia stata proprio la legge 259 del ‘58, anche se intervenuta a dieci anni di distanza dalla previsione costituzionale, ad iniziare ad introdurre i concetti del controllo sulla gestione considerata nel suo insieme e che si svolgesse temporalmente in un momento successivo al suo compimento senza effetti interdittivi della efficacia del singolo atto. Con tale tipo di controllo si evidenziano gli esiti della gestione, in una valutazione complessiva dell’azione e dell’efficacia della attività monitorata, di una sua efficiente ed economica realizzazione, attraverso la verifica di documenti economico finanziari, oltre che contabili, quali sono i bilanci d’esercizio ed i conti consuntivi. La Corte dei conti vigila affinché gli enti che gestiscono ingenti quote di risorse pubbliche, si attengano a parametri di legittimità ed improntino la loro gestione a criteri di efficacia ed economicità. Nell’esercizio della funzione di controllo sulla gestione finanziaria previsto dall’art. 100 della Costituzione e dalla legge 21 marzo 1958 n. 259, la Corte controlla, come detto: – gli enti che godono di contribuzione periodica a carico dello Stato; – gli enti che si finanziano con imposte, contributi, tasse che sono autorizzati ad imporre; – gli enti che godono di un apporto al patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione di garanzia; – le società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni, fino a quando permanga la partecipazione 192 maggioritaria dello Stato o degli altri pubblici poteri al capitale sociale (sentenza 28 dicembre 1993 n. 466 della Corte costituzionale ). Le deliberazioni delle relazioni ad opera della Sezione controllo enti in sede collegiale, che possono riportare i principali rilievi formulati nelle singole relazioni e le determinazioni e le relazioni vengono comunicate ai Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio, al ministero dell’ economia e finanze, e ai ministeri ai quali è attribuito il potere di vigilanza , nonché agli enti alle quali si riferiscono , proprio allo scopo di fornire indicazioni per la riqualificazione della spesa pubblica e di riflesso per la migliore ripartizione delle risorse finanziarie complessive. Poter disporre di un patrimonio ricco di informazioni derivanti dallo svolgimento corretto ed adeguato dei controlli sui fenomeni e sulla complessiva attività gestoria, è strumentale a fornire al Parlamento il quadro necessario per assumere le decisioni utili per il controllo della finanza pubblica e, quindi, assumere anche le necessarie decisioni in termini di corretta allocazione delle risorse per il perseguimento dei pubblici interessi e per l’erogazione dei beni e servizi da parte degli enti preposti, nell’opera di ottimizzazione delle risorse e di definizione anche degli strumenti generali di “fiscal policy”. 193 CONCLUSIONI Il nostro è un periodo di non facile transizione verso un sistema degli enti locali più efficiente. In altri termini è necessario aumentare la produttività della spesa pubblica. La scelta non è solo fra aumentare le imposte o ridurre le spese. Vi è anche la via di produrre di più con la stessa spesa (aumentare la produttività del lavoro) e di rendere più redditizio il patrimonio pubblico (aumentare la redditività dell’attivo investito). Questa scelta comporta una vera e propria rivoluzione culturale e operativa. Gli amministratori locali debbono affrontare problematiche sconosciute fino a qualche anno fa: i livelli quantitativi e qualitativi dei servizi pubblici non dipendono solamente dal volume dei trasferimenti erariali, ma sono ormai in funzione delle contribuzioni dei cittadini con imposte, tasse e tariffe. Questo implica una crescita professionale dei responsabili nella gestione dell’ente locale. Gli sviluppi della normativa finanziaria e contabile degli enti locali, che abbiamo approfondito nel presente lavoro, mette in luce due linee di tendenza innovative e particolarmente rilevanti: – Una maggiore attenzione, 194 rispetto al passato, ai temi della programmazione e del controllo, nella separazione tra poteri politici e competenze della gestione; – La presenza di vincoli macroeconomici in grado di influenzare le politiche di bilancio anche degli enti di minori dimensioni. Il termine Controllo di Gestione viene definito, come abbiamo visto, dalla dottrina come “il processo mediante il quale la direzione garantisce che le risorse siano disponibili e siano utilizzate efficacemente ed efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione stabiliti in sede di pianificazione strategica”, dove per efficacia si intende il grado con cui gli obiettivi prestabiliti sono raggiunti, e per efficienza il rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti. Negli enti locali il termine “controllo” è stato finora causa di interminabili dibattiti e di non pochi equivoci. Esso ha assunto spesso due significati: Il controllo inteso come momento giuridico-istituzionale è quello che finora ha trovato più largo riscontro negli enti locali. Esso si sostanzia soprattutto in ispezioni, verifiche, riscontri operativi da organi esterni, al fine di accertare la conformità giuridica dell’operato degli enti locali sotto il profilo della legittimità e talvolta anche del merito. In ogni caso, il controllo di gestione si avvale di un proprio sistema informativo e in particolare si fonda su un sistema di dati quantitativi e monetari, che formano quello che nel settore privato, è chiamata la “contabilità direzionale”. Quest’ultima nasce dalle contabilità adottate nell’amministrazione ed e’ costituita dall’insieme degli strumenti di misurazione delle risorse e dei risultati. La trasposizione agli enti locali di uno strumento nato e sviluppato nell’ambito delle aziende private non può avvenire in modo diretto perché ogni ente locale ha delle caratteristiche peculiari. 195 La prima caratteristica distintiva delle organizzazioni pubbliche, che le differenzia nettamente da quelle private, è l’assenza del mercato. Il controllo di gestione come già detto rappresenta un processo che deve coinvolgere in maniera diffusa tutte le responsabilità dell’ente che lo attua. In conclusione, riassumendo, il controllo di gestione è uno strumento organizzativo, che presuppone delle scelte specifiche per ogni ente. Tali scelte riguardano: – Il modello di ente locale scelto sulla base delle politiche diverse di “governance” adottate; – L’organizzazione dell’ente, mediante la definizione dei centri di responsabilità si rimodella l’organizzazione e i pesi delle varie funzioni organizzative; – Le risorse umane dell’ente che debbono acquisire maggiori competenze gestionali; – La scelta dei sistemi contabili dell’ente; ogni ente deve scegliere e decidere le modalità di svolgimento del proprio controllo di gestione, in base alle necessità informative, al grado di esternalizzazione dei servizi, al rapporto costi e benefici, alla sua situazione specifica; – Il sistema di valutazione del personale dell’ente, che deve essere collegato al Piano Esecutivo di Gestione e al Controllo Operativo di gestione e interagire con questi. Infine, indipendentemente dal sistema di controlli, di gestione e di finanziamento degli enti pubblici in generale, è auspicabile che le persone che ricoprono le cariche più importanti di tali enti operino al meglio e con onestà, soprattutto considerando che la via intrapresa per gli enti locali è quella di una sempre maggiore autonomia finanziaria e non. 196 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Controlli, strategici, controlli direzionali e controlli di valutazione. Prime riflessioni sul decreto legislativo n. 286 del 1999, Atti del convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 1999, a cura della corte dei contiSeminario permanente sui controlli, Roma, 2001; G. AULETTA – N. SALANITRO, Diritto commerciale, XIV ed., Milano, 2003 E. BALBONI, Le garanzie esterne per la sana gestione finanziaria, in Autonomie locali, garanzie di legalità e sana gestione (a cura di DE MARTIN), Roma, 2005; A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, Milano 2008; S. 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