INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………...3
CAPITOLO
I:
L’IDENTIFICAZIONE
E
RELATIVA
DISCIPLINA DEGLI ENTI PUBBLICI
1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO…………………...9
1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE PUBBLICO E LA
POSIZIONE
DI
PRIVILEGIO
DELLE
PUBBLICHE
AMMINISTRAZIONI…………………………………………………….17
1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI
PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA……….28
1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI………………………………..33
CAPITOLO II: LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI
PUBBLICI
2.1)
INTRODUZIONE
ALLO
STUDIO
DELLA
GESTIONE
FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL TITOLO V
DELLA COSTITUZIONE……………………………………………….42
2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI……………….53
2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI…………..57
2.4)
LA
GESTIONE
FINANZIARIA
DEGLI
ENTI
AUTARCHICI…………………………………………………………...75
CAPITOLO III: IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO
STATO SUGLI ENTI LOCALI
3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI……...…79
3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI……………………………………..88
3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI…………………………………98
1
3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA CORTE
DEI CONTI………………………………………………………………109
CAPITOLO IV: IL CONTROLLO SUGLI ENTI PUBBLICI
SOVVENZIONATI DALLO STATO
E IL CONTROLLO
SULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATO
PARTECIPA AL CAPITALE
4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA…………………………………..125
4.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI………..…134
4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI….……148
4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI………....153
CONCLUSIONI…………………………………………………..160
BIBLIOGRAFIA………………………………………………….163
2
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro cercheremo di ricostruire un quadro normativo,
giurisprudenziale e dottrinario completo in merito alla gestione ed al
controllo degli enti pubblici finanziati dallo Stato.
All’indomani dell’entrata in vigore della l. cost.n. 3 del 2001, il primo
interrogativo che si pose agli interpreti e alle stesse istituzioni a proposito di
controlli sugli enti locali riguardò la portata dell’abrogazione dell’art. 130
Cost. Ci si chiese se l’art. 9, secondo comma, l.cost. n. 3 del 2001, col
limitarsi a disporne la soppressione, determinasse del pari l’immediata
abrogazione della legislazione attuativa. Venne ad esempio sostenuto che il
controllo sugli atti non assurgeva più “a dignità costituzionale”, essendo
previsto solo a livello di legislazione ordinaria, il che costituiva il primo
passo per l’abrogazione della relativa normativa1.
1 A. ZUCCHETTI, Spunti di riflessione sul sistema dei controlli, in Dipartimento
giuridico-politico dell’Università di Milano, Incontri di studio n. 5, Problemi del
federalismo, Milano, 2001, 438.
3
La tesi avrebbe potuto giustificarsi se l’art. 130 fosse stato abrogato
tacitamente o implicitamente ai sensi dell’art. 15 disp.prel.cod.civ., giacché
in tal caso sarebbe stato almeno possibile ipotizzare un’abrogazione
parziale, e dunque una sopravvivenza, per qualche profilo, dell’istituto del
controllo preventivo sugli atti degli enti locali. Ma la soppressione dell’art.
130 è stata come si è detto esplicita, anche se non accompagnata, a
differenza della corrispondente disposizione del d.d.l. Amato-D’Alema,
dalla espressa sottrazione degli atti degli enti locali a “controlli preventivi
esterni di legittimità o di merito”.
A questo punto, occorreva solo fare ricorso a criteri pacificamente
accolti di risoluzione delle antinomie, alla cui stregua la previgente
legislazione attuativa dell’art. 130 Cost., statale e regionale, doveva
ritenersi abrogata2.
Gli orientamenti espressi in sede istituzionale sono stati univoci in tal
senso. Il Ministro per gli affari regionali, con nota del 5 dicembre 2001, ha
2 G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti e sistema delle autonomie (territoriali) dopo la
riforma del Titolo V, Intervento alla Tavola rotonda su Coordinamento della finanza
pubblica e sistema delle autonomie: attualità del ruolo della Corte dei Conti, Roma,
4.12.2002, ed E. GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi
e la scomparsa della figura del commissario del governo, in T.Groppi-M.Olivetti (a cura
di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, II ed.,
Giappichelli, 2003, 229, con indicazione della dottrina favorevole a tale ipotesi. Secondo
F. PINTO, Diritto degli enti locali, I, Giappichelli, 2003, 375, le leggi regionali attuative
dell’art. 130 Cost. avrebbero dovuto ritenersi affette da illegittimità costituzionale, poiché
l’abrogazione opererebbe solo tra fonti collocate sullo stesso piano gerarchico. Ma a
partire dal dibattito sul trattamento giurisdizionale delle leggi anteriori alla Costituzione,
risolto dalla Corte nella sua prima pronuncia con una scelta non obbligata (sent.n. 1 del
1956), è noto come l’antinomia tra fonte di grado inferiore e fonte sovraordinata
sopravvenuta possa comporsi alla stregua del criterio cronologico non meno che del
criterio gerarchico; inoltre, l’ipotesi dell’illegittimità costituzionale sopravvenuta
dovrebbe comunque riferirsi, in primo luogo, alla disposizione di legge statale che
nell’istituire i Comitati Regionali di Controllo attribuiva taluni ambiti di disciplina alle
leggi regionali (art. 128 d.lg. n. 267 del 2000 (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali)).
4
subito preso atto della cessazione dell’operatività dei controlli previsti
dall’art. 130 Cost. In seguito la Corte costituzionale ha incidentalmente
rilevato, in almeno due occasioni, la medesima circostanza (sentt.nn. 106
del 2002 e 43 del 2004). Infine, nella sua Relazione finale del 6 febbraio
2004, il Comitato di indirizzo e coordinamento tecnico-scientifico per
l’attuazione della delega ex articolo 2 legge n. 131/2003 (Comitato Vari) ha
osservato come “L’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione,
facendo venir meno l’organo regionale di controllo sugli atti degli enti
locali, ha travolto necessariamente anche la disciplina attuativa contenuta
nel T.U.E.L., con riferimento alle competenze di detto organo; disciplina
attuativa ritenuta, infatti, immediatamente inefficace, proprio perché
incompatibile con l’attuale normativa costituzionale”.
Ben più complesso appare il compito di individuare le tipologie di
controlli costituzionalmente ammissibili sugli enti locali. Il diritto
costituzionale vigente prevede ormai espressamente il solo controllo
sostitutivo del Governo nelle fattispecie e secondo i princìpi enunciati
dall’art. 120, secondo comma, nonché, implicitamente anche se con
certezza, il controllo sugli “organi di governo” attribuito alla legislazione
esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p).
Per il resto la Costituzione tace: se ne deve desumere la tassatività
delle tipologie di controllo ivi previste?
La risposta affermativa è stata desunta dal principio, che l’art. 114
Cost. avrebbe sancito, che “l’amministrazione italiana è ormai in gran parte
una amministrazione autonoma”, per cui i condizionamenti esterni
all’esercizio delle funzioni degli enti autonomi sarebbero da “riconoscere
solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito
5
richiamo”: se si fosse seguito tale principio, si soggiunge, “sarebbe apparso
subito chiaro che eliminate le ragioni di specifica compressione
dell’autonomia legate al controllo preventivo sugli atti delle Regioni e degli
enti locali, quest’ultima non poteva che riespandersi recuperando per intero
la propria ampiezza e dunque rispondendo della legittimità dei propri
provvedimenti nella sede più naturale, quella della giurisdizione”3. Le
stesse forme di controllo esterno sui risultati delle politiche pubbliche
intestate alla Corte dei conti dalla l.n. 20 del 1994 dovrebbero restarne
travolte, vista anche la difficoltà di concepire, in un sistema nel quale il
pluralismo paritario sancito dall’art. 114 Cost. si ispira al principio di
differenziazione dell’art. 118 Cost., un unico soggetto in grado di garantire
il buon andamento dei pubblici uffici; in questa prospettiva residuerebbero
soltanto, alla luce dell’art. 119, i controlli della Corte dei conti finalizzati a
garantire l’equilibrio della finanza pubblica4.
Altri studiosi hanno invece fatto notare come il nuovo Titolo V non
abbia fatto venir meno l’univoco indirizzo della giurisprudenza
costituzionale che ammetteva forme di controllo sugli enti locali e sulle
amministrazioni regionali ulteriori rispetto a quelle testualmente previste
dalla Costituzione, purché “sia rintracciabile in Costituzione un adeguato
fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi
3 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà e sistema delle amministrazioni pubbliche,
in Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale. Atti dell’VIII
Convegno Nazionale di Studi regionali, Consiglio Regionale della Liguria, 25-26 gennaio
2002, Maggioli, 2002, 95.
4 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96.
6
costituzionalmente tutelati” (sent. n. 29 del 1995, che richiama, fra le altre,
sentt.nn. 219 del 1984, 452 del 1989)5.
La seconda ipotesi pare maggiormente persuasiva. Non si tratta di
scegliere fra una lettura della legislazione e degli indirizzi giurisprudenziali
anteriori alla luce del nuovo Titolo V o viceversa6, risultando ben chiaro
che i termini del procedimento interpretativo non vanno invertiti. Ciò che
piuttosto è in discussione è il significato stesso del potenziamento delle
autonomie territoriali operato dal nuovo Titolo V. Il problema della
compatibilità della disciplina delle forme di controllo anteriormente
previste con le disposizioni della l.cost. n. 3 del 2001 può esaurirsi nella
trattazione del profilo formale con riguardo alla disposta abrogazione
dell’art.130 Cost., ma richiede una rilettura di ordine sistematico ove si
discuta di tipologie di controllo non espressamente previste nemmeno dal
vecchio testo, e tuttavia ad esso riconducibili in via interpretativa. Si tratterà
di accertare, in particolare, in cosa consista l’autonomia riconosciuta agli
enti locali dal nuovo Titolo V rispetto a controlli esterni che traggano
fondamento da princìpi costituzionali il cui vigore è rimasto immutato, a
partire da quelli affermati negli artt. 97 ed 81, non meno che dalle nuove
regole sulla finanza degli enti autonomi fissate dall’art. 119.
5 A. CORPACI, Revisione del titolo V della parte II della Costituzione e sistema
amministrativo, in Le Regioni, 2001, e R. BIN, La funzione amministrativa, in
Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Il nuovo Titolo V della Parte II della
Costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Bologna, 14.1.2002, Milano, 2002,
125.
6 Come ritiene M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96.
7
L’ammissibilità dei soli controlli interni, oltre a quelli sulla finanza,
presuppone una visione ‘insulare’ dell’autonomia, che non pare
corrispondere alla nuova configurazione costituzionale degli enti locali. La
quale ha sì accentuato, per taluni aspetti, gli elementi di garanzia, ma senza
per ciò perdere di vista il momento relazionale, come dimostra la stessa
enunciazione dell’art. 114 là dove annovera Comuni, Province e Città
metropolitane fra gli enti di cui la Repubblica è costituita, e che anche per
questo verso costituisce una “positiva eco” dell’art. 5 Cost. (sent.n. 106 del
2002).
Quanto al principio di differenziazione, sono anch’io persuaso che
esso non abbia finora avuto, né in dottrina né tantomeno nella
giurisprudenza costituzionale, tutta l’attenzione che avrebbe meritato quale
cardine di una visione specularmente opposta al rovinoso culto per
l’uniformità che ha da sempre caratterizzato disciplina e modus operandi
delle autonomie locali. Ma esso va riferito all’organizzazione
amministrativa, non ai risultati dell’azione, i quali possono e debbono
formare oggetto di controllo alla stregua di standard uniformi, pur se
opportunamente calibrati anche sulla base delle diverse realtà territoriali.
Questo è un punto qualificante del riassestamento del rapporto fra i princìpi
di eguaglianza e unità ed il principio di differenziazione: ad organizzazioni
diverse debbono corrispondere standard uniformi sui risultati dell’azione e
dei servizi pubblici, così come, per altro verso, la “determinazione” con
legge di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
non significa “gestione” centralizzata, ma autonoma e perciò anche
differenziata, di quei livelli, salva la sostituzione in caso di loro mancata
tutela (cfr. artt. 117, secondo comma lett. m) e art. 120, secondo comma).
In linea di principio, l’attribuzione della funzione di controllo esterno
sulla gestione degli enti locali a un organo unico come la Corte dei conti,
che sempre più la normazione positiva ha caratterizzato come organo della
8
Repubblica nella pregnante accezione dell’art. 1147, facendole perdere i
residui connotati di organo ausiliario del Governo centrale, non solo non
contrasta ma è complementare con il potenziamento delle autonomie locali
e con il principio di differenziazione.
Nel prosieguo approfondiremo i succitati argomento cercando di
condurre un indagine partendo innanzitutto dalla identificazione di tali enti,
per poi passare alla gestione ed al controllo degli enti locali e concludendo,
infine, la nostra trattazione con un capitolo dedicato agli enti pubblici
sovvenzionati dallo Stato ed alle società a partecipazione statale.
7 Nello stesso senso G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti, cit., e F. STADERINI, Il
controllo sulle Regioni e gli enti locali nel nuovo sistema costituzionale italiano, in
Quaderni regionali, 2003, 846.
9
CAPITOLO I
L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA DISCIPLINA DEGLI
ENTI PUBBLICI
1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO
Prima di entrare nel vivo dell’argomento oggetto del presente lavoro,
ovvero la gestione ed il controllo finanziario degli enti finanziati dallo stato,
si rende opportuno, per non dire necessario, una identificazione di quelli
che sono gli enti pubblici.
Come è noto, l’organizzazione pubblica nel suo complesso consta di
una pluralità di organizzazioni, in genere dotate di propria personalità
giuridica, e come tali idonee ad essere titolari di poteri amministrativi.
Per Amministrazioni pubbliche (in senso soggettivo) possono
intendersi gli apparati che svolgono le attività che costituiscono
l’Amministrazione pubblica in senso oggettivo, cioè le attività svolte
nell’interesse dei cittadini, in attuazione dell’indirizzo degli apparati politici
10
e nel rispetto di specifici principi costituzionali e di una articolata disciplina
che ne costituisce svolgimento8.
Una
elencazione
abbastanza
esaustiva
delle
pubbliche
Amministrazioni nel nostro ordinamento è quella contenuta nell’art. 1,
comma 2, del D. Lgs.vo 30 marzo 2001 n. 165, recante “norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”, laddove, nel dichiarato fine di disciplinare “l’organizzazione
degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche”, si precisa che “per amministrazioni pubbliche
si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e
scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le
Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni,
le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli
enti
pubblici
non
economici
nazionali,
regionali
e
locali,
le
amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale,
l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.
Come si vede, si tratta di una elencazione di una serie di figure
soggettive previste dal sistema, nell’ambito della quale si fa un generico
riferimento, tra l’altro, a “tutti gli enti pubblici non economici”, la cui
individuazione dovrebbe essere effettuata dall’ordinamento positivo. Il
problema dell’individuazione dell’ente pubblico da parte dell’interprete non
dovrebbe quindi sorgere nelle ipotesi in cui sia il diritto positivo ad
affermare espressamente la natura giuridica di un soggetto.
8Cfr. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, Bologna, 2000, p. 225.
11
Tuttavia, neppure la qualificazione operata dalla legge risulta sempre
decisiva, tanto è vero che Corte Cost., 28 dicembre 1993 n. 4669, ha
dichiarato la spettanza alla Corte dei Conti del potere di controllo sulla
gestione finanziaria delle società per azioni costituite a seguito di
trasformazione di enti pubblici economici (Iri, Ina, Eni, Enel), fino a
quando sussista una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al
capitale azionario. Vale a dire che la pubblicità, che è il naturale
presupposto del controllo della Corte dei Conti (la quale, ex art. 100 Cost.,
“partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla
gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”),
permane anche in presenza di una persona giuridica formalmente privata.
In quel caso, la cui soluzione è risultata poi determinante per lo
sviluppo successivo in tema di responsabilità erariale, il problema si poneva
per l’applicazione della L. 21 marzo 1958 n. 259, relativa alla
“partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria
degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, il cui art. 12 dispone
che “il controllo previsto dall'art. 100 della Costituzione sulla gestione
finanziaria degli enti pubblici ai quali l'Amministrazione dello Stato o
un'azienda autonoma statale contribuisca con apporto al patrimonio in
capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia
finanziaria, è esercitato…da un magistrato della Corte dei conti, nominato
dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di
amministrazione e di revisione”.
In sostanza, la Corte Costituzionale ha dovuto risolvere la questione se
gli enti, sebbene privatizzati, nella loro forma giuridica possano essere
ancora oggetto di quel controllo previsto dalla citata norma del 1958 per gli
9 In Cons. Stato, 1993, II, 2116.
12
“enti pubblici”, precisando a tal fine che “le ragioni che stanno alla base
del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti pubblici economici
sottoposti a trasformazione non possono…considerarsi superate in
conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, ove
a tale mutamento formale non faccia seguito anche una modifica di
carattere sostanziale nell'imputazione del patrimonio (ora trasformato in
capitale azionario) tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti
trasformati alla disponibilità dello Stato”10.
Per quanto riguarda poi il dato letterale, la Corte rileva che “se é vero
che l'art. 12 della legge n. 259 riferisce il controllo in questione agli "enti
pubblici", é anche vero che la disposizione espressa con tale articolo non
può non richiedere un'interpretazione adeguata al dettato costituzionale,
anche in relazione alla funzione propria di questo tipo di controllo ed alla
evoluzione subita, rispetto al tempo dell'enunciazione della norma, dalla
10Per una ricostruzione del problema in esame, vedi C. JAMBRENGHI, Azione ordinaria
di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano
pubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici, in Atti del LI convegno di studi di
Scienza dell’Amministrazione (Varenna, settembre 2005) su Responsabilità
amministrativa e giurisdizione contabile ad un decennio dalle riforme, Milano, 2006. A
proposito dei danni arrecati al patrimonio di enti pubblici vedi anche S. BUSCEMA,
Funzioni di controllo e di giurisdizione. La giurisdizione in materia di responsabilità
amministrativa e contabile, in Atti del convegno internazionale di studi su “La Corte dei
Conti nei paesi del Mediterraneo. Funzioni giurisdizionali in materia di contabilità
pubblica” (Agrigento, 16 e 17 aprile 2004), Verona, 2005, 24: “le norme civilistiche sulla
responsabilità (artt. da 2392 a 2395) trovano applicazione anche nei confronti di
amministratori e di dirigenti che gestiscono le azioni di società formalmente privatistiche.
Il mancato esercizio dell’azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario fa scattare il
meccanismo della responsabilità per danno derivante al patrimonio dello Stato o di altro
ente pubblico, dinanzi alla Corte dei Conti in sede giurisdizionale. Occorre constatare che
tale meccanismo è stato furbescamente raggirato – con l’avallo della classe politica – con
la creazione di s.p.a. con la partecipazione dominante di società a loro volta create dallo
Stato o da altri enti comunitari”. Vedi anche M. OREFICE, Percorsi del controllo (dal
controllo di legittimità sugli atti alle diverse e più recenti forme di controllo sulla
gestione), Roma, 2003, 156 e passim.
13
stessa nozione di ente pubblico”. Inoltre, “l'art.100, secondo comma, della
Costituzione, pur rinviando alla legge ordinaria la determinazione dei casi e
delle forme del controllo, riferisce il controllo stesso agli "enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria", senza porre distinzione alcuna tra enti
pubblici ed enti privati”.
Ed è la stessa Corte a ricordare come “la stessa dicotomia tra ente
pubblico e società di diritto privato si sia andata, di recente, tanto in sede
normativa che giurisprudenziale, sempre più stemperando: e questo in
relazione, da un lato, all'impiego crescente dello strumento della società per
azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico (…); dall'altro,
agli indirizzi emersi in sede di normazione comunitaria, favorevoli
all'adozione di una nozione sostanziale di impresa pubblica (art.2 direttiva
CEE n. 80/723, in tema di trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati
membri e le loro imprese pubbliche; art. 1 direttiva CEE n. 90/531, in tema
di procedure di appalto degli enti erogatori di servizi)”.
E oltre al fatto che “le società per azioni derivate dalla trasformazione
dei precedenti enti pubblici conservano connotazioni proprie della loro
originaria natura pubblicistica, quali quelle, ad esempio, che si collegano
alla assunzione della veste di concessionarie necessarie di tutte le attività in
precedenza attribuite o riservate agli enti originari o che mantengono alle
nuove società le attribuzioni in materia di dichiarazione di pubblica utilità e
di necessità ed urgenza già spettanti agli stessi enti (…)”, un elemento nel
senso sostenuto dalla Corte è dato infine dalla “natura di "diritto speciale"
che va riconosciuta a dette società e che viene a emergere dal complesso
della disciplina adottata al fine di regolare il processo di "privatizzazione":
natura che risulta connotata…sia dalla costituzione che dalla struttura e
dalla gestione delle nuove società e che viene a specificarsi attraverso la
previsione di norme particolari – differenziate da quelle proprie del regime
tipico delle società per azioni – sia in tema di determinazione del capitale
sociale (…), sia in tema di esercizio dei diritti dell'azionista (spettanti al
14
Ministro del tesoro, ma previa intesa con altri Ministri…), sia infine, in
tema di patti sociali, poteri speciali, clausole di gradimento, modifiche
statutarie, quorum deliberativi nelle assemblee, limiti al possesso di quote
azionarie da parte dei terzi acquirenti (…)”; senza considerare “il vincolo
esterno connesso al fatto che i ricavi derivanti dalla cessione dei cespiti da
dismettere vanno destinati alla riduzione del debito pubblico (…)”11.
Ma come non lo è quando un ente viene espressamente definito
privato, la qualificazione operata dalla legge non risulta decisiva neppure
nei casi in cui di un ente viene sancita la pubblicità12.
11 F. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, IV ed., I, Milano, 2005, 705,
ribadisce che “la disciplina dettata per tali enti si caratterizza per la previsione di regole di
funzionamento che, se da un lato costituiscono una consistente alterazione del modello
societario tipico, comportando una compressione della autonomia funzionale degli
organismi societari, dall’altro, rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicistica
dell’ente societario”. A. VIRGILIO, Il regime dei beni, in Atti del convegno di studi su
“Le società pubbliche”, (Firenze, 20 maggio 2005), in Giust. amm., 21 ss. – rileva come
nelle privatizzazioni, sia solo formali che sostanziali, così come nelle privatizzazioni nel
settore dei pubblici servizi (pagg. 60 s.s.), “anche sotto il profilo del regime dei beni la
situazione, dal punto di vista sostanziale, rimane tutto sommato immutata. Invero, i beni
destinati al pubblico servizio e già qualificati come demaniali o patrimoniali indisponibili,
continuano per lo più, e non di rado per legge, a restare assoggettati alla medesima
destinazione pubblica malgrado sia mutata la veste giuridica del proprietario che, a
seconda dei casi, passa da un soggetto pubblico (Stato o altro ente pubblico territoriale o
non) ad un soggetto, almeno nella forma, privato. Peraltro, come già accennato, sulle
società pubbliche erogatrici di servizi succedute agli enti di gestione (o scorporate dai
vari Ministeri) e sul regime dei beni strumentali da esse possedute o ad esse attribuite in
seguito alla privatizzazione (anche se solo formale) incide profondamente il diritto
comunitario e, in particolare, due principi”, di cui “il primo è la liberalizzazione dei
pubblici servizi e la conseguente libertà di concorrenza e di stabilimento, ed il secondo è
il divieto di aiuti di Stato”. Per Corso, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 156,
“quelle che comunemente vengono chiamate società a partecipazione pubblica non sono
una terza specie di enti pubblici: sono invece società per azioni nelle quali azionista,
unico, di maggioranza o di minoranza, è l’ente pubblico. Si tratta, cioè, di una species del
genus società per azioni (di diritto privato)”.
15
Il carattere sostanziale della distinzione tra enti pubblici ed enti
privati, con la possibilità quindi del contrasto con tale carattere della
qualificazione che eventualmente la norma dia dell’ente in modo esplicito,
emerge infatti anche da Corte Cost., 7 aprile 1988 n. 39613, che ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della L. 17 luglio 1890 n. 6972
("Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza" – IPAB),
nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali
possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto
privato, qualora abbiano i requisiti di un'istituzione privata.
Emerge quindi che ente pubblico è quello che, al di là della
definizione normativa, possa comunque essere ritenuto tale14, nel senso che
le definizioni legislative non vincolano l’interprete, il quale dovrà
determinare la natura dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione,
12 V. OTTAVIANO, Ente pubblico, in Enc dir., XIV, 1965, precisa che “poiché la
pubblicità è relativa ad una certa regolamentazione, la dichiarazione della natura pubblica
di un ente che sia in contrasto con la disciplina in effetti disposta, da sola non sarebbe
sufficiente a farlo qualificare pubblico. Normalmente, però, con il dichiarare che un ente
è pubblico il legislatore intende indicare la regolamentazione pubblica che vuole
applicare all'ente, sicché tale dichiarazione vale come espressione riassuntiva di siffatta
normativa”.
13 In Foro Amm., 1988, 3141.
14 Cfr. E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, 2006, p. 71.
16
per cui la stessa qualificazione esplicita è irrilevante se in contrasto con
l’effettiva natura15.
Ma l’ordinamento non sempre afferma esplicitamente la natura
pubblica di un soggetto, facendo sorgere così il problema di stabilire, a
fronte di determinate figure soggettive, se esse siano ascrivibili al genere
degli enti pubblici ovvero delle persone giuridiche private; oppure, in altri
casi, di stabilire, a fronte di determinate figure soggettive, certamente di
15 Cfr. G. VIRGA, Diritto Amministrativo, I principi, Milano, 1989, p. 14; V. CERULLI
IRELLI, Ente pubblico: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in V.
CERULLI IRELLI – MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino,
1994, p. 89 – ribadisce che “non basta una mera disposizione del legislatore per dire che
un ente è pubblico. Ovvero, la disposizione del legislatore che attribuisce o che nega la
pubblicità di un ente può essere ritenuta a sua volta illegittima, sotto il profilo
costituzionale ovvero comunitario”. Per Cass., sez. Un., ord. 22 dicembre 2003 n. 19667,
in Foro amm. – CdS, 2004, 685, “sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di
responsabilità amministrativa,…anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti
pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile),
essendo irrilevante il fatto che detti enti – soggetti pubblici per definizione, istituiti per il
raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura – perseguano
le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal
diritto privato” (nella specie, il giudizio di responsabilità per danno erariale era stato
promosso nei confronti del presidente e degli altri componenti del consiglio di
amministrazione nonché di dipendenti di un consorzio comprensoriale per la gestione di
opere acquedottistiche – istituito tra vari comuni ai sensi dell'art. 25 L. n. 142/90 – per
fatti attinenti allo svolgimento di un'operazione finanziaria dell'ente, e dunque all'attività
imprenditoriale dello stesso). Cass. sez. Un., 26 febbraio 2004 n. 3899, in Foro amm. –
CdS, 2004, 375, va ancora oltre, affermando che “l'affidamento, da parte di un Comune
(nella specie: quello di Milano) ad un ente privato esterno (nella specie, una società per
azioni, avente un capitale detenuto in misura assolutamente maggioritaria dallo stesso
Comune), della gestione del servizio relativo agli impianti e all'esercizio dei mercati
annonari all'ingrosso, integra una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del
soggetto privato controllato nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne
implica, conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in
materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando, in contrario, nè
la natura privatistica dell'ente stesso, nè la natura privatistica dello strumento contrattuale
con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto in questione”. Per Cass., Sez. Un., 2
luglio 2004 n. 12192, in Foro it., 2006, 1518, “spetta alla Corte dei conti la giurisdizione
in ordine all’accertamento della responsabilità degli agenti contabili (nella specie, una
società per azioni e una società a responsabilità limitata) in relazione ai danni da essi
prodotti ad un ente locale (il Comune di Roma) per la gestione della sosta a pagamento
sul suolo comunale e dei parcheggi a pagamento”.
17
carattere pubblico, se esse siano ascrivibili al genere degli enti pubblici non
economici (perché per quelli economici la disciplina applicabile è diversa,
ed è riconducibile quasi interamente all’area del diritto privato).
In questi casi si pone cioè il problema di individuare il carattere,
pubblico o privato, economico o non economico, di una singola figura
soggettiva.
Ora, “l’identificazione in concreto dell'ente pubblico (la predicabilità
in concreto di un determinato ente come pubblico), laddove incerta, deve
essere fatta analizzando la disciplina giuridica propria di esso (gli elementi
di disciplina certi); ricavando da questi elementi, in base a parametri
normativi predeterminati, l'essere pubblico dell'ente; ciò da cui a sua volta
deriva l'applicabilità all'ente stesso di altri elementi di disciplina, che
viceversa sono incerti e che sono quelli propri degli enti pubblici in quanto
tali. …Ma se si scende al concreto e si vede come avviene questa
identificazione, cioè si scende all'applicazione in concreto di questo
procedimento interpretativo, ci si scontra con una difficoltà assai grave: che
non
risultano
positivamente
stabiliti
questi
"parametri
normativi
predeterminati" in base ai quali interpretare gli elementi di disciplina certi
propri di un ente come quelli tali da designarne la pubblicità. Con altre
parole, si può dire che non esistono parametri predeterminati”16.
16 Così V. CERULLI IRELLIi, Ente pubblico, cit., p. 87, il quale (pag. 85, nota 2) rileva
anche che “la nozione di “ente pubblico” come nozione unitaria (come quella che designa
una serie di fattispecie accomunate da una disciplina generale) è frutto dell’elaborazione
giurisprudenziale, pur supportata da una produzione dottrinale assai nota”.
18
Rinviando ad un paragrafo successivo l’esame dei criteri che è
possibile utilizzare per rilevare la pubblicità di un ente, è intanto necessario
precisare che la qualificazione di un ente come pubblico è importante
perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo, anche se poi la presenza
di qualcuna di tali conseguenze è spesso considerata come indice rivelatore
della pubblicità, per cui vi è una certa sovrapposizione tra presupposti e
conseguenze.
Alle Amministrazioni pubbliche, infatti, si applica in via generale una
disciplina del tutto propria, che non trova invece applicazione alle figure
riconducibili al diritto privato, nel senso che “esistono norme, o complessi
normativi, alcuni di rilevante spessore, la cui applicazione agli "enti
pubblici" è espressamente prevista da norme dell’ordinamento positivo
ovvero da principi giurisprudenziali ormai consolidati”17.
In primo luogo, la qualificazione di un apparato organizzativo come
Amministrazione pubblica comporta, in generale, che è destinatario
dell’insieme di norme che possono considerarsi svolgimento di quegli
specifici principi costituzionali che fondano il diritto amministrativo, e che
hanno come riferimento il fatto che il compito di ogni Amministrazione
pubblica è la realizzazione di pubblici interessi18. In dottrina si è effettuata
una classificazione in categorie, avente carattere descrittivo, degli istituti
17 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., P. 85.
18 Cfr. D. SORACE, op.cit., p. 226, il quale cita l’art. 11 del cod.civ., ai sensi del quale
“gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi
e gli usi osservati come diritto pubblico”.
19
positivi, a cui si farà di seguito riferimento citandone alcuni, che formano la
disciplina generale degli enti pubblici19.
1.2)
LE
LIMITAZIONI
DI
CAPACITÀ
DELL’ENTE
PUBBLICO E LA POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE
PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Così, la prima categoria comprende i c.d. “istituti di deminutio della
capacità”, che comportano l’incapacità in capo all’ente a porre in essere
determinati atti, ovvero obblighi di compiere determinati atti od operazioni,
in deroga al diritto comune20.
Tra questi istituti uno dei più importanti (tanto da essere considerato
il carattere più qualificante del regime degli enti pubblici) è la perdita della
capacità di disporre di sé stessa da parte della preesistente organizzazione,
cioè l’indisponibilità della propria esistenza. Tale carattere necessario
dell'ente pubblico comporta innanzitutto l’impossibilità per l’ente di
autoscioglimento, o di decisione autonoma di privatizzazione, come
l’impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione. Indisponibilità della
19 Per tale classificazione vedi V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., p. 90 ss.
20 Vedi ad es. gli artt. 203, 204 e 207, D. Lgs. 207/2000, relativi rispettivamente alle
regole da rispettare, da parte degli enti locali, per il ricorso all’indebitamento, per
assumere direttamente mutui, per rilasciare fideiussioni a favore “di aziende da essi
dipendenti, da consorzi cui partecipano nonché dalle comunità montane di cui fanno
parte”.
20
propria esistenza che è soltanto una conseguenza della doverosità del
perseguimento dell’interesse pubblico, perché l’ente pubblico è istituito con
quella che viene definita una precisa “vocazione” allo svolgimento di una
specifica attività di rilevanza collettiva21.
Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto di determinate norme per
quanto riguarda redazione del bilancio, utilizzo dei mezzi finanziari,
assunzione di personale.
La loro attività deve conformarsi alle norme del D. Lgs.vo n.
165/2001, recante “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, per quanto riguarda
l’organizzazione degli uffici e i rapporti di impiego.
Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio con un ente
pubblico sono soggette ad un particolare regime di responsabilità penale,
civile ed amministrativa, e sono tenute al rispetto del segreto d’ufficio22. Per
esse sono spesso poste specifiche incompatibilità, la cui previsione è tipica
dell’esistenza di funzioni pubbliche delicate, che il legislatore vuole
salvaguardare, nel loro svolgimento, da interferenze e attività che
potrebbero farle deviare dal rispetto delle norme e dei principi costituzionali
che governano ogni attività amministrativa.
Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alle
pubbliche Amministrazioni, e alcuni loro beni sono soggetti ad un regime
speciale. Anche l’attività posta in essere utilizzando gli strumenti del diritto
privato è disciplinata da regole speciali, finalizzate ad assicurare che la
21 Cfr. E. CASETTA, op.cit., p. 71, il quale rileva anche che “l’interesse è pubblico non
già perché ontologicamente si possa qualificare come tale, ma in quanto la legge,
accertato che esso ha una dimensione collettiva, l’abbia imputato ad una persona
giuridica, tenuta giuridicamente a perseguirlo: di qui il riconoscimento della
<<pubblicità>> di quella persona giuridica”.
21
scelta del contraente avvenga nel rispetto dei principi di imparzialità e di
economicità.
Nella seconda categoria rientrano i c.d. “istituti di privilegio”, che
sottraggono l’ente all’applicazione di determinate norme di diritto comune,
in genere poste a tutela dei terzi, e finalizzate a consentire all’ente
determinate facoltà derogatorie rispetto alla normativa comune23.
Vi rientra perciò la sottrazione al regime fallimentare, stabilita per gli
enti pubblici che esercitano attività di impresa (art. 2221 c.c.; art. 1 R.D. 16
marzo 1942 n. 267 – L. fallim.).
22 Infatti, Cass. pen, sez. V, 14 aprile 1980, in Cass. pen., 1981, 1541, dopo aver
precisato che “Il momento di individuazione della natura pubblica di un ente non va
ricercato negli scopi da esso perseguiti (dal momento che mentre alcuni enti privati
perseguono finalità cui tende lo Stato stesso, come quelle relative all'istruzione e al
credito, quest'ultimo, a sua volta, interviene frequentemente in concorrenza con i privati
in attività di natura privatistica, come nel campo dell'economia e della produzione), ma
nel regime giuridico dello stesso nonché nella sua collocazione istituzionale in seno
all'organizzazione statale, come organo ausiliario necessario al raggiungimento di finalità
di interesse generale e, in quanto tale, dotato di poteri e prerogative analoghi a quelli
dello Stato e assoggettato ad un intenso sistema di controlli pubblici”, conclude che “I
caratteri sopra indicati si riscontrano negli automobil clubs provinciali, ai quali pertanto
deve riconoscersi la natura di enti pubblici”, con la conseguenza che “i funzionari di tali
enti sono pubblici ufficiali e pubblici gli atti da essi posti in essere nell'esercizio delle loro
funzioni”.
23 Per una panoramica dei privilegi e delle limitazioni degli enti pubblici nel diritto
positivo, vedi G. ROSSI, Ente pubblico, in Enc. Giur. Treccani, Milano, XII, 1989, 12
s.s., il quale rileva (pag. 14) che sussistono “aspetti non marginali che danno corpo ad uno
status pubblicistico connesso alla qualificazione pubblica degli enti, rendendo tutt’altro
che evanescente la nozione di enti pubblici e che inducono quindi a ribadire la
permanente necessità di una riflessione sulle ragioni della natura pubblica degli enti”.
22
Ai beni dell’ente, in quanto destinati ad una funzione o servizio
pubblico o alla stessa sua sede, non trovano applicazione tutti quegli istituti
di diritto comune che ne comportino la sottrazione alla destinazione stessa,
e in particolare l’esecuzione forzata da parte dei creditori24.
Tale conclusione viene tratta, innanzitutto, dall’art. 4 della L. 20
marzo 1865 n. 2248, all. E, ai sensi del quale “quando la contestazione
cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'Autorità
amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto
stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio”, e “l'atto amministrativo
non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle
competenti Autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato
dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”.
Tale disposizione va poi integrata dal successivo art. 5, secondo cui
“in questo, come in ogni altro caso, le Autorità giudiziarie applicheranno
gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano
conformi alle leggi” (la c.d. disapplicazione)25.
La norma è stata sempre intesa in modo estensivo dalla
giurisprudenza, come impediente, più in generale, il sindacato e l’ingerenza
del giudice ordinario sull’esercizio della discrezionalità amministrativa26.
24 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2000 n. 14847, in Giust. civ. Mass.,
2000, 2341: “Sia le somme di denaro che i crediti dello Stato sono pignorabili, ad
eccezione di quelle somme di denaro che abbiano già ricevuto, per effetto di una
disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, una precisa e concreta
destinazione ad un pubblico servizio, ossia all'esercizio di una determinata attività rivolta,
direttamente o strumentalmente, all'attuazione di una funzione istituzionale della p.a., con
l'erogazione della spesa per le strutture necessarie all'esercizio di quell'attività. Solo in tal
caso, infatti, le somme di denaro ed i crediti dell'Amministrazione diventano indisponibili
e non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi
che li riguardano (art. 828 c.c.), e, quindi, sono impignorabili per il soddisfacimento dei
crediti di terzi verso l' Amministrazione”.
23
Inoltre, l’art. 828 cod. civ., relativo alla “condizione giuridica dei
beni patrimoniali”, al comma 2 dispone che “i beni che fanno parte del
patrimonio
indisponibile
non
possono
essere
sottratti
alla
loro
destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”, e il
successivo art. 830, relativo ai “beni degli enti pubblici non territoriali”, al
comma 2 dispone che “ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico
servizio si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 828”.
La possibilità di ottenere coattivamente quanto dovuto, in caso di
inadempimento di una pubblica Amministrazione, anche laddove possibile
incontra comunque delle limitazioni.
Infatti, l’art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito in L.
28 febbraio 1997 n. 30, relativo alla “esecuzione forzata nei confronti di
pubbliche amministrazioni”, dispone, al comma 1, che “le amministrazioni
25 Per un esame dei rapporti tra i due articoli, e dei poteri del giudice ordinario nei
confronti delle pubbliche Amministrazioni, sia consentito rinviare a G. TREBASTONI,
La disapplicazione nel processo amministrativo, in Foro amm., 2000, p. 689 ss., nonché a
G. TREBASTONI, La tutela giurisdizionale dei dipendenti di pubbliche Amministrazioni,
Torino, 2006, 105 ss.
26 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. un., 19 agosto 2002 n. 12244, in Giust. civ., 2003, I,
1582, secondo cui “l'esperibilità di un'azione possessoria nei confronti della p.a. è
condizionata al presupposto che quest'ultima abbia agito "iure privatorum", ovvero abbia
posto in essere un'attività "sine titulo", mentre, ogni qualvolta il comportamento
dell'amministrazione si risolva nell'attuazione di una pubblica potestà ovvero di un atto
amministrativo (sia pur viziato), la tutela possessoria è inammissibile perché, essendo
funzionale al ripristino della situazione modificata o turbata dall'attività denunziata, si
attuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, nell'elidere gli effetti
dell'azione amministrativa, violerebbe il divieto imposto al giudice ordinario dall'art. 4 L.
n. 2248 del 1865
24
dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per
l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi
efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di
danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo
esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad
esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”27.
Di rilievo è anche l’art. 159 (“norme sulle esecuzioni nei confronti
degli enti locali”), del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico leggi
sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che: 1) “Non sono
ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti
degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti
esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto
della procedura espropriativa”.
2) “Non sono soggette ad esecuzione
forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di
competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al
personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi
27 Corte Cost., 30 dicembre 1998 n. 463, in Giust. civ., 1999, I, 1277, ha dichiarato
manifestamente infondata la questione di costituzionalità di tale disposizione, sollevata in
riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 81 Cost. Il divieto di notificare l’atto di precetto –
introdotto dal comma 3 dell'art. 44 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, come modificato
dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2003 n. 326 – trova la sua ratio nella
circostanza di fatto che, nella prassi, i creditori, anche prima della scadenza dei 120
giorni, procedevano a notificare anche atto di precetto, con conseguente aggravio di spese
per le Amministrazioni. C’è da rilevare che se il creditore, contestualmente al titolo
esecutivo, notificava all’Amministrazione anche l’atto di precetto, si trovava
nell’impossibilità di avviare concretamente l’esecuzione forzata. Infatti, l’art. 481 c.p.c.
dispone che “il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua
notificazione non è iniziata l’esecuzione”. E come precisato, l’esecuzione non può
appunto più iniziare prima che siano trascorsi centoventi giorni dalla notifica del titolo
esecutivo. Quindi il creditore deve opportunamente notificare previamente quest’ultimo,
per notificare solo in un secondo momento l’atto di precetto; e se questo viene notificato
una volta già decorsi i centoventi giorni, deve anche assegnare l’ulteriore termine di
almeno dieci giorni per adempiere, come previsto dall’art. 482 c.p.c.
25
successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari
scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali
indispensabili”. 3) “Per l'operatività dei limiti all'esecuzione forzata di cui
al comma 2 occorre che l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi
per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli
importi delle somme destinate alle suddette finalità”. 4) “Le procedure
esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non
determinano vincoli sulle somme né limitazioni all'attività del tesoriere”28.
L’art. 27, comma 13, L. 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria
2002), dispone che “non sono soggette ad esecuzione forzata le somme di
competenza degli enti locali a titolo di addizionale comunale e provinciale
28 Ma Corte Cost., 18 giugno 2003 n. 211, in Foro amm. – CdS, 2003, 1823, ha dichiarato
l'illegittimità del citato art. 159, commi 2, 3 e 4, nella parte in cui non prevede che la
impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi
qualora, dopo la adozione da parte dell'organo esecutivo della deliberazione semestrale di
preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la
notificazione di essa al soggetto tesoriere dell'ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da
quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il
pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso.
Sulla scia di tale pronuncia, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 4 novembre 2005 n. 2003, in Giust.
amm., ha affermato che “poiché il comma 5 del medesimo art. 159 dispone che i provvedimenti
adottati dai commissari ad acta nominati in sede di giudizio di ottemperanza devono essere muniti
dell'attestazione di copertura finanziaria “e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle
lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”, è evidente che il venir meno del
vincolo alla disponibilità di quelle somme deciso dalla Corte Costituzionale – nel caso in cui
l’Ente abbia emesso mandati di pagamento “a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire
l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta
fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso” – non può non valere anche per i
commissari ad acta, i quali devono quindi preliminarmente verificare se l’Ente abbia rispettato le
rigorose procedure previste dalla legge, prima di seguire qualsiasi altra alternativa. Nel caso invece
in cui tali procedure non siano state rispettate, e non siano disponibili altre somme, ne consegue
che potranno essere utilizzate, al fine dell’esecuzione del giudicato, anche quelle destinate al
pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre
mesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre
in corso, ed all’espletamento dei servizi locali indispensabili”. Corte Cost, 27 marzo 2003 n. 83, in
Foro amm. – CdS, 2003, 850, ha comunque dichiarato manifestamente infondata, in riferimento
agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del citato art. 159, nella parte in cui
non ammette procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali
presso soggetti diversi dai loro tesorieri, “in quanto deve escludersi che la disposizione censurata,
che si limita a fissare una semplice modalità dell'azione esecutiva, evidentemente funzionale
all'esigenza di imprimere una specifica destinazione alle risorse finanziarie dell'ente locale a tutela
dell'interesse pubblico, sia di per sé lesiva del diritto di agire in giudizio e del principio di
eguaglianza”.
26
all'IRPEF disponibili sulle contabilità speciali di girofondi intestate al
Ministero dell'interno. Gli atti di sequestro e pignoramento eventualmente
effettuati su tali somme non hanno effetto e non comportano vincoli sulla
disponibilità delle somme”.
Ancora, l’art. 1 del D.L. 25 maggio 1994 n. 313, conv. in L. 22 luglio
1994 n. 460, di “disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle
prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della
Guardia di finanza”, dispone (comma 1) che “i fondi di contabilità speciale
a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle
Forze armate e della Guardia di finanza, nonché le aperture di credito a
favore dei funzionari delegati degli enti militari, destinati a servizi e
finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica,
nonché al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al
personale amministrato, non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che
per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile
(provvedimenti in materia di separazione dei coniugi), nonché dal testo
unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione
degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5
gennaio 1950, n. 180”.
Inoltre (comma 3), “non sono ammessi atti di sequestro o di
pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria
dello Stato a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro
o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di
accantonamento da parte delle sezioni medesime nè sospendono
l'accreditamento di somme nelle contabilità speciali intestate alle prefetture
27
ed alle direzioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari
delegati degli enti militari”29.
Una importante deroga alla normativa comune si ha, per gli enti
pubblici, anche in materia di cessione di crediti.
Secondo la disciplina dettata dall’art. 1260 del codice civile, infatti,
“il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche
senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere
strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le
parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è
opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo
della cessione”.
Già l’art. 70, comma 3, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440
(“disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità
generale dello Stato”), disponeva invece che “per le somme dovute dallo
Stato per somministrazioni, forniture ed appalti”, dovessero “essere
osservate le disposizioni dell'art. 9, allegato E , della legge 20 marzo 1865,
n. 2248 e degli articoli 351 e 355, allegato F , della legge medesima”.
Tale art. 9 disponeva che “sul prezzo dei contratti in corso non potrà
aver effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione se non vi aderisca
l'amministrazione interessata”.
29 Corte Cost., 9 ottobre 1998 n. 350, in Cons. St., 1998, II, 1429, ha dichiarato
infondata, con riferimento agli art. 3, 24, 25, 28, e 113 Cost., la questione di legittimità
costituzionale del citato art. 1, comma 3, “in quanto la disciplina stabilita per i
pignoramenti sulle contabilità speciali non configura una procedura tale da determinare
l'impignorabilità dei fondi assegnati alle prefetture, ma tende invece ad adeguare la
procedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondi
stessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a servizi
qualificati dalla legge come essenziali. Pertanto risulta giustificata la normativa secondo
la quale il pignoramento deve essere notificato al funzionario direttamente responsabile
della gestione contabile dei fondi e in grado di conoscere l'ammontare, la disponibilità, i
vincoli di destinazione e le cause d'impignorabilità”.
28
Da ultimo, il D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (“Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE”), all’art. 117, relativo appunto alla “cessione dei
crediti derivanti dal contratto”, al comma 1 dispone che “le disposizioni di
cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le
stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui
al presente codice, ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi
di progettazione. Le cessioni di crediti possono essere effettuate a banche o
intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e
29
creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto
30
di crediti di impresa”30.
Inoltre, “ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti che sono
amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate
mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere
notificate alle amministrazioni debitrici” (comma 2), “le cessioni di crediti
da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono
efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni
pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi
al cedente e al cessionario entro quindici giorni dalla notifica della
cessione” (comma 3), “le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato
o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la
cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono
venire
a
maturazione”
(comma
4),
ed
infine
“in
ogni
caso
l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al
cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto
relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato”
(comma 5).
È indubbio che alle pubbliche Amministrazioni sono comunque
conservate alcune posizioni di privilegio anche per quanto riguarda le
obbligazioni pecuniarie che le riguardino, in generale. E questo sia se si
trovino a rivestire i panni del debitore che quelli del creditore. Come
debitore, infatti, si afferma ancora che “il principio espresso dall'art. 1194,
c.c., secondo il quale i pagamenti parziali si imputano prima agli interessi e
poi al capitale, è di dubbia applicazione nei confronti della pubblica
amministrazione, attesa la particolarità del suo procedimento contabile, e,
31
comunque, si applica solo per i pagamenti spontanei e non per quelli
coattivi, come quelli imposti da un giudicato”31.
La giurisprudenza ha tradizionalmente richiesto, al fine di
riconoscere gli interessi moratori, una previa messa in mora, o una domanda
giudiziale, affermandosi che, “con riguardo ai debiti pecuniari delle p.a., per
i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al
30 La citata legge 52/91, di “disciplina della cessione dei crediti di impresa”, regolamenta
una serie di aspetti, tra cui la “cessione di crediti futuri e di crediti in massa” (art. 3: “1. I
crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali
sorgeranno. 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. 3. La
cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da
contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. La
cessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento
a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3”), la
“garanzia di solvenza” (art. 4: “1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo
pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla
garanzia”), “l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi” (art. 5: “1. Qualora il
cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il
pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del
cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla
data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la
data del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento,
salvo quanto disposto dall'articolo 7, comma 1. 2. È fatta salva per il cessionario la
facoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile. 3. È
fatta salva l'efficacia liberatoria secondo le norme del codice civile dei pagamenti
eseguiti dal debitore a terzi”), la “revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore
ceduto” (art. 6: “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è
soggetto alla revocatoria prevista dall'articolo 67 del testo delle disposizioni sulla
disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e
della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n.
267 . Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il
curatore trovi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del
pagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario che
abbia rinunciato alla garanzia prevista dall'articolo 4”), il “fallimento del cedente” (art.
7: “1. L'efficacia della cessione verso i terzi prevista dall'articolo 5, comma 1, non è
opponibile al fallimento del cedente, se il curatore prova che il cessionario conosceva lo
stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il
pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell'anno anteriore alla sentenza
dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto. 2. Il curatore del
fallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai
crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa. 3. In caso di recesso il
32
principio di cui all'art. 1182, comma 3, c.c.32, che i pagamenti si effettuano
presso gli uffici di tesoreria dell'amministrazione debitrice, la natura
"querable" dell'obbligazione comporta che il ritardo del pagamento non
determina automaticamente gli effetti della mora ex re ai sensi dell'art.
1219, commi 2 e 3, c.c., occorrendo invece la costituzione in mora mediante
intimazione scritta di cui all'art. 1219 cit., affinché sorga la responsabilità da
tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli
interessi moratori e di risarcimento dell'eventuale maggior danno”33.
Si ritiene inapplicabile alle pubbliche Amministrazioni l’art. 1181
c.c. (“il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la
prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano
diversamente”), cosicché il creditore privato non può rifiutare un
adempimento parziale di una di esse, il che può avvenire quando in bilancio
non sia stanziata una somma sufficiente a pagare l’intero debito.
Gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la
riscossione delle entrate patrimoniali, come quelle previste dal R.D. 14
aprile 1910 n. 639 (T.U. delle disposizioni di legge relative alla procedura
curatore deve restituire al cessionario il corrispettivo pagato dal cessionario al cedente
per le cessioni previste nel comma 2”).
31 Cfr. Cons. St., sez. IV, 15 aprile 1997 n. 399, in Foro Amm., 1997, 1069.
32 “L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al
domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza”.
33
coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli
altri enti pubblici), che consentono alle pubbliche Amministrazioni di
avvalersi di strumenti privilegiati di riscossione coattiva che, anziché
realizzarsi mediante procedure giurisdizionali, si fondano su atti delle
Amministrazioni stesse (le c.d. ingiunzioni fiscali) 34.
33 Così Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1997 n. 2804, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 497. Ma
vedi Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 1998 n. 876, in Foro Amm., 1998, 1380: “le regole
del diritto privato sull'esatto adempimento delle obbligazioni si applicano ai debiti di ogni
natura dell'amministrazione pubblica. Pertanto l'eventuale esigenza di adottare le
procedure della contabilità pubblica, l'incertezza sul quantum delle somme da
corrispondere o sull'identificazione dell'amministrazione debitrice non giustificano la
deroga al principio della responsabilità del debitore per l'inesatto o tardivo adempimento
della prestazione, né a quello che fa decorrere gli interessi dal giorno della costituzione in
mora…”. Ora, per quanto riguarda il termine dell’adempimento in generale, la disciplina
del procedimento contabile contenuta nel D.P.R. 20 aprile 1994 n. 367, Regolamento
recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, stabilisce,
all’art. 7, che i pagamenti avvengano “nel tempo stabilito dalle leggi, dai regolamenti e
dagli atti amministrativi generali”, con la conseguenza, affermata in dottrina, che, “in
ogni caso, alla scadenza del termine per il pagamento, il credito liquido si deve quindi
ritenere senz’altro esigibile”: E. CASETTA, op. cit., 644. Ma vedi ora il D. Lgs. 9 ottobre
2002 n. 231, di “attuazione della Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali”. Tale decreto, nel prevedere, all’art. 1, che
le disposizioni in esso contenute “si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di
corrispettivo in una transazione commerciale”, precisa, all’art. 2, lett. a), che per
transazioni commerciali debbano intendersi “i contratti, comunque denominati, tra
imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via
esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il
pagamento di un prezzo”. E dopo avere stabilito, all’art. 3, che “il creditore ha diritto alla
corresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore
dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, dispone, all’art. 4, commi 1 e
2, che “gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del
termine per il pagamento” (cioè il termine stabilito in contratto) e anche che ciò avviene
“automaticamente, senza che sia necessaria la costituzione in mora”. Sull’argomento sia
consentito rinviare a G. TREBASTONI, Pagamenti delle pubbliche Amministrazioni e
rispetto dei termini, in Foro amm. – CdS, 2003, 3493.
34
Altra regola peculiare è quella relativa alla possibilità, riconosciuta a
favore degli enti pubblici, ma non dei privati nei loro confronti, di operare
compensazioni tra propri crediti e debiti35.
34 Sull’argomento sia consentito rinviare a G. TREBASTONI, Ripetizione di aiuti
comunitari e riscossione privilegiata (nota a Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2001 n. 2599),
in Foro amministrativo – CdS, 2002, 1524. L’art. 2 del citato R.D. dispone che “il
procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell'ordine,
emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto
pena degli atti esecutivi, la somma dovuta”. Come specificato dal successivo art. 3,
“entro trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione, il debitore può contro di questa
produrre ricorso od opposizione avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale del
luogo, in cui ha sede l'ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma del
Codice di procedura civile”. Lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dal
R.D. 639/1910 è comunemente ritenuto applicabile “non solo per le entrate strettamente
di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel
potere di autoaccertamento della Pubblica Amministrazione”: così Cass. Sez. I, 15 giugno
2000 n. 8162, in Giust. civ. Mass., 2000, 1306. Il presupposto fondamentale richiesto è
però “che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma dovuta sia
certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale
dell'amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione
quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri
obiettivi e predeterminati, e riconoscendosi all'amministrazione un mero potere di
accertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo”: Cass. Sez. I,
15 giugno 2000 n. 8162, cit. Una caratteristica fondamentale della c.d. “ingiunzione
fiscale” è che essa cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, e
proprio per tale inscindibile cumulo “non può essere scissa e distinta in un titolo
esecutivo e in un atto di precetto, ciascuno di essi regolato dalle norme del codice di
procedura civile che lo riguardano, sicché alla stessa non può essere riferito ed applicato
l'art. 481 cod. proc. civ., sulla cessazione dell'efficacia del precetto per il decorso del
termine di 90 giorni dalla sua notifica senza che sia stata iniziata l'esecuzione”.
35 Strettamente legato a tale profilo, sebbene inserito in una concezione ormai
normativamente superata di Amministrazione dello Stato unitariamente considerata, è
l’istituto del c.d. fermo amministrativo, disciplinato dall’art. 69 della legge di contabilità
35
1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E
SOGGETTI
PRIVATI
CHE
SVOLGONO
ATTIVITÀ
AMMINISTRATIVA
La terza categoria di istituti positivi che formano la disciplina generale
degli enti pubblici è una specificazione della precedente, cioè di quella
relativa agli istituti di privilegio, perché attiene alla titolarità, in capo
all’ente, di poteri amministrativi in senso tecnico (anche se, come si è già
detto, l’espressa attribuzione legislativa di poteri amministrativi è
considerata uno dei sintomi di pubblicità dell’ente, qualora sia incerta)36.
Come in giurisprudenza si è sempre precisato, in ogni caso tutti gli
enti pubblici, in quanto tali, sono titolari di un minimo di poteri
amministrativi37, e in particolare della potestà statutaria38.
Soltanto gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno
efficacia autoritativa sul piano dell’ordinamento generale, impugnabili
dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440). Secondo tale disposizione, qualora
un'amministrazione dello Stato (non quindi una pubblica Amministrazione qualsiasi) –
che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso soggetti che vantino crediti nei
confronti di altre amministrazioni – richieda a queste ultime la sospensione del
pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo. Dopo
l’accertamento dell’esistenza del debito nei confronti del terzo, da parte
dell’Amministrazione, con provvedimento definitivo potrà avvenire l’effettivo
incameramento delle somme dovute dallo Stato al terzo, e la compensazione legale dei
debiti con i crediti dello Stato. Come precisato in giurisprudenza, “il provvedimento di
fermo amministrativo ha natura cautelare ed è assistito, per definizione, da motivi di
urgenza, in quanto rivolto a sospendere, in presenza di ragioni di credito, eventuali
pagamenti dovuti, la cui mancata erogazione, altrimenti, sarebbe ascritta a mora
dell’amministrazione debitrice; proprio per la sua natura cautelare e intrinsecamente
provvisoria, può essere adottato non solo quando il diritto di credito a cautela del quale è
disposto sia già definitivamente accertato, ma anche quando il credito sia contestato, ma
sia ragionevole ritenerne l’esistenza, posto che suo presupposto normativo…è la mera
<<ragione di credito>> e non la provata esistenza del credito stesso”: così Cons. St., sez.
VI, 8 aprile 2002 n. 1909, in Foro amm. CDS, 2002, p. 965.
36
dinanzi al giudice amministrativo, e soltanto ad essi è riconosciuta la
potestà di autotutela, intesa come il potere di risolvere un conflitto di
interessi (vedi l’autotutela demaniale), e di sindacare la validità di propri
atti, con l’emanazione di provvedimenti di secondo grado.
E gli atti attraverso i quali l’ente provvede alla propria organizzazione,
ed esercita la propria attività, sono considerati veri e propri atti
amministrativi, in quanto tali soggetti alla disciplina generale sul
procedimento amministrativo e sul diritto di accesso, di cui alla L. 7 agosto
1990 n. 241, ed alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Per i soggetti formalmente privati (enti pubblici privatizzati, società
miste, ecc.) tale principio vale, quanto meno, per quella parte di attività con
36 Sulle società per azioni a cui “partecipano lo Stato o gli enti pubblici” in G. AULETTA –
N. SALANITRO, Diritto commerciale, XIV ed., Milano, 2003, 261 ss. – nell’esaminare le
particolarità di tale disciplina (potere esclusivo di nomina e revoca di amministratori,
potere di esprimere il gradimento all’acquisizione di partecipazioni rilevanti ai fini del
controllo della società, potere di veto all’adozione di delibere di scioglimento o fusione
della società, ecc.), si rileva che “anche tali società rimangono di natura privata, ma
poiché alla disciplina di diritto comune sono apportate alcune deroghe, le società con
partecipazione pubblica vengono anche definite <<società di diritto speciale>>”.
37 Cfr., ex multis, Cons. St., Ad. Pl., 7 luglio 1975 n. 5.
38 V. OTTAVIANO, op. cit., rileva che “un ente che sia dotato di poteri pubblici è
pubblico. Non vale però la proposizione inversa, giacché…la attività dell'ente può essere
regolata come compiuta nell'esercizio di un compito pubblico anche se svolta verso i terzi
nelle forme del diritto privato”.
37
la quale l’ente realizzi pubblici interessi. Ed infatti, l’art. 1 della L. 241/90,
al comma 1-ter – aggiunto dall'art. 1 L. 11 febbraio 2005 n. 15 – dispone
che “i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative
assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1”, ai sensi del quale
“l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta
da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza
secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni
38
che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell'ordinamento
comunitario”39.
Il successivo art. 22, poi, nel fornire la definizione di pubblica
amministrazione, al fine dell’esercizio del diritto di accesso, precisa che per
«pubblica amministrazione» si intende “tutti i soggetti di diritto pubblico e
i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico
interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
39 Vedi T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 febbraio 2005 n. 145, in Foro amm. – T.A.R.,
2005, 2, 557, per la precisazione che “la natura giuridica dell'ente resistente (nella
fattispecie, società consortile a partecipazione pubblica minoritaria, avente personalità
giuridica di diritto privato) non implica, di per sè, l'impossibilità di qualificare i relativi
atti come provvedimenti amministrativi; pertanto, gli atti con i quali i gruppi di Azione
Locale (cosiddetti Gal), incaricati di gestire sovvenzioni pubbliche da concedere ai
destinatari finali del finanziamento, procedono, attraverso un procedimento di evidenza
pubblica, all'individuazione delle proposte progettuali più vantaggiose, costituiscono
esercizio di funzioni oggettivamente pubblicistiche, per cui sono soggetti alla
giurisdizione del g.a.”. Per T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 6 agosto 2002 n. 7010, in Foro
amm. – T.A.R., 2002, 2532, gli atti delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e della Rete
Ferroviaria Italiana sono soggettivamente ed oggettivamente amministrativi, “perché,
nonostante la veste solo formalmente privatistica, tali società sono concessionarie "ex
lege" della gestione del servizio di trasporto ferroviario e quindi sostituto ed organo
indiretto della p.a.”. Interessanti le considerazioni di A. ROMANO, Relazione al
convegno di studi su “Le nuove regole dell’azione amministrativa” (Catania, 11 e 12
novembre 2005), Catania, 2006, 16 – il quale evidenzia che le regole cui sono
assoggettate le pubbliche Amministrazioni hanno “una precisa ragion d'essere e quindi,
una radice comune. Conseguono, cioè, da un principio di base: l'attività
dell'amministrazione che ne è oggetto, deve considerarsi permeata intrinsecamente dalla
sua funzionalizzazione a fini collettivi; solo da questo punto di vista, mi pare, si può
comprendere perché la vincolino, e in che modo, sul fondamento del principio di
legittimità. Quindi, la disposizione che sottopone quell'azione di tali soggetti privati, in
tale loro ruolo, alle medesime regole che le amministrazioni devono osservare quando
agiscano anzitutto pubblicisticamente, ha un chiaro presupposto: che anche questa azione
debba considerarsi del pari così funzionalizzata. È abbastanza generalmente accettato, e
da tempo, che così accada, quando tali soggetti privati operino esercitando capacità
pubblicistiche: che, come è tradizionalmente risaputo, possono essere attribuite, per
esempio, ai concessionari di funzioni pubbliche, sia pure entro certi limiti e con certi
caratteri. Ma, ora, si deve precisare: la medesima funzionalizzazione deve essere rilevata
pure in quella attività amministrativa che quei soggetti privati medesimi esercitino con la
loro capacità di diritto comune. Certo, è assai problematico distinguere e delimitare
questa attività così funzionalizzata di tali soggetti, dall'altra che per loro è generalmente
connaturata, che funzionalizzata non è, che è da loro liberamente determinata secondo i
loro personalissimi scopi e valutazioni. Ma che la prima esista pare indubbio”.
39
Anche al fine dell’applicazione della normativa in materia di appalti, i
soggetti privati sono ormai equiparati ai soggetti pubblici. Ed infatti, l’art. 3
del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), dopo aver premesso, al comma 3, che “i «contratti» o i
«contratti pubblici» sono i contratti di appalto o di concessione aventi per
oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere
o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori,
dai soggetti aggiudicatori”, ai commi 29 e 31 precisa che “gli «enti
aggiudicatori»…comprendono
le
amministrazioni
aggiudicatrici,
le
imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni
aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o
esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti”,
e che “gli «altri soggetti aggiudicatori»,…sono i soggetti privati tenuti
all’osservanza delle disposizioni del presente codice”.
In base allo stesso criterio, l’art. 244 del medesimo Codice ha disposto
che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di
affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa
comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica
previsti dalla normativa statale o regionale”40.
40 Per un esame delle problematiche legate all’applicazione di tale normativa,
riproduttiva della norma di cui all’art. 6 L. 205/2000, vedi R. DE NICTOLIS, Affidamenti
di lavori, servizi e forniture, in Caringella-Garofoli, Trattato di Giustizia Amministrativa,
Il riparto di giurisdizione, Milano, 2005, vol. I, 823 ss.
40
Gli enti pubblici sono poi soggetti all’applicazione della normativa in
materia di semplificazione amministrativa, di cui al D.P.R. 28 dicembre
2000 n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di documentazione amministrativa), il cui art. 2 dispone che le
norme del testo unico “disciplinano la formazione, il rilascio, la tenuta e la
conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di
organi della pubblica amministrazione; disciplinano altresì la produzione
di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai
gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l'utenza, e ai
privati che vi consentono”.
Si pone ad esempio il problema se anche alcuni enti privati possano
essere ritenuti equiparabili, al fine dell’applicazione della citata normativa,
“agli organi della pubblica amministrazione”, ai quali possono essere
prodotti atti e documenti ai sensi del citato DPR. Infatti, anche l’art. 19 di
tale DPR, relativo alle “modalità alternative all'autenticazione di copie”,
prevede che “la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà di cui
all'articolo 47 può riguardare anche il fatto che la copia di un atto o di un
documento conservato o rilasciato da una pubblica amministrazione…sono
conformi all'originale”.
In base allo stesso criterio prima enunciato, è da ritenere che anche
quegli enti privati che svolgano attività di pubblico interesse siano soggetti
all’applicazione di quella normativa, e, almeno da quel punto di vista,
debbano essere considerati “organi della pubblica amministrazione”, con la
duplice conseguenza che, da una parte, tali enti sono tenuti a consentire ai
privati la presentazione di dichiarazioni sostitutive e, dall’altra, che i privati
stessi, ad esempio in sede di partecipazione ad una gara d’appalto, possono
attestare con propria dichiarazione sostitutiva la conformità all’originale
anche di copie o di documenti rilasciati da quegli enti41.
41
Infine, come quarta categoria di istituti positivi attinenti alla disciplina
generale degli enti pubblici, vengono individuati i c.d. istituti di ingerenza,
inerenti alla soggezione ad altri poteri amministrativi di cui altri enti sono
titolari. Gli enti pubblici sono infatti soggetti a particolari rapporti o
relazioni (con lo Stato, la Regione, ecc.), la cui intensità (strumentalità,
dipendenza, ecc.) varia in relazione all’autonomia dell’ente. Tra questi
emerge il potere, ritenuto dalla giurisprudenza di portata generale, di
annullamento degli atti amministrativi, ad opera dell’ente titolare del potere
di vigilanza, e il c.d. potere di annullamento straordinario.
Infatti, anche dopo le modifiche al titolo V della Costituzione, resta
salvo quanto previsto dall'art. 2, comma 3, lett. p) della L. 23 agosto 1988 n.
400, ai sensi del quale il Consiglio dei Ministri mantiene il potere di
annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti
amministrativi illegittimi di qualsiasi Amministrazione42, previo parere del
Consiglio di Stato43.
41 Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 23 febbraio 2006 n. 265, in Foro amm. T.A.R.,
2006, p. 764, che ammette la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva, al
posto dell'attestazione rilasciata da una Società di Attestazione (SOA), in un caso in cui la
commissione aveva escluso dalla gara la ricorrente proprio per non aver prodotto
l'attestazione, nonostante né il bando né il disciplinare di gara contenessero alcun divieto
espresso di sostituire la predetta attestazione con una dichiarazione sostitutiva. Cfr. anche
Id., 5 ottobre 2006 n. 16178 (a proposito della presentazione della copia
dell’attestazione), e Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2003 n. 6280, in Servizi pubbl. e
appalti, 2004, 180.
42 Anche degli enti locali, visto che l’art. 138 del D. Lgs. N. 267/2000 (T.U. enti locali)
lo fa salvo.
42
1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI
Al fine di affrontare il discorso relativo al modo di individuare un ente
pubblico, sembrano ancora attuali le considerazioni di Federico Cammeo,
secondo cui “persona giuridica pubblica è quella che ha per scopo
l’esecuzione di una pubblica funzione”, con la precisazione che “pubblica
funzione, positivamente parlando dal punto di vista giuridico, è il
dispiegamento di attività per soddisfare bisogni sentiti da una pluralità di
persone che il diritto reputa in un determinato momento storico e in
determinate contingenze debba esercitarsi dallo Stato o direttamente o
indirettamente a mezzo di altra personalità” 44.
È certamente curioso il fatto che già quasi un secolo addietro lo stesso
Cammeo potesse rilevare che “non vi è un tipo speciale e fisso di persona
giuridica pubblica”, e che “è impossibile determinare a priori quali sono
funzioni pubbliche e quali no per desumere direttamente dalla natura della
funzione la natura dell’ente”45.
43 Corte Cost. 21 aprile 1989 n. 229, in Rass. Avv. Stato, I, 15, ha dichiarato incostituzionale la
disposizione citata, nella parte in cui prevede l'adozione da parte del Consiglio dei Ministri delle
determinazioni concernenti l'annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle
Regioni e delle Province autonome.
44 F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.
(ma 1910), p. 650.
45 Cfr. F. CAMMEO, op. cit., 651.
43
La difficoltà di definire l’ente pubblico deriva dal fatto che
l’articolazione della sfera pubblica non consente più di definire il
“pubblico” come concetto omogeneo, perché non esiste, in effetti, un solo
modo di essere “pubblico”, in quanto un soggetto pubblico può essere
manifestazione di un ente territoriale o di un corpo sociale diverso, e può
esercitare o meno poteri autoritativi46.
“Ma dappoichè dalla natura intrinseca della funzione esercitata non si
può desumere se essa sia pubblica o no, e d'altro canto è dalla natura della
funzione che si caratterizza l'organo, per non cadere in una petizione di
principio, bisogna dedurre da un qualche dato estrinseco la natura della
funzione. Questo dato è l'obbligo della persona giuridica verso lo stato o
altra persona giuridica pubblica di adempiere il proprio scopo, obbligo che
deve essere inerente alla stessa natura dell'ente, cioè nascere dalla sua stessa
costituzione indipendentemente da un successivo e speciale vincolo
giuridico e deve esser fondato sopra una norma di legge scritta o di
consuetudine avente forza di legge. Ma siccome quest'obbligo non è
formulato espressamente così bisogna desumerlo anch'esso da altri dati
estrinseci”47.
Vale a dire che occorre individuare diverse radici della natura pubblica
degli enti, e soprattutto compiere analisi dei diversi tipi, anziché forzarli in
un unico schema, che risulterebbe poco rappresentativo48.
46 Cfr. G. ROSSI, Introduzione al Diritto Amministrativo, Torino, 2000, 201.
47 Così F. CAMMEO, op. cit., p. 652.
44
Il problema che allora si pone, e la cui soluzione è variata
storicamente, è quello di stabilire quali possono essere considerati gli
elementi di disciplina, cioè gli istituti positivi, sintomatici della pubblicità
di un ente.
Come evidenziato in dottrina, si è passati nel tempo da una concezione
sostanzialistica di tali elementi sintomatici (individuati ad esempio nella
circostanza che alla persona giuridica fossero attribuiti dalla legge poteri
amministrativi in senso tecnico, o comunque compiti specifici di cura di
interessi pubblici), ad una concezione che, senza abbandonare la prima, si
presenta più formale e organizzatoria di tali indici esteriori (individuati
nella disciplina organizzativa concernente la persona giuridica, e quindi, ad
esempio, nel potere di nomina o revoca degli amministratori, nel potere di
controllo sul funzionamento degli organi o sulla legittimità di certi atti, la
previsione di finanziamenti stabili, ecc.)49.
Avendo però presente, come peraltro da più parti è stato sottolineato,
che di tali indici esteriori, utilizzati in dottrina e giurisprudenza per
riconoscere un ente pubblico, nessuno può essere ritenuto, da solo,
sufficiente, mentre invece essi vengono ritenuti idonei ove considerati nel
loro complesso, cioè combinati tra loro50.
48Cfr. M.S. GIANNINI, Il problema dell’assetto e della tipizzazione degli enti pubblici
nell’attuale momento, in Riordinamento degli enti pubblici e funzioni delle loro
Avvocature, Napoli, 1974, p. 43.
49 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Corso di Diritto Amministrativo, Torino, 2001, p. 116.
50 Per V. OTTAVIANO, op. cit., tali indici “rivelano la natura pubblica dell'ente solo se ne
dimostrano il dovere istituzionale di agire per la cura di un interesse collettivo”. Cfr., nell’ottica
45
Ed infatti, in giurisprudenza si trova precisato che la natura pubblica
di una persona giuridica dipende dall’inquadramento istituzionale della
stessa nell’apparato organizzativo della p.A., cioè dal rapporto in cui tale
soggetto di diritto, in conseguenza dell’attività espletata, viene a trovarsi
rispetto allo Stato o all’ente territoriale di riferimento; pertanto, la
qualificazione di un ente come pubblico o privato, allorché la sua natura
non sia dichiarata espressamente, costituisce il risultato di una ricerca
ermeneutica che ha per oggetto le norme legislative, regolamentari e
statutarie51.
esposta nel testo, quanto precisato da Cons. St., sez. VI, 25 maggio 1979 n. 384, in Riv. amm. R.
It., 1979, p. 643: “Il perseguimento di finalità e di interessi pubblici, da un lato, e la sottoposizione
ai poteri di direttiva e di controllo da parte di Enti pubblici, dall'altro, non costituiscono, di per sé,
elementi a cui sia necessariamente collegabile la pubblicità del soggetto, com'è dimostrato da una
vastissima serie di Istituti (taluni dei quali come i Partiti ed i Sindacati, esercitano addirittura
funzioni di rilevanza costituzionale), di cui è concordemente ammessa la natura privata”; per cui
“al fine di affermare la natura pubblica di un Ente non è sufficiente il collegamento dell'Ente stesso
con un Ente pubblico esponenziale del sistema organizzatorio di cui esso fa parte, ma è richiesta
un'indagine specifica, intesa ad accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali che
costituiscono gli indici necessari della pubblicità”. In termini analoghi Cass. civ., sez. lav., 2
dicembre 1977 n. 5245, in Riv. amm. R. It., 1978, 618: “I caratteri distintivi dell'ente pubblico non
stanno nelle finalità da esso perseguite, dal momento che alcuni enti, sicuramente privati,
perseguono finalità a cui tende lo Stato stesso mentre quest'ultimo svolge anche attività
privatistiche, ma sono dati in modo preminente dalla titolarità di pubblici poteri, di
autoorganizzazione, di certificazione e di autotutela, dalla operatività necessaria, ossia
dall'impossibilità che i suoi compiti vengano espletati da altri soggetti che non siano altri enti
pubblici ad essi preposti, e dall'impossibilità che l'ente stesso fallisca o si estingua per propria
volontà, nonché dal controllo e dall'ingerenza dello Stato o di altri enti pubblici sulla formazione
della sua volontà”. Il concetto è ribadito da Cass. civ., sez. un., 19 luglio 1982 n. 4212, in Giust.
civ. Mass., 1982: “la natura pubblicistica o privatistica dell'attività di un ente pubblico deve essere
desunta, più che dalla correlazione o meno con le finalità istituzionali dell'ente, dal tipo di
organizzazione con cui essa viene esplicata, dovendosi qualificare attività pubblicistica quella che
si svolga utilizzando un'organizzazione improntata a criteri pubblicistici, indipendentemente dalla
sua correlazione con il fine primario o con un fine strumentale e secondario del medesimo ente,
mentre deve qualificarsi privatistica l'attività che, pur se diretta al perseguimento di una finalità
istituzionale, si svolga mediante un'organizzazione improntata a criteri di economicità, cioè tesa al
procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi”.
51 Così Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 1973 n. 397. Anche T.A.R. Lombardia, 15 luglio 1981 n.
796, in Tributi, 1981, p. 819, afferma che “nei casi in cui sia difficile accertare la natura – pubblica
o privata – di un ente, diviene decisivo l'aspetto formale attinente al regime delle norme, di diritto
pubblico o privato, in cui l'ente, in virtù degli atti che ne disciplinano l'attività, è tenuto a operare”.
Vedi anche A.M. SANDULLI, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, pp. 193-194:
“l’elemento al quale occorre rifarsi per stabilire, nei casi dubbi (e cioè nei casi in cui un ente non
sia definito pubblico, direttamente o indirettamente, dalle leggi), se si sia in presenza di un ente
46
Tenendo presente che deve dirsi comunque pubblico un ente tutte le
volte che dalla ricostruzione sistematica della sua disciplina legislativa
risulti che le situazioni giuridiche che l’ordinamento gli attribuisce, e la sua
stessa soggettività che tale ordinamento istituisce o riconosce, siano
causate, o improntate al principio di necessaria funzionalità dell’attività
amministrativa rispetto ai fini pubblici che la legge gli impone di
perseguire. Mentre non può che dirsi privato, viceversa, un ente per il quale
una tale funzionalizzazione non sia riscontrabile52.
pubblico, non può essere cercato tanto negli interessi (generalmente collettivi, ma non sempre
propri dell’Ente superiore, Stato o Regione, legittimato ad istituire un tale ente) che l’ente
persegue, quanto nel regime (trattamento) che ai singoli enti faccia il diritto positivo (e cioè
nell’aspetto formale). Ciò che occorre determinare è unicamente se l’ente del quale si tratti sia
collocato dall’ordinamento in una posizione giuridica particolare, differenziata da quella propria
dei soggetti di diritto comune, o, meglio, se l’ente sia assoggettato ad un regime giuridico il quale
gli conferisca poteri e prerogative di diritto pubblico, che in qualche modo lo assimilino a quelli
degli enti che sicuramente hanno natura pubblica, facendone perciò un «pubblico potere». La
peculiarità di tale posizione fatta agli enti pubblici trova la sua ragion essere nel fatto che essi, nel
perseguire i propri fini, soddisfano interessi che stanno particolarmente a cuore all’ordinamento
generale, e anzi talvolta hanno per compito addirittura la cura di interessi propri dell’Ente
superiore, Stato o Regione (enti strumentali). È infatti appunto in considerazione di tali circostanze
che l’ordinamento fa, di tali enti, dei soggetti pubblici, inserendoli così nel sistema delle pubbliche
Amministrazioni. Il momento di individuazione della categoria degli enti pubblici va perciò
cercato in elementi estrinseci e formali: e precisamente proprio nel regime giuridico, e
nell’inserimento istituzionale degli enti stessi nell’organizzazione amministrativa pubblica, che
può avere carattere multiforme, per cui si parla di atipicità degli enti pubblici e della loro capacità
giuridica”. A proposito degli orientamenti giurisprudenziali in materia di indici di riconoscibilità di
un ente pubblico vedi anche B. MOLLICA, Gli enti pubblici non economici, in Falcone-Pozzi (a
cura di), Il Diritto Amministrativo nella giurisprudenza, I, Torino, 1998, 183.
52 A. VIRGILIO, op.cit., p. 86, cita la Patrimonio dello Stato s.p.a., costituita – ex art. 7,
1° comma, D.L. 63/2002, conv. in L. 15 giugno 2002 n. 112 – allo scopo di
“valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato”: “società
formalmente privata, ma sostanzialmente pubblica con funzioni tipiche di ente
strumentale, poiché il capitale non può essere che pubblico ed opera secondo direttive
ministeriali previa delibera del CIPE”.
47
Necessaria funzionalità del suo essere e del suo agire, con riferimento
ai valori di cui all’art. 97 Cost., che impedisce all’Amministrazione, anche
all’interno dei limiti con i quali l’ordinamento generale le attribuisce i
poteri, di esercitarli in modo libero, nel senso nel quale i privati possono
esplicare liberamente la loro capacità negoziale, perché quel principio le
impone di esercitare tali poteri per il perseguimento dei fini per i quali
l’ordinamento generale glieli ha attribuiti53.
Precisazione, questa, che vale anche per tutte le ipotesi in cui non di
veri e propri poteri si tratti, ma di svolgere l’attività per la quale l’ente è
stato previsto. Infatti, come si crede di aver già precisato, la mancata
attribuzione ad un ente di poteri pubblicistici non esclude affatto che, ciò
nonostante, esso debba essere così qualificato, perché quel che è essenziale,
per la sua pubblicità, è appunto tale sua funzionalizzazione, che non deve
inerire necessariamente a poteri pubblicistici.
Sembra quindi cogliere nel segno la tesi secondo cui, anziché
ricostruire una figura unitaria di ente pubblico, deve piuttosto individuarsi il
minimo comune denominatore delle varie figure pubbliche, cioè il criterio
base sottostante alle diverse qualificazioni pubblicistiche54, individuabile,
per ciascuna figura giuridica pubblica, nella valutazione, da parte dell’ente
di riferimento (Stato o Regione), della necessità dell’esistenza di tale figura,
nel senso che va considerato pubblico l'ente la cui esistenza è considerata
53 Cfr. A. ROMANO, Introduzione, in Mazzarolli, Pericu, A. ROMANO, Roversi
Monaco, Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, III ed., Bologna, 2001, 55 ss., p. 276.
54 Cfr. G. ROSSI, Introduzione, cit., 203.
48
necessaria dall’ente territoriale, che vi intrattiene quindi rapporti connessi a
tale valutazione. Le valutazioni circa il carattere necessario dell'ente hanno,
ovviamente, carattere politico e quindi sono non solo storicamente
determinate ma anche variabili, in connessione ai diversi indirizzi politici.
Le finalità che portano alla istituzione di enti pubblici, o al conferimento
della natura giuridica pubblica a organismi già esistenti, possono essere le
più varie, e vanno dalla volontà di disporre di un organismo volto a
realizzare
gli
stessi
fini
che
potrebbero
essere
perseguiti
dall’Amministrazione diretta, ma che si ritiene preferibile realizzare con
strumenti organizzativi più flessibili, fino alla volontà di tutelare interessi
che non sono propri dell'ente territoriale ma ai quali si ritiene di dover
accordare una tutela rafforzata. È chiaro che tale valutazione dell'ente
territoriale non è effettuata discrezionalmente dagli amministratori dell'ente,
ma è manifestata con atto normativo.
È infine da sottolineare come l’individuazione formale dell'ente
pubblico nel nostro ordinamento sia in parte superata, o comunque ridotta
ad una rilevanza molto inferiore, a fronte della nozione di origine
comunitaria, ma pienamente accolta nell'ordinamento nazionale, degli
“organismi di diritto pubblico”, “istituiti per soddisfare specificatamente
bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o
commerciale, e avente personalità giuridica e la cui attività è finanziata in
modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto
pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi,
oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è
costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli
enti locali o da altri organismi di diritto pubblico” [cfr. art. 3, commi 25 e
26, D. Lgs.vo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), laddove, nel definire le «amministrazioni aggiudicatrici», tali
organismi sono equiparati alle amministrazioni dello Stato, agli enti
49
pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, alle associazioni,
unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti]55.
Ora, mentre in ambito nazionale si è tradizionalmente tentato di
elaborare, nei termini sopra evidenziati, una concezione tendenzialmente
unitaria di soggetto pubblico, nell’ordinamento comunitario, invece, la
nozione di soggetto pubblico non è intesa come categoria unitaria.
Come è stato infatti rilevato56, “al contrario, per affermazione della
stessa Corte di Giustizia, tale nozione viene elaborata settore per settore,
tanto sul piano normativo quanto nell'interpretazione giurisprudenziale,
adattandola, quindi, alle esigenze sottese alla normativa delle singole
materie nelle quali il riferimento al soggetto pubblico è necessario ed
obbligato, sì da estenderne o ridurne, caso per caso, l’ampiezza”.
Così, ad esempio, al fine di stabilire l'ambito di operatività della
deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno della
Comunità (ex art. 39, par. 4, relativo al potere degli Stati membri di
riservare ai propri cittadini gli impieghi nella “pubblica amministrazione”, e
art. 45, par. 1, del Trattato CE, che prevede una deroga alla libertà di
55 Cfr., ex multis, Corte giustizia CE, sez. VI, 15 maggio 2003 n. 214, in Foro amm. –
CdS, 2003, 1489: “il carattere privatistico di un organismo non costituisce motivo per
escludere la qualificazione dello stesso come amministrazione aggiudicatrice ai sensi
dell'art. 1 lett. b) delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 e, pertanto, dell'art. 1 n. 1 della
direttiva 89/665. L'effetto utile della direttiva 89/665 non sarebbe preservato qualora
l'applicazione della relativa disciplina potesse essere esclusa con riferimento a quegli
organismi che, in base alla disciplina nazionale, sono costituiti e regolati nelle forme e
secondo il regime del diritto privato”. Per un esame della nozione di organismo pubblico
vedi F. CARINGELLA, Corso, cit., p. 801 ss.
56 Cfr. F. CARINGELLA, op.ult.cit., p. 798 s.s.
50
stabilimento quando l’attività comporti l’<<esercizio anche occasionale di
pubblici poteri>>), il giudice comunitario ha sostenuto in modo restrittivo
che la nozione di pubblica amministrazione debba essere elaborata
ricorrendo ai criteri della “partecipazione diretta o indiretta all’esercizio dei
pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi
generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche”57.
Mentre allo scopo di individuare gli apparati degli ordinamenti dei
singoli Stati membri nei cui confronti devono considerarsi operanti gli
obblighi e i divieti previsti dal diritto comunitario, in modo da poter
imputare ai relativi Stati di appartenenza le eventuali violazioni commesse,
si è affermato, più genericamente, “che fa comunque parte degli enti ai
quali si possono opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti
diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia
stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il
controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a
questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme
che si applicano nei rapporti fra singoli”58.
L’accennata evoluzione, registrabile nell’ordinamento italiano, sia del
concetto di ente pubblico che della stessa tipologia di enti considerabili
quali soggetti pubblici, nonché il modo in cui è intesa nell’ordinamento
comunitario
la
nozione
di
“pubblico
potere”
o
di
“pubblica
57 Cfr., ex multis, Corte Giust. CE, 30 maggio 1989, causa C-33/88, in Racc., 1989,
1591.
58 Così Corte Giust. CE, 12 luglio 1990 n. 188, causa C-188/89, in Dir. lav., 1991, II, 44.
Vedi anche Cass. Civ., sez. III, 23 gennaio 2002 n. 752, in Giur. it., 2002, 1273.
51
amministrazione”, consentono di individuare, in entrambi gli ambiti
normativi, un minimo comune denominatore, costituito dalla visione
sostanzialistica del fenomeno: nel senso che all’individuazione dei soggetti
pubblici non si procede con riferimento a precisi criteri formali di
definizione, bensì sulla base di parametri di tipo sostanziale, dati in
particolare, per quanto riguarda l’ambito comunitario, dalla sottoposizione
del soggetto ad un controllo pubblico, di carattere funzionale o strutturale, e
per l’ordinamento nazionale dalla funzionalizzazione dell’attività della
persona giuridica alla realizzazione di finalità di interesse generale e
dall’inquadramento istituzionale della stessa, sebbene in senso lato, in
quello che una volta, quando era ancora possibile una concezione unitaria di
pubblica Amministrazione, poteva essere definito l’apparato organizzativo
della p.A., che adesso si estrinseca in una tipologia diversificata sia dei
soggetti (pubblici e privati) che del modo di realizzare interessi pubblici. E
anche quando nella realizzazione di tali interessi sono coinvolti soggetti
formalmente privati, questi sono ormai ritenuti obbligati, in quanto
“preposti all'esercizio di attività amministrative”, a perseguire “i fini
determinati dalla legge”, ed a conformare la propria azione a “criteri di
economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza”, nonché ai
“princìpi dell'ordinamento comunitario”59 (art. 1 L. 241/90).
59 Cioè i principi di imparzialità, partecipazione, diritto di accesso, obbligo di
motivazione, risarcibilità dei danni prodotti dall’amministrazione, termine ragionevole
nel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, proporzionalità, legittima
aspettativa.
52
CAPITOLO II
LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI PUBBLICI
2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE
FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL
TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
53
Nel presente capitolo tratteremo della gestione degli enti locali
finanziati dallo Stato, un argomento che per essere compreso al meglio
necessita di una introduzione riguardante il c.d. “principio di sussidiarietà”
apportata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, in quanto
ciò ha comportato uno stravolgimento degli assetti anche dal punto di vista
economico e finanziario, avendo le regioni assunto decisamente una
maggiore autonomia.
Del principio di sussidiarietà la Costituzione italiana60 fa uso in tre
diversi contesti: ai fini della distribuzione delle funzioni amministrative tra i
livelli di governo territoriale e i relativi enti, nei quali si articola la
Repubblica61; come principio ispiratore delle attività dei pubblici poteri (gli
enti del governo territoriale nei quali si articola la Repubblica) intese a
favorire lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei
cittadini, singoli ed associati62; come principio che, unitamente al principio
di leale collaborazione, deve essere seguito nell’esercizio dei poteri
60 Alla luce delle modifiche del 2001, v. legge cost. n.3 del 2001.
61 La distribuzione delle competenze deve avvenire sulla base del principio di
sussidiarietà unitariamente ai principi di differenziazione ed adeguatezza, v. art.118,
comma 1, Cost.
62 V. art.118 , comma 4, Cost.
54
sostitutivi da parte del Governo nei confronti degli enti territoriali e deve
essere rispettato dal legislatore nel dettare la disciplina di detti poteri63.
In tutti questi contesti, come si vede, il principio di sussidiarietà viene
ad incidere sulla dislocazione o sull’esercizio della funzione amministrativa
o comunque sullo svolgimento di attività di carattere amministrativo.
Mentre è assente ogni menzione del principio stesso nella disciplina
costituzionale dell’attività normativa, sia legislativa che regolamentare
quale contemplata dall’art.117. Ciò almeno stando alla lettera del testo.
Invero, come si vedrà nei paragrafi successivi, il principio viene ad incidere
anche sull’esercizio della funzione normativa, in virtù della stretta
connessione tra le due funzioni64.
Il principio di sussidiarietà, nella sua accezione originaria e a
prescindere dalle diverse applicazioni positive, esprime due concetti, l’uno
palese, dal significato stesso dell’espressione letterale, e l’altro dal primo
presupposto. Un’organizzazione di governo, è legittimata, e nello stesso
tempo tenuta, a intervenire con la sua azione, in ausilio, o in favore, di
un’altra, evidentemente dotata di minore capacità di governo, in generale
ovvero con riferimento a circostanze contingenti, in quanto non
sufficientemente dotata di mezzi o di dimensione organizzativa; pur in
settori di attività che sarebbero di competenza di quest’ultima. Il principio
così formulato presuppone che l’ente, l’organizzazione di governo inferiore
(subsidiata) abbia una vasta sfera di azione, in principio estesa a far fronte
63 V. art. 120, comma 2, Cost.
64 Sul punto cfr. Corte cost. sent. n. 303 del 2003.
55
ad ogni esigenza della propria comunità di riferimento, restando confinata,
appunto, l’azione dell’ente superiore al subsidio di essa, laddove necessario.
Insomma, il principio di sussidiarietà trova la sua ragione di essere in una
concezione della società in quanto tale e del suo sistema di governo, intesa
a valorizzare al massimo, le autonome capacità di governo delle
articolazioni organizzative della società stessa, operanti sul territorio e nella
vita di relazione, di fronte allo Stato, o comunque alle organizzazioni
superiori di governo. Due significati, dunque, contiene nella sua accezione
originaria il principio di sussidiarietà, un significato negativo, nella parte in
cui limita l’azione delle organizzazioni di governo maggiori, di livello
superiore, e segnatamente dello Stato, nei confronti delle organizzazioni
minori e delle stesse autonome organizzazioni sociali. E un significato
positivo, laddove consente e in qualche misura impone, alle organizzazioni
di governo di livello superiore di intervenire con la propria azione in favore
e a sostegno delle organizzazioni minori. Spesso, il significato negativo del
principio tende a prevalere nell’accezione corrente e nelle stesse
applicazioni legislative, venendo a configurare il principio di sussidiarietà
come una sorta di nuova declinazione del vecchio principio del
decentramento65.
E nella stessa formulazione del principio, nei documenti del magistero
ecclesiastico, tende a prevalere l’accezione negativa, quella del limite,
piuttosto che l’accezione positiva, quella del necessario intervento delle
organizzazioni maggiori in favore delle minori, ovvero delle articolazioni
proprie della vita sociale: “Non è lecito sottrarre ai privati per affidarlo
alla comunità ciò che essi possono compiere con le proprie iniziative e con
la propria industria, così è un’ingiustizia, un grave danno e un turbamento
65 V. CERULLI IRELLI, Art. 8 Attuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo in
Legge La Loggia a cura di C. Cittadino, cit. 2003
56
del giusto ordine attribuire ad una società maggiore e più elevata quello
che possono compiere e produrre le comunità minori e inferiori. Infatti,
qualsiasi opera sociale in forza della sua natura deve aiutare i membri del
corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli”66. Il principio, come si vede,
anche nella sua accezione originaria, opera egualmente tanto sul versante
delle organizzazioni pubbliche, nei rapporti tra quelle centrali e quelle locali
(e perciò esso è direttamente correlato con quelli di decentramento e di
autonomia locale già fissati dall’art. 5, Cost.) sia nei rapporti tra
organizzazioni pubbliche e ambito di azione riservato ai cittadini e alle loro
organizzazioni o formazioni sociali (in ciò esso si correla al principio
personalistico già fissato dall’art. 2, Cost.)67. E perciò, nel primo senso, che
con terminologia alquanto impropria viene definito come sussidiarietà
verticale, il principio si oppone a quello di accentramento, proprio
dell’organizzazione pubblica nella prima lunga fase di formazione dello
Stato moderno68; mentre nella seconda accezione, che con terminologia
altrettanto impropria viene denominata come sussidiarietà orizzontale, il
principio si oppone a quello panpubblicistico che a sua volta ha dominato a
lungo nell’esperienza positiva dello Stato moderno, sino a tempi
66 Pio XI, Quadragesimo anno, 1931
67 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, in Riv. It. Dir.
pubbl. Com., 2/1997, 603 e ss.
68 A. D’ANDREA, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, in
Ius, 2/2000, p. 228.
57
recentissimi, attraverso l’idea che a ogni esigenza o bisogno di carattere
collettivo, cui far fronte con attività di interesse generale,
amministrazione,
dovesse
provvedere
lo
Stato
o
comunque
di
una
organizzazione pubblica. L’affermazione del principio porta a ribaltare
questa idea, consentendo e anzi favorendo e auspicando, che ad attività di
interesse generale, alla cura di bisogni collettivi, provvedano anche
direttamente
i
cittadini,
con
loro
proprie
iniziative,
dotandosi
dell’organizzazione e dei mezzi adeguati e usufruendo, laddove è possibile
o necessario, dell’aiuto, del subsidio appunto, delle organizzazioni
pubbliche, nel loro agire. In questa accezione, come si vede, il principio
viene a inserirsi nei rapporti tra pubblico e privato, se si vuole, per dirla con
Giannini, nella dialettica tra autorità e libertà. Tradotto il principio sul
versante dell’amministrazione pubblica, esso dà luogo dunque, ad una
riaffermazione, più forte, dei principi di decentramento e di autonomia
locale, già presenti nel nostro sistema costituzionale, tuttavia fortemente
innovativi rispetto all’ordinamento precostituzionale, da una parte; e
dall’altra, rende flessibili i rapporti tra organizzazioni pubbliche, dal punto
di vista funzionale, pur nell’ambito di delimitazioni di competenze stabilite
dalla
legge
in
base
ai
principi
costituzionali.
Nell’ambito
dell’amministrazione pubblica il principio è strettamente connesso a quelli
di differenziazione e adeguatezza, da una parte (art. 118) e a quello di leale
cooperazione, dall’altra (art. 120). Sul versante dei rapporti tra
amministrazione pubblica e iniziativa privata, tra pubblico e privato se si
vuole, il principio opera come quello inteso a valorizzare la sfera privata,
laddove questa si possa proficuamente esercitare nell’interesse generale,
salvo l’intervento pubblico a subsidio di essa; e opera perciò, a sua volta,
come quello inteso a contenere l’espansione della sfera pubblica, la
presenza del pubblico, sia sul versante organizzativo che su quello
funzionale, laddove essa è necessaria, a contenerne perciò la pervasività,
che aveva caratterizzato un lungo periodo della nostra esperienza. Il
58
principio presenta nella sua accezione originaria un significato e una
valenza fondamentalmente unitaria e trova invero nei fondamentali
documenti pontifici, che ne costituiscono la più alta formulazione, una
espressione unitaria: lo Stato, per dirla in breve, è tenuto a limitare la sua
azione per favorire l’autonoma espressione dei corpi sociali nella cura dei
loro propri interessi, sia che si tratti dei corpi sociali che si identificano in
comunità territoriali dotate di proprie organizzazioni di carattere pubblico, i
comuni, le province; sia che si tratti di corpi sociali espressione diretta della
società civile aventi carattere privatistico non collegati direttamente alla
sfera pubblica, che si fanno carico da sé medesimi della cura dei propri
interessi, anche nell’esercizio di quei doveri di solidarietà richiamati
dall’art. 2 della Costituzione. Limitazione dello Stato in favore dei corpi
minori, dunque, ma obbligo dello Stato di intervenire a favore di essi
laddove sia necessario.
Tuttavia, questo significato unitario, questo concetto si potrebbe dire
del principio di sussidiarietà nella sua accezione originaria, si articola poi
sul piano positivo in una serie di norme e di applicazioni differenti,
incidendo in maniera differente su molteplici istituti positivi; ciò che ne
rende necessaria una trattazione differenziata.
Sebbene la nascita delle Regioni coincida, almeno sotto il profilo
formale, con l’approvazione della Costituzione Repubblicana del 1948, il
dibattito giuridico sull’autonomia e sul decentramento italiano ha radici
risalenti addirittura all’unificazione del Regno. Già insigni giuristi come
Gioberti e Cattaneo avevano immaginato una soluzione federale o
confederale che tenesse in considerazione le caratteristiche del territorio
italiano, da sempre caratterizzato dalla profonda differenziazione storica di
popoli, tradizione e realtà locali particolari69.
69 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, Torino, 2009, p. 44 e ss.
59
Duranti i lavori dell’Assemblea costituente le Regioni venivano
definite come enti autarchici (cioè capaci di svolgere attività proprie per il
conseguimento dei propri fini), autonomi (cioè dotati, nell’ambito delle
competenze loro attribuite, del potere legislativo), rappresentativi di
interessi locali e muniti di <<sufficiente>> autonomia finanziaria. A partire
da queste caratteristiche comuni – e distinguendo gli enti regionali a statuto
speciale (dotati di una più estesa autonomia) da quelli a statuto ordinario, la
Commissione si preoccupò di elaborare un progetto che riconoscesse alle
Regioni autonomia statuaria, legislativa, amministrativa e finanziaria.
L’idea portante dell’intero progetto fu quella di coniugare il valore
costituzionale del principio autonomistico con quello dell’unità del
territorio nazionale. Anche in Italia, dunque, l’architettura costituzionale
dello Stato regionale si articola attorno ad una norma per certi aspetti
contraddittoria, che tenta di far coesistere un certo grado di indivisibilità
dell’ordinamento con l’esigenza di valorizzare il più possibile le realtà
territoriali di cui esso si compone. Una contraddizione, questa, che ha
condizionato la lenta attuazione del regionalismo italiano costituendo il
punto di riferimento di tutte le riforme che, nel corso degli anni, hanno
provato a risolvere l’irriducibile tensione tra unità e differenziazione, tra
indivisibilità e decentramento70.
L’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 non poteva da sola
avviare il complicato processo di riorganizzazione dello Stato prospettato
dall’art. 5 Cost. e – più ampiamente – dalle norme contenute nel Titolo V
della Carta fondamentale. Per completare il progetto, infatti, era necessaria
l’approvazione di una serie di leggi che provvedessero alla organizzazione e
alla elezione dei Consigli regionali, al riordino delle funzioni statali e
70 S. BARTOLE, Riflessioni sulla comparsa nell'ordinamento italiano del principio di
sussidiarietà, in Studium juris, 1999.
60
amministrative attribuite agli enti regionali, alla definizione dei rapporti
finanziari tra questi e lo Stato centrale. A tal fine, i Costituenti stabilirono
nella VIII disposizione transitoria e finale il termine di un anno per la
creazione dei Consigli regionali, ma, nonostante le buone intenzioni,
l’attuazione del regionalismo italiano subì gravi ritardi, e il termine
contenuto in Costituzione fu dapprima prorogato, poi semplicemente
ignorato. Così, mentre gli statuti delle Regioni speciali furono quasi tutti
approvati dalla stessa Assemblea costituente, l’istituzione delle Regioni
ordinarie si fece attendere per oltre vent’anni e, solo a partire dagli anni
Settanta, la riforma regionalista voluta dai padri costituenti cominciò
lentamente ad essere attuata. Molteplici furono le ragioni di questo ritardo,
tra cui l’esigenza di ricostruire un Paese gravemente colpito dal conflitto
mondiale e la necessità di rilanciare l’economia nazionale facilitarono
l’espandersi di un assetto istituzionale fortemente centralizzato, in cui gli
organi burocratici e amministrativi dello Stato esercitavano un potere forte e
compatto71. Così, sul versante delle Regioni ad autonomia differenziata <<le
norme attuative degli statuti trasferirono alle Regioni funzioni molto ridotte
e condizionate, nel loro concreto esercizio, dallo Stato>>. Infatti, la legge n.
62 del 1953 disciplinò <<in maniera assai dettagliata il contenuto degli
statuti>>,
e
subordinò
l’esercizio
delle
funzioni
legislative
alla
approvazione, da parte del Parlamento, di apposite “leggi-cornice” che
determinassero i principi fondamentali di ciascuna delle materie affidate
alla competenza concorrente Stato-Regioni72.
71 G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, I ed., Torino, 2007.
72 P. CARETTI, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell'ordinamento
comunitario e sul piano dell'ordinamento nazionale, Milano, 1996.
61
Originariamente, e secondo quanto emerge dai lavori dell’Assemblea
costituente, le Regioni avrebbero dovuto avere tre tipi di potestà legislativa;
una primaria, esercitabile nei limiti dei principi generali dell’ordinamento e
degli interessi nazionali, una concorrente o ripartita con lo Stato, una
meramente integrativa e attuativa delle leggi statali. Secondo la
formulazione originaria dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa spetta, di
regola allo Stato, tranne che in alcune materie (rigorosamente elencate dallo
stesso articolo della Costituzione) in cui la Regione <<emana norme
legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello
Stato e sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse
nazionale e con quello di altre Regioni>>. Questa scelta ha fatto sì che non
vi sia alcuna materia in cui il legislatore statale è privo di competenza,
potendo egli sempre intervenire a statuire i principi fondamentali73.
Il primo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni fu disposto
dai decreti delegati approvati nel 1972, che operarono numerosi “ritagli”
all’interno delle materie di competenza regionale e furono giustificati sulla
base della rilevanza degli interessi nazionali riguardanti tali materie; la
Corte costituzionale, dal canto suo, contribuì a avallare una lettura
restrittiva del sistema. Il modesto trasferimento di funzioni disposto dai
decreti del 1972 fu giudicato inconsistente dallo stesso Parlamento che
pochi anni più tardi, conferì al Governo l’incarico di approvare un nuovo
decreto legislativo per completare il progetto regionalista74. Tuttavia anche
73 V. ONIDA, Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale
dell’anno 2002, Milano, 2003.
62
questo secondo decentramento75 risultò inconsistente e la sua portata fu,
comunque, decisamente limitata. Durante gli ani Settanta e Ottanta la
situazione del regionalismo italiano rimase così sospesa in un limbo di
sostanziale ineffettività. Si era venuta a costituire una situazione
controproducente per l’intero apparato pubblico che, a causa dell’istituzione
degli enti regionali, veniva appesantito da nuovi (e costosi) organi incapaci
però di affermarsi come efficaci livelli di governo.
Queste contraddizioni emersero in tutta la loro portata all’inizio degli
anni
Novanta.
In
tutta
Europa,
infatti
(anche
in
conseguenza
dell’accelerazione del processo di integrazione voluto dal Trattato di
Maastricht) pressioni e stimoli per una riforma degli assetti tra centro e
periferia avevano animato il dibattito politico in molti Stati Membri. Il
sempre maggiore rafforzamento delle istituzioni europee portarono così
<<alla progressiva erosione della sovranità degli Stati membri, aprendo
spazi per il coinvolgimento attivo dei governi subnazionali, chiamati, ad
esempio, a dare attuazione delle politiche e delle direttive europee>>76. In
Italia, inoltre, la crisi politica conseguente al crollo della prima Repubblica
aveva generato un diffuso malcontento popolare per le istituzioni e un
74 D. Lgs. n. 616 del 1977.
75 A. RUGGERI – C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2002.
76 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, op. cit., p. 44 e ss.
63
desiderio di riforma complessiva dell’ordinamento in cui trovarono spazio
anche le istanze regionaliste.
A partire dalla metà degli anni Novanta furono istituite le
Commissioni bicamerali ad hoc, in un ampio progetto di riforma della
seconda parte della Costituzione. Dapprima la Commissione De Mita-Iotti77,
poi la Commissione D’Alema78 provarono, senza successo, ad ideare
progetti di riforma dell’ordinamento. Tuttavia i lavori della Commissione
D’Alema ebbero il pregio di portare all’attenzione delle istituzioni il
principio di sussidiarietà, ovvero di quel criterio di ripartizione delle
funzioni che influenzerà, di lì a poco, il modello di decentramento adottato
dalle leggi Bassanini prima, e dalla riforma costituzionale del 2001 poi. In
realtà il successo della sussidiarietà in Italia era iniziato, almeno a livello
dottrinale, già qualche anno prima, in conseguenza dell’approvazione del
Trattato di Maastricht. Inoltre, secondo parte della dottrina, l’impianto della
Costituzione del ’48 già riconosceva implicitamente tale principio in alcuni
suoi articoli; la struttura dell’art. 5 Cost., infatti, indicherebbe una <<logica
sussidiaria>> che orienta i rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali
minori, <<esprimendo non solo una decisione di preferenza in favore di tali
autonomie, ma anche il proposito che le competenze originariamente loro
accordate fossero destinate ad ampliarsi per effetto degli interventi del
legislatore
ispirati
al
principio
della
77 Legge cost. n. 1 del 1993.
78 Legge cost. n. 1 del 1997.
64
promozione>>79.
Solo
con
l’approvazione della legge Bassanini80 la sussidiarietà è stata introdotta in
modo significativo nell’ordinamento giuridico italiano, infatti viene
utilizzata come principio cardine della riforma, e viene recepita nella sua
duplice dimensione, verticale e orizzontale81. Da questo momento in poi il
ricorso alla sussidiarietà è divenuto sempre più diffuso82. Tutte queste
norme, ed in particolare la legge Bassasini, sono state la risposta ad una
domanda di cambiamento fortemente condivisa dalla realtà sociale e
politica italiana, che avrebbe portato di lì a poco a riscrivere le norme
contenute nel Titolo V della Costituzione.
La stagione delle riforme costituzionali si aprì nel 1999 con
l’approvazione della legge cost. 22 novembre, n. 1 , cui fece seguito la
legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2., attraverso la quale il legislatore
si preoccupò di ampliare la potestà statuaria delle Regioni italiane sia dal
79 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, op. cit., 603 e ss.
80 L. n. 59 del15 marzo 1997 (c.d. legge Bassanini).
81 Cfr. A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Padova, 2003.
82 In tal senso meritato di essere ricordati: il Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali (cfr. D.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, art. 3); la Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. n. 328 del 8 novembre
2000).
65
punto di vista formale che sostanziale. Qualche tempo dopo ci si è
preoccupati di completare la riforma del Titolo V con l’approvazione della
legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Se il primo intervento si era limitato a
ridisegnare la disciplina dei rapporti politici tra organi regionali, la legge n.
3/2001 ha modificato profondamente il riparto di competenze fra Stato e
Regioni, ampliando l’autonomia non solo politica ma anche legislativa,
amministrativa e (almeno sulla carta) finanziaria delle Regioni italiane. Tale
riforma è senza dubbio rivoluzionaria, in quanto ha segnato il superamento
del modello ideato dalla Assemblea costituente83, discostandosene
profondamente e dando un ruolo fondamentale al principio di sussidiarietà.
In questa prospettiva, il nuovo art. 11484 pone per la prima volta le
diverse autonomie territoriali sullo stesso piano85. L’art. 117, invece, viene
“capovolto” rispetto a quello precedente, in quanto quest’ultimo conferisce
una potestà legislativa allo Stato in merito a materie elencante
tassativamente ed alle Regione in via residuale (il vecchio art. 117
prevedeva il contrario). Ciò sta a significare che il nuovo sistema attribuisce
una generale e più consistente potestà legislativa alle Regioni.
83 Cfr. A. D’ATENA, op. cit., 603 e ss.
84 Art. 114 Cost.: <<la Repubblica è costituita da Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato>>.
85 M. OLIVETTI, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V,
Torino, 2001.
66
L’art. 118, invece, in linea con la riforma Bassanini, abbandona il
parallelismo tra funzioni amministrative e legislative e riconosce sia la
dimensione verticale che quella orizzontale. In merito alla dimensione
verticale, l’art. 118 valorizza i livelli di governo più prossimi ai cittadini,
stabilendo che le funzioni amministrative siano attribuite ai Comuni, e che
solo per esigenze di carattere unitario esse possano essere avocate in
sussidiarietà dai livelli di governo superiori86. Anche la dimensione
orizzontale del principio ha trovato esplicito riconoscimento nel nuovo
assetto costituzionale, impegnando tutti i livelli di governo del territorio a
favorire <<l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale>>87.
Merita un cenno, infine, la nuova disciplina contenuta nel nuovo art.
119 Cost., che garantisce alle Regioni e agli enti locali (almeno in via di
principio) un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa>> che si esprime
attraverso la possibilità di istituire <<tributi propri>> e di ottenere
<<conpartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro
territorio>>.
2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI
86 D. D'ALESSANDRO, Sussidiarietà solidarietà e azione amministrativa, Napoli, 2004.
87 Art. 118, comma 4.
67
La legge dello Stato si preoccupa di uniformare gli ordinamenti
contabili regionali, almeno a livello di impostazioni fondamentali, lasciando
all’autonomia organizzativa delle singole regioni di adottare, sulla base dei
rispettivi statuti ed altri atti normativi, il necessario completamento.
Attualmente la materia è oggetto del decreto legislativo 28 marzo
2000 n. 76, contenente i “Principi fondamentali e norme di coordinamento
in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione
dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugtno 1999, n. 208”88.
Dall’esame della suddetta legge si evince la conformazione della
disciplina de qua con quella omologa dello Stato.
Il consiglio regionale approva ogni anno con leggi – nell’ambito di
una manovra complessiva e comunque nei modi e nei termini previsti dallo
statuto e dalle leggi regionali – il bilancio annuale di previsione e il bilancio
pluriennale.
L’esercizio provvisorio del bilancio può essere autorizzato, nei modi,
nei termini e con gli effetti previsti dagli statuti e dalle leggi regionali, e non
può protrarsi, comunque, oltre i quattro mesi.
Le impostazioni delle previsioni di entrata e di spesa del bilancio della
regione si ispirano al metodo della programmazione finanziaria.
A tale fine la regione adotta ogni anno, insieme al bilancio annuale, un
bilancio pluriennale, le cui previsioni assumono come termini di riferimento
quelli della programmazione regionale e comunque di durata non superiore
al quinquennio. Il bilancio pluriennale è allegato al bilancio annuale.
La regione può altresì adottare, in connessione con le esigenze
derivanti dallo sviluppo della fiscalità regionale, una propria legge
88 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2009, pp. 220 e
ss.
68
finanziaria, contenente il quadro di riferimento finanziario per il periodo
compreso nel bilancio pluriennale. Essa contiene esclusivamente norme tese
a realizzare effetti finanziaria con decorrenza dal primo anno considerato
nel bilancio pluriennale ed è disciplinata con legge regionale, in coerenza
con quanto previsto dall’art. 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e
successive modificazioni.
Il bilancio pluriennale indica, per ciascuna ripartizione dell’entrata e
della spesa, oltre la quota relativa all’esercizio iniziale, quella relativa
all’esercizio successivo89.
L’adozione del bilancio pluriennale non comporta autorizzazione a
riscuotere le entrate, né ad eseguire le spese in esso contemplate.
Tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo, dallo Stato alla regione
confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni,
salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni
amministrative a norma dell’articolo 118, secondo comma, della
Costituzione, nonché di assegnazioni vincolate per calamità naturali e per
interventi di interesse nazionale. In tale ultimo caso la regione ha facoltà di
stanziare e di erogare somme eccedenti quelle assegnate dallo Stato, ferme,
nel caso di delega, le disposizioni delle leggi statali che disciplinano le
relative funzioni.
89 Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., pp. 220 e
ss.: Esso è elaborato con riferimento alla programmazione regionale e rappresenta il
quadro delle risorse che la regione prevede di acquisire e di impiegare nel periodo
considerato, esponendo separatamente l’andamento delle entrate e delle spese in base alla
legislazione statale e regionale in vigore (bilancio pluriennale a legislazione vigente) e le
previsioni sull’andamento delle entrate e delle spese tenendo conto degli effetti dei
previsti nuovi interventi legislativi (bilancio pluriennale programmatico). Il bilancio
pluriennale a legislazione vigente costituisce sede per il riscontro della copertura
finanziaria di nuove o maggiori spese stabilite da leggi della regione a carico di esercizi
futuri.
69
Le previsioni di bilancio annuale della regione sono formulate in
termini di competenza e di cassa ed articolate, per l’entrata e per la spesa, in
unità previsionali di base. Queste ultime sono determinate con riferimento
ad aree omogenee di attività, anche a carattere strumentale, in cui si
articolano le competenze delle regioni. Le contabilità speciali sono
articolate in capitolo sia quanto all’entrata che alla spesa.
Per ogni unità previsionale di base sono indicati (art. 4, comma 3):
a( l’ammontare presunto dei residui attivi o passivi alla chiusura
dell’esercizio precedente a quello cui il bilancio si riferisce; b) l’ammontare
delle entrate che si prevede di accertare o delle spese di cui si autorizza
l’impegno nell’esercizio cui il bilancio si riferisce; l’ammontare delle
entrate che si prevede di riscuotere o delle spese di cui si autorizza il
pagamento del medesimo esercizio, senza distinzioni fra riscossioni e
pagamenti in conto competenza e in conto residui. L’eventuale saldo
finanziario, positivo o negativo, presunto, al termine dell’esercizio
precedente è iscritto fra le entrate o le spese di cui alla lettera b), del comma
3, mentre l’ammontare presunto della giacenza di cassa all’inizio
dell’esercizio cui il bilancio si riferisce è iscritto fra le entrate di cui alla
lettera c) del comma 3.
Anche per le regioni è previsto un bilancio analitico per capitoli.
Infatti in apposito allegato al bilancio le unità previsionali di base sono
ripartite in capitoli ai fini della gestione; nello stesso allegato sono altresì
indicati, disaggregati per capitolo, i contenuti di ciascuna unità previsionale
di base e il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale della spesa,
con l’evidenziazione delle relative disposizioni legislative. I capitoli sono
determinati in relazione al rispettivo oggetto per l’entrata e secondo
l’oggetto e il contenuto economico e funzionale per la spesa.
Formano oggetto di specifica approvazione del consiglio regionale le
previsioni di cui ai commi 1, 2, 3, lettera a), b), e c), e dei commi 4 e d. le
contabilità speciali sono approvate nel loro complesso.
70
Gli
stanziamenti
di
spesa
di
competenza
sono
esclusivamente in relazione alle esigenze funzionali
determinati
ed agli obiettivi
concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio, restando
esclusa ogni quantificazione basata sul criterio della spesa storica
incrementale.
Il quadro generale riassuntivo del bilancio riporta, distintamente per
titoli e funzioni e per funzioni-obiettivo, rispettivamente, i totali delle
entrate e delle spese.
Nel bilancio generale sono iscritti fondi di riserva (art. 13)90, nonché
possono essere iscritti uno o più fondi speciali, destinati a far fronte agli
oneri derivanti da provvedimenti legislativi regionali che si perfezionano
dopo l’approvazione del bilancio (art. 14).
Entro il 30 giugno di ogni anno poi la regione approva, con legge,
l’assestamento
del
bilancio,
mediante
il
quale
si
provvede
all’aggiornamento delle previsioni iniziali (art. 15).
La legge di approvazione del bilancio regionale può autorizzare
variazioni al bilancio medesimo, da apportare nel corso dell’esercizio
mediante provvedimenti amministrativi, per l’istruzione di nuove unità
previsionali di entrata, per l’iscrizione di entrate derivanti da assegnazioni
vincolate a scopi specifici da parte dello Stato e dell’Unione europea,
nonché per l’iscrizione delle relative spese, quando queste siano
tassativamente regolate dalla legislazione in vigore (art. 16).
Contestualmente
all’approvazione
della
legge
di
bilancio
o
dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio, la giunta regionale provvede a
ripartire le unità previsionali di base per capitoli ai fini della gestione e
90 a) un fondo di riserva per spese obbligatorie dipendenti dalla legislazione in vigore; b)
un fondo di riserva per le spese impreviste; c) il fondo di riserva per le autorizzazioni di
cassa (Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 222).
71
rendicontazione e ad assegnare ai dirigenti titolari dei centri di
responsabilità amministrativa le risorse necessarie al raggiungimento degli
obiettivi individuati per gli interventi, i programmi e i progetti finanziati
nell’ambito dello stato di previsione delle spese.
Vengono affermati i principi di equilibrio del bilancio (art. 5), in
quanto il totale dei pagamenti autorizzati non può essere superiore al totale
delle entrate di cui si prevede la riscossione sommato alla presunta giacenza
iniziale di cassa91, nonché, in analogia allo Stato, quelli dell’annualità del
bilancio (art. 6), dell’universalità ed integrità (art. 7).
La legge regionale stabilisce le modalità e determina le competenze
per la gestione delle spese, in modo da assicurare adeguati controlli anche a
carattere economico-finanziario nell’ambito di ciascuna unità operativa di
un servizio, di un settore o di un programma o progetti della regione (art.
20).
La legge statale uniforma le procedure di gestione del bilancio
regionale a quelle dello Stato, per quanto riguarda i procedimenti
dell’entrata e della spesa, nonché dei residui.
Le regioni, sulla base delle norme dei rispettivi statuti, assicurano
l’autonomia contabile del consiglio regionale, nell’ambito dei principi
stabiliti dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853, ferma la competenza
regolamentare interna attribuita al consiglio medesimo (art. 30).
91 Il totale delle spese di cui si autorizza l’impegno può essere superiore al totale delle
entrate che si prevede di accertare nel medesimo esercizio, purché il relativo disavanzo
sia coperto da mutui e altre forme di indebitamento autorizzati con la legge di
approvazione del bilancio nei limiti di cui all’articolo 23.
72
2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI
Il bilancio dell’ente locale è un bilancio pubblico previsionale
finanziario. Esso – strumento essenziale per i processi di programmazione,
previsione, gestione e rendicontazione – tende a fornire informazioni in
merito ai programmi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed
all’andamento dell’ente a favore dei soggetti interessati al processo di
decisione politica, sociale ed economico-finanziaria (art. 13 del D.P.R. n.
170/2006). Quindi, il bilancio – già istituto giuscontabile per la gestione e
controllo dei mezzi finanziari da utilizzare per l’esercizio di pubbliche
funzioni tese al raggiungimento dei pubblici fini ovvero di interessi generali
– è ormai inteso come fondamentale strumento di programmazione. Esso
così è divenuto “sistema”92 di atti ed insieme di metodologie di
rappresentazione in termini descrittivi, finanziari, economici e contabili
delle attività e finalità contenute nella programmazione, i cui obiettivi sono
stati tradotti in termini economici attraverso le entrate e le spese riportate
nell’elaborato contabile93.
92 Così M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 225.
93 <<Il sistema di bilancio di un Ente locale è composto da una serie di documenti che
tendono ad evidenziare da un lato la necessità di una accurata programmazione
pluriennale e di una previsione annuale, sia in termini di competenza che in termini di
cassa, dall’altro l’importanza della presenza di un articolato conto consuntivo, dal quale si
possa prendere visione dei risultati dell’azione amministrativa effettuata dall’Ente,
confrontati, per evidenziarne gli scostamenti, con i valori delle corrispondenti voci del
bilancio pluriennale e di quello preventivo annuale. Il tutto deve realizzarsi, oltre che
nell’ottica finanziaria, anche in quella economica, per far si che anche negli Enti locali
73
In tal modo il bilancio di previsione, nel complesso dei suoi atti, è il
frutto del programma politico-amministrativo dell’amministrazione.
Detto programma ha invero ad oggetto il complesso coordinato di
attività, anche normative, relative alle opere da realizzare, e di interventi
diretti
ed
indiretti,
non
necessariamente
solo
finanziari,
per
il
raggiungimento di un fine prestabilito, nel più vasto piano generale di
sviluppo dell’ente, secondo le indicazioni dell’articolo 151 T.U. 267 (può
essere compreso all’interno di una sola delle funzioni dell’ente, ma può
anche estendersi a più funzioni); esso: a) esprime in termini finanziari le
decisioni di politica generale e di politica economica adottate dagli organi
rappresentativi; b) fissa i limiti dell’attività di gestione entro i quali gli
organi esecutivi possono operare, secondo l’autorizzazione contenuta nella
deliberazione di bilancio; c) predetermina razionalmente tutte le operazioni
finanziarie occorrenti per conseguire tutte le finalità di interesse pubblico94.
Tutto l’insieme degli atti della manovra finanziaria deve riguardare il
disegno di sviluppo della comunità locale, non escluso, ma piuttosto come
ultimo fine, il miglioramento della qualità della vita e quindi il buon
rendimento del danaro pubblico.
Appare evidente come “il sistema bilancio”, cioè il complesso degli
atti costituenti il bilancio di previsione e quelli costituenti il rendiconto,
vengano adottate (e con la legge n. 142/90 si gettano delle basi affinché ciò diventi un
obbligo vero e proprio) le più importanti tecniche di controllo di gestione per realizzare
un sempre più valido ed oculato utilizzo delle risorse a disposizione>>. F. ZORZET – P.
PADRINI, Il bilancio degli enti locali, EBC, 1991.
94 V. RUSSO, L’ordinamento contabile degli enti locali, Apollonio – ICA.
74
rappresenti lo strumento: a) di attività gestoria intesa ad acquisire le risorse
economiche da erogare per la produzione di beni e servizi di utilità
pubblica; b) di programmazione della attività che gli organi deliberativi
prevedono di svolgere nel breve o medio periodo in relazione agli obiettivi
di politica generale dell’ente; c) di rappresentazione delle funzioni
dell’organo volitivo95.
Si è così costretti a fare i conti con la realtà, ovvero a partire dal debito
pubblico e, attraverso le spese consolidate, giungere alla definizione delle
risorse pubbliche attivabili nel periodo considerato.
Il complesso degli interventi operanti attraverso la programmazione e
la conseguente manovra finanziaria – paragonabile alla legge finanziaria
dello Stato – fa sì che essa incida sulla situazione esistente, proiettandola
verso il futuro.
La programmazione e la susseguente manovra finanziaria hanno la
capacità di modificare la corrente politica delle entrate e delle spese,
cancellando le relative decisioni precedentemente assunte, incidendo in tal
modo sui contenuti del bilancio di previsione con decisioni che
condizionano l’andamento finanziario, indicando i programmi e progetti
che possono essere finanziati.
In tal modo, con un
unico atto legislativo, vengono modificate
decisioni di entrata e di spesa già assunte dall’ordinamento.
Per assicurare il rispetto in itinere di quanto già oggetto degli atti di
bilancio, è previsto che il regolamento di contabilità individui i casi di
inammissibilità e di improcedibilità delle deliberazioni di Consiglio e di
Giunta che non sono coerenti con le previsioni ed i programmi, di cui alla
relazione previsionale e programmatica.
95 V. RUSSO, op. cit.
75
La manovra di bilancio rende possibile la modifica, attraverso
l’approvazione di un unico atto, delle correnti decisioni di entrata e di
spesa, disponendo nel contempo di un sicuro collegamento tra
programmazione e bilancio – in quanto i programmi debbono essere
recepiti dal bilancio ed in esso tradotti in meri dati numerici –, atto
obbligatorio la cui mancata adozione comporta (con le procedure di legge)
lo scioglimento del Consiglio Comunale.
Un problema connesso all’introduzione della relazione previsionale e
programmatica e, quindi, alla creazione del sistema di atti, riguardo la
modificabilità del suo contenuto necessario nel corso dell’anno e la
connessa procedura, in mancanza di una specifica disposizione – anche se
comunque tutti i cambiamenti devono conseguenzialmente essere inseriti
nel bilancio annuale ed in quello pluriennale.
Nulla impedisce in corso d’esercizio di adottare un intervento talmente
consistente da costituire una nuova vera e propria manovra finanziaria. Va,
inoltre, osservato, che modifiche alla programmazione globale o settoriale
dell’ente comporta necessariamente la correzione degli strumenti contabili96.
Il legislatore delegato, con D.P.R. 12 aprile 2006 n. 170, nel procedere
all’armonizzazione dei bilanci pubblici97, a proposito degli enti locali, al
capo III ha dettato la normativa circa la programmazione finanziaria, la
96 Il ricorso alla variazione di bilancio sic et simpliciter senza l’adeguamento della
relazione programmatica non appare ammissibile, oltre che corretto, specie se avviene
con il ricorso a delibere d’urgenza da parte dell’esecutivo, eludendo il dibattito politico,
stante l’espresso dettato del comma 8 dell’art. 175 T.U.E.L. L’adozione di deliberati
d’urgenza, ove vengano utilizzati ai fini di modificare i contenuti necessari della relazione
programmatica (quindi della programmazione) appare illegittima in quanto essi sono
parte integrante del “sistema di bilancio”, sistema modificabile solo con atto consiliare.
M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 228.
97 La delega al Governo è stata conferita dall’art. 1, co. 4, legge 5 giugno 2003, n. 131.
76
rendicontazione ed i principi di bilancio. La disciplina non è del tutto
innovativa, anche perché il suddetto provvedimento legislativo aveva i
limiti posti dalla delega, scontentando chi si aspettava delle novità
profonde; essa precisa, però, che il bilancio è costituito non da un mero
documento contabile, ma da un sistema di atti tra loro collegati da un nesso
di interdipendenza e di coerenza interna.
Gli articoli 13 e 14 del D.P.R. n. 170/2006, superano la laconica ed
irreale formulazione degli articoli 150 e 151 del T.U. n. 267/2000 98,
prevedono che il sistema di bilancio degli enti locali è lo strumento
essenziale per il processo di programmazione, previsione, gestione e
rendicontazione e che le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in
merito ai programmi in corso di realizzazione, all’andamento dell’ente a
favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica, sociale ed
economico-finanziaria,
nonché
in
merito
ai
programmi
futuri.
Conseguentemente , gli atti di programmazione e previsione hanno valenza
pluriennale/annuale e devono essere tra loro coerenti e interdipendenti.
Gli atti della programmazione di mandato99 sono costituiti dalle linee
programmatiche e dal piano generale di sviluppo. La manovra si articola
poi in termini economico-finanziari mediante i bilanci di previsione
98 Legge 5 giugno 203 n. 131 art. 1 comma 4. In sede di prima applicazione, per
orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle
leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali che si traggono
dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, attenendosi ai principi della esclusività, adeguatezza, chiarezza,
proporzionalità ed omogeneità e indicando, in ciascun decreto, gli ambiti normativi che
non vi sono compresi.
77
(pluriennale ed annuale) e la relazione previsionale programmatica annuale
e pluriennale.
Gli enti locali sono tenuti a deliberare annualmente il bilancio
finanziario di previsione per l’anno successivo nel rispetto dei principi di
unità, coerenza, annualità, universalità, integrità, veridicità, attendibilità e
pubblicità. Esso è deliberato in pareggio finanziario complessivo, nel senso
che le previsioni di spesa corrente, sommate alle quote di capitale (delle rate
di ammortamento dei mutui-prestiti obbligazionari-aperture di credito), non
possono essere complessivamente superiori alle previsioni delle entrate
correnti.
Il bilancio di previsione è costituito dai seguenti atti: – Linee
programmatiche per azioni e progetti; – Piano generale di sviluppo; –
Relazione previsionale programmatica; – Bilancio di previsione annuale; –
Bilancio di previsione pluriennale.
Del bilancio di previsione fanno parte gli allegati (obbligatori)100 di cui
all’art. 172 T.U.E.L.
Il potere di iniziativa per predisporre gli atti di bilancio e presentarli al
Consiglio ai fini dell’esame e dell’approvazione spetta alla Giunta101, cui
99 Di fatto, benché nel D.Lgs n. 170/2006 si parli di programmazione di mandato, questa
è impedita dalla disposizione che prevede che il bilancio pluriennale e la relazione hanno
riguardo ad un arco temporale triennale e comunque pari a quello stabilito dalla regione
di appartenenza.
100 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 229.
78
incombe l’onere di far redigere la proposta di bilancio nel pieno rispetto dei
principi contabili102.
La
relazione
previsionale
e
programmatica,
introdotta
nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1-quater comma 3 del D.L. 28
febbraio 1983, n. 55, convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131, e
confermata dai commi 2 e 3 dell’art. 55 della legge n. 142/90, è attualmente
disciplinata dall’art. 170 T.U.E.L.
Tali disposizioni, però, non hanno stabilito modelli standard per la
redazione di questo strumento di determinazione degli obiettivi che l’ente
intende perseguire; obiettivi che si traducono in termini numerici nei singoli
capitoli del bilancio annuale e nelle previsioni del bilancio pluriennale.
A tale relazione – relativa ad un periodo pari a quello del bilancio
pluriennale –, che è allegata al bilancio annuale di previsione, però non è
riconosciuto il giusto valore di atto presupposto ed indispensabile per la
elaborazione del bilancio stesso.
101 Articolo 174 co. 1. Lo schema di bilancio annuale di previsione, la relazione
previsionale e programmatica e lo schema di bilancio pluriennale sono predisposti
dall’organo esecutivo e da questo presentati all’organo consiliare unitamente agli allegati
ed alla relazione dell’organo di revisione.
102 C. Conti, sez. II, 19/06/1996, n. 36/A, che ha ravvisato la responsabilità dei
componenti della giunta i quali, nel predisporre lo schema di bilancio dell’ente,
sottostimano le necessità per fronteggiare le spese (prevedendo stanziamenti meramente
simbolici o palesemente insufficienti), mantenendo, poi, un comportamento inerte di
fronte ad un fenomeno debitorio in crescita dando luogo a debiti fuori bilancio. Ad
analoga responsabilità può invero dar luogo la sovrastima ingiustificata di entrate o,
peggio, la previsione di entrate fittizie.
79
Essa ha contenuto programmatico e finanziario, ed illustra le
caratteristiche generali della popolazione, del territorio, dell’economia
insediata e dei servizi dell’ente, precisandone le risorse (umane,
strumentali, tecnologiche e finanziarie). Comprende, per la parte entrata,
una valutazione generale sui mezzi finanziari, individuando le fonti di
finanziamento ed evidenziando l’andamento storico degli stessi coi relativi
vincoli. Per la parte spesa è redatta per programmi indicati nel bilancio
annuale e nel bilancio pluriennale, rilevando l’entità e l’incidenza
percentuale della previsione con riferimento alla spesa corrente consolidata,
a quella di sviluppo ed a quella di investimento.
Per ciascun programma viene specificata la finalità che si intende
conseguire e le risorse umane e strumentali ad esso destinate, distintamente
per ciascuno degli esercizi in cui si articola il programma stesso, ed è data
specifica motivazione delle scelte adottate.
La funzione della relazione previsionale e programmatica è quella di
fornire la motivata dimostrazione delle variazioni intervenute rispetto
all’esercizio precedente, fornendo adeguati elementi che dimostrino la
coerenza delle previsioni annuali e pluriennali con gli strumenti urbanistici
PRG, Piani esecutivi, PPA103.
La relazione ed i bilanci di previsione degli enti locali devono, infine,
tener conto (nel rispetto del T.U. n. 267) delle leggi della regione di
appartenenza, per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni delegate, in
modo tale da consentirne il controllo sulla destinazione dei fondi assegnati e
103 È contenuta una verifica della quantità e qualità delle aree e fabbricati da destinarsi
alla residenza, alle attività produttive e terziarie – ai sensi delle leggi n. 167/1962, n.
865/1971, e n. 457/1978, – che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di
superficie, stabilendone contestualmente il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di
fabbricato. La relazione indica anche gli obiettivi che si intendono raggiungere, sia in
termini di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio.
80
l’omogeneità delle classificazioni delle poste di bilancio con quelle del
bilancio regionale.
L’attuazione dei programmi approvati dal consiglio dell’ente e
racchiusi nella relazione previsionale e programmatica, e tradotti in termini
numerici nei bilanci di previsione (annuale e pluriennale), è attribuita dalla
legge ai responsabili dei servizi o dirigenti.
Pertanto, sulla base del bilancio di previsione, l’organo esecutivo
ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il piano
esecutivo ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il
piano esecutivo di gestione (P.E.G.), determinando gli obiettivi della
gestione ed affidando ai dirigenti (o responsabili dei servizi) i reparti
organizzativi (semplici o complessi), composti da persone e mezzi
strumentali, nonché i mezzi finanziari, specificati negli interventi assegnati.
Il vigente ordinamento offre uno schema di relazione previsionale e
programmatica e stabilisce il suo contenuto104.
La relazione previsionale e programmatica deve, inoltre, fornire
adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni (annuali e
pluriennali) con riguardo a dati aspetti105.
La relazione, infine, deve dare atto della reale situazione economica
(di deficitarietà strutturale o meno) secondo parametri stabiliti dal Ministro
dell’Interno e che si è tenuto conto del tasso di inflazione programmato.
Dall’esame degli articoli 169, 170, 171, 172 e 174 T.U.E.L., e degli
articoli 13 e 14 D.P.R. n. 170/2006 risulta che: – gli enti locali deliberano
104 Poiché la relazione dovrà indicare (in termini di economicità, efficienza ed efficacia)
gli obiettivi che devono essere soddisfatti e raggiunti, coloro che sono preposti alla
gestione (dirigenza o responsabili dei servizi) vengono responsabilizzati per il
raggiungimento degli obiettivi; raggiungimento che giustifica l’attribuzione e pagamento
della retribuzione accessoria ed eventuale.
81
annualmente il bilancio di previsione finanziario, redatto in termini di
competenza, per l’anno successivo, osservando i già indicati principi di
unità, annualità, universalità, integrità, veridicità, pareggio finanziario106 e
pubblicità, previsti dall’art. 151 T.U. n. 267/2000, ed i principi di
attendibilità e coerenza previsti dall’art. 14 D.P.R. n. 170/2006; – l’unità
temporale della gestione è l’anno finanziario, che inizia l’1 gennaio e
termina il 31 dicembre dello stesso anno; – è vietata la gestione di entrate e
di spese che non siano iscritte in bilancio107; il bilancio di previsione deve
essere redatto nel rispetto dei principi sopra riportati, ed ogni previsione
deve essere sostenuta da analisi riferite ad un adeguato arco di tempo o, in
mancanza, da altri idonei parametri di riferimento, per cui ogni scostamento
dalla previsione dell’anno precedente dev’essere giustificato; – il bilancio di
105 Agli strumenti urbanistici e coi relativi piani di attuazione; al programma triennale
dei lavori pubblici di cui ala legge 11 febbraio 1994 n. 109; alla verifica della quantità e
qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie,
che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; a quanto deliberato, per
l’esercizio successivo, in materia di tariffe, aliquote d’imposta ed eventuali maggiori
detrazioni, di variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali,
nonché, per i servizi a domanda individuale, dei tassi di copertura in percentuale del costo
di gestione dei servizi stessi.
106 La salvaguardia degli equilibri di bilancio è disciplinata dall’art. 194 T.U. 267/2000,
che va correlato ai commi 4 e 6 dell’art. 153.
107 Il riconoscimento della legittimità ed il pagamento di debiti fuori bilancio può aver
luogo solo nei casi e con la procedura di cui all’art. 194 T.U. 267/2000.
82
previsione annuale ha carattere autorizzatorio, costituendo limite agli
impegni di spesa, fatta eccezione per i servizi per conto di terzi; – il
bilancio di previsione annuale assicura il finanziamento degli impegni
pluriennali assunti nel corso degli esercizi precedenti; – i documenti di
bilancio devono essere redatti in modo da consentirne la lettura per
programmi108, servizi ed interventi; – la parte spesa deve essere leggibile
anche per programmi, dei quali va fatta analitica illustrazione in apposito
quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e
programmatica, con l’indicazione delle scelte gestionali.
Al fine della verifica della coerenza dell’azione amministrativa nel suo
complesso, al bilancio di previsione sono allegati alcuni documenti109.
Dai punti che precedono risulta che il bilancio di previsione non è un
mero documento contabile, ma è costituito invero da un complesso di atti,
tutti finalizzati ad un unico scopo: l’ordinato e programmato svolgimento
della vita amministrativa per lo sviluppo della comunità nel suo complesso.
Si avverte, allora, come la programmazione dell’ente locale non è un
momento dell’attività locale, ma un metodo di governo della comunità
rappresentata, governo che coinvolge tutta la comunità e tutti gli aspetti
della vita cittadina.
Per quanto riguarda più particolarmente il comune, esso deve essere
dotato di: – piano regolatore generale per la gestione del territorio; –
Programma Pluriennale di attuazione (P.P.A.) per lo sviluppo ed attuazione
108 V. art. 165 comma 7 T.U.E.L.
109 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 233.
83
del P.R.G.; – Programmazione commerciale; – Programmazione esercizi
pubblici; – Piano degli insediamenti produttivi.
Senza i suindicati strumenti (specialmente in assenza di P.R.G.)110 non
è possibile infatti redigere un programma politico-amministrativo né tanto
meno le linee programmatiche (altrimenti dette strategiche) relative alle
azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato111.
Del resto tutti i suindicati atti sono legati all’identico fine dell’ordinato
sviluppo della comunità insediata sul territorio considerato112.
Per dare effettivo impulso e concretizzare quanto indicato negli atti di
programmazione, l’ente deve dotarsi degli strumenti giuridici, nonché di
risorse umane e finanziarie, programmando (prima ancora delle opere e
lavori pubblici) l’assunzione del personale occorrente, per il tempo che si
prevede di utilizzarlo.
110 V. a sua conferma il contenuto del P.R.G. ex art. 7 legge 17 agosto 1942 n. 1150.
111 Art. 46 comma 3 T.U.E.L. Entro il termine fissato dallo statuto, il sindaco o il
presidente della provincia, sentita la Giunta, presenta al consiglio le linee
programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato.
112 Ad esempio: gli artt. 13della legge n. 426/1971 (abrogata dal D.Lgs n. 114/1998)
stabilivano il raccordo tra programmazione urbanistica e programmazione commerciale.
84
Il
bilancio
di
previsione
pluriennale
è
stato
introdotto
nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1 del D.P.R. 19 giugno 1979 n.
421113, come un allegato al bilancio annuale di previsione.
Solo con l’art. 13 del D.Lgs. n. 170/2006 è stato affermato il concetto
di sistema di bilancio114, correlando tra loro gli atti contabili e dichiarando
che il sistema di bilancio è strumento di programmazione.
Il bilancio pluriennale deve essere redatto tenendo conto delle linee
programmatiche, del piano generale di sviluppo e degli indirizzi
programmatici indicati nella relazione previsionale e programmatica.
Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale – che per il primo
anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza – hanno
113 Art. 1 comma 1 D.P.R. 421/1979.
114 Sistema della programmazione finanziaria e della rendicontazione: 1. Il sistema di bilancio
degli enti locali costituisce lo strumento essenziale per il processo di programmazione, previsione,
gestione e rendicontazione. Le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in merito ai
programmi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed all'andamento dell'ente a favore dei soggetti
interessati al processo di decisione politica, sociale ed economico-finanziaria. 2. I documenti di
programmazione e previsione hanno valenza pluriennale ed annuale ed i loro contenuti
programmatici e contabili sono coerenti e interdipendenti. 3. Gli strumenti della programmazione
di mandato sono costituiti dalle linee programmatiche per azioni e progetti e dal piano generale di
sviluppo. 4. Il bilancio di previsione e' composto dalla relazione previsionale e programmatica, dal
bilancio annuale e dal bilancio pluriennale ed e' deliberato entro il 31 dicembre dell'anno
precedente quello cui si riferisce. 5. Sulla base del bilancio di previsione annuale, deliberato dal
consiglio, l'organo esecutivo definisce, ove previsto, il piano esecutivo di gestione, determinando
gli obiettivi ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.
85
carattere autorizzatorio115, costituendo il limite agli impegni di spesa, e sono
aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione.
Il
bilancio
pluriennale,
in
coerenza
con
i
vincoli
della
programmazione, deve recepire i contenuti del programma che il governo
locale intende realizzare nel triennio di riferimento116.
Il bilancio pluriennale per la parte di spesa è redatto per programmi
titoli, servizi ed interventi, ed indica per ciascuno l’ammontare delle spese
correnti di gestione
consolidate
e di sviluppo,
anche
derivanti
dall’attuazione degli investimenti, nonché le spese di investimento ad esso
destinate, distintamente per ognuno degli anni considerati.
Tutto ciò in applicazione del principio che le spese in conto capitale
possono trovare il loro finanziamento nella contrazione di mutui e che le
spese con le quali si finanzia la spesa corrente (che è rigida e non crea
ricchezza) non possono essere più finanziate con mutuo a pareggio, ma solo
con il coacervo delle entrate117.
115 Art. 171 comma 4 T.U.E.L. Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale, che per
il primo anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza, hanno carattere
autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente in
sede di approvazione del bilancio di previsione.
116 Quindi la redazione del bilancio pluriennale necessariamente presuppone l’esistenza
di una precisa volontà politica di attuazione di un programma (inteso in senso lato), il
quale deve essere chiaro, ma non può essere preciso e stabile, in quanto le sue previsioni
sono necessariamente soggette a variazioni dipendenti dall’ampio margine di incertezza
dovuto all’adattamento della programmazione ai fatti intervenienti in itinere, ma, d’altro
canto, sono autorizzatorie di spesa nei limiti degli stanziamenti.
117 Va tenuto presente che le cifre riportate nel bilancio pluriennale sono indicative
(anche se autorizzatorie – come già detto – nei limiti della previsione legislativa) e
86
Il bilancio di previsione pluriennale118 ha assunto, a partire dalla
riforma del 1990, un ruolo decisivo nella programmazione dell’ente locale,
giacché riassume in sé l’intera manovra finanziaria, superando nel
contempo l’erronea convinzione di un inutile allargamento del novero degli
atti contabili.
La verità è che ci si avvia dal 1990 a considerare l’intervento pubblico
nel suo complesso, a partire dai soggetti minori che sono invero i più vicini
alla comunità.
la legge, inoltre, ha posto in capo al consiglio dell’ente l’obbligo di
verifica annuale – salva diversa periodicità prevista dal regolamento di
contabilità dell’ente –, dello stato di attuazione dei programmi,
contestualmente alla verifica degli equilibri di bilancio119. Quindi con
delibera consiliare occorre provvedere: 1) alla ricognizione sullo stato di
attuazione dei programmi; 2) alla verifica circa la permanenza degli
equilibri generali di bilancio; 3) all’adozione, in caso di accertamento
devono essere adeguati annualmente.
118 Ciò in ragione delle sue caratteristiche di atto con aggiornamento a cadenza almeno
annuale, obbligatorio e necessario per legge, per il ruolo che esso ha nel processo di
attuazione del programma del governo locale, ed unito funzionalmente in unicum
inscindibile previsionale-annuale-pluriennale-relazione programmatica (alla cui
approvazione quest’ultima è preordinata, costituendo la giustificazione in relazione ad
ogni singola posta allocata nei due bilanci.
119 V. art. 193 T.U.E.L. Salvaguardia degli equilibri di bilancio.
87
negativo, dei provvedimenti necessari al ripiano degli eventuali debiti fuori
bilancio (riconoscibili o nei limiti della riconoscibilità) o dell’eventuale
disavanzo di amministrazione prevedibile in base ai dati della gestione
finanziaria, che siano stati comunicati, ripristinando, così, il pareggio.
A supporto di tale attività è funzionale il controllo di gestione.
La mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio – la cui
necessità sia stata evidenziata in sede di verifica dello stato di attuazione dei
88
programmi o di controllo di gestione o altrimenti – provoca la sanzione
89
dello scioglimento del consiglio, e, quindi, dell’intera amministrazione120.
La verifica più pregnante dell’azione amministrativa dovrebbe essere
effettuata, in sede di rendiconto, dalla giunta.
Per una corretta attività gestionale e per evitare la creazione di debiti
fuori bilancio la legge, dopo aver stabilito le regole per l’assunzione di
impegni e per l’effettuazione di spese (Parte II Titolo III Capo II T.U. n.
267/2000 ed art. 20 D.lgs. n. 170/2000), ha dettato le regole per la
salvaguardia degli equilibri di bilancio (artt. 193 e 194 T.U. n. 267/200),
introducendo stabilmente nell’ordinamento contabile locale l’istituto del
riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ponendo a carico del consiglio
comunale o provinciale l’obbligo di ristabilire il riequilibrio di bilancio,
procedendo
prioritariamente
alla
spesa
in
considerazione
ed
al
riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Con l’espressione di debito fuori bilancio,m <<che è sicuramente
ellittica, devono intendersi quei residui passivi di fatto che derivano da
impegni assunti irritualmente (cioè senza deliberazione dell’organo
collegiale e/o oltre il limite dell’autorizzazione a spendere contenuta e
quantificata nel bilancio di previsione) oppure impegni effettivamente tali
in senso giuridico (ma non contabile) in quanto atti ad esporre l’ente
90
all’azione vittoriosa del creditore>>121. Quanto alla genesi, i debiti fuori
bilancio erano sin dall’origine individuati in <<puri fatti (ad esempio
produttori di danno e quindi del debito di risarcimento) o di pronunce
giudiziarie, anche se sommarie (decreto ingiuntivo) o non definitive
(sentenze non passate in giudicato)>>, riconoscendo, poi, che solo in alcuni
casi può sussistere la discrezionalità <<in ordine alla riconoscibilità di un
120 L’art. 193 TUEL impone che l'intera gestione contabile degli enti locali sia ispirata al
mantenimento degli equilibri inizialmente fissati dal consiglio in sede di approvazione del bilancio
di previsione incentrato sul pareggio finanziario e sull'equilibrio economico. Nello specifico, si
tratta di verificare che gli accertamenti delle risorse iscritte nei primi tre titoli delle entrate siano
sufficienti a finanziare le spese correnti e le quote di capitale per rimborso di prestiti impegnate o
da impegnarsi al titolo terzo della spesa e che il finanziamento degli investimenti iscritti al titolo
secondo della spesa siano effettivamente finanziati con le entrate specifiche (avanzo di gestione,
mutui, prestiti, conferimenti per trasferimenti in c/capitale) che si erano ipotizzate in preventivo e
che le medesime si siano effettivamente concretizzate o realizzate. Ai fini del mantenimento degli
equilibri generali di bilancio durante la gestione, l’attuale ordinamento finanziario e contabile,
accanto alla scadenza del 30 settembre e relativa alla salvaguardia degli equilibri di bilancio,
prevede un secondo momento di verifica che, disciplinato dal comma 8 dell’articolo 175 del Tuel,
impone al Consiglio comunale di deliberare, entro il 30 novembre di ciascun anno, una variazione
di assestamento generale di tutte le voci di entrata e di spesa, compreso il fondo di riserva.
L’assestamento generale del bilancio rappresenta un momento importante della gestione
finanziaria dell’ente perché consente di realizzare le ultime verifiche di bilancio e, nel caso di
necessità, di porre in essere le dovute manovre correttive sull’andamento finanziario della
gestione, in relazione alle indicazioni fornite dai vari responsabili dei servizi e dal responsabile del
servizio finanziario dell’ente. L’assestamento costituisce un bilancio di verifica della gestione,
contenente anche una previsione delle entrate e delle spese proiettate al 31 dicembre. Per quanto
riguarda le entrate, in sede di assestamento si provvederà ad iscrivere in bilancio una nuova
tipologia di risorsa non prevista in sede di predisposizione del bilancio di previsione. Infatti non
occorre procedere a variazioni nel caso di maggiori accertamenti rispetto a quelli previsti, atteso
che l’ordinamento finanziario e contabile non impone per le entrate alcun limite alla loro
contabilizzazione. A differenza delle entrate, la variazione di assestamento sarà necessaria per far
fronte a nuove o maggiori spese, dal momento che la previsione aggiornata del bilancio di
previsione il limite invalicabile per l’assunzione degli impegni di spesa. Le nuove e/o maggiori
spese troveranno copertura finanziaria nell’accertamento di nuove entrate o in una revisione degli
interventi di spesa, anche se nella pratica quotidiana è alquanto difficile “sottrarre” risorse ai
responsabili che pur di mantenere intatti i propri stanziamenti non esitano a determinare i
cosiddetti “impegni generici” o “impegni di massima”. Nelle valutazioni da farsi in sede di
assestamento generale, occorre prestare particolare attenzione al fondo di riserva il cui
stanziamento dovrà essere tale da garantire l’ente dal verificarsi, nel mese di dicembre, di eventi
non prevedibili che potrebbero compromettere il buon esito della gestione. Infatti dopo il 30
novembre l’amministrazione può disporre unicamente delle variazioni al piano esecutivo di
gestione, entro il 15 dicembre e, dei prelevamenti dal fondo di riserva, entro il 31 dicembre. Il
fondo di riserva ha la natura di accantonamento di risorse per dare elasticità alla gestione dell'ente
locale in relazione al carattere autorizzatorio dei bilanci di previsione. Le cause economiche che
giustificano la formazione del fondo di riserva vanno individuate nella possibilità che nel corso
della gestione "si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le dotazioni degli interventi di
spesa
corrente
si
rilevino
insufficienti"
(art.
166,
d.lgs.
n.267/2000).
Il DPR 421/79 prevedeva l'iscrizione in bilancio di tre fondi di riserva:1)
il fondo di
riserva ordinario, per integrare stanziamenti di spesa che nel corso della gestione si fossero resi
insufficienti. Esso veniva utilizzato attraverso prelevamenti in favore di altri capitoli iscritti in
91
determinato debito fuori bilancio>>,
ovvero che in alcuni casi il
riconoscimento era atto dovuto122. La figura del debito fuori bilancio è stata,
poi, introdotta nell’ordinamento giuridico dall’art. 24 L. aprile 1989 n. 144
, il quale dispone che << … i comuni e le Comunità montane provvedono,
123
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, all’accertamento dei debiti fuori bilancio
bilancio e la detta utilizzazione era consentita sino alla data di chiusura dell'esercizio; 2) il fondo di
riserva per spese impreviste, da utilizzare esclusivamente per l'istituzione di nuovi capitoli relativi
a spese aventi carattere di assoluta necessità e che non si sarebbero potuti prorogare senza evidente
detrimento di pubblici servizi o senza danno patrimoniale per l'ente. Anche per detto fondo era
consentita l'utilizzazione entro il termine temporale del 31 dicembre e il fondo stesso non poteva
essere imputato direttamente, ma solo stornato. 3) il fondo di riserva di cassa, anch'esso rientrante
nel termine temporale del 31 dicembre, per integrare l'eventuale insufficienza di stanziamenti di
spesa del bilancio di cassa. Con il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, il
fondo di riserva di cassa è stato abolito in seguito all'abolizione del bilancio di cassa.
Inoltre, in luogo del fondo ordinario e di quello per spese impreviste, viene previsto un unico
fondo di riserva, per il quale è mantenuto il limite di importo massimo nella medesima misura del
2% delle spese correnti ed è aggiunto, però, anche un limite di importo minimo nella misura dello
0.30% delle stesse spese. Il fondo può essere utilizzato soltanto al fine di prelevare le relative
disponibilità e di stornarle su altri stanziamenti di bilancio: questa caratteristica è implicita nella
natura del fondo, poiché si tratta di un accantonamento di risorse su cui non possono essere
imputati atti di spesa. Generalmente, il fondo di riserva viene utilizzato per: - integrazione degli
interventi iscritti nella parte corrente del bilancio, allorché si dimostrino insufficienti; finanziamento di esigenze straordinarie di spesa: maggiori o nuovi interventi da collocare in
bilancio, sia di parte corrente che in conto capitale. Il fondo è stanziato nella parte corrente del
bilancio, ed in particolare costituisce oggetto di un apposito intervento iscritto tra le "funzioni
generali di amministrazione, gestione e controllo" e, nell'ambito di queste, tra gli stanziamenti
degli "altri servizi generali". Si tratta del servizio con codifica "0108" che prevede anche
l'intervento per il "Fondo svalutazione crediti". Tale servizio si risolve in un centro solamente
contabile, di imputazione transitoria di voci di spesa che non sono associabili in bilancio ai singoli
servizi. A consuntivo il "fondo di riserva" non apparirà poiché verrà stornato a favore di altri
interventi, o costituirà un’economia di spesa, concorrendo alla formazione del risultato contabile di
amministrazione. Le variazioni al bilancio sono di competenza dell’organo consiliare e possono
essere deliberate, come detto, non oltre il 30 novembre di ciascun anno. Per effetto dell’articolo
42, comma 4, TUEL le variazioni di bilancio possono essere altresì adottate, nel rispetto di
determinate norme giuscontabili, anche dalla Giunta. Infatti, l’organo esecutivo può variare il
bilancio di previsione e i suoi allegati soltanto in via d’urgenza e salvo ratifica, a pena di
decadenza, da parte dell’organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31
dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. In caso di mancata o
parziale ratifica del provvedimento di variazione adottato dall’organo esecutivo, l’organo
consiliare è tenuto ad adottare, nei successivi trenta giorni e comunque sempre entro il 31
dicembre dell’esercizio in corso, i provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapporti
eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata. La competenza a deliberare la
variazione generale di assestamento è del consiglio e si ritiene che la stessa non possa essere
adottata come "qualunque variazione" dall'organo esecutivo in via d'urgenza. L'atto di
assestamento riguarda l'impostazione definitiva del bilancio di previsione annuale del quale attua
la verifica generale di tutte le voci di entrata e di uscita: si inserisce nel processo di controllo e di
verifica di stretta competenza consiliare che si è svolto nel corso dell'esercizio e che si conclude
con l'adozione dell'assestamento finale di bilancio. L'organo competente a utilizzare il fondo di
riserva è la Giunta che, ai sensi dell’art. 176 TUEL, può deliberare i prelevamenti dal fondo di
92
esistenti alla predetta data e, con deliberazioni dei rispettivi consigli,
provvedono al relativo riconoscimento>> e che << … con la deliberazione
suddetta il consiglio indica i mezzi di copertura della spesa ed impegna in
bilancio i fondi necessari>>.
Una prima riflessione è che il riconoscimento dei debiti fuori bilancio,
al momento della sua introduzione, costituiva un istituto temporaneo, cioè
riserva entro il 31 dicembre dell’anno in corso. Tuttavia, l'organo esecutivo deve portare a
conoscenza del Consiglio le variazioni avvenute, nei tempi stabiliti dal regolamento di contabilità.
Da un punto di vista operativo, l'eventuale sovrastima di entrate o sottostima di spese, cioè in
presenza di minori entrate o maggiori spese, la gestione corrente presumibilmente chiuderà con un
disavanzo di competenza, che inciderà negativamente sul risultato complessivo di
amministrazione. Dal punto di vista della gestione dei residui dovrà appurarsi che i residui attivi
conservati non riguardino crediti di dubbia esigibilità o di difficile esazione, si valutino
contemporaneamente le ragioni del loro mantenimento ed il loro grado di realizzazione,
stimandone i tempi. L'eventuale insussistenza di residui attivi, infatti, inciderà negativamente sulla
gestione dei residui con influenza sul risultato contabile di amministrazione. Riguardo alle regole
contabili da rispettare in fase di variazione del bilancio, alle province, ai comuni, alle città
metropolitane e alle unioni di comuni è fatto divieto di effettuare prelievi dagli stanziamenti per gli
interventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli quarto e quinto, al fine di aumentare gli
stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi tre titoli. Per le comunità montane,
invece, sono vietati i prelievi dagli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscritte
nei titoli terzo e quarto per aumentare gli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate
dei primi due titoli. Sono vietati, altresì, gli spostamenti di dotazioni dai capitoli iscritti nei servizi
per conto di terzi in favore di altre parti del bilancio e gli spostamenti di somme tra residui e
competenza.
121
C. Conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30.
122
Ibidem
123
Art. 24 Riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
93
limitato nel tempo, previsto per ricondurre tutte le spese effettuate dagli enti
locali territoriali nell’alveo del bilancio, sanando le spese aventi requisiti di
riconoscibilità, che costituivano dei <<residui passivi di fatto>>, causati dal
<<mancato rispetto in passato delle regole, giuridiche in genere e
giuscontabili in particolare, proprie della gestione degli enti locali>>124.
I comuni e le province, in applicazione delle disposizioni della citata
disposizione di cui all’art. 24, avrebbero dovuto provvedere al
riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ove gli stessi avessero avuto i
requisiti della riconoscibilità. Quindi, si era alla presenza di un vero e
proprio
dovere
giuridico
consistente
nell’obbligo
di
procedere
all’accertamento delle spese prive di copertura finanziaria, della loro presa
in considerazione, del riscontro dell’esistenza dei requisiti per la loro
riconoscibilità e nel conclusivo obbligo di riconoscerli (ovvero di imputarli
all’ente), indicando le relative fonti di finanziamento125.
Successivamente, il termine di scadenza per il riconoscimento dei
debiti fuori bilancio veniva più volta126, e con varie giustificazioni,
prorogato,
sino
alla
definitiva
introduzione
in
modo
stabile
nell’ordinamento degli enti locali dell’istituto del riconoscimento dei debiti
124
C. conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30
125
Tutto questo era il frutto della politica legislativa riconducibile al decreto legge 1 luglio
1986, n. 318, dettato per il <<ripanamento bilanci deficitari e mutui agli enti locali>>,
convertito in legge 9 agosto 1986 n. 4888, che introduceva l’art. 1-bis controllo della
gestione.
94
fuori bilancio con l’art. 37 del decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, la
cui lettera e) del primo comma, che originariamente prevedeva il
riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti <<da fatti e provvedimenti
ai quali non hanno concorso, in alcuna fase, interventi o decisioni di
amministratori, funzionari o dipendenti dell’ente>>, veniva sostituita,
consentendosi il riconoscimento di debiti fuori bilanci derivanti da
<<acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai
commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed
arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza>>.
In definitiva, mentre originariamente il Legislatore consentiva che
potessero essere riconosciuti dall’amministrazione locale i debiti fuori
bilancio per i quali non era ipotizzabile una responsabilità da parte di
funzionari e/o amministratori nell’ordinazione della spesa in violazione
delle norme giuscontabili che regolano l’impegno di spesa, quella
successiva, recependo gli indirizzi giurisprudenziali in materia di
responsabilità per danno patrimoniale, conferiva la facoltà agli enti locali di
riconoscere i debiti fuori bilancio derivanti da <<acquisizione di beni e
servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei
limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento…>>. Veniva,
così, modificata la disposizione di cui all’articolo 35 circa la non
imputabilità all’ente dell’obbligazione scaturente da impegno di spesa
126
Ai sensi dell’art. 2 D.L. 25 maggio 1996 n. 287, non convertito ma fatto salvo, quanto
agli effetti, dall’art. 1 comma 169 l. 23 dicembre 1996 n. 662, gli enti locali potevano
provvedere sino al 31 dicembre 1996 al riconoscimento e finanziamento, ai sensi dell’art.
37 D.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77, dei debiti fuori bilanci maturati anteriormente al 13
giugno 1990, la cui conoscenza, riferita sia al “quantum” che all’”an”, sia intervenuta
dopo il 15 luglio 1991 (T.A.R. Sardegna 30 maggio 97 n. 691).
95
assunto irritualmente per la parte del debito non riconoscibile, nei limiti
suindicati.
L’innovazione è stata di grande momento, in quanto ha permesso di
sanare permanentemente i debiti fuori bilancio, ponendo la parte non
riconoscibile del debito a carico di chi avesse reso possibile la formazione
dell’obbligazione, intercorrendo il rapporto obbligatorio tra il privato
creditore e il soggetto della P.A., che avesse agito in violazione delle
disposizioni normative concernenti l’effettuazione delle spese dell’ente
locale. Quindi, nell’ipotesi di cui alla lettera e) la violazione degli obblighi
ex art. 35 è un presupposto e non più un limite al riconoscimento del debito.
Del resto, nonostante le norme cogenti in materia di procedura di
spesa, la formazione dei debiti fuori bilancio ancora resta una realtà
patologica nella vita dell’ente locale, per cui è necessario adottare tutti gli
accorgimenti affinché non si verifichi.
Con la riformulazione della lettera e) del comma 1, dell’articolo 37 si
è recepita soprattutto l’elaborazione giurisprudenziale della Corte dei conti,
ma anche del giudice ordinario, sicché per gli enti locali territoriali è
divenuto essenziale il momento dell’accertamento del debito fuori bilancio;
infatti il riconoscimento presuppone la dimostrazione dell’effettiva utilità
che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui, che non è circoscritta
al’arricchimento, inteso soltanto come accrescimento patrimoniale, potendo
consistere anche in un risparmio di spesa127, tenendo comunque conto di
tutti i vantaggi che l’ente ha ricevuto dal comportamento irrituale.
127
Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 luglio 1996, n. 6332.
96
2.4)
LA
GESTIONE
FINANZIARIA
DEGLI
ENTI
AUTARCHICI
La ripartizione di base tra gli enti pubblici è tra autarchici ed
economici, che si riferiscono allo svolgimento di attività amministrativa o
imprenditoriale con applicazione di formazione diversa.
Gli enti autarchici a loro volta si distinguono in territoriali – quali
regioni, province, città metropolitane e comuni – e non territoriali, a
seconda che il territorio sia considerato o meno elemento costitutivo
dell’ente.
Questi ultimi si distinguono poi in enti istituzionali – quali l’INPS,
l’INPDAP, ecc. – e associativi – quali il CONI, gli ordini ed i collegi
professionali, ecc. –, a seconda che prevalga nella loro struttura l’elemento
patrimoniale o personale.
Va osservato che gli enti pubblici non territoriali si trovano tutti in
situazione di correlazione di vario grado e tipo con lo Stato o altro ente
territoriale in modo da realizzare il collegamento anche indiretto con le
varie comunità.
Sotto tale profilo si possono distinguere enti indipendenti, strumentali
ed ausiliari.
I primi sono centri di riferimento di interessi di gruppi che esistono
nella collettività e per il loro rilievo generale sono elevati al rango di enti
pubblici, quali gli ordini ed i collegi professionali128.
Gli enti strumentali sono quelli che esercitano funzioni e servizi
rientranti tra quelli propri di altri enti, in genere territoriali, quali l’INPS,
Università degli studi, Istituti statali di istruzione, gli enti subregionali, le
128
M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1979, pp. 186 e ss.
97
aziende municipalizzate, gli enti economici gestori di servizi, ecc.: si tratta
del fenomeno del decentramento autarchico129.
Gli enti ausiliari, invece, sono quelli che svolgono compiti di enti
pubblici territoriali, ancorché ne completino l’azione, affiancandosi ad essa
o integrandola: si tratta del fenomeno del policentrismo autarchico130, che
comprende le Università non statali, gli Istituti di credito di diritto pubblico
e alcuni enti economici.
Per porre ordine nel variegato panorama dell’entificazione pubblica a
livello nazionale, è intervenuta la legge 20 marzo 1975, n, 70, che ha tra
l’altro individuato vari tipi di ente pubblico131 relativamente ai quali ha
inteso fissare alcune disposizioni comuni, che sono espressamente escluse
per altri.
Al fine di uniformare l’ordinamento finanziario e contabile degli enti
pubblici nazionali, di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, il regolamento
contenuto nel D.P.R. 27 febbraio 2003 n. 97 pone principi e disposizioni di
129
A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, p. 186.
130
A.M. SANDULLI, op. cit., p. 186.
131
Enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza, enti di assistenza
generica, enti di promozione economica, enti preposti a servizi di pubblico interesse, enti
scientifici di ricerca e sperimentazione e enti culturali e di promozione artistica.
98
massima, che però possono essere integrati con regolamenti degli enti
stessi, in ragione dell’assetto dimensionale ed organizzativo132.
Viene affermata chiaramente la separazione tra direzione politica e di
controllo, da un lato, e attuazione della programmazione e gestione delle
risorse, dall’altro.
L’assetto
organizzativo
dell’ente
si
compone
di
centri
di
responsabilità, determinati con riferimento ad aree omogenee di attività,
anche di carattere strumentale, inerenti alle competenze istituzionali, cui è
preposto un dirigente o altro funzionario.
Il titolare del centro di responsabilità è responsabile della gestione e
dei risultati derivanti dall’impiego delle risorse umane, finanziarie e
strumentali assegnategli.
Il processo di pianificazione, programmazione e budget si articola nei
seguenti documenti: – la relazione programmatica, redatta ogni anno
dall’organo di vertice, descrive le linee strategiche dell’ente da
intraprendere o sviluppare in un arco temporale definito (normalmente
coincidente con la durata del mandato); – il bilancio pluriennale, con
caratteristiche analoghe a quello dello Stato; – il bilancio di previsione,
predisposto dal direttore generale, è deliberato dal precedente cui il bilancio
stesso si riferisce, salvo diverso termine previsto da norme di legge o di
statuto; quindi è approvato, salvo diverso termine previsto da norme di
legge o di statuto; quindi è approvato, salva diversa disposizione normativa,
dall’amministrazione vigilante, sentito il Ministero dell’economia e delle
finanze. Esso, nel rispetto dei principi previsti per il bilancio dello Stato, è
132
Il regolamento di contabilità, deliberato dall’organo di vertice, è trasmesso
all’amministrazione vigilante e al Ministero dell’economia e delle finanze –
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
99
composto dai seguenti documenti: a) il preventivo finanziario133,
b) il
quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria, c) il preventivo
economico134. Ad esso sono poi collegati: a) il bilancio pluriennale, b) la
relazione programmatica, c) la tabella dimostrativa del presunto risultato di
amministrazione, d) la relazione del collegio dei revisori dei conti; –la
tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione, – il budget
(finanziario ed economico) dei centri di responsabilità di 1° livello.
Deve essere utilizzata altresì la contabilità analitica, la quale – in uno
con la contabilità generale – costituisce il sistema informativo aziendale135.
Gli enti pubblici di piccole dimensioni hanno la facoltà di redigere il
bilancio di previsione ed il rendiconto generale in forma abbreviata (art.
48), quando nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi
133
Il preventivo finanziario, in particolare, si distingue in “decisionale” e “gestionale” ed è
formulato in termini di competenza e di cassa. Esso si articola, per le entrate e per le
uscite, in centri di responsabilità di 1° livello, stabiliti in modo che a ciascun centro
corrisponda un unico responsabile con incarico dirigenziale, o funzionario, cui è affidata
la relativa gestione.
134
Il preventivo economico, invece, è costituito dalla somma dei budget economici dei
centri di responsabilità di 1° livello, che a loro volta sono elaborati come sintesi dei
budget economici di tutti i centri di responsabilità ad essi subordinati.
135
Essa mira essenzialmente ad orientare le decisioni aziendali secondo criteri di
convenienza economica, assicurando che le risorse siano impiegate in maniera efficiente
ed efficace per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, anche attraverso l’analisi
degli scostamenti tra obiettivi fissati in sede di programmazione e risultati conseguiti.
100
consecutivi, non superano due dei seguenti parametri dimensionali, desunti
dagli ultimi rendiconti generali approvati, ossia a) totale dell’attivo dello
stato patrimoniale136, b) totale delle entrate accertate, con esclusione delle
partite di giro137, c) dipendenti in servizio al 31 dicembre di ciascun anno
considerato138.
Se per il secondo esercizio consecutivo vengono superati due dei
suddetti limiti, gli enti devono redigere il bilancio in forma ordinaria.
Il bilancio di previsione in forma abbreviata – redatto in guisa da
rendere praticabile il monitoraggio, la verifica ed il consolidamento dei
conti pubblici – si compone, in particolare, dei seguenti tre documenti: a)
preventivo finanziario gestionale; b) quadro generale riassuntivo della
gestione finanziaria; c) preventivo economico in forma abbreviata.
Quanto agli enti subregionali, la normativa concernente le gestioni
finanziarie è contenuta nella legislazione regionale e nei relativi statuti, non
trovando applicazione diretta quella surriferita. I bilanci di essi sono
approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e
136
Nella fattispecie 2,5 milioni di euro.
137
1 milione di euro.
138
25 unità.
101
dalle leggi regionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della
regione139.
CAPITOLO III
IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO STATO SUGLI
ENTI LOCALI
3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI
Il termine controllo è stato usato sia dal legislatore che in dottrina per
indicare attività eterogenee, così che a rigore non appare possibile
individuare una funzione di controllo come tale, con peculiari caratteri
distintivi140.
La stessa nozione di controllo sulla pubblica amministrazione, se
finora è stata intesa, in conformità al significato etimologico del termine
(dal francese contre rôle), come ricomprendente qualsiasi attività di
riscontro o vigilanza attuata alla stregua di un precedente parametro di
139
Cfr. D.Lgs. n. 76/2000, art. 12 “Bilanci degli enti dipendenti dalla regione e spese degli enti
locali”: 1. I bilanci degli enti e degli organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dalla
regione sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e dalle leggi
regionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione. 2. Nei bilanci degli enti e degli
organismi di cui al comma 1, le spese sono classificate e ripartite in conformità quanto disposto
nell'articolo 10. 3. La legge regionale detta norme per assicurare, in relazione alle funzioni
delegate dalle regioni agli enti locali, la possibilità del controllo regionale sulla destinazione dei
fondi a tale fine assegnati dalle regioni agli enti locali.
102
valutazione ed in vista di una possibile misura sanzionatoria, viene sempre
più spesso estesa fino ad includere le fattispecie concettualmente diverse
del controllo-direzione o indirizzo, in cui la verificazione funzionale
all’esercizio della potestà di direzione.
Sono
principalmente
le
esigenze
provocate
dalle
tecniche
contemporanee d’amministrazione (gestione per obiettivi, sistemi di
programmazione di bilancio, ecc.) mutuate dal management privato, a far
assumere al controllo questo nuovo contenuto, che si caratterizza come
attività rivolta a confrontare i risultati di una gestione con gli obiettivi
prefissati, il tutto in un processo continuo che permetta di tener conto di
questi risultati per raggiustare i programmi in funzione delle possibilità e
delle circostanze sopravvenute141.
Ma è stata anche l’inidoneità dei controlli tradizionali, sprofondati nel
formalismo e divenuti incompatibili per la loro lentezza con le esigenze di
un’amministrazione moderna, a spingere alla ricerca di nuovi sistemi di
controllo e a tentare, pur tra gli inevitabili insuccessi, il trapianto di tecniche
ideate per operare in contesti organizzativi ben diversi.
Fondamentale classificazione dei controlli sull’amministrazione
statale è quella che distingue i controlli interni, che l’amministrazione –
intesa sia come singolo ministero che come potere esecutivo nel suo
140
Sul concetto di controllo v. M.S. GIANNINI, Controllo: nozione e problemi, in Riv.
Trim. dir. pubbl., 1974, p. 1264 e ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Il controllo di legittimità,
Padova, 1984; F. GARRI, La tipologia dei controlli e il problema del loro coordinamento,
in Foro Amm., 1986, p. 1978.
141
Sul punto v. O. SEPE, L’efficienza dell’azione amministrativa, Milano, 1975, p. 181 e ss.
103
complesso – esercita su se stessa, dai controlli esterni, provenienti da
organismi ad essa estranei.
Tra i controlli interni, all’inizio ha avuto la maggiore diffusione il
controllo c.d. gerarchico: costituisce attributo tipico dei poteri di
supremazia gerarchica quello di controllare l’azione dei subordinati per
garantire il miglior funzionamento dei servizi. Spesso nell’esercizio di
questa funzione l’autorità gerarchicamente sovraordinata gode dell’ausilio
di appositi corpi ispettivi – quali si riscontrano, ad esempio,
nell’amministrazione della pubblica istruzione o delle finanze – incaricati di
compiere accertamenti in loco.
Un’altra forma di controllo interno da tempo radicatasi nella nostra
esperienza istituzionale è quello di bilancio; esso è stato introdotto in molti
ordinamenti simili al nostro nel periodo storico tra le due guerre mondiali,
con la finalità essenziale di porre un freno alla spesa pubblica, limitando
l’autonomia di spesa dei singoli ministri a favore di uno di loro preposto ad
una amministrazione finanziaria (del bilancio, delle finanze o del tesoro).
Questo controllo si esercita primariamente nella formazione del bilancio,
prima che sia sottoposto al parlamento.
Negli ultimi anni il nostro ordinamento ha conosciuto un’ulteriore - e
più ampia e generalizzata – forma di controllo interno, di tipo gestionale,
esercitato da ogni amministrazione al proprio interno; tale ultima forma di
controllo interno è stata, da ultimo, sistemata e regolamentata dal D. Lgs.
30 luglio 1999, n. 286. In seguito all’entrata in vigore di detta normativa,
tutte le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia,
devono dotarsi di <<strumenti adeguati a: a) garantire la legittimità,
regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità
amministrativa e contabile); b) verificare l'efficacia, efficienza ed
economicita' dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche
mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati
(controllo di gestione); c) valutare le prestazioni del personale con
104
qualifica
dirigenziale
(valutazione
della
dirigenza);
d)
valutare
l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani,
programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in
termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti
(valutazione e controllo strategico)>> (art. 1 del D.Lgs. in esame)142.
I controlli esterni si presentano in forme e con caratteri diversi a
seconda dei soggetti che li pongono in essere.
Rientra tra questi, in primo luogo, il controllo esercitato dal
parlamento, mediante l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi
dello Stato e gli altri strumenti, propri del sindacato parlamentare (inchieste,
interrogazioni, interpellanze, ecc.) rivolti a condizionare l’azione del
governo ed a rendere operante la sua responsabilità politica. Esterno è, poi,
naturalmente anche il controllo esercitato dagli organi giurisdizionali, sia
ordinari che amministrativi; esso si esercita attraverso la risoluzione di
controversie tra l’amministrazione e gli amministrati e può comportare
l’annullamento o la disapplicazione di atti amministrativi lesivi di diritti o
interessi legittimi degli stessi.
Infine, controllo esterno è (in moltissimi Stati) quello esercitato dalla
corte dei conti, che rappresenta, ovunque sia stata prevista, anche se con le
inevitabili diversità nelle modalità di funzionamento e nella collocazione
istituzionale e configurazione giuridica, il massimo organo di controllo
della pubblica amministrazione.
Nell’ambito dei controlli esterni fondamentale è la distinzione tra
controlli sugli atti e controlli sugli organi o le persone: nel primo caso
142
Vedasi, amplius, sull’argomento, AA. VV., Controlli, strategici, controlli direzionali e
controlli di valutazione. Prime riflessioni sul decreto legislativo n. 286 del 1999, Atti del
convegno tenutosi a Roma il 23 settembre 1999, a cura della corte dei conti-Seminario
permanente sui controlli, Roma, 2001.
105
oggetto del riesame sono i singoli atti compiuti dall’organo; nel secondo è il
comportamento delle persone fisiche preposte agli uffici o la condotta
dell’organo come tale che viene fatta oggetto del sindacato.
I controlli sugli atti mirano ad evitare la formazione o l’efficacia di atti
illegittimi o inopportuni; i controlli sugli organi mirano ad influenzare il
comportamento degli amministratori titolari degli organi, cui può accadere
di essere sospesi, rimossi o (per gli organi collegiali) sottoposti a
scioglimento da parte del soggetto controllante.
I controlli
sugli atti a loro volta, si possono distinguere in: –
preventivi; – successivi; – di legittimità; – di merito.
Preventivi sono i controlli che vengono esercitati prima che l’atto sia
formato o dopo la formazione dell’atto stesso, ma prima della sua
esecuzione. Successivi sono i controlli che intervengono dopo che l’atto ha
già dispiegato in tutto o in parte i suoi effetti e mirano ad impedirne,
eventualmente, l’ulteriore produzione143.
La distinzione tra controlli di legittimità e di merito attiene invece alla
diversità del parametro alla cui stregua è operato il riesame dell’atto da
parte dell’organo di controllo: nel primo caso tale parametro è costituito
dalle norme di legge o di regolamento; nel secondo da criteri di opportunità
o di buona amministrazione. All’assoluta oggettività del primo parametro fa
riscontro la parziale soggettività del secondo, che lo stesso controllore
contribuisce a formulare. In altri termini: – il controllo di legittimità mira ad
accertare la presenza nell’atto di vizi di legittimità, che si riassumono nella
formula della <<violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere>>;
– il controllo di merito comporta un’indagine più penetrante, in quanto
143
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., Padova, 2009, p. 266 e ss.
106
estesa ad accertare, oltre ai vizi suddetti, anche quelli desumibili dalla
semplice inopportunità o idoneità dell’atto.
La sospensione, la rimozione e lo scioglimento sono, come abbiamo
visto, le più importanti manifestazioni del controllo sugli organi, dobbiamo
ora accennare ai principali provvedimenti cui dà luogo l’esercizio del
controllo sugli atti144.
Innanzitutto, le autorizzazioni e le operazioni, che sono entrambe
espressione di un controllo preventivo al merito. Le differenze, peraltro, tra
i due atti, almeno in teoria (la pratica ci offre anche esempi di autorizzazioni
ex post, concesse in sanatoria, sono nette: mentre l’autorizzazione, infatti,
rimuove un limite posto da una norma giuridica all’esercizio di un potere,
con l’approvazione, invece, si attribuisce efficacia ad un atto già compiuto e
perfetto, ma inefficace. Il carattere preventivo dell’autorizzazione deriva dal
fatto che precede il realizzarsi dell’atto, in quanto rientra tra i presupposti
oggettivi del suo procedimento di formazione: l’approvazione, invece,
costituisce un controllo preventivo perché precede e condiziona
l’esecuzione dell’atto.
Altro atto di controllo è il visto: esso aveva natura non diversa
dall’approvazione nei casi in cui era attribuito alla competenza del prefetto
ed esteso al merito; è espressione, invece, di un controllo di sola legittimità
il visto della corte dei conti sugli atti del governo.
Da ricordare, infine, l’annullamento, che rappresenta lo strumento per
l’esercizio del controllo generale di legittimità sugli atti degli enti locali.
Una posizione a sé stante riveste il controllo sostitutivo, che consegue
alla inerzia, alla impossibilità di funzionare o al cattivo funzionamento
dell’organo controllato e comporta la sostituzione dell’organo di controllo o
144
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267 e ss.
107
di un suo delegato (commissario) nel compimento di uno o più atti di
competenza dell’organo controllato e nell’esercizio esclusivo di tutte le sue
attribuzioni. Quando la sostituzione è parziale e si concreta nell’esclusione
della legitimatio agendum dell’organo controllato, il controllo sostitutivo
viene fatto rientrare tra i controlli sugli atti; oggetto del controllo
consideratosi, anziché un atto positivo, l’omissione di un atto obbligatorio.
La sostituzione totale, che comporta la esclusione della legitimatio ad
officium dei titolari degli organi ordinari sostituiti da organi straordinari, più
che un nuovo controllo rappresenta l’effetto da organi straordinari, più che
un nuovo controllo rappresenta l’effetto dell’intervenuto esercizio del
controllo sulle persone.
Ritornando all’argomento oggetto di trattazione, possiamo dire che, la
Costituzione Repubblicana, prima della recente riforma costituzionale (l.
cost. n.3/2001145) disciplinava i controlli sugli atti degli enti locali minori
nell’art. 130 – ora abrogato dall’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 – che così recitava: <<Un organo della regione, costituito nei
modi stabiliti dalla legge della Repubblica, esercita, anche in forma
decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei comuni e
degli altri enti locali.
In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di
merito nella forma richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la
loro deliberazione>>.
Tra le più importanti caratteristiche di tale sistema costituzionale vi
era l’attribuzione del controllo ad <<un organo della regione>>146.
145
Supra, Cap. II, par. 1.
146
108
Al riguardo, va evidenziato che la dottrina tradizionale aveva sempre
concepito il controllo sugli enti pubblici in genere ed enti locali in
particolare come tipica funzione statale. Questa opinione dottrinale
conseguiva logicamente alla concezione che si aveva della natura dello
Stato e degli enti pubblici: lo Stato, personificazione dell’ordinamento
giuridico e solo soggetto abilitato a qualificare tutto ciò che esiste nel suo
ambito; gli enti pubblici, individuabili come tali proprio in forza della
particolare relazione in cui si trovano con lo Stato.
Ente pubblico, in particolare – secondo la dottrina dominante quando è
entrata in vigore la Costituzione – è l’ente che persegue fini che sono propri
anche dello Stato, così che nel suo agire cura contemporaneamente il
proprio interesse e l’interesse statuale147. Ne consegue che lo Stato non può
restare indifferente sia all’an che al quomodo dell’azione degli enti pubblici
e risulta chiara, allora, la titolarità, da parte dello Stato, di più o meno ampi
poteri di controllo, rivolti a garantirlo dell’esercizio, legittimo ed
opportuno, dei suoi compiti da parte dell’ente pubblico. attraverso il
controllo lo Stato recepisce nel suo ordinamento gli atti degli enti locali,
Sul sistema costituzionale dei controlli sugli enti locali: T. MIELE, Il sistema dei
controlli da parte degli organi regionali sui comuni e sulle province, in Nuova rassegna,
1965, p. 3049; F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e
l’ordinamento regionale, in Riv. amm., 1956, p. 242; D. SERRANI, Il controllo delle
regioni sugli enti locali, in Foro amm., 1971, III, 44; M. SCUDIERO, I controlli sulle
regioni, sulle province e sui comuni nell’ordinamento costituzionale italiano, Napoli,
1964; U. DE SIERVO, Tensioni e tendenze sui controlli sugli enti locali, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1972, p. 1053; G. SPERANZA, Ricognizione dei controlli sugli elementi locali
nelle regioni a statuto ordinario, in Foro amm., 1973, II, p. 38; A.M. SANDULLI, I
controlli sugli enti territoriali nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, p. 575,
L.A. MAZZAROLLI, I controlli sugli atti degli enti locali, in Dir. e soc., 1979, n.1.
147
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 268.
109
cioè, attribuisce loro l’idoneità ad esplicare i propri effetti come atti
dell’amministrazione statale148.
Secondo questa dottrina, l’assegnazione alla regione del controllo
sugli enti locali operata dall’art. 130 Cost., rappresentava <<una deviazione
dai principi>>, una stortura logico-giuridica, tale da obbligare l’interprete a
considerare questa funzione, nonostante la dizione costituzionale, come
funzione statale esercitata dalla regione149. La funzione di controllo sugli
enti locali, in quanto tipica funzione statale, non poteva – secondo questa
opinione dottrinale – essere esercitata dalla regione se non per conto e
nell’interesse dello Stato, ad evitare l’errore dell’interprete di considerare
gli enti locali minori come enti dipendenti dalla regione.
Peraltro, la tesi ora esposta, anche se autorevole non è condivisa da
altra parte della dottrina150. In effetti, il costituente operò una scelta, per
quanto rivoluzionaria potesse apparire, a ragion veduta: dalla relazione,
infatti, all’assemblea costituente della commissione per la riforma
dell’amministrazione
(di cui era autorevole membro lo Zanobini) è
148
Su questo punto si veda l’analisi di G. BERTI, La responsabilità pubblica (Costituzione e
Amministrazione), Padova, 1997, p. 5 e ss.
149
Così T. MIELE, op. cit., p. 3501 e ss.; v. anche A. ZENOBINI, La norma della
Costituzione intorno ai controlli sugli enti locali, In scritti vari di diritto pubblico,Milano,
1955, p. 397.
150
Contra F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 269 e ss.
110
possibile notare come la tesi della statualità del controllo, accanto a quella
della sua necessità, sia stata chiaramente prospettata al costituente, ma non
incontrò il favore dell’apposita Sottocommissione dell’assemblea, presso la
quale l’unica alternativa avanzata al controllo della regione fu quella
dell’autocontrollo degli enti locali. È quindi necessario pensare che la scelta
a suo tempo operata con l’art. 130 Cost. si giustificasse col nuovo disegno
costituzionale circa la posizione e i rapporti reciproci dello Stato e degli alti
enti pubblici, disegno che aveva il suo punto di forza nella solenne
proclamazione delle autonomie locali, contenuta nell’art. 5.
Ad un sistema politico caratterizzato da uno Stato accentratore al
quale si affiancavano enti ausiliari, strumento per un’amministrazione
statale indiretta, la Costituzione Repubblicana ha sostituito cioè un
ordinamento pluralistico, in cui nell’ambito della <<Repubblica, una e
indivisibile >>, trovano posto, accanto allo stato, gli enti comunitari locali,
la cui autonomia, preesistente nella realtà sociale, viene riconosciuta e non
creata dallo Stato.
Ma qual’era, allora, il significato concreto dell’attribuzione del
controllo ad un “organo della regione”?
Innanzitutto, tale organo doveva avere sede presso l’amministrazione
regionale ed avvalersi, per i servizi ausiliari ed esecutivi e per l’attività
istruttoria,
di
un
apparato
burocratico
fornito
dalla
regione;
secondariamente la costituzione formale dell’organo andava riservata ad un
atto della regione; infine doveva anche escludersi che l’organo di controllo
potesse essere composto in prevalenza da elementi designati dallo Statopersona.
La regionalità dell’organo, in altri termini, era da riferire soltanto ad
aspetti organizzativi e strutturali, mentre sotto il profilo funzionale l’organo
doveva godere di piena indipendenza dalla regione ed a tal fine si
111
suggeriva, ad es., di estrarne i componenti da categorie espressione dello
Stato-comunità, cioè tra i magistrati151.
L’altra innovazione più saliente, dopo quella relativa alla titolarità
della funzione, risultante dall’art. 130 Cost., concerneva il modo in cui
veniva formulato il controllo di merito. Analogamente a quanto prescriveva
L’art. 125 per il controllo sulle regioni (norma anch’essa abrogata
dall’art. 9 L. Cost. 2/2001, cit.), la norma in esame prevedeva la possibilità
che anche sugli enti locali minori venisse esercitato un controllo di merito e,
anziché lasciare alla piena discrezionalità del legislatore ordinario di
disciplinare i modi di esercizio, stabiliva direttamente che esso dovesse aver
luogo nella <<forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di
riesaminare la loro deliberazione>>.
Il controllo di merito, quale era esercitato dallo Stato nel sistema dei
controlli precostituzionali, era infatti lesivo della autonomia degli enti
locali, comportando nella sostanza uno spostamento dell’ordine formale
delle competenze; per questo in seno all’assemblea costituente si era
manifestata una forte opposizione alla permanenza di questo controllo di
merito, che poté, invece, essere superata attraverso l’adozione della formula
della richiesta di riesame. Tale istituto consisteva in un invito alla
rimeditazione della deliberazione adottata che l’organo di controllo
rivolgeva all’ente controllato, accompagnando la sua richiesta con
l’esposizione dei motivi e delle considerazioni alla luce dei quali non si
giustificava la scelta operata dall’ente. Nella sostanza si trattava di una
forma di collaborazione svolta allo scopo di rendere possibile all’ente locale
di assolvere meglio ai suoi compiti; tutto ciò nel pieno rispetto
151
A.M. SANDULLI, I controlli, op. cit., p. 583.
112
dell’autonomia dell’ente che restava libero di insistere nel proprio
convincimento e di portare ad esecuzione il proprio deliberato.
La stessa dottrina152 è dell’avviso che, così configurato, il controllo di
merito avesse una sua giustificazione nei confronti degli enti locali di
piccola dimensione (quanto a popolazione e a rilevanza degli interessi
curati); nei confronti degli enti locali di piccola dimensione153; nei confronti
degli enti più importanti, forniti di rappresentanze politico-amministrative
più selezionate e dotati di apparati burocratici più efficienti, era invece assai
difficile che l’organo di controllo potesse prospettare considerazioni e
argomentazioni sfuggite all’esame dell’organo deliberante. Ad ogni buon
conto la norma costituzionale rimetteva alla discrezionalità del legislatore
non soltanto individuare gli atti da sottoporre al controllo di merito, ma
anche decidere se applicare o meno questo ulteriore controllo, oltre quello
di legittimità.
3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI
In attuazione dell’art. 130 della Costituzione fu emanata la legge
Scelba154, n. 62 del 1953, la quale ha dettato, al capo III, una serie di
disposizioni rivolte a disciplinare l’esercizio dei controlli sugli atti delle
province, dei comuni e dei consorzi.
152
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 271 e ss.
153
Relativamente alla popolazione e alla rilevanza degli interessi curati.
113
L’art. 55 di detta legge prevedeva l’istituzione nel capoluogo di ogni
regione di un comitato per il controllo sulla provincia, composto: 1) da tre
esperti nelle discipline amministrative, eletti dal consiglio regionale; 2) da
un membro nominato dal commissario del governo; 3) da un giudice del
tribunale regionale amministrativo, designato dal presidente dello stesso
tribunale.
Il comitato era formalmente costituito con atto del presidente della
giunta regionale e durava in carica quanto il consiglio regionale (cioè 5
anni, salvo il caso di anticipato scioglimento del consiglio stesso ai sensi
dell’art. 126 della Costituzione).
Secondo l’articolo 56 della Legge n. 62 del 1953 spettava allo statuto
regionale stabilire se il controllo sugli atti dei comuni dovesse essere
esercitato dallo stesso comitato incaricato del controllo sulle province
ovvero svolgersi in forma decentrata nei capoluoghi di provincia. Questa
seconda soluzione comportava la costituzione di speciali sezioni del
comitato.
Lo statuto regionale poteva anche prevedere che talune sezioni
esplicassero le loro funzioni nei capoluoghi (od in alcuni di essi) dei
circondari.
Circa l’oggetto del controllo in questione, l’art. 59 della legge n. 62
del 1953 stabiliva che il controllo di legittimità dovesse essere esercitato nei
confronti degli stessi atti già sottoposti, nel regime precostituzionale, al
154
Mario Scelba (Caltagirone, 5 settembre 1901 – Roma, 29 ottobre 1991) è stato un politico
italiano, presidente del Consiglio dei ministri italiano dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955.
Membro della prima ora del Partito Popolare. Con le elezioni del 1948 diventò deputato al
Parlamento Italiano. Fu ministro dell'interno dal 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953 (dall'11 luglio al
18 settembre 1952 si fece sostituire da Giuseppe Spataro perché colpito da malattia), dal 10
febbraio 1954 al 2 luglio 1955 e dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1961; fu Presidente del
Consiglio dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955.
114
controllo prefettizio. Ed aggiungeva, disciplinando il procedimento di
controllo, che <<l’annullamento delle deliberazioni illegittime deve essere
pronunciato entro venti giorni dal ricevimento dei processi verbali, con
ordinanza motivata in cui venga enunciato il vizio di legittimità riscontrato
nella deliberazione>>. <<Il termine suddetto>> – proseguiva la norma –
<<rimane sospeso se, prima della scadenza, l’organo di controllo chieda
chiarimenti o elementi integrativi di giudizio alla provincia od al comune.
In tal caso, la deliberazione diviene esecutiva se l’organo di controllo non
ne pronuncia l’annullamento entro 20 giorni dal ricevimento delle
controdeduzioni della provincia e del comune>>.
Disciplinava invece il controllo di merito sugli enti locali l’art. 60
della Legge n. 62 del 1953.
La legge di riforma del 1990 disciplinava i controlli sugli atti nel capo
XII, artt. 41-50, norme successivamente modificate dalla legge 15 maggio
1997, n. 127, che ha totalmente abrogato gli artt. 45, 46 e 48, concernenti,
rispettivamente, l’oggetto, il procedimento di controllo e il potere
sostitutivo.
Il legislatore del ’90 preferì muoversi su un piano di razionalizzazione
più che di natura rispetto al precedente sistema; in genere la nuova
disciplina sembrò soprattutto preoccuparsi di correggere gli aspetti più
marcatamente criticati ed ormai insostenibili del vecchio regime, con
interventi di razionalizzazione ma in una linea di sostanziale continuità
dell’indirizzo precedente.
In particolare, per quel che riguarda l’oggetto del controllo, l’abrogato
art. 45 della l. 142, sotto il titolo <<deliberazioni soggette al controllo
preventivo di legittimità>>, individuava l’oggetto del controllo in misura
assai più ridotta che nel passato ed in forme diversificate, che
comprendevano sia un controllo necessario che uno eventuale, da esercitarsi
a seguito di iniziativa esterna all’organo di controllo.
115
Il controllo necessario riguardava tutte le deliberazioni del consiglio,
che nel nuovo ordinamento è <<l’organo di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo dell’ente locale>> ed ha competenze, come si è
visto, per gli atti normativi, di indirizzo e programmatici nonché per alcuni
atti di natura più direttamente gestionale ritenuti particolarmente importanti.
L’istituto del controllo eventuale, la cui introduzione era stata
largamente auspicata nel dibattito politico-dottrinale precedente alla riforma
per ragioni soprattutto di snellezza operativa, rappresentava una novità
assoluta nell’ordinamento comunale e provinciale ed aveva caratteri
peculiari che lo differenziavano anche da precedenti modelli in vigore per
altri enti. Esso non era successivo ma preventivo, e, soprattutto, la sua
attivazione non era rimessa all’iniziativa del controllore (né di altri soggetti
estranei all’amministrazione locale), ma dagli stessi amministratori secondo
una articolata modulazione di interventi155.
Era, innanzitutto, previsto che, a richiesta di un terzo o un quinto dei
consiglieri, fatta entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, in forma
scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate, dovessero essere
sottoposte al controllo le deliberazioni della giunta rientranti nelle seguenti
materie: a) acquisti, alienazioni, appalti ed in generale tutti i contratti; b)
contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a
dipendenti o a terzi; c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico
del personale (art. 45, comma 2).
In secondo luogo, sempre su richiesta scritta e motivata dello stesso
numero di consiglieri, qualsiasi deliberazione della giunta, a prescindere dal
suo oggetto, doveva essere sottoposta al controllo qualora se ne contestasse
155
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 274.
116
la legittimità sotto il profilo dell’incompetenza o del contrasto con atti
fondamentali del consiglio )art. 45, comma 4).
Infine su iniziativa dell’organo consiglio, e non più soltanto di un
certo numero di suoi componenti, poteva essere sottoposta al controllo
qualsiasi deliberazione della giunta, senza preclusioni né con riguardo
all’oggetto né ai vizi di legittimità rilevabili (art. 45, comma 1).
Come accennato, la legge n. 127 del 1997 ha innovato notevolmente la
materia. In particolare, disponeva l’art. 17, comma 33 della succitata
norma: <<il controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti locali si
esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di
competenza
del
consiglio,
esclusi
quelli
attinenti
all’autonomia
organizzativa e contabile, sui bilanci annuali e pluriennali e relative
variazioni, sul rendiconto della gestione>>.
Accanto a questo controllo, che doveva essere necessariamente
esercitato perché condizionava gli atti ad esso soggetti, la normativa in
esame, nel comma successivo, prevedeva anche un controllo eventuale sulle
deliberazioni della giunta subordinando alla sua iniziativa ed anch’esso
preventivo.
Infine era prevista un’altra forma di controllo eventuale, con
caratteristiche diverse per l’oggetto e, soprattutto per il soggetto ed il
procedimento di controllo156.
La suddetta normativa sul controllo preventivo aveva carattere
generale e non escludeva che per fattispecie particolari potessero coesistere
discipline specifiche: così la nomina di un commissario ad acta a cura del
prefetto era (ed è tuttora) prevista da diverse leggi di settore oltre che da
altri articoli della l. 142/90 (cfr. artt. 36, comma 4 e 38, comma 7). Controlli
156
Cfr. F. STDERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 442 e ss.
117
sostitutivi sono stati anche introdotti per casi particolari da leggi regionali di
conferimento di funzioni ex D.lgs. n. 112/1998.
Il controllo di merito, quale previsto dalla Costituzione e disciplinato
dalla l. n. 62 del 1953, rappresentava una forma di collaborazione, offerta
nei modi più rispettosi dell’altrui potere decisionale, al solo scopo di
rendere possibile all’ente locale di assolvere meglio ai suoi compiti.
La normativa innanzi descritta è stata trasfusa nel T.U. n. 267/2000
con pochissime modifiche; le relative norme sono contenute nel capo I
(articoli da 124 a 140) del titolo VI del T.U., dedicato appunto ai controlli.
Le norme suddette hanno sostanzialmente confermato la previgente
struttura del controllo preventivo di legittimità su atti, limitandosi più che
altro a dare sistemazione organica ad una normativa frammentaria e frutto
di una stratificazione decennale157.
In sintesi, il sistema dei controlli sugli atti delineato dal Testo Unico
comprende, in primo luogo, il controllo necessario di cui all’art. 126 del
T.U., che così recita al primo comma: <<Il controllo preventivo di
legittimità di cui all’art. 130 della Costituzione sugli atti degli enti locali si
esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di
competenza
del
consiglio,
esclusi
quelli
attinenti
all’autonomia
organizzativa e contabile dello stesso consiglio, sui bilanci annuali e
pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal consiglio, sul
rendiconto della gestione, secondo le disposizioni del presente Testo
Unico>>.
Si noti che, tra gli atti da sottoporre a controllo preventivo di
legittimità, vi sono i regolamenti di competenza del consiglio, con
esclusione di quelli riguardanti l’autonomia organizzativa e contabile del
157
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 277 e ss.
118
consiglio medesimo. Analogamente, è precisato che vanno sottoposte a
controllo le delibere di variazione di bilancio, predisposte dalla giunta, solo
però se ratificate dal consiglio.
L’art. 127 del T.U. prevede le due tipologie di controllo eventuale,
quello su iniziativa della giunta (comma 3) o dei consiglieri (commi 1 e 2).
In tale ultimo caso, precisa la norma che il controllo è esercitato dal
difensore civico comunale o provinciale solo se istituito, altrimenti opera il
119
Co.Re.Co.158 (insomma, non si dà più per scontata, a differenza di quanto
riteneva l’art. 17, comma 39 dalla l. 127/97, l’istituzione del difensore
civico da parte dei comuni o delle province).
L’art. 135, comma 2 del T.U. regolamenta infine – l’ipotesi di richiesta
di controllo preventivo su atti da parte del prefetto, nei casi di rischi di
infiltrazioni di tipo mafioso. In sostanza, il prefetto può chiedere che siano
sottoposte al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni degli enti
158
CORECO, sigla che sta per Comitato regionale di controllo, erano, uno per ogni regione
italiana, gli enti di controllo dell'amministrazione e della contabilità delle regioni; sono stati
aboliti nel 2001 per effetto della L. cost. 18-10-2001, n. 3. Il CORECO, che era un organo
istituzionale e non politico, si occupava di accertare anche l'efficienza e la qualità dell'attività
dell'ente territoriale. Il Coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo coordinava, a
livello nazionale, l'azione dei Comitati regionali. Sebbene non avesse carattere costituzionale,
come i CORECO, ma fosse solo un'associazione senza personalità giuridica, di fatto assicurava un
orientamento uniforme dei CO.RE.CO. Attraverso corsi di aggiornamento, elaborati tecnicogiurici e conferenze tenute in ogni parte d'Italia, il Coordinamento Nazionale dei Coreco forniva ai
singoli Comitati regionali un concreto supporto utile e prezioso per lo svolgimento delle loro
funzioni istituzionali. Presidente del Coordinamento Nazionale dei Coreco era il prof.avv. Franco
BALLI di Bologna, componenti il direttivo nazionale erano l'avv. Giorgio Bortone, l'avv.Alfredo
Lonoce, l'avv. Lorenzoni, l'avv.Modesti ed il dott.Punzi. L'associazione del Coordinamento
Nazionale dei Coreco non è stata mai sciolta, ma ha sospeso ogni attività alla fine del 2002 dopo
che, a seguito della entrata in vigore della revisione della Costituzione, che aveva abrogato
l'art.130 (norma da cui derivava la valenza costituzionale degli organi di controllo) molte regioni
hanno sciolto i vari comitati di controllo. Il 16 gennaio del 2002 il Senato della Repubblica,
nell'ambito dei lavori di revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, in sede di
audizione, ascoltò i componenti del Coordinamento Nazionale dei Comitati di Controllo. È
visionabile in appresso il resoconto stenografico dell'audizione. Nonostante il segnale l'allarme
lanciato in quella sede dai membri che rappresentavano il Direttivo del Coordinamento Nazionale
di Controllo, i quali ribadirono la necessità dei controlli sulla legittimità degli atti degli Enti
Locali, il legislatore regionale eliminò totalmente ogni forma di controllo affidato ad un organo
terzo ed imparziale, conferendo, in nome del principio dell'autonomia, ogni potere di controllo
residuale all'interno degli stessi uffici regionali, provinciali e comunali, con la conseguenza di far
coincidere la figura del controllato con quella del controllore. In Europa, invece, in stati federali,
quali l'Austria, la Germania e la Spagna, i controlli esterni da parte di organi terzi ed imparziali
continuano ad esistere, garantendo il corretto impiego delle risorse economiche e che gli atti della
pubblica amministrazione rispondano sempre ai requisiti dell'economia, dell'efficienza e
dell'economicità. L'art. 41 terzo comma della Costituzione italiana prevede che "La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Con l'abrogazione dei Co.re.co. è sostanzialmente
rimasta priva di controllo l’attività economica delle amministrazioni locali, ormai in continua
espansione.
120
locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generali a tutti i
contratti; le predette deliberazioni sono comunicate al prefetto e
contestualmente all’affissione all’albo.
Il problema della permanenza e dell’estensione dei controlli esterni di
legittimità è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale, iniziato già
alcuni decenni orsono.
La commissione parlamentare per le riforme costituzionali, di cui alla
legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, incaricata di mettere a punto il
nuovo testo della parte seconda della Costituzione, esprimeva una chiara
opzione per l’abolizione di ogni forma di controllo preventivo di legittimità
e di merito sugli atti e per il mantenimento di un limitato controllo
successivo sulla gestione; più in particolare essa prevedeva, all’ultimo
comma del riformulato art. 56 Cost., che <<gli atti dei comuni, delle
province e delle regioni non sono sottoposti a controlli preventivi di
legittimità o di merito>> e puntualizzava, al secondo comma dell’art. 83,
che <<la corte dei conti è organo di controllo dell’efficienza e
dell’economicità dell’azione amministrativa. Partecipa, nei casi e nelle
forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti
a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle
camere e alle Assemblee regionali sul risultato del controllo eseguito
nonché sulla gestione finanziaria del bilancio dello Stato e delle
regioni>>159.
La tematica dei controlli esterni è stata poi ripresa in esame in
occasione della riforma introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre
159
Come noto, i lavori della cennata commissione parlamentare non hanno avuto seguito.
121
2001, n. 3. Tale ultima normativa ha sancito, al comma e dell’art. 9,
l’abrogazione degli articoli 125, primo comma, e 130 della Costituzione,
cioè delle norme che prevedevano, rispettivamente, l’esercizio da parte di
organi dello Stato e delle regioni del controllo di legittimità sugli atti delle
amministrazioni regionali e degli enti locali.
Fra l’abolizione espressa dei controlli di legittimità e di merito sugli
atti e l’abrogazione delle norme che tali controlli prevedevano sul sistema
delle autonomie territoriali, il legislatore costituzionale si è quindi orientato
per quest’ultima soluzione.
Si è molto discusso su quali fossero le conseguenze pratiche della
modifica costituzionale in esame.
Così, per alcuni le leggi ordinarie che hanno disciplinato i controlli
sugli atti delle regioni e degli enti locali nonché istituito organi chiamati in
concreto ad esercitare le relative funzioni si atteggerebbero come norme di
attuazione del dettato costituzionale, per cui, una volta travolto
quest’ultimo, cadrebbero, sia pure in via di interpretazione, con effetti
preclusivi della reiterazione dei controlli stessi.
Da parte di altri si è invece argomentato come il nuovo assetto
costituzionale non possa comportare alcuna implicita abrogazione delle
norme in materia, che resteranno allora in vigore, in attesa o che intervenga
una esplicita pronuncia da parte del giudice delle leggi, a seguito di giudizio
incidentale di legittimità costituzionale, ovvero dello stesso legislatore. In
particolare, si è fatto notare che l’abrogazione per incompatibilità di una
norma può avvenire, nel nostro ordinamento, solo per l’insanabile ed
esplicito contrasto con altra norma e non già per il suo contrasto con
122
principi costituzionali, non essendo ammesso il sindacato diffuso da parte
dell’interprete160.
Sul piano concreto, è accaduto che, dopo l’entrata in vigore delle
nuove norme costituzionali, alcune regioni (ad es. la Campania ed il
Veneto) hanno immediatamente approvato delibere di presa d’atto della
cessazione dell’attività del Co.Re.Co., mentre in altre si continuava a
sottoporre gli atti degli organi secondo la disciplina del T.U. 267/2001.
Per porre fine a tale situazione di vero e proprio caos normativo, il 7
novembre 2001 è stata raggiunta un’intesa di massima tra governo, regioni
ed autonomia locali, in base alla quale si è preso atto che i controlli già
previsti dagli abrogati articoli 125 primo comma e 130 della Costituzione
sono cessati a decorrere dall’entrata in vigore della Legge costituzionale n.
3/2001 e che pertanto, dal 19 novembre 2001, le amministrazioni regionali
e locali non sarebbero più tenute a trasmettere i loro atti amministrativi agli
organi statali e regionali di controllo. Dei contenuti di una tale intesa,
illustrata dal ministro per gli affari generali, il consiglio dei ministri ha
successivamente preso atto nella seduta del 21 novembre 2001161.
Gli orientamenti espressi in sede politica hanno trovato immediato
riscontro nella pratica e sono stati recepiti in alcune leggi regionali
160
In tal senso G. VIRGA, i nuovi principi costituzionali non possono abrogare per
implicito le disposizioni di legge previgenti, in www.giust.it, n.10/2001; T. MIELE, La
riforma costituzionale del titolo V della seconda parte della Costituzione: gli effetti
sull’ordinamento, in www.giust.it, n. 11/2001 e, infine, G. DE MARTIN, Primi elementi
di lettura della riforma del titolo V della Costituzione, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it/riforma/commenti/costituzioneV_10.ht e E.
BALBONI, Le garanzie esterne per la sana gestione finanziaria, in Autonomie locali,
garanzie di legalità e sana gestione (a cura di DE MARTIN), Roma, 2005, p. 67.
123
intervenute in materia162 e, sia pure incidentalmente, anche in alcune
sentenze della Corte costituzionale.163
Problema diverso e più delicato è quello concernente gli effetti
dell’abrogazione dell’art. 130 Cost. nei confronti dei controlli sugli atti
degli enti locali delle regioni a statuto speciale. Al riguardo occorre tener
presente, da un lato, che queste regioni godono di competenza legislativa
esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e, dall’altro, che la
norma transitoria di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 prevede
l’applicazione, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, anche alle regioni
a statuto speciale (e province di Trento e Bolzano) delle nuove disposizioni
che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle cedenti.
161
La vicenda ha interessato anche i mass-media, specie la stampa specializzata. Vedansi,
tra i tanti, Stop immediato ai controlli sugli atti di comuni e province, in Il sole-24 ore del
10/11/2001; Al capolinea i controlli sui comuni, in Italia oggi del 10/11/2001; Enti nel
caos dopo la fine dei controlli, in Italia oggi del 16/11/2001; Corte dei conti e Co.Re.Co.
non controllano più ma manca l’alternativa, in Il Piccolo del 28/11/2001.
162
Si vedano, tra le prime, la Legge reg. Toscana 2 gennaio 2002, n. 2, e Lombardia 9
maggio 2002, n. 8.
163
Si vedano le sentenze n. 106 del 2002 e n. 43 del 2004. Per la dottrina, tra gli altri: E.
GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi e la scomparsa
della figura del Commissario del governo, op. cit., p. 229; F. PINTO, Diritto degli enti
locali, op. cit., p. 375; S. RODRIGUEZ, I controlli sugli atti degli enti locali nel mutato
assetto costituzionale, in Giur. It., 2004, p. 1296; C. PINELLI, Quali controlli per gli enti
locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2005, n. 1-2, p. 165.
124
Allo stato va rilevato che la Corte costituzionale in due sentenze, la n.
202 del 2005, relativa alla Regione Sardegna, e la n. 203 sempre del 2005,
relativa alla Regione Friuli-Venezia Giulia, ha dichiarato inammissibili
questioni di costituzionalità sul punto proposte senza operare alcun
riferimento ai parametri statutari sulla esclusiva competenza legislativa
nella materia.
3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI
Nell’ordinamento precostituzionale erano previsti per antica tradizione
legislativa controlli repressivi sui principali organi comunali e provinciali,
rivolti a privarli, in presenza di motivi di ordine pubblico o per persistenti
violazioni di legge, della loro legitimatio ad ufficium con la nomina di un
commissario.
L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, con l’ampio
riconoscimento delle autonomie locali, ha fatto sorgere dubbi sulla
legittimità costituzionale di tale disciplina, che il legislatore ordinario non si
era curato di abrogare e neppure in qualche misura di modificare in
occasione della riforma dei controlli sugli atti attuata con la legge Scelba n.
62 del 1953. Le perplessità sollevate riguardavano sia la compatibilità di
tali controlli con l’autonomia comunale e provinciale sia, in via
subordinata, la titolarità statale o regionale dei controlli medesimi164.
164
Cfr. F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e l’ordinamento
regionale, op. cit., p. 243.
125
La Costituzione del 1948 si limitò a prevedere, attribuendolo ad un
organo della regione, il controllo sugli atti degli enti locali, senza disporre
nulla riguardo agli organi. Parimenti, la Legge n. 62 del 1953 non dettò una
nuova disciplina sui controlli sulle persone, lasciando inalterata la
normativa di cui al T.U. del 1915.
Nella legge di riforma n. 142 del 1990, la materia del controllo sugli
organi era disciplinata da due articoli, 39 e 40, di un apposito capo, l’XI;
peraltro riguardavano la materia anche altre norme collocate in altri capi e
principalmente gli articoli 38 (che prevedeva un potere ispettivo e un potere
di sostituzione del prefetto al sindaco nell’adempimento dei compiti quale
ufficiale di governo); 49 (che estendeva ad altri enti locali i controlli, anche
sugli organi, previsti per i comuni e province) e 64, in tema di abrogazione
di norme, che faceva sopravvivere l’art. 19 del T.U. comunale e provinciale
del 1934.
La disciplina in esame – la quale riproduceva quella precedente
contenuta nel T.U. comunale e provinciale del 1915 (modificato con R.D. n.
2839 del 1923)165 – non è stata sostanzialmente modificata dalle riforme
degli anni successivi, venendo trasferita pressoché identica nel Testo Unico
del 2000.
Le prime ipotesi di scioglimento previste dall’art. 141, comma primo,
lettera a) del Testo Unico, hanno come causa: <<atti contrari alla
Costituzione>>, <<gravi e persistenti violazioni di legge>> e <<gravi
motivi di ordine pubblico>>. Ciò che accomuna queste ipotesi, elencate
insieme nel testo normativo, è l’esercizio di un’attività contraria alle regole
165
Una circostanziata illustrazione di questa normativa era contenuta nella circolare del
ministro dell’interno n. 17102/127/I del 7 giugno 1990. I dottrina, si veda l’accurata
trattazione di C. GELATI, I controlli sugli organi degli enti locali, in Nuova Rassegna,
1998, 1.
126
poste dall’ordinamento da parte di organi in grado di funzionare
normalmente.
Gli atti contrari alla Costituzione rappresentano il comportamento più
spiccatamente irregolare degli amministratori locali, trattasi di una causa di
scioglimento non prevista espressamente dal precedente ordinamento, ma
che la Costituzione individua direttamente quale causa di analogo
intervento sui consigli regionali. Ed in effetti, questa condotta illegittima, da
intendersi soprattutto come grave sconfinamento dal proprio ambito
costituzionale di competenza, è più facilmente configurabile per le regioni
che non per le minori amministrazioni locali.
Le gravi e persistenti violazioni di legge rappresentano un’ipotesi di
scioglimento già prevista dalla precedente disciplina del 1915; la nuova
formulazione, peraltro, si differenzia per la qualificazione come gravi delle
violazioni di legge e per la mancata espressa previsione del previo
esperimento della diffida a provvedere.
La
prima
innovazione
non
fa
che
richiamare
giustamente
l’orientamento giurisprudenziale e la prassi prevalente, che richiedeva la
violazione di norme non solo vincolanti, operanti, cioè, al di fuori
dell’ambito della libera scelta e discrezionalità che riguarda gli enti
autonomi, ma anche di un certo rilievo politico-amministrativo. La seconda
innovazione è invece soltanto apparente: in effetti la previa diffida
rappresenta lo strumento ordinario per accertare formalmente la persistenza
della violazione di legge; oltre a ciò, si può anche pensare che corrisponda
ad un principio generale in materia di procedimenti sanzionatori166167.
166
Per la giurisprudenza in materia, vedasi C. Stato, sezione I, parere n. 550 del 19 aprile
1989.
127
I gravi motivi di ordine pubblico ripetono integralmente la precedente
ipotesi di scioglimento, sulla quale è intervenuta un’antica ed ormai
consolidata elaborazione giurisprudenziale che conserva quindi attualità.
Al riguardo, è opportuno ricordare che per la Corte costituzionale è
necessario far riferimento alla nozione di ordine pubblico quale sicurezza e
quiete pubblica, con esclusione di ogni più lata accezione che consenta di
ricomprendere anche fattispecie di cattivo funzionamento degli organi168. Ed
il consiglio di Stato, a sua volta, ha avuto occasione di precisare che non
può giustificare da solo lo scioglimento una situazione di grave attrito
167
Nell'espletamento della sua funzione consultiva, il Consiglio di Stato fornisce pareri preventivi
circa la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoli
ministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni. I pareri possono essere facoltativi
o obbligatori. I pareri facoltativi possono essere richiesti dalla Pubblica Amministrazione, nel caso
lo ritenga opportuno. Essi non sono mai vincolanti: l'Amministrazione richiedente, può sempre
discostarsi dandone motivazione. Sono sempre facoltativi i pareri richiesti dalle Regioni. In altri
casi la Pubblica Amministrazione deve richiedere un parere al Consiglio di Stato. Si parla allora di
pareri obbligatori. Ai sensi della L. 127/97, il parere del Consiglio è obbligatorio per:
l'emanazione di atti normativi (regolamenti) del Governo o dei singoli ministeri; l'emanazione
dei testi unici; la decisione sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;
l'approvazione degli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti dai
Ministeri. La stessa legge 127/97 ha abrogato ogni diversa disposizione legislativa che preveda il
parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria, tenendo fermo il combinato disposto dell'articolo
2, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 33 del testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054. I pareri obbligatori si distinguono,
inoltre, in vincolanti o non vincolanti, a seconda che l'Amministrazione richiedente, in sede di
emanazione dell'atto per il quale è stato emesso il parere, sia tenuta o meno a seguirli.
168
Cfr. C. Cost., 11 luglio 1961, n. 40, in Giur. cost., 1961, p. 935.
128
verificatasi tra consiglieri169; né un qualsiasi altro comportamento che non si
traduca in grave pregiudizio alla tranquillità e sicurezza della collettività170.
Va evidenziato, in proposito, come anche il legislatore, proprio
ultimamente, nel D.Lgs. n. 112 del 1998, abbia dettato un ampio concetto di
ordine pubblico, indicato come <<il complesso dei beni giuridici
fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata
e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle
istituzioni, dei cittadini e dei loro beni>> (art. 159).
Le ulteriori ipotesi di scioglimento previste dal primo comma dell’art.
141, alla lettera b), attendono alla impossibilità di assicurare il normale
funzionamento degli organi e dei servizi per: 1) impedimento permanente,
rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;
2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia; cessazione dalla
carica per dimissioni contestuali (ovvero rese anche con atti separati purché
contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente), della metà più uno
dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente
della provincia; riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di
surroga alla metà dei componenti del consiglio.
169
Cfr. C. Stato, 15 gennaio 1957, n. 2247, in Corr. amm., 1959, n. 1104.
170
Cfr. C. Stato, 9 ottobre 1956, n. 1705. Cfr., inoltre, sempre in ordine allo scioglimento
per gravi motivi di ordine pubblico, C. Stato, sezione IV, 29 gennaio 1958, n. 85; IDEM,
28 giugno 1988, n. 554.
129
Nel
precedente
ordinamento
queste
fattispecie
non
erano
espressamente previste, ma la giurisprudenza le faceva rientrare nella
persistente violazione di legge171.
L’ultima ipotesi di scioglimento prevista dalla norma in esame (art.
141, lett. c)) è costituita dalla mancata approvazione del bilancio.
Nel precedente regime già si era interpretato l’art. 323 del T.U. del
1915 nel senso che ricomprendesse tra le fattispecie di persistente
inosservanza di legge anche la mancata approvazione del bilancio,
naturalmente previa diffida e assegnazione di un termine per provvedere172.
Successivamente è intervenuto il legislatore, con l’art. 4 della legge 22
dicembre 1969, n. 964, a indicare in modo esplicito tale ipotesi come causa
di scioglimento. Ora la norma in esame riconferma la stessa disposizione,
aggiungendo una opportuna disciplina puntuale, che accoglie anche
l’insegnamento giurisprudenziale in materia.
Il comma 2 dell’art. 141 dispone, infatti, che, trascorso il termine entro
il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto
dalla giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo nomina un
commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio.
In tal caso, e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini
di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l’organo regionale
171
V. C. Stato, parere 21 febbraio 1961, n. 249 e dec. 29 gennaio 1964, n. 86, in Il consiglio
di Stato nel quinquennio 1961-1965, Roma, 1969, vol. II, p. 283. Più recentemente si
veda T.A.R. Campania, 21 novembre 1995, n. 708, che esclude dall’ordinamento
pubblico la tutela del buon funzionamento e del prestigio degli organi elettivi.
172
Cfr. C. Stato, 26 aprile 1961, n. 263, in Riv. amm., 1961, p. 572.
130
di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri,
un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il
quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione
inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al
prefetto, che inizia la procedura per lo scioglimento dei consiglio.
Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali è disposto con
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro
dell’interno (art. 141, comma 1, cit.). il decreto di scioglimento è
accompagnato da una relazione del ministro sui motivi del provvedimento e
di esso è data immediata comunicazione al parlamento (art. 146, comma 6).
Con il decreto di scioglimento viene nominato un commissario, che
provvede alla gestione temporanea dell’ente; il rinnovo del consiglio deve
avere luogo con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge. A tale
ultimo proposito, si ricorda che la L. 120/ 1993 prevedeva l’accorpamento
dei turni elettorali in due turni l’anno, mentre la legge 23 aprile 1999, n. 120
ha introdotto un turno unico previsto tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Non si fa, invece, luogo alla nomina del commissario in caso di
scioglimento per impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso
del sindaco o del presidente della provincia (ossia per le ipotesi di
cessazione non volontaria, di cui alla lettera b) dell’art. 141; in tal caso
consiglio e giunta rimangono in carica e le funzioni del sindaco/presidente
sono esercitate dal vice.
Questa differenziazione tra cause di cessazione volontaria e
involontaria, in relazione all’effetto consequenziale dell’assunzione della
gestione provvisoria, trova la sua spiegazione nell’intento di evitare
manovre politiche all’insaputa degli elettori (es. patteggiamento di una
staffetta nella carica tra due diversi aspiranti) favorite dalla maggior durata
della gestione provvisoria, che potrebbe raggiungere e superare l’anno.
Come effetto dello scioglimento tutti i consiglieri cessano dalla carica,
restando il commissario unico amministratore con le attribuzioni
131
espressamente conferitegli. È, però, previsto che i consiglieri cessati
possano conservare gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti, cioè
quelle cariche presso enti o istituzioni diverse dal comune o provincia che
ricoprono in conseguenza di designazione di questi enti (art. 141, comma
5).
Possono ricorrere al T.A.R. per motivi di legittimità i consiglieri
appartenenti al disciolto consiglio, lesi nel loro diritto all’ufficio; no è
invece consentito il ricorso del consiglio stesso, che ha cessato di esistere,
né di privati cittadini, che sarebbero carenti del necessario diretto interesse.
Secondo un’antica giurisprudenza del consiglio di Stato non sarebbero
impugnabili gli atti di scioglimento motivati con ragioni di ordine pubblico,
ma non sembra che tale indirizzo possa essere mantenuto nel vigente
ordinamento costituzionale173.
Con decreto del ministro dell’interno, il sindaco, il presidente della
provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti
dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono
essere rimossi dalle loro cariche, per atti contrari alla Costituzione e per
gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico
(art. 142 T.U.).
La nuova disciplina non prevede la pubblicazione del decreto di
rimozione sulla Gazzetta ufficiale, né la sua comunicazione al parlamento;
c’è da chiedersi se questo regime formale, che, come per lo scioglimento,
corrisponde ad un’antica tradizione legislativa che si ricollega ai principi
173
In tal senso A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1982, vol. I, p. 479 e
M. SCUDIERO, I controlli sulle regioni sulle province e sui comuni nell’ordinamento
costituzionale, Napoli, 1963, p. 232 e ss. Per una rassegna della giurisprudenza
sull’argomento, vedasi L. VANDELLI, in AA. VV., Controlli – Commento al T.U.
sull’ordinamento delle autonomie locali, vol. 6, Rimini, 2001, p. 212.
132
propri del sistema di governo parlamentare, non possa ritenersi ugualmente
ancora in vigore.
Il provvedimento di rimozione, come quello di scioglimento, deve
essere adeguatamente motivato e contenere l’indicazione dei fatti concreti e
obiettivi, che legittimano la sanzione174; è stata, peraltro, consentita anche
una motivazione ob relationem, mediante riferimento alla proposta175.
Contro il decreto di rimozione l’interessato può ricorrere alla giustizia
amministrativa, quale che sia, secondo la giurisprudenza più recente, il
motivo a base del provvedimento (anche l’ordine pubblico).
Nell’attesa che si concluda l’iter procedimentale, non semplice,
necessario per l’emanazione, con decreto del Capo dello Stato, dei
provvedimenti di scioglimento e rimozione, sono previste dalla normativa
apposite misure cautelari, che ricalcano quelle già in vigore.
In particolare, in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, sempre
che ricorrano motivi di grave e urgente necessità, può sospendere per un
periodo non superiore a novanta giorni i consigli comunali e provinciali e
nominare un commissario per l’amministrazione provvisoria dell’ente (art.
141, comma 7).
Analogamente, per le stesse ragioni di urgente e grave necessità,
possono essere sospesi dal prefetto gli amministratori nei cui confronti si è
iniziato il procedimento per la rimozione (art. 142, comma 2). Data la sua
174
Cfr. C. Stato, 7 giugno 1952, n. 905, in Riv. amm., 1952. p. 1510 e 8 marzo 1955, n. 157,
in Corr. amm., 1955, p. 111.
175
Cfr. C. Stato, 17 ottobre 1952, n. 1170, in Riv. amm., 1953, p. 342.
133
natura cautelare il decreto prefettizio di sospensione deve durare solo il
tempo necessario a provvedere in via definitiva; ove, entro limiti di tempo
ragionevoli, e comunque abbastanza brevi, non sia intervenuto il
provvedimento di rimozione, il sindaco sospeso deve essere reintegrato176.
Contro decreto di sospensione è ammesso il ricorso al T.A.R.177
Oltre nei casi e per i motivi ora visti, un generale potere di intervento
sulle amministrazioni locali – peraltro, più di ordine organizzatorio che
repressivo178 – appartiene al prefetto ai sensi dell’art. 19 del T.U. del 1934
(così come modificato dalla legge 8 marzo 1949, n. 277). Secondo questa
norma, infatti, egli può inviare <<appositi commissari presso le
amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali… per reggerle,
per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per
qualsiasi ragione, funzionare>>.
Ai sensi dell’art. 273, comma 5 del T.U. 267/2000, la norma
continuerà ad applicarsi – nonostante l’intervenuta abrogazione del R.D. n.
383/1934 ai sensi del successivo art. 274, lett. a) – fino all’entrata in vigore
di specifica disposizione in materia, nei limiti della sua compatibilità con
176
Cfr. C. Stato, 23 ottobre 1963, n. 624, in Mass. amm., 1953, II, p. 385.
177
La giurisprudenza ha riconosciuto la sospensione di un sindaco che aveva dato segni di
alienazione mentale (C. Stato, 8 febbraio 1952, n. 148, in Nuova Rass., 1953, p. 145).
178
Così A.M. SANDULLI, op. cit., p. 480.
134
l’ordinamento vigente. In precedenza la Corte costituzionale aveva ritenuto
che non fosse venuto meno con l’entrata in funzione degli organi di
controllo regionali, cui invece è stato devoluto, come si è visto, il controllo
sostitutivo per omissioni di atti obbligatori, già attribuito anch’esso ai
prefetti. Come ricorda la circolare ministeriale del 7 giugno 1990 la norma
in esame continuerà, in particolar, ad essere applicata nelle ipotesi di cui
all’art. 85 del D.P.R. n. 570 del 1960 (annullamento delle elezioni,
mancanza di candidature, nullità delle elezioni per partecipazione ad esse di
un numero di elettori inferiore alla metà degli iscritti).
L’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, nel testo novellato dalla
legge 18 gennaio 1992, n. 16, dettava una serie di restrizioni al diritto di
elettorato passivo e più genericamente alla capacità della previsione della
delinquenza di tipo mafioso per assicurare la trasparenza nella pubblica
amministrazione. Il fatto impeditivo dell’assunzione e/o esercizio del
mandato era individuato, di volta in volta, in atti che rappresentano fasi
diverse del processo penale e che, quindi, presentano diversa gravità, quali
il rinvio a giudizio per i delitti di associazione di tipo mafioso e concernenti
il traffico di stupefacenti e la condanna anche non definitiva per i reati
contro la P.A.; viene, infine, ritenuta sufficiente l’applicazione anche
provvisoria di una misura di prevenzione per appartenenza ad associazione
mafiosa.
Successivamente, con il D.L: 31 maggio 1991, n. 164 (legge conv. n.
221/1991) veniva inserito nella l. n. 55 del ’90 l’art. 15-bis, che disciplinava
lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali in conseguenza di
fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. I fatti posti
a base dello scioglimento, diversi da quelli previsti dall’art. 39 della legge
142/90, erano individuati dal legislatore in collegamenti diretti o indiretti
degli amministratori con la criminalità organizzata o in altre forme di
condizionamento che compromettono l’imparzialità degli organi eletti e il
135
buon andamento delle amministrazioni locali ovvero arrechino grave e
perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
La disciplina speciale in questione è stata recepita dal nuovo
ordinamento nell’art. 143 del T.U.
Prevede la norma che, oltre ai casi di scioglimento che potremmo
definire ordinario, di cui all’art. 141, i consigli comunali e provinciali sono
sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati dal prefetto,
emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori
con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli
amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli
organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e
provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi delle stesse
affidati ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio
per lo stato della sicurezza pubblica. In tali casi lo scioglimento del consigli
comunale o provinciale comporta (a differenza dell’ipotesi ordinario di
scioglimento, di cui all’art. 141, appena ricordato) la cessazione della carica
di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente
delle rispettive giunte – anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti
in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti – nonché
di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.
Le stessa procedura di scioglimento risulta essere aggravata rispetto a
quella dettata per le ipotesi ordinarie, con intento garantistico in rapporto
all’eccezionalità dell’intervento, il quale, similmente ad altri previsti dalla
legislazione antimafia, potrebbe prestarsi ad uso distorto e repressivo
dall’autonomia locale. Oltre al decreto del Capo dello Stato su proposta del
Ministro dell’Interno si richiede, infatti, la deliberazione del Consiglio dei
Ministri ed è anche prescritta la comunicazione alle due camere.
L’amministrazione straordinaria è poi affidata ad una commissione
composta da tre membri scelti tra funzionari dello Stato e magistrati, che
resta in carica per un periodo da dodici a diciotto mesi, più il tempo
136
occorrente per il rinnovo degli organi che deve avvenire nei novanta giorni
successivi (art. 146).
La normativa illustrata (che prevede altresì la sospensione a cura del
prefetto in attesa del decreto di scioglimento) trova applicazione anche nei
confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, di consorzi, unioni di
comuni,
comunità
montane,
aziende
municipalizzate
e
consigli
circoscrizionali (art. 146)179.
La nuova disciplina del Titolo V della Costituzione, mentre ha fatto
venir meno, con l’abrogazione dell’art. 130, il tradizionale controllo sugli
atti degli locali180, nulla dice in ordine al controllo sugli organi, per cui
potrebbe sembrare giustificato dubitare della compatibilità con il nuovo
ordinamento dei precedenti controlli prefettizi. Ma, a prescindere da ogni
ulteriore argomento, per risolvere affermativamente il quesito basta la
considerazione della permanenza, anche nell’attuale quadro costituzionale
riformato, dell’art. 126, che prevede, al primo comma (nel testo riformato
dalla l. cost. n. 1 del ’99), lo scioglimento del consiglio regionale e la
rimozione del presidente della giunta, per <<atti contrari alla Costituzione
o gravi violazioni di legge>>, nonché <<per ragioni di sicurezza
nazionale>>.
È fuor di dubbio che, almeno entro questi limiti, sia legittima, se non
altro per il pari livello di autonomia riconosciuta dall’art. 114, la previsione
di controlli sugli organi anche degli enti locali e la competenza legislativa
179
Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 290 e ss.
180
V. par. 2.
137
esclusiva dello Stato in tema di organi di governo, ex art. 117, secondo
comma, lett. p), rappresenta lo strumento corretto per intervenire.
Oltre ai controlli sugli organi il precedente ordinamento prevedeva
vari controlli sostitutivi. Tra questi particolare importanza, per il suo
carattere generalizzato e l’antica origine, rivestiva l’annullamento d’ufficio
in ogni tempo degli atti illegittimi da parte del Governo, sentito il Consiglio
di Stato. La Corte costituzionale181 ne aveva dichiarato l’illegittimità per
quanto riguardava gli atti amministrativi regionali, ma si era ritenuto
potesse ancora essere mantenuto per gli enti locali ed era recepito, nella
formulazione tradizionale, a tutela dell’unità dell’ordinamento, dall’art. 138
del T.U. n. 267/2000.
La recente riforma costituzionale, particolarmente con l’equiparazione
tra gli enti territoriali posta dall’art. 114, ha alimentato i dubbi della dottrina
sulla costituzionalità di questa norma, di cui, peraltro, il Governo ha
continuato a far applicazione con il conforto consultivo del Consiglio di
Stato.
La riforma costituzionale ha anche inciso sui poteri sostitutivi in caso
di mancata approvazione nei termini del bilancio. Come si è visto182 l’art.
142, comma 2 del T.U. sugli enti locali assegnava all’organo regionale di
controllo il potere di nominare il commissario ad acta per provvedere in via
sostitutiva. Il venir meno del Co.Re.Co, dopo l’abrogazione dell’art. 130
Cost., ha provocato un intervento legislativo d’urgenza (D.L. 29 febbraio
181
C. Cost., sent. n. 229 del 1989.
182
Vedi supra
138
2002, n. 13) che, limitatamente al bilancio degli enti locali per il 2002, ha
trasferito al Prefetto la competenza per la nomina del commissario e tale
disposizione è stata mantenuta anche per gli anni successivi fino al 2005,
estendendo la procedura anche nell’ipotesi di scioglimento per mancata
adozione di provvedimenti di riequilibrio di cui all’art. 193 del T.U.
predetto.
3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA
CORTE DEI CONTI
La nozione tradizionale del controllo sulla pubblica amministrazione,
quale verificazione della legittimità e, talvolta, della opportunità di singoli
atti, alla stregua di un persistente parametro di valutazione ed in vista di una
misura sanzionatoria, è entrata in crisi un po’ dovunque, fin dall’immediato
dopoguerra, tra gli Stati più evoluti183.
Anche in Italia già da qualche decennio si è sviluppato un vasto
movimento
di
opinione
rivolto
all’introduzione
nell’ambito
dell’amministrazione statale, sulla base delle esperienze già maturate
all’estero, di controlli di efficienza del tipo di quelli in vigore nelle
organizzazioni private.
Il sistema di controlli sui ministeri è rimasto sostanzialmente, fino al
1993, quello introdotto dalla legge 14 agosto 1862, n. 800; imperniato sulla
Corte dei conti, la quale doveva apporre il suo visto di legittimità su tutti i
decreti del Capo dello Stato e su tutti gli atti di spesa, al di sopra di un certo
183
Cfr. F. STADERINI, La riforma dei controlli nella pubblica amministrazione, Padova,
1985, cap. I.
139
limite (quasi irrisorio) di valore, perché diventassero efficaci. Questo
ordinamento ha subìto nel tempo solo marginali modifiche: l’unica
innovazione di rilievo è stata l’istituzione con R.D. 28 gennaio 1923, n.
126, del controllo delle Ragionerie centrali, incardinate nell’ambito della
Ragioneria Generale dello Stato.
Alla base del sistema in discorso sta la natura meramente cartolare del
controllo, che si svolge unicamente su singoli atti amministrativi. Ciò
comporta che la situazione presa in esame dal controllore – e confrontata
col parametro normativo – non è necessariamente quella reale, ma soltanto
quella che emerge dai documenti che la rappresentano; documenti che
generalmente provengono dalla stessa amministrazione controllata e
possono entro certi limiti anche essere adattati a fornire la rappresentazione
che più serve.
Tutto questo spiega perché sia potuto accadere che procedimenti
amministrativi sfociati in giudizi penali, che hanno accertato responsabilità,
provocando clamorose reazioni nell’opinione pubblica, non abbiano dato
luogo a rilievi in sede di controllo di legittimità, essendo risultati i relativi
atti, nella loro consistenza cartolare, ineccepibili.
Ma, oltre ad essere scarsamente efficace, tale sistema comporta anche
costi notevolissimi, sia in termini di spesa per il funzionamento degli
apparati di controllo, sia in termini di rallentamento dei tempi, già di per sé
assai lunghi, dell’azione amministrativa.
Ecco, quindi, l’esigenza di controlli-impulso, rivolti a favorire il
conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposto ai controllifreno, che tendono a disincentivare l’azione, avendo di mira soltanto gli atti
positivi o, al più, le omissioni di atti obbligatori.
Con riguardo a questa nuova forma di sindacato, si parla di controllo
sulla gestione o di gestione per indicare che il suo oggetto non è più l’atto
amministrativo
singolarmente
considerato,
ma
tutta
una
gestione
amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati
140
(o dalle operazioni compiute), ma anche da quelli omessi e, soprattutto, dai
risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare
l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli
obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e
risultati conseguiti.
L’espressione controllo sulla gestione (o controllo di gestione) assume
due diversi significati negli orientamenti dottrinali: se ne parla, da un lato,
per individuare un’attività di valutazione critica dell’azione amministrativa
già espletata, al fine di informare dall’esterno o, comunque, da una
posizione neutrale l’organo competente a fissare gli obiettivi e disciplinare
le modalità principali per il loro conseguimento; dall’altro essa è anche
usata
per
indicare
quella
funzione
che
si
svolge
all’interno
dell’amministrazione controllata, in posizione di compartecipazione e
corresponsabilità, al fine di dirigere e indirizzare l’attività amministrativa,
durante il suo svolgimento (ed è forse più corretto limitare a queste ipotesi
la dizione controllo di gestione).
Passiamo ora ad analizzare, in conclusione di capitolo, il centrale
ruolo che occupa la Corte dei conti all’interno del sistema di controllo degli
enti locali.
L’abrogazione degli artt. 125 e 130 della Costituzione ad opera della
legge costituzionale n. 3/2001 non ha coinvolto il controllo successivo sulla
gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche,
attribuito alla Corte dei conti dall'art. 3 della legge 14 gennaio 1994 n. 20.
Tale impostazione è stata – oltre che condivisa pressoché
unanimemente dalla dottrina, come sopra accennato – pienamente recepita
dalla legge n. 131/2003.
Ai temi del controllo sono dedicati i commi 7, 8 e 9 dell’art. 7 della
legge. Il settimo comma dell'articolo 7 affida alla Corte dei conti, ai fini del
coordinamento della finanza pubblica, i compiti di verifica del rispetto degli
equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e
141
regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
La Corte dei conti è cioè chiamata a verificare il rispetto degli
equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e
regioni, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. In particolare, alle Sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti è conferito il compito di
verificare, “… nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla
gestione”: – il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi regionali
di principio e di programma; – la sana gestione finanziaria degli enti locali;
– il funzionamento dei controlli interni.
La relazione governativa al d.d.l. precisa in proposito che le Sezioni
regionali di controllo dovranno assolvere tali funzioni in coerenza con le
disposizioni vigenti (identificate appunto nel già ricordato articoli 3 della
legge 14 gennaio 1994, n. 20, e nell’art. 13 del decreto-legge 22 dicembre
1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n.
51184). Il successivo comma 8 consente, poi, a ciascuna regione di richiedere
ulteriori forme di collaborazione alla Sezione di controllo, ai fini della
regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione
amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica; analoghe
richieste potranno poi essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle
autonomie locali, se istituito, anche da comuni, province e Città
metropolitane. Tale facoltà è stata esercitata da alcune amministrazioni
regionali, talché sono state concluse vere e proprie convenzioni tra le
singole sezioni regionali della Corte dei conti e la regione185.
184
Norma istitutiva, presso la Corte dei conti, della Sezione enti locali.
142
È stata inoltre prevista, dal comma 9 dell’art. 7, la possibilità che le
Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate con
componenti designati dalle regioni e dagli enti locali, nella misura di due
componenti aggiuntivi per ciascuna Sezione, dei quali uno designato dal
consiglio regionale e l'altro dal Consiglio delle autonomie locali186 oppure,
ove tale organo non sia stato istituito, dal presidente del Consiglio
regionale, su indicazione delle associazioni rappresentative dei comuni e
delle province a livello regionale. I predetti componenti dovranno essere
scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali
acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche,
economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica
cinque anni e non sono riconfermabili. Lo status dei predetti componenti è
equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a quello dei
consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della regione.
Quest’ultima previsione, successivamente abrogata dall’art. 3, c. 61, della
legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), è stata di recente
reinserita con l’art. 11, comma 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15 (che ha
185
Vedasi, in proposito, la convenzione del 27 marzo 2007 della Sezione di controllo EmiliaRomagna con il Presidente Regione Emilia-Romagna e Coopresidente Conferenza Regione Autonomie Locali dell’Emilia-Romagna, sulle attività di collaborazione in merito all’esercizio
della funzione di controllo. Più in generale, si osserva che le modalità attraverso le quali tali forme
di collaborazione possono realizzarsi non sono state dalla legge tipizzate e potrebbero, in teoria,
consistere in un’ampia gamma di attività, che vanno da referti su temi specifici e dalla richiesta di
audizione di magistrati della Sezione presso l’organo consiliare, fino alla previsione di forme di
certificazione della affidabilità dei bilanci.
186
Quest'ultimo organo è stato espressamente previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha
sul punto novellato l'articolo 123, ultimo comma della Costituzione (art. 7 della legge cost. n. 3):
"In ogni regione, lo statuto disciplina il consiglio delle autonomie locali, quale organo di
consultazione fra la regione e gli enti locali".
143
aggiunto a tal fine un apposito comma 8-bis all’art. 7 della legge n.
131/2003).
La Corte, dunque, opera in ciascuna regione, mediante proprie
articolazioni decentrate (le Sezioni regionali di controllo), come organo sia
dello Stato che della regione stessa e delle altre autonomie locali.
L’appartenenza delle Sezioni allo stesso organo, pur nella sua
complessità, consente lo stesso approccio culturale e professionale nelle
diverse
realtà
territoriali
e,
quindi,
identico
metro
di giudizio,
particolarmente prezioso nell’esercizio di un’attività, comprendente
valutazioni, sul buon andamento e la sana gestione amministrativa,
largamente discrezionali e soggettive. Sarà, inoltre, molto più facile ed
efficace il coordinamento, così come il confronto di esperienze e lo scambio
di opinioni; al riguardo sono già stati disciplinati appositi procedimenti e
strutture di coordinamento in sede di autorganizzazione della Corte, proprio
allo scopo di rendere compatibile l’autonomia delle singole Sezioni con
l’esigenza di parametri comuni, tecniche e criteri operativi conformi.
La Corte dei conti può poi, in tal modo, svolgere un ruolo propulsivo
nell'affermazione di una convinta “coscienza finanziaria” da parte di tutti i
soggetti chiamati al risanamento dei conti pubblici; contribuire alla
costruzione di nuovi strumenti procedurali che assicurino governabilità al
bilancio; concorrere alla definizione di criteri di monitoraggio dei fatti
finanziari sulla base di parametri definiti, anche a livello europeo, e diretti
ad assicurare trasparenza alle gestioni finanziarie, nonché il controllo dei
comportamenti incoerenti e devianti degli agenti responsabili delle gestioni
finanziarie187.
187
A. VILLA, La verifica dell’equilibrio complessivo della finanza pubblica: evoluzione delle
attribuzioni della Corte dei conti, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 386 e segg..
144
Per quanto attiene, in particolare, al controllo sulla gestione, che
comprende anche la verifica del funzionamento dei servizi di controllo
interno, esso si esplica, quanto alle regioni, in analisi dirette a verificare il
perseguimento degli obiettivi posti sia dalle leggi regionali di principio e di
programma (la più importante delle quali è sicuramente la legge di bilancio)
sia dalle leggi statali che abbiano uguale valenza.
Quanto agli enti locali, il controllo demandato alle Sezioni regionali è
diretto a verificare la correttezza della gestione finanziaria, sotto il profilo
dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa
dell’ente.
E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nella già più volte ricordata
sentenza n. 29 del 1995, che – nel dichiarare compatibile con l’autonomia
delle regioni tale tipo di controllo – ha tratteggiato le sue caratteristiche
essenziali, ponendo in particolare l’accento sulla natura collaborativa di tale
controllo, in quanto appunto ”… posto al servizio di esigenze pubbliche
costituzionalmente tutelate, e precisamente volto a garantire che ogni
settore della Pubblica amministrazione risponda effettivamente al modello
ideale tracciato dall’art. 97 della Costituzione, quello di un apparato
pubblico realmente operante sulla base dei principi di legalità, imparzialità
ed efficienza”.
Natura collaborativa del controllo vuol dire che le finalità di tale
funzione non sono censorie, ma dirette essenzialmente a rendere edotta
l’amministrazione controllata del suo eventuale malfunzionamento e a
stimolare doverose correzioni della sua azione (art. 4, comma 6° della L. n.
20 del 1994). La Corte dei conti, cioè, deve sicuramente accertare non solo
quali illegittimità inficino le gestioni e quali siano le irregolarità riscontrate,
ma anche se gli obiettivi indicati dalla legge siano stati raggiunti attraverso
un’azione amministrativa efficiente ed efficace, da valutarsi sulla base
dei dati obiettivi dei modi, dei tempi e dei costi, posti a raffronto
comparativo.
145
Da un controllo di tale tipo le amministrazioni devono allora
attendersi stimoli a promuovere misure autocorrettive, quando dal referto
ricevuto siano emerse deficienze gestionali o malfunzionamenti dei
controlli interni abbisognevoli di messa a punto: una funzione, quindi,
essenzialmente collaborativa al servizio della comunità, che ha diritto di
essere informata da un organo imparziale su come le risorse pubbliche siano
state utilizzate dai propri rappresentanti, nella cura degli interessi pubblici
cui sono preposti. Lo stesso passaggio istituzionale da sistemi elettorali
proporzionali a quelli maggioritari, implica una maggiore esigenza di un
organo indipendente che informi i cittadini in modo imparziale su come le
risorse sono state gestite188.
Le indagini delle Sezioni, secondo i caratteri propri del controllo
collaborativo sulla gestione, non hanno immediati effetti sanzionatori né
producono alcuna conseguenza negativa a carico degli amministratori e
funzionari responsabili della gestione controllata; l’incidenza del controllo è
soltanto indiretta ed è legata ai successivi interventi che saranno attuati
dagli organi di governo e dalle assemblee elettive, destinatari delle
informative della Sezione di controllo. Insomma, la motivata denuncia di
eventuali
illegittimità
o
irregolarità
procedurali,
di
condotte
inefficienti o antieconomiche, accompagnate anche da raccomandazioni e,
ove possibile, suggerimenti e proposte, dovrebbe favorire, nella logica del
sistema, processi virtuosi di autocorrezione di prassi e procedure. A questo
scopo, è prassi della Corte dei conti favorire e promuovere analisi
comparative su fenomeni gestionali comuni (es., sui trasporti locali, la
sanità, gli acquisti di beni e servizi, etc.).
188
Cfr. F. PITERA’, Evoluzione dei controlli negli enti territoriali in attuazione del nuovo titolo V
della Costituzione, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 385. Vedasi anche, sul tema, F.
TROMBETTA, Vincoli comunitari e controlli: legge costituzionale n. 3/2001, in Rivista italiana
di diritto pubblico comunitario, n. 6/2002, pag. 1451 e segg..
146
Il monitoraggio della finanza pubblica, il controllo del rispetto dei
vincoli costituzionali e degli standard europei rappresentano i momenti nei
quali ricomporre, sulla base di criteri differenziati rispetto le singole ed
eterogenee gestioni esaminate, ad unità gli esiti gestionali degli enti
chiamati a condividere gli obiettivi di contenimento del disavanzo e nei
quali adoperarsi in vista della salvaguardia dell'equilibrio finanziario
complessivo. In tal senso, il controllo unitario esercitato dalla Corte dei
conti non contrasta con la sua diffusione strutturale sul territorio, ma anzi
rende più agevole la definizione di criteri di monitoraggio e controllo
diversificati in funzione delle singole gestioni esaminate. La stessa presenza
di professionalità ulteriori rispetto a quelle “interne”, rappresentate dagli
esponenti delle realtà locali, dovrebbe poi scongiurare il rischio di definire
un sistema disordinato (con riferimento ai soggetti intestatari, alle tecniche
di misurazione e controllo, all'oggetto e agli esiti dell’attività di controllo)
che potrebbe comportare lacune o duplicazioni nei programmi e nelle
attività di valutazione.
L’importanza e la centralità di una tale funzione di verifica e
monitoraggio da parte della Corte, è stata tenuta particolarmente presente
dal Legislatore anche dopo il 2003, ed ha formato oggetto di recenti
interventi normativi, finalizzati appunto a rendere maggiormente efficace
tale attività. Si ricordano, a tale proposito, tra gli ultimi, l’art. 1, commi da
166 a 173 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il
2006), l’art. 3, commi da 53 a 65 della legge 24 dicembre 2007, n. 244
147
(legge finanziaria per il 2008) e l’art. 11 della recentissima legge 4 marzo
2009, n. 15189.
La natura collaborativa del controllo esterno sulla gestione trova
corrispondenza, dal versante delle amministrazioni interessate, nel preciso
dovere di cooperazione da parte di queste ultime; dovere che risulta
connaturale allo stesso potere di accertamento intestato alla Corte dei conti
dalla legge n. 20/1994190.
Tale collaborazione dovrà sostanziarsi tanto nella fase istruttoria,
quanto in quella successiva alla presentazione del referto della Corte dei
conti: ed infatti, all’esito di detto referto, in capo alle amministrazioni sorge
il preciso obbligo di comunicare alla Corte dei conti, e agli organi elettivi,
189
Si riportano i commi 2 e 3 della norma: “[2.] La Corte dei conti, anche a richiesta delle
competenti Commissioni parlamentari, può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in
corso di svolgimento. Ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da
obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme, nazionali o comunitarie, ovvero da
direttive del Governo, la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause e
provvede, con decreto motivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darne
comunicazione, anche con strumenti telematici idonei allo scopo, al Ministro competente. Questi,
con decreto da comunicare al Parlamento e alla presidenza della Corte, sulla base delle proprie
valutazioni, anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensione dell’impegno di
somme stanziate sui pertinenti capitoli di spesa. Qualora emergano rilevanti ritardi nella
realizzazione di piani e programmi, nell’erogazione di contributi ovvero nel trasferimento di fondi,
la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause, e provvede, con decreto
motivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darne comunicazione al Ministro
competente. Entro sessanta giorni l’amministrazione competente adotta i provvedimenti idonei a
rimuovere gli impedimenti, ferma restando la facoltà del Ministro, con proprio decreto da
comunicare alla presidenza della Corte, di sospendere il termine stesso per il tempo ritenuto
necessario ovvero di comunicare, al Parlamento ed alla presidenza della Corte, le ragioni che
impediscono di ottemperare ai rilievi formulati dalla Corte. [3.] Le sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti, di cui all’articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, previo
concerto con il Presidente della Corte, possono fare applicazione delle disposizioni di cui al
comma 2 del presente articolo nei confronti delle gestioni pubbliche regionali o degli enti locali.
In tal caso la facoltà attribuita al Ministro competente si intende attribuita ai rispettivi organi di
governo e l’obbligo di riferire al Parlamento è da adempiere nei confronti delle rispettive
Assemblee elettive.”
190
Anche tale aspetto è stato a suo tempo evidenziato dalla sentenza n. 29/1995 della Corte
Costituzionale.
148
le misure conseguenzialmente adottate (art. 3, comma 6, della legge n.
20/1994, cit.). E proprio tale fase del procedimento di controllo sulla
gestione rappresenterà, in prospettiva, il banco di prova della validità del
controllo stesso; a tale proposito, anzi, la dottrina e gli stessi operatori
dovrebbero, in futuro, focalizzare la rispettiva attenzione sull’evoluzione e
maturazione dei processi di autocorrezione da parte delle pp.aa., valutando
in tale ottica la misura in cui l’attività valutativa è riuscita a raggiungere i
fini assegnati.
L’art. 7, comma 8 della L. n. 131 del 2003, appena ricordato, prevede
che le Regioni, ma anche «comuni, province e città metropolitane, di norma
tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito» possano rivolgere
richieste di pareri sulle materie di contabilità pubblica alla Sezione
regionale del controllo della Corte dei conti. Tale funzione trova un lontano
precedente nell’art. 13 del r.d. 9 febbraio 1939, n. 273, che intesta alle
Sezioni riunite della Corte dei conti la competenza a pronunciarsi, in via
preventiva, rispetto ai disegni di legge riguardanti l’ordinamento della Corte
stessa.
La competenza intestata alla Corte dei conti dall’art. 7 della l. n. 131
del 2003, appare eccentrica rispetto alle attività di controllo, rientrando,
semmai, all’interno della funzione collaborativa191.
Sebbene sia la consulenza che il controllo siano ispirati al principio
del buon andamento dell’amministrazione, la Corte dei conti ha tratteggiato
con cura i confini di tale competenza, al fine di evitare pericolose
interferenze con le tradizionali funzioni di controllo e giurisdizione.
L’incapacità del Consiglio delle autonomie di ergersi ad effettivo
rappresentante della amministrazioni locali, ha indotto la Corte dei conti a
191
A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, Milano 2008, pag.
1067.
149
fare a meno di tale filtro, talché si è instaurato un rapporto diretto con le
amministrazioni locali. Tale situazione ha indotto la Sezione delle
autonomie a delineare le caratteristiche dell’istituto, individuando i soggetti
legittimati ad avanzare la richiesta di parere, la collocazione del parere
all’interno dell’iter procedimentale e ciò che debba intendersi per ‘‘materia
di contabilità pubblica’’192.
La legittimazione a presentare la richiesta di parere e` stata intestata in
capo al vertice politico (Sindaco o Presidente della provincia): tale scelta ha
inteso evitare che la richiesta di parere in materia di contabilità pubblica
possa integrare un elemento di dialettica con l’apparato burocratico.
L’attività
consultiva
strumentalizzazioni,
potrebbe
talché
la
infatti
agevolmente
presentazione
da
parte
piegarsi
del
a
legale
rappresentante dell’ente integra presupposto di ammissibilità.
Conseguentemente sono state dichiarate inammissibili per difetto di
legittimazione soggettiva le richieste formulate dal Vice Sindaco
(deliberazione Sez. Piemonte n. 8 del 2007); dagli assessori comunali
(deliberazione Sez. Piemonte, n. 17 del 2005); dai Consiglieri comunali
(deliberazione Sez. Campania, n. 4 del 2006), dal capogruppo consiliare
(deliberazione Sez. Basilicata, n. 6 del 2006) o dal Collegio dei revisori
(deliberazione Sez. Campania, n. 3 del 2004).
La Corte dei conti ha altresì circoscritto la platea degli enti legittimati
ad avanzare istanze di pareri ai soggetti espressamente individuati dalla
disposizione normativa.
Si è così ritenuta inammissibile la richiesta avanzata da parte delle
Comunità montane o dai Consigli delle autonomie locali, ritenendosi
legittimati a chiedere pareri “… solo gli enti espressamente indicati nella
192
25 26 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 27 aprile 2004.
150
norma, la cui elencazione va ritenuta tassativa, in quanto riproduce
letteralmente quella dell’articolo 114 della Costituzione, di cui l’art. 7,
comma 8, della L. n. 131/2003 costituisce attuazione”193.
La disposizione normativa non ha assegnato una generalizzata
competenza consultiva, cosicché la Corte dei conti può legittimamente
pronunciarsi solo nell’ambito delle questioni inerenti la ‘‘contabilità
pubblica’’. Sebbene la Corte dei conti abbia affermato che ‘‘i pareri
dovrebbero concentrarsi preferibilmente su atti generali, atti o schemi di
atti di normazione primaria (leggi, statuti) o secondaria (regolamenti,
circolari), o inerenti all’interpretazione di norme vigenti; o a soluzioni
tecniche rivolte ad assicurare la necessaria armonizzazione nella
compilazione dei bilanci e dei rendiconti; la preventiva valutazione di
formulari o scritture contabili che gli enti intendessero adottare’’194, le
amministrazioni hanno avanzato richieste di pareri di ogni genere.
Cosı` anche se la materia della contabilità pubblica e` stata definita
come “l’attivita` finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di
settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi
equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziariacontabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese,
l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli” (Corte dei conti,
Sez. autonomie, delibera 2006, n. 5), le amministrazioni hanno sollecitato
193
27 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 17 dicembre 2007, n. 13.
194
28 Corte dei conti, Sez. Aut., Coordinamento delle Sezioni regionali di controllo, Rassegna
dell’attività consultiva delle Sezioni regionali di controllo anno 2007, in www.corteconti.it
151
pronunce anche su materie ritenute estranee come il pubblico impiego
(deliberazioni della Sez. Basilicata, n. 8 del 2007, Sez. Emilia-Romagna, n.
41 del 2007; Sez. Lombardia n. 41 del 2007; Sez. Marche, nn. 53-55 del
2007; Sez. Puglia n. 3 del 2007; Sez Sardegna n. 5 del2007 e Sez. Veneto,
nn. 13-17 e 19 del 2007); la contrattazione collettiva (deliberazione Sez.
Toscana, n. 5 del 2007; sez. Veneto n. 10 del 2007), la pensionistica
(deliberazione Sez. Campania, n. 6 del 2005), gli emolumenti al personale
(deliberazione Sez. Sardegna, nn. 7-10 del 2007) e le indennità di funzioni
degli amministratori locali (deliberazione Sez. Puglia n. 6 del 2007 e Sez.
Sardegna n. 8 del 2007), ovvero i lavori pubblici (deliberazione Sez.
Molise, n. 33 del 2007; Sez. Sardegna, n. 5 del 2007). Ciò ha comportato
che, nel 2007, su 263 pareri resi dalle sezioni della Corte dei conti, le
dichiarazioni di inammissibilità o di non ritualità delle richieste siano state
133 (ossia il oltre il 50,%)195.
Sotto il profilo procedimentale, la Corte dei conti ha precisato che la
richiesta di parere non può riguardare un provvedimento già formalmente
adottato, atteso che, altrimenti, la funzione consultiva si tradurrebbe in
un’istanza di riesame della legittimità. La funzione collaborativa impone,
invece, che il parere sia prodromico alla scelta discrezionale, in quanto
diretto a corroborare l’organo di amministrazione attiva (deliberazione Sez.
Basilicata, nn. 12,13 e 18 del 2007; Sez. Campania, nn. 2 e 13 del 2007;
Sez. Lombardia, n. 34 del 2007; Sez. Riunite Sicilia, n. 10 del 2007; Sez.
Toscana, n. 12 del 2007 e Sez. Veneto, n. 7 del 2007).
Particolare attenzione è stata posta alle possibili interferenze con
l’attività giurisdizionale. Il rischio paventato e` quello di un uso strumentale
della funzione consultiva, finalizzata ad influenzare l’atteggiamento
processuale, ovvero le decisioni delle sezioni giurisdizionali. Da qui la
195
A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, op. cit., pag. 1067.
152
dichiarazione di inammissibilita` in merito a “… quesiti che implichino
valutazioni di comportamenti amministrativi oggetto di eventuali iniziative
giudiziarie proprie della Procura regionale o di altri giudici al fine di
evitare che i pareri stessi prefigurino soluzioni non conciliabili con
successive pronunce sia della sezione giurisdizionale che della sezione di
controllo”.
La Corte dei conti ha provveduto immediatamente ad adeguare la
propria organizzazione ai nuovi compiti ad essa assegnati dalla legge
131/2003, sopra tutto nell’ottica di garantire efficaci strumenti di raccordo
dell’attività di controllo finanziario di competenza di ciascuna Sezione
regionale, con quelle funzioni, da svolgersi a livello centrale, di referto
generale sull’intera finanza regionale e locale di cui è destinatario il
Parlamento e che debbono necessariamente avvalersi dei risultati delle
analisi finanziarie effettuate nelle sedi periferiche.
L’esigenza prioritaria è così apparsa quella di individuare uno
strumento organizzativo in grado di assicurare un coordinamento agevole
ed efficace e nello stesso tempo rispettoso dell’autonomia delle singole
Sezioni regionali di controllo; un coordinamento tale, cioè, da consentire la
definizione di metodologie e di linee comuni di indirizzo nel controllo
successivo sulla gestione, per poter effettuare quei raffronti e quelle
comparazioni che contraddistinguono le indagini comuni a più Sezioni.
E’ stata in tal modo istituita, con la deliberazione delle Sezioni riunite
n. 2/DEL/2003 del 3 luglio 2003 (assunta nell’esercizio del potere
regolamentare riconosciuto alla Corte dei conti dall’art. 3 del D.Lgs. n.
286/1999, cit.) un’apposita Sezione delle autonomie.
La nuova Sezione delle autonomie, definita come “espressione delle
Sezioni regionali di controllo” dovrà, ai fini del coordinamento della
finanza pubblica, riferire al Parlamento, almeno una volta l’anno, sugli
andamenti complessivi della finanza regionale e locale per la verifica del
rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città
153
metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli
che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche sulla
base dell’attività svolta dalle Sezioni regionali. Infine, essa deve esaminare,
ai fini del coordinamento, ogni tema e questione che rivesta interesse
generale o che riguardi le indagini comparative su aspetti gestionali comuni
a più Sezioni.
La Sezione delle autonomie è presieduta dal presidente della Corte dei
conti ed è composta da due presidenti di Sezione che lo coadiuvano, nonché
dai presidenti delle Sezioni regionali di controllo e dai magistrati già facenti
parte della precedente, analoga articolazione della Corte; l’Organo di
autogoverno della magistratura contabile (il Consiglio di presidenza)
individua, sulla base di criteri predeterminati, un magistrato in servizio
presso ciascuna Sezione regionale di controllo quale supplente del
presidente ai fini della partecipazione al collegio. Il presidente della Sezione
delle autonomie, per l’esame di specifiche questioni che involgono anche le
competenze di altre Sezioni di controllo, può infine invitare a partecipare
alle adunanze i presidenti delle Sezioni di volta in volta interessati ai temi
da trattare.
La Sezione delle autonomie si avvale di un servizio di supporto, cui è
assegnato personale amministrativo, che svolge compiti di collaborazione e
istruttori, anche nel settore delle analisi tecnico-economiche, esecutivi e di
segreteria. Al servizio sono assegnati dirigenti il cui numero e posizione
funzionale sono definiti con decreto del presidente della Corte dei conti,
sentito il segretario generale. Il servizio è organizzato per la ricezione, la
verifica e l’elaborazione dei dati trasmessi su supporto elettronico e il loro
inserimento nel sistema conoscitivo di finanza delle autonomie, a
disposizione delle Sezioni regionali di controllo.
La particolare composizione della Sezione delle autonomie – è
presieduta dal presidente della Corte e ne fanno parte tutti i presidenti delle
Sezioni regionali di controllo – consente appunto di qualificare l’organo
154
come espressione di tutte le Sezioni regionali, così che le funzioni di
coordinamento assumano, in tale sede, una valenza che non nasce dalla
gerarchia di rapporti, ma da scelte condivise per una migliore finalità dei
compiti da svolgersi nelle sedi sia centrali che periferiche196.
Una simile rimodulazione dell’assetto istituzionale, che si riflette nella
stessa rivisitazione della formula strutturale ed organizzativa rappresenta, al
momento, in piena conformità alle scelte attuative operate dal legislatore
ordinario con la legge n. 131/2003, il giusto punto di composizione tra la
conservazione di un modello unitario di Corte dei conti e le istanze, sempre
più incalzanti, dell’emergente Stato delle autonomie197.
CAPITOLO IV
IL
CONTROLLO
SUGLI
ENTI
PUBBLICI
SOVVENZIONATI DALLO STATO E IL CONTROLLO
SULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATO
PARTECIPA AL CAPITALE.
4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA
196
F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267. Vedasi poi, per un primo commento della
deliberazione n. 2/2003, E. RACCA, Sezione delle autonomie più forte. La svolta nel segno
dell’efficienza, in Guida agli enti locali – Il sole 24 ore, n. 31/2003, pag. 47 e seg..
197
G. GINESTRA, Le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dopo la legge 5 giugno
2003, n. 131, in Diritto & diritti (www.diritto.it/articoli/amministrativo/ginestra.htm).
155
Scorrendo la “Dichiarazione di Lima sui principi guida del controllo
delle
finanze
pubbliche”,
elaborata
nel
1977
dall’
INTOSAI,
Organizzazione Internazionale delle Istituzioni Superiori di Controllo, alla
Sezione
24,
del
paragrafo VII,
rubricata
“Controllo
degli
enti
sovvenzionati”198, si legge che: ”L’Istituzione superiore di controllo deve
essere autorizzata a controllare l’impiego dei fondi forniti da sovvenzioni
pubbliche. Quando le sovvenzioni sono particolarmente elevate, sia come
valore assoluto sia in relazione alle entrate e al capitale dell’ente, il
controllo può, se così stabilito, essere esteso fino ad includere l’intera
gestione
finanziaria
dell’organismo
sovvenzionato.”
Nello
stesso
documento, alla sezione 23, rubricata “Controllo delle imprese a
partecipazione statale”, si legge: “L’espansione dell’attività economica
dello Stato determina di frequente la costituzione di imprese regolate dal
diritto privato. Anche queste imprese devono essere sottoposte al controllo
delle Istituzioni superiori di controllo, qualora vi sia una rilevante
partecipazione statale – specialmente quando la partecipazione è
maggioritaria – o qualora si concretizzi una influenza dominante dello
Stato. Il controllo a posteriori costituisce la forma di controllo più
appropriata; tale controllo concerne gli aspetti dell’economicità,
dell’efficienza, e dell’efficacia. Le relazioni presentate al Parlamento ed
all’opinione pubblica su queste imprese devono osservare le limitazioni
richieste dalla tutela del segreto commerciale e industriale.”
È sembrato opportuno riportare, in via introduttiva all’argomento in
esame, queste due disposizioni, riferite ai principi internazionali in materia
198
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ) ,in Riv. C. conti, n. 3/96, pag.
277 ss. e n.4/96, pag. 268 ss.
156
di controllo per sottolineare l’importanza e l’attualità del tema, anche in
rapporto alla disciplina vigente nel nostro Paese.
In Italia, il controllo sulla gestione finanziaria degli enti199 a cui lo
Stato contribuisce in via ordinaria è esercitato dalla Corte dei conti a mezzo
della “Sezione del controllo Enti ”, istituita ai sensi dell’art. 9 della legge 21
marzo 1958 n. 259200.
Questa attribuzione della Corte dei conti si ricollega direttamente alla
Costituzione, che all’art. 100 prescrive che “La Corte dei conti partecipa,
nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione
finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce
direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguit0”. Pertanto la
legge 21 marzo 1958 n. 259 ( così come la successiva conferma di tale
funzione fatta salva dall’art. 3, comma 7, della legge di riforma generale dei
controlli affidati alla Corte, legge 14 gennaio 1994 numero 20) costituisce,
oltre dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione , attuazione del
dettato costituzionale.
La legge n. 259 del ‘58 contiene la disciplina, le condizioni e le
modalità di esercizio del controllo sulla gestione finanziaria degli enti
pubblici e privati “a valenza nazionale”201 da parte della nuova Sezione,
199
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, Bologna 1991.
200
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, in Riv. C. conti “, n. 1/2002, pag. 311 e ss.
201
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
157
contestualmente istituita ed individuata dall’ordinamento per riferire al
Parlamento circa l’esito dei controlli eseguiti su questi enti che richiedono
una contribuzione dello Stato in via ordinaria. La successiva legge n. 20 del
1994, relativa alla riforma generale dell’attività di controllo della Corte dei
conti202, ha inoltre attribuito a questa stessa Sezione il controllo su tutti gli
altri enti nazionali non rientranti nell'area applicativa della menzionata
legge 259 del 1958 e non riconducibili nel novero delle pubbliche
amministrazioni non statali.
Per gli enti ai quali lo Stato contribuisce “in via ordinaria”, è previsto
l’affidamento alla Corte dei conti di un controllo di tipo referente, vale a
dire che riferisce (in questo caso, al Parlamento) sull’andamento delle loro
gestioni. Si tratta degli enti che godono di contribuzione periodica a carico
dello Stato, degli enti che si finanziano con imposte, contributi, tasse che
sono autorizzati ad imporre, degli enti che godono di un apporto al
patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione di
garanzia, nonché delle società derivanti dalla trasformazione degli enti
pubblici economici in società per azioni con capitale in maggioranza
pubblico.
Una prima questione riguarda, dunque, la preliminare individuazione
dei soggetti sottoposti a tale forma di controllo della Corte dei conti203. Tra
esercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
202
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.
203
M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli enti
158
l’altro, l’art. 13 della legge 259/58 ne esclude l’applicazione alle Regioni,
alle Province, ai Comuni, alle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive
modificazioni,
ed
agli
Istituti
di
credito
sottoposti
a
vigilanza
dell'Ispettorato del credito.
Gli enti, oltre ad una prima elencazione contenuta in allegati alla legge
259/58, distintamente per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art . 2 e
per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art. 12, vengono individuati
per legge o mediante decreto governativo di assoggettamento emesso anche
su segnalazione della stessa Corte dei conti. Ad esempio, nel 2004, sono
state trasformate in enti pubblici economici le stazioni sperimentali
dell'industria, che sono state trasferite nell'area applicativa della legge 259
del 1958, nel novero degli enti assoggettati al controllo.
Attualmente, sono sottoposte al controllo per specifico disposto
normativo ed a seguito di decreto governativo, le singole gestioni di circa
360 enti, (la delibera n.4 del 27 febbraio 2006 indica in 333 gli enti
controllati in base alla legge 259/58 e 31 in base alla legge 20/94: il totale è
variabile in relazione anche ai provvedimenti di assoggettamento
governativi) spesso – come precisato dalla stessa Sezione controllo enti
nelle proprie delibere – aventi natura e forme eterogenee e con differenziata
disciplina ordinamentale , che possono essere raggruppati , in una prima
approssimazione, nelle seguenti categorie: enti previdenziali, enti di
assistenza e protezione sociale, enti che svolgono attività di impresa, enti di
studio, insegnamento, prestazione d’arte, enti di incentivazione, regolazione
,enti di ricerca enti portuali, enti operanti sul territorio.
L’art. 2 della legge n. 259 del 1958, al fine di stabilire quali siano gli
enti a contribuzione ordinaria, assume che devono essere considerate
pubblici, luglio-agosto 2003.
159
contribuzioni ordinarie: – i contributi che, con qualsiasi denominazione, una
pubblica amministrazione o un’azienda autonoma statale (questo tipo di
organizzazione, peraltro, non è più attuale) abbia assunto a proprio carico,
con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente, o che da
oltre un biennio siano iscritti nel suo bilancio; – le imposte, tasse e
contributi che con carattere di continuità gli enti siano autorizzati ad
imporre o che siano comunque ad essi devoluti.
L’esistenza
delle
contribuzioni
statali
ordinarie
sopradescritte
rappresenta, dunque, il fondamento del controllo ex lege n. 259 del 1958 e il
riferimento per la individuazione dei soggetti che debbono esservi
sottoposti.
La legge definisce, inoltre, all’art. 3 quali siano le forme di
contribuzioni escluse perché troppo tenui o perché l’ente rivesta
esclusivamente carattere locale (art. 3, comma due:” Dal controllo sono
esclusi gli enti d'interesse esclusivamente locale e quelli per i quali la
contribuzione dello Stato sia di particolare tenuità, in relazione alla natura
dell'ente ed alla sua consistenza patrimoniale e finanziaria, nonché gli enti
ai quali la contribuzione dello Stato sia stata concessa in applicazione di
provvedimenti legislativi di carattere generale); all’art 4, definisce la natura
consuntiva del controllo (“Gli enti sottoposti alla disciplina della presente
legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i
bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati
dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre
quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e
quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si
riferiscono. Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni
degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio”);
agli art 5 e 6 prevede l’obbligo di fornire alla Corte204 tutte le informazioni
204
160
da essa ritenute necessarie (di cui le principali vengono indicate nella
determinazione che viene adottata dalla Sezione a seguito dell’emanazione
del decreto di sottoposizione a controllo per gli enti ex art. 2 ovvero a
seguito della previsione normativa per gli enti ex art. 12 della legge
medesima) e quale sia la forma in cui avviene il “controllo cartolare”. La
Sezione di controllo, in sede istruttoria, può comunque richiedere agli enti
controllati e ai ministeri competenti, informazioni, notizie, atti e documenti
concernenti le gestioni finanziarie. In ogni caso, la giurisprudenza della
Corte ritiene ammissibile il ricorso anche ai più penetranti strumenti
istruttori di cui alla legge n. 20 del ’94. Il risultato del controllo eseguito va
poi comunicato entro sei mesi dalla presentazione dei conti alle Presidenze
della Camera dei Deputati e del Senato, per l’esame, da parte delle
Commissioni competenti per materia, secondo le disposizioni dei rispettivi
regolamenti parlamentari, delle relazioni della Corte dei conti sugli enti
sovvenzionati dallo Stato con la possibilità anche per le Commissioni delle
Camere di richiedere alla Corte ulteriori informazioni ed elementi di
giudizio.
La legge, inoltre, prevede all’art. 8 la possibilità di segnalare specifici
rilievi al Ministro del Tesoro ( allora così denominato, oggi è il Ministero
dell’economia e delle finanze) ed a quello competente.
Questa disposizione abilita la Corte dei conti ad effettuare su singoli
atti rilievi che, pur non influendo sulla relativa efficacia, generano un onere
di conformazione da parte degli enti destinatari e stimolano opportune
iniziative degli organi di vigilanza ed era stata in un primo tempo abrogata
dal primo comma dell’art. 3 del d.lgs. n. 286 del 1999 e poi ripristinata
dalla Corte costituzionale.
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, in Riv. C. conti, n. 4/89.
161
La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 139 del 17 maggio
2001, ha accolto il ricorso della Corte dei conti per violazione, tra l’altro,
degli articoli 76 e 100 della Costituzione, annullando la norma che
abrogava l’art. 8 della legge n. 259 del ‘58, rilevando che “L’estraneità
della materia del controllo sugli enti cui lo Stato contribuisce in via
ordinaria alla delega conferita con l’art. 11, comma 1, lettera c), risulta
confermata dai principi e dai criteri direttivi, previsti in materia dall’art.
17 della stessa legge, che contiene tutte previsioni che, all’evidenza, non
possono che riguardare “le amministrazioni" in senso proprio e che
risulterebbero incongrue se riferite indifferenziatamente alla categoria
degli enti cui lo Stato contribuisce invia ordinaria, enti che non fanno di
per sé parte della pubblica amministrazione e costituiscono un genus che
comprende le più svariate tipologie”.
(L’abrogazione dell'art. 8, l. 21 marzo 1958, n. 259 era avvenuta ad
opera del primo comma dell’art.3 del D.Lgs 30 luglio 1999 n.286
““Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e
valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle
amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della l. 15 marzo 1997,
n. 59”, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, ha dichiarato che non
spetta al Governo adottare tale disposizione e per conseguenza la ha
annullata).
Nei confronti degli enti che rientrano nella categoria di cui al predetto
art. 2, la Sezione esercita il controllo in maniera “indiretta”.
Il controllo svolto dalla Corte dei conti sugli enti si articola, infatti, in
due distinte tipologie: – la prima, prevede l’affidamento dell’istruttoria e la
redazione del referto ad un magistrato della Sezione, il quale si avvale dei
poteri previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 259 del’58 nei confronti
dell’amministrazione interessate o degli organi di vigilanza e revisione; il
referto verrà poi discusso e sarà da approvarsi in sede collegiale da parte
della Sezione.
– la seconda (la cd. forma “diretta”) prevede la
162
partecipazione di un magistrato delegato al controllo, alle sedute degli
organi di amministrazione e di revisione dell’ente ( ex art. 12 della legge n.
259 del ‘58 )205.
È bene ribadire, ad ogni buon conto, che la diversità nel modulo di
controllo adottato (art. 2 o art. 12) non comporta una diversità o
alternatività dello stesso: in entrambi i casi il controllo, che è sia di
legittimità che di merito, è concomitante, cioè si svolge nel corso della
gestione dell’ente, e ha per oggetto l’intera gestione finanziaria e
amministrativa dell’ente stesso. Il controllo sugli enti sovvenzionati
differisce sia dal controllo di legittimità - preventivo o successivo - su atti,
sia dal controllo sulla gestione, essendo partecipe dei caratteri sia dell’uno
che dell’altro.
Al termine di ogni esercizio finanziario la Corte dei conti206 adotta una
pronuncia nella quale svolge le proprie valutazioni sulla gestione finanziaria
dell’ente controllato. La relazione viene inviata al Parlamento per
l’esercizio del suo controllo politico finanziario; la relazione viene anche
inviata all’ente controllato ed ai Ministeri vigilanti per far loro adottare i
provvedimenti necessari a rimuovere le eventuali irregolarità contabili,
amministrative e gestionali riscontrate.
205
Va detto, peraltro, che si trovano nella dottrina e nella giurisprudenza indicazioni contrastanti nel
definire ora “diretta” ora “indiretta” ciascuna delle due forme di controllo ex art . 2 ed ex art. 12.
206
M. CIACCIA , Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, op. cit.
163
Questo tipo di controllo referente spetta unitariamente alla Sezione
enti della Corte di conti che lo esercita nel suo naturale circuito istituzionale
con Governo e Parlamento.
Va aggiunto che Il controllo in forma di referto al Parlamento, trova
anche un adeguato riscontro, come accennato in precedenza, nella
previsione nei regolamenti della Camera dei deputati e del Senato
dell’esame delle relazioni inviate dalla Corte, da svolgersi da parte delle
Commissioni competenti per materia.
Nella forma di controllo ex art. 2, 3 e 6 della legge n. 259 del ’58) gli
enti hanno l’obbligo di inviare i conti consuntivi e i bilanci di esercizio col
relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei
rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla
loro approvazione ed, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla
chiusura dell’esercizio finanziario al quale si riferiscono.
Attualmente, gli enti sottoposti a tale forma di controllo sono oltre
duecento, tra i quali si annoverano: le Ferrovie dello Stato s.p.a, la RAIradiotelevisione italiana, il C.N.R. – Consiglio nazionale delle ricerche,
l’A.C.I. – Automobil club italiano, il CONI – Comitato olimpico nazionale,
l’ AS.I.- Agenzia spaziale italiana, l’E.N.A.V.- Ente nazionale per
l’assistenza al volo, l’E.N.A.C. – Ente nazionale per l’aviazione civile,
l’E.N.E.A.,– Ente nazionale per l’energia e l’ambiente, le autorità portuali, i
consigli di diversi ordini professionali, etc. per citare quelli di maggior
rilievo.
L’altra forma di controllo esercitata dalla Corte207 (quella “ex articolo
12”) è riservata ad un’altra categoria di enti, individuata dalla legge n. 259
207
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, op. cit.
164
del ‘58, ed è quella degli enti nei confronti dei quali lo Stato contribuisce
con apporti di patrimonio in capitale o di servizi o di beni ovvero mediante
concessione di garanzia finanziaria. Nei loro confronti il controllo di cui
all’art. 100 della Costituzione è esercitato, oltre che con l'invio dei
consuntivi e dei bilanci, mediante la presenza diretta di un magistrato della
Corte, legittimato ad assistere alle sedute degli organi di amministrazione o
di revisione.
Tale magistrato è designato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti (organo di autogoverno dei magistrati contabili, assimilabile al
Consiglio Superiore della Magistratura, dei magistrati ordinari) e nominato
dal Presidente della Corte stessa.
Attualmente, gli enti sottoposti a controllo, ex art.12, sono circa
sessanta, tra cui vanno menzionati, fra quelli più noti per la loro rilevanza:
l’I.N.P.S- Istituto nazionale della previdenza sociale , l'I.N.P.D.A.P- Istituto
nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica,
l’I.N.A.I.L - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali , l’ISTAT- Istituto centrale di statistica,
l’ANAS- Azienda autonoma per le strade statali, l’ENEL s.p.a, l’ENI s.pa.
Dunque, riassuntivamente su questo punto, se l’ente pubblico o
privato fruisce di contribuzioni continuative o periodiche, il controllo è
meramente cartolare in base all’ art. 2, sugli atti trasmessi dall’ente alla
Corte. Se invece l’ente è destinatario di un “apporto al patrimonio” o
di”garanzie finanziarie”, il controllo avviene, ex art. 12 della legge n. 259
del ‘58, ad opera di un magistrato della Sezione di controllo, che assiste alle
sedute degli organi di amministrazione e di revisione, quali sono il consiglio
di amministrazione e i collegi sindacali o di revisione.
La legge 20 del 1994 ha confermato, come già accennato, all’art. 3
settimo comma, la persistenza di tale forma di controllo sugli enti di cui alla
legge 259 del ‘58 ed anzi le Sezioni riunite della Corte dei conti nella
deliberazione n. 2 del 18 gennaio 1995 , hanno ulteriormente affermato che
165
spetta alla Sezione controllo enti il controllo sugli enti pubblici, ”nei modi,
nei tempi e nelle forme da essa determinati, sugli enti pubblici non
economici nazionali, vale a dire tutti quegli enti pubblici che ovunque
abbiano la sede non perseguono fini racchiusi in un particolare ambito
territoriale, non hanno la cura degli interessi di popolazioni locali e non
traggano sostegno da finanze locali”.
4.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI
Attraverso l’esame delle delibere di programma della Sezione
controllo enti, della Corte, si possono ricostruire i principali temi di
discussione in dottrina e giurisprudenza e ripercorrere le connesse vicende
legislative che hanno portato, ad esempio, alla riorganizzazione di
numerose categorie di enti pubblici e che hanno coinvolto, di riflesso, anche
le competenze della Corte dei conti208 nella materia.
Un primo impulso per il riordino degli enti pubblici , si è avuto con la
legge 15 marzo 1997 n 59 ( di delega al Governo per il conferimento di
funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), con la
previsione209 della soppressione o della fusione di enti ovvero della
208
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.
209
v. art. 11
166
trasformazione in enti economici o società di diritto privato, al fine di
razionalizzare e qualificare le risorse pubbliche utilizzate (“…riordinare gli
enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e
previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni,
controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano, anche
all'estero, nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo
nazionale … riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di
monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati
dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche ... riordinare e
razionalizzare gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della
ricerca scientifica e tecnologica nonché gli organismi operanti nel settore
stesso .. “210).
Per taluni enti (C.N.R. - Consiglio nazionale delle ricerche; E.N.E.A.
– Ente per le nuove tecnologie l’energia e l’ambiente; A.S.I. – Agenzia
spaziale italiana; I.N.A.F.- istituto nazionale di astrofisica ) nel 1999 , con
una serie di decreti legislativi (nn.19, 27 e 36 del 30 gennaio 1999 e n. 296
del 23 luglio 1999) veniva infatti disposto un controllo della Corte211
limitato al solo esame dei conti consuntivi , vale a dire, senza l’esame della
regolarità contabile, finalizzato alla sola relazione annuale al Parlamento. Si
è trattato in tal caso di un indirizzo legislativo che ha inteso parificare i
210
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
211
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, op. cit.
167
grandi enti di ricerca al trattamento riservato alle autonomie universitarie.
Tale indirizzo subiva successivamente un ripensamento con i decreti
legislativi del 4 giugno 2003 (nn. 127 ” riordino del Consiglio nazionale
delle ricerche (C.N.R.)”, 128 “riordino dell'Agenzia spaziale italiana
(A.S.I.) e 138 – “riordino dell'Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) e n.
257 del 3 settembre 2003 (“riordino della disciplina dell'Ente per le nuove
tecnologie, l'energia e l'ambiente – E.N.E.A., a norma dell' art .1 della legge
6 luglio 2002, n. 137” di delega per la riforma dell'organizzazione del
Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti
pubblici).
Ma più rilevante, per le conseguenze che successivamente
determinarono un conflitto fra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la
Corte dei conti, (poi risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 466
del 17-28 dicembre 1993) era stata la vicenda legislativa conseguente alla
trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA ed ENEL, avvenuta in
base alla disposizione dell’art. 15 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333,
convertito con modifiche dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, che sottraeva
alla Corte dei conti il controllo su tali enti, poiché i magistrati non venivano
invitati a partecipare alla sedute dei consigli di amministrazione e il
Ministro del tesoro , unitamente alla Presidenza del consiglio ritenne che le
nuove società non rientrassero nel rapporto con lo Stato, presupposto del
controllo della Corte.
La Corte costituzionale ritenne invece , nella sentenza n. 466 del 1993,
che alla Corte dei conti continuasse a rimanere assegnato il controllo su tali
società, fino a che permaneva una partecipazione esclusiva o maggioritaria
dello Stato nel capitale azionario. D’altra parte, come è stato precisato,
“non è….. la veste formale dell’organismo di diritto pubblico (s.p.a.) che
può escludere il controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 100 della
Costituzione, giacché è la natura sostanziale dell’organismo che deve
essere analizzata ed i modi di contribuzione da parte dello Stato alla sua
168
gestione”. L’elemento formale della semplice trasformazione degli enti
pubblici in enti pubblici economici non veniva, dunque, ritenuto dalla Corte
costituzionale
sufficiente
a
determinare
l’estinzione
del
controllo
finanziario dello Stato perché soltanto una modifica di carattere sostanziale
nell’imputazione, tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti
trasformati alla disponibilità dello Stato, avrebbe potuto determinare
l’eliminazione di tale forma di controllo. La Corte costituzionale ha
precisato:”…Il controllo in questione verrà, invece, a perdere la propria
ragione d'essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento in cui il
processo di "privatizzazione", attraverso l'effettiva "dismissione" delle
quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto connotati sostanziali, tali
da de terminare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza
pubblica”. Inoltre, “la “semplice trasformazione degli enti pubblici
economici di cui all’art. 15 della legge n. 359 del 1992 non può essere,
infatti, ritenuto motivo sufficiente a determinare l’estinzione del controllo
finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti” in
quanto soltanto laddove al mutamento formale “faccia seguito anche una
modifica di carattere sostanziale nell’imputazione del patrimonio (….) tale
da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità
dello Stato” possono venire meno le ragioni che sono alla base del
controllo in questione siccome disciplinato dall’art. 12 della L. n. 259 del
1958 che risulta incluso nell’ambito della sfera disciplinata dall’art. 100,
secondo comma, della Costituzione”.
D’altra parte, la pronuncia della Corte Costituzionale risulta in linea
con quanto dalla stessa precedentemente affermato circa ”la funzione
propria del controllo previsto dall'art. 100, secondo comma, della
Costituzione, che é stata da questa Corte collegata all'interesse preminente
dello Stato (costituzionalmente rilevante per l'art. 100 Cost.) che siano
soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul
proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento"
169
(sent. n. 35 del 1962)212. Ora, é proprio la considerazione di tale finalità
primaria che può giustificare la permanenza del controllo in questione
anche nei confronti delle nuove società, se e fino a quando la gestione delle
stesse resti nella disponibilità dello Stato e sia suscettibile, di conseguenza,
di incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale “.
Nel caso degli enti di ricerca C.N.R., A.S.I., E.N.E.A., la Corte
costituzionale213 aveva poi dichiarato non spettare alla Corte dei conti il
controllo su di essi nella forma diversa da quella prevista dai decreti
legislativi del 1999, che prevedono il controllo solo sui conti consuntivi,
con esclusione, quindi, del controllo di regolarità amministrativo-contabile
e sui singoli atti di gestione, finalizzandolo invece al referto al Parlamento.
La Corte costituzionale, infatti, aveva ancorato tale controllo ai principi di
cui all’ art. 3, sesto comma, della legge n. 20 del 1994 (di riforma generale
dei controlli della Corte dei conti) adeguando ad essa il controllo della
Sezione enti. Il ripristino del controllo della legge n. 259/1958 sui grandi
enti di ricerca, per l’E.N.E.A., veniva poi disposto nella forma più incisiva
di cui all’art. 12 della legge stessa. La sentenza della Corte costituzionale n.
457 del 14-23 dicembre 1999, ribadiva l’ambito di discrezionalità del
legislatore ordinario con riferimento anche all’art. 100, comma 2, della
Costituzione – sia pure con taluni limiti – Ha ritenuto, infatti, la Corte
costituzionale che – poiché la determinazione dei casi e delle forme di
partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato
212
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit..
213
C. Cost., sent. n. 457 del 14-23 dicembre 1999.
170
contribuisce in via ordinaria è rimessa alla legge – “le norme dei decreti
legislativi in questione ( …) rappresentano per l’appunto una forma
possibile della partecipazione al controllo che la Costituzione rimette alle
discrezionali determinazioni legislative (…) che (…) costituisce un
legittimo svolgimento del rinvio che l’art. 100, secondo comma, fa alla
legge la quale non può incontrare un suo limite nelle disposizioni dettate
dalla L. n. 259 del 1958 le quali non possono condizionare scelte
legislative successive le quali, in attuazione anch’esse dell’art. 100,
secondo comma, della Costituzione, in generale o con riferimento a casi
particolari, ridefiniscono i casi e le forme del controllo”.
La stessa Corte, peraltro, ha fatto richiamo all’applicabilità dei
principi della legge n. 20 del 1994 ed al controllo della Corte dei conti
europea . In particolare, quanto agli ulteriori rapporti di collaborazione da
instaurarsi con le amministrazioni interessate circa l’invio delle relazioni
della Corte, la formulazione in qualsiasi momento delle sue osservazioni, la
comunicazione alla Corte stessa delle misure conseguenzialmente adottate
dalle amministrazioni (cfr. il sesto comma dell’art. 3 della legge n. 20 del
‘94), essi hanno una loro autonoma ragion d'essere rispetto alla relazione al
Parlamento e configurano, nell'insieme, un sistema non privo di una propria
logica (si veda, per la Corte dei conti europea, l'analogo sistema previsto
dall'art. 248, par. 4, del Trattato della Comunità Europea). Non essendo
incisi dalle norme dei decreti legislativi, – secondo la Corte costituzionale –
tali rapporti restano pertanto salvi, in forza del richiamo fatto dall'art. 14
della legge n. 59 del 1997 allo stesso comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20.
Va ricordato peraltro, che anche nella sentenza n. 29 del 1995
(divenuta famosa e citata più volte in diversi contesti riguardanti il controllo
delle Corte dei conti in generale) , la Corte costituzionale aveva più volte
posto in rilievo i nuovi principi di collaborazione del controllo (ivi definito,
171
appunto, “collaborativo”) della Corte dei conti214 e delle caratteristiche del
controllo sulla gestione, finalizzato ad una visione complessiva degli
andamenti e degli impieghi delle risorse pubbliche in riferimento ai principi
del buon andamento, indicato nella Costituzione, dell’ efficacia, dell’
efficienza e dell’economicità della azione amministrativa.
Dalla giurisprudenza formatasi sulla attività della Sezione enti, si
rileva come l’affermata legittimità costituzionale del controllo sulla
gestione delle pubbliche amministrazioni svolto dalla Corte dei conti215, (di
cui alla citata sentenza n.29 del 1995 e alla n. 470 del 1997, entrambe della
Corte
costituzionale)
che
prescinde
dal
decreto
governativo
di
individuazione dell’ente, abbia tuttavia lasciato irrisolto il problema
dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di controllo.
In particolare nella sentenza n. 470 del 1997, la Corte costituzionale
aveva dichiarato infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 3,
comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sollevata dalla Corte di
Cassazione con ordinanze emesse a seguito di ricorsi per regolamento
preventivo
di
giurisdizione,
proposti
dalla
Federazione
nazionale
dell'Ordine dei farmacisti italiani, dalla Federazione nazionale degli Ordini
dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri, dal Consiglio nazionale degli
ingegneri, dal Consiglio nazionale del notariato, dal Consiglio nazionale
214
M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, op. cit.
215
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.
172
degli architetti e dal Consiglio nazionale forense, nell'ambito di giudizi
pendenti innanzi al TAR Lazio per l'annullamento della determinazione n.
43 del 20 luglio 1995, con la quale la Sezione controllo enti della Corte dei
conti aveva sottoposto gli enti menzionati ai riscontri di cui alla legge 20
del ’94 nella parte in cui affida alla Corte dei conti l'individuazione (non
automatica e caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di
criteri valutativi) degli enti assoggettabili al controllo, per contrasto con
l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della
Costituzione.
Secondo la Cassazione, suscitava perplessità il fatto che non fosse
stato esteso, al più ampio ambito di controllo contemplato dalla citata legge
n. 20 del 1994, il procedimento già previsto dalla legge n. 259 del 1958 per
l'individuazione degli enti da assoggettare alle verifiche della Corte dei
conti, secondo un meccanismo affidato all'autorità di governo ed espresso
nella forma del decreto presidenziale. che l'individuazione degli enti
assoggettabili a controllo avvenga sulla base di un'attività "non automatica e
caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di criteri valutativi"
e quindi, in definitiva, attraverso una procedura non conforme all'art. 100
della Costituzione. Inoltre, secondo la ricorrente, la procedura apprestata
dalla disposizione censurata faceva sì che il provvedimento di
individuazione venisse attratto nella sfera di insindacabilità che caratterizza
gli atti di controllo della Corte dei conti216, con conseguente vanificazione di
ogni garanzia giurisdizionale nei confronti degli enti assoggettati al
controllo stesso,contrariamente a quanto disposto dagli articoli 103 e 113
della Costituzione.
216
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, op. cit.
173
Sul primo punto, la Corte costituzionale osservò che la disposizione
denunciata non prefigurava, in realtà, nessuna specifica procedura,
“limitandosi ad enunciare un criterio generale che, facendo leva sulla
nozione di pubblica amministrazione, è di per sé sufficiente a definire
l'ambito delle competenze affidate alla Corte, alla stregua del potere
proprio di ciascun organo dotato di garanzie procedimentali di accertare le
situazioni che, in base alla legge, costituiscono il presupposto per
l'esercizio delle sue funzioni”217. D'altro canto è fondatamente da escludere
che le modalità stabilite dalla legge n. 259 del 1958, per l'individuazione
degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, costituiscano un
modello di riferimento costituzionalmente obbligato anche per il controllo
previsto dalla disposizione dell'art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 e
che l'istituto qui in esame, “lungi dal ricollegarsi all'art.100 della
Costituzione, si pone, in effetti, come espressione della discrezionalità di
cui gode il legislatore ordinario. A sostegno del denunciato vizio dell'art. 3,
comma 4, della legge n. 20 del 1994, non pare, dunque, possibile
argomentare dal controllo contemplato dalla legge n. 259 del 1958 che, pur
introducendo fondamentali innovazioni, è venuta a ricalcare, quanto alle
modalità di individuazione degli enti e alla imputazione della funzione, le
linee ispiratrici di un ordinamento (legge 19 gennaio 1939, n. 129; regio
decreto 8 aprile 1939, n. 720 e regio decreto 30 marzo 1942, n. 442) in
base al quale, già prima della Costituzione, la Corte dei conti concorreva
alla funzione di controllo su enti individuati da un provvedimento del
Ministro delle finanze (art. 1 del menzionato regio decreto n. 720 del 1939),
previo accertamento delle condizioni stabilite dalla legge”. La legge n. 259
del 1958 – in attuazione dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione,
217
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.
174
secondo il quale la Corte dei conti "partecipa nei casi e nelle forme stabiliti
dalla legge al controllo sulla gestione finanziaria" dei c.d. enti
sovvenzionati
dallo
Stato
–
prevede,
come
presupposto
per
l'assoggettamento a controllo, l'esistenza della c.d. contribuzione statale
ordinaria (intendendosi per tale, l'assegnazione di contributi corrisposti con
carattere di periodicità ovvero la fruizione, con carattere di continuità, da
parte degli enti, di imposte, tasse e contributi, ai sensi di quanto
contemplato dall'art. 2, ovvero, ancora, l'apporto al patrimonio in capitale
da parte dello Stato, giusta l'art. 12) e, al tempo stesso, l'assenza di ipotesi
configurate come ostative (art. 3, secondo comma), quali quelle di enti di
"interesse esclusivamente locale" ovvero di enti destinatari di contribuzioni
di "particolare tenuità", "in relazione alla natura dell'ente ed alla sua
consistenza patrimoniale e finanziaria".
La varietà e molteplicità di situazioni considerate giustifica, perciò, sempre secondo la Corte costituzionale - la previsione, da parte del primo
comma del medesimo art. 3 della legge n. 259 del 1958, di una specifica
procedura di ricognizione e valutazione che si conclude con un apposito
decreto, mentre analoga necessità non si riscontra per l'individuazione degli
enti soggetti al controllo previsto dalla disposizione denunciata, risultando
quest'ultimo subordinato al solo presupposto della riconducibilità dei
medesimi enti alla nozione generale di pubblica amministrazione218.
Circa la questione della presunta insindacabilità delle determinazioni
della Corte dei conti219, sì da non consentire agli enti stessi alcun rimedio
giurisdizionale contro l'illegittimo assoggettamento a controllo, la Corte
costituzionale ebbe inoltre ad affermare che: “dal richiamo fatto
218
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
175
dall'ordinanza stessa a quella giurisprudenza che ha ritenuto gli atti della
Corte dei conti non impugnabili in via giurisdizionale, non può farsi
discendere il corollario dell'insindacabilità anche della verifica delle
condizioni e dei presupposti di esistenza del potere esercitato. Ne discende
che le determinazioni della Corte dei conti, in ordine all'individuazione
degli enti da assoggettare a controllo, non escludono, per gli enti stessi, la
garanzia della tutela innanzi al giudice (art. 24 della Costituzione),
restando, perciò, in discussione non già l'an, ma solo il quomodo di detta
tutela e, quindi, un problema di interpretazione della normativa vigente, la
cui soluzione, ovviamente, esula dall'oggetto del presente giudizio. Anche
sotto questo profilo la questione è da ritenere, dunque, infondata, non
essendo dato scorgere nella disposizione denunciata alcun vulnus del
diritto di agire in giudizio, da reputarsi comunque garantito”.
La questione dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di
controllo costituisce tuttora oggetto di attenzione e di approfondimento da
parte della Sezione controllo enti , poiché per gli enti è spesso incerta la
natura giuridica pubblica, cosicché le iniziative di estensione dei programmi
di controllo rimangono esposte al rischio di possibile impugnazione. In
particolare per gli ordini e collegi professionali dopo la pronuncia della
Corte di Cassazione che ha attribuito la competenza giudice ordinario, sono
intervenute sentenze di merito che hanno fermato la legittimità delle
determinazioni adottate dalla Sezione controllo enti della Corte dei conti220.
Con riguardo agli effettivi destinatari del controllo, l'incompleta
adozione dei prescritti decreti governativi di assoggettamento – si legge
nelle recenti delibere di programma della Sezione enti – continua tuttavia ad
219
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, op. cit.
176
escludere dal controllo e dal conseguente referto al Parlamento numerose
gestioni sovvenzionate dallo Stato, fra le quali alcune importanti imprese
pubbliche che manifestano un ulteriore sviluppo e spesso assumono la
forma di società partecipate in tutto in parte comunque posizione dominante
dallo Stato. A tale proposito, i più recenti documenti della Sezione hanno
ripetutamente sottolineato l'esigenza , per un compiuto esercizio del
controllo finanziario di propria competenza, di una aggiornata generale
ricognizione da parte del Governo e l’adozione dei richiesti decreti da parte
della Presidenza del Consiglio ed il previo sollecito esercizio del potere –
dovere di proposta, spettante ai Dicasteri vigilanti o titolari dei diritti di
azionista e quindi, principalmente, al Ministero dell’economia e delle
finanze, per le società in mano pubblica, per l’assoggettamento al controllo
delle gestioni sovvenzionate di più rilevante impatto sulle finanze pubbliche
da individuare sulla base di predeterminati parametri obiettivi.
L’esigenza del controllo e del referto della Corte, funzionali al
compiuto esercizio del controllo politico e finanziario spettante al
Parlamento, è risultata evidenziata , del resto, anche nei resoconti delle
Camere (ad esempio, in particolare con riguardo alla “Sviluppo Italia” s.p.a.
ed al vasto “arcipelago” delle sue partecipate) dove viene sottolineato che
restano ancora sottratte al controllo ed al conseguente referto al Parlamento,
numerose gestioni sovvenzionate dallo Stato e, in particolare, talune
importanti "imprese pubbliche".
Negli stessi documenti programmatici della Sezione del controllo è
stato altresì rammentato come, nell’ambito del progressivo processo di
220
Cass. civ., Sez. Un., 9 agosto 1996, n. 7327. Afferma la sussistenza della giurisdizione del giudice
ordinario in sede di regolamento di giurisdizione per la Società italiana autori ed editori per un
diritto soggettivo dell'ente a non veder compressa la propria sfera giuridica nell’ambito del
controllo sulla gestione della Corte dei Conti.
177
entificazione, siano state ricondotte nell’area di applicazione della legge n.
259/1958, gestioni statali in precedenza rientranti in quella della legge n.
20/1994: ad esempio, la Cassa depositi e prestiti, in base ad espresse e
dirette disposizioni legislative e l’Agenzia del demanio, in esito all’esplicita
attribuzione legislativa della natura di ente pubblico economico; l’Istituto
superiore di sanità e l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del
lavoro, mediante specifici decreti governativi di assoggettamento.
Significativa, al riguardo è stata, ad esempio, la vicenda della
costituzione di Ferrovie dello Stato S.p.A. derivata dalla scissione parziale
della società per azioni subentrata all’Ente pubblico Ferrovie quale nuova
Capogruppo del settore ferroviario. La Sezione controllo enti, assunse la
determinazione n. 28 del 30 aprile 2004 – ai fini dell’adozione del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui alla legge n. 259 del 1958 –
dando formalmente atto al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al
Ministro dell’economia e delle finanze della sussistenza delle condizioni
per l’assoggettamento di Ferrovie dello Stato s.p.a. al controllo della Corte
dei conti ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259 del 1958, con permanenza
del controllo previsto dall’art. 19 della legge 17 maggio 1985, n. 210, sul
“nucleo” residuo della precedente Capogruppo, e cioè su Rete Ferroviaria
Italiana s.p.a.
Non essendo stato emesso, fino al febbraio 2006 dalla Presidenza del
Consiglio il richiesto provvedimento dichiarativo dell’assoggettamento, la
Corte ha riferito sulla gestione di Ferrovie dello Stato s.p.a. per gli esercizi
2003 e 2004 con le modalità precedenti, in attuazione degli articoli da 5 a 9
della legge 21 marzo 1958, n. 259 e con ampi riferimenti alla gestione del
Gruppo, sulla base dei dati del bilancio consolidato.
L’elenco degli enti sottoposti a controllo subisce di anno in anno delle
variazioni: ad esempio, a seguito delle trasformazioni in enti pubblici
178
economici delle stazioni sperimentali per l’industria, tali soggetti si sono
aggiunti ai ricordati precedenti221.
Nei casi in cui sono consentite comparazioni, i referti riguardano
congiuntamente una pluralità di enti, ricompresi in una medesima categoria:
enti lirici; stazioni sperimentali dell’industria; enti parchi nazionali; enti di
sperimentazione agricola; automobil club nazionale e locali; consorzi
fluviali; società di navigazione di preminente interesse nazionale;
associazioni combattentistiche; casse militari di assistenza e previdenza.
Sempre dalle delibere della Sezione si ricava come nel sistema dei
controlli, quello sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati abbia
assunto una connotazione particolare rispetto a quello preventivo, su singoli
atti tassativamente individuati ed a quello successivo, sulla gestione delle
pubbliche amministrazioni, di tipo generalizzato, che postula un esercizio
selettivo e secondo criteri previamente definiti222. Il controllo della legge n.
259 del’58 resta infatti preordinato ad assicurare, anche nel corso
dell’esercizio, una compiuta azione di verifica su particolari gestioni
sovvenzionate, che vengono – di volta in volta – singolarmente individuate,
in ragione del loro impatto sulle finanze pubbliche e che si svolge con
continuità, nella permanenza dei prescritti requisiti.
221
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.
222
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
179
Deve pertanto ribadirsi che la funzione programmatoria della Sezione
della Corte223 per l’attuazione della legge non ha la finalità – propria del
controllo generalizzato – di selezionare gli stessi soggetti destinatari e le
singole aree di volta in volta prescelte, ma piuttosto quella di identificare,
nell’ambito dell’indeclinabile attività di controllo sulla intera gestione di
ciascun ente, materie, temi e aspetti, sui quali focalizzare specifiche analisi
e verifiche. Resta quindi fondamentale obiettivo prioritario la produzione di
referti tempestivi ed attuali , sino a poter comprendere i preconsuntivi e le
situazioni trimestrali di esercizio che evidenzino sinteticamente i profili di
maggiore criticità emersi nell’attività di controllo, nonché le più rilevanti e
significative valutazioni, sui risultati programmati ed effettivamente
conseguiti, sulle principali voci di costo e sugli equilibri di bilancio, sul
funzionamento dei controlli interni e sulle misure conseguenziali
comunicate ed adottate in esito alle osservazioni della Corte dei conti.
La programmazione, d’altra parte, si rende indispensabile considerato
che, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, le verifiche della Corte
dei conti non possono estendersi sulla generalità delle amministrazioni
dovendosi, quindi, operare necessariamente controlli “a campione”.
La Sezione controllo enti svolge , come detto, anche il controllo
generale e per programmi, di cui alla legge n.20 del 1994 ex art. 3, comma
4, su enti pubblici selezionati in sede di programmazione annuale,diversi da
quelli soggetti a contribuzione ordinaria dello Stato sulla gestione degli enti
pubblici nazionali non rientranti nell’area applicativa della legge n. 259 del
1958, fatta eccezione per gli organismi facenti parte delle strutture
ministeriali e delle Autorità indipendenti.
223
M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, op. cit.
180
Da tale orientamento non può farsi derivare una estensione
generalizzata a tutte le amministrazioni del modello di controllo in
argomento. La legge 20 del ‘94, e in particolare la disposizione dell’ art. 3,
comma terzo (“ Le Sezioni riunite della Corte dei conti possono, con
deliberazione motivata, stabilire che singoli atti di notevole rilievo
finanziario, individuati per categorie ed amministrazioni statali, siano
sottoposti all'esame della Corte per un periodo determinato. La Corte può
chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla loro ricezione,
ferma rimanendone l'esecutività. Le amministrazioni trasmettono gli atti
adottati a seguito del riesame alla Corte dei conti, che ove rilevi
illegittimità, ne dà avviso al Ministro”) va comunque coordinata con la
legge 259 del 1958 .
La Sezione competente ha indirizzato negli anni scorsi questi controlli
su tre categorie di enti: stazioni sperimentali dell’industria; istituti culturali
di livello nazionale; ordini e collegi professionali.
Tra gli aspetti generali oggetto di indagine da parte della Sezione,
comuni a diverse categorie di enti si segnalano: la funzionalità complessiva
e quella delle principali articolazioni organizzative; gli esiti dei processi di
razionalizzazione degli organi e degli apparati; la costituzione di strutture
unitarie, per un più coordinato ed efficiente svolgimento di funzioni e
servizi comuni a più enti; lo sviluppo della informatizzazione e
dell’innovazione tecnologica e le risorse ad esso dedicate; le iniziative di
esternalizzazione dei servizi, anche attraverso società partecipate e la
comparazione dei relativi costi e benefici; la rilevazione dei costi del
personale e del lavoro, e di quelli di formazione, nonché del loro
andamento; il ricorso ad incarichi esterni, verificandone anche il rispetto dei
tetti di spesa e dei prescritti requisiti di conferimento ed esecuzione; il
contenimento delle spese per acquisti di beni e servizi e di quelle per i
consumi intermedi, e la verifica dei tetti di spesa per autovetture, relazioni
pubbliche e rappresentanza; il grado di conformazione ai principi
181
desumibili dal D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286 (sui controlli interni), le
modalità applicative e le risultanze conseguite; l’applicazione dei principi di
riforma in materia contabile e di bilanci; il tasso di copertura, mediante la
politica tariffaria, dei costi dei servizi finali resi all’utenza.
4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI.
Per riprendere il problema accennato in precedenza dell’ambito
soggettivo dei destinatari, soprattutto quando manchi una espressa
qualificazione normativa che riguardi anche il livello nazionale e cercare di
chiarire, poi, quale sia l’ampiezza dell’espressione “amministrazioni
pubbliche” di cui all’ art 3 comma terzo, va ricordato che il riferimento alle
“pubbliche amministrazioni” è contenuto in numerose leggi e disposizioni e
una definizione legislativa è rinvenibile nel decreto legislativo del 3
febbraio 1993 n. 29 (ora sostituito dal d.lgs 30 marzo 2001, n. 165). All’art.
2 primo comma, si legge(va): “ Per amministrazioni pubbliche si intendono
tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le
comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni
universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti
pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le
182
aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.” (ora vedasi comunque,
il secondo comma dell’art. 1, del d.lgs n. 165 del 2001: ” Per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato,
ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro
consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi
case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura
e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali
e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario
nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 300”).
Le Sezioni riunite della Corte dei conti224, nella deliberazione n. 2 del
gennaio 1995 oltre a delineare il procedimento per la formazione del
programma di controllo e i criteri di riferimento, hanno elencato i soggetti
che rientrano nella categoria delle amministrazioni pubbliche ai fini del
controllo, facendo ricorso alla definizione di cui al D.Lgs n. 29 del ‘93,
tuttavia, restringendone l’utilizzabilità, nel senso di escludere che potessero
considerarsi ai fini dell’applicabilità della legge n.20 del ‘94, le
amministrazioni regionali “espunte normativamente” dalla categoria
generale delle amministrazioni pubbliche ed assoggettate ad un particolare
controllo, che tenga conto dell'ampia autonomia costituzionalmente
attribuita alle regioni (quello della verifica dei risultati degli obiettivi
224
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.
183
stabiliti dalle leggi regionali di piano e di programma : quinto comma
dell’art. 3)225.
Sempre le Sezioni riunite della Corte dei conti chiarirono che
“amministrazione pubblica” non è sinonimo di “amministrazione statale”
sia perché nel comma quarto dell’art. 3 della legge n. 20 del ’94 si fa
riferimento esplicito alle amministrazioni statali e nel comma quinto a
quelle regionali , differenziando queste ed escludendole dalla categoria
delle pubbliche amministrazioni ai fini del controllo , sia per la ratio della
norma, dal momento che il legislatore ha voluto chiaramente espandere il
controllo successivo a tutte le gestioni “ i cui risultati possano incidere
direttamente sulla finanza pubblica e indirettamente sull’economia
nazionale”, mentre quando ha inteso limitare l’ambito di applicazione ha
distinto specificamente le amministrazioni statali.
Con riguardo agli enti pubblici, in particolare agli enti pubblici non
statali, non di rilievo nazionale la citata delibera n.2 del’ 95 delle Sezioni
riunite individuava i criteri permanenti per individuare la competenza delle
strutture della Corte dei conti226 a svolgere il relativo controllo sulla
gestione, nell'elemento del territorio e in quello della “strumentalità
finanziaria” rispetto all’ ente territoriale che definisce programmi di attività
e che ha poteri di vigilanza (Regione , Province o Comune) . La
competenza a svolgere il controllo da parte della Corte, veniva individuata
nelle (allora) Delegazioni regionali (ora Sezioni regionali di controllo) con
225
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.
226
R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato, op. cit.
184
funzioni anche di collaborazione con le Sezioni riunite della Corte che
riferiscono al Parlamento nazionale e alla (allora) Sezione Enti locali (ora
Sezione delle Autonomie) per quegli enti che “gravitano nell'ambito di
legge territoriale locale e che perseguono anche con le sovvenzioni
quest'ultimo lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e sociale delle
comunità locali” .
Con riguardo alle società costituite o partecipate prevalentemente da
regioni ed enti locali ed aventi scopi sociali di carattere spiccatamente
territoriale, le quali non beneficino in genere ordinariamente ed in modo
diretto di contributi statali, le Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede di
controllo, deliberazione n. 16/01 del 26 luglio 2001 hanno successivamente
affermato che il controllo su queste società può essere esercitato
esclusivamente in via indiretta, sulla base delle norme della legge n.
20/1994227. Vi provvederanno, pertanto, la Sezione delle Autonomie e le
Sezioni regionali nei rispettivi ambiti di competenza, nel contesto dei
controlli ad esse spettanti sulle amministrazioni pubbliche territoriali e
limitatamente a quegli aspetti delle gestioni societarie, che hanno impatto
sugli equilibri di bilancio degli enti regionali e locali e concorrono a
determinarne le politiche di settore.
Interessanti sono alcune notazioni generali sul sistema delle Autorità
portuali, per i risvolti in ordine all’avvenuto assoggettamento al controllo
della Corte dei conti (da parte della Sezione enti).
L’art. 105, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
227
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
185
Regioni ed agli enti locali, ha sancito espressa deroga a detto conferimento
in ordine alle attribuzioni proprie delle Autorità portuali che, dunque,
continuano ad esercitarle in materia sia portuale sia di amministrazione del
demanio marittimo. Da tale disposto è derivata la prosecuzione dei controlli
sulle Autorità portuali da parte delle Amministrazioni statali, come definiti
dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nonché da parte della Corte dei conti,
secondo le modalità dell’art. 8 bis della legge 27 febbraio 1998, n. 30 sulle
autorità portuali, ai sensi dell’art. 6, quarto comma, della legge n. 84/1994,
nel testo sostituito dall’art. 8 bis, lettera c), della legge n. 30/1998, secondo
il quale la Corte dei conti esercita il controllo sui rendiconti della gestione
finanziaria.
Le altre leggi principali che hanno innovato il sistema sono: il decreto
legge 21 ottobre 1996, n. 535, convertito, con modificazioni, dalla legge 23
dicembre 1996, n. 647 e il decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457,
convertito, con modificazioni, dalla già citata legge 27 febbraio 1998, n. 30.
Da tale quadro normativo discende per le Autorità portuali la
compresenza di una duplice natura. La prima, prevalente, deriva dai poteri
pubblicistici di regolamentazione e di controllo delle attività di impresa
nell’ambito portuale, volta ad assicurare l’assoluta neutralità e la parità tra
le imprese impegnate nelle operazioni portuali; esse infatti vigilano
sull’applicazione della legislazione comunitaria e nazionale in materia di
concorrenza intervenendo, nei confronti dei concessionari o dei soggetti
autorizzati, per imporne il rispetto pena la decadenza o la revoca. La
seconda consente loro, come detto, di esercitare direttamente o
indirettamente attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti
istituzionali affidati. Si verifica, pertanto, la singolare contitolarità di dette
ultime attività economico-commerciali con le funzioni autoritative e di
garanzia.
Sulla natura giuridica delle Autorità portuali il Consiglio di Stato (Sez.
III, n.1641/02 del 9 luglio 2002) ha avuto modo di affermare che “la
186
prevalenza nell’organizzazione di un Ente delle attività destinate a
soddisfare bisogni di carattere industriale o commerciale non preclude la
sua qualificazione come organismo di diritto pubblico, quando ne sussistano
altre in relazione alle quali ricorrano i requisiti stabiliti dalla normativa
comunitaria per tale qualificazione”, e che “la circostanza che le Autorità
portuali, oltre allo svolgimento delle funzioni istituzionali, percepiscano
anche compensi da terzi per servizi resi, non trasforma la loro natura di
organismi di diritto pubblico, atteso che i relativi proventi rappresentano
soltanto un mezzo per concorrere al finanziamento degli oneri sostenuti per
la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, affinché non ricadano
interamente sull’erario e non già un utile di impresa”228.
Anche la Commissione europea , ha rilevato che in molti casi le
Autorità esercitano una doppia funzione, e cioè quella di ente gestore del
porto e quella di fornitore di servizi portuali. Per tali ipotesi, nelle quali
l’Autorità portuale operi sul piano commerciale, la Commissione – pur
senza voler restringere le funzioni di gestione di cui le Autorità sono titolari
– ha evidenziato la necessità che la stessa non occupi una posizione
privilegiata nei confronti degli altri fornitori di servizi.
4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI
Si può affermare – traendo spunto dalla delibera programmatica della
Sezione enti – che nel sistema dei controlli, quello della legge 259 del ‘58 si
posiziona ormai come strumento intermedio tra il controllo di legittimità sui
singoli atti e quello successivo sulla gestione di tipo generale e per
228
R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.
187
programmi e settori di attività preordinato ad assicurare un'azione di
verifica, continuativa e compiuta, su ciascuna delle gestione sovvenzionate,
previamente individuate singolarmente o a volte per categoria in ragione del
impatto sulla finanza pubblica.
In proposito, è significativo richiamare il ripristino del controllo della
legge 259 del ‘58 sui grandi enti di ricerca: in particolare, sulla questione
che esso viene disposto direttamente dal legislatore (ad esempio, col decreto
legislativo 3 settembre 2003, n. 257) nella più incisiva forma prevista
dall'articolo 12 della legge 259 del ’58. Una pari significatività assume,
inoltre, lo spostamento dall'area applicativa della legge 20 del ‘94 a quella
della legge 259 del ‘58 operato per la “Cassa depositi e prestiti” a causa
della sua trasformazione in società per azioni ( in base all’art. 5 comma 17 –
relativamente al controllo della Corte dei conti229 – del decreto legge 30
settembre 2003, n. 269 convertito dalla legge 24 novembre 2003 , n. 326 ) e
attraverso altri decreti governativi per l'Istituto superiore di sanità e per
l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Per
l'attuazione della legge 259 del ’58 la determinazione annuale degli
indirizzi di programma del controllo – come si legge nelle delibere di
programma della Sezione controlli enti – “si atteggia di conseguenza non
tanto quale autolimite quanto piuttosto quale mezzo per individuare le
materie interne e gli aspetti delle singole gestioni sui quali focalizzare
analisi e verifiche”.
L'attività di controllo da svolgere da parte della Corte dei conti230 deve
mantenere quindi tra gli obiettivi prioritari quello di rendere un referto
sempre più aggiornato al Parlamento , che evidenzi sinteticamente per
ciascuno degli enti controllati “i profili gestionali di maggiore criticità ed
229
G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazione
degli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.
188
attualità sino ai dati di preconsuntivo , delle situazioni trimestrali
dell'esercizio in corso e le più importanti e significative valutazioni sui
risultati conseguiti, sui costi, sul funzionamento dei controlli interni e sulle
misure consequenziali comunicate da adottare in essi dall'osservazione
della Corte dei conti”.
Sia nella sentenza n. 457 del 23 dicembre 1999, che nella sentenza n.
466 del 28 dicembre 1993, la Corte costituzionale ha ritenuto che la Corte
dei conti nell’esercizio della funzione di controllo sugli enti, rappresentata
dal Presidente della Corte dei conti, sia potere dello Stato legittimato a
sollevare conflitto di attribuzione con gli altri poteri dello Stato.
Va ricordato, altresì, che importanti innovazioni sono state recate dal
decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003 n. 97 sulla nuova
disciplina concernente l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici
di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e dalle norme di riforma del diritto
societario (iniziata con la legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 e i dd.lgs 5 e 6
del 17 gennaio 2003 e proseguita col d.lgs 30 dicembre 2003 n.394 e col
d.lgs 28 febbraio 2005 n. 38). Va inoltre ricordato il decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, che reca la disciplina sulla responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29
settembre 2000, n. 300 e delle associazioni non riconosciute, come
conseguenza di determinate categorie di reato poste in essere nel loro
interesse o a loro vantaggio da persone fisiche facenti parte degli stessi enti
in posizione apicale o subordinata, attribuendo il potere di accertamento
della responsabilità stessa al giudice penale, con profili che potrebbero
230
M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, op. cit.
189
rifluire anche in ipotesi di danno erariale – di competenza della
giurisdizione contabile della Corte dei conti – quali l'irrogazione di una
sanzione pecuniaria, che ne riduca sensibilmente le risorse finanziarie,
compromettendone il funzionamento o l’esistenza231.
In tal modo, si giustifica anche per la Sezione controllo enti della
Corte dei conti , l'esigenza di vigilare attentamente sulle modalità di
applicazione delle disposizioni recate dal citato decreto, in particolare
sull'applicazione delle disposizioni rivolte alla prevenzione dei reati,
all'esonero dalla responsabilità amministrativa ed alla riduzione degli effetti
sanzionati.
Vanno, per completezza , ricordate anche le seguenti norme modificate
o contenute nei commi 172 e 173 della legge n. 266 del 2005: – art 3
comma 6 legge n. 20 del ’94, modificato dal comma 172 dell’art.1 della
legge n. 266 del 2005:” La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente,
al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le
relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate,
alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie
osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi
elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure
conseguenzialmente adottate.” – comma 173 dell’ art. 1 della legge n. 266
del 2005:” Gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 (si tratta di
spese per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei
all'amministrazione, sostenute dalle pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
231
A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli enti
pubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è
esercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.
190
successive modificazioni, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli
organismi equiparati e di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre,
pubblicità e di rappresentanza, nonché di spese per indennità, compensi,
retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di
consulenza, e i contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro
devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per
l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.”
Altro tema d’indagine in ambito societario è costituito dalla nuova
disciplina sulla tutela del risparmio (di cui alla legge 28 dicembre 2005, n.
262) che prevede – tra l’altro – un maggiore spazio alla rappresentanza
delle minoranze nel collegio dei sindaci; l’istituzione della figura del
dirigente responsabile della redazione dei documenti contabili societari; la
rotazione dei responsabili della revisione e alcuni divieti per lo svolgimento
di altri servizi professionali, nonché alcune limitazioni al cumulo degli
incarichi di amministrazione e controllo.
A
fronte
del
descritto
assetto
ordinamentale,
in
continua
trasformazione, i principali parametri di riferimento del controllo che viene
svolto a campione in relazione alle concrete disponibilità della Sezione,
sono, comunque, tuttora identificabili: nelle norme nazionali ed in quelle
comunitarie sugli equilibri di bilancio, sulla concorrenza, sugli aiuti di Stato
ed in materia di appalti; nelle disposizioni generali e settoriali e negli
strumenti programmatici governativi, volti a contenere indebitamento e
debito ed a riqualificare la spesa del settore pubblico; nelle norme di
riforma e di razionalizzazione degli enti pubblici e delle loro strutture
organizzative ed in quelle dirette, sia ad introdurre una generalizzata
applicazione della contabilità economico analitica, sia ad elevare il livello
qualitativo dei prodotti e servizi finali resi all'utenza. Fermo restando il
controllo sul rispetto degli indicati parametri, oltre ai più generali riscontri
di legalità e sulla regolarità delle procedure amministrative e contabili ed
alle valutazioni di attendibilità e di affidabilità dei bilanci, da potenziare e
191
sviluppare con metodologia a campione , le indagini – si legge sempre nelle
delibere programmatiche della Sezione – “saranno focalizzate sulla
corrispondenza dei risultati agli obblighi normativi ed alle linee
programmatiche, accertando il grado di realizzazione delle "missioni"
assegnate a ciascun Ente. Nei casi ove sia possibile e ritenuto significativo,
verranno implementate analisi comparative e relazioni unitarie su più enti,
applicando indicatori di misurazione delle attività o dei prodotti ( output )
o delle realizzazioni o di impatto (outcome)”.
Conclusivamente, si può anche affermare che sia stata proprio la legge
259 del ‘58, anche se intervenuta a dieci anni di distanza dalla previsione
costituzionale, ad iniziare ad introdurre i concetti del controllo sulla
gestione considerata nel suo insieme e che si svolgesse temporalmente in un
momento successivo al suo compimento senza effetti interdittivi della
efficacia del singolo atto. Con tale tipo di controllo si evidenziano gli esiti
della gestione, in una valutazione complessiva dell’azione e dell’efficacia
della attività monitorata, di una sua efficiente ed economica realizzazione,
attraverso la verifica di documenti economico finanziari, oltre che contabili,
quali sono i bilanci d’esercizio ed i conti consuntivi. La Corte dei conti
vigila affinché gli enti che gestiscono ingenti quote di risorse pubbliche, si
attengano a parametri di legittimità ed improntino la loro gestione a criteri
di efficacia ed economicità.
Nell’esercizio della funzione di controllo sulla gestione finanziaria
previsto dall’art. 100 della Costituzione e dalla legge 21 marzo 1958 n. 259,
la Corte controlla, come detto: – gli enti che godono di contribuzione
periodica a carico dello Stato; – gli enti che si finanziano con imposte,
contributi, tasse che sono autorizzati ad imporre; – gli enti che godono di un
apporto al patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione
di garanzia; – le società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici
economici in società per azioni, fino a quando permanga la partecipazione
192
maggioritaria dello Stato o degli altri pubblici poteri al capitale sociale
(sentenza 28 dicembre 1993 n. 466 della Corte costituzionale ).
Le deliberazioni delle relazioni ad opera della Sezione controllo enti
in sede collegiale, che possono riportare i principali rilievi formulati nelle
singole relazioni e le determinazioni e le relazioni vengono comunicate ai
Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio, al ministero dell’
economia e finanze, e ai ministeri ai quali è attribuito il potere di vigilanza ,
nonché agli enti alle quali si riferiscono , proprio allo scopo di fornire
indicazioni per la riqualificazione della spesa pubblica e di riflesso per la
migliore ripartizione delle risorse finanziarie complessive.
Poter disporre di un patrimonio ricco di informazioni derivanti dallo
svolgimento corretto ed adeguato dei controlli sui fenomeni e sulla
complessiva attività gestoria, è strumentale a fornire al Parlamento il quadro
necessario per assumere le decisioni utili per il controllo della finanza
pubblica e, quindi, assumere anche le necessarie decisioni in termini di
corretta allocazione delle risorse per il perseguimento dei pubblici interessi
e per l’erogazione dei beni e servizi da parte degli enti preposti, nell’opera
di ottimizzazione delle risorse e di definizione anche degli strumenti
generali di “fiscal policy”.
193
CONCLUSIONI
Il nostro è un periodo di non facile transizione verso un sistema degli
enti locali più efficiente. In altri termini è necessario aumentare la
produttività della spesa pubblica. La scelta non è solo fra aumentare le
imposte o ridurre le spese. Vi è anche la via di produrre di più con la stessa
spesa (aumentare la produttività del lavoro) e di rendere più redditizio il
patrimonio pubblico (aumentare la redditività dell’attivo investito).
Questa scelta comporta una vera e propria rivoluzione culturale e
operativa. Gli amministratori locali debbono affrontare problematiche
sconosciute fino a qualche anno fa: i livelli quantitativi e qualitativi dei
servizi pubblici non dipendono solamente dal volume dei trasferimenti
erariali, ma sono ormai in funzione delle contribuzioni dei cittadini con
imposte, tasse e tariffe. Questo implica una crescita professionale dei
responsabili nella gestione dell’ente locale.
Gli sviluppi della normativa finanziaria e contabile degli enti locali,
che abbiamo approfondito nel presente lavoro, mette in luce due linee di
tendenza innovative e particolarmente rilevanti: – Una maggiore attenzione,
194
rispetto al passato, ai temi della programmazione e del controllo, nella
separazione tra poteri politici e competenze della gestione; – La presenza di
vincoli macroeconomici in grado di influenzare le politiche di bilancio
anche degli enti di minori dimensioni.
Il termine Controllo di Gestione viene definito, come abbiamo visto,
dalla dottrina come “il processo mediante il quale la direzione garantisce
che le risorse siano disponibili e siano utilizzate efficacemente ed
efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione
stabiliti in sede di pianificazione strategica”, dove per efficacia si intende il
grado con cui gli obiettivi prestabiliti sono raggiunti, e per efficienza il
rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti.
Negli enti locali il termine “controllo” è stato finora causa di
interminabili dibattiti e di non pochi equivoci. Esso ha assunto spesso due
significati:
Il controllo inteso come momento giuridico-istituzionale è quello che
finora ha trovato più largo riscontro negli enti locali. Esso si sostanzia
soprattutto in ispezioni, verifiche, riscontri operativi da organi esterni, al
fine di accertare la conformità giuridica dell’operato degli enti locali sotto il
profilo della legittimità e talvolta anche del merito.
In ogni caso, il controllo di gestione si avvale di un proprio sistema
informativo e in particolare si fonda su un sistema di dati quantitativi e
monetari, che formano quello che nel settore privato, è chiamata la
“contabilità direzionale”. Quest’ultima nasce dalle contabilità adottate
nell’amministrazione ed e’ costituita dall’insieme degli strumenti di
misurazione delle risorse e dei risultati. La trasposizione agli enti locali di
uno strumento nato e sviluppato nell’ambito delle aziende private non può
avvenire in modo diretto perché ogni ente locale ha delle caratteristiche
peculiari.
195
La prima caratteristica distintiva delle organizzazioni pubbliche, che le
differenzia nettamente da quelle private, è l’assenza del mercato.
Il controllo di gestione come già detto rappresenta un processo che
deve coinvolgere in maniera diffusa tutte le responsabilità dell’ente che lo
attua.
In conclusione, riassumendo, il controllo di gestione è uno strumento
organizzativo, che presuppone delle scelte specifiche per ogni ente. Tali
scelte riguardano: – Il modello di ente locale scelto sulla base delle
politiche diverse di “governance” adottate; – L’organizzazione dell’ente,
mediante la definizione dei centri di responsabilità si rimodella
l’organizzazione e i pesi delle varie funzioni organizzative; – Le risorse
umane dell’ente che debbono acquisire maggiori competenze gestionali; –
La scelta dei sistemi contabili dell’ente; ogni ente deve scegliere e decidere
le modalità di svolgimento del proprio controllo di gestione, in base alle
necessità informative, al grado di esternalizzazione dei servizi, al rapporto
costi e benefici, alla sua situazione specifica; – Il sistema di valutazione del
personale dell’ente, che deve essere collegato al Piano Esecutivo di
Gestione e al Controllo Operativo di gestione e interagire con questi.
Infine, indipendentemente dal sistema di controlli, di gestione e di
finanziamento degli enti pubblici in generale, è auspicabile che le persone
che ricoprono le cariche più importanti di tali enti operino al meglio e con
onestà, soprattutto considerando che la via intrapresa per gli enti locali è
quella di una sempre maggiore autonomia finanziaria e non.
196
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